don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Volto alla persona, Padre in relazione

(Mt 18,1-5.10.12-14)

 

Il brano di Vangelo detta la linea di tutto il discorso ecclesiale di Mt (18,1-35). Il termine chiave dei vv.1-5 è paidìon - diminutivo di pàis - che sta a indicare il garzone di bottega, il ragazzino fra 9-11 anni circa, che anche in casa doveva scattare dopo ogni ordine ricevuto.

Gesù tramortisce le ambizioni di grandezza dei suoi bramosi apostoli, che vogliono sequestrarlo per se stessi. Sì, lo tallonano sempre, ma non lo seguono - anzi, vorrebbero pignorarlo e mettergli il guinzaglio.

Modello del Regno non è il comandante, bensì il servitore; colui che non agisce con mentalità corrente, per spirito d’interesse o promozione.

Non è un peccato desiderare di dare significato alla propria vita, ma c’è un rovesciamento: maggiore è il minore - colui che non brama posti preminenti, resta umile di sentimento, condizione e posizioni.

Anche nella vita spirituale, chi vuole subito arrivare o fa il buono (non per gratuità ma solo) per assicurarsi posizioni future, disperde la propria Perla. L’importanza palese è un inganno: i veri “grandi” della comunità ecclesiale non appartengono al mondo dei “migliori”, dei perfettamente installati in società - gli svelti che si fanno avanti e sanno imporsi.

Dal v.6 l’autore parla di mikròi: i senza voce. Sono coloro che non hanno peso alcuno, magari quelli che non riescono neppure a farsi accettare in qualche gruppo di pressione o cricca “spirituale” esclusiva.

Questi “piccoli” sono coloro che prima o poi - malgrado l’esclusione preventiva - trovano il modo di accostarsi alla comunità dei fedeli in Cristo. Hanno sentito parlare dello spirito di collaborazione, sinergia e comunione che vige tra sorelle e fratelli di Fede. Vorrebbero sperimentare il beneficio di questa nuova Via di convivenza senza pretese umilianti, e sollecita al recupero...

Provano a iniziare, ma talora se ne scostano. Affaticati dalla trafila, impossibilitati a un rapporto personale con il Signore (in quanto davanti e in ogni occasione si ritrovano la solita siepe di dirigenti cui dovrebbero pagare dazi e sottostare), spesso irritati dalla vuota vanità di coloro che non di rado si rivelano persone senza scrupoli e pericolosissime.

Gesù non ci va liscio: gli esclusi sono gli unici che fanno gridare di gioia, e valgono molto molto più di tutto il gregge dei soliti inclusi (vv.12-14).

Il Richiamo vale anche per noi: proprio nelle persone isolate, smarrite e apparentemente più insignificanti è particolarmente vivace la fioritura dei grandi contenuti spontanei.

In essi si annida la Linfa che rigenera il mondo, e si rivela la Novità di Dio (che anche oggi vuole guidarci nell’esodo vocazionale e sociale).

 

 

Semplicità e sconvolgimenti: Rinascita senza mortificazione

 

Non si tratta di trovare scuse per giustificare la pigrizia nella ricerca e nell’esodo spirituale: piccoli, spontanei e naturali - ma ricchi dentro - si diventa, abbassandosi (Mt 18,3-4 testo greco) dal proprio personaggio.

È l’arte di rendere densa e complessa la vita, poliedrica e vasta, semplificando poi, senza disperdere. Spesso basta solo osservare in maniera diversa o posare lo sguardo altrove, per trovare mille sbocchi inattesi e auto-rigeneranti.

Infatti, la soluzione delle complicazioni che soffocano l’anima e l’esperienza della pienezza di essere che cerchiamo, non è esterna, ma insita nella nostra stessa domanda. Non di rado appartiene alle precomprensioni più che alla realtà o alla marea che viene, la quale vuole semplicemente trascinarci sul territorio della crescita.

Siamo obnubilati dai pensieri. Ma esiste un sapere innato che veglia sulla nostra unicità e non intossica l’anima. C’è un tempo e uno spazio segreti, che ci abitano: essi risuonano in sintonia coi Vangeli. Non c’è da “rimettersi al passo” di sempre.

Se ci arrendiamo a tale istinto sapiente, confortato dalla Parola, il Nucleo dell’essere scenderà in campo con le sue energie primordiali - che ricreano la terra come il mitico Bimbo del mondo: un piccolo Gesù - dentro e fuori di noi. Così si annienta anche il disastro del Coronavirus, e si risorge: ciascuno a modo proprio (che non è “suo” nel senso dell’arbitrio).

E quando nei casi particolari saremo capaci di accogliere gli accadimenti come una Chiamata a uscire dalle gabbie affinché percepiamo l’altrove, troveremo un risultato intimo che sbroglia e rilancia la via personale e le possibilità di scambio di doni inediti, non stereotipi - senza neppure provare la stanchezza e le sottili insoddisfazioni che conosciamo.

Proiettati totalmente nei problemi esterni, sovraccarichiamo la mente e lo spirito di aspettative indotte dal paradigma culturale (un tempo) in voga, cui siamo abituati. Così l’esistenza ridiventa subito conformista, stagnante nei soliti mezzi e mète, priva di nuovi picchi, relazioni autentiche e vitalità impensate.

Il diktat dell’obbiettivo indotto dai ruoli che immaginavamo acquisiti ci sfibra, e l’idea istituita di perfezione sterilizza l’humus - c’impoverisce, mettendo fra parentesi le esigenze effettive; così facendo prevalere i modi di essere, i ruoli consolidati già espressi, inaridendo i rapporti (rendendo di nuovo torbidi gli ambienti).

Le idee fisse condizionano la vita e non lasciano che l’organismo interiore - psichico e spirituale - possa nutrirsi di verità trasparenti (non pregiudicate) e sensazioni sincere, che vorrebbero donarci respiro.

Liberarci da soliti modi di scendere in campo, dai giudizi e convinzioni apodittiche, consentirebbe di spezzare le catene che trattengono le facoltà luminose e arcobaleno, nonché la capacità di corrispondere all’irripetibile vocazione, spalancando altre visuali.

 

Il “vuoto” propugnato dal Tao somiglia solo a orecchio al “vuoto” di altre sapienze orientali (decisamente più spersonalizzanti) perché l’insegnamento della Via non smarrisce il senso di unicità ed eccezionalità del singolo seme. Anzi, ne rispetta appieno la vocazione propulsiva... rimanendo se stessi, non solo malgrado - ma a motivo - dell’abisso obbligatorio che abbiamo vissuto.

Minimizzando invece i propositi di riedizione dell’antico maquillage - e tutti i condizionamenti non epocali (che non ci chiamano, e neppure vorremmo) - sgombriamo l'anima dalle zavorre. Faremmo affiorare il suo peso specifico eccezionale e il carattere irripetibile, per alleggerirla e colmarla solo di quanto serve per attivare i nuovi sentieri che ci attendono.

Il rallentamento e il lasciar scorrere che Lao Tse propugna non guida all’insignificante appiattimento delle differenze, ma a dilatare i tempi sacri e naturali dell’azione sapiente, e apprezzarne il valore.

Tappe e traguardi che non ci corrispondono non daranno appagamento, costringendoci ad amplificare i rapporti solo per coprire il problema con se stessi, o addirittura di coppia, gruppo, movimento, comunità e ambiente di lavoro.

Mentre desideriamo rivestire (e non deporre) di senso di permanenza il personaggio di prima - cliché che non ci corrisponde - giriamo a vuoto, caricandoci di attese fuori scala e inutile stress (che non fa spazio all’amore con cui s’incontra se stessi, le cose, sorelle e fratelli, i tanti eventi).

La Sapienza naturale, gli accadimenti anche amareggianti, e la Bibbia, ci ricordano che il volto... ogni percorso, nome e ritmo sono solo nostri. Anche la sintesi lo è: ciascuno è chiamato a scrivere la sua irripetibile lieta notizia a favore della donna e dell’uomo di ogni tempo (Gv 20,30-31).

Nota bene: la Fraternità non è livellamento:

“Ma ci sono molte altre cose che Gesù ha fatto, le quali se fossero scritte una per una, penso che neppure il mondo stesso potrebbe contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Gv 21,25).

 

Sarebbe la Felicità nella nuova Bellezza eminente, dal disagio.

 

Nel linguaggio biblico, la figura dell’Angelo (v.10) esprime Dio stesso in dialogo con l’anima personale; la Sua Presenza in noi, in situazione - e qui la nostra paradossale fecondità.

L’Angelo è il nostro stesso Sé eminente e totale, che sa recuperare gli opposti, che coglie i segreti, suggerisce, guida; conosce la nostra feconda poliedricità, e in tal guisa sa dove andare.

Insomma, la vita autentica è avvolta di Mistero, perfino nel passo dopo passo.

L’esistenza che ci contraddistingue non è tutta nel circolo dei traguardi visibili, delle apparenti affermazioni, e delle cose materiali, banali, più o meno a portata di mano.

La Vita completa ci introduce nella Chiamata per Nome che sfocia nella realizzazione e fioritura, ci apre alla Relazione che vale.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Secondo te perché Gesù parla di Angeli in cielo, e di Gioia in riferimento all’unica pecorella?

 

 

Perché Gesù parla di Gioia in riferimento all’unica pecorella?

 

Valore dell'unicità imperfetta

(Mt 18,12-14)

 

Il cambiamento di rotta e di sorte del Regno. Un Dio in ricerca dei perduti e disuguali, per dilatarci la vita. Cristologia del Pallio, potenza delle carezze, energia gioiosa (nella dissociazione).

 

Dice il Tao Tê Ching (x): «Preserva l’Uno dimorando nelle due anime: sei capace di non farle separare?».

Anche nel cammino spirituale, Gesù si guarda bene dal proporre un universalismo dettato o pianificato, come se il suo fosse un modello ideale, «allo scopo di omogeneizzare» [Fratelli Tutti n.100].

Il tipo di Comunione che il Signore ci propone non mira a «un’uniformità unidimensionale che cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità».

Perché «il futuro non è “monocromatico” ma se ne abbiamo il coraggio è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!» [da un Discorso ai giovani in Tokyo, novembre 2019].

 

Sebbene la pietà e la speranza dei rappresentanti della religiosità ufficiale fosse fondata su una struttura di sicurezze umane, etniche, culturali e una visione del Mistero consolidati da una grande tradizione, Gesù sgretola tutte le prevedibilità.

Nel Figlio, Dio viene rivelato non più come proprietà esclusiva, bensì Potenza d’Amore che perdona gli emarginati e smarriti: salva e crea, liberando. E mediante i discepoli dispiega il suo Volto che recupera, abbatte le barriere consuete, chiama moltitudini misere.

Sembra un’utopia impossibile da realizzare nel concreto (oggi della crisi sanitaria e globale) ma è il senso del passaggio di consegne alla Chiesa, chiamata a farsi incessante pungolo d’Infinito e fermento d’un mondo alternativo, per lo sviluppo umano integrale:

«Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!» [FT n.8].

 

Attraverso una domanda assurda (formulata in modo retorico) Gesù vuole destare la coscienza dei “giusti”: c’è una controparte di noi che suppone di sé, molto pericolosa, perché porta all’esclusione, all’abbandono.

Invece l’Amore inesauribile cerca. E trova l’imperfetto e irrequieto.

La palude di energia stagnante che si genera accentuando i confini non fa crescere nessuno: blocca nelle solite posizioni e lascia che ciascuno si arrangi o si perda. Per disinteresse interessato - che impoverisce tutti.

Tutto ciò faceva cadere le virtù creative nella disperazione.

Fa cadere nella disperazione chi è fuori del giro degli eletti - anteposti che non avevano nulla di superiore. Infatti gli evangelisti li tratteggiano del tutto incapaci di trasalire di gioia umana per il progresso altrui.

Calcolatori, recitanti e conformi - i dirigenti fondamentalisti o troppo sofisticati e disincarnati usano la religione come un’arma.

Invece Dio è agli antipodi degli sterilizzati finti - o del pensiero disincarnato - e alla ricerca di colui che vaga malfermo, facilmente si disorienta, smarrisce la strada. 

Peccatore eppure vero, quindi più disposto all’Amore genuino. Per questo motivo il Padre è alla ricerca dell’insufficiente.

La persona così limpida e spontanea - anche se debole - cela la sua parte migliore e ricchezza vocazionale proprio dietro i lati apparentemente detestabili. Forse ch’egli stesso non apprezza.

Questo il principio di Redenzione che sbalordisce e rende interessante i nostri percorsi spesso distratti, condotti a fiuto, come “a tentativo ed errore” - nella Fede generando però autostima, credito, pienezza e gioia.

 

L’impegno del purificatore e l’impeto del riformatore sono “mestieri” che in apparenza si contrappongono, ma facili facili… e tipici di chi pensa che le cose da contestare e cambiare siano sempre fuori di sé.

Ad esempio nei meccanismi, nelle regole generali, nell’assetto giuridico, nelle visioni del mondo, negli aspetti formali (o istrionici) invece che nell’artigianato del bene particolare concreto; così via.

Sembrano scuse per non guardarsi dentro e mettersi in gioco, per non incontrare i propri stati profondi in tutti i versanti e non solo nelle linee guida. E recuperare o rallegrare individui concretamente smarriti, tristi, in tutti i lati oscuri e difficili.

Ma Dio è agli antipodi degli sterilizzati di maniera o degli idealisti finti, e alla ricerca dell’insufficiente: colui che vaga e smarrisce la strada. Peccatore eppure vero, quindi più disposto all’Amore genuino.

La persona trasparente e spontanea - anche se debole - cela la sua parte migliore e ricchezza vocazionale proprio dietro gli aspetti apparentemente detestabili (forse ch’egli stesso non apprezza).

Chiediamo allora soluzione alle nuove energie interpersonali misteriose, imprevedibili, che entrano in gioco; da dentro le cose.

Senza interferire con idee di passato o di futuro che non vediamo, ovvero opponendosi ad esse. Piuttosto possedendone l’anima, il suo farmaco spontaneo.

Questo il principio della Salvezza che sbalordisce e rende interessante i nostri percorsi [spesso distratti, condotti a fiuto, come “a tentativo ed errore”] - generando infine autostima, credito e gioia.

 

L’idea che l’Altissimo sia un notaio o principe di un foro, e che operi netta distinzione fra giusti e trasgressori, è caricatura.

Del resto, una vita da salvati non è produzione propria, né possesso esclusivo o proprietà privata - che si capovolge in doppiezza.

Non è l’atteggiamento schizzinoso, né quello cerebrale, che unisce a Lui. Il Padre non blandisce amicizie supponenti, né ha interessi esterni.

Egli si rallegra con tutti, ed è il bisogno che lo attira a noi. Quindi non temiamo di farci trovare e lasciarci riportare (cf. Lc 15,5) in Casa sua, che è casa nostra.

Se c’è uno smarrimento, vi sarà un ritrovamento, e questo non è una perdita per nessuno - salvo per gli invidiosi nemici della libertà (v.10).

L’Eterno infatti non si compiace di emarginazioni, né intende spegnere il lucignolo fumigante.

Gesù non viene per puntare il dito sui momenti no, ma per recuperare, facendo leva sul coinvolgimento intimo. Forza invincibile di fedeltà.

Questo lo stile d’una Chiesa dal Cuore Sacro, amabile, elevato e benedetto.

[Ciò che attira a partecipare ed esprimersi è sentirsi capiti, restituiti a dignità piena - non condannati].

Diceva Carlo Carretto: «È sentendosi amato, non criticato, che l’uomo inizia il suo cammino di trasformazione».

 

Come sottolinea ancora l’enciclica Fratelli Tutti:

Gesù - nostro Motore e Motivo - «aveva un cuore aperto, che faceva propri i drammi degli altri» (n.84).

E aggiunge ad esempio della nostra grande Tradizione:

«Le persone possono sviluppare alcuni atteggiamenti che presentano come valori morali: fortezza, sobrietà, laboriosità e altre virtù. Ma per orientare adeguatamente gli atti [...] bisogna considerare anche in quale misura essi realizzino un dinamismo di apertura e di unione [...] Altrimenti avremo solo apparenza».

«San Bonaventura spiegava che le altre virtù, senza la carità, a rigore non adempiono i comandamenti come Dio li intende» (n.91).

 

Nelle sètte o nei gruppi d’ispirazione unilaterale, per emarginazione saccente le ricchezze umane e spirituali vengono depositate in luogo appartato, così invecchiano e sviliscono.

Nelle assemblee dei figli sono invece condivise: si accrescono e comunicano; moltiplicandosi rinverdiscono, con beneficio universale.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa ti attira della Chiesa? Nei confronti coi primi della classe, ti senti giudicato o adeguato?

Provi l’Amore che salva, anche se permani incerto?

Mercoledì, 06 Agosto 2025 15:18

Preferenza nei confronti dei Piccoli

68. Cristo Gesù ha sempre manifestato la sua preferenza nei confronti dei più piccoli (cfr Mc 10,13-16). Lo stesso Vangelo è permeato in profondità dalla verità sul bambino. Che cosa significa infatti: « Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli » (Mt 18,3)? Gesù non fa forse del bambino un modello, anche per gli adulti? Nel bambino vi è qualche cosa che non dovrebbe mancare mai a chi vuole entrare nel Regno dei cieli. Il cielo è promesso a tutti coloro che sono semplici come i fanciulli, a quanti, come essi, sono pieni di uno spirito di abbandono nella fiducia, puri e ricchi di bontà. Essi soltanto possono trovare in Dio un Padre e diventare, grazie a Gesù, figli di Dio. Figli e figlie dei nostri genitori, Dio vuole che siamo tutti suoi figli adottivi per grazia!

[Africae Munus n.68]

Mercoledì, 06 Agosto 2025 15:08

Non siamo “massa”

Già l’Antico Testamento parla comunemente di Dio come Pastore di Israele, del popolo dell’alleanza, da lui scelto per realizzare il progetto della salvezza. Il Salmo 22 è un inno meraviglioso al Signore, Pastore delle nostre anime: “Il Signore è il mio Pastore; non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce; mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino... Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me...” (Sal 23,1-3).

I profeti Isaia, Geremia ed Ezechiele ritornano sovente sul tema del popolo “gregge del Signore”: “Ecco il vostro Dio!... Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna...” (Is 40,11) e soprattutto annunciano il Messia come Pastore che pascerà veramente le sue pecore e non le lascerà più sbandare: “Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore...” (Ez 34,23).

Nel Vangelo è familiare questa dolce e commovente figura del pastore, la quale anche se i tempi sono cambiati a causa dell’industrializzazione e dell’urbanesimo, mantiene sempre il suo fascino e la sua efficacia; e tutti ricordiamo la parabola tanto toccante e suggestiva del Buon Pastore che va in cerca della pecorella smarrita (Lc 15,3-7).

Nei primi tempi della Chiesa poi l’iconografia cristiana si servì grandemente e sviluppò questo tema del Buon Pastore la cui immagine appare spesso, dipinta o scolpita, nelle Catacombe, nei sarcofagi, nei battisteri. Tale iconografia, così interessante e devota, ci attesta che, fin dai primi tempi della Chiesa, Gesù “Buon Pastore” colpì e commosse gli animi dei credenti e dei non credenti e fu motivo di conversione, di impegno spirituale e di conforto. Ebbene, Gesù “Buon Pastore” è vivo e vero ancora oggi in mezzo a noi, in mezzo all’umanità intera, e a ciascuno vuol far sentire la sua voce e il suo amore.

1. Che cosa significa essere il Buon Pastore?

Gesù ce lo spiega con chiarezza convincente:

– il pastore conosce le sue pecore e le pecore conoscono lui: come è bello e consolante sapere che Gesù ci conosce uno per uno, che non siamo degli anonimi per lui, che il nostro nome (quel nome che è concordato dall’amore dei genitori e degli amici) lui lo conosce! Non siamo “massa”, “moltitudine”, per Gesù! Siamo “persone” singole con un valore eterno, sia come creature sia come persone redente! lui ci conosce! lui mi conosce, e mi ama e ha dato se stesso per me! (Gal 2,20).

[…]

(Papa Giovanni Paolo II, omelia 6 maggio 1979)

Mercoledì, 06 Agosto 2025 14:49

Tutti figli, radicalmente dipendenti

Dopo aver passato in rassegna le diverse figure della vita familiare – madre, padre, figli, fratelli, nonni –, vorrei concludere questo primo gruppo di catechesi sulla famiglia parlando dei bambini. Lo farò in due momenti: oggi mi soffermerò sul grande dono che sono i bambini per l’umanità – è vero sono un grande dono per l’umanità, ma sono anche i grandi esclusi perché neppure li lasciano nascere – e prossimamente mi soffermerò su alcune ferite che purtroppo fanno male all’infanzia. Mi vengono in mente i tanti bambini che ho incontrato durante il mio ultimo viaggio in Asia: pieni di vita, di entusiasmo, e, d’altra parte, vedo che nel mondo molti di loro vivono in condizioni non degne… In effetti, da come sono trattati i bambini si può giudicare la società, ma non solo moralmente, anche sociologicamente, se è una società libera o una società schiava di interessi internazionali.

Per prima cosa i bambini ci ricordano che tutti, nei primi anni della vita, siamo stati totalmente dipendenti dalle cure e dalla benevolenza degli altri. E il Figlio di Dio non si è risparmiato questo passaggio. E’ il mistero che contempliamo ogni anno, a Natale. Il Presepe è l’icona che ci comunica questa realtà nel modo più semplice e diretto. Ma è curioso: Dio non ha difficoltà a farsi capire dai bambini, e i bambini non hanno problemi a capire Dio. Non per caso nel Vangelo ci sono alcune parole molto belle e forti di Gesù sui “piccoli”. Questo termine “piccoli” indica tutte le persone che dipendono dall’aiuto degli altri, e in particolare i bambini. Ad esempio Gesù dice: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). E ancora: «Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,10).

Dunque, i bambini sono in sé stessi una ricchezza per l’umanità e anche per la Chiesa, perché ci richiamano costantemente alla condizione necessaria per entrare nel Regno di Dio: quella di non considerarci autosufficienti, ma bisognosi di aiuto, di amore, di perdono. E tutti, siamo bisognosi di aiuto, d’amore e di perdono!

I bambini ci ricordano un’altra cosa bella; ci ricordano che siamo sempre figli: anche se uno diventa adulto, o anziano, anche se diventa genitore, se occupa un posto di responsabilità, al di sotto di tutto questo rimane l’identità di figlio. Tutti siamo figli.  E questo ci riporta sempre al fatto che la vita non ce la siamo data noi ma l’abbiamo ricevuta. Il grande dono della vita è il primo regalo che abbiamo ricevuto. A volte rischiamo di vivere dimenticandoci di questo, come se fossimo noi i padroni della nostra esistenza, e invece siamo radicalmente dipendenti. In realtà, è motivo di grande gioia sentire che in ogni età della vita, in ogni situazione, in ogni condizione sociale, siamo e rimaniamo figli. Questo è il principale messaggio che i bambini ci danno, con la loro stessa presenza: soltanto con la presenza ci ricordano che tutti noi ed ognuno di noi siamo figli.

Ma ci sono tanti doni, tante ricchezze che i bambini portano all’umanità. Ne ricordo solo alcuni.

Portano il loro modo di vedere la realtà, con uno sguardo fiducioso e puro. Il bambino ha una spontanea fiducia nel papà e nella mamma; ha una spontanea fiducia in Dio, in Gesù, nella Madonna. Nello stesso tempo, il suo sguardo interiore è puro, non ancora inquinato dalla malizia, dalle doppiezze, dalle “incrostazioni” della vita che induriscono il cuore. Sappiamo che anche i bambini hanno il peccato originale, che hanno i loro egoismi, ma conservano una purezza, e una semplicità interiore. Ma i bambini non sono diplomatici: dicono quello che sentono, dicono quello che vedono, direttamente. E tante volte mettono in difficoltà i genitori, dicendo davanti alle altre persone: “Questo non mi piace perché è brutto”. Ma i bambini dicono quello che vedono, non sono persone doppie, non hanno ancora imparato quella scienza della doppiezza che noi adulti purtroppo abbiamo imparato.

I bambini inoltre - nella loro semplicità interiore - portano con sé la capacità di ricevere e dare tenerezza. Tenerezza è avere un cuore “di carne” e non “di pietra”, come dice la Bibbia (cfr Ez 36,26). La tenerezza è anche poesia: è “sentire” le cose e gli avvenimenti, non trattarli come meri oggetti, solo per usarli, perché servono…

I bambini hanno la capacità di sorridere e di piangere. Alcuni, quando li prendo per abbracciarli, sorridono; altri mi vedono vestito di bianco e credono che io sia il medico e che vengo a fargli il vaccino, e piangono … ma spontaneamente! I bambini sono così: sorridono e piangono, due cose che in noi grandi spesso “si bloccano”, non siamo più capaci… Tante volte il nostro sorriso diventa un sorriso di cartone, una cosa senza vita, un sorriso che non è vivace, anche un sorriso artificiale, di pagliaccio. I bambini sorridono spontaneamente e piangono spontaneamente.  Dipende sempre dal cuore, e spesso il nostro cuore si blocca e perde questa capacità di sorridere, di piangere. E allora i bambini possono insegnarci di nuovo a sorridere e a piangere. Ma, noi stessi,  dobbiamo domandarci: io sorrido spontaneamente, con freschezza, con amore o il mio sorriso è artificiale? Io ancora piango oppure ho perso la capacità di piangere? Due domande molto umane che ci insegnano i bambini.

Per tutti questi motivi Gesù invita i suoi discepoli a “diventare come i bambini”, perché “a chi è come loro appartiene il Regno di Dio” (cfr Mt 18,3; Mc 10,14).

Cari fratelli e sorelle, i bambini portano vita, allegria, speranza, anche guai. Ma, la vita è così. Certamente portano anche preoccupazioni e a volte tanti problemi; ma è meglio una società con queste preoccupazioni e questi problemi, che una società triste e grigia perché è rimasta senza bambini! E quando vediamo che il livello di nascita di una società arriva appena all’uno percento, possiamo dire che questa società è triste, è grigia perché è rimasta senza bambini.

[Papa Francesco, Udienza Generale 18 marzo 2015]

Mercoledì, 06 Agosto 2025 03:43

Figli e tasse per il Tempio: quale precedenza

Senza meccanismi, né adempimenti che non ci riguardano

(Mt 17,22-27)

 

Anche i giudei dispersi nel mondo romano pagavano un’imposta annuale per il mantenimento del Tempio, che in realtà non figurava fra i contributi obbligatori previsti nella Torah (Es 30,11-16).

I convertiti alla nuova Fede in Cristo di Galilea e Siria si chiedevano se avessero ancora l’obbligo di continuare a pagare il balzello, per il luogo di culto e la classe sacerdotale.

La cifra dovuta era pur accessibile [si trattava di una somma pari a un paio di giornate di lavoro].

Gesù esprime la sua opinione attraverso un’analogia.

Roma aveva concesso l’amministrazione della Palestina a monarchi, principi e tetrarchi. I sudditi erano obbligati a pagare le imposte, esclusi i cittadini romani.

Il giovane Rabbi afferma: come coloro che possedevano la cittadinanza giuridica di Roma erano esenti dai tributi imposti ai giudei dai loro governanti, così i figli [nelle comunità di Mt, giudeo cristiani] dovevano essere esenti dalle imposte relative al Tempio.

Ma era forse opportuno esprimere un atteggiamento di rispetto circa un obbligo legale.

Dal tono e composizione del testo sembra però che tale criterio di lealismo verso le istituzioni si sia innestato su un precedente detto di Gesù, riguardante la totale libertà nei confronti del Santuario.

Egli intendeva sostituirlo in termini vitali: con la sua Persona e quella dei suoi intimi. Spazzandone via i manierismi artificiosi ed esterni.

 

In merito alla Cristologia specifica del brano, essa è nota: il Signore provvede e “paga” per i suoi amici (v.27).

Infatti l’acronimo di «pesce» in lingua greca [«ichthys»: Iēsous Christos Theou Yios Sōtēr] ha il significato di Gesù Messia Figlio di Dio Salvatore. Simbolo della Fede.

In tal guisa, l’autentico impegno dei figli sarà quello di manifestare un Volto di Dio assolutamente diverso da quello diffuso nella mentalità dell’oriente antico e mesopotamico.

Il Padre infatti non siede in una Nube percorsa da fulmini; non brama il titolo di «Grande» che richiama l’idea di forza tremenda, potenza terrificante, rapidità dirompente.

No, non è questa la ‘precedenza’ dell’uomo divino e dell’Altissimo. Egli nei suoi offre redenzione, e paga il tributo per tutti.

Beninteso, la Salvezza non è un meccanismo estrinseco, solo vicario. La Redenzione è Cuore, non un “vestito”.

 

Il «Figlio dell’uomo» non assume azioni standard; ci educa: affina la consapevolezza personale, e della nostra condizione.

Non lo fa per paternalismo, né per coprirci di accuse moraliste: consente di amare, scavalcando il formalismo nel rapporto col Padre.

La sua Presenza di Agnello che offre tutto di sé - anche la pelle - interpella l’umanità e la guida a riflettere sulla sua realtà, precaria anche nel cuore.

Coscienza d’incompletezza che può attivare ciò che conta: il cammino di Esodo, convinto, coinvolgente - a partire dal Centro di sé, piuttosto che da esteriorità legali.

Senza adempimenti che non ci riguardano.

 

 

[Lunedì 19.a sett. T.O. 11 agosto 2025]

Mercoledì, 06 Agosto 2025 03:40

Battezzati nella sua morte, fonte di vita

Il Signore Gesù è andato incontro alla passione, ha imboccato con decisione la via della croce; Egli parlava apertamente ai suoi discepoli di ciò che doveva accadergli a Gerusalemme, e l’oracolo del profeta Osea risuonava nelle sue stesse parole: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà” (Mc 9,31).

L’evangelista annota che i discepoli “non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo” (v. 32). Anche noi, di fronte alla morte, non possiamo non provare i sentimenti e i pensieri dettati dalla nostra condizione umana. E sempre ci sorprende e ci supera un Dio che si fa così vicino a noi da non fermarsi nemmeno davanti all’abisso della morte, che anzi lo attraversa, rimanendo per due giorni nel sepolcro. Ma proprio qui si attua il mistero del “terzo giorno”. Cristo assume fino in fondo la nostra carne mortale affinché essa sia investita dalla gloriosa potenza di Dio, dal vento dello Spirito vivificante, che la trasforma e la rigenera. E’ il battesimo della passione (cfr Lc 12,50), che Gesù ha ricevuto per noi e di cui scrive san Paolo nella Lettera ai Romani. L’espressione che l’Apostolo utilizza – “battezzati nella sua morte” (Rm 6,3) – non cessa mai di stupirci, tale è la concisione con cui riassume il vertiginoso mistero. La morte di Cristo è fonte di vita, perché in essa Dio ha riversato tutto il suo amore, come in un’immensa cascata, che fa pensare all’immagine contenuta nel Salmo 41: “Un abisso chiama l’abisso / al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde / sopra di me sono passati” (v. 8). L’abisso della morte viene riempito da un altro abisso, ancora più grande, che è quello dell’amore di Dio, così che la morte non ha più alcun potere su Gesù Cristo (cfr Rm 8,9), né su coloro che, per la fede e il Battesimo, sono associati a Lui: “Se siamo morti con Cristo – dice san Paolo – crediamo che anche vivremo con lui” (Rm 8,8). Questo “vivere con Gesù” è il compimento della speranza profetizzata da Osea: “… e noi vivremo alla sua presenza” (6,2).

[Papa Benedetto, omelia 3 novembre 2011]

Mercoledì, 06 Agosto 2025 03:36

Redentore del mondo

8. Redenzione: rinnovata creazione

Redentore del mondo! In lui si è rivelata in modo nuovo e più mirabile la fondamentale verità sulla creazione, che il Libro della Genesi attesta quando ripete più volte: «Dio vide che era cosa buona» Il bene ha la sua sorgente nella Sapienza e nell'Amore. In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l'uomo - quel mondo che, essendovi entrato il peccato, «è stato sottomesso alla caducità» - riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell'Amore. Infatti, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Come nell'uomo-Adamo questo vincolo è stato infranto, così nell'uomo-Cristo esso è stato di nuovo riallacciato. Non ci convincono forse, noi uomini del ventesimo secolo, le parole dell'Apostolo delle genti, pronunciate con una travolgente eloquenza, circa la «creazione (che) geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» ed «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio», circa la creazione che «è stata sottomessa alla caducità»? L'immenso progresso, non mai prima conosciuto, che si è verificato, particolarmente nel corso del nostro secolo, nel campo del dominio sul mondo da parte dell'uomo, non rivela forse esso stesso, e per di più in grado mai prima raggiunto, quella multiforme sottomissione «alla caducità»? Basta solo qui ricordare certi fenomeni, quali la minaccia di inquinamento dell'ambiente naturale nei luoghi di rapida industrializzazione, oppure i conflitti armati che scoppiano e si ripetono continuamente, oppure le prospettive di autodistruzione mediante l'uso delle armi atomiche, all'idrogeno, al neutrone e simili, la mancanza di rispetto per la vita dei non nati. Il mondo della nuova epoca, il mondo dei voli cosmici, il mondo delle conquiste scientifiche e tecniche, non mai prima raggiunte, non è nello stesso tempo il mondo che «geme e soffre» ed «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio»?

Il Concilio Vaticano II, nella sua penetrante analisi «del mondo contemporaneo», perveniva a quel punto che è il più importante del mondo visibile, l'uomo, scendendo - come Cristo - nel profondo delle coscienze umane, toccando il mistero interiore dell'uomo, che nel linguaggio biblico (ed anche non biblico) si esprime con la parola «cuore». Cristo, Redentore del mondo, è Colui che è penetrato, in modo unico e irrepetibile, nel mistero dell'uomo ed è entrato nel suo «cuore». Giustamente, quindi, il Concilio Vaticano II insegna: «In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5, 14), e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione». E poi ancora: «Egli è l'immagine dell'invisibile Iddio (Col 1, 15). Egli è l'uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, già resa deforme fin dal primo peccato. Poiché in Lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche a nostro beneficio innalzata a una dignità sublime. Con la sua incarnazione, infatti, il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato». Egli, il Redentore dell'uomo!

[Papa Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis]

Mercoledì, 06 Agosto 2025 03:26

Il suo modo divino

«Il trionfalismo nella Chiesa — ha proseguito il Papa — ferma la Chiesa. Il trionfalismo di noi cristiani ferma i cristiani. Una Chiesa trionfalista è una Chiesa a metà cammino». Una Chiesa che si accontentasse di essere «ben sistemata, con tutti gli uffici, tutto a posto, tutto bello, efficiente», ma che rinnegasse i martiri sarebbe «una Chiesa che soltanto pensa ai trionfi, ai successi; che non ha quella regola di Gesù: la regola del trionfo tramite il fallimento. Il fallimento umano, il fallimento della croce. E questa è una tentazione che tutti noi abbiamo».

E in proposito il Papa ha ricordato un episodio della sua vita: «Una volta, ero in un momento buio della mia vita spirituale, e chiedevo una grazia dal Signore. Sono andato a predicare gli esercizi dalle suore e l’ultimo giorno si sono confessate. È venuta a confessarsi una suora anziana, più di ottant’anni, ma con gli occhi chiari, proprio luminosi. Era una donna di Dio. Poi alla fine l’ho vista tanto donna di Dio che le ho detto: “Suora, come penitenza preghi per me, perché ho bisogno di una grazia, eh? Se lei la chiede al Signore, me la darà sicuro”. Lei si è fermata un attimo, come se pregasse, e mi ha detto questo: “Sicuro che il Signore le darà la grazia ma, non si sbagli: con il suo modo divino”. Questo mi ha fatto tanto bene: sentire che il Signore ci dà sempre quello che chiediamo ma lo fa con il suo modo divino». Questo modo, ha spiegato il Papa, «coinvolge la croce. Non per masochismo, no no: per amore, per amore fino alla fine».

[Papa Francesco, omelia s. Marta  29 maggio 2013;

https://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2013/documents/papa-francesco-cotidie_20130529_trionfalismo-cristiano.pdf]

(Lc 12,32-48)

 

Lampade accese, partire subito

(Lc 12,32-38)

 

Per far comprendere cosa significa essere preparati per partire immediatamente, Gesù sollecita il nostro accorgersi, le capacità di percezione.

Egli non spegne l’attitudine al giudizio inedito, e guadagna stupore.

Perché i ruoli s’invertono d’improvviso - quindi bisogna essere aperti alla fiducia: chi pare piccolo diventa “grande” in modo repentino.

La religione antica trascina i problemi, e fa ammalare, inculcando lo spirito di sottomissione e fatica, a salario. E lo schiavo resta tale.

Servitore e padrone sono viceversa in relazione di reciprocità e invertono incessantemente i ruoli.

Come dice Lc, il Signore stesso «si cingerà e li farà adagiare [posizione dei signori del tempo durante i banchetti solenni] e passando li servirà» come fosse un «diacono» (v.37 testo greco).

Ciò attiva una vigilanza totale, pronta a smuovere l’intera persona, i territori (Fratelli Tutti, n.1: «al di là del luogo del mondo»), le gerarchie.

Chi si sentiva “impiegato” diventa “direttore” e protagonista: acquisisce attitudine alla pienezza.

 

Nel Regno di Dio le forme di vita cambiano.

Nelle religioni senza il passo della Fede - viceversa - si consolidano le nomenclature.

Nella Chiesa non si tesoreggia, perché il nostro cuore non vive di mondanità e competizioni: i beni vengono trasformati in relazione e possibilità d’incontro.

Cristo ha mostrato la Via dell’autentico arricchimento. Così ci ha trasformati in esseri forse inquieti, ma alacri.

Non riusciamo neppure a riposare in modo tranquillo: abbiamo un passo che sorvola.

Infatti sembra stranissimo che questo Padrone non giunga all’orario previsto. Invece Cristo vuol essere reinterpretato.

Tale condizione è per noi fonte di crescita: accentua la vigilanza sugli accadimenti, le pieghe della storia; sul senso degli incontri, i moti dell'anima; così via.

Quindi la vita nello Spirito sfida e arricchisce il lato esuberante della personalità, accentuando le più singolari occasioni d’inedito.

 

Il «maggiordomo» posto a servizio della Casa di Dio e dei fratelli ha il compito di aiutare il discernimento dinamico, e il dovere di sostenerlo.

Il suo servizio in favore altrui sarà a tutto tondo, perché ciascuno possa corrispondere alla Chiamata e procedere sulle proprie gambe.

‘Beati’ allora saremo (v.38) senza condizione, ma con la cintura ai fianchi, ossia con l’atteggiamento di chi lascia una terra di schiavitù.

«Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo» [Papa Benedetto, Angelus 12 agosto 2007]

 

 

Non «ritorno», e gente libera

 

Presenza e Venuta senza contese

(Lc 12,39-48)

 

Gesù tira le orecchie a quelli di Casa, non per autolesionismo: non è amore né libertà non poter capire in quale direzione andare, non avere una mèta che trasmetta senso al nostro pellegrinare in ricerca.

Già nelle comunità dei primi secoli era viva l’idea della fine del mondo e dell’immediatamente successivo «ritorno» del Risorto ad aggiustare le cose - come un qualsiasi Messia. Così qualcuno non s’impegnava più. Altri rimanevano col nasino all’insù, per scrutare il cielo.

Ma la Venuta del Cristo è sempre imminente, e il Giudizio sulle cose del mondo è già stato pronunciato sulla Croce.

Nel suo Spirito che fa nuove tutte le cose, e nei suoi intimi, il Signore non si è mai trasferito (altrove; o in alto) [cf. Mt 28,20].

La fase finale della storia inizia appunto da questo germe di Fede non alienata, di Persona non repressa, e di società alternativa; ma la storia da scrivere è compito della Chiesa.

Il nuovo cielo e la nuova terra della Presenza che divinizza è già palpitante. In tal guisa, Egli è accanto a noi quando lottiamo per la realizzazione e la vita piena di tutti.

Poi, in nessun passo dei Vangeli è scritto che Gesù «tornerà»: sebbene non percepibile ai sensi, non si è mai allontanato.

Gode di una Vita piena, non condizionata da coordinate spazio temporali come la nostra.

Egli è ‘il Veniente’ [testo greco, passim]: colui che Viene senza posa, e si fa compagno di viaggio - non solo in figura eccezionale.

L’attenzione delle persone impressionabili già negli anni 80 si spostava (purtroppo) sul Ritorno invece che sulla «Venuta incessante»: ossia, percezione della sua Amicizia nelle cose anche comuni, nell’Appello dei bisognosi; nel Richiamo delle intuizioni, della Parola, degli accompagnatori del nostro viaggio; nel genio del tempo, e persino nelle vicende di tutti i giorni.

«Venuta» è: nei traguardi che sorridono, ma persino e forse ancor più negli scogli da vivere - o aggirare, spostando lo sguardo; nelle delusioni, che ci guidano a cercare una gioia meno esteriore.

Così - secondo il desiderio del Signore - la buona guida della comunità cristiana si farà servitrice degli smarriti, non si approprierà dei beni della Chiesa, diverrà vigilante anche in favore altrui.

È fondamentale che i primi della classe non si lascino trascinare dal desiderio adolescenziale di autoaffermarsi, con avidità di privilegi e incetta di mansioni rilevanti.

La fedeltà è atteggiamento richiesto specialmente a coloro che nelle assemblee hanno un compito particolare e preciso, di guida: vietato abusarne!

L’unica smania da cui devono sentirsi presi è quella di affrettare l’ora della Comunione e introdurre un’energia rigeneratrice, anche nei ruoli.

Pietro è però condizionato dal falso insegnamento tradizionale, del tutto antitetico, e non riesce a concepirlo.

Secondo il Maestro, invece, i capi e responsabili di comunità non sono dei privilegiati o eletti esclusivi, bensì coloro cui è chiesto di fare più e meglio.

Gente libera.

Unico obbiettivo plausibile del cammino particolare nella potenza del Risorto è di carattere materno e universale: «partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli» [FT n.278].

 

 

[19a Domenica T.O. (anno C), 10 agosto 2025]

Martedì, 05 Agosto 2025 06:00

La luce deve rimanere accesa

Dov’è il cuore ecclesiale?

(Lc 12,32-48)

 

«Dove è il vostro Tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (v.34). Non è un problema personale o istituzionale abusato, insipido; da facili ironie.

Ignorarlo significa concedergli ulteriore respiro, facendolo crescere a dismisura; rendendolo ancor più fuori tempo e difficile leggerlo (e individuarne le terapie).

Tutto ciò, però, va fatto mettendo fra parentesi le precipitazioni… nello spirito di comprensione più largo. Fermo restando che per comprendersi e attivare differenti risorse ogni comunità deve attraversare i momenti della verifica più severa.

Anche per chiese denominazionali di ampia e prestigiosa tradizione, la coscienza di essere oggi perdenti sotto questo aspetto è indispensabile per ritrovarsi. Superando l’incaglio… in avanti, “in uscita”.

 

 

Leggiamo nell’Enciclica «Spe Salvi» n.2 («La Fede è Speranza»):

 

«Speranza è una parola centrale della fede biblica – al punto che in diversi passi le parole “fede” e “speranza” sembrano interscambiabili […]

Quanto sia stato determinante per la consapevolezza dei primi cristiani l'aver ricevuto in dono una speranza affidabile, si manifesta anche là dove viene messa a confronto l'esistenza cristiana con la vita prima della fede o con la situazione dei seguaci di altre religioni […]

I loro dèi si erano rivelati discutibili e dai loro miti contraddittori non emanava alcuna speranza. Nonostante gli dèi, essi erano “senza Dio” e conseguentemente si trovavano in un mondo buio, davanti a un futuro oscuro. “In nihil ab nihilo quam cito recidimus” (Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo) dice un epitaffio di quell'epoca […]

Compare come elemento distintivo dei cristiani il fatto che essi hanno un futuro: non è che sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell'insieme che la loro vita non finisce nel vuoto.

Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente. Così possiamo ora dire: il cristianesimo non era soltanto una “buona notizia” – una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti.

Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo “informativo”, ma “performativo”. Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita.

La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova».

 

Nella forma della Relazione, tutto apre la vita intensa - che integra e valica l’amor proprio, la sete di dominio.

Ciò libera dal “vecchio”, ossia chiude un ciclo di percorsi già messi a punto - per farci tornare come neonati.

La Speranza che ha peso smantella l’inessenziale; espelle il rumore dei pensieri che non sono più in sintonia con la nostra crescita, e introduce energie sognanti, una ricchezza di possibilità.

Ci saranno resistenze iniziali, ma lo sviluppo si predispone.

La Speranza sacrifica le zavorre e ci attiva secondo il “divino interiore”. Spalanca le porte a una nuova fase, più luminosa e corrispondente.

 

I tesori della terra rapidamente accecano; allo stesso modo passano: d’improvviso. L’età della crisi globale ce lo sbatte in faccia.

Eppure, è un dolore necessario.

Capiamo: i nuovi percorsi non sono tracciati dai beni, né da memorie devote, ma dal Vuoto che fa da intercapedine a facilonerie comuni, scontate, rassicuranti.

La religiosità buona per tutte le stagioni cede il passo alla vita inedita di Fede.

Qui si colloca l’Arte del discernimento e della pastorale: dovrebbe saper introdurre nuove energie competitive, difformi - cosmiche e personali - che preparano sintesi inedite, aperte, gratuite.

Lo sappiamo, eppure in alcune cerchie (prestigiose e già straricche) la bramosia di possedere sotto parvenza di necessità non consente di vedere chiaro.

Capita anche a dei consacrati di lungo corso - non si capisce perché tale avida, sommaria doppiezza.

 

Vogliamo ancora emergere, sollevando altre confusioni? In fondo siamo scontenti delle nostre scelte mediocri.

All’inizio della Vocazione sentivamo la necessità d’una Relazione che infondesse Senso e un Centro alla ferialità…

Poi abbiamo deviato, forse per insoddisfazione o motivi di calcolo e comodo - e l’ottundimento degli occhi malati di rapina ha prevalso. Prima qua e là, via via occupando l’anima.

Anche in alcuni dirigenti e ambiti di spicco ecclesiale, la base dell’esistenza è diventato il conto corrente a molti zeri.

Così… la scena vanitosa, il sacchetto del commercio, l’ebbrezza del salire sul tabellone, in diverse realtà hanno soppiantato i cuori veri - e gli occhi stessi.

Come dire: c’è un’altra esperienza del “divino”, dozzinale: fra un Salmo e l’altro, meglio dell’Amore diventa il sentirsi potente, sicuro e rispettato attorno.

(Dio e l’accumulo danno ordini diversi? Non c’è problema: facciamo intendere che lo si fa per la “sua” Gloria).

E bando al bene comune.

Non pochi si stanno accorgendo che il far di conto è lo sport più frequentato in diverse aziende pie multimpianti, fantasticamente imbellettate di eventi e iniziative (a copertura di quel che vale).

E cartina al tornasole è proprio quello scrutare meschino (vv.22-23) che dietro fitte quinte, trattiene, giudica persino, e si tiene a distanza dagli altri. Con lo sguardo che chiude l’orizzonte dell’esistenza: conta l’immediatamente a portata di mano, e di circostanza.

Un credere in apparenza sovrabbondante - guarda caso senza il rilievo della Speranza - ci sta condannando al peggiore tasso di denatalità mondiale.

Il panorama dei nostri devotissimi paesini e cittadine vuoti è sconfortante. Ma ci si bea del proprio loculo, e della piccina situazione.

L’importante è che tutto sia epidermicamente adornato.

Sotto il campanile particolare che dà il ritmo alle solite cose, molta gente trattiene il “suo” (troppo) per sé, accontentandosi di sacralizzare egoismi con l’esibizione di belle statue, usi, stendardi, costumi variopinti e manierismi.

Invece, secondo i Vangeli, nei tentativi e nei percorsi di Fede che non si accontentano d’una spiritualità vuota, la vita diventa luminosa d’Amore creativo che rifiorisce, e mette tutti a proprio agio.

Anche il vecchio potrà riemergere in questo nuovo spirito, stavolta perenne. Perché ci sono altre Altezze. Perché ciò che rende intimi a Dio non è nulla di esterno.

L’autentica Chiesa suscitata da “visioni” limpide - senza cartapesta e doppiezze - rivela sempre qualcosa di portentoso: la fecondità dalla nullità, la vita dall’effusione di essa, la nascita dall’apparente sterilità.

Un fiume di sintonie impensate riallaccerà la lettura degli accadimenti e l’azione dei credenti all’opera dello Spirito, senza barriere.

Perché quando qualcuno cede il pensiero normalizzato e si deposita, il nuovo avanza.

La scelta è ormai inesorabile: tra morte e vita; fra bramosia, invecchiamento e tenebra (v.23), o Felicità.

Il primo passo è ammettere di dover fare un cammino.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Dov’è il tuo Tesoro? Il tuo cuore e il tuo occhio sono semplici?

Hai mai fatto esperienza di lati che altri giudicano inconcludenti (dal punto di vista materiale) e che invece hanno preparato i tuoi nuovi percorsi?

 

 

Lampade accese, partire subito

 

Parrocchie: tensione al Cielo, senza gravare né ostacolare

(Lc 12,35-38)

 

Per far comprendere cosa significa essere preparati per partire immediatamente, Gesù sollecita il nostro accorgersi, le capacità di percezione.

Egli non spegne l’attitudine al giudizio inedito, e guadagna stupore.

Perché i ruoli s’invertono d’improvviso - quindi bisogna essere aperti alla fiducia: chi pare piccolo diventa “grande” in modo repentino.

La religione antica trascina i problemi, e fa ammalare, inculcando lo spirito di sottomissione e fatica, a salario. Lo schiavo resta tale, sebbene insegua chissà cosa.

Nell’avventura di Fede, non ci s’impegna per traguardi che non corrispondono. In aggiunta, servitore e padrone sono in relazione di reciprocità e invertono incessantemente i ruoli.

Come dice Lc, il Signore stesso «si cingerà e li farà adagiare [posizione dei signori del tempo durante i banchetti solenni] e passando li servirà» come fosse un «diacono» (v.37 testo greco).

Ciò attiva una vigilanza totale, pronta a smuovere l’intera persona, i territori (Fratelli Tutti, n.1: «al di là del luogo del mondo»), le gerarchie.

Chi si sentiva “impiegato” diventa “direttore” e protagonista: acquisisce attitudine alla pienezza.

Nel Regno di Dio le forme di vita cambiano. Nelle religioni - viceversa - si consolidano le nomenclature, e proprio i sintomi degli errori trovano addirittura una sacralizzazione.

Molte forme devote hanno un altro fondamento, una ben diversa idea di come arricchire l’esistenza, rispetto all’esperienza di Fede.

Nella Chiesa non si tesoreggia, perché il nostro cuore non vive di mondanità e competizioni: i beni vengono trasformati in relazione e possibilità d’incontro.

La mansione particolare e l’esistenza intera di ciascuno diventa fonte di gioia per le persone disperate, nutrimento per chi cerca comprensione, ascolto, accoglienza, un «vero riconoscimento» (Fratelli Tutti, 221).

Dice il Tao Tê Ching (LXVI): «Il santo sta disopra e il popolo non n’è gravato, sta davanti e il popolo non n’è ostacolato».

Cristo ha mostrato la Via dell’autentico arricchimento. Così ci ha trasformati in esseri forse inquieti, ma alacri.

Non riusciamo a dormire neppure di notte, a fare vacanza, a riposare in modo tranquillo, rilassato, normale, ma abbiamo un passo che sorvola.

Sospiriamo di continuo, non per la fortuna materiale, ma perché  l’occasione della vita potrebbe non trovarci pronti a riconoscerla.

Diceva Agostino: «Timeo Dominum transeuntem».

Nelle religioni tutto sembra chiaro e prefissato - e in realtà tutto è lasciato nel dubbio e a una stramba ipotesi di futuro sospirato.

Ed infatti è stranissimo che questo Padrone non giunga all’orario previsto.

Invece Cristo vuol essere reinterpretato.

Egli è vivente in noi, congiunti e coeredi - Incarnato, tutto reale. Se così, dilagherà anche nei ribelli, modificandone la visuale.

Tale condizione è per noi fonte di crescita: accentua la vigilanza sugli accadimenti, le pieghe della storia; sul senso degli incontri, i moti dell'anima, e così via.

Quindi la vita nello Spirito sfida e arricchisce il lato esuberante della personalità, accentuando le più singolari occasioni d’inedito.

Il Signore ammette persino il girovagare: talora abbiamo bisogno di perderci, per ritrovarci - e coincidere con ciò che siamo in essenza, e stiamo diventando.

Il «maggiordomo» posto a servizio della Casa di Dio e dei fratelli ha il compito di aiutare il discernimento dinamico, e il dovere di sostenerlo.

Il suo servizio in favore altrui sarà a tutto tondo, perché ciascuno possa corrispondere alla Chiamata e procedere sulle proprie gambe.

E lo faremo volentieri, senza sforzo alcuno, per eccesso di Grazia che ci si fa incontro: malgrado e a motivo dell’indeterminatezza, perché fatti largamente ricchi da Dio.

Beati (v.38) senza condizione, ma con la cintura ai fianchi, ossia con l’atteggiamento di chi lascia una terra di schiavitù.

«Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo».

(Papa Benedetto, Angelus 12 agosto 2007)

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

La comunità cristiana accentua la tua percezione personale o la smorza? Ti fa vivere in uno stato paludoso e prevedibile, dove tutte le soluzioni sono pronte, complete e già sperimentate, o ti fa ripartire con prontezza, immediatamente e in modo autonomo?

 

 

Presenza e Venute senza contese, non «ritorno»

(Lc 12,39-48)

 

Gesù tira le orecchie a quelli di Casa, non per autolesionismo: non è amore né libertà non poter capire in quale direzione andare, non avere una mèta che trasmetta senso al nostro pellegrinare in ricerca.

Già nelle comunità dei primi secoli era viva l’idea della fine del mondo e dell’immediatamente successivo «ritorno» del Risorto ad aggiustare le cose (come un qualsiasi Messia).

Così qualcuno non s’impegnava più. Altri rimanevano col nasino all’insù, per scrutare il cielo.

Ma la Venuta del Cristo è sempre imminente, e il Giudizio sulle cose del mondo è già stato pronunciato sulla Croce.

La fase finale della storia inizia da questo germe di Fede, di Persona e società alternative, ma la storia da scrivere è compito della Chiesa.

Il nuovo cielo e la nuova terra della Presenza che divinizza è palpitante. Egli è già accanto a noi quando lottiamo per la realizzazione e la vita piena di tutti.

Per tale motivo, in epigrafe all’enciclica Fratelli Tutti, ecco stagliarsi la figura pratica ed eloquente di s. Francesco «che si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, sapeva di essere ancora più unito a quelli che erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi» (n.2).

I Vangeli e il Magistero recente - non più neutrale - intonano il de profundis alla spiritualità intimista e vuota che ha segnato il cattolicesimo di massa in Occidente.

 

Chiaro il motivo per cui in nessun passo dei Vangeli è scritto che Gesù «tornerà»: sebbene non percepibile ai sensi, non si è mai allontanato.

Gode di una Vita piena, non condizionata da coordinate spazio temporali.

Egli è il Veniente (testo greco, passim): colui che Viene senza posa, e si fa compagno di viaggio - non solo nelle figure eccezionali come il Santo d’Assisi.

Tuttavia già negli anni 80 del primo secolo l’attenzione delle persone impressionabili si stava spostando - purtroppo - sul Ritorno invece che sulla Venuta provvidente - perno della Fede positiva nella vita stessa, che rivela il Volto del Dio-Con.

«Venuta incessante»: è percezione della sua Amicizia nelle cose, anche comuni, nell’Appello dei bisognosi, nel Richiamo delle intuizioni, della Parola e degli accompagnatori del nostro viaggio...

«Venuta» è: nei traguardi che sorridono, ma persino e forse ancor più negli scogli da vivere - o aggirare, spostando lo sguardo; nelle delusioni, che ci guidano a cercare una gioia meno esteriore.

È «Avvento» del Cristo l’istinto vocazionale che ci attiva, il senso della fraternità vivente, l’amicizia sensibile di tutti coloro che sanno comprendere, introdurre e coordinare - nonché la predilezione per le relazioni di qualità; la Fiducia nel genio del tempo, persino nelle vicende di tutti i giorni.

Così - secondo il desiderio del Signore - la buona guida della comunità cristiana si farà servitore degli smarriti, non si approprierà dei beni della Chiesa, e diverrà vigilante anche in favore altrui.

È fondamentale che i primi della classe non si lascino trascinare dal desiderio adolescenziale di autoaffermarsi, con avidità di privilegi e incetta di mansioni rilevanti.

La fedeltà è atteggiamento richiesto specialmente a coloro che nelle assemblee hanno un compito particolare e preciso: vietato abusarne!

L’unica smania da cui devono sentirsi presi è quella di affrettare l’ora della Comunione e introdurre un’energia rigeneratrice (anche nei ruoli).

Pietro è però condizionato dal falso insegnamento tradizionale, del tutto antitetico, e non riesce a concepirlo.

Secondo il Maestro, invece, i capi e responsabili di comunità non sono dei privilegiati o eletti, esclusivisti, bensì coloro cui è chiesto di fare più e meglio - non in favore loro!

Il mondo e la Chiesa hanno bisogno di meno finti padroni - piuttosto, di servitori diligenti e convinti, che attirino per testimonianza diretta.

Unico obbiettivo plausibile del cammino particolare nella potenza dello  Spirito è di carattere materno e universale: «partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli» (FT, 278).

 

Dice il Tao (LXVI): «La ragione per cui fiumi e mari possono essere sovrani di cento valli è che ben se ne tengono al disotto: perciò possono essere sovrani di cento valli. Così chi vuol stare disopra al popolo con i detti se ne pone al disotto, chi vuol stare davanti al popolo con la persona ad esso si pospone».

E il maestro Ho shang-Kung commenta: «Il mondo non si sazia del santo, perché costui non contende con gli altri per il primo o l’ultimo posto».

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Nella tua comunità hai incontrato servitori o padroni?

Le guide ti aiutano a cercare il balzo, la realizzazione autentica, la gioia interiore?

 

 

 

Il respiro eucaristico del servizio-riposo

 

Libertà e punti di forza, anche in rodaggio

(Lc 12,32-48)

 

La luce deve rimanere accesa. Ricordo che in seminario non potevamo affiggere sulla porta della stanza il cartello “non disturbare” o “sto riposando“. Era fatto divieto chiuderla a chiave, perché dovevamo rimanere a completa disposizione di qualsiasi richiesta.

Poi l’intero periodo educativo era concepito nei termini di una profonda interiorizzazione personale alla scoperta della propria singolare, irripetibile Vocazione - invece di guardare sempre la valigia.

I superiori volevano educarci a essere immagini di un Dio Servo, non indifferente, che sa accogliere e tergere ogni lacrima - anche quella più stravagante. Non per rincorrere capricci, ma per aiutarci a scavare in noi stessi, far scendere in campo il nostro Nucleo e guardarci in faccia.

Impossibile affrontare i nostri squilibri con una mentalità a compartimenti stagni, già rassicurante: facevamo esperienza di vita che procedeva oltre le preoccupazioni, come sapientemente guidata. 

Così imparavamo a riconsiderare tutto ciò che avevamo scambiato per arma vincente. I saperi che consideravamo acquisiti, le opinioni altrui e convenzionali... Bagagli che non avrebbero lasciato vibrare alcun raggio.

Rientrando in noi stessi sotto mille sollecitazioni differenti, ci rendevamo più capaci di percepire la strada che corrispondeva personalmente, ripetutamente esercitandoci ad ascoltare e affidare le vicende all’istinto infallibile della Chiamata, che apriva da sé il sentiero delle scelte.

Il portato delle esperienze precedenti, delle proprie abilità, delle memorie, veniva recuperato, assorbito e reinvestito su un binario che ci pareva misteriosamente a misura di ciascuno.

Non mancavano purtroppo esempi di ragazzi molto brillanti e pieni di speranze che crollavano non appena subivano l’impatto della realtà di parrocchia a Roma. Per noi di provincia, sembrava assai strano.

Avremmo capito più tardi. Nella vita spirituale e pastorale di trincea che già si annunciava, sarebbe poi stato lo sforzo del compromesso e della performance di circostanza (da mettere in scena) a renderci tristi, insicuri e maldestri - sia con noi stessi che con il prossimo.

 

Il Vangelo accenna alle ricchezze materiali, che vanno e vengono. Perfino in riferimento ad esse, la domanda è di fondo. Come rapportarsi con i beni? E dov’è il Tesoro comunitario?

Anche nel gruzzolo personale.

Un ambiente o un’assemblea (pure in rodaggio) può trasmettere a ciascuno una pienezza di fortuna - patrimoniale (se manca) e anzitutto di essere - dove le poliedriche risorse eccezionali vengono tramutate in relazione.

Persino in contesto vitale e capitalizzante, la soglia della Felicità resta nell’esperienza globale della propria intima Perla celata, che forse alcuni giudicano inconcludente. Ma che diverrà globale. Distintivo del Signore.

In una Chiesa viva, tale Rubino avrà la possibilità di manifestarsi e crescere - affinché anche nell’era della crisi ci sentiamo liberi e accolti; adeguati. Condizione indispensabile dell’Amore e di ogni energia ben spesa.

Per questo motivo Gesù insiste sul versante della consapevolezza e personalizzazione, senza le quali è impossibile - nel riconoscere il proprio contributo - un’esperienza completa sia di dote che di virtù.

In una famiglia in cui respiriamo uno spirito di disponibilità si è assai più sciolti nell’armonizzare il proprio carisma, abilitati a conoscersi in toto.

La comunità dei figli è quella delle vesti rimboccate senza sforzo, perché la convivialità delle differenze è anche il nido ideale per il rinvenimento e il vaglio dei propri talenti irripetibili, dell’identità-carattere della propria Radice.

Lì c’è il nostro Inedito, che nel tempo del troppo affaccendarsi può impallidire, tuttavia ci attira anche in situazioni smorzanti.

Solo non dissolvendosi nell’indistinto delle omologazioni rendiamo più netto l’apporto e si evitano i tempi morti delle relazioni, costruendo Amicizia in continuità, senza accozzaglie confuse che affossino il gratis delle inclinazioni.

Solo nel rispetto dell’irripetibile sia la donna che l’uomo evitano l’alternarsi delle stagioni di comunione alle stagioni dell’egoismo. E quando capitano, le si rende sane e incisive.

Solo nel vaglio del proprio Dono si può accogliere il porgersi altrui e divenire Beati (vv.37-38.43), ossia godere di un’esistenza colmata.

 

Nel mondo che abbiamo a portata di gamba nulla sembra durevole, tutto molto incerto, illusorio e alterno. Come conoscere quella Dovizia che permane (vv.33-34)?

Le strategie per il successo sociale o per la conoscenza di se stessi spesso riflettono la sensibilità altrui o sono copiate da ruoli; esse allora incrinano l’Io profondo, e ci rendono ancora più insicuri.

Convinzioni e credenze assorbite dall’esterno fanno arroccare su comportamenti impostati; poi intristire per l’inesorabile buco nell’acqua.

Il mondo che rappresentiamo è temporaneo e vive con l’orologio in mano, ma il nostro lato eterno non ha il sapore della superficie: appartiene all’era profonda delle radici intime, ha una diversa età.

Non siamo fatti di mentalità deformanti e costumanze apprese, né di precipitazioni. Il Seme dell’essenza personale e comunitaria è più creativo, presente e forte di tutte le aspettative conformiste.

Farà breccia tra le nostre mura, anche se il pensiero comune non lo volesse - e ci sorprenderà (altrimenti lascerà un’eredità pessima).

Bisogna dunque creare le condizioni affinché l’impeto relazionale del nostro tempo non generi sudditanze plagianti: esse appiattiscono lo scambio consapevole e il ricambio della partecipazione.

In tal guisa, la Via della nuova Sapienza Eucaristica ecclesiale sgorgherà spontaneamente per il sostegno (e nel consiglio) del percepirsi reciproco, onde consentire a ciascuno di far affiorare ed evolvere la bizzarria inestimabile del senza-tempo personale.

Un appello superiore per una inclinazione all’ascolto, ospitalità e discernimento, che cesellino le differenti polarità - solidali e soggettive - affinché scendano in campo e siano; facendo quel che devono.

Emarginare gli altri e la propria eccentricità - dove si annida il rubino spesso trattenuto della Chiamata per Nome - sarebbe una morte anticipata.

 

In ogni orchestra polifonica, qualsivoglia strumento deve avere tempo e spazio non difformi dall’espressione della singolare fisionomia.

Ciò arricchisce la consonanza e il richiamo delle percezioni, senza lasciarsi asfaltare da moralismi [la conta dei difetti] o frastuoni di grancasse che umiliano la capacità anticonformista di accorgersi (vv.35-40.45-46).

Autentico accordo d’Alleanza è quello che fa brillare il carattere delle qualità. L’Armonia non si ferma a qualche pseudo-ammiccamento alla moda.

Gli scostamenti da quanto propugnato dalle sirene - valutati come difetti - sono viceversa energie che ci realizzano, perché consentono al nostro Nucleo di scendere in campo: è il custode della nostra unicità.

Programma dei Vangeli: farsi poveri per arricchire, generosi per porgere, umili per accogliere, ma profondi per non cadere nell’autopunizione. Così - avendo trasmutato il modo con cui ci si guarda - svegliarci e ripartire.

È in questo modo che Lui passerà a servire (v.37): se siamo noi stessi.

 

Ecco il Tesoro, la fiaccola non fumigante, il punto di forza e l’equilibrio difforme della Missione; anche grazie al nostro eventuale senso di follia, quello che ci appartiene profondamente.

Insieme alla fraternità e alla comunione dei beni [cf. Domenica scorsa], la Lampada accesa è avere cura di lasciarsi riconoscere signori nel Signore (vv.37.42.44). Affinché diventiamo più liberi.

Respiro eucaristico. Per un servizio-riposo nell’essere.

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«And they were certainly inspired by God those who, in ancient times, called Porziuncola the place that fell to those who absolutely did not want to own anything on this earth» (FF 604)
«E furono di certo ispirati da Dio quelli che, anticamente, chiamarono Porziuncola il luogo che toccò in sorte a coloro che non volevano assolutamente possedere nulla su questa terra» (FF 604)
It is a huge message of hope for each of us, for you whose days are always the same, tiring and often difficult. Mary reminds you today that God calls you too to this glorious destiny (Pope Francis)
È un grande messaggio di speranza per ognuno noi; per te, che vivi giornate uguali, faticose e spesso difficili. Maria ti ricorda oggi che Dio chiama anche te a questo destino di gloria (Papa Francesco)
In the divine attitude justice is pervaded with mercy, whereas the human attitude is limited to justice. Jesus exhorts us to open ourselves with courage to the strength of forgiveness, because in life not everything can be resolved with justice. We know this (Pope Francis)
Nell’atteggiamento divino la giustizia è pervasa dalla misericordia, mentre l’atteggiamento umano si limita alla giustizia. Gesù ci esorta ad aprirci con coraggio alla forza del perdono, perché nella vita non tutto si risolve con la giustizia; lo sappiamo (Papa Francesco)
The Second Vatican Council's Constitution on the Sacred Liturgy refers precisely to this Gospel passage to indicate one of the ways that Christ is present:  "He is present when the Church prays and sings, for he has promised "where two or three are gathered together in my name there am I in the midst of them' (Mt 18: 20)" [Sacrosanctum Concilium, n. 7]
La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II si riferisce proprio a questo passo del Vangelo per indicare uno dei modi della presenza di Cristo: "Quando la Chiesa prega e canta i Salmi, è presente Lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io  sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20)" [Sacrosanctum Concilium, 7]
This was well known to the primitive Christian community, which considered itself "alien" here below and called its populated nucleuses in the cities "parishes", which means, precisely, colonies of foreigners [in Greek, pároikoi] (cf. I Pt 2: 11). In this way, the first Christians expressed the most important characteristic of the Church, which is precisely the tension of living in this life in light of Heaven (Pope Benedict)
Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo (Papa Benedetto)
A few days before her deportation, the woman religious had dismissed the question about a possible rescue: “Do not do it! Why should I be spared? Is it not right that I should gain no advantage from my Baptism? If I cannot share the lot of my brothers and sisters, my life, in a certain sense, is destroyed” (Pope John Paul II)
Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: "Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta" (Papa Giovanni Paolo II)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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