don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Casa sulla Roccia o praticanti di cose vane

(Mt 7,21-29)

 

Papa Francesco ha affermato: «Dio per donarsi a noi sceglie spesso delle strade impensabili, magari quelle dei nostri limiti, delle nostre lacrime, delle nostre sconfitte».

 

Il Richiamo del Signore non è manicheo, bensì profondo.

Il nostro comportamento ha radici affascinanti. Luci e ombre del nostro essere permangono in relazione dinamica.

Talora però i nostri disagi o storture sono il frutto di un eccesso di “luce” - disancorato dal suo opposto. 

Tale eccesso si associa volentieri alla pretesa di esorcizzare l’aspetto buio in noi, che vorremmo celare per motivi sociali.

Ci sembra che il biglietto da visita debba essere riflesso solo del nostro aspetto brillante, sciolto, serio, e performante.

Magari, uno stile morale tutto d’un pezzo - almeno a prima vista.

Chi si affeziona al suo lato luminoso e addirittura tenta di promuoverlo per motivi di look (anche ecclesiale), di cultura affermata, di abitudine (anche religiosa) , rischia però di potenziare la  controparte.

Attenzione: in ciascun uomo c’è sempre un versante che fa cilecca, che non ce la fa; e non unilaterale.

Forse proprio in chi predica il bene esiste il pericolo più accentuato di trascurare il suo opposto compresente - che prima o poi irromperà, troverà il suo spazio.

Facendo saltare tutto il castello di carte. Ma per realizzare qualcosa di alternativo e assolutamente non artificioso.

 

Per chi intraprende un cammino di “perfezione”, la sua stessa controparte sembra solo un pericolo.

E condizionati dai modelli, continuiamo a recitare [la “nostra” parte già identificata].

Eppure nel lato oscuro si celano risorse che il lato in sola luce non ha.

Nel lato oscuro leggiamo il nostro seme caratteriale.

Qui c’è la terapia e la guarigione dai disagi che ci affrettiamo a celare (in famiglia, con gli amici, in comunità, sul lavoro).

Gli aspetti oscuri [egoismo, freddezza, chiusura, introversione, tristezza] si annidano dentro; inutile negarlo.

Vale la pena piuttosto considerarli fonte di energie primordiali caratterizzanti.

È infatti il nascondimento - talora la depressione stessa - che ci fa pescare soluzioni inimmaginabili.

Come fossimo un grano piantato in terra, che vuole la sua esistenza. E vuole infine vita naturale, che sviluppi le sue capacità.

Proprio le emozioni che non piacciono e noi stessi detestiamo - come la terra infangata e buia - ci riconnettono con la nostra essenza profonda.

Insomma, gli stati emotivi poco simpatici saranno il pozzo dal quale giungono a noi altre idee, altre “immagini” guida, nuove intuizioni; diversa linfa. E i cambiamenti.

La luce non possiede tutte le possibilità, tutte le dinamicità. Anzi, non di rado sembra declinata [dalle stesse tradizioni] in modo fittizio, riduttivo.

Nel chiaroscuro, viceversa, non fingiamo più. Perché è il fondamento della casa dell’anima.

 

Tutto ciò consideriamo, per un’armonia solida, che nasca dal di dentro.

Paradossi della Vocazione personale: se non la seguissimo a tutto tondo, continueremmo a ricalcare idee sbagliate, o stili altrui.

E ci ammaleremmo. Il male prenderà il sopravvento.

Se strutturati su una identità astratta, locale, o fasulla, qui sì che la bufera potrebbe distruggere tutto.

Nei nostri tentativi ed errori, accanto dobbiamo tenere tutti gli aspetti - che nel corso del tempo abbiamo imparato a conoscere, e ci siamo resi conto che sono parte di noi.

Questo cambierà la solidità di rapporto con noi stessi, gli altri, la natura, la storia, e il mondo.

 

La sintonia tra condotta e intenzione del cuore supera l'ipocrisia, ma la conformità tra Parola e vita non si allestisce esercitandosi negli automatismi, né consegnandosi a convinzioni altrui.

Nel post-lockdown ce ne stiamo accorgendo nitidamente.

Un tempo si pensava che la formazione (in specie dei giovani) cesellasse anche l’anima, e tutto sfociasse naturalmente nelle scelte; nei mezzi, nei risultati, nelle opere esterne, e persino nei sogni: “Dimmi ciò che fai e ti dirò chi sei”.

Invece la sintonia qualitativa con il Mistero e la Parola del Cristo non la si ottiene allestendo, bensì la si trova dentro (ciascuno di noi) enigmaticamente, e a partire dagli abissi - come puro Dono segreto, per l’indipendenza creativa.

Fretta, timore di fallire, cultura della concatenazione e stabilità, propositi (anche “spirituali”) o viceversa lusinghe di tranquillità; mire, smanie di essere riconosciuti, mancanza di distacco, ambizione, paura di essere esclusi, difficoltà a spostare lo sguardo... portano all’ignoranza del Mistero.

Privi di spessore, saremo condannati a non scavare sino in fondo neppure dentro noi stessi; in balia perenne dei ruoli particolari, di ambiti e dei suoi eventi; delle relazioni occasionali o locali.

I costruttori frettolosi si accontentano di edificare direttamente sul terreno; badando solo a quanto si vede e sperimentano (su due piedi). Non scavano la casa sino al sodo - nel profondo, nell’oro di sé.

Nel mondo interiore e nella sua potenza nascosta tutto si rovescia: il primato è della Grazia, che spiazza, perché tiene conto solo della realtà essenziale, inspiegabile - e della nostra dignitosa autonomia.

Il resto sarà purtroppo destinato a crollare rovinosamente, perché non rimane fondato sulla Parola, sul carattere (pur magmatico, ma fortemente potenziale)… né sul rapporto vocazionale con Dio e le cose, o sulla più genuina comunione (convivialità e ricchezza condivisa delle differenze).

 

Viviamo una lacerazione, anche nel tempo dell’emergenza: il mondo interiore è più forte e convincente, eppure l’esteriorità non vuole cedere il passo dei traguardi immediati. Infatti ne siamo ancora attratti.

Ma questi ultimi sappiamo bene che non riattivano alcuna tappa di peso specifico, come invece spontaneamente fa il nostro giovane essere interiore - quasi un Bimbo che portiamo in gestazione.

In genere, anche nel cammino “spirituale” subito precipitiamo nel personaggio ambìto che vorremmo essere: qui non si cresce, non ci si accende che per delle futilità, né ci s’accorge che non sono esse le nostre “proprietarie”.

Certo, il traguardo esteriore immediato non soffre l’attesa della lunga necessaria evoluzione del dover partorire se stessi (perfino nell’angoscia e solitudine) tappa dopo tappa; che si attiva e riattiva senza comfort e sicurezze.

Eppure siamo nati per spiccare il volo, non per ricalcare e diventare fotocopie nell’anima.

Così tutto ciò che vale sarà nell’oscillazione, perché un percorso di peso specifico personale si configura secondo il dono della nostra eccezionalità.

E l’Unicità si potrà ottenere nel processo di ogni nostro lato, d’ogni versante della personalità - anche apparentemente meschina o sommaria; anche poco lusinghiera dal punto di vista della tranquillità religiosa (che pure avrà avuto il suo valore).

 

Gesù non intende distinguere i buoni dai cattivi [cf. vv.15-20 e passo parallelo di Lc 6,43-45] in modo banale: vuole che viviamo appieno, nell’unicità integrale, e percepiamo bene.

Il Signore non propone un destino imprigionato; piuttosto, un ribaltamento di senso.

Il suo è un monito ad acuire lo sguardo, e posarlo dentro - non lasciarlo fuori, a osservare risultati effimeri, quelli da ovvietà e clamore; e poi basta, non vivere troppi scossoni… come fossimo in una zona relax.

L'Unità di misura in Cristo non è l’immediatamente percepibile all’occhio, e non è in sé neppure il “progredire”, bensì: «il valore di ogni parte».

 

Proprio la consapevolezza di limite diventa in noi principio trasformativo. E ogni imperfezione chiama all’Esodo.

Rinnegare i propri confini significa lasciarsi sequestrare da opinioni comuni, prive di Mistero - con orizzonti ridotti a una “parola” sola.

È ad es. la forte crisi che stimola il rivolgimento d’un sistema (anche economico) appariscente ma competitivo e disumanizzante, dai principi intimi corrotti - sebbene un tempo ci apparissero come degli assoluti.

Perché non accontentarsi, se grosso modo ce la caviamo? Perché l’identificazione forzata ha tolto Libertà, anche quella di ammettere che siamo fatti di luci e ombre.

Non è il disturbo che priva donne e uomini di emancipazione vocazionale eloquente.

Anche ciascuno che si batte il petto, lo fa in modo particolare; e si riconosce in simbiosi col proprio Nome.

Poi ad ogni età della vita - come a ciascuna era - tocca il suo “peccato”, che non è un mostro bensì un sintomo che parla proprio della Chiamata personale, morale, culturale, sociale.

Anche se non piacesse, l’oscillazione va compresa, non criticata e accusata.

Direi addirittura accolta e rielaborata - non semplicisticamente rifiutata, con atteggiamenti di artificiosa lontananza o gesti di ambigua virtù, che rendono esterni e fanno tornare al punto di partenza.

 

Oggi la mancanza di vita completa e relazioni belle, il rivolgimento generale, l’inquietudine dell'anima - il nervosismo, l’insoddisfazione - costringono ad abbandonare sia le antiche e fascinose sicurezze devote, che le sofisticazioni disincarnate “à la page”.

Tutto in favore delle situazioni concrete e personali, nell’orizzonte della vocazione irripetibile e del balzo di Fede che apre alla convivenza.

«L’acqua troppo pura non ha pesci» [Ts’ai Ken T’an].

Accettarsi senza riserve c’introdurrà in un’esperienza vertiginosa, da stupore: con lo sbalordimento prodotto dal recupero dei lati compresenti, opposti e in ombra. Tanti quanti i fratelli e sorelle.

Forse constateremo che sono essi i più attivanti e fecondi.

Non l'etica della perfezione e delle distinzioni omologate, bensì il vituperato caos e i nostri demoni interiori diventeranno paradossalmente i migliori compagni di cammino, e gli unici veri; corifei di una stupefacente Missione.

 

Del resto,le opere sono frutto dei nostri pensieri e desideri. Questi ultimi scaturiscono certo anche da una buona, variegata formazione, ma non in senso meccanico.

È fondamentale anche qui non essere sventati. Un cattivo discernimento annienta l’autentica Roccia, che coincide con la propria Guida spontanea alla completezza.

Fondamento stabile del nostro itinerario è la Libertà di accogliere e la Libertà di corrispondere all’irripetibile carattere - proprio - dell’istinto a realizzarci.

Infatti Gesù si distacca non solo dalla religione antica, ma persino dai filoni messianici - piuttosto crudi - dei primi tempi (es. Gc 3,11-12).

Non per questo il Maestro rinnega lo spirito profondo delle Sacre Scritture antiche, anzi ne coglie il cuore: Qo 3,14; 7,13-18; Sir 37,13-15 [e tanti altri passi (incredibili per la mentalità in cui siamo stati educati)].

Quindi non basta dire: «Signore, Signore» (vv.21-22). Non è sufficiente riconoscere formalmente il Figlio di Dio.

Bisogna vagliare il suo Richiamo nell’essere, farlo proprio e comprenderlo appieno, affinché non venga corrotto e deturpato in forme inessenziali, di puerile conformismo esterno.

 

Nell’insicurezza, molta gente domanda espressioni di potenza, cerca la forza palese; si accontenta dei paradigmi morali, guarda forme di assicurazione immediata, o brama guide rinomate (che perpetuino e confortino il loro sentiero difensivo).

Illusioni paralizzanti… anche nel cammino di Fede.

Su questa strada non si costruisce la felicità prevista, né solidità alcuna, bensì giorno dopo giorno la propria tristezza - com’è palese da troppe vicende, infine dalle più occulte forme di compensazione (oggi smascherate).

Non c’è guru che possa rimettere le cose a posto in radice.

Il nostro Seme è ciò che è: bisogna scoprirne le virtù, anche e soprattutto quelle inattese - che derivano dall’essenza e da forme magmatiche e plastiche di energie persino contrapposte.

Inutile “curarsi” secondo una omologazione conforme che non appartiene al Nucleo personale.

L’anima ha una vita autonoma, sospensiva dei contesti, delle distanze; esiste dentro e anche fuori dello scandire del tempo - come l’Amore. 

Ognuno è una molteplicità di volti coesistenti - cui dare spazio per una maggiore completezza.

Questo conta, e allearsi coi propri limiti: abbracciare ciò che l’ambiente circostante o il paradigma culturale convenzionalista - il quale difende il suo territorio - ritiene magari inconcludente (così via).

Presidiamo altri confini.

Ciò che non piace è forse la nostra parte migliore.

In ogni caso, dar voce alle tensioni significa poter finalmente denominarle, ospitarle degnamente - affinché dispongano gioie più complete.

E lascino varcare la soglia della letizia di vivere, quindi dell’autentica affidabilità.

Spazzando via l’ansia dell’imperfezione, troveremo una più armonica fermezza, energetica.

Accogliendo le fragilità insieme alle ribellioni, non vivremo a metà; anzi, faremo esperienza di pienezza di essere (vitale e scattante).

Non sentendoci sempre intrappolati, potremo volar via.

Ma che certe situazioni tranquille siano ristrettezze contraffatte e tagliole dell’anima, possiamo accorgercene subito: nei disagi radicali, che affiorano.

 

Molti continuano invano a cercare futili conferme: nella ricerca di doni straordinari o nella meticolosità delle osservanze.

Tuttavia non è questa la pedagogia che educa e lancia la vita nello Spirito fuori da meccanismi estrinseci.

Né per vincere davvero le tormente basta “fare la volontà di Dio” (in modo disciplinato ma) senza consapevolezze amicali con noi stessi.

Nessuna forma di esteriorità inculcata potrà convincerci.

Tantomeno, farci diventare «roccia» - o piccolo baluardo - per persuadere, capacitare, rafforzare altri.

 

La differenza tra religiosità comune e Fede personale?

La Vita nella condizione umanizzante e divina di preziosità apre percorsi variegati - di abisso perfino, ma colmi di esperienze interiori; di ricerca e scoperte inimmaginabili, ove possiamo essere noi stessi.

Nella sfera di Fede non esistono più sacri tempi, luoghi, saperi, modelli - tutti epidermici, se ingessati - che non siano anche inediti e personali.

L’unione col Signore, Roccia da cui siamo stati come tagliati ed estratti, non è un binario né un solco, bensì un’opzione fondamentale.

Essa lascia briglie sciolte sull’inclinazione e colore particolari di ciascuno.

 

Con l’intero Discorso della Montagna - qui agli sgoccioli - Gesù punta a suscitare nelle persone una coscienza critica riguardo a soluzioni banali ed esterne. Cosa comune fra i leaders della religiosità popolare e ufficiale antica.

Per edificare un nuovo Regno non bastano le pubbliche liturgie sovrabbondanti di bei segni col giusto credo, e ossequi sociali clamorosi - neppure i doni più appariscenti.

Falsa sicurezza è quella di chi professa… ma compie atti solo conformi e riflette idee allineate - quindi si sente a posto.

Non c’è malato o recluso peggiore di colui che si ritiene sano, arrivato e non contagiato: solo qui non c’è terapia, né rilancio.

Lo si vedrà nel momento della tormenta, quando sarà evidente la necessità di tradurre in vita il rapporto personale col Signore, a partire da se stessi e dalla capacità di accogliere l’azzardo dell’Amore.

I meriti non radicati nelle convinzioni intimamente salde - gesti prodotti d’intrigo, calcolo e atteggiamenti artificiosi - non reggeranno il turbine della prova.

 

«Praticanti di cose vane» ossia inconsistenti [è il senso del testo greco che introduce il passo di Vangelo (v.23)] sono gli alfieri d’una spiritualità vuota, che malgrado la vernice, con lati anche spettacolari, nulla hanno a che fare con Dio.

Secondo convenienza, i “maestri” che si frappongono al percorso dei risvolti personali sembrano disposti a rimangiarsi qualsiasi adesione, tramando il rovescio dei loro stessi proclami - perché prigionieri in merito (invece di come appaiono: condottieri).

Non rivelano ancora il Volto divino, bensì un contrario qualunquista e calcolante.

Campano per tirare avanti - insieme al club cui sono iscritti - e ottenere solo riconoscimenti immediati, ossequi, elemosine di consenso attorno.

E ciò malgrado le grandi discipline di censura che propugnano:

Non correggono la separazione fra insegnare e impegno personale: magari predicano tutti i giorni il Dio vero e (sempre) grandi cose - ma come per mestiere.

Gl’intriganti moltiplicano formule e gesti simbolici, al pari di droghe soporifere… ma sono i primi a non credere a ciò che dicono e a più riprese impongono agli altri.

Pieni di ottuse pretese sulla gente, non comprendono il Padre, Dio dei disperati, esiliati e derisi, che risuscita i non eletti - i privati di futuro; non gli assicurati a vita, comandati dal tornaconto e dall’apparire.

 

Ci sono fondamenta dietro una facciata di farfalle? Lo si capisce nella bufera, e se si diventa «roccia» anche per gli invisibili - non turisti dello “spirito” che lodano lodano e non rischiano.

Pertanto la sicurezza non viene dall’adeguarsi a costumanze e adempimenti, né da quel farsi ammirare (almeno) al pari di altri. Fiction che rende insana la Casa comune.

Nostro specifico e cifra della Fede non è un’identità “culturale” tratta da protocolli o maniere - trama che gioca sulle apparenze e non sull’unico punto forte: l’attitudine dei pellegrini in Cristo.

Siamo saldi solo nella dignità sacerdotale profetica regale, ch’è data in Dono irripetibile e mai sarà frutto del derivare dal consenso.

Né dell’apparire, del dire e non dire, del costruirsi; dell’adeguarsi alle forze in campo, dell’arrabattarsi per galleggiare.

Viviamo per seguire una Vocazione profonda: Radice, Molla e Motore delle nostre fibre intime; apparentata ai sogni e alla naturalezza di ciascuno.

 

Solo affidarsi all’anima è piattaforma autentica, vera salvezza e medicina.

La Missione giungerà alle periferie esistenziali, partendo dal Nucleo.

 

Sembra insensato, paradossale, incredibile, ma per ogni Chiamato la Roccia sulla quale può edificare il suo modo di scendere in campo è la Libertà.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quando la tormenta urterà la tua casa, immagini una caduta grande? Qual è la roccia su cui è costruita la tua comunità? È interessata alla tua naturalezza o vuole omologarti?

Conosci persone dalla forte attività profetica, apostolica o taumaturgica, che danno la sensazione d’una famigliarità con Dio solo straordinaria o di circostanza, forse apparente?

Qual è il motivo, secondo te? Pensi che si siano davvero mai arresi a se stessi e alla quintessenza della propria Chiamata per Nome?

Martedì, 25 Giugno 2024 05:56

Il desiderio di una Casa

Cari giovani amici,

vi porgo il mio cordiale benvenuto! La vostra presenza mi rallegra. Sono grato al Signore per questo incontro con il calore della vostra cordialità. Sappiamo che "dove due o tre sono uniti nel nome di Gesù, Egli è in mezzo a loro" (cfr Mt 18, 20). Ma voi siete qui oggi ben più numerosi! Ringrazio per questo ciascuno e ciascuna di voi. Gesù dunque è qui con noi. Egli è presente tra i giovani della terra polacca, per parlare loro di una casa, che non crollerà mai, perché edificata sulla roccia. È la parola  evangelica  che  abbiamo poc'anzi ascoltato (cfr Mt 7, 24-27).

Nel cuore di ogni uomo c'è, amici miei, il desiderio di una casa. Tanto più in un cuore giovane c'è il grande anelito ad una casa propria, che sia solida, nella quale non soltanto si possa tornare con gioia, ma anche con gioia si possa accogliere ogni ospite che viene. È la nostalgia di una casa nella quale il pane quotidiano sia l'amore, il perdono, la necessità di comprensione, nella quale la verità sia la sorgente da cui sgorga la pace del cuore. È la nostalgia di una casa di cui si possa essere orgogliosi, di cui non ci si debba vergognare e della quale non si debba mai piangere il crollo. Questa nostalgia non è che il desiderio di una vita piena, felice, riuscita. Non abbiate paura di questo desiderio! Non lo sfuggite! Non vi scoraggiate alla vista delle case crollate, dei desideri vanificati, delle nostalgie svanite. Dio Creatore, che infonde in un giovane cuore l'immenso desiderio della felicità, non lo abbandona poi  nella faticosa costruzione di  quella  casa che si chiama vita.

Amici miei, una domanda si impone: "Come costruire questa casa?". È una domanda che sicuramente si è già affacciata molte volte al vostro cuore e che ancora tante volte ritornerà. È una domanda che è doveroso porre a se stessi non una volta soltanto. Ogni giorno deve stare davanti agli occhi del cuore: come costruire quella casa chiamata vita? Gesù, le cui parole abbiamo ascoltato nella redazione dell'evangelista Matteo, ci esorta a costruire sulla roccia. Soltanto così infatti la casa non crollerà. Ma che cosa vuol dire costruire la casa sulla roccia? Costruire sulla roccia vuol dire prima di tutto: costruire su Cristo e con Cristo. Gesù dice: "Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia" (Mt 7, 24). Non si tratta qui di parole vuote dette da una persona qualsiasi, ma delle parole di Gesù. Non si tratta di ascoltare una persona qualunque, ma di ascoltare Gesù. Non si tratta di compiere una cosa qualsiasi, ma di compiere le parole di Gesù.

Costruire su Cristo e con Cristo significa costruire su un fondamento che si chiama amore crocifisso. Vuol dire costruire con Qualcuno che, conoscendoci meglio di noi stessi, ci dice: "Tu sei prezioso ai miei occhi, ...sei degno di stima e io ti amo" (Is 43, 4). Vuol dire costruire con Qualcuno che è sempre fedele, anche se noi manchiamo di fedeltà, perché egli non può rinnegare se stesso (cfr 2 Tm 2, 13). Vuol dire costruire con Qualcuno che si china costantemente sul cuore ferito dell'uomo e dice: "Non ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più" (cfr Gv 8, 11). Vuol dire costruire con Qualcuno, che dall'alto della croce stende le sue braccia, per ripetere per tutta l'eternità: "Io do la mia vita per te, uomo, perché ti amo". Costruire su Cristo vuol dire infine fondare sulla sua volontà tutti i propri desideri, le attese, i sogni, le ambizioni e tutti i propri progetti. Significa dire a se stessi, alla propria famiglia, ai propri amici e al mondo intero e soprattutto a Cristo: "Signore, nella vita non voglio fare nulla contro di Te, perché Tu sai che cosa è il meglio per me. Solo Tu hai parole di vita eterna" (cfr Gv 6, 68). Amici miei, non abbiate paura di puntare su Cristo! Abbiate nostalgia di Cristo, come fondamento della vita! Accendete in voi il desiderio di costruire la vostra  vita  con  Lui  e   per Lui!  Perché  non può perdere colui che punta tutto sull'amore  crocifisso  del  Verbo incarnato.

Costruire sulla roccia significa costruire su Cristo e con Cristo, che è la roccia. Nella Prima Lettera ai Corinzi san Paolo, parlando del cammino del popolo eletto attraverso il deserto, spiega che tutti "bevvero ... da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo" (1 Cor 10, 4). I padri del popolo eletto certamente non sapevano che quella roccia era Cristo. Non erano consapevoli di essere accompagnati da Colui il quale, quando sarebbe venuta la pienezza dei tempi, si sarebbe incarnato, assumendo un corpo umano. Non avevano bisogno di comprendere che la loro sete sarebbe stata soddisfatta dalla Sorgente stessa della vita, capace di offrire l'acqua viva per dissetare ogni cuore. Bevvero tuttavia a questa roccia spirituale che è Cristo, perché avevano nostalgia dell'acqua della vita, ne avevano bisogno. In cammino sulle strade della vita, forse a volte non siamo consapevoli della presenza di Gesù. Ma proprio questa presenza, viva e fedele, la presenza nell'opera della creazione, la presenza nella Parola di Dio e nell'Eucaristia, nella comunità dei credenti e in ogni uomo redento dal prezioso Sangue di Cristo, questa presenza è la fonte inesauribile della forza umana. Gesù di Nazaret, Dio che si è fatto Uomo, sta accanto a noi nella buona e nella cattiva sorte e ha sete di questo legame, che è in realtà il fondamento dell'autentica umanità. Leggiamo nell'Apocalisse queste significative parole: "Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3, 20).

Amici miei, che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Costruire sulla roccia significa anche costruire su Qualcuno che è stato rifiutato. San Pietro parla ai suoi fedeli di Cristo come di una "pietra viva rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio" (1 Pt 2, 4). Il fatto innegabile dell'elezione di Gesù da parte di Dio non nasconde il mistero del male, a causa del quale l'uomo è capace di rigettare Colui che lo ha amato sino alla fine. Questo rifiuto di Gesù da parte degli uomini, menzionato da san Pietro, si protrae nella storia dell'umanità e giunge anche ai nostri tempi. Non occorre una grande acutezza di mente per scorgere le molteplici manifestazioni del rigetto di Gesù, anche lì dove Dio ci ha concesso di crescere. Più volte Gesù è ignorato, è deriso, è proclamato re del passato, ma non dell'oggi e tanto meno del domani, viene accantonato nel ripostiglio di questioni e di persone di cui non si dovrebbe parlare ad alta voce e in pubblico. Se nella costruzione della casa della vostra vita incontrate coloro che disprezzano il fondamento su cui voi state costruendo, non vi scoraggiate! Una fede forte deve attraversare delle prove. Una fede viva deve sempre crescere. La nostra fede in  Gesù  Cristo, per rimanere tale, deve spesso confrontarsi con la mancanza di fede degli altri.

Cari amici, che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Costruire sulla roccia vuol dire essere consapevoli che si avranno delle contrarietà. Cristo dice: "Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono sulla casa..." (Mt 7, 25). Questi fenomeni naturali non sono soltanto l'immagine delle molteplici contrarietà della sorte umana, ma ne indicano anche la normale prevedibilità. Cristo non promette che su una casa in costruzione non cadrà mai un acquazzone, non promette che un'onda rovinosa non travolgerà ciò che per noi è più caro, non promette che venti impetuosi non porteranno via ciò che abbiamo costruito a volte a prezzo di enormi sacrifici. Cristo comprende non solo l'aspirazione dell'uomo ad una casa duratura, ma è pienamente consapevole anche di tutto ciò che può ridurre in rovina la felicità dell'uomo. Non vi meravigliate dunque delle contrarietà, qualunque esse siano! Non vi scoraggiate a motivo di esse! Un edificio costruito sulla roccia non equivale ad una costruzione sottratta al gioco delle forze naturali, iscritte nel mistero dell'uomo. Aver costruito sulla roccia significa poter contare sulla consapevolezza che nei momenti  difficili  c'è  una  forza  sicura su cui fare affidamento.

Amici miei, consentitemi di insistere: che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Vuol dire costruire con saggezza. Non senza un motivo Gesù paragona coloro che ascoltano le sue parole e le mettono in pratica a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. È stoltezza, infatti, costruire sulla sabbia, quando si può farlo sulla roccia, avendo così una casa in grado di resistere ad ogni bufera. È stoltezza costruire la casa su un terreno che non offre le garanzie di reggere nei momenti più difficili. Chissà, forse è anche più facile fondare la propria vita sulle sabbie mobili della propria visione del mondo, costruire il proprio futuro lontano dalla parola di Gesù, e a volte perfino contro di essa. Resta tuttavia che chi costruisce in questo modo non è prudente, perché vuol persuadere se stesso e gli altri che nella sua vita non si scatenerà alcuna tempesta, che nessuna onda colpirà la sua casa. Essere saggio significa sapere che la solidità della casa dipende dalla scelta del fondamento. Non abbiate paura di essere saggi, cioè non abbiate paura di costruire sulla roccia!

Amici miei, ancora una volta: che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Costruire sulla roccia vuol dire anche costruire su Pietro e con Pietro. A lui infatti il Signore disse: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16, 16). Se Cristo, la Roccia, la pietra viva e preziosa, chiama il suo Apostolo pietra, significa che egli vuole che Pietro, e insieme a lui la Chiesa intera, siano segno visibile dell'unico Salvatore e Signore. Qui, a Cracovia, la città prediletta del mio Predecessore Giovanni Paolo II, le parole sul costruire con Pietro e su Pietro non stupiscono certo nessuno. Perciò vi dico: non abbiate paura a costruire la vostra vita nella Chiesa e con la Chiesa! Siate fieri dell'amore per Pietro e per la Chiesa a lui affidata. Non vi lasciate illudere da coloro che vogliono contrapporre Cristo alla Chiesa! C'è un'unica roccia sulla quale vale la pena di costruire la casa. Questa roccia è Cristo. C'è solo una pietra su cui vale la pena di poggiare tutto. Questa pietra è colui a cui Cristo ha detto: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt 16, 18). Voi giovani avete conosciuto bene il Pietro dei nostri tempi. Perciò non dimenticate che né quel Pietro che sta osservando il nostro incontro dalla finestra di Dio Padre, né questo Pietro che ora sta dinanzi a voi, né nessun Pietro successivo sarà mai contro di voi, né contro la costruzione di una casa durevole sulla roccia. Anzi, impegnerà il suo cuore ed entrambe le mani nell'aiutarvi a costruire la vita su Cristo e con Cristo.

Cari amici, meditando le parole di Cristo sulla roccia come fondamento adeguato per la casa, non possiamo non rilevare che l'ultima parola è una parola di speranza. Gesù dice che, nonostante lo scatenarsi degli elementi, la casa non è crollata, perché era fondata sulla roccia. In questa sua parola c'è una straordinaria fiducia nella forza del fondamento, la fede che non teme smentite perché confermata dalla morte e risurrezione di Cristo. Questa è la fede che, dopo anni, verrà confessata da san Pietro nella sua lettera: "Ecco, io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chi crede in essa non resterà confuso" (1 Pt 2, 6). Certamente "Non resterà confuso...". Cari giovani amici, la paura dell'insuccesso può a volte frenare perfino i sogni più belli. Può paralizzare la volontà e rendere incapaci di credere che possa esistere una casa costruita sulla roccia. Può persuadere che la nostalgia della casa è soltanto un desiderio giovanile e non un progetto per la vita. Insieme a Gesù dite a questa paura: "Non può cadere una casa fondata sulla roccia"! Insieme con san Pietro dite alla tentazione del dubbio: "Chi crede in Cristo non resterà confuso!". Siate testimoni della speranza, di quella speranza che non teme di costruire la casa della propria vita, perché sa bene di poter contare sul fondamento che non crollerà mai: Gesù Cristo nostro Signore.

[Papa Benedetto, Discorso ai giovani Cracovia 27 maggio 2006]

Martedì, 25 Giugno 2024 05:53

Abitazione ricevuta da Dio

3. Che cosa Cristo, dice in proposito, nella pagina dell’odierno Vangelo? Terminando il discorso della montagna, disse: “chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sulla roccia” (Mt 7, 24-25). L’opposto di colui che costruì sulla roccia è l'uomo che costruì sulla sabbia. La sua costruzione si dimostrò poco resistente. Di fronte alle prove e alle difficoltà crollò. Cristo ci insegna questo.

Una casa costruita sulla roccia. L'edificio della vita. Come costruirlo affinché non crolli sotto la pressione degli avvenimenti di questo mondo? Come costruire questo edificio perché da ”abitazione sulla terra” diventi un’”abitazione ricevuta da Dio?, una dimora eterna nei cieli non costruita da mani di uomo” (cfr. 2 Cor 5, 1)? Oggi udiamo la risposta a questi interrogativi essenziali della fede: alla base della costruzione cristiana c’è l’ascolto e il compimento della parola di Cristo. E dicendo “la parola di Cristo” abbiamo in mente non soltanto il suo insegnamento, le parabole, le promesse, ma anche le sue opere, i segni, i miracoli. E soprattutto la sua morte, la risurrezione e la discesa dello Spirito Santo. Più ancora: abbiamo in mente il Figlio di Dio stesso, l’eterno Verbo del Padre, nel mistero dell’incarnazione. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1, 14).

[Papa Giovanni Paolo II, Biskupia Góra (Pelplin), 6 giugno 1999]

Martedì, 25 Giugno 2024 05:30

Dire e fare, sabbia e roccia, alto e basso

Fondare la propria vita «sulla roccia di Dio» e sulla «concretezza» dell’agire e del donarsi, piuttosto che «sulle apparenze o sulla vanità» o sulla cultura corrotta delle «raccomandazioni». È l’indicazione che Papa Francesco ha suggerito — durante la messa celebrata a Santa Marta giovedì 6 dicembre — per vivere coerentemente il cammino dell’Avvento.

Linee guida semplici e impegnative al tempo stesso, che il Pontefice ha ricavato dalle letture del giorno, nelle quali s’incontrano tre significativi gruppi di parole contrapposte: «dire e fare», «sabbia e roccia», «alto e basso».

Riguardo al primo gruppo — «dire e fare» — il Pontefice ha richiamato immediatamente le parole del Vangelo di Matteo (7, 21): «Non chiunque mi dica “Signore, Signore” entrerà nel regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre». E ha spiegato: «Si entra nel regno dei cieli, si matura spiritualmente, si va avanti nella vita cristiana con il fare, non con il dire». Infatti «il dire è un modo di credere, ma a volte molto superficiale, a metà cammino»: come quando «io dico che sono cristiano ma non faccio le cose del cristiano». È una sorta di «truccarsi», perché «dire soltanto, è un trucco», è «dire senza fare».

Invece «la proposta di Gesù è concretezza». E così, «quando qualcuno si avvicinava e chiedeva consiglio», lui proponeva «sempre cose concrete». Del resto, ha aggiunto il Papa, «le opere di misericordia sono concrete». E ancora: «Gesù non ha detto: “Ma vai a casa tua e pensa ai poveri, pensa ai carcerati, pensa agli ammalati”: no. Vai: visitali».

Ecco la contrapposizione tra il fare e il dire. Necessaria da evidenziare perché «tante volte noi scivoliamo, non solo personalmente ma socialmente, sulla cultura del dire». A tale riguardo Francesco ha indicato una pratica purtroppo diffusa, quella legata alla «cultura delle raccomandazioni». Accade, per esempio, che per un concorso all’università venga scelto «uno che non ha quasi meriti» rispetto a tanti bravi professori; «e se si domanda: “Ma perché questo? E questi altri bravi..?” – “Perché questo è stato raccomandato da un cardinale, lei sa... i pesci grossi...”». Questo il commento del Papa: «Io non voglio pensare male, ma sotto il tavolo di una raccomandazione sempre c’è una busta». Si tratta solo di un esempio del prevalere del “dire”: «non sono i meriti, non è il fare quello che ti fa andare avanti, no: è il dire. Truccarsi la vita». Ed è proprio «una delle contraddizioni che la liturgia di oggi ci insegna: fare, non dire». Addirittura, ha spiegato il Papa chiudendo questa prima parte della riflessione, «Gesù consiglia» di «fare senza dire: quando dai l’elemosina, quando preghi... di nascosto, senza dirlo. Fare, non dire».

Il secondo confronto rimanda a un’immagine usata da Gesù nel Vangelo: «un uomo saggio costruisce la sua casa sulla roccia, non sulla sabbia». La parabola ha una sua evidenza: «La sabbia non è solida. E una tempesta, i venti, i fiumi, tante cose, la pioggia fanno cadere una casa costruita sulla sabbia. La sabbia è una concretezza debole». Ha spiegato il Pontefice: «La sabbia è conseguenza del dire: io mi trucco, come cristiano, mi costruisco una vita ma senza fondamenti. La vanità, la vanità è dire tante cose, o farmi vedere senza fondamento, sulla sabbia». Bisogna invece «costruire sulla roccia». A tale riguardo il Papa ha invitato a cogliere la bellezza della prima lettura del giorno, tratta da Isaia (26, 1-6), dove si legge: «Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna».

È una contrapposizione strettamente legata a quella tra il dire e il fare, perché «tante volte, chi confida nel Signore non appare, non ha successo, è nascosto... ma è saldo. Non ha la sua speranza nel dire, nella vanità, nell’orgoglio, negli effimeri poteri della vita», ma si affida al Signore, «la roccia». Ha spiegato Francesco: «La concretezza della vita cristiana ci fa andare avanti e costruire su quella roccia che è Dio, che è Gesù; sul solido della divinità. Non sulle apparenze o sulla vanità, l’orgoglio, le raccomandazioni... No. La verità».

Infine il «terzo gruppo», dove si fronteggiano i concetti di «alto e basso». È ancora il brano di Isaia a guidare la meditazione: «Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna, perché egli ha abbattuto coloro che abitavano in alto, ha rovesciato la città eccelsa, l’ha rovesciata fino a terra, l’ha rasa al suolo. I piedi la calpestano: sono i piedi degli oppressi, i passi dei poveri». È un passo, ha fatto notare il Pontefice, che ricorda il «canto della Madonna, del Magnificat: il Signore alza gli umili, quelli che sono nella concretezza di ogni giorno, e abbatte i superbi, quelli che hanno costruito la loro vita sulla vanità, l’orgoglio... questi non durano». E l’espressione, ha sottolineato Francesco, «è molto forte, anche nel Magnificat si usa “ha rovesciato”, e anche più forte: quella grande città bella è calpestata. Da chi? Dai piedi degli oppressi e dai passi dei poveri». Cioè, il Signore «esalta i poveri, esalta gli umili».

La categoria di «alto e basso», ha aggiunto il Papa a commento, viene usata anche da Gesù, ad esempio, quando «parla di satana: “Io ho visto satana cadere dall’alto del cielo». Ed è l’espressione di un «giudizio definitivo sugli orgogliosi, sui vanitosi, su quelli che si vantano di essere qualcosa ma sono pura aria».

Concludendo l’omelia, Francesco ha invitato ad accompagnare il tempo di Avvento con la riflessione su «questi tre gruppi di parole che contrastano una con l’altra. Dire o fare? Io sono cristiano del dire o del fare? Sabbia e roccia: io costruisco la mia vita sulla roccia di Dio o sulla sabbia della mondanità, della vanità? Alto e basso: io sono umile, cerco di andare sempre dal basso, senza orgoglio, e così servire il Signore?». Sarà di aiuto rispondere a tali domande; e, ha aggiunto, anche prendere il Vangelo di Luca e pregare «con il canto della Madonna, con il Magnificat, che è un riassunto di questo messaggio di oggi».

[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 06/12/2018]

Lunedì, 24 Giugno 2024 08:20

Chi fa il Bene?

Falsari & Co: come se non esistessimo

(Mt 7,15-20)

 

«Dai loro frutti li riconoscerete […] così ogni albero buono fa frutti buoni, ma l’albero guasto fa frutti cattivi» (Mt 7,16-17).

 

Come al tempo di Gesù, anche oggi ci sono banditori che annunciano messaggi di ogni genere.

Perfino nel dominio ecclesiale ristretto, spesso non è facile valutare le varie interpretazioni.

Sin dai primi tempi il Maestro si è distinto perché non ha imposto una severa selezione fra i suoi seguaci: il campo dell’Amore è quello della Libertà.

La ricchezza dell’onda vitale del Padre resta ovunque esuberante.

Il Signore stesso infatti prediligeva il carattere universale della chiamata… per Nome.

Eppure, malgrado l’ambito di accoglienza a maglie larghe, nel passo di Vangelo odierno Egli sembra assai preoccupato.

In effetti, sin dalla Chiesa delle origini si rese necessario ricorrere a principi di comprensione elementare degli spiriti.

Elementi di discernimento ancora essenziali, a tutela delle persone più deboli: coloro che hanno indole e radici «buone» ma rischiano di essere plagiati da opportunisti.

Il tema ricorre in tutti i tempi: la guida sapiente non sottovaluta l’allievo, non gli inocula paure di non essere all’altezza; valorizza e non scarta ciò che il discepolo ama.

Non gli chiede di sconfiggere subito i “difetti” ma li rende suoi compagni di viaggio e partecipi della realizzazione.

In tal modo l’anima del credente assume la sua ‘panoramica’, prende respiro, conquista equilibrio più completo, si realizza secondo la propria Chiamata. La quale non pretende di far diventare ogni cuore estraneo a se stesso: in ogni vicenda c’è un segreto da rinvenire, e caratteristico.

 

La guida spirituale secondo Cristo non imporrà di far assomigliare tutti ai suoi modelli preferiti, quindi non ci renderà rigidi [nel pericolo che qualsiasi contrarietà ci spezzi].

E quando non verremo sottovalutati, ci sentiremo adeguati - all’altezza che ci appartiene: i frutti fioriranno spontaneamente.

«Non può un albero buono fare frutti cattivi, né un albero guasto fare frutti buoni» (v.18).

Chi è felice fa il Bene.

 

«Guardatevi dai falsi profeti, i quali vengono a voi in vesti di pecore, ma dentro sono lupi rapaci» (v.15).

I travestiti della santità sono una grave insidia: spengono la nostra firma;  identità caratteristica e creativa.

Li si può descrivere quasi come dei veri maestri, perché somigliano e sembrano analoghi agli autentici. In realtà flagellano l’anima di pensieri e gesti che non ci appartengono.

Vale invece la pena di occuparsi delle radici, più delle foglie: prima della linfa che scorre dentro il tronco, solo poi del numero e vistosità di frutti.

La nostra vocazione è stimolata e accompagnata e nasce da un desiderio, una voce e un’immagine dell’anima che fa da guida.

I manipolatori tendono a sostituire la loro suggestione alla nostra, personalissima.

I «falsi profeti» (v.15) non partono verso il futuro, dalla Sorgente intima della persona. Essi vanno sempre a cercare una conferma della loro. 

Come se non esistessimo.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa pensi dei lupi in vesti angeliche?

Le asperità chiudono o dilatano le tue scoperte? O ti guidano al compromesso con le forze in campo?

 

 

[Mercoledì 12.a sett. T.O.  26 giugno 2024]

Lunedì, 24 Giugno 2024 08:15

Chi fa il Bene?

Falsari & Co: come se non esistessimo

(Mt 7,15-20)

 

«Dai loro frutti li riconoscerete […] così ogni albero buono fa frutti buoni, ma l’albero guasto fa frutti cattivi» (Mt 7,16-17).

 

Come al tempo di Gesù, anche oggi ci sono banditori che annunciano messaggi di ogni genere.

Perfino nel dominio ecclesiale ristretto, spesso non è facile valutare le varie interpretazioni.

In linea di massima, possiamo affermare che i Pontefici ci mettono in guardia sia da proposte di salvezza «a basso prezzo» [Papa Benedetto], sia dall’esercizio manierista di una spiritualità vuota, che tende alla ricerca del consenso - tipica di coloro che «accarezzano le pecore» [Papa Francesco].

Ma sin dai primi tempi il Maestro si è distinto perché non ha imposto una severa selezione fra i suoi seguaci: il campo dell’Amore è quello della Libertà.

La ricchezza dell’onda vitale del Padre resta ovunque esuberante.

Ricordo per esperienza personale che ai tempi di Giovanni Paolo II i criteri di discernimento per l’accesso dei candidati alla vita di Seminario erano infatti piuttosto larghi di veduta; poi forse c’è stata una stretta canonica, che tuttavia non ha prodotto risultati pastorali.

Il Signore stesso infatti prediligeva il carattere universale della chiamata… per Nome.

Eppure, malgrado l’ambito di accoglienza a maglie larghe, nel passo di Vangelo odierno Egli sembra assai preoccupato.

In effetti, sin dalla Chiesa delle origini si rese necessario ricorrere a principi di comprensione elementare degli spiriti.

Elementi di discernimento ancora essenziali, a tutela delle persone più deboli: coloro che hanno indole e radici «buone» ma rischiano di essere plagiati da opportunisti.

 

Il tema ricorre in tutti i tempi: la guida sapiente non sottovaluta l’allievo; non gli inocula paure di non essere all’altezza. Valorizza e non scarta ciò che il discepolo ama.

Non gli chiede di sconfiggere subito i “difetti” ma li rende suoi compagni di viaggio e partecipi della realizzazione.

In tal modo l’anima del credente assume la sua “panoramica”, prende respiro, conquista equilibrio più completo; si realizza secondo la propria Chiamata. La quale non pretende di far diventare ogni cuore più forte di quel che è, o estraneo a se stesso: in ogni vicenda c’è un segreto da rinvenire, e caratteristico.

La guida spirituale secondo Cristo non imporrà di far assomigliare tutti gli allievi ai suoi modelli preferiti, quindi non ci renderà rigidi [nel pericolo che qualsiasi contrarietà ci spezzi].

E quando non verremo sottovalutati, ci sentiremo adeguati - all’altezza che ci appartiene: i frutti fioriranno spontaneamente.

«Non può un albero buono fare frutti cattivi, né un albero guasto fare frutti buoni» (v.18).

Chi è felice fa il Bene.

 

«Guardatevi dai falsi profeti, i quali vengono a voi in vesti di pecore, ma dentro sono lupi rapaci» (v.15).

I travestiti della santità sono una grave insidia: spengono la nostra firma;  identità caratteristica e creativa.

I bisogni che contano non sarebbero mai i nostri [comunque, tutto farebbe numero e brodo - anzi, pula e foraggio].

Li si può descrivere quasi come dei veri maestri, perché somigliano e sembrano analoghi agli autentici. In realtà flagellano l’anima di pensieri e gesti che non ci appartengono.

Conformi al loro concerto, solito (o newsletter). Distanti dalla nostra Chiamata e dall’inedito personale modo di stare in campo. Questo il punto.

Essi blandiscono tutti, ma sanno già tutto. E si nota che pretendono solo di essere considerati.

C’indicano senza posa la rotta, ma ricordando sempre un passato (anche recente), per cronicizzarlo.

O un futuro glamour; oggi disumanizzante.

In tal guisa, hanno la testa piena di pensieri e di vento, propugnando cammini disincarnati, astratti, non calati sulla natura, persona e il suo ritmo.

Cullano e accarezzano, ovvero sgridano aspramente - accusando tutti - ma tolgono il pungolo che ci corrisponde e appartiene.

 

Test infallibile per riconoscerli è metterli alla prova sulle pubbliche e private relazioni, sul falso prestigio, sulla rinuncia alla rapacità e alle celebrità; all’amore del potere anche sul pensiero altrui.

Attenzione ai falsari che manifestano intenzioni eccellenti, dopodiché alle persone impongono almeno qualche postilla che non le fa sentire adeguate.

Dentro il loro festival c’è la schiavitù d’una mistica allestita pro domo sua [solo in favore della causa propria], falsata a monte.

Vale invece la pena di occuparsi delle radici, più delle foglie: prima della linfa che scorre dentro il tronco, solo poi del numero e vistosità di frutti.

La nostra vocazione è stimolata e accompagnata e nasce da un desiderio, una voce e un’immagine dell’anima che fa da guida.

I manipolatori tendono a sostituire la loro suggestione alla nostra, personalissima.

I «falsi profeti» (v.15) non partono verso il futuro dalla sorgente intima della persona, ma vanno sempre a cercare una conferma della loro. 

Come se non esistessimo.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa pensi dei lupi in vesti angeliche? Le asperità chiudono o dilatano le tue scoperte? O ti guidano al compromesso con le forze in campo?

 

 

Incantatori di serpenti

 

Quali forme assumono i falsi profeti?

Essi sono come “incantatori di serpenti”, ossia approfittano delle emozioni umane per rendere schiave le persone e portarle dove vogliono loro. Quanti figli di Dio sono suggestionati dalle lusinghe del piacere di pochi istanti, che viene scambiato per felicità! Quanti uomini e donne vivono come incantati dall’illusione del denaro, che li rende in realtà schiavi del profitto o di interessi meschini! Quanti vivono pensando di bastare a sé stessi e cadono preda della solitudine!

Altri falsi profeti sono quei “ciarlatani” che offrono soluzioni semplici e immediate alle sofferenze, rimedi che si rivelano però completamente inefficaci: a quanti giovani è offerto il falso rimedio della droga, di relazioni “usa e getta”, di guadagni facili ma disonesti! Quanti ancora sono irretiti in una vita completamente virtuale, in cui i rapporti sembrano più semplici e veloci per rivelarsi poi drammaticamente privi di senso! Questi truffatori, che offrono cose senza valore, tolgono invece ciò che è più prezioso come la dignità, la libertà e la capacità di amare. E’ l’inganno della vanità, che ci porta a fare la figura dei pavoni… per cadere poi nel ridicolo; e dal ridicolo non si torna indietro. Non fa meraviglia: da sempre il demonio, che è «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44), presenta il male come bene e il falso come vero, per confondere il cuore dell’uomo. Ognuno di noi, perciò, è chiamato a discernere nel suo cuore ed esaminare se è minacciato dalle menzogne di questi falsi profeti. Occorre imparare a non fermarsi a livello immediato, superficiale, ma riconoscere ciò che lascia dentro di noi un’impronta buona e più duratura, perché viene da Dio e vale veramente per il nostro bene.

[Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2018]

 

 

Salvatore a basso prezzo?

 

L’umanità del nostro tempo attende ancora un Salvatore? Si ha la sensazione che molti considerino Dio come estraneo ai propri interessi. Apparentemente non hanno bisogno di Lui; vivono come se non esistesse e, peggio, come se fosse un “ostacolo” da rimuovere per realizzare se stessi. Anche fra i credenti – siamo certi - alcuni si lasciano attrarre da allettanti chimere e distrarre da fuorvianti dottrine che propongono illusorie scorciatoie per ottenere la felicità. Eppure, pur con le sue contraddizioni, le sue angustie e i suoi drammi, e forse proprio per questi, l’umanità oggi cerca una strada di rinnovamento, di salvezza, cerca un Salvatore e attende, talora inconsapevolmente, l’avvento del Salvatore che rinnova il mondo e la nostra vita, l’avvento di Cristo, l’unico vero Redentore dell’uomo e di tutto l’uomo. Certo, falsi profeti continuano a proporre una salvezza a “basso prezzo”, che finisce sempre per generare cocenti delusioni. Proprio la storia degli ultimi cinquant’anni dimostra questa ricerca di un Salvatore a “basso prezzo” ed evidenzia tutte le delusioni che ne sono derivate. E’ compito di noi cristiani diffondere, con la testimonianza della vita, la verità del Natale, che Cristo reca a ogni uomo e donna di buona volontà. Nascendo nella povertà del presepe, Gesù viene ad offrire a tutti quella gioia e quella pace che sole possono colmare l’attesa dell’animo umano.

[Papa Benedetto, Udienza Generale 20 dicembre 2006]

Lunedì, 24 Giugno 2024 08:11

Salvatore a basso prezzo?

L’umanità del nostro tempo attende ancora un Salvatore? Si ha la sensazione che molti considerino Dio come estraneo ai propri interessi. Apparentemente non hanno bisogno di Lui; vivono come se non esistesse e, peggio, come se fosse un “ostacolo” da rimuovere per realizzare se stessi. Anche fra i credenti – siamo certi - alcuni si lasciano attrarre da allettanti chimere e distrarre da fuorvianti dottrine che propongono illusorie scorciatoie per ottenere la felicità. Eppure, pur con le sue contraddizioni, le sue angustie e i suoi drammi, e forse proprio per questi, l’umanità oggi cerca una strada di rinnovamento, di salvezza, cerca un Salvatore e attende, talora inconsapevolmente, l’avvento del Salvatore che rinnova il mondo e la nostra vita, l’avvento di Cristo, l’unico vero Redentore dell’uomo e di tutto l’uomo. Certo, falsi profeti continuano a proporre una salvezza a “basso prezzo”, che finisce sempre per generare cocenti delusioni. Proprio la storia degli ultimi cinquant’anni dimostra questa ricerca di un Salvatore a “basso prezzo” ed evidenzia tutte le delusioni che ne sono derivate. E’ compito di noi cristiani diffondere, con la testimonianza della vita, la verità del Natale, che Cristo reca a ogni uomo e donna di buona volontà. Nascendo nella povertà del presepe, Gesù viene ad offrire a tutti quella gioia e quella pace che sole possono colmare l’attesa dell’animo umano.

[Papa Benedetto, Udienza Generale 20 dicembre 2006]

Lunedì, 24 Giugno 2024 08:04

Opera universale e magistero intimo

La vita spirituale ha bisogno di illuminazione e di guida. Per questo Gesù, nel fondare la Chiesa e nel mandare gli Apostoli nel mondo, ha affidato loro il compito di ammaestrare tutte le genti, come leggiamo nel Vangelo secondo Matteo (Mt 28, 19-20), ma anche di “predicare il Vangelo a tutta la creazione”, come dice il testo canonico del Vangelo di Marco (Mc 16, 15). Anche San Paolo parla dell’apostolato come di una “illuminazione di tutti” (Ef 3, 9).

Ma quest’opera della Chiesa evangelizzatrice e docente appartiene al ministero degli Apostoli e dei loro successori e, a titolo diverso, a tutti i membri della Chiesa, per continuare per sempre l’opera di Cristo “unico Maestro” (Mt 23, 8), che ha portato all’umanità la pienezza della rivelazione di Dio. Rimane la necessità di un Maestro interiore, che faccia penetrare nello spirito e nel cuore degli uomini l’insegnamento di Gesù. È lo Spirito Santo, che Gesù stesso chiama “Spirito di verità”, e che promette come Colui che guiderà verso tutta la verità (cf. Gv 14, 17; 16, 13). Se Gesù ha detto di sé: “Io sono la verità” (Gv 14, 6), è questa verità di Cristo che lo Spirito Santo fa conoscere e diffonde: “Non parlerà di sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito . . . prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Gv 16, 13-14). Lo Spirito è Luce dell’anima: “Lumen cordium”, come lo invochiamo nella Sequenza di Pentecoste.

2. Lo Spirito Santo è stato Luce e Maestro interiore per gli Apostoli che dovevano conoscere Cristo in profondità per poter assolvere il compito di suoi evangelizzatori. Lo è stato e lo è per la Chiesa, e, nella Chiesa, per i credenti di tutte le generazioni e in modo particolare per i teologi e i maestri di spirito, per i catechisti e i responsabili di comunità cristiane. Lo è stato e lo è anche per tutti coloro che, dentro e fuori dei confini visibili della Chiesa, vogliono seguire le vie di Dio con cuore sincero, e senza loro colpa non trovano chi li aiuti a decifrare gli enigmi dell’anima e a scoprire la verità rivelata. Voglia il Signore concedere a tutti i nostri fratelli - milioni e anzi miliardi di uomini - la grazia del raccoglimento e della docilità allo Spirito Santo in momenti che possono essere decisivi nella loro vita.

Per noi cristiani il magistero intimo dello Spirito Santo è una gioiosa certezza, fondata sulla parola di Cristo circa la venuta dell’“altro Paraclito”, che - diceva - “il Padre manderà nel mio nome. Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” (Gv 14, 26). “Egli vi guiderà verso tutta la verità” (Gv 16, 13).

3. Come risulta da questo testo, Gesù non affida la sua parola soltanto alla memoria dei suoi uditori: questa memoria sarà aiutata dallo Spirito Santo, che ravviverà continuamente negli apostoli il ricordo degli eventi e il senso dei misteri evangelici.

Di fatto, lo Spirito Santo ha guidato gli Apostoli nella trasmissione della parola e della vita di Gesù, ispirando sia la loro predicazione orale e i loro scritti, sia la redazione dei Vangeli, come abbiamo visto a suo tempo nella catechesi sullo Spirito Santo e la rivelazione.

Ma è ancora Lui che ai lettori della Scrittura dà l’aiuto per capire il significato divino incluso nel testo di cui Egli stesso è l’ispiratore e l’autore principale: Lui solo può far conoscere “le profondità di Dio” (1 Cor 2, 10), quali sono contenute nel testo sacro; Lui che è stato mandato per istruire i discepoli sugli insegnamenti del loro Maestro (cf. Gv 16, 13).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 24 aprile 1991]

Lunedì, 24 Giugno 2024 07:52

Incantatori di serpenti

Quali forme assumono i falsi profeti?

Essi sono come “incantatori di serpenti”, ossia approfittano delle emozioni umane per rendere schiave le persone e portarle dove vogliono loro. Quanti figli di Dio sono suggestionati dalle lusinghe del piacere di pochi istanti, che viene scambiato per felicità! Quanti uomini e donne vivono come incantati dall’illusione del denaro, che li rende in realtà schiavi del profitto o di interessi meschini! Quanti vivono pensando di bastare a sé stessi e cadono preda della solitudine!

Altri falsi profeti sono quei “ciarlatani” che offrono soluzioni semplici e immediate alle sofferenze, rimedi che si rivelano però completamente inefficaci: a quanti giovani è offerto il falso rimedio della droga, di relazioni “usa e getta”, di guadagni facili ma disonesti! Quanti ancora sono irretiti in una vita completamente virtuale, in cui i rapporti sembrano più semplici e veloci per rivelarsi poi drammaticamente privi di senso! Questi truffatori, che offrono cose senza valore, tolgono invece ciò che è più prezioso come la dignità, la libertà e la capacità di amare. E’ l’inganno della vanità, che ci porta a fare la figura dei pavoni… per cadere poi nel ridicolo; e dal ridicolo non si torna indietro. Non fa meraviglia: da sempre il demonio, che è «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44), presenta il male come bene e il falso come vero, per confondere il cuore dell’uomo. Ognuno di noi, perciò, è chiamato a discernere nel suo cuore ed esaminare se è minacciato dalle menzogne di questi falsi profeti. Occorre imparare a non fermarsi a livello immediato, superficiale, ma riconoscere ciò che lascia dentro di noi un’impronta buona e più duratura, perché viene da Dio e vale veramente per il nostro bene.

[Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2018]

Pagina 9 di 35
«Is there an attitude for those who want to follow Jesus» so that «they do not end badly, that they do not end up eaten alive - as my mother used to say: "Eat raw" - by others»? (Pope Francis)
«Esiste un atteggiamento per quelli che vogliono seguire Gesù» in modo che «non finiscano male, che non finiscano mangiati vivi — come diceva mia mamma: “Mangiati crudi” — dagli altri»? (Papa Francesco)
Are we not perhaps all afraid in some way? If we let Christ enter fully into our lives, if we open ourselves totally to him, are we not afraid that He might take something away from us? Are we not perhaps afraid to give up something significant, something unique, something that makes life so beautiful? Do we not then risk ending up diminished and deprived of our freedom? (Pope Benedict)
Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui – paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci poi nell’angustia e privati della libertà? (Papa Benedetto)
"May the peace of your kingdom come to us", Dante exclaimed in his paraphrase of the Our Father (Purgatorio, XI, 7). A petition which turns our gaze to Christ's return and nourishes the desire for the final coming of God's kingdom. This desire however does not distract the Church from her mission in this world, but commits her to it more strongly [John Paul II]
‘Vegna vêr noi la pace del tuo regno’, esclama Dante nella sua parafrasi del Padre Nostro (Purgatorio XI,7). Un’invocazione che orienta lo sguardo al ritorno di Cristo e alimenta il desiderio della venuta finale del Regno di Dio. Questo desiderio però non distoglie la Chiesa dalla sua missione in questo mondo, anzi la impegna maggiormente [Giovanni Paolo II]
Let our prayer spread out and continue in the churches, communities, families, the hearts of the faithful, as though in an invisible monastery from which an unbroken invocation rises to the Lord (John Paul II)
La nostra preghiera si diffonda e continui nelle chiese, nelle comunità, nelle famiglie, nei cuori credenti, come in un monastero invisibile, da cui salga al Signore una invocazione perenne (Giovanni Paolo II)
"The girl is not dead, but asleep". These words, deeply revealing, lead me to think of the mysterious presence of the Lord of life in a world that seems to succumb to the destructive impulse of hatred, violence and injustice; but no. This world, which is yours, is not dead, but sleeps (Pope John Paul II)
“La bambina non è morta, ma dorme”. Queste parole, profondamente rivelatrici, mi inducono a pensare alla misteriosa presenza del Signore della vita in un mondo che sembra soccombere all’impulso distruttore dell’odio, della violenza e dell’ingiustizia; ma no. Questo mondo, che è vostro, non è morto, ma dorme (Papa Giovanni Paolo II)
Familiarity at the human level makes it difficult to go beyond this in order to be open to the divine dimension. That this son of a carpenter was the Son of God was hard for them to believe [Pope Benedict]
La familiarità sul piano umano rende difficile andare al di là e aprirsi alla dimensione divina. Che questo Figlio di un falegname sia Figlio di Dio è difficile crederlo per loro [Papa Benedetto]

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