don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

L’Unicità importante non ci lascia “riprendere”: però fa Rinascere

(Mt 10,24-33)

 

La proposta del Cristo sovverte il quietismo e il senso della vita personale e sociale, pertanto i suoi amici si trovano contromano.

Il discepolo della Verità è esposto agli attacchi.

Non c’è un orientamento prefissato. Ma negli stati di disagio, nella sconfitta, nell’umiliazione, agisce un mondo energetico plasmabile che fa affiorare capacità innate; attiva la persona a volare con proprie ali.

È uno spunto d’origine, che ovunque andiamo non ci si scrolla di dosso. Perché qui siamo noi stessi; nel centro della nostra Missione, non omologabile sotto convenzioni e accomodamenti.

In tal guisa, l’appartenere alla Chiesa non è rifugio sicuro e riparo d’ogni tempesta.

I fedeli non devono sbalordire delle prove, sofferenze, isolamento, ricatti - mezzucci di chi usa il potere [o la stessa religiosità affermata] per tornaconto e come un’arma.

Il timore di venire emarginati non può spingerci a nascondere la verità, che per noi è un fattore di riconoscimento: smarrirne il connubio e trascurare di essere una cosa sola con essa sarebbe peggio delle torture.

A dirla tutta, ciò che ci fa codardi, infedeli, diplomatici e deboli - quindi inutili e irrilevanti - è spesso molto molto meno di un pericolo per la vita, per i beni, o per le nostre più piccine libertà.

 

Gli scopi troppo prossimi non uniscono l’uomo e il mondo a Dio. Non confermano la giustezza e conformità del grande Fine e Sorgente: continua Presenza che accompagna la nostra attività particolare.

Molti sono i «capelli che cadono», ma ciascuno di essi ha una fisionomia originale: “è” in modo speciale, ha un suo posto e un suo senso.

La Chiamata personale resta costitutiva dell’essenza irripetibile che spalanca all’impegno dell’Unicità.

Apre al compito della ‘rinascita’, nello stupore eccezionale della nuova genesi di ciascuno, e della terra.

È carattere inedito. Grammatica del nostro linguaggio, dell’interagire nel mondo, e dell’ascolto di Dio.

La Vocazione genuina - irripetibile sino in fondo, costi quel che costi - è l’unico sentiero da percorrere per leggere e incontrare il ‘genio del tempo’ prima dei problemi.

L’Atipicità personale fecondata dal Mistero è una sorta d’impulso che trasforma le crisi in opportunità. Volontà-fattore di riconoscimento che ci accompagna e orienta in essi; con l’aiuto della semplicità, per una nuova fioritura.

Qui, anche in situazioni apparentemente irrilevanti o decisamente critiche, possiamo percepire l’energia delle risorse interiori - lasciate libere di agire e nutrire tutte le situazioni contrapposte.

 

Percorrendo le vie dell’inusitato, diventeremo flessibili; cavalcheremo le onde del cambiamento inatteso.

Ma proprio lì saremo totalmente noi stessi: intenzione cosmica e divina, smisuratamente importanti.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ti è capitata una persecuzione che - mentre avresti preferito altri obbiettivi prossimi - ha fatto affiorare proprio l'originalità della tua fisionomia vocazionale?

 

 

[Sabato 14.a sett. T.O.  13 luglio 2024]

 

 

Unicità

11. «Ognuno per la sua via», dice il Concilio. Dunque, non è il caso di scoraggiarsi quando si contemplano modelli di santità che appaiono irraggiungibili. Ci sono testimonianze che sono utili per stimolarci e motivarci, ma non perché cerchiamo di copiarle, in quanto ciò potrebbe perfino allontanarci dalla via unica e specifica che il Signore ha in serbo per noi. Quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui (cfr 1 Cor 12,7) e non che si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui. Tutti siamo chiamati ad essere testimoni, però esistono molte forme esistenziali di testimonianza. Di fatto, quando il grande mistico san Giovanni della Croce scriveva il suo Cantico spirituale, preferiva evitare regole fisse per tutti e spiegava che i suoi versi erano scritti perché ciascuno se ne giovasse «a modo suo». Perché la vita divina si comunica ad alcuni in un modo e ad altri in un altro.

[Gaudete et Exsultate]

Il Mistero dell’Unicità: l’Unicità importante non ci lascia “riprendere”: però fa Rinascere.

(Mt 10,24-33)

 

La proposta del Cristo sovverte il quietismo e il senso della vita personale e sociale, pertanto i suoi amici si trovano contromano.

Il discepolo della Verità è esposto agli attacchi.

Non c’è un orientamento prefissato. Ma negli stati di disagio, nella sconfitta, nell’umiliazione, agisce un mondo energetico plasmabile che fa affiorare capacità innate; attiva la persona a volare con proprie ali.

È uno spunto d’origine, che ovunque andiamo non ci si scrolla di dosso. Perché qui siamo noi stessi; nel centro della nostra Missione, non omologabile sotto convenzioni e accomodamenti.

In tal guisa, l’appartenere alla Chiesa non è rifugio sicuro e riparo d’ogni tempesta.

I fedeli non devono sbalordire delle prove, sofferenze, isolamento, ricatti - mezzucci di chi usa il potere [o la stessa religiosità affermata] per tornaconto e come un’arma.

Il timore di venire emarginati non può spingerci a nascondere la verità, che per noi è un fattore di riconoscimento: smarrirne il connubio e trascurare di essere una cosa sola con essa sarebbe peggio delle torture.

A dirla tutta, ciò che ci fa codardi, infedeli, diplomatici e deboli - quindi inutili e irrilevanti - è spesso molto molto meno di un pericolo per la vita, per i beni, o per le nostre più piccine libertà.

 

Gli scopi troppo prossimi non uniscono l’uomo e il mondo a Dio. Non confermano la giustezza e conformità del grande Fine e Sorgente: continua Presenza che accompagna la nostra attività particolare.

Molti sono i «capelli che cadono», ma ciascuno di essi ha una fisionomia originale: “è” in modo speciale, ha un suo posto e un suo senso.

La Chiamata personale resta costitutiva dell’essenza irripetibile che spalanca all’impegno dell’Unicità.

Apre al compito della ‘rinascita’: nel tempo della crisi globale, non della “ripresa come prima” - ma dello stupore eccezionale nella nuova genesi di ciascuno, e della terra.

È carattere inedito, persino con noi stessi. Cifra della grammatica del nostro linguaggio quotidiano, dell’interagire nel mondo.

E nell’anima, dell’ascolto di Dio che si rivela innescando energie vitali [complete perché discordi]. Coi suoi impensati processi di guarigione, senza formula alcuna.

La Vocazione genuina - irripetibile sino in fondo, costi quel che costi - è l’unico sentiero da percorrere per leggere e incontrare il ‘genio del tempo’ prima dei problemi.

L’Atipicità personale fecondata dal Mistero è una sorta d’impulso che trasforma le crisi in opportunità.

Volontà-fattore di riconoscimento che ci accompagna e orienta in essi; con l’aiuto della semplicità, per una nuova fioritura.

Qui, anche in situazioni apparentemente irrilevanti o decisamente critiche, possiamo percepire l’energia delle risorse interiori - lasciate libere di agire e nutrire tutte le situazioni contrapposte.

 

Percorrendo le vie dell’inusitato, diventeremo flessibili; cavalcheremo le onde del cambiamento inatteso.

Ma proprio lì saremo totalmente noi stessi: intenzione cosmica e divina, smisuratamente importanti.

 

L’enciclica Fratelli Tutti si scaglia contro «un modello di globalizzazione che mira consapevolmente a un’uniformità unidimensionale e cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità. Se una globalizzazione pretende di rendere tutti uguali, come se fosse una sfera, questa globalizzazione distrugge la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo. Questo falso sogno universalistico finisce per privare il mondo della varietà dei suoi colori, della sua bellezza e in definitiva della sua umanità. Perché il futuro non è monocromatico, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!» (n.100)

È bene gioire delle dissomiglianze che ci abitano, della varietà di apporti e punti di vista che ciascuno può comunicare - importante: anche nello sguardo sulle difficoltà e modi di risolverle.

L’uomo maturo, integrale, nella diversificazione e nel vario sapere, nella difformità degli approcci e dei processi, nella poliedricità dei canali di espressione, è più completo.

Oggi persino in una cultura fortemente segnata dall’afflato antropologico comunitario come ad es. quella africana, ci si rende conto perfettamente del valore di ciò ch’è personale e inedito - anche in favore dei legami:

«Un giorno verrà in cui anche tu dovrai condividere la tua conoscenza delle cose e degli uomini. Testimone singolare di un evento unico rivelato a te solo, in una lingua ancora inedita. E dirai ai tuoi fratelli l’indicibile saggezza del tuo cuore» [Irénée Guilane Dioh].

Una tradizione orale, similmente africana - cerimoniale e personalistica - recita infatti:

«L’iniziazione esteriore è l’apertura degli occhi, tutto l’insegnamento che viene dato nel corso delle cerimonie tradizionali o dei periodi di ritiro che seguono. Ma tale insegnamento lo si dovrà poi vivere, assimilare, far fruttare, aggiungendovi le proprie osservazioni personali, la propria comprensione, la propria esperienza».

 

Anche la scena degli esempi spontanei che Gesù trae dalla natura è un eco della vita conciliante sognata per noi dal Padre.

Essa introduce alla Felicità che fa consapevoli di esistere, in tutta la personale realtà.

Il passo di Vangelo mostra infatti il valore delle cose genuine, silenti, poco eclatanti, le quali però ci abitano - non sono “ombre”. E le percepiamo senza sforzo né impegno cerebrale.

Nel tempo delle scelte epocali, dell’emergenza che sembra metterci in scacco - ma vuole farci meno artificiali - tale consapevolezza può rovesciare il nostro giudizio di sostanza, sul ‘piccolo’ e ‘il grande’.

Infatti, per l’avventura d’amore non c’è contabilità.

“Cielo” che vince la morte è in Dio e nella realtà il “posto” per ciascuno di noi senza lacerazioni.

L’aldilà non è impreciso.

Non bisogna snaturarsi per avere consenso… tantomeno per un firmamento costellato.

Il destino dell’Unicità eccezionale non va in rovina: è prezioso e caro, come lo è in natura ogni singolarità.

Bisogna scorgerne la Bellezza, futura e già attuale.

Emarginato il tornaconto immediato, o qualsiasi garanzia sociale che non riguarda il valore della piccolezza - non ci sarà più bisogno di identificarsi con gli scheletri del pensiero e delle maniere assodati [o alla moda].

Neppure conterà collocarsi sopra e davanti: piuttosto, sullo sfondo; già ricchi e perfetti, nel senso intimo della pienezza di essere.

Così non dovremo calpestarci a vicenda (cf. Lc 12,1)... anche per incontrare Gesù.

In breve:

«Siamo assolutamente perduti se ci viene a mancare questa particolare individualità, l’unica cosa che possiamo dire veramente nostra - e la cui perdita costituisce anche una perdita per il mondo intero. Essa è preziosissima anche perché non è universale» [Rabindranath Tagore].

Infatti, persino in un rapporto d’amore profondo e coesistenza «c’è bisogno di liberarsi dall’obbligo di essere uguali» (Amoris Laetitia, n.139).

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ti è capitata una persecuzione che - mentre avresti preferito altri obbiettivi prossimi - ha fatto affiorare proprio l'originalità della tua fisionomia vocazionale?

 

 

Unicità

11. «Ognuno per la sua via», dice il Concilio. Dunque, non è il caso di scoraggiarsi quando si contemplano modelli di santità che appaiono irraggiungibili. Ci sono testimonianze che sono utili per stimolarci e motivarci, ma non perché cerchiamo di copiarle, in quanto ciò potrebbe perfino allontanarci dalla via unica e specifica che il Signore ha in serbo per noi. Quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui (cfr 1 Cor 12,7) e non che si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui. Tutti siamo chiamati ad essere testimoni, però esistono molte forme esistenziali di testimonianza. Di fatto, quando il grande mistico san Giovanni della Croce scriveva il suo Cantico spirituale, preferiva evitare regole fisse per tutti e spiegava che i suoi versi erano scritti perché ciascuno se ne giovasse «a modo suo». Perché la vita divina si comunica ad alcuni in un modo e ad altri in un altro.

[Gaudete et Exsultate]

Giovedì, 11 Luglio 2024 05:43

Sangue di martiri, personale e divino

Di Tertulliano sono famosi soprattutto i suoi scritti di carattere apologetico. Essi manifestano due intenti principali: quello di confutare le gravissime accuse che i pagani rivolgevano contro la nuova religione, e quello – più propositivo e missionario – di comunicare il messaggio del Vangelo in dialogo con la cultura del tempo. La sua opera più nota, l’Apologetico, denuncia il comportamento ingiusto delle autorità politiche verso la Chiesa; spiega e difende gli insegnamenti e i costumi dei cristiani; individua le differenze tra la nuova religione e le principali correnti filosofiche del tempo; manifesta il trionfo dello Spirito, che alla violenza dei persecutori oppone il sangue, la sofferenza e la pazienza dei martiri: «Per quanto raffinata – scrive l’Africano –, a nulla serve la vostra crudeltà: anzi, per la nostra comunità, essa è un invito. A ogni vostro colpo di falce diveniamo più numerosi: il sangue dei cristiani è una semina efficace! (semen est sanguis christianorum!)» (Apologetico 50,13). Il martirio, la sofferenza per la verità sono alla fine vittoriosi e più efficaci della crudeltà e della violenza dei regimi totalitari.

Ma Tertulliano, come ogni buon apologista, avverte nello stesso tempo l’esigenza di comunicare positivamente l’essenza del cristianesimo. Per questo egli adotta il metodo speculativo per illustrare i fondamenti razionali del dogma cristiano. Li approfondisce in maniera sistematica, a cominciare dalla descrizione del «Dio dei cristiani»: «Quello che noi adoriamo – attesta l’Apologista – è un Dio unico». E prosegue, impiegando le antitesi e i paradossi caratteristici del suo linguaggio: «Egli è invisibile, anche se lo si vede; inafferrabile, anche se è presente attraverso la grazia; inconcepibile, anche se i sensi umani lo possono concepire; perciò è vero e grande!» (ibid., 17,1-2).

Tertulliano, inoltre, compie un passo enorme nello sviluppo del dogma trinitario; ci ha dato in latino il linguaggio adeguato per esprimere questo grande mistero, introducendo i termini «una sostanza» e «tre Persone». In modo simile, ha sviluppato molto anche il corretto linguaggio per esprimere il mistero di Cristo Figlio di Dio e vero Uomo.

L’Africano tratta anche dello Spirito Santo, dimostrandone il carattere personale e divino.

[Papa Benedetto, Udienza Generale, 30 maggio 2007]

Giovedì, 11 Luglio 2024 05:38

Teologia del corpo

1. L’uomo creato a immagine di Dio è un essere insieme corporale e spirituale, un essere cioè che, per un aspetto, è legato al mondo esteriore e per l’altro lo trascende. In quanto spirito, oltre che corpo, egli è persona. Questa verità sull’uomo è oggetto della nostra fede, così come lo è la verità biblica circa la sua costituzione a “immagine e somiglianza” di Dio; ed è verità costantemente presentata, nel corso dei secoli, dal magistero della Chiesa.

La verità circa l’uomo non cessa di essere nella storia oggetto di analisi intellettuale, nell’ambito sia della filosofia che di numerose altre scienze umane: in una parola, oggetto dell’antropologia.

2. Che l’uomo sia spirito incarnato, se si vuole, corpo informato da uno spirito immortale, lo si ricava già in qualche modo dalla descrizione della creazione contenuta nel Libro della Genesi e in particolare dal racconto “jahvista”, che fa uso, per così dire, di una “messa in scena” e di immagini antropomorfiche. Leggiamo che “il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2, 7). Il seguito del testo biblico ci permette di comprendere chiaramente che l’uomo, creato in questo modo, si distingue dall’intero mondo visibile, e in particolare dal mondo degli animali. L’“alito di vita” ha reso l’uomo capace di conoscere questi esseri, di imporre loro il nome e riconoscersi diverso da loro (cf. Gen 2, 18-20). Benché nella descrizione “jahvista” non si parli dell’“anima”, tuttavia è facile dedurne che la vita donata all’uomo nell’atto della creazione è di natura tale da trascendere la semplice dimensione corporale (quella propria degli animali). Essa attinge, al di là della materialità, la dimensione dello spirito, nella quale sta il fondamento essenziale di quell’“immagine di Dio”, che Genesi 1, 27 vede nell’uomo.

3. L’uomo è una unità: è qualcuno che è uno con se stesso. Ma in questa unità è contenuta una dualità. La Sacra Scrittura presenta sia l’unità (la persona) che la dualità (l’anima e il corpo). Si pensi al Libro del Siracide che dice ad esempio: “Il Signore creò l’uomo dalla terra e ad essa lo fa ritornare di nuovo” e più oltre: “Discernimento, lingua, occhi, orecchi e cuore diede loro (agli uomini) perché ragionassero. Li riempì di dottrina e d’intelligenza e indicò loro anche il bene e il male” (Sir 17, 1. 5-6).

Particolarmente significativo è, da questo punto di vista, il Salmo 8 (Sal 8, 5-7) che esalta il capolavoro umano, rivolgendosi a Dio con le seguenti parole: “Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani. Tutto hai posto sotto i suoi piedi”.

4. Si sottolinea spesso che la tradizione biblica mette in rilievo soprattutto l’unità personale dell’uomo, servendosi del termine “corpo” per designare l’uomo intero (cf. Sal 145 (144), 21; Gv 3, 1; Is 66, 23; Gv 1, 14). L’osservazione è esatta. Ma ciò non toglie che nella tradizione biblica sia pure presente, a volte in modo molto chiaro, la dualità dell’uomo. Questa tradizione si riflette nelle parole di Cristo: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna” (Mt 10, 28).

5. Le fonti bibliche autorizzano a vedere l’uomo come unità personale e insieme come dualità di anima e di corpo: concetto che ha trovato espressione nell’intera Tradizione e nell’insegnamento della Chiesa. Questo insegnamento ha recepito non soltanto le fonti bibliche, ma anche le interpretazioni teologiche che di esse sono state date sviluppando le analisi condotte da certe scuole (Aristotele) della filosofia greca.

È stato un lento lavorio di riflessione, culminato principalmente sotto l’influsso di san Tommaso d’Aquino - nei pronunciamenti del Concilio di Vienne (1312), dove l’anima è chiamata “forma” del corpo: “forma corporis humani per se et essentialiter” (DS 902). La “forma”, come fattore che determina la sostanza dell’essere “uomo”, è di natura spirituale. E tale “forma” spirituale, l’anima, è immortale. È quanto in seguito, ha ricordato autorevolmente il Concilio Lateranense V (1513): l’anima è immortale, diversamente dal corpo che è sottomesso alla morte (cf. DS 1440). La scuola tomista sottolinea contemporaneamente che, in virtù dell’unione sostanziale del corpo e dell’anima, quest’ultima, anche dopo la morte, non cessa di “aspirare” a unirsi al corpo. Il che trova conferma nella verità rivelata circa la risurrezione del corpo.

6. Benché la terminologia filosofica, utilizzata per esprimere unità e la complessità (dualità) dell’uomo, sia talvolta oggetto di critica, è fuor di dubbio che la dottrina sull’unità della persona umana e insieme sulla dualità spirituale-corporale dell’uomo è pienamente radicata nella Sacra Scrittura e nella Tradizione. E nonostante si esprima spesso la convinzione che l’uomo è “immagine di Dio” grazie all’anima, non è assente, nella dottrina tradizionale, la persuasione che anche il corpo partecipi, a suo modo, alla dignità dell’“immagine di Dio”, così come partecipa alla dignità della persona.

7. Nei tempi moderni una difficoltà particolare contro la dottrina rivelata circa la creazione dell’uomo, quale essere composto di anima e corpo, è stata sollevata dalla teoria dell’evoluzione. Molti cultori delle scienze naturali che, con metodi loro propri, studiano il problema dell’inizio della vita umana sulla terra, sostengono - contro altri loro colleghi - l’esistenza non soltanto di un legame dell’uomo con l’insieme della natura, ma anche la derivazione delle specie animali superiori. Questo problema, che sin dal secolo scorso, ha occupato gli scienziati, coinvolge vasti strati dell’opinione pubblica. La risposta del magistero è stata offerta dall’enciclica Humani generis di Pio XII nell’anno 1950. In essa leggiamo: “Il magistero della Chiesa non ha nulla in contrario a che la dottrina dell’“evoluzionismo”, in quanto esso indaga circa l’origine del corpo umano derivante da una Materia preesistente e viva - la fede cattolica infatti ci obbliga a tenere fermo che le anime sono state create immediatamente da Dio - sia oggetto di investigazione e discussione da parte degli esperti . . .” (DS 3896).

Si può dunque dire che, dal punto di vista della dottrina della fede, non si vedono difficoltà nello spiegare l’origine dell’uomo, in quanto corpo, mediante l’ipotesi dell’evoluzionismo. Bisogna tuttavia aggiungere che l’ipotesi propone soltanto una probabilità, non una certezza scientifica. La dottrina della fede invece afferma invariabilmente che l’anima spirituale dell’uomo è creata direttamente da Dio. È cioè possibile secondo l’ipotesi accennata, che il corpo umano, seguendo l’ordine impresso dal Creatore nelle energie della vita, sia stato gradatamente preparato nelle forme di esseri viventi antecedenti. L’anima umana, però, da cui dipende in definitiva l’umanità dell’uomo, essendo spirituale, non può essere emersa dalla materia.

8. Una bella sintesi della creazione sopra esposta si trova nel Concilio Vaticano II: “Unità di anima e di corpo - vi si dice - l’uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice” (Gaudium et Spes, 14). E più avanti: “L’uomo, però, non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura . . . Infatti, nella sua interiorità, egli trascende l’universo” (Gaudium et Spes, 14). Ecco, dunque, come la stessa verità circa l’unità e la dualità (la complessità) della natura umana può essere espressa con un linguaggio più vicino alla mentalità contemporanea.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 16 aprile 1986]

Giovedì, 11 Luglio 2024 05:29

Andare in missione non è fare turismo

Nel Vangelo di oggi (cfr Mt 10,26-33) il Signore Gesù, dopo aver chiamato e inviato in missione i suoi discepoli, li istruisce e li prepara ad affrontare le prove e le persecuzioni che dovranno incontrare. Andare in missione non è fare turismo, e Gesù ammonisce i suoi: “Troverete persecuzioni”. Così li esorta: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato […]. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce. […] E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima» (vv. 26-28). Possono uccidere soltanto il corpo, non hanno il potere di uccidere l’anima: di questi non abbiate paura. L’invio in missione da parte di Gesù non garantisce ai discepoli il successo, così come non li mette al riparo da fallimenti e sofferenze. Essi devono mettere in conto sia la possibilità del rifiuto, sia quella della persecuzione. Questo spaventa un po’, ma è la verità.

Il discepolo è chiamato a conformare la propria vita a Cristo, che è stato perseguitato dagli uomini, ha conosciuto il rifiuto, l’abbandono e la morte in croce. Non esiste la missione cristiana all’insegna della tranquillità! Le difficoltà e le tribolazioni fanno parte dell’opera di evangelizzazione, e noi siamo chiamati a trovare in esse l’occasione per verificare l’autenticità della nostra fede e del nostro rapporto con Gesù. Dobbiamo considerare queste difficoltà come la possibilità per essere ancora più missionari e per crescere in quella fiducia verso Dio, nostro Padre, che non abbandona i suoi figli nell’ora della tempesta. Nelle difficoltà della testimonianza cristiana nel mondo, non siamo mai dimenticati, ma sempre assistiti dalla sollecitudine premurosa del Padre. Per questo, nel Vangelo di oggi, per ben tre volte Gesù rassicura i discepoli dicendo: «Non abbiate paura!».

Anche ai nostri giorni, fratelli e sorelle, la persecuzione contro i cristiani è presente. Noi preghiamo per i nostri fratelli e sorelle che sono perseguitati, e lodiamo Dio perché, nonostante ciò, continuano a testimoniare con coraggio e fedeltà la loro fede. Il loro esempio ci aiuta a non esitare nel prendere posizione in favore di Cristo, testimoniandolo coraggiosamente nelle situazioni di ogni giorno, anche in contesti apparentemente tranquilli. In effetti, una forma di prova può essere anche l’assenza di ostilità e di tribolazioni. Oltre che come «pecore in mezzo ai lupi», il Signore, anche nel nostro tempo, ci manda come sentinelle in mezzo a gente che non vuole essere svegliata dal torpore mondano, che ignora le parole di Verità del Vangelo, costruendosi delle proprie effimere verità. E se noi andiamo o viviamo in questi contesti e diciamo le Parole del Vangelo, questo dà fastidio e ci guarderanno non bene.

Ma in tutto questo il Signore continua a dirci, come diceva ai discepoli del suo tempo: “Non abbiate paura!”. Non dimentichiamo questa parola: sempre, quando noi abbiamo qualche tribolazione, qualche persecuzione, qualche cosa che ci fa soffrire, ascoltiamo la voce di Gesù nel cuore: “Non abbiate paura! Non avere paura, vai avanti! Io sono con te!”. Non abbiate paura di chi vi deride e vi maltratta, e non abbiate paura di chi vi ignora o “davanti” vi onora ma “dietro” combatte il Vangelo. Ci sono tanti che davanti ci fanno sorrisi, ma da dietro combattono il Vangelo. Tutti li conosciamo. Gesù non ci lascia soli perché siamo preziosi per Lui. Per questo non ci lascia soli: ognuno di noi è prezioso per Gesù, e Lui ci accompagna.

La Vergine Maria, modello di umile e coraggiosa adesione alla Parola di Dio, ci aiuti a capire che nella testimonianza della fede non contano i successi, ma la fedeltà, la fedeltà a Cristo, riconoscendo in qualunque circostanza, anche le più problematiche, il dono inestimabile di essere suoi discepoli missionari.

[Papa Francesco, Angelus 25 giugno 2017]

Mercoledì, 10 Luglio 2024 07:02

Valori e indipendenza emotiva

Collocarsi negli eventi di persecuzione

(Mt 10,16-23)

 

Il corso della storia è tempo in cui Dio compone il confluire della nostra libertà e delle circostanze.

In tali pieghe c’è spesso un vettore di vita, un aspetto essenziale, una sorte definitiva, che ci sfugge.

Ma all’occhio non mediocre della persona di Fede, anche i soprusi e perfino il martirio sono un dono.

Per imparare le lezioni importanti della vita, ogni giorno il credente si avventura in ciò che ha paura di fare, superando i timori.

L’amore sponsale e gratuito ricevuto colloca in una condizione di reciprocità, d’attivo desiderio di unire la vita al Cristo - sebbene nell’esiguità delle nostre risposte.

Continuando invece a lamentarsi degli insuccessi, pericoli, calamità, tutti vedranno in noi donne come le altre e uomini comuni - e ogni cosa terminerà a questo livello.

Non saremo sull’altro lato. Al massimo tenteremo di sottrarci alle asprezze, o si finirà per cercare alleati di circostanza (vv.19-20).

 

Mt intende aiutare le sue comunità a urtare la logica mondana e collocarsi negli eventi di persecuzione in maniera fervente.

Le angherie sociali non sono fatalità, bensì occasioni per la missione; luoghi di alta testimonianza eucaristica (vv.16-18).

I perseguitati non hanno bisogno di stampelle esterne, né devono vivere nell’angoscia del crollo.

Essi hanno il compito di essere segni del Regno di Dio, che man mano porta i lontani e gli stessi usurpatori a una diversa consapevolezza.

Nessuno è arbitro della realtà e tutti sono fuscelli soggetti a rovesci, ma nella condizione umanizzante degli apostoli traluce un’indipendenza emotiva.

Ciò avviene per il senso intimo, vivo, di una Presenza, e la lettura delle vicende esterne come azione eccezionale del Padre che si rivela.

In tale magma energetico plasmabile, ecco affiorare percorsi unici, inedite opportunità di crescita... anche nelle avversità.

Atteggiamento senz’alibi né certezze granitiche: con la sola convinzione che tutto verrà rimesso in gioco.

Tempo sacro e profano vengono a coincidere in un Patto fervente, che si annida e cova frutti persino nei momenti del travaglio e paradosso.

Qui unica risorsa necessaria è la forza spirituale di andare sino in fondo… nei controsensi d’altro versante.

È nel Signore e nella realtà insidiosa o sommaria il “posto” per ciascuno di noi. Non senza lacerazioni.

Eppure traiamo energia spirituale dalla conoscenza del Cristo, dal senso di legame profondo con Lui e la realtà anche minuta e variegata, o temibile - sempre personale (v.22b).

La nostra vicenda non sarà come un romanzo facile e a lieto fine.

Ma avremo possibilità di testimoniare nel presente le più genuine radici antiche: che in ogni istante Dio chiama, si manifesta - e ciò che sembra fallimento diviene Cibo e sorgente di Vita.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Che tipo di lettura fai, e come ti collochi negli eventi di persecuzione? 

Sei consapevole che gli intoppi non vengono per la disperazione, bensì per liberarti dalla chiusura in schemi culturali stagnanti (e non tuoi)?

 

 

[Venerdì 14.a sett. T.O.  12 luglio 2024]

Mercoledì, 10 Luglio 2024 06:58

Collocarsi negli eventi di persecuzione

Valori e indipendenza emotiva

(Mt 10,16-23)

 

Il corso della storia è tempo in cui Dio compone il confluire della nostra libertà e delle circostanze.

In tali pieghe c’è spesso un vettore di vita, un aspetto essenziale, una sorte definitiva, che ci sfugge.

Ma all’occhio non mediocre della persona di Fede, anche i soprusi e perfino il martirio sono un dono.

Per imparare le lezioni importanti della vita, ogni giorno il credente si avventura in ciò che ha paura di fare, superando i timori.

L’amore sponsale e gratuito ricevuto colloca in una condizione di reciprocità, d’attivo desiderio di unire la vita al Cristo - sebbene nell’esiguità delle nostre risposte.

Continuando invece a lamentarsi degli insuccessi, pericoli, calamità, tutti vedranno in noi donne come le altre e uomini comuni - e ogni cosa terminerà a questo livello.

Non saremo sull’altro lato.

Al massimo tenteremo di sottrarci alle asprezze, o si finirà per cercare alleati di circostanza (vv.19-20).

 

Mt intende aiutare le sue comunità a urtare la logica mondana e collocarsi negli eventi di persecuzione in maniera fervente.

Le angherie sociali non sono fatalità, bensì occasioni per la missione; luoghi di alta testimonianza eucaristica (vv.16-18).

I perseguitati non hanno bisogno di stampelle esterne, né devono vivere nell’angoscia del crollo.

Essi hanno il compito di essere segni del Regno di Dio, che man mano porta i lontani e gli stessi usurpatori a una diversa consapevolezza.

Nessuno è arbitro della realtà e tutti sono fuscelli soggetti a rovesci, ma nella condizione umanizzante degli apostoli traluce un’indipendenza emotiva.

Ciò avviene per il senso intimo, vivo, di una Presenza, e la lettura delle vicende esterne come azione eccezionale del Padre che si rivela.

In tale magma energetico plasmabile, ecco affiorare percorsi unici, inedite opportunità di crescita... anche nelle avversità.

Atteggiamento senz’alibi né certezze granitiche: con la sola convinzione che tutto verrà rimesso in gioco (non per sforzo: per aver spostato lo sguardo, semplicemente).

Tempo sacro e profano vengono a coincidere in un Patto fervente, che si annida e cova frutti persino nei momenti del travaglio e paradosso.

Qui unica risorsa necessaria è la forza spirituale di andare sino in fondo… nei paradossi d’altro versante.

 

Così anche la famiglia o il “clan” di appartenenza vanno condotti a un differente mondo di convinzioni; non senza contrasti laceranti (v.21).

La Torah stessa obbligava alla denuncia degli infedeli alla religione dei padri - perfino parenti strettissimi - sino a metterli a morte (Dt 13,7-12).

L’Annuncio non poteva che causare divisioni estreme, e su temi di fondo come il successo, o il progresso in questa vita - la visione di un mondo nuovo, dell’utopia di altre e altrui esigenze.

Tutto sembrerà congiurare e farsi beffe del nostro ideale (v.22).

 

Il riferimento al Nome allude alla vicenda storica di Gesù di Nazaret, col suo carico non solo di bontà ideale ed esplicita, ma pure di attività di denuncia contro l’istituzione ufficiale e le false guide che avevano messo sotto sequestro il Dio dell’Esodo.

Malgrado le interferenze, l’essere fraintesi, calunniati, messi in ridicolo, ricattati e odiati... ancorati a Cristo sperimenteremo che le tappe della storia e della vita procedono verso la Speranza.

La “protezione” di Dio non preserva da tinte cupe, né dal subire danni, ma garantisce che nulla vada perduto (v.22b). Introduce alla Felicità che fa consapevoli di esistere in tutta la personale realtà.

Nel tempo delle scelte epocali, dell’emergenza che sembra mettere tutto in scacco - ma vuole farci meno artificiali - tale consapevolezza può rovesciare il nostro giudizio di sostanza, sul piccolo e il grande.

Infatti, per l’avventura d’amore non c’è contabilità né clamore.

È nel Signore e nella realtà insidiosa o sommaria il “posto” per ciascuno di noi. Non senza lacerazioni.

Eppure traiamo energia spirituale dalla conoscenza del Cristo, dal senso di legame profondo con Lui e la realtà anche minuta e variegata, o temibile - sempre personale (v.22b).

Il “Cielo” vince la morte. Il destino dell’unicità non va in rovina: è prezioso e caro. 

Bisogna scorgerne la Bellezza, futura e già attuale.

Neppure conterà collocarsi sopra e davanti: piuttosto sullo sfondo, già ricchi e perfetti, nel senso intimo della pienezza di essere.

 

Gesù ci mette in guardia: non potremo contare su amicizie inattaccabili, né su potenze umane schierate a difesa della trama terrestre.

Anche colui che credevamo vicino ci scruterà con sospetto: il prezzo della verità sta sempre nella scelta contraria al mondo della menzogna (anche sacrale-datata o effimera) tutto coalizzato contro.

La nostra vicenda non sarà come un romanzo facile e a lieto fine.

Ma avremo possibilità di testimoniare nel presente le più genuine radici antiche: che in ogni istante Dio chiama, si manifesta - e ciò che sembra fallimento diviene Cibo e sorgente di Vita.

Ostinati solo nel cambio di proporzioni, tra spogliamento ed elevazione. Nella contrapposizione dei criteri e dei fondamenti stessi del pensare.

 

 

 

Perseguitare e confinare, o Sincerità e Trasparenza

 

È questo di Mt 10,16-23 il medesimo passo di Vangelo della Festa di s. Stefano protomartire - ove celebriamo la forza disarmante del martirio dei figli. Scelta perfetta.

Il giorno successivo al Natale togliamo le tendine bianche del Tabernacolo per sostituirle con quelle rosse.

Paradossale consapevolezza: semplicità del Presepe e vicende di regalità-persecuzione s’intrecciano, per intima fedeltà alla Lieta Notizia (talora considerata una vera seccatura, proprio da chi ci ha fatto il callo).

Il passaggio è brusco, ma il senso è viscerale e acuto, anche per motivi storici e - diremmo così - teologici, cristologici, ecclesiali.

Infatti, gli amici biblisti discutono ancora sui reali responsabili della denuncia e dell’uccisione del leader della chiesa non giudaizzante: un fervoroso faccia tosta e impertinente, ma sincero e genuino - come una «colomba». 

Certo non a tutti è chiesto il martirio sino al momento cruento: spesso una lenta e anonima consumazione può assomigliarci al primo Testimone della Fede autentica.

Stefano osò infatti criticare le usanze, il monopolio del Tempio [cui la chiesa degli apostoli restava ancora legata] e l’interpretazione fondamentalista della Legge.

 

I testimoni critici urtano tutte le potestà della terra, anche le più prossime (v.21). Siamo esattamente la Parola squilibrata di Dio, che smantella le barriere tranquille.

Esse ci fanno strisciare; ma sembra una pazzia.

Se incapace di evolvere e desideroso di confinarsi, persino il potere famigliare si rivolterà contro, quando tenteremo di sostituire il calcolo tribale dei «lupi» con l’innocenza che elargisce e rinnova i rapporti.

Anche il clan di appartenenza va condotto a un differente mondo di convinzioni; non senza contrasti laceranti.

La Torah stessa obbligava i credenti in Dio alla denuncia degli infedeli alla religione dei padri - anche parenti strettissimi - sino a metterli a morte (Dt 13,7-12).

Per rimanere in sella e difendere il mondo antico in cui sono collocati, i poteri mondani della sinagoga e della reggia non esiteranno a usare esclusione, menzogna e intimidazioni: non hanno altro.

Gente come Stefano ha voluto che non solo la piramide dei culti, ma anche la situazione “ecclesiale” dominata dalle consuetudini ufficiali si capovolgesse.

Chi è chiamato a farsi alimento deve contare non sul potere d’influsso e sul timore della gerarchia, bensì sul Dono di sé credibile. Unica realtà amabile e convincente.

Il Testimone che riflette Gesù non può immaginare di giungere a compromesso, poi allearsi con gente che conta e ricorrere a sotterfugi, inganni, bustarelle o appoggi vergognosi (cf. vv.19-20).

Alleati di circostanza, per sottrarsi alle asprezze e mantenere la reputazione.

 

Mt intende aiutare le sue comunità - e noi oggi - a urtare la logica mondana o la guerra delle opinioni, e collocarsi negli eventi di persecuzione in maniera fervente.

Le angherie non sono fatalità, bensì occasioni per la Missione trasparente, senza espedienti; luoghi di alta testimonianza eucaristica.

I perseguitati non devono vivere nell’angoscia del crollo, perché hanno il compito di essere segni del Regno di Dio.

Essi man mano portano i lontani e gli stessi usurpatori interni a una diversa consapevolezza.

 

Dice il Tao Tê Ching (xvii):

«Dei grandi sovrani il popolo sapeva che esistevano; vennero poi quelli che amò ed esaltò, e poi quelli che temette, e poi quelli di cui si fece beffe: quando la sincerità venne meno, s’ebbe l’insincerità».

L’attrazione della Chiesa sta nel non trasformarsi in un potere come un altro, attaccato a egemonia e ricchezze.

Potestà ipocrita, molesta e sfruttatrice dell’ingenuità dei semplici, dei malfermi - rapidamente fatti sudditi e trattati da zerbino.

Più che in cosette pusillanimi [che non compromettono] o più che nella lotta e in un nuovo dirigismo, l’Altrove è solo nella trasparenza clemente e benevolente dello Spirito (v.20).

Per una Lealtà e Giustizia superiori: quelle disposte perfino a perdere amici, farsi deridere e rigettare. Tutelando solo l’essere se stessi, in naturalezza e semplicità.

Ma lasciando che nuove energie s’introducano, che spalanchino la porta al Mistero ineffabile.

Qui sacro e profano vengono a coincidere in un Patto fervente.

Alleanza che si annida e cova frutti, proprio nei momenti del travaglio e del paradosso.

Unica risorsa necessaria è la forza spirituale di andare sino in fondo.

 

L’Annuncio non poteva che causare divisioni estreme, e su temi di fondo come il successo, o il progresso in questa vita - in luogo della visione di un mondo nuovo; dell’utopia di altre e altrui esigenze.

E prima o poi forse tutto sembrerà congiurare e farsi beffe del nostro ideale.

Il riferimento al «Nome» (v.22) allude alla vicenda storica di Gesù di Nazaret, con tutto il suo carico non solo di bontà ideale ed esplicita, ma pure d’attività di denuncia contro l’istituzione ufficiale - e le false guide che avevano messo sotto sequestro il Dio dell’Esodo.

Malgrado le interferenze - l’essere fraintesi, calunniati, beffeggiati, ricattati e odiati... ancorati a Cristo sperimenteremo personalmente che le tappe della storia e della vita procedono verso una Speranza indispensabile, che scardina i blocchi.

[La cosiddetta “protezione” di Dio non ci preserva da tinte cupe, né dal subire danni, ma garantisce che nulla vada perduto].

Certo, Gesù ci mette in guardia: non potremo contare su amicizie inattaccabili, né su potenze umane schierate a difesa. Storia di autentica Incarnazione.

Anche colui che credevamo vicino scruterà con sospetto i testimoni critici.

Il prezzo della verità sta sempre nella scelta contraria al mondo della menzogna - anche sacrale omologante - tutto coalizzato contro.

La nostra vicenda non sarà come un romanzo facile e a lieto fine. Ma avremo la possibilità di manifestare che in ogni istante Dio si rivela, e ciò che sembra fallimento diviene Cibo e sorgente di Vita.

Solo questo è al di là del provvisorio ed ha forza di maturazione incisiva, rigenerante.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Che tipo di lettura fai, e come ti collochi negli eventi di persecuzione? 

Sei consapevole che gli intoppi non vengono per la disperazione, bensì per liberarti dalla chiusura in schemi culturali stagnanti (e non tuoi)?

 

 

 

Sull’altro versante del mondo

 

I cristiani devono dunque farsi trovare sempre sull’“altro versante” del mondo, quello scelto da Dio: non persecutori, ma perseguitati; non arroganti, ma miti; non venditori di fumo, ma sottomessi alla verità; non impostori, ma onesti.

Questa fedeltà allo stile di Gesù – che è uno stile di speranza – fino alla morte, verrà chiamata dai primi cristiani con un nome bellissimo: “martirio”, che significa “testimonianza”. C’erano tante altre possibilità, offerte dal vocabolario: lo si poteva chiamare eroismo, abnegazione, sacrificio di sé. E invece i cristiani della prima ora lo hanno chiamato con un nome che profuma di discepolato. I martiri non vivono per sé, non combattono per affermare le proprie idee, e accettano di dover morire solo per fedeltà al vangelo. Il martirio non è nemmeno l’ideale supremo della vita cristiana, perché al di sopra di esso vi è la carità, cioè l’amore verso Dio e verso il prossimo. Lo dice benissimo l’apostolo Paolo nell’inno alla carità, intesa come l’amore verso Dio e verso il prossimo. Lo dice benissimo l’Apostolo Paolo nell’inno alla carità: «Se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1Cor 13,3). Ripugna ai cristiani l’idea che gli attentatori suicidi possano essere chiamati “martiri”: non c’è nulla nella loro fine che possa essere avvicinato all’atteggiamento dei figli di Dio.

A volte, leggendo le storie di tanti martiri di ieri e di oggi - che sono più numerosi dei martiri dei primi tempi -, rimaniamo stupiti di fronte alla fortezza con cui hanno affrontato la prova. Questa fortezza è segno della grande speranza che li animava: la speranza certa che niente e nessuno li poteva separare dall’amore di Dio donatoci in Gesù Cristo (cfr Rm 8,38-39).

Che Dio ci doni sempre la forza di essere suoi testimoni. Ci doni di vivere la speranza cristiana soprattutto nel martirio nascosto di fare bene e con amore i nostri doveri di ogni giorno. Grazie.

(Papa Francesco, Udienza Generale 28 giugno 2017)

Mercoledì, 10 Luglio 2024 06:53

Caratteristica del martirio cristiano

Bisogna sempre rimarcare questa caratteristica distintiva del martirio cristiano: esso è esclusivamente un atto d’amore, verso Dio e verso gli uomini, compresi i persecutori. Perciò noi oggi, nella santa Messa, preghiamo il Signore che ci insegni "ad amare anche i nostri nemici sull’esempio di [Stefano] che morendo pregò per i suoi persecutori" (Orazione "colletta"). Quanti figli e figlie della Chiesa nel corso dei secoli hanno seguito questo esempio! Dalla prima persecuzione a Gerusalemme a quelle degli imperatori romani, fino alle schiere dei martiri dei nostri tempi. Non di rado, infatti, anche oggi giungono notizie da varie parti del mondo di missionari, sacerdoti, vescovi, religiosi, religiose e fedeli laici perseguitati, imprigionati, torturati, privati della libertà o impediti nell’esercitarla perché discepoli di Cristo e apostoli del Vangelo; a volte si soffre e si muore anche per la comunione con la Chiesa universale e la fedeltà al Papa. Nella Lettera Enciclica Spe salvi (cfr n. 37), ricordando l’esperienza del martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin (morto nel 1857), faccio notare che la sofferenza è trasformata in gioia mediante la forza della speranza che proviene dalla fede. Il martire cristiano, come Cristo e mediante l’unione con Lui, "accetta nel suo intimo la croce, la morte e la trasforma in un’azione d’amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale, dall’interno diventa un atto d’amore che si dona totalmente. La violenza così si trasforma in amore e quindi la morte in vita" (Omelia a Marienfeld - Colonia, 21 agosto 2005). Il martire cristiano attualizza la vittoria dell’amore sull’odio e sulla morte.

Preghiamo per quanti soffrono a motivo della fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. Maria Santissima, Regina dei Martiri, ci aiuti ad essere testimoni credibili del Vangelo, rispondendo ai nemici con la forza disarmante della verità e della carità.

[Papa Benedetto, Angelus 26 dicembre 2007]

Mercoledì, 10 Luglio 2024 06:45

Fortezza di confessare

Siamo chiamati alla fortezza dinanzi agli uomini e, nello stesso tempo, al timore dinanzi a Dio stesso, e questo deve essere il timore dell’amore, il timore filiale. E solo quando tale timore penetra nei nostri cuori, possiamo essere veramente forti con la fortezza degli apostoli, dei martiri, dei confessori. Forti con la fortezza dei pastori. L’invito alla fortezza si collega, in modo particolarmente profondo, con la tradizione del cardinalato, che, anche col colore della veste, ricorda il sangue dei martiri.

4. Cristo chiede da noi soprattutto la fortezza di confessare. dinanzi agli uomini, la sua verità, la sua causa, senza tener conto se questi uomini siano benevoli o meno nei riguardi di questa causa, se a questa verità apriranno le orecchie e i cuori o se “li chiuderanno” così da non poter sentire. Non possiamo scoraggiarci dinanzi ad alcun programma di chiusura delle orecchie e dell’intelletto. Dobbiamo confessare ed annunziare nella più profonda obbedienza allo Spirito di Verità. Egli stesso troverà le vie per giungere al profondo delle coscienze e dei cuori.

Noi invece dobbiamo confessare e rendere testimonianza con tale forza e capacità, che non cada su di noi la responsabilità per il fatto che la nostra generazione abbia rinnegato Cristo davanti agli uomini. Dobbiamo anche essere prudenti “come serpenti e semplici come colombe” (Mt 10, 16).

Dobbiamo infine essere umili, con quell’umiltà della verità interiore, che permette all’uomo di vivere ed operare con magnanimità. Poiché “Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia” (Gc 4, 6). Quella magnanimità, fondata sull’umiltà, frutto della cooperazione con la grazia di Dio, è un segno particolare del nostro servizio nella Chiesa.

[Papa Giovanni Paolo II, Concistoro 30 giugno 1979]

Mercoledì, 10 Luglio 2024 06:37

Il fiuto dei cristiani

In una società contaminata dallo «smog della corruzione», il cristiano deve essere «furbo» e avere «fiuto»: infatti «non può permettersi di essere ingenuo» perché custodisce un «tesoro che è lo Spirito Santo». La riflessione proposta da Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta la mattina di venerdì 10 novembre, ha toccato una delle ferite aperte dell’uomo contemporaneo. E, nel rivolgersi alla coscienza di ogni persona, ha interpellato in particolare quanti nella società hanno responsabilità collettive di governo e di amministrazione.

Punto di partenza dell’omelia è stato il brano evangelico del giorno, nel quale Luca (16, 1-8) passa dalle «tre parabole della misericordia» a un argomento «totalmente diverso» attraverso la parabola dell’amministratore disonesto. Mentre le precedenti descrivevano «la storia di Dio, la storia dell’amore, la storia della misericordia», qui si arriva a «una storia di corruzione».

Il Pontefice ha riassunto la vicenda nella quale si parla di un uomo ricco che «aveva sentito come si amministrava la sua azienda» e si era accorto di «qualche cosa di sospetto nei confronti dell’amministratore». Un personaggio disonesto che, evidentemente, «aveva la mano lunga» e, sapendo ben destreggiarsi nelle truffe, «andò avanti tanto tempo, fino al momento che l’uomo ricco se ne accorse». E come ha reagito l’amministratore?. È lo stesso racconto evangelico, riportato dal Papa, a scandagliare i suoi pensieri: «Ma adesso con questa abitudine che io ho di guadagno facile, devo tornare a lavorare? A guadagnarmi il pane col sudore? Alzarmi tutti i giorni alle sei del mattino? No, no, no».

Da questa consapevolezza, ha spiegato il Pontefice, nasce l’escamotage dell’amministratore che incomincia a fare «la cordata con altri corrotti». E se pure «alcuni di questi non erano corrotti», però gli è ugualmente «piaciuta la proposta ed è entrato nella corruzione». Ha commentato Francesco: «Sono potenti questi! Quando fanno le cordate della corruzione sono potenti; persino arrivano anche ad atteggiamenti mafiosi». E ha sottolineato che quanto descritto in questa parabola «non è una favola», non è «una storia che dobbiamo cercare nei libri di storia antica: la troviamo tutti i giorni sui giornali, tutti i giorni». Infatti, ha aggiunto, «questo succede anche oggi, soprattutto con quelli che hanno la responsabilità di amministrare i beni del popolo». Del resto «con i propri beni nessuno è corrotto, li difende».

La conclusione del brano evangelico ha aperto la strada alle considerazioni del Pontefice. Innanzitutto si legge «che il padrone lodò quell’amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza». Infatti, ha spiegato il Papa, i corrotti in genere «sono furbi», sanno portare avanti bene la loro condotta disonesta: «Anche con cortesia, con guanti di seta, ma la fanno bene». E, soprattutto, nel racconto c’è la chiosa finale di Gesù che dice: «I figli di questo mondo infatti, verso i loro pari, con i pari, sono più scaltri dei figli della luce». Ecco allora «la conseguenza che Gesù prende da questa storia, che è una storia quotidiana. La scaltrezza di questi».

Proprio da qui Francesco ha iniziato ad approfondire la sua riflessione chiedendosi: «Ma se questi sono più scaltri dei cristiani — ma non dirò cristiani, perché anche tanti corrotti si dicono cristiani —, se questi sono più scaltri di quelli fedeli a Gesù, io mi domando: ma c’è una scaltrezza cristiana?».

La parabola ha quindi offerto al Papa lo spunto per considerare la vita concreta del cristiano, che quotidianamente deve confrontarsi con la piaga della corruzione. Francesco è partito da una questione: «Esiste un atteggiamento per quelli che vogliono seguire Gesù» in modo che «non finiscano male, che non finiscano mangiati vivi — come diceva mia mamma: “Mangiati crudi” — dagli altri»?. Qual è, insomma, «la scaltrezza cristiana», una scaltrezza, cioè, «che non sia peccato, ma che serva per portarmi avanti al servizio del Signore e anche all’aiuto degli altri?». Esiste «una furbizia cristiana»?

La risposta, ha detto il Papa, viene direttamente dal Vangelo, dove si incontrano «alcune parole, alcuni detti che ci aiutano a capire se esiste — io dirò — il fiuto cristiano per andare avanti senza cadere nelle cordate della corruzione». Gesù, infatti, a tale scopo utilizza delle «contrapposizioni», come quella tra «agnelli» e «lupi» («Io vi invio come agnelli tra i lupi») con la quale si capisce che «il cristiano è un agnello che deve cavarsela con i lupi». E perciò, attraverso un «altro paradosso», gli viene dato un consiglio: «Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come la colomba».

Ma, ha proseguito Francesco, «come si fa per arrivare a questo atteggiamento di prudenza come i serpenti e di semplicità come le colombe?». Di nuovo il suggerimento viene da Gesù, che «ripete tante volte nel Vangelo: “State attenti, state attenti. Guardate, guardate i segni del tempo: quando l’albero dei fichi incomincia a fare delle foglie è perché è vicina la primavera; quando il mandorlo fiorisce è vicina la primavera». Occorre, cioè, stare «attenti a quello che succede», guardare bene, tenere «gli occhi aperti».

È proprio questo, ha spiegato il Pontefice, il primo atteggiamento che ci porta alla «scaltrezza cristiana»: l’attenzione a quello che succede. Coltivare, cioè, quel «senso della sfiducia sana», che ci porta, ad esempio, a dire: «Di questo non mi fido, parla troppo, promette troppo...». Come accade quando qualcuno propone: «Fa’ l’investimento nella mia banca io ti darò un interesse doppio di quello che danno gli altri” — “Oh, che bello!”». E invece lo scaltro capisce che «questo è troppo». Il cristiano, quindi, «sta attento, guarda i segni del tempo».

C’è poi un secondo suggerimento: «riflettere». Bisogna, ha suggerito Francesco, «non essere veloci nell’accettare certe proposte, perché il diavolo sempre fa così con noi; viene con una finta umiltà». La stessa cosa è accaduta a Eva: «Ma guarda questa mela, è bella, eh!” — “No, ma non posso mangiarla” — “Ma guarda, se tu la mangi diventerai...”». Una storia che tutti conoscono e che parla della «seduzione» del diavolo. Occorre quindi «stare attenti e riflettere», tenendo conto che «il diavolo sa per quale porta entrare nel nostro cuore, perché conosce le nostre debolezze. Ognuno ha la propria. E bussa a quella porta, entra per quella porta».

Infine, un terzo elemento: «pregare». Se si hanno questi tre atteggiamenti, ha affermato il Papa, «stai sicuro che arriverai a questa scaltrezza cristiana che non si lascia ingannare, non si lascia vendere un pezzettino di vetro credendo che siano pietre preziose. E così saremo, come dice Gesù: “Prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”». E «avremo il fiuto cristiano davanti alle cose che succedono».

In conclusione, come di consueto, il Pontefice ha suggerito un’intenzione di preghiera legata alla meditazione appena compiuta: «Preghiamo oggi il Signore che ci dia questa grazia di essere furbi, furbi cristiani, di avere questa scaltrezza cristiana», perché «se c’è una cosa che il cristiano non può permettersi è essere ingenuo». Infatti «come cristiani abbiamo un tesoro dentro: il tesoro che è Spirito Santo. Dobbiamo custodirlo». Chi «si lascia rubare lo Spirito» è un ingenuo. E un cristiano «non può permettersi di essere ingenuo».

Chiedere al Signore «questa grazia della scaltrezza cristiana e del fiuto cristiano», ha concluso il Papa, è anche «una buona occasione per pregare per i corrotti». Del resto, ha detto Francesco, «si parla dello smog che causa inquinamento», ma esiste anche «uno smog di corruzione nella società». Perciò «preghiamo per i corrotti: poveretti, che trovino l’uscita da quel carcere nel quale loro sono voluti entrare».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 11.11.2017]

Pagina 12 di 35
We see this great figure, this force in the Passion, in resistance to the powerful. We wonder: what gave birth to this life, to this interiority so strong, so upright, so consistent, spent so totally for God in preparing the way for Jesus? The answer is simple: it was born from the relationship with God (Pope Benedict)
Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio (Papa Benedetto)
Christians are a priestly people for the world. Christians should make the living God visible to the world, they should bear witness to him and lead people towards him (Pope Benedict)
I cristiani sono popolo sacerdotale per il mondo. I cristiani dovrebbero rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarLo e condurre a Lui (Papa Benedetto)
Christ says: the kingdom of heaven is similar "to a net thrown into the sea, which gathers all kinds of fish" (Mt 13:47). These simple words completely change the physiognomy of the world: the physiognomy of our human world, as we make it [Pope John Paul II]
Cristo dice: il regno dei cieli è simile “a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci” (Mt 13,47). Queste semplici parole mutano completamente la fisionomia del mondo: la fisionomia del nostro mondo umano, come noi ce la facciamo [Papa Giovanni Paolo II]
The discovery of the Kingdom of God can happen suddenly like the farmer who, ploughing, finds an unexpected treasure; or after a long search, like the pearl merchant who eventually finds the most precious pearl, so long dreamt of (Pope Francis)
La scoperta del Regno di Dio può avvenire improvvisamente come per il contadino che arando, trova il tesoro insperato; oppure dopo lunga ricerca, come per il mercante di perle, che finalmente trova la perla preziosissima da tempo sognata (Papa Francesco)
Many situations, then, which unfortunately do not conform to the legitimate predictions and rules established, are anything but negative; and instead of taking away confidence for the harassment they cause, They should have it more generous and far-sighted in favor of their process of responsible decantation (Pope Paul VI)
Molte situazioni, poi, che non sono purtroppo conformi alle legittime previsioni e alle norme stabilite, sono tutt’altro che del tutto negative; e invece di togliere la fiducia per la molestia che arrecano, esse dovrebbero averla più generosa e lungimirante in favore del loro processo di responsabile decantazione (Papa Paolo VI)
Christ is not resigned to the tombs that we have built for ourselves (Pope Francis)
Cristo non si rassegna ai sepolcri che ci siamo costruiti (Papa Francesco)
In recounting the "sign" of bread, the Evangelist emphasizes that Christ, before distributing the food, blessed it with a prayer of thanksgiving (cf. v. 11). The Greek term used is eucharistein and it refers directly to the Last Supper, though, in fact, John refers here not to the institution of the Eucharist but to the washing of the feet [Pope Benedict]
Narrando il “segno” dei pani, l’Evangelista sottolinea che Cristo, prima di distribuirli, li benedisse con una preghiera di ringraziamento (cfr v. 11). Il verbo è eucharistein, e rimanda direttamente al racconto dell’Ultima Cena, nel quale, in effetti, Giovanni non riferisce l’istituzione dell’Eucaristia, bensì la lavanda dei piedi [Papa Benedetto]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

duevie.art

don Giuseppe Nespeca

Tel. 333-1329741


Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.