don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Sabato, 13 Luglio 2024 05:07

Reputazione e domesticazioni, o Croce

Reputazione e obbedienza: crocevia della Verità di Fede

 

(Mt 10,34-11,1)

 

Ci chiediamo: cosa impedisce la crescita? Cosa viceversa rende intimi al Padre?

Portare la Croce... nel senso di essere un figlio devoto e sottomesso… oppure… “obbediente” alla propria Missione?

Cristo vuole gente nuova e libera.

L’identificazione dell’apostolo non è con celebrità e personaggi di rilievo sociale o ascetico, bensì con la vita di Gesù di Nazaret, il pubblico ribelle alle autorità ufficiali, amico di pubblicani e peccatori (Mt 11,19) condannato per mancanza di conformismo.

Solo spingendoci verso il basso e incontrando il medesimo rifiuto, qui - a partire dai propugnatori di valori sacri - incontriamo Dio (v.40) nella Libertà da ogni forma di condizionamento, religioso, affettivo, mentale.

Il fedele non è riconosciuto per gesti eroici e magnificenti (vv.41-42), eccellenza e visibilità d’incarico, carisma e credito, peso e prestigio - bensì nella scelta sociale.

Si tratta di una istintiva predilezione verso il ceto in basso nella scala anche ecclesiale; quello che non resiste alla Novità di Dio.

Il missionario non è contraddistinto da qualità straordinarie: spicca nella piccolezza (v.42).

Chi apprezza solo cose grandi non edifica il nuovo Regno, perché sotto sotto coltiva la vecchia ideologia di potenza che a proclami condanna.

Un confronto fra i testi paralleli in lingua greca di Mt 10,38 e Lc 14,27 (Gv 12,26) fa comprendere il significato di «prendere» o «sollevare la croce» per un discepolo che rivive Cristo e lo dilata nella storia degli uomini.

L’amico di Gesù si gioca l’onore.

Immerso nella sua Fonte di vita, raggiunge il dono totale - anche sotto il profilo della pubblica considerazione.

Dopo la sentenza di tribunale, il condannato al supplizio veniva costretto a caricarsi sulle spalle il braccio orizzontale del patibolo.

Era il momento più straziante, perché di massima solitudine e percezione di fallimento.

Lo sventurato e già svergognato doveva in tal guisa procedere al luogo della crocifissione, passando fra due ali di folla che per dovere religioso deridevano e malmenavano il ritenuto maledetto da Dio.

Pertanto, ai suoi intimi Gesù non indica la Croce nel senso corrivo d’una necessaria sopportazione delle inevitabili contrarietà della vita, che poi attraverso l’esercizio forzato cesellerebbe animi più capaci di abbozzare [oggi si dice: resilienti].

Rispetto alle solite proposte di sana disciplina esteriore e interiore, uguali per tutti e utili solo per tenere buona la situazione (di privilegio altrui), il Maestro sta viceversa suggerendo un comportamento assai più radicale.

Il Signore indica un’ascetica totalmente differente da quella delle tante credenze antiche, addirittura capovolta: la paradossale opportunità del castigo e flagello [devianze del Dio delle religioni] e il rifiuto sprezzante dell’opinione pubblica.

Il Padre non dà alcuna “croce”, né siamo tenuti ad accettarla per obbedienza o forza maggiore: il discepolo la «prende» (v.38) in modo non passivo, indipendentemente dal credito che si aspetta!

Insomma, il seguace di Cristo deve assai spesso rinunciare alla reputazione e ad ogni vetrina di consenso esteriore - perfino devoto e in sé opportuno [come quello dei maestri, dei connazionali e famigliari].

È uno spunto essenziale, propulsivo e dirimente della persona di Fede. L’impegno per la rinomanza prestigiosa - trattenuta per sé - è totalmente incompatibile, non diffonde vita senza limiti (neanche per se stessi).

Chi è legato alla sua buona fama, ai ruoli, al personaggio da recitare, alla mansione, al livello acquisito, non somiglierà mai al Signore - e neppure colui che non dilata la dimensione tribale dell’interesse di “parentela”.

Sin dai primi tempi, l’annuncio dell’autentico Messia creava divisioni: la «spada» della sua Persona (v.34) separava la vicenda di ciascuno dal mondo di valori del clan di appartenenza, o dall’idea di rispettabilità, anche nazionale.

Oggi capita la stessa cosa dove qualcuno annuncia il Vangelo com’è, e tenta di rinnovare i meccanismi inceppati della Chiesa alla moda, o di quella abitudinaria, attempata, ipocrita, di finto sangue blu sul territorio. Caricandosi della Croce di beffe conseguenti.

Una separazione e taglio nettissimo, per l'unità nuova: quella che fa da crocevia della Verità senza doppiezze.

 

Non ci accorgiamo, ma mète e tappe intermedie assorbite per influsso della civiltà dell’esterno non sono davvero nostre - malgrado questo ‘secondo cervello’ epidermico tenda a invaderci l’essere.

Il conformismo a contorno sembra un rifugio che attrae, ma diventa solo una tana di lusinghe.

Secondo il pensiero cinese, per acquistare smalto e fuggire un servilismo inquinato e logoro, i Santi «si fanno insegnare dalle bestie l’arte di evitare gli effetti nocivi della domesticazione, che la vita in società impone».

Infatti: «Gli animali domestici muoiono prematuramente. E così gli uomini, cui le convenzioni sociali vietano di obbedire spontaneamente al ritmo della vita universale».

«Queste convenzioni impongono un’attività continua, interessata, estenuante [mentre è opportuno] alternare i periodi di vita rallentata e di tripudio».

«Il Santo non si sottomette al ritiro o al digiuno se non al fine di giungere, grazie all’estasi, a evadere per lunghi viaggi. Questa liberazione è preparata da giochi vivificanti, che la natura insegna».

«Ci si allena alla vita paradisiaca imitando i sollazzi degli animali. Per santificarsi, bisogna prima abbrutirsi – si intenda: imparare dai bambini, dalle bestie, dalle piante, l’arte semplice e gioiosa di non vivere che in vista della vita» [M. Granet, Il Pensiero Cinese, Adelphi 2019, kindle pp. 6904-6909].

 

La suggestione del passato da perpetuare, il laccio dei giudizi ristretti o glamour, e i legami di club, possono sottrarci la ricchezza celata, rubando il presente e il futuro: questo il vero errore da evitare!

Ciò che conta non è essere cool o copiare gli antichi, e identificarsi per stare quieti e non sbagliare, bensì rinnovare se stessi per evolvere, crescere, espandere, stupire in modo personale. 

Altrimenti i nostri goffi problemi saranno sempre identici - e non ci sarà Cammino esuberante né Terra Promessa, ma solo un circolo vizioso di fantasie o rimpianti, e finte rassicurazioni.

Per vivere la Fede dell’attimo reale - avventura non rinunciataria e che mette le cose in fila - non si può essere scolaretti ripetenti del luogo, del tempo, o del giorno prima.

Se ai pareri omologanti dei “migliori” saremo costretti a rimuovere o nascondere le emozioni autentiche, assomiglieremo loro vanamente  - disperdendo la ricchezza della Vocazione.

 

Quando l’esperto invece di aiutare ad allargare il panorama impone di non accettare cambiamenti caratteriali, la persona non ritrova la propria semplicità.

E la vita [anche quella spesa più nobilmente, nel dono di sé] diventa prima o poi un incubo.

Basta ai dirigenti che pretendono di intervenire coi loro conformismi e stili di vita “adeguati” o inadeguati!

Non di rado i direttori mettono sotto una cappa asfissiante di maniera, proprio il sentiero che ci spetta secondo natura.

 

Fede terrestre: La nostra vita non si gioca sull’iniziativa di ciò che siamo già in grado di allestire e praticare - o interpretare, disegnare e prevedere - ma sull’Attenzione.

Qui la dimensione ‘Discernimento evangelico’ subentra ai luoghi comuni delle idee e del fare.

L’illusione di sentirsi nella luce invece che agli inferi - o viceversa - inceppa i meccanismi inediti, assorbe l’essere che siamo, il suo occhio e l’alta riflessività (non cerebrale) della nostra coscienza.

Lo sguardo ottuso che sta sotto l’influsso dell’approvazione ufficiale [o del facile successo a corte e in società] affastella l’essenza propria e altrui di cliché epidermici, impulsi dipendenti, che sono la vera impurità della vita.

Così la persona convenzionale si ritrova non in grado di produrre cambiamenti di fondo, tanto più reali quanto meno immediatamente appariscenti.

I disturbi illuminati dalla natura profonda hanno invece molto da insegnare.

 

Le questioni personali e dei fratelli non vengono a trovarci onde esser collocate precipitosamente sotto la cappa perbene d’una valutazione qualunquista, bensì per farci una proposta di nuove visuali che potrebbero renderci più indipendenti - solo così intimi al Signore.

L’anima chiama all’unicità e all’Uno, alla diversità e alla Convivialità - in rapporto d’interesse radicale fra chi dona e chi accoglie.

 

La ‘notte’ che incalza può farci vivere più arditi, preparati all’azione e al Dialogo.

Quindi: nessun legame di domesticazione - neppure con Dio.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quali mutamenti senti come tua Chiamata?

La reputazione e l’opinione degli altri in comunità, favorisce o ti blocca? Per quale motivo?

La tua “famiglia” è rinchiusa in se stessa o motiva l’apertura d’orizzonte?

Sabato, 13 Luglio 2024 04:56

Pace e lotta: pagando di persona

C’è un’espressione di Gesù, nel Vangelo di questa domenica, che attira ogni volta la nostra attenzione e richiede di essere ben compresa. Mentre è in cammino verso Gerusalemme, dove lo attende la morte di croce, Cristo confida ai suoi discepoli: "Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione". E aggiunge: "D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera" (Lc 12,51-53). Chiunque conosca minimamente il Vangelo di Cristo, sa che è messaggio di pace per eccellenza; Gesù stesso, come scrive san Paolo, "è la nostra pace" (Ef 2,14), morto e risorto per abbattere il muro dell’inimicizia e inaugurare il Regno di Dio che è amore, gioia e pace. Come si spiegano allora queste sue parole? A che cosa si riferisce il Signore quando dice di essere venuto a portare – secondo la redazione di san Luca – la "divisione", o – secondo quella di san Matteo – la "spada" (Mt 10,34)?

Questa espressione di Cristo significa che la pace che Egli è venuto a portare non è sinonimo di semplice assenza di conflitti. Al contrario, la pace di Gesù è frutto di una costante lotta contro il male. Lo scontro che Gesù è deciso a sostenere non è contro uomini o poteri umani, ma contro il nemico di Dio e dell’uomo, Satana. Chi vuole resistere a questo nemico rimanendo fedele a Dio e al bene deve necessariamente affrontare incomprensioni e qualche volta vere e proprie persecuzioni. Perciò, quanti intendono seguire Gesù e impegnarsi senza compromessi per la verità devono sapere che incontreranno opposizioni e diventeranno, loro malgrado, segno di divisione tra le persone, addirittura all’interno delle loro stesse famiglie. L’amore per i genitori infatti è un comandamento sacro, ma per essere vissuto in modo autentico non può mai essere anteposto all’amore di Dio e di Cristo. In tal modo, sulle orme del Signore Gesù, i cristiani diventano "strumenti della sua pace", secondo la celebre espressione di san Francesco d’Assisi. Non di una pace inconsistente e apparente, ma reale, perseguita con coraggio e tenacia nel quotidiano impegno di vincere il male con il bene (cfr Rm 12,21) e pagando di persona il prezzo che questo comporta.

La Vergine Maria, Regina della Pace, ha condiviso fino al martirio dell’anima la lotta del suo Figlio Gesù contro il Maligno, e continua a condividerla sino alla fine dei tempi. Invochiamo la sua materna intercessione, perché ci aiuti ad essere sempre testimoni della pace di Cristo, mai scendendo a compromessi con il male.

[Papa Benedetto, Angelus 19 agosto 2007]

Sabato, 13 Luglio 2024 04:52

Non è un modo di dire

5. Come la croce può ridursi ad oggetto ornamentale, così "portare la croce" può diventare un modo di dire. Nell'insegnamento di Gesù quest'espressione non mette, però, in primo piano la mortificazione e la rinuncia. Non si riferisce primariamente al dovere di sopportare con pazienza le piccole o grandi tribolazioni quotidiane; né, ancor meno, intende essere un'esaltazione del dolore come mezzo per piacere a Dio. Il cristiano non ricerca la sofferenza per se stessa, ma l'amore. E la croce accolta diviene il segno dell'amore e del dono totale. Portarla dietro a Cristo vuol dire unirsi a Lui nell'offrire la prova massima dell'amore.

Non si può parlare di croce senza considerare l'amore di Dio per noi, il fatto che Dio ci vuole ricolmare dei suoi beni. Con l'invito *seguimi+ Gesù ripete ai suoi discepoli non solo: prendimi come modello, ma anche: condividi la mia vita e le mie scelte, spendi insieme con me la tua vita per amore di Dio e dei fratelli. Così Cristo apre davanti a noi la *via della vita+, che è purtroppo costantemente minacciata dalla "via della morte". Il peccato è questa via che separa l'uomo da Dio e dal prossimo, provocando divisione e minando dall'interno la società.

La "via della vita", che riprende e rinnova gli atteggiamenti di Gesù, diviene la via della fede e della conversione. La via della croce, appunto. E' la via che conduce ad affidarsi a Lui e al suo disegno salvifico, a credere che Lui è morto per manifestare l'amore di Dio per ogni uomo; è la via di salvezza in mezzo ad una società spesso frammentaria, confusa e contraddittoria; è la via della felicità di seguire Cristo fino in fondo, nelle circostanze spesso drammatiche del vivere quotidiano; è la via che non teme insuccessi, difficoltà, emarginazioni, solitudini, perché riempie il cuore dell'uomo della presenza di Gesù; è la via della pace, del dominio di sé, della gioia profonda del cuore.

6. Cari giovani, non vi sembri strano se, all'inizio del terzo millennio, il Papa vi indica ancora una volta la croce come cammino di vita e di autentica felicità. La Chiesa da sempre crede e confessa che solo nella croce di Cristo c'è salvezza.

Una diffusa cultura dell'effimero, che assegna valore a ciò che piace ed appare bello, vorrebbe far credere che per essere felici sia necessario rimuovere la croce. Viene presentato come ideale un successo facile, una carriera rapida, una sessualità disgiunta dal senso di responsabilità e, finalmente, un'esistenza centrata sulla propria affermazione, spesso senza rispetto per gli altri.

Aprite però bene gli occhi, cari giovani: questa non è la strada che fa vivere, ma il sentiero che sprofonda nella morte. Dice Gesù: "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà". Gesù non ci illude: "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?" (Lc 9, 24‑25). Con la verità delle sue parole, che suonano dure, ma riempiono il cuore di pace, Gesù ci svela il segreto della vita autentica (cfr Discorso ai giovani di Roma, 2 aprile 1998).

Non abbiate paura, dunque, di camminare sulla strada che il Signore per primo ha percorso. Con la vostra giovinezza, imprimete al terzo millennio che si apre il segno della speranza e dell'entusiasmo tipico della vostra età. Se lascerete operare in voi la grazia di Dio, se non verrete meno alla serietà del vostro impegno quotidiano, farete di questo nuovo secolo un tempo migliore per tutti.

[Papa Giovanni Paolo II, Messaggio per la 16.a Giornata Mondiale della Gioventù, 14 febbraio 2001]

Sabato, 13 Luglio 2024 04:42

Prendere la propria croce

Non si tratta solo di sopportare con pazienza le tribolazioni quotidiane, ma di portare con fede e responsabilità quella parte di fatica, quella parte di sofferenza che la lotta contro il male comporta. La vita dei cristiani è sempre una lotta. La Bibbia dice che la vita del credente è una milizia: lottare contro il cattivo spirito, lottare contro il Male.

Così l’impegno di “prendere la croce” diventa partecipazione con Cristo alla salvezza del mondo. Pensando a questo, facciamo in modo che la croce appesa alla parete di casa, o quella piccola che portiamo al collo, sia segno del nostro desiderio di unirci a Cristo nel servire con amore i fratelli, specialmente i più piccoli e fragili. La croce è segno santo dell’Amore di Dio, è segno del Sacrificio di Gesù, e non va ridotta a oggetto scaramantico oppure a monile ornamentale. Ogni volta che fissiamo lo sguardo sull’immagine di Cristo crocifisso, pensiamo che Lui, come vero Servo del Signore, ha realizzato la sua missione dando la vita, versando il suo sangue per la remissione dei peccati. E non lasciamoci portare dall’altra parte, nella tentazione del Maligno. Di conseguenza, se vogliamo essere suoi discepoli, siamo chiamati a imitarlo, spendendo senza riserve la nostra vita per amore di Dio e del prossimo.

La Vergine Maria, unita al suo Figlio fino al calvario, ci aiuti a non indietreggiare di fronte alle prove e alle sofferenze che la testimonianza del Vangelo comporta per tutti noi.

[Papa Francesco, Angelus 30 agosto 2020]

Venerdì, 12 Luglio 2024 06:27

Sobri, ma con i sandali

Invio dei discepoli: fiducia, umanizzazione, sobrietà

(Mc 6,7-13)

 

E io e Te

La Verità non è affatto ciò che ho. Non è affatto ciò che hai. Essa è ciò che ci unisce nella sofferenza, nella gioia. Essa è figlia della nostra Unione, nel dolore e nel piacere partoriti. Né io né Te. E io e Te. La nostra opera comune, stupore permanente. Il suo nome è Saggezza.

(Irénée Guilane Dioh)

 

Il passaggio di Nazaret - doloroso per lo stesso Gesù - e la descrizione dell’invio dei discepoli, voleva essere di sostegno e luce per i credenti.

Il Figlio di Dio viene rifiutato dalla propria gente, e quello che prima era il suo paese ora non lo è più.

Non bisogna per questo scoraggiare: i conflitti costringono a stare faccia a faccia con nuovi modi di essere (e opportunità di Comunione).

Nel rapporto col Padre e le circostanze, nessuno se la cava da solo, magari centrando l’esistenza sui traguardi e solo su di sé - o cambiando residenza (v.10) e cercando poi eccessivi mezzi per stabilirsi [col pretesto della ‘efficacia’].

La testimonianza del Cristo è profonda, e relazionale sino alla convivenza; non individualista: da affrontare mostrando reciprocità, capacità di scambio non alienante - almeno fra due (v.7).

La mèta poi non è perseguibile se la vita è disintegrata dalle opinioni attorno, e priva di qualsiasi principio di trasformazione dei rapporti - espressione dell’Alleanza che suscita collaborazione, spirito di fraternità.

Nonché “modello”, “principio” di analisi e prognosi per la soluzione dei problemi, e per un futuro di convivenza; attraverso un completamento di ‘lati opposti’ riconosciuti in se stessi [attraverso le microrelazioni].

 

In tutte le religioni l’ideale di perfezione è il raggiungimento della propria purificazione, avanzamento, equilibrio.

Ma non basta questo perché possiamo proclamare che il Regno è venuto! Esso è frutto artigianale, di un cammino svolto come a tappe e tentativi; dell’Amore, nell’Esodo.

In tal guisa, il Risorto ci ha investiti di una forza tranquilla ma irresistibile e palese: la sua Parola efficace.

Logos che in noi si fa lucidità, carica, impulso, capacità di ascolto [che rimette in piedi; insieme, ci pone in grado di gestire le cose]: una potenza compassionevole mai vista prima.

La proposta dei Vangeli presuppone spirito di sobrietà, rischio, fraternità regale: così si evangelizzano gli ambienti, trasmettendo passione per la vita e annientando le forze di morte che allontanano dal prossimo.

Avendo fiducia nell’ospitalità e nella condivisione, i nuovi missionari trascurano finalmente le norme di purità legalista (v.8) e mostrano un diverso accesso alla stessa purezza, alle relazioni, all’intimità col Padre.

Dunque, ingredienti essenziali per edificare la comunità altrove sono: accontentarsi e rinunciare all’ambizione, la compartecipazione anche nella cultura [dando spazio a tutte le intuizioni]; famigliarità nei normali lavori e compensi; l’accoglienza degli esclusi.

Come nella mentalità comunitaria semitica, i nuovi ‘inviati’ devono farsi fratelli prossimi, difensori e riscattatori (Go’el) degli emarginati. In tal senso anche noi personifichiamo nella storia e nei contesti la figura del Cristo.

Proteggendo i miseri e bisognosi (v.13), si dispiega l’insegnamento e l’opera di Gesù, che tanto si era profuso per arginare la disintegrazione della vita comunitaria - allora intaccata dal servilismo politico, economico e religioso.

Quindi, evitando l’ambiguità delle ricchezze, i figli di Dio non avrebbero nutrito l’istinto di dominio sugli altri.

 

Purtroppo chi è amico del trionfalismo e possiede in eccesso, facilmente mancherà della cosa principale, caratteristica della credibilità: la fiducia nella Provvidenza - unico spirito che non inficia la situazione.

Gesù mette in guardia, affinché non lo smentiamo col nostro comportamento arraffone, amante del lusso, pronto sia alle deferenze che ad assecondare i giochi di potere; performante a ogni costo, sempre affannato per il ruolo e i livelli economici.

Certo, il Figlio di Dio sogna una Chiesa povera [non solo ‘dei poveri’] - ma un elemento di opulenza per noi lo concede, anzi lo vuole: che calziamo i sandali (v.9); a quel tempo in Roma segno di libertà e dignità non accattona.

Sì, perché dobbiamo riscoprire l’umano - e camminare molto.

 

 

[15.a Domenica T.O. (anno B), 14 luglio 2024]

Sobri, ma con i sandali

(Mc 6,7-13)


E io e Te

La Verità non è affatto ciò che ho. Non è affatto ciò che hai. Essa è ciò che ci unisce nella sofferenza, nella gioia. Essa è figlia della nostra Unione, nel dolore e nel piacere partoriti. Né io né Te. E io e Te. La nostra opera comune, stupore permanente. Il suo nome è Saggezza.

(Irénée Guilane Dioh)

 

Mc scrive il suo Vangelo per le comunità romane, in un momento in cui sembrava non avessero futuro. Eppure, esse vivevano tale situazione di prova senza strillare.

Nerone iniziò a perseguitare le piccole fraternità nel 64. L’anno successivo scoppiò la rivolta giudaica. Nel breve periodo dei quattro Cesari, a Roma la guerra civile raggiunse il suo apice. Nel 70 Gerusalemme venne rasa al suolo.

Il passaggio di Nazaret - doloroso per lo stesso Gesù - e la descrizione dell’invio dei discepoli, voleva essere di sostegno e luce per i credenti.

Il Figlio di Dio [e in Lui chiunque autenticamente lo testimoni] viene rifiutato dalla propria gente, e quello che prima era il suo paese ora non lo è più.

Non bisogna per questo scoraggiare: i conflitti costringono a stare faccia a faccia con nuovi modi di essere.

Malgrado le difficoltà che in se stesse creerebbero solo trappole emotive, qualsiasi situazione non è priva d’un orientamento e preziosi orizzonti di nuova leggerezza, di possibilità di abbandono che riporta alla vita; soprattutto, di vera Comunione.

Nel rapporto col Padre e le circostanze, nessuno se la cava da solo, magari centrando l’esistenza su traguardi e solo su di sé - o cambiando residenza (v.10) e cercando poi eccessivi mezzi per stabilirsi [col pretesto dell’efficacia].

La testimonianza del Cristo è profonda, e relazionale sino alla convivenza (anche più che sommaria); non individualista: da affrontare mostrando reciprocità, capacità di scambio non alienante - almeno fra due (v.7).

È nel volto di un compagno di viaggio che si riconoscono gli opposti [gli stessi poli che abitano ciascuna anima, nel segreto…].

La mèta poi non è perseguibile se la testa permanesse disintegrata dalle opinioni attorno, e il desiderio privo di qualsiasi principio di trasformazione dei rapporti - espressione dell’Alleanza che ancora suscita collaborazione, spirito di fraternità, cammino.

Quindi “modello”, “principio” di analisi e prognosi per la soluzione dei problemi, e per un futuro di convivenza; attraverso un completamento di ‘lati opposti’ riconosciuti in se stessi [attraverso le microrelazioni].

 

In tutte le religioni l’ideale di perfezione è il raggiungimento della propria purificazione, avanzamento, equilibrio.

Ma non basta questo perché possiamo proclamare che il Regno è venuto! Esso è frutto artigianale, di un percorso svolto come a tappe e tentativi; dell’Amore, nell’Esodo.

In tal guisa, il Risorto ci ha investiti di una forza tranquilla ma irresistibile e palese: la sua Parola efficace.

Verbo che in noi si fa lucidità, carica, impulso, capacità di ascolto [che rimette in piedi; insieme, ci pone in grado di gestire le cose]: una potenza compassionevole mai vista prima.

 

La proposta dei Vangeli presuppone spirito di sobrietà, rischio, empatia regale: così si evangelizzano gli ambienti, trasmettendo passione per la vita e annientando le forze di morte che allontanano dal prossimo.

Avendo fiducia nell’ospitalità e nella condivisione, i nuovi missionari trascurano finalmente le norme di purità religiose (v.8) e mostrano un diverso accesso alla stessa purezza, alle relazioni, all’intimità col Padre.

Dunque, ingredienti essenziali per edificare la comunità altrove [e ovunque] sono: accontentarsi e rinunciare all’ambizione, la compartecipazione anche nella cultura [dando spazio a tutte le intuizioni], famigliarità nei normali lavori e compensi; l’accoglienza degli esclusi.

Come nella mentalità comunitaria semitica, i nuovi ‘inviati’ devono farsi fratelli prossimi, difensori e riscattatori (Go’el) degli emarginati. In tal senso anche noi personifichiamo nella storia e nei contesti la figura del Cristo.

Proteggendo i miseri e bisognosi (v.13), si dispiega l’insegnamento e l’opera di Gesù, che tanto si era profuso per arginare la disintegrazione della vita comunitaria - allora intaccata dal servilismo politico, economico e religioso.

I testimoni hanno occhi non oscurati da consuetudini di pensiero: vedono il divino nell’anima dell’umano apparentemente sommario.

Quindi - evitando l’ambiguità delle ricchezze - i figli di Dio non avrebbero nutrito l’istinto di dominio sugli altri.

Non tutti sentono la vocazione a una rinuncia volontaria, ma ciascuno deve chiedersi se proprio i beni materiali generano quella falsa sicurezza e [di fatto] schiavitù che poi blocca l’inclinazione al servizio.

Purtroppo chi è amico del trionfalismo e possiede in eccesso, facilmente mancherà della cosa principale, caratteristica della credibilità: la fiducia nella Provvidenza - unico spirito che non inficia la situazione.

Tutti i Fondatori hanno avuto la medesima preoccupazione del Signore: non contraddire ciò che si annunziava, e avere un cuore libero.

Il Regno di Dio si fa presente nella sobrietà più che nella dovizia, e nello spirito di amicizia più che nella distinzione: è il nuovo insegnamento della Fede, comparata alle credenze diffuse.

 

In una situazione successiva di quasi tre secoli, che stava iniziando rapidamente a degradare, Ilario di Poitiers denunciava così le seduzioni del potere nei confronti dei responsabili di Chiesa - già costituita - cui volentieri l'ordine antico iniziava a concedere lauti privilegi (per strumentalizzarli):

«Noi non abbiamo un imperatore anticristiano [Costanzo II, figlio di Costantino I]; prima eravamo perseguitati, ma adesso dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più insidioso, contro un nemico che non ci picchia ma ci lusinga, non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni, perché così ci darebbe la vita, ma ci arricchisce, per darci la morte, per farci diventare controtestimonianza evangelica. Non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma ci schiavizza, invitandoci a palazzo e colmandoci di onori. Non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l'anima con il denaro».

Altro che spirito di espropriazione, predicato all’esterno o ai soli sottoposti!

 

A commento del Tao Tê Ching (xx), il maestro Wang Pi riconosce:

«Il Tao, madre che nutre, è il fondamento della vita. Ma tutti gli uomini mettono da un canto il fondamento che fa vivere le genti, ed hanno in pregio le fioriture dell’accessorio e dell’orpello».

Gesù mette in guardia, affinché non lo smentiamo col nostro comportamento arraffone, amante del lusso, pronto sia alle deferenze che ad assecondare i giochi di potere; performante a ogni costo, sempre affannato per il ruolo e i livelli economici.

«Sogno una Chiesa libera e credibile, una Chiesa povera e per i poveri!» - ha sottolineato Papa Francesco subito dopo l’elezione a pontefice.

Certo, il Figlio di Dio sogna una Chiesa povera [non solo ‘dei poveri’] - ma un elemento di opulenza per noi lo concede, anzi lo vuole: che calziamo i sandali (v.9); a quel tempo in Roma segno di libertà e dignità non accattona).

Sì, perché dobbiamo riscoprire l’umano - e camminare molto.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

In che modo partecipi della Missione di Gesù e dei discepoli? Come puoi evitare le chiusure culturali, dottrinali o di carisma (già tutto progettato-regolato), e vivere l’universalità della nuova umanizzazione?

Venerdì, 12 Luglio 2024 06:12

Tirocinio di applausi e successo?

Nel Vangelo di questa domenica, Gesù prende l’iniziativa di inviare i dodici Apostoli in missione (cfr Mc 6,7-13). In effetti il termine «apostoli» significa proprio «inviati, mandati». La loro vocazione si realizzerà pienamente dopo la risurrezione di Cristo, con il dono dello Spirito Santo a Pentecoste. Tuttavia, è molto importante che fin dall’inizio Gesù vuole coinvolgere i Dodici nella sua azione: è una specie di «tirocinio» in vista della grande responsabilità che li attende. Il fatto che Gesù chiami alcuni discepoli a collaborare direttamente alla sua missione, manifesta un aspetto del suo amore: cioè Egli non disdegna l’aiuto che altri uomini possono recare alla sua opera; conosce i loro limiti, le loro debolezze, ma non li disprezza, anzi, conferisce loro la dignità di essere suoi inviati. Gesù li manda a due a due e dà loro istruzioni, che l’Evangelista riassume in poche frasi. La prima riguarda lo spirito di distacco: gli apostoli non devono essere attaccati al denaro e alla comodità. Gesù poi avverte i discepoli che non riceveranno sempre un’accoglienza favorevole: talvolta saranno respinti; anzi, potranno essere anche perseguitati. Ma questo non li deve impressionare: essi devono parlare a nome di Gesù e predicare il Regno di Dio, senza essere preoccupati di avere successo. Successo. Il successo lo lasciano a Dio

La prima Lettura proclamata ci presenta la stessa prospettiva, mostrandoci che gli inviati di Dio spesso non vengono accolti bene. Questo è il caso del profeta Amos, mandato da Dio a profetizzare nel santuario di Betel, un santuario del regno d’Israele (cfr Am 7,12-15). Amos predica con grande energia contro le ingiustizie, denunciando soprattutto i soprusi del re e dei notabili, soprusi che offendono il Signore e rendono vani gli atti di culto. Perciò Amasia, sacerdote di Betel, ordina ad Amos di andarsene. Egli risponde che non è stato lui a scegliere questa missione, ma il Signore ha fatto di lui un profeta e lo ha inviato proprio là, nel regno d’Israele. Pertanto, sia che venga accettato sia che venga respinto, egli continuerà a profetizzare, predicando ciò che Dio dice e non ciò che gli uomini vogliono sentirsi dire. E questo rimane il mandato della Chiesa: non predica ciò che vogliono sentirsi dire i potenti. Il suo criterio è la verità e la giustizia anche se sta contro gli applausi e contro il potere umano.

Similmente, nel Vangelo, Gesù avverte i Dodici che potrà accadere che in qualche località vengano rifiutati. In tal caso dovranno andarsene altrove, dopo aver compiuto davanti alla gente il gesto di scuotere la polvere sotto i piedi, segno che esprime il distacco in due sensi: distacco morale – come dire: l’annuncio vi è stato dato, siete voi a rifiutarlo – e distacco materiale – non abbiamo voluto e non vogliamo nulla per noi (cfr Mc 6,11). L’altra indicazione molto importante del brano evangelico è che i Dodici non possono accontentarsi di predicare la conversione: alla predicazione si deve accompagnare, secondo le istruzioni e l’esempio Gesù, la cura dei malati. Cura dei malati corporale e spirituale. Parla delle guarigioni concrete delle malattie, parla anche dello scacciare i demoni cioè purificare la mente umana, pulire, pulire gli occhi dell’anima che sono oscurati dalle ideologie e perciò non possono vedere Dio, non possono vedere la verità e la giustizia. Questa duplice guarigione corporale e spirituale è sempre il mandato dei discepoli di Cristo. Quindi la missione apostolica deve sempre comprendere i due aspetti di predicazione della parola di Dio e di manifestazione della sua bontà con gesti di carità, di servizio e di dedizione.

[Papa Benedetto, Frascati 15 luglio 2012]

Venerdì, 12 Luglio 2024 06:07

Scossi da un’ansia nuova

Non sfugge a nessuno un segno della nuova epoca missionaria che la Chiesa attende e prepara: le Chiese locali, antiche e nuove, sono vivificate e scosse da un’ansia nuova, quella di trovare forme d’azione specificatamente missionarie con l’invio dei propri membri alle genti, o in proprio o affiancandosi alle Istituzioni missionarie. La missione evangelizzatrice “spettante (appunto) a tutta quanta la Chiesa” è sempre più sentita come impegno diretto delle Chiese locali che perciò donano ai campi di missione i loro sacerdoti, religiosi, religiose e laici. Bene Papa Paolo VI ha visto e descritto: “Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa... Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno di essere evangelizzata se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo”.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 23 maggio 1979]

Venerdì, 12 Luglio 2024 05:59

Missionario, non divo in tournée 

Il Vangelo di oggi (cfr Mc 6,7-13) narra il momento in cui Gesù invia i Dodici in missione. Dopo averli chiamati per nome ad uno ad uno, «perché stessero con lui» (Mc 3,14) ascoltando le sue parole e osservando i suoi gesti di guarigione, ora li convoca di nuovo per «mandarli a due a due» (6,7) nei villaggi dove Lui stava per recarsi. E’ una sorta di “tirocinio” di quello che saranno chiamati a fare dopo la Risurrezione del Signore con la potenza dello Spirito Santo.

Il brano evangelico si sofferma sullo stile del missionario, che possiamo riassumere in due punti: la missione ha un centro; la missione ha un volto.

Il discepolo missionario ha prima di tutto un suo centro di riferimento, che è la persona di Gesù. Il racconto lo indica usando una serie di verbi che hanno Lui per soggetto – «chiamò a sé», «prese a mandarli», «dava loro potere», «ordinò», «diceva loro» (vv. 7.8.10) –, cosicché l’andare e l’operare dei Dodici appare come l’irradiarsi da un centro, il riproporsi della presenza e dell’opera di Gesù nella loro azione missionaria. Questo manifesta come gli Apostoli non abbiano niente di proprio da annunciare, né proprie capacità da dimostrare, ma parlano e agiscono in quanto “inviati”, in quanto messaggeri di Gesù.

Questo episodio evangelico riguarda anche noi, e non solo i sacerdoti, ma tutti i battezzati, chiamati a testimoniare, nei vari ambienti di vita, il Vangelo di Cristo. E anche per noi questa missione è autentica solo a partire dal suo centro immutabile che è Gesù. Non è un’iniziativa dei singoli fedeli né dei gruppi e nemmeno delle grandi aggregazioni, ma è la missione della Chiesa inseparabilmente unita al suo Signore. Nessun cristiano annuncia il Vangelo “in proprio”, ma solo inviato dalla Chiesa che ha ricevuto il mandato da Cristo stesso. È proprio il Battesimo che ci rende missionari. Un battezzato che non sente il bisogno di annunciare il Vangelo, di annunciare Gesù, non è un buon cristiano.

La seconda caratteristica dello stile del missionario è, per così dire, un volto, che consiste nella povertà dei mezzi. Il suo equipaggiamento risponde a un criterio di sobrietà. I Dodici, infatti, hanno l’ordine di «non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura» (v. 8). Il Maestro li vuole liberi e leggeri, senza appoggi e senza favori, sicuri solo dell’amore di Lui che li invia, forti solo della sua parola che vanno ad annunciare. Il bastone e i sandali sono la dotazione dei pellegrini, perché tali sono i messaggeri del regno di Dio, non manager onnipotenti, non funzionari inamovibili, non divi in tournée. Pensiamo, ad esempio, a questa Diocesi della quale io sono il Vescovo. Pensiamo ad alcuni santi di questa Diocesi di Roma: San Filippo Neri, San Benedetto Giuseppe Labre, Sant’Alessio, Santa Ludovica Albertini, Santa Francesca Romana, San Gaspare Del Bufalo e tanti altri. Non erano funzionari o imprenditori, ma umili lavoratori del Regno. Avevano questo volto. E a questo “volto” appartiene anche il modo in cui viene accolto il messaggio: può infatti accadere di non essere accolti o ascoltati (cfr v. 11). Anche questo è povertà: l’esperienza del fallimento. La vicenda di Gesù, che fu rifiutato e crocifisso, prefigura il destino del suo messaggero. E solo se siamo uniti a Lui, morto e risorto, riusciamo a trovare il coraggio dell’evangelizzazione.

La Vergine Maria, prima discepola e missionaria della Parola di Dio, ci aiuti a portare nel mondo il messaggio del Vangelo in una esultanza umile e radiosa, oltre ogni rifiuto, incomprensione o tribolazione.

[Papa Francesco, Angelus 15 luglio 2018]

XV Domenica del tempo Ordinario - anno B (14.07.2024)

1. ”Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due” . Ogni evangelista racconta la scelta e la missione degli apostoli: questa domenica è San Marco a narrare l’inizio del mandato missionario dei Dodici scelti fra i discepoli (Luca ne enumera 72) e formati da Gesù tenendoli accanto a sé. Ora però è il tempo di andare in missione, ma per essere apostoli occorre imparare a restare discepoli e il discepolo è colui che non si stanca di apprendere dal maestro Gesù l'arte di evangelizzare. Non si impara in poco tempo e la prima condizione che poi diventerà permanente è proprio quella di non staccarsi mai da Gesù, l’unico vero Maestro. In effetti soltanto restando discepolo di Gesù, l’apostolo può svolgere la missione di annunciarne e testimoniarne il vangelo. Missionari non sono solo gli apostoli, bensì ogni battezzato secondo la propria specifica vocazione e carisma e la ricchezza del cristianesimo è la molteplicità delle vocazioni al servizio dell’unica causa: il Regno di Dio. Il rischio è quello di voler essere apostoli senza restare discepoli. La Chiesa primitiva ha conosciuto una rapida diffusione a macchia d'olio grazie al fatto che i dodici apostoli non hanno dimenticato che Gesù li aveva scelti perché stessero con lui e per poi andare a proclamare il vangelo con il potere di scacciare i demoni: “dava loro il potere sugli spiriti impuri”. Tre soltanto le consegne che affida loro: andare insieme due a due, trattenere per sé lo stretto necessario e non lasciarsi spaventare da inevitabili persecuzioni. Li invia due a due perché nella cultura ebraica e nella mentalità del tempo per essere accettabile una testimonianza doveva essere di almeno due persone (cf. Dt 19,15) e siccome evangelizzare è rendere testimonianza a quanto Gesù ha detto e fatto, non può essere il compito d’un solo individuo. Dopo la Pentecoste gli apostoli proseguiranno con questo stile: Pietro e Giovanni insieme predicano nel tempio di Gerusalemme (At.1); Paolo e Barnaba saranno insieme in Siria e in Asia Minore (At 13-15) e pure dopo la loro separazione Paolo continuerà la sua missione con Silla (At 16-17) mentre Barnaba prenderà con sé Marco. In secondo luogo chiede loro di accontentarsi dello stretto necessario: solo un bastone, niente cibo, né sacca, né denaro, un paio di sandali e nessuna tunica di ricambio. Inizia così il lungo cammino della Chiesa e per proseguirlo fedelmente occorre agilità di movimento, disponibilità assoluta al servizio del vangelo e distacco da tutto: ecco condizioni valide, anzi indispensabili per ogni evangelizzatore per né cedere ai compromessi con il mondo, né lasciarsi impressionare dalle persecuzioni che incontreranno. Gli apostoli erano stati testimoni del fallimento di Gesù a Nazaret (Mc.6,1-6) e avranno modo di ricordarsene quando dovranno affrontare la stessa sorte a causa dell’ostinata opposizione degli scribi e dei farisei e poi nelle persecuzioni che seguiranno.

2. E’ proprio vero: l’opposizione e persino la persecuzione sono il destino dei discepoli di Cristo come lo fu dei profeti nell’Antico Testamento. Nella prima lettura oggi incontriamo il profeta Amos rigettato da Amasias, sacerdote di Betel, dopo qualche mese di predicazione: ”Vattene, veggente” (7, 12) e pur ostacolato, continuerà instancabile nella sua contrariata missione.  Come lui tutti i profeti subirono la medesima sorte e Gesù l’ha provata come domenica scorsa raccontava l’evangelista Marco: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. Chiunque decide di convertirsi a Cristo e intende essere suo apostolo occorre che si prepari a sperimentare le stesse opposizioni e perfino il rigetto totale. Una domanda sorge allora spontanea: “Perché la predicazione dell’amore e del perdono di Dio aperto a tutti, che sintetizza l’annuncio del vangelo, incontra sempre incomprensioni e opposizioni?”. Non si dimentichi che Gesù “da agli apostoli potere sugli spiriti impuri”: quando si annuncia l’amore gratuito di Dio si scatena l’odio di satana che in modi diversi confonde l’animo umano. Annebbia la mente e la inquina con le idee più diverse su Dio, come leggiamo ad esempio nel libro dell’Esodo: “Il Signore disse a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice” (Es.32,7-14), ma soprattutto indurisce il cuore. Per non cedere allo scoraggiamento è utile avere sempre davanti agli occhi l’immagine di Gesù crocifisso e pensare ai tanti martiri che ne hanno seguito le orme, mentre a tutti il Signore continua a ricordare: “Chi non prende la propria croce e non mi segue non è degno di me (Mt 10,37-42).

3. Accanto a molti che aprono il cuore al vangelo ci sono altri che rifiutano e Gesù in proposito non invita a reagire con violenza e disprezzo, ma a rispettare la libertà non forzando nessuno. Dice infatti: “Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro”. Scuotere la polvere dai piedi: come interpretare questo gesto che deve diventare per la gente una testimonianza?  Così spiega Benedetto XVI: “Gesù avverte i Dodici che potrà accadere che in qualche località vengano rifiutati. In tal caso dovranno andarsene altrove, dopo aver compiuto davanti alla gente il gesto di scuotere la polvere sotto i piedi, segno che esprime il distacco in due sensi: distacco morale – come dire: l’annuncio vi è stato dato, siete voi a rifiutarlo – e distacco materiale – non abbiamo voluto e non vogliamo nulla per noi (cfr Mc 6,11)” (Santa messa Frascati 15 luglio 2012).  Insomma, Gesù invita a non cedere allo scoraggiamento davanti alle sconfitte, ma a ricominciare camminando sempre con i piedi liberati persino dalla polvere. Se è vero che  si incontrano cuori induriti e ostili, le spirituali soddisfazioni sono molte di più e la crescita delle comunità cristiane è prova della potenza di Cristo risorto. Già dall’inizio, negli Atti degli Apostoli, si narra di persone che ovunque hanno aperto la casa e il cuore ai predicatori del vangelo e il flusso dell’evangelizzazione ha proseguito inarrestabile nel corso dei secoli. Scrive il cardinale Carlo Maria Martini: “Appoggiatevi al Vangelo, affidatevi al Vangelo. La parola «fede», nella sua lunga storia – nell’Antico Testamento, nella Bibbia, nella versione ebraica della Scrittura – rappresenta la situazione di chi si affida, di chi appoggia su una roccia, di chi si sente saldo perché è appoggiato a qualcuno molto più forte di lui.” (6° incontro della scuola della Parola, 6,11,1980)

+ Giovanni D’Ercole

 

P.S. Dinanzi a chi preconizza in ogni tempo la morte della Chiesa, san John Henry Newman, cardinale inglese convertito al cattolicesimo e canonizzato da Papa Francesco, scrive: “La Chiesa possiede questo privilegio speciale, che nessun’altra religione ha: quello di sapere che, essendo stata fondata nella prima venuta di Cristo, non scomparirà prima del suo ritorno. In ogni generazione, però, sembra che soccomba e che i suoi nemici trionfino. La lotta tra la Chiesa e il mondo ha questo di particolare: il mondo sembra sempre vincere, ma di fatto è lei che vince. I suoi nemici trionfano costantemente, dicendola vinta; i suoi membri perdono spesso la speranza. Ma la Chiesa resta!” (Cf. Sermoni sui temi del giorno, nº 6, Fede ed Esperienza, 2.4)

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We see this great figure, this force in the Passion, in resistance to the powerful. We wonder: what gave birth to this life, to this interiority so strong, so upright, so consistent, spent so totally for God in preparing the way for Jesus? The answer is simple: it was born from the relationship with God (Pope Benedict)
Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio (Papa Benedetto)
Christians are a priestly people for the world. Christians should make the living God visible to the world, they should bear witness to him and lead people towards him (Pope Benedict)
I cristiani sono popolo sacerdotale per il mondo. I cristiani dovrebbero rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarLo e condurre a Lui (Papa Benedetto)
Christ says: the kingdom of heaven is similar "to a net thrown into the sea, which gathers all kinds of fish" (Mt 13:47). These simple words completely change the physiognomy of the world: the physiognomy of our human world, as we make it [Pope John Paul II]
Cristo dice: il regno dei cieli è simile “a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci” (Mt 13,47). Queste semplici parole mutano completamente la fisionomia del mondo: la fisionomia del nostro mondo umano, come noi ce la facciamo [Papa Giovanni Paolo II]
The discovery of the Kingdom of God can happen suddenly like the farmer who, ploughing, finds an unexpected treasure; or after a long search, like the pearl merchant who eventually finds the most precious pearl, so long dreamt of (Pope Francis)
La scoperta del Regno di Dio può avvenire improvvisamente come per il contadino che arando, trova il tesoro insperato; oppure dopo lunga ricerca, come per il mercante di perle, che finalmente trova la perla preziosissima da tempo sognata (Papa Francesco)
Many situations, then, which unfortunately do not conform to the legitimate predictions and rules established, are anything but negative; and instead of taking away confidence for the harassment they cause, They should have it more generous and far-sighted in favor of their process of responsible decantation (Pope Paul VI)
Molte situazioni, poi, che non sono purtroppo conformi alle legittime previsioni e alle norme stabilite, sono tutt’altro che del tutto negative; e invece di togliere la fiducia per la molestia che arrecano, esse dovrebbero averla più generosa e lungimirante in favore del loro processo di responsabile decantazione (Papa Paolo VI)
Christ is not resigned to the tombs that we have built for ourselves (Pope Francis)
Cristo non si rassegna ai sepolcri che ci siamo costruiti (Papa Francesco)
In recounting the "sign" of bread, the Evangelist emphasizes that Christ, before distributing the food, blessed it with a prayer of thanksgiving (cf. v. 11). The Greek term used is eucharistein and it refers directly to the Last Supper, though, in fact, John refers here not to the institution of the Eucharist but to the washing of the feet [Pope Benedict]
Narrando il “segno” dei pani, l’Evangelista sottolinea che Cristo, prima di distribuirli, li benedisse con una preghiera di ringraziamento (cfr v. 11). Il verbo è eucharistein, e rimanda direttamente al racconto dell’Ultima Cena, nel quale, in effetti, Giovanni non riferisce l’istituzione dell’Eucaristia, bensì la lavanda dei piedi [Papa Benedetto]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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