don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Domenica, 15 Giugno 2025 23:50

Corpus Domini

Martedì, 10 Giugno 2025 09:42

Ss.ma Trinità

Ss.ma Trinità [15 Giugno 2025]

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! 

 

*Prima Lettura dal Libro dei Proverbi (8, 22-31)

 Domenica scorsa, festa di Pentecoste, nel salmo responsoriale (Sal 103/104), abbiamo cantato: “Hai fatto tutte le cose con sapienza”. Oggi, in questo brano tratto dal libro dei Proverbi, c’è uno splendido canto alla Sapienza personificata con cui Dio guida il mondo. “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività…Dall’eternità sono stata formata…quando non esistevano gli abissi, io fui generata” (vv 22-24). L’autore fa parlare la Sapienza come una persona e il verbo ebraico qanah significa acquistare, possedere, creare, generare, tutti sensi appropriati se assunti tenendo presente le varie sfumature del concetto di Sapienza. La Sapienza non parla mai di sé stessa, ma sempre in relazione a Dio, come se fossero inseparabili. Quindi, tra Dio e la Sapienza esiste una grande intimità. La fede ebraica nel Dio unico non ha mai immaginato un Dio trinitario; ma qui sembra che, pur restando salda nell’unicità di Dio, essa intuisca che, all’interno del Dio Uno, vi è un mistero di dialogo e comunione. C’è una parola che ricorre spesso in questo passo: “Prima”. “Il Signore mi ha creato prima di ogni sua opera…dall’eternità…prima che fossero fissate le basi dei monti…prima delle colline”.  La Sapienza è anteriore rispetto a tutta la creazione e l’opera che compie è così bella da generare una vera e propria gioia: “Io ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui…sul globo terrestre ponendo le mie delizie tra i figli degli uomini” (vv30-31).  La Sapienza “trova le sue delizie” presso Dio e anche presso di noi. Si percepisce qui un’eco del ritornello della Genesi: “Dio vide che era cosa buona”; e ancora di più, al sesto giorno, quando fu creato l’uomo (Gen 1,31).  Questo testo del libro dei Proverbi rivela un aspetto particolare della fede di Israele: l’eterna Sapienza ha presieduto a tutta l’opera della creazione e fin dall’alba del mondo, l’umanità e il cosmo sono immersi nella Sapienza di Dio per cui il mondo creato non è disordinato. Anzi la Sapienza ne è l’artefice e questo ci spinge a non perdere mai la fiducia. Infine, è davvero “follia” della fede credere che Dio è sempre presente nella vita degli uomini e, ancor più, che Dio trovi le sue delizie nella nostra compagnia. Follia divina, ma realtà: se Dio continua instancabilmente a proporci la sua Alleanza d’amore, è proprio perché “pone le sue delizie tra i figli dell’uomo” (v.31).  Questo testo non parla mai di Trinità perché quando fu scritto il Libro dei Proverbi non solo il termine Trinità non esisteva, ma l’idea stessa non sfiorava nessuno. Per il popolo eletto la prima urgenza fu affermare il Dio unico e i profeti lottarono contro l’idolatria e il politeismo essendo Israele chiamato a essere il testimone dell’unico Dio (Dt 4,35). Più tardi però i credenti scopriranno, dopo la risurrezione di Cristo, che Dio è Uno ma non solitario: Dio è Trinità. Quando si iniziò a intravedere questo mistero, si rilessero con nuova luce le Scritture e in particolare questo testo che parla della Sapienza di Dio, per scorgervi, come in filigrana, la persona di Cristo. San Giovanni scrive: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio”, espressione che in greco esprime un’intima comunione, un dialogo d’amore ininterrotto. Sant’Ireneo e Teofilo d’Antiochia hanno identificato la Sapienza con lo Spirito, mentre Origene l’ha identificata con il Figlio. Questa seconda interpretazione è stata poi accolta dalla teologia cristiana.

 

*Salmo responsoriale (8)

“Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato”. Forse siamo nel contesto di una celebrazione notturna e il profeta Isaia fa talvolta allusione a celebrazioni notturne, ad esempio quando dice: “Canterete come la notte in cui si celebra la festa” (Is 30,29). Immaginiamo dunque di essere in una sera d’estate a Gerusalemme durante un pellegrinaggio sotto le stelle. Se leggiamo il salmo per intero notiamo che il primo e l’ultimo versetto sono esattamente identici: “O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!” (vv 1, 10). Il tema è dunque un inno alla grandezza di Dio e il nome di Dio è il nome dell’Alleanza, le famose quattro lettere YHVH, che non si pronuncia mai. E allora, anche se la parola “Alleanza” non è pronunciata, è sottintesa ed è il popolo dell’Alleanza che parla. Il primo e l’ultimo versetto incorniciano una meditazione sull’uomo con una costruzione interessante. L’uomo è al centro della creazione e poi tutto, compreso l’uomo, viene ricondotto a Dio: Dio agisce e l’uomo contempla. Tutto iè opera delle dita di Dio che ha fissato le stelle… pensa all’uomo, se ne prende cura, lo ha coronato di gloria e d’onore e l’ha stabilito sopra le opere delle sue mani ponendo ogni cosa ai suoi piedi. La struttura complessiva del salmo presenta dunque dei cerchi concentrici: al centro l’uomo – “che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi? Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi”. Poi un primo cerchio, la creazione: da una parte il cielo stellato e la luna… dall’altra tutti gli esseri viventi: greggi, animali selvatici, uccelli, pesci; un secondo cerchio, la frase ripetuta: l’uomo contempla il vero re della Creazione: “O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!”.  Dio non conserva gelosamente la regalità per sé, anzi a sua volta incorona l’uomo e anche per l’uomo si usa un linguaggio regale: l’uomo è “poco meno di un dio”, è “coronato”… tutto è “ai suoi piedi” Il pensiero va al libro della Genesi che narra la creazione dell’uomo come ultimo atto dopo tutti gli altri esseri viventi, proprio per mostrare che l’uomo è al vertice e da un nome a tutte le creature. Vocazione dell’uomo è essere il re della creazione e alla prima coppia umana, Dio ha detto di essere fecondi e moltiplicarsi, riempire la terra e soggiogarla, (Gn 1,28). Siamo davanti a un salmo che respira la gioia di vivere anche se ci possono essere giorni in cui la presenza di Dio è percepita come opprimente. Pensiamo a Giobbe, che conosceva sicuramente questo salmo a memoria. Eppure nel suo sconforto, rimpianse di averlo cantato con entusiasmo e arrivò a dire: “Perché scruti l’uomo ogni mattina e a ogni istante lo metti alla prova?  Fino a quando da me non distoglierai lo sguardo e non mi lascerai inghiottire la mia saliva? (Gb 7,17-19). Quel giorno, la sua fede rischiò di vacillare. Può capitare anche a noi, ma, come per Giobbe, alla fine anche noi riusciamo a scoprire che Dio veglia e, qualunque cosa accada, continua a “prendersi cura dell’uomo”. La Bibbia è un libro «gioioso» e questo salmo respira la gioia davanti allo splendore di Dio e dell’uomo. L’uomo re della creazione si sottomette a sua volta a Colui che è il vero Signore: riconosce la sua piccolezza e sa che deve tutto al suo Creatore.

 

*Seconda Lettura dalla Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (5,1-5)

 Siamo a Roma, ai tempi dell’imperatore Nerone, nell’anno 57 o 58 dopo Cristo; come in quasi tutte le città del bacino del Mediterraneo, c’è una comunità ebraica, stimata in alcune decine di migliaia di persone che vive una prima grave scissione tra gli ebrei e i giudeo-cristiani (ebrei convertiti a Cristo) accusandosi  reciprocamente di eresia o deviazione. Ci sono inoltre difficili rapporti anche fra giudeo-cristiani, ancora legati alle loro pratiche religiose e i pagani convertiti chiamati pagano-cristiani che mantengono possibili retaggi di idolatria. Questi conflitti si irrigidiscono col passare degli anni per cui nella lettera ai Romani, Paolo si dà come compito di riportare la pace. La grande questione tra ex ebrei e ex pagani è la seguente: poiché Dio ha scelto il popolo ebraico per annunciare la salvezza al mondo e dato che Gesù era ebreo, non si dovrebbe chiedere agli ex pagani di diventare ebrei prima di diventare cristiani e imporre loro la circoncisione con tutte le pratiche ebraiche? San Paolo risponde argomentando così: anzitutto, i cristiani, qualunque sia il loro passato, sono tutti uguali davanti alla salvezza quando accettano Cristo, il solo che salva. Inoltre, pur sapendo che solo la fede salva e non i meriti dell’uomo, alcuni giudeo-cristiani rivendicavano il privilegio di essere l’unico popolo dell’Alleanza e non ritengono i pagani discendenti di Abramo. Nel capitolo quarto Paolo ha già risposto che Abramo è stato dichiarato giusto ben prima di essere circonciso ed era un pagano quando ebbe la chiamata di Dio e mosso dalla fiducia obbedì a Colui che gli chiese di lasciare la sua terra e andare verso il paese che lui gli avrebbe mostrato (Gn 12). “Abramo ebbe fede nel Signore e, per questo, il Signore lo considerò giusto” (Gn 15,6). Nel testo odierno Paolo ha bene in mente l’avventura esemplare di Abramo che “mediante la fede” divenne il padre di tutti i credenti, con o senza circoncisione. Quindi non ha senso in proposito un litigio tra cristiani. Lo afferma chiaramente all’inizio del testo di oggi: “Giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”. La salvezza è dono gratuito di Dio, che chiede l’abbandono fiducioso della fede. Ripetendo l’espressione “mediante la fede” o “per fede”, ribadisce che siamo giustificati dalla morte e risurrezione di Cristo che ci fa vivere nell’intimità con Dio, ciò che Paolo chiama “la grazia”. Per pura grazia partecipiamo alla giustizia di Cristo, reintegrati così nell’Alleanza di Dio e immersi nella comunione trinitaria. Qui, come nella prima lettura (dal libro dei Proverbi), non c’è la parola Trinità, ma tratta proprio della Trinità quando Paolo parla della “grazia nella quale ci troviamo”. Egli contempla il mistero di Dio in termini trinitari quando scrive: “noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” e “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. Parla poi delle ribolazioni che possono diventare un cammino verso Dio producendo la perseveranza e la speranza. La speranza, virtù da poveri, è al termine di un lungo cammino di spoliazione che, “nonostante tutto”, prove, scoraggiamenti, ostinazioni, problemi d’ogni tipo, nasce dall’abbandono fiducioso in Dio sapendo che perché l’amore divino è sriversato nei nostri cuori per mezzo del dono dello Spirito Santo. Infine quando scrive “l’amore di Dio” ci si chiede il significato della preposizione “di “: è cioè l’amore che Dio ha per noi o l’amore nostro per Dio?  Risponde che lo Spirito Santo riversa nei nostri cuori lo stesso amore che Dio ha per l’umanità e, a nostra volta, diventiamo capaci di amare entrando sempre di più nella comunione trinitaria già da ora: questo cammino è partecipare “alla gloria di Dio” sperando di avere parte alla gloria di Dio. Questa speranza non delude, poiché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato, come abbiamo celebrato domenica scorsa, festa della Pentecoste.

 

*Dal Vangelo secondo Giovanni (16, 12 – 15)

Per immergerci in questo vangelo è necessario “vestire il cuore”, parafrasando quel che scrive Antoine de Saint-Exupéry (1900-1944): ”Si vede bene solo con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi” (Piccolo Principe cap.21). Alla vigilia della sua morte, Gesù non usa la parola “Trinità”, ma fa molto di più introducendoci nell’intimità della Trinità. Per percepire questo mistero d’amore e di comunione occorre essere in sintonia con lui, essere noi stessi fuoco ardente d’amore e di comunione, purtroppo però somigliamo piuttosto a legna verde messa a contatto con il fuoco che arde con difficoltà. Gesù assicura che sarà lo Spirito di Dio, il fuoco, a venire in noi e si stabilisce nel nostro cuore.  Nell’ultima cena prepara i discepoli agli eventi che stanno per succedere sapendo che ci sono cose che non si possono ancora comprendere perché “per il momento non siete capaci di portarne il peso” (v.12). La storia dell’umanità, come di ogni uomo, è l’avventura di un lungo cammino e Dio ci accompagna. In tutta la storia biblica, Dio si rivela progressivamente e il popolo eletto abbandona le sue credenze per scoprire il vero volto di Dio. Pure i discepoli fecero fatica a riconoscere Gesù come Messia, tanto erano diverse le loro attese messianiche. Il cammino dell’incontro e della scoperta di Dio continuerà nei secoli e lungo questo percorso storico, lo Spirito di verità ci accompagna per guidarci alla verità tutta intera. La verità, una delle parole-chiave di questo testo, è una meta, non un possesso: non è di ordine intellettuale, non è un sapere e Gesù dice “Io sono la Verità”: dunque Persona da “conoscere”.  Nel linguaggio biblico “conoscere” indica un’esperienza di vita a tal punto che “conoscere” lo si usa per l’unione coniugale. Una conoscenza d’amore che non si spiega, si può solo vivere e meravigliarsene. Lo Spirito verrà ad abitare in noi, a penetrarci e guidarci verso Cristo che è la Verità e se desideriamo entrare nella conoscenza dei misteri di Dio, dobbiamo risolutamente invocare lo Spirito Santo.  Allora, a poco a poco, la rivelazione del mistero di Dio non sarà più esterna a noi: ne avremo una percezione intima, come già promettevano i profeti: “Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande” (Gr31,34).. Un’ultima osservazione: Lo Spirito “vi annuncerà le cose future” (v.13). Non aspettiamoci rivelazioni alla maniera dei veggenti perché si tratta di qualcosa di ben più grande: è il progetto di amore e di salvezza che Dio realizza nella storia umana: san Paolo lo chiama “il disegno della sua benevolenza” che è, appunto, l’ingresso dell’umanità intera nella vita intima della Trinità (Cf. Ef. 1,3-10). Lo Spirito dell’amore ha permesso a Gesù di superare le tentazioni sataniche nel deserto, lo ha guidato in tutta la sua missione, ispirando le sue parole e le sue azioni e i miracoli, fino all’ultima estrema audacia dell’abbandono totale al Getsemani. Nella nostra esistenza camminiamo anche noi verso questa verità tutta intera di Cristo ed è lo Spirito che ci abita a renderci audaci nella missione introducendoci all’esperienza stessa dell’intimità di Dio Uno e Trino. In fondo, celebrando la festa della Trinità, non contempliamo da lontano un mistero inaccessibile, celebriamo già la grande festa della fine dei tempi: quella dell’ingresso dell’umanità nella Casa di Dio.

 

NOTA Per i discepoli di Cristo la verità è lui stesso: Gesù di Nazareth, vero Dio e vero uomo che rivela il volto della verità. Scriveva Fëdor Dostoevskij alla signora Fonvizina nel 1854 circa il rapporto tra verità e Cristo: «Mi sono formato un simbolo di fede in cui tutto per me è chiaro e sacro. Questo simbolo di fede è molto semplice, eccolo: credere che non v’è nulla di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, di più coraggioso e di più perfetto di Cristo; e non solo non c’è, ma con amore geloso io mi dico che neppure può esservi. Ma v’è di più: se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori della verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori di Cristo, io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità» (письмо к Н.Ф. Фонвизиной, №61, февраль 1854 г). Senza conoscere Cristo, non ci può essere conoscenza della verità. Lo scrive chiaramente anche Benedetto XVI nel libro Gesù di Nazareth.

+Giovanni D’Ercole

Lunedì, 09 Giugno 2025 04:47

Ss.ma Trinità

Lunedì, 09 Giugno 2025 03:56

Tra lotta intima e non opporsi al malvagio

Perfezione: andare sino in fondo. E nuova Nascita

(Mt 5,43-48)

 

Gesù proclama che il nostro cuore non è fatto per orizzonti chiusi, ove si accentuano le incompatibilità.

Egli proibisce l’esclusione, e con essa i risentimenti, le difficoltà di comunicazione.

In noi c’è qualcosa in più di ogni sfaccettatura d’opportunismo, e dell’istinto del ribattere colpo su colpo... pareggiare i conti... persino chiudersi nel proprio gruppo esemplare.

In latino perfĭcĕre significa compiere, completare, condurre a perfezione, fare completamente.

Lo capiamo: qui è indispensabile introdurre altre energie; lasciar agire virtù misteriose... tra gli spazi più profondi che ci appartengono, e il mistero delle vicende.

Altrimenti assimileremmo un modello d’integrità esterno, che non sgorga dalla Fonte dell’essere e non ci corrisponde nell’essenza.

Dentro i paradigmi di perfezione l’Unicità prigioniera non saprebbe più dove andare.

 

Perfetti sembrano i diamanti - da cui però non nasce nulla: i ‘perfetti’ di Dio sono coloro che vanno ‘sino in fondo’.

Gesù non vuole che l’esistenza di Fede sia marcata dalla solita dura lotta estrinseca - fatta d’intime lacerazioni.

Le differenze ci sono, tuttavia Egli ordina di sovvertire le consuetudini della saggezza antica, delle divisioni interessate (accettabile o meno, amici o nemici, vicini o lontani, puro e impuro, sacro e profano).

Il Regno di Dio, ossia la comunità dei figli - questo germoglio di società alternativa - è radicalmente diversa perché parte dal Seme, non dalla gestualità esteriore; né usa edulcoranti, per celare lo scontro intimo.

Gli accadimenti rigenerano spontaneamente, fuori e persino dentro di noi; inutile forzare.

La crescita e destinazione permane e si farà magnifica, anche grazie alle beffe e costrizioni allestite in modo avverso.

Arrendersi, cedere, deporre l’armatura, farà spazio a nuove gioie.

Combattere gli “allergici” confonde l’anima: sono proprio gl’inciampi sul percorso previsto ad aprire e accendere lo spazio vitale - normalmente troppo stretto, soffocato dagli obblighi.

Sottile consapevolezza e Perfezione che distingue l’autentico uomo nuovo nello Spirito dall’imbonitore che ignora le cose del Padre e cerca scorciatoie affannose, passando sottobanco favori e “mazzette” onde sbrigare immediatamente la propria pratica con Dio e il prossimo.

 

Amare il nemico che ci [trae fuori e] fa Perfetti:

Se gli altri non sono come abbiamo sognato, è una fortuna: le porte sbattute in faccia e il loro pungolo stanno preparandoci ben altre gioie.

L’avventura della Fede estrema è per una Bellezza che ferisce e una Felicità anormale, prominente.

L’alternativa ‘vittoria-o-sconfitta’ è falsa: bisogna uscirne.

Qui, solo chi sa attendere trova la sua Via.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quale consapevolezza o fine ti proponi nel coinvolgere il tempo, la percezione, l’ascolto, la gentilezza? Apparire diverso dalla tua indole, per piacere agli altri? Farsi accettare? O essere perfettamente te stesso, e attendere gli sviluppi che si stanno preparando?

 

 

[Martedì 11.a sett. T.O.  17 giugno 2025]

Tra lotta intima e non opporsi al malvagio

(Mt 5,43-48)

 

Nella sua prima enciclica papa Benedetto scriveva:

«Con la centralità dell'amore, la fede cristiana ha accolto quello che era il nucleo della fede d'Israele e al contempo ha dato a questo nucleo una nuova profondità e ampiezza. L'Israelita credente, infatti, prega ogni giorno con le parole del Libro del Deuteronomio, nelle quali egli sa che è racchiuso il centro della sua esistenza: Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze” (6,4-5). Gesù ha unito, facendone un unico precetto, il comandamento dell'amore di Dio con quello dell'amore del prossimo, contenuto nel Libro del Levitico: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (19, 18; cfr Mc 12, 29-31). Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4, 10), l'amore adesso non è più solo un “comandamento”, ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro.

In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell'odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto» [Deus Caritas est, n.1].

 

 

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne

 

Gesù proclama che il nostro cuore non è fatto per orizzonti chiusi, ove si accentuano le incompatibilità.

Egli proibisce l’esclusione, e con essa i risentimenti, le difficoltà di comunicazione.

In noi c’è qualcosa in più di ogni sfaccettatura d’opportunismo, e dell’istinto del ribattere colpo su colpo... pareggiare i conti... persino chiudersi nel proprio gruppo esemplare.

In latino perfĭcĕre significa compiere, completare, condurre a perfezione, fare completamente.

Lo capiamo: qui è indispensabile introdurre altre energie; lasciar agire virtù misteriose... tra gli spazi più profondi che ci appartengono, e il mistero delle vicende.

Come per noi raggiungere la cima del Monte delle Beatitudini. Per una nuova Nascita, un nuovo Inizio.

Impossibile, se non lasciamo si sviluppi una Sapienza innata, primigenia - magmatica, però assai più integra e inappuntabile.

Avventurarsi lontano dal proprio recinto - addirittura fuori dal coro mondano - non rende forse originali, ma inizia a curare la nostra eccentrica eccezionalità.

Altrimenti assimileremmo un modello d’integrità esterno, che non sgorga dalla Fonte dell’essere e non ci corrisponde nell’essenza.

Dentro i paradigmi di perfezione, l’unicità prigioniera non saprebbe più dove andare. Girerebbe a vuoto credendo di salire [in religione, come su una scala elicoidale, che non porta a nulla: meccanismo tipico delle forme ascetiche].

Nell’esasperazione dei modelli fuori di noi, assoggettiamo l’anima allo stile delle celebrità (perfino ecclesiali).

L’ansia prodotta dalle ristrettezze di carisma, dei campioni, di ruoli privi di sintonie profonde, sarà allora pronta ad attaccarci; si presenterà dietro l’angolo come invincibile avversaria.

 

Perfetti sembrano i diamanti - da cui però non nasce nulla: i perfetti di Dio sono coloro che vanno sino in fondo.

Dice il Tao: «Se vuoi che ti sia dato tutto, molla tutto».

“Tutto” significa anche l’immagine che siamo abituati a porgere agli altri, per piacere a ogni costo. Bisogna venirne fuori.

 

Un Gesù trasgressivo incontra la Sapienza di ogni tempo, anche quella naturale - assolutamente non conformista.

Non vuole che l’esistenza di Fede sia marcata dalla solita dura lotta estrinseca [tipica della mentalità “spirituale”] fatta d’intime lacerazioni.

Ancora oggi - purtroppo - in molte realtà credenti si viene formati all’idea dell’inevitabile contrapposizione tra istinto alla vita e norme perbene.

 

Il Signore sorvola l’idea assuefatta della fatica devota, e lo fa osando completare la Scrittura antica, quasi correggendo le radici dell’identità civile e veneranda del popolo, identificata nella Torah.

Diverse volte e di seguito suggerisce di modificare il Tesoro sacro e inappellabile della Legge: «Fu detto [...] Ora io vi dico».

Le differenze ci sono, tuttavia Gesù ordina di sovvertire le consuetudini della saggezza antica, le divisioni interessate: accettabile o meno, amici o nemici, vicini o lontani, puro e impuro, sacro e profano; così via.

Il Regno di Dio, ossia la comunità dei figli - questo germoglio di società alternativa - è radicalmente diversa perché parte dal Seme, non dalla gestualità esteriore; né usa edulcoranti, per celare lo scontro intimo.

Non è “nuova” come ultima delle astuzie o invenzioni da allestire... Ma perché soppianta tutto il mondo degli artifici unilaterali.

In tal guisa: le anime devono prendere il passo delle cose, per cogliere il ritmo stesso di Dio, che sapientemente crea.

Gli accadimenti rigenerano spontaneamente, fuori e persino dentro di noi; inutile forzare.

La crescita e destinazione permane e si farà magnifica, anche grazie alle beffe e costrizioni allestite in modo avverso - dagli esibizionisti più plateali e insinceri, o da chi sembra vicino.

Arrendersi, cedere, deporre l’armatura, farà spazio a nuove gioie.

 

Combattere gli “allergici” confonde l’anima: sono proprio gl’inciampi sul percorso previsto ad aprire e accendere lo spazio vitale - normalmente troppo stretto, soffocato dagli obblighi.

Nel Tao Tê Ching si legge: «Se vuoi ottenere qualcosa, devi prima permettere che sia dato ad altri».

La fioritura seguirà l’indole naturale dei figli: sarà senza sforzo alcuno, né recita di santità volitiva, sovraccarica (simpatica o altro).

Sottile consapevolezza e Perfezione che distingue l’autentico uomo nuovo nello Spirito dall’imbonitore che ignora le cose del Padre e cerca scorciatoie affannose, passando sottobanco favori e “mazzette” onde sbrigare immediatamente la propria pratica con Dio e il prossimo.

 

Amare il nemico che ci [trae fuori e] fa Perfetti:

Se gli altri non sono come abbiamo sognato, è una fortuna: le porte sbattute in faccia e il loro pungolo stanno preparandoci ben altre gioie.

 

L’avventura della Fede estrema è per una Bellezza che ferisce e una Felicità anormale, prominente.

Qui, solo chi sa attendere trova la sua Via.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quale consapevolezza o fine ti proponi nel coinvolgere il tempo, la percezione, l’ascolto, la gentilezza?

Apparire diverso dalla tua indole, per piacere agli altri? Farsi accettare? 

O essere perfettamente te stesso, e attendere gli sviluppi che si stanno preparando?

Lunedì, 09 Giugno 2025 03:44

Capaci di un nuovo inizio

«Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» - si legge nel Libro del Levitico (19,1). Con queste parole, e i precetti che ne conseguono, il Signore invitava il popolo che si era scelto ad essere fedele all’alleanza con Lui camminando sulle sue vie e fondava la legislazione sociale sul comandamento «amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18). Se ascoltiamo, poi, Gesù, nel quale Dio ha assunto un corpo mortale per farsi prossimo di ogni uomo e rivelare il suo amore infinito per noi, ritroviamo quella stessa chiamata, quello stesso audace obiettivo. Dice, infatti, il Signore: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Ma chi potrebbe diventare perfetto? La nostra perfezione è vivere con umiltà come figli di Dio compiendo concretamente la sua volontà. San Cipriano scriveva che «alla paternità di Dio deve corrispondere un comportamento da figli di Dio, perché Dio sia glorificato e lodato dalla buona condotta dell’uomo» (De zelo et livore, 15: CCL 3a, 83).

In che modo possiamo imitare Gesù? Gesù stesso dice: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,44-45). Chi accoglie il Signore nella propria vita e lo ama con tutto il cuore è capace di un nuovo inizio. Riesce a compiere la volontà di Dio: realizzare una nuova forma di esistenza animata dall’amore e destinata all’eternità. L’apostolo Paolo aggiunge: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1 Cor 3,16). Se siamo veramente consapevoli di questa realtà, e la nostra vita ne viene profondamente plasmata, allora la nostra testimonianza diventa chiara, eloquente ed efficace. Un autore medievale ha scritto: «Quando l’intero essere dell’uomo si è, per così dire, mescolato all’amore di Dio, allora lo splendore della sua anima si riflette anche nell’aspetto esteriore» (Giovanni Climaco, Scala Paradisi, XXX: PG 88, 1157 B), nella totalità della vita. «Grande cosa è l’amore – leggiamo nel libro dell’Imitazione di Cristo –, un bene che rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile. L’amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Nasce da Dio e soltanto in Dio può trovare riposo» (III, V, 3).

[Papa Benedetto, Angelus 20 febbraio 2011]

Lunedì, 09 Giugno 2025 03:39

Non cedere ai meccanismi

1. "Ecco, noi saliamo a Gerusalemme" (Mc 10, 33). Con queste parole il Signore invita i discepoli a percorrere con Lui il cammino che dalla Galilea conduce al luogo dove si consumerà la sua missione redentrice. Questo cammino verso Gerusalemme, che gli Evangelisti presentano come il coronamento dell'itinerario terreno di Gesù, costituisce il modello della vita del cristiano, impegnato a seguire il Maestro sulla via della Croce. Anche agli uomini e alle donne di oggi Cristo rivolge l'invito a "salire a Gerusalemme". Lo rivolge con forza particolare in Quaresima, tempo favorevole per convertirsi e ritrovare la piena comunione con Lui, partecipando intimamente al mistero della sua morte e risurrezione.  

La Quaresima, pertanto, rappresenta per i credenti l'occasione propizia di una profonda revisione di vita. Nel mondo contemporaneo, accanto a generosi testimoni del Vangelo, non mancano battezzati che, dinanzi all'esigente appello ad intraprendere la "salita verso Gerusalemme", assumono un atteggiamento di sorda resistenza ed a volte anche di aperta ribellione. Sono situazioni in cui l'esperienza della preghiera è vissuta in modo piuttosto superficiale, così che la parola di Dio non incide nell'esistenza. Lo stesso Sacramento della Penitenza è ritenuto da molti insignificante e la Celebrazione eucaristica domenicale soltanto un dovere da assolvere. 

Come accogliere l'invito alla conversione che Gesù ci rivolge anche in questa Quaresima? Come realizzare un serio cambiamento di vita? Occorre innanzitutto aprire il cuore ai toccanti messaggi della liturgia. Il periodo che prepara alla Pasqua rappresenta un provvidenziale dono del Signore ed una preziosa possibilità per avvicinarsi a Lui, rientrando in se stessi e mettendosi in ascolto dei suoi interiori suggerimenti. 

2. Ci sono cristiani che pensano di poter fare a meno di tale costante sforzo spirituale, perché non avvertono l'urgenza di confrontarsi con la verità del Vangelo. Essi tentano di svuotare e rendere innocue, perché non turbino il loro modo di vivere, parole come: "Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano" (Lc 6, 27). Tali parole, per queste persone, risuonano quanto mai difficili da accettare e da tradurre in coerenti comportamenti di vita. Sono infatti parole che, se prese sul serio, obbligano ad una radicale conversione. Invece, quando si è offesi e feriti, si è tentati di cedere ai meccanismi psicologici dell'autocompassione e della rivalsa, ignorando l'invito di Gesù ad amare il proprio nemico. Eppure le vicende umane d'ogni giorno mettono in luce, con grande evidenza, quanto il perdono e la riconciliazione siano irrinunciabili per porre in essere un reale rinnovamento personale e sociale. Questo vale nelle relazioni interpersonali, ma anche nei rapporti fra comunità e fra nazioni. 

[Papa Giovanni Paolo II, Messaggio per la Quaresima 2001]

Lunedì, 09 Giugno 2025 03:28

Il buon affare

Amare i nostri nemici, quelli che ci perseguitano e ci fanno soffrire, è difficile e non è neppure un “buon affare” perché ci impoverisce. Eppure è questa la strada indicata e percorsa da Gesù per la nostra salvezza […]

Durante l’omelia il Pontefice ha ricordato che la liturgia in questi giorni propone di riflettere sui parallelismi fra «la legge antica e la legge nuova, la legge del monte Sinai e la legge del monte delle beatitudini». Entrando nello specifico delle letture — tratte dalla seconda lettera di san Paolo ai Corinzi (8, 1-9) e dal vangelo di Matteo (5, 43-48) — il Santo Padre si è soffermato sulla difficoltà dell’amore ai nemici e chiedendosi come sia possibile perdonare ha aggiunto: «Anche noi, tutti noi, abbiamo nemici, tutti. Alcuni nemici deboli, alcuni forti. Anche noi tante volte diventiamo nemici di altri; non gli vogliamo bene. Gesù ci dice dobbiamo amare i nemici».

Non si tratta di un impegno facile e, in genere, «pensiamo che Gesù ci chiede troppo. Pensiamo: “Lasciamo queste cose alle suore di clausura che sono sante, a qualche anima santa!”». Ma non è l’atteggiamento giusto. «Gesù — ha ricordato il Papa — dice che si deve fare questo perché altrimenti siete come i pubblicani, come i pagani, e non siete cristiani». Di fronte ai tanti drammi che segnano l’umanità, ha ammesso, è difficile fare questa scelta: come si può amare, infatti, «quelli che prendono la decisione di fare un bombardamento e ammazzare tante persone? Come si possono amare quelli che per amore dei soldi non lasciano arrivare le medicine a chi ne ha bisogno, agli anziani, e li lasciano morire?». E ancora: «Come si possono amare le persone che cercano solo il loro interesse, il loro potere e fanno tanto male?».

Io non so — ha affermato il vescovo di Roma — «come si possa fare. Ma Gesù ci dice due cose: primo, guardare al Padre. Nostro Padre è Dio: fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni; fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Nostro Padre al mattino non dice al sole: “Oggi illumina questi e questi; questi no, lasciali nell’ombra!” Dice: “Illumina tutti”. Il suo amore è per tutti, il suo amore è un dono per tutti, buoni e cattivi. E Gesù finisce con questo consiglio: “Voi dunque siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste”». Dunque l’indicazione di Gesù è di imitare il Padre in «quella perfezione dell’amore. Lui perdona ai suoi nemici. Fa tutto per perdonarli. Pensiamo con quanta tenerezza Gesù riceve Giuda nell’orto degli ulivi», quando tra i discepoli c’è chi pensa alla vendetta.

«La vendetta — ha detto in proposito il Pontefice — è quel pasto tanto buono quando si mangia freddo» e per questo attendiamo il momento giusto per compierla. «Ma questo — ha ripetuto — non è cristiano. Gesù ci chiede di amare i nemici. Come si può fare? Gesù ci dice: pregate, pregate per i vostri nemici». La preghiera fa miracoli e ciò vale non solo quando siamo in presenza di nemici; vale anche quando nutriamo qualche antipatia, «qualche piccola inimicizia». E allora bisogna pregare, perché «è come se il Signore venisse con l’olio e preparasse i nostri cuori alla pace».

Ma — ha aggiunto il Papa rivolgendosi ai presenti — «ora vorrei lasciarvi una domanda, alla quale ciascuno può rispondere in cuor suo: io prego per i miei nemici? Io prego per quelli che non mi vogliono bene? Se noi diciamo di sì, io vi dico: vai avanti, prega di più, perché questa è una buona strada. Se la risposta è no, il Signore dice: Poveretto! Anche tu sei nemico degli altri! E allora bisogna pregare perché il Signore cambi i loro cuori».

Il Papa ha poi messo in guardia da atteggiamenti tesi a giustificare la vendetta a seconda del grado dell’offesa ricevuta, del male fatto da altri: la vendetta, cioè, fondata sul principio «occhio per occhio, dente per dente». Dobbiamo guardare ancora all’esempio di Gesù: «Conoscete infatti la grazia di cui parla oggi l’apostolo Paolo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. È vero: l’amore ai nemici ci impoverisce, ci fa poveri, come Gesù, il quale, quando è venuto, si è abbassato sino a farsi povero». Forse non è un “buon affare”, ha aggiunto il Pontefice, o almeno non lo è secondo le logiche del mondo. Eppure, «è la strada che ha fatto Dio, la strada che ha fatto Gesù», sino a conquistarci la grazia che ci ha fatto ricchi.

Questo «è il mistero della salvezza: con il perdono, con l’amore per il nemico noi diventiamo più poveri. Ma quella povertà è seme fecondo per gli altri, come la povertà di Gesù è diventata grazia per tutti noi, salvezza. Pensiamo ai nostri nemici, a chi non ci vuole bene. Sarebbe bello se offrissimo la messa per loro, se offrissimo il sacrificio di Gesù per loro che non ci amano. E anche per noi, perché il Signore ci insegni questa saggezza: tanto difficile ma anche tanto bella e ci rende simili anche al suo Figlio, che nel suo abbassamento si è fatto povero per arricchire noi della sua povertà».

[Papa Francesco, meditazione a s. Marta, in L’Osservatore Romano 19/06/2013]

Domenica, 08 Giugno 2025 04:32

Vuoi passare avanti? Accomodati

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne

(Mt 5,38-42)

 

«Altra guancia»: clima dell’inventiva.

Non opporsi al malvagio consente di sperimentare le Beatitudini, antidoto ai rapporti unilaterali; ma ciò è impossibile, se non lasciamo si sviluppi una Energia innata.

Nel contraccambio infinitamente ripetuto non c’è saggezza che ‘legge dentro’; nel rovesciamento, sì.

 

La nuova esperienza di Dio è quella d’un Amore creativo genuino, che senza posa butta all’aria, introduce nuove potenze, e incredibilmente capovolge tutto.

Fuori e dentro di noi esiste un altro Territorio, dove l’affinità dell’Attesa incontra il Disegno di Dio: ciò dopo un tempo di Silenzio che vive intensamente l’Oggi cogliendone la profondità, intuendolo come radice imprevedibile del Domani.

C’è un diverso ‘regno’, dove l’accondiscendenza incontra nuove spinte, cosmiche e acutamente personali; Profilo del Vivente.

Ciò senza precipitazione: dopo una «energia di pausa», virtù che si fa radice e linfa del futuro più esclusivo.

 

La fermezza nella tribolazione accettata diventa Seme di un nuovo Figlio, d’una Genesi impensata, che sta appena intrecciando le sue prime radici proprio in quel terreno paludoso.

L’attesa di Dio apre il nostro destino di stoltezze senza tregua e già decretate, alla fiducia in una nuova Linfa e Potenza.

Spalanca il Senso che non t’aspetti, in un clima d’inventiva che sorvola l’istinto azione-reazione [affinché la catena delle normalità non prenda il sopravvento sul mistero della nostra Identità-carattere e Destinazione].

 

La non-violenza non è una norma, bensì una Freccia superiore, che indica una direzione di Ricerca, la quale avanza di scoperta in scoperta.

La vita davvero esemplare è sempre di altro genere, fuori del comune.

Lasciare che anche gli opportunisti passino avanti crea il giusto distacco, affinché avvenga un nuovo Atto d’Essere, irripetibile.

Quando saremo pronti ci accorgeremo che la nostra mortificazione era un crocevia: essa ha inopinatamente spalancato il destino a una speranza meno corta, dilatando la vita.

Se gli altri non sono come abbiamo sognato, è una fortuna: le porte sbattute in faccia e il loro pungolo stanno preparandoci ben altre gioie.

 

L’avventura della Fede estrema è per una Bellezza che ferisce - acuendo la percezione, spostando lo sguardo, dilatando il cuore - e per una Gioia anormale, prominente.

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne.

Dice il Tao Tê Ching: «I nuovi inizi sono spesso camuffati da dolorose perdite [ma] ciò ch’è cedevole sopraffà ciò ch’è duro. Il lento sorpassa il veloce».

Solo chi sa attendere trova la sua Via.

 

 

[Lunedì 11.a sett. T.O. 16 giugno 2025]

Domenica, 08 Giugno 2025 04:28

Vuoi passare avanti? Accomodati

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne

(Mt 5,38-42)

 

«Altra guancia»: clima dell’inventiva.

Non opporsi al malvagio consente di sperimentare le Beatitudini, antidoto ai rapporti unilaterali; ma ciò è impossibile, se non lasciamo si sviluppi una Energia innata.

Dice il Tao: «Se vuoi che ti sia dato tutto, molla tutto». Nel contraccambio infinitamente ripetuto non c’è saggezza che “legge dentro”; nel rovesciamento, sì.

[Per questo motivo, ad es. il testo di Lc 6,27-38 non parla di ‘meriti’ (cf. traduzione CEI 1974) e neppure di ‘gratitudine’ (traduzione CEI 2008), bensì di «Gratuità» (vv.31.33-34)].

Certo, non è semplice capire il senso del Dono, del Gratis: ma il Maestro non vuole che diventiamo solo più capaci di ringraziare e ben educati.

Gesù in noi non si occupa semplicemente di cambiare la situazione e ingentilirla: vuole rimpiazzare l’intero sistema delle cose spurie e delle relazioni artificiose - di maniera.

Altrimenti nulla verrebbe modificato, niente s’invertirebbe radicalmente; tutt’altro: nel buonismo di circostanza le sovrastrutture che ci alienano si rafforzerebbero.

La nuova esperienza di Dio è quella d’un Amore creativo genuino, che senza posa butta all’aria, introduce nuove potenze, e incredibilmente capovolge tutto.

 

C’è una Giustizia più grande: vivere nella nuova posizione che la marea della vita e la Provvidenza cesellano per ciascuno di noi.

Non sarà lo sforzo che ci farà stare dove la Vocazione (davvero perfetta) vuole che dimoriamo, ma una lenta corrispondenza - anche nelle altalene.

Fuori e dentro di noi esiste un altro territorio, dove l’affinità dell’Attesa incontra il Disegno di Dio: ciò dopo un tempo di Silenzio che vive intensamente l’Oggi cogliendone la profondità, intuendolo come radice imprevedibile del Domani.

C’è un diverso Regno, dove l’accondiscendenza incontra nuove spinte, cosmiche e acutamente personali; Profilo del Vivente.

In tal guisa, eccoci senza precipitazione: dopo una energia di pausa, virtù che si fa radice e linfa del futuro più esclusivo.

La spirale del restituire l’offesa può occupare tutto il nostro spazio. Così smorza la capacità di corrispondere al tintinnio nuovo della Chiamata.

Ci toglie percezione, l’intero Ascolto della Novità di Dio che è agli albori.

Generando confusioni tutte nostre, impallidisce la Storia di Salvezza che sta viceversa creando un inedito: la si taglia in radice.

Per questo motivo il Signore ordina di sovvertire le consuetudini della religiosità antica, del suo stesso impeto; delle divisioni interessate [accettabile o meno, amici o nemici, vicini o lontani, puro e impuro, sacro e profano, etc.].

Il Regno divino parte dal Seme, non dalla gestualità esteriore o dalle forme; né usa edulcoranti conformisti, che lasciano intatti i ruoli.

Per cogliere il ritmo stesso di Dio (che sapientemente crea) le anime devono prendere il passo delle cose, le quali maturano in termini lineari sino a che rovesciano o moltiplicano - in modo non già “stampato”, bensì personale.

Gli accadimenti stessi rigenerano in modo spontaneo, fuori e persino dentro di noi; inutile forzare.

La crescita e destinazione permane anche grazie alla molla di beffe e costrizioni esterne.

Nel Tao Tê Ching si legge: «Se vuoi ottenere qualcosa, devi prima permettere che sia dato ad altri». La fioritura sarà senza forzature.

Allora, la fermezza nella tribolazione, nell’accettazione e nella sopportazione di profittatori, superficiali e vanitosi diventa scaturigine di un nuovo figlio, d’una Genesi impensata che sta appena intrecciando le sue prime radici proprio con quel terreno paludoso.

 

Dai lingotti non nasce nulla, dagli ostinati nascono le solite cose, dai precipitosi l’esatto contrario; dal letame nascono i fiori nuovi, che neanche abbiamo piantato.

La sospensione vissuta nel Mistero apre il nostro destino di stoltezze già decretate alla fiducia in un nuovo Atto d’Essere, irripetibile.

Spalanca il Senso che non t’aspetti, in un clima d’inventiva che sorvola l’istinto azione-reazione - affinché la catena delle normalità non prenda il sopravvento sul prodigio dell’Identità vocazionale, del nostro carattere e realizzazione.

La non-violenza non è dunque una norma di sola squisitezza d’animo, bensì una Freccia superiore, che indica una direzione di Ricerca non meccanica, la quale avanza di scoperta in scoperta.

La vita davvero esemplare è sempre di altro genere, fuori dal comune.

Appunto, lasciare che tutti, anche gli opportunisti [e gli attori della santità] passino avanti, non ci mette subito in sella o in vetrina, ma infine neppure ci farà pagare troppo di persona.

Crea il giusto distacco perché quando saremo pronti giunga il tempo in cui ci accorgeremo che la nostra mortificazione era un crocevia: ci ha aperto il destino a una speranza meno corta, dilatando la vita.

Dice il Tao: «I nuovi inizi sono spesso camuffati da dolorose perdite [ma] ciò ch’è cedevole sopraffà ciò ch’è duro. Il lento sorpassa il veloce».

Se gli altri non sono come abbiamo sognato, è una fortuna: le porte sbattute in faccia e il loro pungolo mettono in contatto con le nostre virtù profonde, e con risorse cui non abbiamo ancora dato spazio.

 

Tradimenti, soprusi, dispetti, vendette, oltraggi, mortificazioni… che vorrebbero renderci inquieti e avvilirci… stanno preparando il nostro sviluppo.

L’avventura della Fede estrema è infatti per una Bellezza che ferisce e una Felicità anormale, prominente. Ma solo chi sa attendere trova la sua Via.

 

Il Primo Testamento riconosceva il principio di giustizia ‘uno vale uno’ nel diritto di vendetta.

In tal guisa arginando nel limite della parità il volume della ritorsione e lo strapotere dei forti [la loro eventuale violenza cieca a seguito d’inezie] sui deboli.

Ma non basta questo a non pervertire le relazioni e consentire al Padre di proporci una speciale realizzazione-configurazione, la quale impone ‘Sospensioni’ dalla spirale omologante.

Generando confusioni tutte nostre, impallidisce proprio quella storia di salvezza che sta viceversa creando un inedito: la si taglia in radice.

Il gorgo del restituire l’offesa può occupare tutto il nostro spazio e tempo.

Così tale vortice smorza la capacità di corrispondere al tintinnio nuovo della Chiamata.

Ci toglie il silenzio, la cura, l’Ascolto della Novità di Dio che sta germogliando.

La fermezza nella tribolazione, nell’accettazione e nella sopportazione di profittatori, superficiali e vanitosi diventa Seme di un nuovo figlio, d’una Genesi impensata, che sta appena intrecciando le sue prime radici proprio in quel terreno paludoso.

Dai ‘perfetti’ e ‘brillanti’ non nasce nulla, dagli ostinati nascono le solite cose, dai precipitosi l’esatto contrario; dal letame nascono i fiori nuovi, che neanche abbiamo piantato.

 

L’attesa di Dio apre il nostro destino di stoltezze senza tregua e già decretate, alla fiducia in una nuova Linfa e Potenza.

Spalanca il Senso che non t’aspetti, in un clima d’inventiva che sorvola l’istinto azione-reazione, affinché la catena delle normalità non prenda il sopravvento sul mistero della nostra Identità-carattere e Destinazione.

La non-violenza non è una norma, bensì una Freccia superiore, che indica una direzione di Ricerca, la quale avanza di scoperta in scoperta.

La vita davvero esemplare è sempre di altro genere, fuori del comune.

Lasciare che tutti passino avanti, non ci mette in sella o in vetrina, ma infine neppure ci farà pagare troppo di persona e di senso.

Crea il giusto distacco perché quando saremo pronti giunga il tempo in cui ci accorgeremo che la nostra umiliazione era un discrimine, un punto critico.

Essa ha inopinatamente spalancato il destino a una speranza meno corta, dilatando la vita.

Avverrà un nuovo Atto d’Essere, irripetibile.

Se gli altri non sono come abbiamo sognato, è una fortuna: le porte sbattute in faccia e il loro pungolo stanno preparandoci ben altre gioie.

L’avventura della Fede estrema è per una Bellezza che ferisce - acuendo la percezione, spostando lo sguardo, dilatando il cuore - e per una Gioia anormale, prominente.

 

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne.

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“Love is an excellent thing”, we read in the book the Imitation of Christ. “It makes every difficulty easy, and bears all wrongs with equanimity…. Love tends upward; it will not be held down by anything low… love is born of God and cannot rest except in God” (III, V, 3) [Pope Benedict]
«Grande cosa è l’amore – leggiamo nel libro dell’Imitazione di Cristo –, un bene che rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile. L’amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Nasce da Dio e soltanto in Dio può trovare riposo» (III, V, 3) [Papa Benedetto]
For Christians, non-violence is not merely tactical behaviour but a person's way of being (Pope Benedict)
La nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere (Papa Benedetto)
But the mystery of the Trinity also speaks to us of ourselves, of our relationship with the Father, the Son and the Holy Spirit (Pope Francis)
Ma il mistero della Trinità ci parla anche di noi, del nostro rapporto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (Papa Francesco)
Jesus contrasts the ancient prohibition of perjury with that of not swearing at all (Matthew 5: 33-38), and the reason that emerges quite clearly is still founded in love: one must not be incredulous or distrustful of one's neighbour when he is habitually frank and loyal, and rather one must on the one hand and on the other follow this fundamental law of speech and action: "Let your language be yes if it is yes; no if it is no. The more is from the evil one" (Mt 5:37) [John Paul II]
Gesù contrappone all’antico divieto di spergiurare, quello di non giurare affatto (Mt 5, 33-38), e la ragione che emerge abbastanza chiaramente è ancora fondata nell’amore: non si deve essere increduli o diffidenti col prossimo, quando è abitualmente schietto e leale, e piuttosto occorre da una parte e dall’altra seguire questa legge fondamentale del parlare e dell’agire: “Il vostro linguaggio sia sì, se è sì; no, se è no. Il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37) [Giovanni Paolo II]
And one thing is the woman before Jesus, another thing is the woman after Jesus. Jesus dignifies the woman and puts her on the same level as the man because he takes that first word of the Creator, both are “God’s image and likeness”, both; not first the man and then a little lower the woman, no, both. And the man without the woman next to him - both as mother, as sister, as bride, as work partner, as friend - that man alone is not the image of God (Pope Francis)
E una cosa è la donna prima di Gesù, un’altra cosa è la donna dopo Gesù. Gesù dignifica la donna e la mette allo stesso livello dell’uomo perché prende quella prima parola del Creatore, tutti e due sono “immagine e somiglianza di Dio”, tutti e due; non prima l’uomo e poi un pochino più in basso la donna, no, tutti e due. E l’uomo senza la donna accanto – sia come mamma, come sorella, come sposa, come compagna di lavoro, come amica – quell’uomo solo non è immagine di Dio (Papa Francesco)
Only one creature has already scaled the mountain peak: the Virgin Mary. Through her union with Jesus, her righteousness was perfect: for this reason we invoke her as Speculum iustitiae. Let us entrust ourselves to her so that she may guide our steps in fidelity to Christ’s Law (Pope Benedict)
Una sola creatura è già arrivata alla cima della montagna: la Vergine Maria. Grazie all’unione con Gesù, la sua giustizia è stata perfetta: per questo la invochiamo Speculum iustitiae. Affidiamoci a lei, perché guidi anche i nostri passi nella fedeltà alla Legge di Cristo (Papa Benedetto)

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