don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Cari fratelli e sorelle!

Oggi, prima domenica di Avvento, la Chiesa inizia un nuovo Anno liturgico, un nuovo cammino di fede che, da una parte, fa memoria dell’evento di Gesù Cristo e, dall’altra, si apre al suo compimento finale. E proprio di questa duplice prospettiva vive il Tempo di Avvento, guardando sia alla prima venuta del Figlio di Dio, quando nacque dalla Vergine Maria, sia al suo ritorno glorioso, quando verrà “a giudicare i vivi e i morti”, come diciamo nel Credo. Su questo suggestivo tema dell’“attesa” vorrei ora brevemente soffermarmi, perché si tratta di un aspetto profondamente umano, in cui la fede diventa, per così dire, un tutt’uno con la nostra carne e il nostro cuore.

L’attesa, l’attendere è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo. Pensiamo, tra queste, all’attesa di un figlio da parte di due sposi; a quella di un parente o di un amico che viene a visitarci da lontano; pensiamo, per un giovane, all’attesa dell’esito di un esame decisivo, o di un colloquio di lavoro; nelle relazioni affettive, all’attesa dell’incontro con la persona amata, della risposta ad una lettera, o dell’accoglimento di un perdono… Si potrebbe dire che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra “statura” morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo.

Ognuno di noi, dunque, specialmente in questo Tempo che ci prepara al Natale, può domandarsi: io, che cosa attendo? A che cosa, in questo momento della mia vita, è proteso il mio cuore? E questa stessa domanda si può porre a livello di famiglia, di comunità, di nazione. Che cosa attendiamo, insieme? Che cosa unisce le nostre aspirazioni, che cosa le accomuna? Nel tempo precedente la nascita di Gesù, era fortissima in Israele l’attesa del Messia, cioè di un Consacrato, discendente del re Davide, che avrebbe finalmente liberato il popolo da ogni schiavitù morale e politica e instaurato il Regno di Dio. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che il Messia potesse nascere da un’umile ragazza quale era Maria, promessa sposa del giusto Giuseppe. Neppure lei lo avrebbe mai pensato, eppure nel suo cuore l’attesa del Salvatore era così grande, la sua fede e la sua speranza erano così ardenti, che Egli poté trovare in lei una madre degna. Del resto, Dio stesso l’aveva preparata, prima dei secoli. C’è una misteriosa corrispondenza tra l’attesa di Dio e quella di Maria, la creatura “piena di grazia”, totalmente trasparente al disegno d’amore dell’Altissimo. Impariamo da Lei, Donna dell’Avvento, a vivere i gesti quotidiani con uno spirito nuovo, con il sentimento di un’attesa profonda, che solo la venuta di Dio può colmare.

[Papa Benedetto, Angelus 28 novembre 2010]

Sabato, 22 Novembre 2025 18:42

"Andiamo con gioia incontro al Signore"

Sono le parole del Salmo responsoriale che accompagna l'odierna liturgia della prima domenica di Avvento, tempo liturgico che rinnova di anno in anno l'attesa della venuta di Cristo. L'Avvento ha acquistato, in questi anni che stiamo vivendo nella prospettiva del terzo millennio, una nuova e singolare dimensione. Tertio millennio adveniente: il 1998, che volge al suo termine, ed il prossimo 1999 ci pongono sulla soglia di un nuovo secolo e di un nuovo millennio.

"Sulla soglia" ha avuto inizio anche l'odierna nostra celebrazione: sulla soglia della Basilica Vaticana, dinanzi alla Porta Santa, con la consegna e la lettura della Bolla di indizione del Grande Giubileo del Duemila.

"Andiamo con gioia incontro al Signore" è un ritornello che si intona perfettamente al Giubileo. E', per così dire, un "ritornello giubilare", secondo l'etimologia della parola latina iubilare, che contiene in sé il riferimento alla gioia. Andiamo, dunque, con gioia! Camminiamo lieti e vigilanti nell'attesa del tempo che ricorda la venuta di Dio nella carne umana, tempo giunto alla sua pienezza quando nella stalla di Betlemme nacque Cristo. Si compì allora il tempo dell'attesa.

Vivendo l'Avvento, attendiamo un avvenimento che si situa nella storia ed insieme la trascende. Come ogni anno, esso avverrà nella notte del Natale del Signore. Nella stalla di Betlemme accorreranno i pastori; più tardi verranno i Magi dall'Oriente. Gli uni e gli altri simboleggiano in un certo senso l'intera famiglia umana. L'esortazione che risuona nell'odierna liturgia: "Andiamo con gioia incontro al Signore" si diffonde in tutti i paesi, in tutti i continenti, in mezzo ad ogni popolo e nazione. La voce della liturgia - cioè la voce della Chiesa - risuona dappertutto e tutti invita al Grande Giubileo.

2. Questi ultimi tre anni che precedono il Duemila formano un tempo di attesa molto intenso, orientato alla meditazione sul significato dell'imminente evento spirituale e sulla necessaria preparazione. Il contenuto di tale preparazione è modellato sulla formula trinitaria, che si ripete al termine di ogni preghiera liturgica. Andiamo pertanto con gioia verso il Padre, per la via che è il Nostro Signore Gesù Cristo, il quale vive e regna con Lui nell'unità dello Spirito Santo.

Per questo il primo anno è stato dedicato al Figlio, il secondo allo Spirito Santo e quello che inizia oggi - l'ultimo anno prima del Grande Giubileo - sarà l'anno del Padre. Invitati dal Padre, andiamo verso di Lui mediante il Figlio, nello Spirito Santo. Questo triennio di preparazione immediata al nuovo millennio, per il suo carattere trinitario ci parla non soltanto di Dio in se stesso, come mistero ineffabile di vita e di santità, ma anche di Dio che viene incontro a noi.

3. E' per questo che il ritornello "Andiamo con gioia incontro al Signore" suona così appropriato. Noi possiamo incontrare Dio, poiché Lui ci è venuto incontro. Lo ha fatto, come il padre della parabola del figlio prodigo (cfr Lc 15,11-32), perché è ricco di misericordia, dives in misericordia, e vuole incontrarci da qualunque parte veniamo e dovunque ci porti il nostro cammino. Dio ci viene incontro sia che l'abbiamo cercato, o che l'abbiamo ignorato, o che addirittura l'abbiamo evitato. Egli ci viene incontro per primo, con le braccia aperte come un padre amoroso e misericordioso.

Se Dio si muove per venirci incontro, potremo noi volgergli le spalle? Ma incontro al Padre non possiamo andare da soli. Dobbiamo farci compagnia con quanti fanno parte della "famiglia di Dio". Per prepararci convenientemente al Giubileo dobbiamo disporci all'accoglienza di ogni persona. Tutti sono nostri fratelli e sorelle, perché figli dello stesso Padre celeste.

[…]

Maria, che il tempo dell'Avvento ci esorta a contemplare in operosa attesa del Redentore, vi aiuti tutti ad essere generosi apostoli del suo Figlio Gesù.

4. Nel Vangelo di oggi abbiamo ascoltato l'invito del Signore alla vigilanza: "Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà". E subito dopo: "State pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà" (Mt 24,42.44). L'esortazione a vegliare risuona molte volte nella liturgia, specialmente in Avvento, tempo di preparazione non soltanto al Natale, ma anche alla definitiva e gloriosa venuta di Cristo alla fine dei tempi. Esso ha quindi un significato spiccatamente escatologico ed invita il credente a trascorrere ogni giorno, ogni momento alla presenza di Colui "che è, che era e che viene" (Ap 1,4), a cui appartiene il futuro del mondo e dell'uomo. Ecco la speranza cristiana! Senza questa prospettiva, la nostra esistenza si ridurrebbe ad un vivere per la morte.

Cristo è il nostro Redentore: Redemptor mundi et hominis, Redentore del mondo e dell'uomo. Egli è venuto fra noi per aiutarci a varcare la soglia che conduce alla porta della vita, la "porta santa" che è Lui stesso.

5. Questa consolante verità sia sempre ben presente ai nostri occhi, mentre andiamo pellegrini verso il grande Giubileo. Essa costituisce la ragione ultima della gioia alla quale ci esorta l'odierna liturgia: "Andiamo con gioia incontro al Signore". Credendo in Cristo crocifisso e risorto, crediamo nella risurrezione della carne e nella vita eterna.

Tertio millennio adveniente. In questa prospettiva, gli anni, i secoli ed i millenni acquistano quel senso definitivo dell'esistenza che il Giubileo dell'Anno Duemila vuole svelarci.

Guardando a Cristo, facciamo nostre le parole di un antico canto popolare:

"La salvezza è venuta mediante la croce,
questo è un grande mistero.

Ogni sofferenza ha un senso:
porta alla pienezza di vita".

Con questa fede nel cuore, che è la fede della Chiesa, apro oggi, quale Vescovo di Roma, il terzo anno di preparazione al grande Giubileo. Lo apro nel nome del Padre celeste, che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui... abbia la vita eterna" (Gv 3,16).

[Papa Giovanni Paolo II, omelia 29 novembre 1998]

Sabato, 22 Novembre 2025 18:30

Promessa, Venuta, direzione giusta

Oggi, prima domenica del tempo di Avvento, inizia un nuovo Anno liturgico. In queste quattro settimane di Avvento, la liturgia ci conduce a celebrare il Natale di Gesù, mentre ci ricorda che Egli viene ogni giorno nella nostra vita, e ritornerà gloriosamente alla fine dei tempi. Tale certezza ci induce a guardare con fiducia al futuro, come ci invita a fare il profeta Isaia, che con la sua voce ispirata accompagna tutto il cammino dell’Avvento.

Nella prima Lettura di oggi, Isaia profetizza che «alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli; ad esso affluiranno tutte le genti» (2,2). Il tempio del Signore a Gerusalemme è presentato come il punto di convergenza e di incontro di tutti i popoli. Dopo l’Incarnazione del Figlio di Dio, Gesù stesso si è rivelato come il vero tempio. Pertanto, la visione meravigliosa di Isaia è una promessa divina e ci spinge ad assumere un atteggiamento di pellegrinaggio, di cammino verso Cristo, senso e fine di tutta la storia. Quanti hanno fame e sete di giustizia, la possono trovare soltanto percorrendo le vie del Signore; mentre il male e il peccato provengono dal fatto che gli individui e i gruppi sociali preferiscono seguire strade dettate da interessi egoistici, che provocano conflitti e guerre. L’Avvento è il tempo propizio per accogliere la venuta di Gesù, che viene come messaggero di pace per indicarci le vie di Dio.

Nel Vangelo di oggi, Gesù ci esorta ad essere pronti per la sua venuta: «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà» (Mt 24,42). Vegliare non significa avere materialmente gli occhi aperti, ma avere il cuore libero e rivolto nella direzione giusta, cioè disposto al dono e al servizio. Questo è vegliare! Il sonno da cui dobbiamo svegliarci è costituito dall’indifferenza, dalla vanità, dall’incapacità di instaurare rapporti genuinamente umani, dell’incapacità di farsi carico del fratello solo, abbandonato o malato. L’attesa di Gesù che viene si deve tradurre, dunque, in un impegno di vigilanza. Si tratta anzitutto di meravigliarsi davanti all’azione di Dio, alle sue sorprese, e di dare a Lui il primato. Vigilanza significa anche, concretamente, essere attenti al nostro prossimo in difficoltà, lasciarsi interpellare dalle sue necessità, senza aspettare che lui o lei ci chiedano aiuto, ma imparare a prevenire, ad anticipare, come fa sempre Dio con noi.

Maria, Vergine vigilante e Madre della speranza, ci guidi in questo cammino, aiutandoci a rivolgere lo sguardo verso il “monte del Signore”, immagine di Gesù Cristo, che attira a sé tutti gli uomini e tutti i popoli.

[Papa Francesco, Angelus 1 dicembre 2019]

Attenti a non appesantire, Vegliate «pregando in ogni momento»

(Lc 21,34-36)

 

Il nuovo mondo piomba addosso in modo alternativo, e s’impone da un momento all’altro, senza preavvisi concatenati o troppo educati. 

Tale Vento impetuoso sembra stia sgretolando tutto, invece agisce per radunarci.

Oltre lo scoraggiamento, di fronte agli eventi-lampo sconvolgenti c’è il pericolo di perdita della coscienza critica, e la fuga (anche da noi stessi).

Viceversa, la donna e l’uomo di Fede scoprono la Venuta di Cristo fra la gente e i molti “congiunti” dell’anima, tutti autentici compagni di ‘viaggio’.

I credenti esercitano la percezione, si accorgono dei vagiti della vita nuova; non s’abbattono.

Non ricercano palliativi o idee cerebrali à la page, che ci disperdono le energie e confondono, o ancor più fanno abbassare la guardia.

D’altro canto, ecco il pericolo di adagiarsi in un tempo istituzionale - e lo spuntare di compensazioni oscure: soluzioni fasulle, che rendono insensibili; buone solo a distrarci.

E pure affannose (vv.34-35). Le evasioni o i mezzucci anestetizzano l’anima. Idoli-trappola [«laccio» del v.35].

Sono da tenere a distanza: non consentono di accorgersi del Signore che Viene.

La Preghiera si fa qui terapia, Presenza, Motivo e Motore; fonte e culmine. Medicina e Pane per il viaggio di coloro che desiderano rimanere svegli, avanzare, attivare futuro.

Assimilando il punto di vista sacro sui rivolgimenti del mondo, nell’orazione otterremo buona disposizione, sposteremo l’occhio verso orizzonti in cui non compare una sola forma e un solo colore.

Capiremo che la Provvidenza ha ragione, che lo Spirito lavora bene: ci sta avvicinando al progetto pieno del Padre.

Accostandoci in tal guisa anche al desiderio di vita dei fratelli, staremo «ritti in piedi» (v.36) ossia attenderemo e accoglieremo senza paura l’avvento del «Figlio dell’uomo».

Autentica Presenza di Dio - sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità.

Ci si aspettava che tale lato profondo fosse assoluto, performante, e selettivo. Da primo piano.

L’Incarnazione sorprende. Rivaluta perfino il nostro essere scheletrito e carente.

Lo trasforma in Perla preziosa, «fiuto senza cittadinanza, ma non meno efficace [che] non si lascia limitare dalle appartenenze» [Udienza, Roma 18.9.21].

Gli accadimenti - anche quelli opposti (e inseparabili) - parlano, in noi; sviluppano per energia interiore.

Sono scrigni di realtà coinvolgenti; contengono un segreto da stupore, una destinazione che sorprende.

Vigilanza e Preghiera ci preparano a questo inatteso Incontro, che è crescita e umanizzazione del popolo: il traboccare tranquillo, vero e pieno del progetto Eterno, trasferito a maglie larghe.

Ciò senza rassegnarsi… pur nel sommario del quotidiano - nonché per la visione e azione di profeti che non biasimano la propria finitudine. Anzi, la considerano terreno di svolta.

Quindi non dividiamo il panorama in modo isterico, tra emozioni belle e brutte: per il ‘nuovo’ di dove siamo e saremo, anche perigli o amarezze, soste o deviazioni, avranno avuto senso.

 

 

[Sabato 34.a sett. T.O.  29 novembre 2025]

Attenti a non appesantire, Vegliate «pregando in ogni momento»

(Lc 21,34-36)

 

Il nuovo mondo piomba addosso in modo alternativo, e s’impone da un momento all’altro, senza preavvisi concatenati o troppo educati. 

Ma è proprio questa l’opera dello Spirito che pungola l’unilateralità, che butta all’aria le connessioni categoriche (anche della vita pia).

Tale Vento impetuoso sembra stia sgretolando tutto, invece agisce per radunarci.

Come dice il Pontefice, i cambiamenti nella Chiesa non si fanno «come se fosse una ditta, per maggioranza o minoranza».

Oltre lo scoraggiamento, di fronte agli eventi-lampo sconvolgenti c’è il pericolo di perdita della coscienza critica plurale che ci riporterebbe davvero a casa, e la fuga (anche da noi stessi).

Viceversa, la donna e l’uomo di Fede scoprono la Venuta di Cristo fra la gente e i molti “congiunti” dell’anima, tutti autentici compagni di ‘viaggio’.

Egli interpella sempre la nostra libertà su una speranza larga e inclusiva, che raduna i moti interiori - persino i più disparati; una sorta di nuova «sinodalità».

I discepoli veri intuiscono il nuovo Regno che irrompe improvviso - non secondo una procedura di «partito» [continuando a citare Papa Francesco in Udienza generale: v. sotto].

 

Donne e uomini di Fede esercitano la percezione, si accorgono dei vagiti della vita nuova; non s’abbattono.

Non ricercano palliativi o idee cerebrali à la page, che ci disperdono le energie e confondono, o ancor più fanno abbassare la guardia.

D’altro canto, ecco il pericolo di adagiarsi in un tempo istituzionale - e lo spuntare di compensazioni oscure: soluzioni fasulle, che rendono insensibili; buone solo a distrarci, e pure affannose (vv.34-35).

Le evasioni o i mezzucci anestetizzano l’anima.

In fondo, i compromessi permangono espressione del senso d’impotenza e fallimento che talora attanaglia la vita - anche spirituale - partigiana [oggi coi suoi piccini orientamenti disincarnati; o di recupero del terreno perduto, o di eccesso di sofisticazione].

E le tragiche dissolutezze non sono che una spia del tentativo di evasione, o ritorno indietro - d’irresolubili attaccamenti.

Idoli-trappola [«laccio» del v.35] da tenere a distanza: non consentono di accorgersi del Signore che Viene.

Limitano la ricchezza che vuole sopraggiungere. Dovizia che in verità già conteniamo: nei lati cui ancora non abbiamo dato spazio. In essi dimora un Sé eminente, autentico e nascosto.

Lì - nel Mistero - brulica vita nuova. Vene inesplorate che attendono. Versanti d’inconscio che vogliono esprimersi. A contatto con la nostra Chiamata per Nome ed essenza profonda.

Risorse intime da valorizzare e innescare per sapiente dilatazione; persino con frutto amaro - da eventi che appaiono minacciosi, e però attivano uno scavo, una scoperta, un Esodo.

Quindi non dividiamo il panorama in modo isterico, tra emozioni belle e brutte: per il ‘nuovo’ di dove siamo e saremo, anche perigli o amarezze, soste o deviazioni, avranno avuto senso.

Insomma non ci lasciamo ridurre né ghermire dalla lotta lacerante tra bianco e nero… però non rinunciamo alla virtù di gettare zavorre, superando i timori, per allargare lo sguardo.

 

La Preghiera si fa qui terapia, Presenza, Motivo e Motore; fonte e culmine. Medicina e Pane per il viaggio di coloro che non vogliono lasciarsi mettere a nanna, ma desiderano rimanere svegli, anzi avanzare, e attivare futuro.

Assimilando il punto di vista sacro sui rivolgimenti del mondo, nell’orazione otterremo buona disposizione, sposteremo l’occhio verso orizzonti in cui non compare una sola forma e un solo colore.

Capiremo che la Provvidenza ha ragione, che lo Spirito lavora bene: ci sta avvicinando al progetto pieno del Padre.

Accostandoci in tal guisa anche al desiderio di vita dei fratelli, staremo «ritti in piedi» (v.36) ossia attenderemo e accoglieremo senza paura l’avvento del «Figlio dell’uomo».

Autentica Presenza di Dio - sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità.

 

Forse ancora oggi facciamo difficoltà a credere che il Messia possa identificarsi con Colui che crea abbondanza dov’essa non c’è e prima non sembrava lecito potesse espandersi.

«Figlio dell’uomo» è invece Chi avendo raggiunto il massimo della completezza umana, giunge a riflettere la condizione divina e la irradia in modo diffuso.

Ci si aspettava che tale lato profondo fosse assoluto, performante, e selettivo. Da primo piano.

L’Incarnazione sorprende. Rivaluta perfino il nostro essere scheletrito e carente.

Lo trasforma in Perla preziosa, «fiuto senza cittadinanza»:

«Nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei, ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace. Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze. Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre, non vi limitate a prendere in considerazione solo chi frequenta o la pensa come voi – che saranno il 3, 4 o 5%, non di più. Permettete a tutti di entrare… Permettete a voi stessi di andare incontro e lasciarsi interrogare, che le loro domande siano le vostre domande, permettete di camminare insieme: lo Spirito vi condurrà, abbiate fiducia nello Spirito. Non abbiate paura di entrare in dialogo e lasciatevi sconvolgere dal dialogo: è il dialogo della salvezza.

La sua profondità è radicata non nella “perfezione” più algida, bensì in tutto ciò che non è seduto - e sorpassa le categorie della religiosità antica, unilaterale, perbene» [Papa Francesco, Discorso alla Diocesi di Roma, 18 settembre 2021].

 

Gli accadimenti - anche quelli opposti (e inseparabili) - parlano, in noi; sviluppano per energia interiore.

Sono scrigni di realtà coinvolgenti; contengono un segreto da stupore, una destinazione che sorprende.

Vigilanza e Preghiera ci preparano a questo inatteso Incontro, che è crescita e umanizzazione del popolo: il traboccare tranquillo, vero e pieno del progetto Eterno, trasferito a maglie larghe.

Ciò senza rassegnarsi… pur nel sommario del quotidiano - nonché per la visione e azione di profeti che non biasimano la propria finitudine. Anzi, la considerano terreno di svolta.

 

Questo rende veniente e presente il Figlio incarnato, animando «ogni cosa» pur nell’età dell’incertezza - sostenuti da preghiera «fuoco vivo dello Spirito, che dà forza alla testimonianza e alla missione».

 

Tutto ciò apre a una ecclesialità sana e non dissociata:

 

 

Coordinate della Ecclesialità

 

I primi passi della Chiesa nel mondo sono stati scanditi dalla preghiera. Gli scritti apostolici e la grande narrazione degli Atti degli Apostoli ci restituiscono l’immagine di una Chiesa in cammino, una Chiesa operosa, che però trova nelle riunioni di preghiera la base e l’impulso per l’azione missionaria. L’immagine della primitiva Comunità di Gerusalemme è punto di riferimento per ogni altra esperienza cristiana. Scrive Luca nel Libro degli Atti: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (2,42). La comunità persevera nella preghiera.

Troviamo qui quattro caratteristiche essenziali della vita ecclesiale: l’ascolto dell’insegnamento degli apostoli, primo; secondo, la custodia della comunione reciproca; terzo, la frazione del pane e, quarto, la preghiera. Esse ci ricordano che l’esistenza della Chiesa ha senso se resta saldamente unita a Cristo, cioè nella comunità, nella sua Parola, nell’Eucaristia e nella preghiera. È il modo di unirci, noi, a Cristo. La predicazione e la catechesi testimoniano le parole e i gesti del Maestro; la ricerca costante della comunione fraterna preserva da egoismi e particolarismi; la frazione del pane realizza il sacramento della presenza di Gesù in mezzo a noi: Lui non sarà mai assente, nell’Eucaristia è proprio Lui. Lui vive e cammina con noi. E infine la preghiera, che è lo spazio del dialogo con il Padre, mediante Cristo nello Spirito Santo.

Tutto ciò che nella Chiesa cresce fuori da queste “coordinate”, è privo di fondamenta. Per discernere una situazione dobbiamo chiederci come, in questa situazione, ci sono queste quattro coordinate: la predicazione, la ricerca costante della comunione fraterna – la carità –,  la frazione del pane – cioè la vita eucaristica – e la preghiera. Qualsiasi situazione dev’essere valutata alla luce di queste quattro coordinate. Quello che non entra in queste coordinate è privo di ecclesialità, non è ecclesiale. È Dio che fa la Chiesa, non il clamore delle opere. La Chiesa non è un mercato; la Chiesa non è un gruppo di imprenditori che vanno avanti con questa impresa nuova. La Chiesa è opera dello Spirito Santo, che Gesù ci ha inviato per radunarci. La Chiesa è proprio il lavoro dello Spirito nella comunità cristiana, nella vita comunitaria, nell’Eucaristia, nella preghiera, sempre. E tutto quello che cresce fuori da queste coordinate è privo di fondamento, è come una casa costruita sulla sabbia (cfr Mt 7,24-27). È Dio che fa la Chiesa, non il clamore delle opere. È la parola di Gesù che riempie di senso i nostri sforzi. È nell’umiltà che si costruisce il futuro del mondo.

A volte, sento una grande tristezza quando vedo qualche comunità che, con buona volontà, sbaglia la strada perché pensa di fare la Chiesa in raduni, come se fosse un partito politico: la maggioranza, la minoranza, cosa pensa questo, quello, l’altro… “Questo è come un Sinodo, una strada sinodale che noi dobbiamo fare”. Io mi domando: dov’è lo Spirito Santo, lì? Dov’è la preghiera? Dov’è l’amore comunitario? Dov’è l’Eucaristia? Senza queste quattro coordinate, la Chiesa diventa una società umana, un partito politico – maggioranza, minoranza – i cambiamenti si fanno come se fosse una ditta, per maggioranza o minoranza… Ma non c’è lo Spirito Santo. E la presenza dello Spirito Santo è proprio garantita da queste quattro coordinate. Per valutare una situazione, se è ecclesiale o non è ecclesiale, domandiamoci se ci sono queste quattro coordinate: la vita comunitaria, la preghiera, l’Eucaristia…[la predicazione], come si sviluppa la vita in queste quattro coordinate. Se manca questo, manca lo Spirito, e se manca lo Spirito noi saremo una bella associazione umanitaria, di beneficienza, bene, bene, anche un partito, diciamo così, ecclesiale, ma non c’è la Chiesa. E per questo la Chiesa non può crescere per queste cose: cresce non per proselitismo, come qualsiasi ditta, cresce per attrazione. E chi muove l’attrazione? Lo Spirito Santo. Non dimentichiamo mai questa parola di Benedetto XVI: “La Chiesa non cresce per proselitismo, cresce per attrazione”. Se manca lo Spirito Santo, che è quello che attrae a Gesù, lì non c’è la Chiesa. C’è un bel club di amici, bene, con buone intenzioni, ma non c’è la Chiesa, non c’è sinodalità.

Leggendo gli Atti degli Apostoli scopriamo allora come il potente motore dell’evangelizzazione siano le riunioni di preghiera, dove chi partecipa sperimenta dal vivo la presenza di Gesù ed è toccato dallo Spirito. I membri della prima comunità – ma questo vale sempre, anche per noi oggi – percepiscono che la storia dell’incontro con Gesù non si è fermata al momento dell’Ascensione, ma continua nella loro vita. Raccontando ciò che ha detto e fatto il Signore – l’ascolto della Parola – pregando per entrare in comunione con Lui, tutto diventa vivo. La preghiera infonde luce e calore: il dono dello Spirito fa nascere in loro il fervore.

A questo proposito, il Catechismo ha un’espressione molto densa. Dice così: «Lo Spirito Santo […] ricorda Cristo alla sua Chiesa orante, la conduce anche alla Verità tutta intera e suscita nuove formulazioni, le quali esprimeranno l’insondabile Mistero di Cristo, che opera nella vita, nei sacramenti e nella missione della sua Chiesa» (n. 2625). Ecco l’opera dello Spirito nella Chiesa: ricordare Gesù. Gesù stesso lo ha detto: Lui vi insegnerà e vi ricorderà. La missione è ricordare Gesù, ma non come un esercizio mnemonico. I cristiani, camminando sui sentieri della missione, ricordano Gesù mentre lo rendono nuovamente presente; e da Lui, dal suo Spirito, ricevono la “spinta” per andare, per annunciare, per servire. Nella preghiera il cristiano si immerge nel mistero di Dio, che ama ogni uomo, quel Dio che desidera che il Vangelo sia predicato a tutti. Dio è Dio per tutti, e in Gesù ogni muro di separazione è definitivamente crollato: come dice san Paolo, Lui è la nostra pace, cioè «colui che di due ha fatto una cosa sola» (Ef 2,14). Gesù ha fatto l’unità.

Così la vita della Chiesa primitiva è ritmata da un continuo susseguirsi di celebrazioni, convocazioni, tempi di preghiera sia comunitaria sia personale. Ed è lo Spirito che concede forza ai predicatori che si mettono in viaggio, e che per amore di Gesù solcano mari, affrontano pericoli, si sottomettono a umiliazioni.

Dio dona amore, Dio chiede amore. È questa la radice mistica di tutta la vita credente. I primi cristiani in preghiera, ma anche noi che veniamo parecchi secoli dopo, viviamo tutti la medesima esperienza. Lo Spirito anima ogni cosa. E ogni cristiano che non ha paura di dedicare tempo alla preghiera può fare proprie le parole dell’apostolo Paolo: «Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). La preghiera ti fa conscio di questo. Solo nel silenzio dell’adorazione si sperimenta tutta la verità di queste parole. Dobbiamo riprendere il senso dell’adorazione. Adorare, adorare Dio, adorare Gesù, adorare lo Spirito. Il Padre, il Figlio e lo Spirito: adorare. In silenzio. La preghiera dell’adorazione è la preghiera che ci fa riconoscere Dio come inizio e fine di tutta la storia. E questa preghiera è il fuoco vivo dello Spirito che dà forza alla testimonianza e alla missione.

[Papa Francesco, Udienza Generale 25 novembre 2020]

Venerdì, 21 Novembre 2025 04:48

Diverso modo di vivere

Nel Vangelo di Luca, Gesù dice ai discepoli: «I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita … vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21,34.36). Dunque, sobrietà e preghiera. E l’apostolo Paolo aggiunge l’invito a «crescere e sovrabbondare nell’amore» tra noi e verso tutti, per rendere saldi i nostri cuori e irreprensibili nella santità (cfr 1 Ts 3,12-13). In mezzo agli sconvolgimenti del mondo, o ai deserti dell’indifferenza e del materialismo, i cristiani accolgono da Dio la salvezza e la testimoniano con un diverso modo di vivere, come una città posta sopra un monte. «In quei giorni – annuncia il profeta Geremia – Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia» (33,16). La comunità dei credenti è segno dell’amore di Dio, della sua giustizia che è già presente e operante nella storia ma che non è ancora pienamente realizzata, e pertanto va sempre attesa, invocata, ricercata con pazienza e coraggio.

[Papa Benedetto, Angelus 2 dicembre 2012]

Venerdì, 21 Novembre 2025 04:43

Non disattenti

1. “Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21, 28).

La parola Avvento, cara al cuore dei cristiani per la pregnante realtà che essa esprime in vista dell’attesa del Natale di Gesù, è anche annuncio di un ritorno del Signore: ritorno del Redentore alla fine dei tempi; ritorno continuo del Figlio di Dio e Salvatore nella nostra storia nei giorni che ci riguardano. Il Signore è già venuto, il Signore viene, il Signore verrà di nuovo, “con potere e gloria grande” (Lc 21, 27), e noi lo attendiamo pieni di speranza gioiosa, poiché confidiamo che egli “ci chiami accanto a sé nella gloria, a possedere il regno dei cieli”, come si esprime la preghiera della Colletta odierna.

2. Risuona fra noi quest’oggi la parola di Dio sul mistero dell’Avvento. Lo ascoltiamo confortati dall’esempio di fede e disponibilità al servizio di Giuseppe e di Maria, sorretti anche noi dal modello di umiltà e di dedizione del Cristo.

Dalla città di Gerusalemme desolata e sconvolta, il profeta Geremia assicura agli esuli di Babilonia il compimento delle promesse divine: il Messia redentore verrà, “eserciterà il giudizio e la giustizia . . . Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla” (Ger 33, 15-16). È una promessa di consolazione, che, però, non si attuerà senza prove. Alla fine del tempo la venuta del Signore sarà accompagnata da sconvolgimenti nei cieli e da angoscia di popoli in ansia sulla terra.

L’Evangelista, secondo lo stile e le formule delle descrizioni profetiche ed apocalittiche antiche, riassume nell’immagine della catastrofe il messaggio della necessaria purificazione e del giudizio sul mondo. Annuncia allo stesso tempo la vittoria di Dio su ogni forza del male, con l’apparire dei cieli nuovi e terre nuove. Lo sconvolgimento del cosmo e il turbamento dei cuori sono anzi ricordati come preludio all’apparire del Figlio dell’uomo.

“Alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”: la fiducia e la vigilanza sono le virtù richieste dall’Avvento. Vigilanza soprattutto nella preghiera, che ci fa degni di comparire davanti al Salvatore e Giudice di tutti, il quale vuole che siano “saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità” (1 Ts 3, 13).

3. Confermata la nostra fede nel Signore che viene, ribadita la certezza della sua perenne presenza nella storia e della sua venuta alla fine del tempo, eccoci pronti ad accogliere le parole dell’Apostolo che poc’anzi abbiamo ascoltato.

Paolo chiede al Signore di farci non solo crescere, ma abbondare nell’amore. Domanda che questo amore sia vicendevole, dentro la comunità e verso tutti, rivolto cioè ai credenti e ai non credenti.

Facciamo in modo, carissimi Fratelli e Sorelle, che i nostri cuori non si appesantiscano nelle dissipazioni, ubriachezze, affanni della vita (cf. Lc 21, 34)! L’Avvento del Cristo non ci trovi lontani dalla fede e disattenti al messaggio della sua parola! Non trionfino su di noi i nemici della nostra salvezza, perché solo chi spera in Dio non resterà deluso (cf. Ant. dell’Introito).

[Papa Giovanni Paolo II, omelia 1 dicembre 1991]

Oggi inizia l’Avvento, il tempo liturgico che ci prepara al Natale, invitandoci ad alzare lo sguardo e ad aprire il cuore per accogliere Gesù. In Avvento non viviamo solo l’attesa del Natale; veniamo invitati anche a risvegliare l’attesa del ritorno glorioso di Cristo – quando alla fine dei tempi tornerà –, preparandoci all’incontro finale con Lui con scelte coerenti e coraggiose. Ricordiamo il Natale, aspettiamo il ritorno glorioso di Cristo, e anche il nostro incontro personale: il giorno nel quale il Signore chiamerà. In queste quattro settimane siamo chiamati a uscire da un modo di vivere rassegnato e abitudinario, e ad uscire alimentando speranze, alimentando sogni per un futuro nuovo. Il Vangelo di questa domenica (cfr Lc 21,25-28.34-36) va proprio in tale direzione e ci mette in guardia dal lasciarci opprimere da uno stile di vita egocentrico o dai ritmi convulsi delle giornate. Risuonano particolarmente incisive le parole di Gesù: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso. […] Vegliate in ogni momento pregando» (vv. 34.36).

Stare svegli e pregare: ecco come vivere questo tempo da oggi fino a Natale. Stare svegli e pregare. Il sonno interiore nasce dal girare sempre attorno a noi stessi e dal restare bloccati nel chiuso della propria vita coi suoi problemi, le sue gioie e i suoi dolori, ma sempre girare intorno a noi stessi. E questo stanca, questo annoia, questo chiude alla speranza. Si trova qui la radice del torpore e della pigrizia di cui parla il Vangelo. L’Avvento ci invita a un impegno di vigilanza guardando fuori da noi stessi, allargando la mente e il cuore per aprirci alle necessità della gente, dei fratelli, al desiderio di un mondo nuovo. È il desiderio di tanti popoli martoriati dalla fame, dall’ingiustizia, dalla guerra; è il desiderio dei poveri, dei deboli, degli abbandonati. Questo tempo è opportuno per aprire il nostro cuore, per farci domande concrete su come e per chi spendiamo la nostra vita.

Il secondo atteggiamento per vivere bene il tempo dell’attesa del Signore è quello della preghiera. «Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (v. 28), ammonisce il Vangelo di Luca. Si tratta di alzarsi e pregare, rivolgendo i nostri pensieri e il nostro cuore a Gesù che sta per venire. Ci si alza quando si attende qualcosa o qualcuno. Noi attendiamo Gesù, lo vogliamo attendere nella preghiera, che è strettamente legata alla vigilanza. Pregare, attendere Gesù, aprirsi agli altri, essere svegli, non chiusi in noi stessi. Ma se noi pensiamo al Natale in un clima di consumismo, di vedere cosa posso comprare per fare questo e quest’altro, di festa mondana, Gesù passerà e non lo troveremo. Noi attendiamo Gesù e lo vogliamo attendere nella preghiera, che è strettamente legata alla vigilanza.

Ma qual è l’orizzonte della nostra attesa orante? Ce lo indicano nella Bibbia soprattutto le voci dei profeti. Oggi è quella di Geremia, che parla al popolo duramente provato dall’esilio e che rischia di smarrire la propria identità. Anche noi cristiani, che pure siamo popolo di Dio, rischiamo di mondanizzarci e di perdere la nostra identità, anzi, di “paganizzare” lo stile cristiano. Perciò abbiamo bisogno della Parola di Dio che attraverso il profeta ci annuncia: «Ecco, verranno giorni nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto [...]. Farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra» (33,14-15). E quel germoglio giusto è Gesù, è Gesù che viene e che noi attendiamo. La Vergine Maria, che ci porta Gesù,  donna dell’attesa e della preghiera, ci aiuti a rafforzare la nostra speranza nelle promesse del suo Figlio Gesù, per farci sperimentare che, attraverso il travaglio della storia, Dio resta sempre fedele e si serve anche degli errori umani per manifestare la sua misericordia.

[Papa Francesco, Angelus 2 dicembre 2018]

Giovedì, 20 Novembre 2025 05:17

Avvento, Venuta. Perché? e Dove

Giovedì, 20 Novembre 2025 03:37

Parole e Natura, codici che non passeranno

Le Fonti della Speranza

(Lc 21,29-33)

 

Lc termina il suo Discorso Apocalittico con delle raccomandazioni sull’attenzione e lo sguardo penetrante da porre al ‘segno dei tempi’.

E - radicata nella Parola di Dio che si fa evento e dirige al futuro, la Speranza inaugura una fase nuova della storia.

La sua profondità sorpassa tutte le possibilità attuali, le quali viceversa oscillano inquiete fra segni di catastrofe.

Gesù rasserena i discepoli sui timori di fine del mondo, e impone di non guardare messaggi in codice, ma la Natura.

Solo così essi riusciranno a leggere e interpretare gli avvenimenti.

Discernimento saggio, che serve a non chiuderci nel presente immediato: esso spinge su una strada di uniformità o difesa.

Infatti, a motivo degli sconvolgimenti, una valutazione precipitosa potrebbe indurci a temere rovesci, bloccando la crescita e la testimonianza.

 

Il mondo e le cose camminano verso una Primavera, e anzitutto in tal senso abbiamo un ruolo di sentinella.

Sulle rovine d’un secolo che crolla, il Padre fa capire quanto succede - e continua a costruire ciò che speriamo [non secondo gusti immediati].

Qua e là possiamo coglierne i vagiti, come i germogli sul ‘fico’.

È un albero che allude al frutto d’amore che Dio attende dal suo popolo, chiamato a essere tenero e dolce: segni della nuova stagione - quella delle relazioni sane.

In tal guisa, lo spirito di dedizione manifestato dai figli sarà prefigurazione dell’avvento prossimo d’un impero completamente differente - in grado di sostituire nelle coscienze tutti gli altri di carattere competitivo.

Il fico è appunto immagine dell’ideale popolo delle benedizioni; Israele dell’esodo verso la libertà, e traccia del Padre [nella sobrietà riflessiva e condivisione del deserto].

Esso permane a lungo spoglio e scheletrito; d’improvviso le sue gemme spuntano, si schiudono e in pochi giorni si riveste di foglie rigogliose.

Tale sarà il passaggio dal caos all’ordine sensibile e fraterno prodotto dalla proclamazione e assimilazione della Parola: pensiero non uguale; passo divino nella storia.

 

Attraverso suggestioni che appartengono a processi di natura, siamo introdotti nel discernimento del Mistero - espresso nell’arco della fiumana di trasformazioni.

Le sue ricchezze sono contenute nei codici del Verbo e negli eventi ordinari concreti, i quali hanno un sintomatico peso. Scrigni delle realtà invisibili, che non passano.

Tale dovizia svilupperà persino (e in specie) dalla confusione e dai crolli, come per intrinseca forza ed essenza, giorno per giorno.

Non per un’astratta esemplarità, ma per pienezza della vita che ritrova le proprie radici - riscoprendole nell’errore e nel piccolo.

Un paradossale germe di speranza, e presagio di condizioni migliori.

Perché senza imperfezione e limite non esiste crescita o fioritura, né Regno vicino (vv.30-31) il quale prende sempre «contatto con le ferite» [Fratelli Tutti n.261].

 

Parola di Dio e ritmi della Natura sono codici che passano il tempo. Rilievi autentici, creati, donati, e rivelati.

Sorgenti di discernimento, dello sguardo penetrante, dei segni del tempo, del pensiero libero, della Speranza che non si accoda.

 

 

[Venerdì 34.a sett. T.O.  28 Novembre 2025]

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Gospels make their way, advance and free, making us understand the enormous difference between any creed and the proposal of Jesus. Even within us, the life of Faith embraces all our sides and admits many things. Thus we become more complete and emancipate ourselves, reversing positions.
I Vangeli si fanno largo, avanzano e liberano, facendo comprendere l’enorme differenza tra credo qualsiasi e proposta di Gesù. Anche dentro di noi, la vita di Fede abbraccia tutti i nostri lati e ammette tante cose. Così diventiamo più completi e ci emancipiamo, ribaltando posizioni
We cannot draw energy from a severe setting, contrary to the flowering of our precious uniqueness. New eyes are transmitted only by the one who is Friend. And Christ does it not when we are well placed or when we equip ourselves strongly - remaining in a managerial attitude - but in total listening
Non possiamo trarre energia da un’impostazione severa, contraria alla fioritura della nostra preziosa unicità. Gli occhi nuovi sono trasmessi solo da colui che è Amico. E Cristo lo fa non quando ci collochiamo bene o attrezziamo forte - permanendo in atteggiamento dirigista - bensì nell’ascolto totale
The Evangelists Matthew and Luke (cf. Mt 11:25-30 and Lk 10:21-22) have handed down to us a “jewel” of Jesus’ prayer that is often called the Cry of Exultation or the Cry of Messianic Exultation. It is a prayer of thanksgiving and praise [Pope Benedict]
Gli evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 11,25-30 e Lc 10,21-22) ci hanno tramandato un «gioiello» della preghiera di Gesù, che spesso viene chiamato Inno di giubilo o Inno di giubilo messianico. Si tratta di una preghiera di riconoscenza e di lode [Papa Benedetto]
The human race – every one of us – is the sheep lost in the desert which no longer knows the way. The Son of God will not let this happen; he cannot abandon humanity in so wretched a condition. He leaps to his feet and abandons the glory of heaven, in order to go in search of the sheep and pursue it, all the way to the Cross. He takes it upon his shoulders and carries our humanity (Pope Benedict)
L’umanità – noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità (Papa Benedetto)
"Too bad! What a pity!" “Sin! What a shame!” - it is said of a missed opportunity: it is the bending of the unicum that we are inside, which every day surrenders its exceptionality to the normalizing and prim outline of common opinion. Divine Appeal of every moment directed Mary's dreams and her innate knowledge - antechamber of her trust, elsewhere
“Peccato!” - si dice di una occasione persa: è la flessione dell’unicum che siamo dentro, che tutti i giorni cede la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune. L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia
It is a question of leaving behind the comfortable but misleading ways of the idols of this world: success at all costs; power to the detriment of the weak; the desire for wealth; pleasure at any price. And instead, preparing the way of the Lord: this does not take away our freedom (Pope Francis)
Si tratta di lasciare le strade, comode ma fuorvianti, degli idoli di questo mondo [...] E di aprire invece la strada al Signore che viene: Egli non toglie la nostra libertà (Papa Francesco)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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