don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Giovedì, 01 Agosto 2024 09:55

Il segreto è avere Fede!

XVIII Domenica del Tempo Ordinario B (4 agosto 2024)

1. La manna “è il pane che il Signore vi ha dato”: così Mosè spiega al popolo il significato della manna che nella Bibbia riveste vari simboli. La scelta del racconto della manna nella prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, si lega al discorso “eucaristico” che Gesù tiene nella sinagoga di Cafarnao. Per ben 13 volte san Giovanni evoca la figura di Mosè e la manna è citata cinque volte come simbolo del “pane di vita”. Ma che cos’è la manna? Una mattina gli ebrei erranti nel deserto svegliandosi scoprirono accanto ai loro accampamenti “una cosa fine e granulosa, minuta come la brina sulla terra” piovuta miracolosamente tra cielo e terra; continuarono a trovarla ogni mattina durante l’esodo nel deserto. La raccoglievano tutti i giorni eccetto il sabato e impastata ne facevano focacce da cuocere dal vago sapore della pasta all’olio. La raccolta cessò, come leggiamo nel libro di Giosuè, proprio all’ingresso nella terra promessa (Gs 5, 11-12). Vari significati ha la manna nella Bibbia: in primo luogo è “il pane” con cui Dio nutre il suo popolo e lo mette alla prova quando nel deserto recrimina e mormora contro di lui. Si tratta di una duplice prova: anzitutto occorre che Israele impari la lezione della riconoscenza verso Colui che tutto provvede; inoltre essendo gente dura di cervice non contenta mai di nulla, deve imparare a restare fedele agli ordini e ai comandamenti del Signore che chiede di raccogliere la manna sufficiente solo per ogni singolo giorno perché il surplus marcisce. In altri termini Dio educa anche così il popolo che si è scelto come sua proprietà.  In altri libri dell’Antico Testamento, soprattutto nei salmi, la manna assume il simbolo della parola di Dio e dell’amore divino che continua a diffondesi sull’umanità e infine, specialmente nella tradizione giudaica, la manna diventa il “cibo dell’epoca messianica”.  In definitiva la manna nel deserto diventa anche per noi cristiani il segno della fedeltà di Dio e della nostra fatica nel fidarci di lui e nel credere alle sue promesse mentre avanziamo verso il Cielo, nostra patria definitiva.

2. Il salmo 77/78 di cui oggi proclamiamo soltanto qualche breve passaggio come salmo responsoriale riprende il tema della fedeltà di Dio e della fatica degli uomini a fidarsi di lui.  Il Signore “fece piovere su di loro la manna per cibo e diede loro pane del cielo. L’uomo mangiò il pane dei forti, diede loro cibo in abbondanza” (v.v. 23-24).  Anche se qui emerge la gratitudine per un dono così misterioso, il salmo 77/78 nel suo insieme racconta la vera storia d’Israele che si snoda tra la fedeltà di Dio e l’incostanza del popolo pur sempre cosciente dell’importanza di dover conservare la memoria delle opere compiute da Dio. Perché la fede continui ad essere diffusa occorrono tre condizioni: la testimonianza di chi possa dire che Dio è intervenuto nella sua vita; il coraggio di condividere questa esperienza personale e trasmetterla fedelmente, infine ci vuole la disponibilità di una comunità a conservare la fede tramandata dagli antenati come irrinunciabile eredità. Israele sa che la fede non è un bagaglio di nozioni intellettuali, ma la viva esperienza dei doni e della misericordia di Dio. Ecco il tessuto spirituale di questo salmo dove in ben settantadue versetti si canta la fede d’Israele fondata nella memoria della liberazione dalla schiavitù e sul ricordo del lungo travagliato pellegrinare dall’Egitto al Sinai segnato da infedeltà e incostanza: nonostante tutto la fede si tramanda di generazione in generazione. Il rischio più forte per la fede è l’idolatria come denunciano tutti i profeti, rischio attuale in ogni tempo, oggi facile da riconoscere nei segni e gesti compiuti e ostentati come vanto di emancipata libertà. Il salmista denuncia questa idolatria come causa della sventura dell’umanità. Finché l’uomo non scoprirà il vero volto di Dio, non come lo immagina ma come egli è in verità, troverà sbarrata la strada della felicità perché ogni tipo di idolo blocca il nostro cammino verso la libertà responsabile. Superstizione, feticismo, stregoneria, sete del denaro, fame di potere e di piacere, culto della persona e delle ideologie ci costringono a vivere nel regime della paura impedendo di conoscere il vero volto del Dio vivo. Al versetto 8 del salmo (77/78) che non troviamo oggi nella liturgia, il salmista indica l’infedeltà con l’immagine dell’arciere valoroso che fallisce e viene meno alla sua missione: “I figli di Efraim, arcieri valorosi, voltarono le spalle nei giorni della battaglia”. Se la “cancel culture” oggi vuol far dimenticare che tutto è dono nella vita, si cade in una tristezza piena d’ingratitudine giungendo a mormorare con rabbia: “Dio non esiste e se esiste non mi ama, anzi non mi ha mai amato”. Ne consegue che le oscure nuvole dell’ingratitudine e della rabbia intristiscono la vita e soltanto l’esperienza liberante della fede le dissipa e le disperde perché ci fa riscoprire che Dio c’è, ama e perdona: il suo nome è Misericordia!

3. Per non cedere alla tentazione dell’idolatria, oggi moda woke, Dio ci offre un duplice nutrimento: il cibo materiale e quello spirituale espresso nel “segno” della moltiplicazione dei pani e dei pesci con cui Gesù sfama una folla immensa. Nella sinagoga di Cafarnao Gesù prende questo miracolo come punto di partenza del lungo discorso sul “pane di vita” che è l’Eucaristia. Discorso che proseguirà nelle prossime domeniche, e ha un incipit a prima vista sorprendete. Alla gente che gli rivolge una semplice domanda: “Rabbi, quando sei venuto qui?” non risponde direttamente, ma parte con una formula solenne: “In verità, in verità io vi dico”, simile a quella dei profeti nell’Antico testamento: “Oracolo del Signore”.  Attira l’attenzione su qualcosa d’importante e difficile da capire, che sta per dire e per tre volte gli ascoltatori lo interrompono con delle obiezioni. Con abilità educativa e provocatoria, utilizzando un linguaggio metaforico e simbolico, Gesù conduce anche noi, passo dopo passo, alla rivelazione del mistero centrale della fede: il mistero del “Verbo che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” offrendo la vita sulla croce per la salvezza dell’umanità. Nell’intero discorso sul “pane di vita” sentiremo risuonare l’insuperabile meditazione del prologo del quarto vangelo: Gesù è il Verbo del Padre venuto nel mondo per dare, a coloro che lo accolgono, il potere di diventare figli di Dio, “a quelli che credono nel suo nome e sono stati generati da Dio” (cf. Gv 1,12). E per essere chiaro dice subito che del miracolo la gente non ha afferrato il segno: “Mi avete cercato non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”.  Come dire, siete contenti per quel che avete mangiato, ma non avete colto l’essenziale: io non sono venuto per soddisfare la fame di cibo materiale, ma questo pane è il segno di qualcosa più importante. Anzi non sono stato io ad agire, ma ha agito il Padre celeste che mi ha inviato per donarvi un cibo diverso che vi conserva per la vita eterna.  In realtà, la distinzione fra cibo materiale e cibo spirituale era un tema caro alla religione ebraica come ben si comprende già nel Deuteronomio: Dio “ti ha nutrito di manna che tu non conoscevi… per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,3) e nel libro della Sapienza: “Sfamasti il tuo popolo con un cibo degli angeli, dal cielo offristi loro un pane già pronto senza fatica, capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto.  Questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza verso i tuoi figli; esso si adattava al gusto di chi l'inghiottiva e si trasformava in ciò che ognuno desiderava… non le diverse specie di frutti nutrono l'uomo, ma la tua parola conserva coloro che credono in te” (Sap.16,20-28). Gli ascoltatori capiscono a cosa Gesù si riferisce e chiedono: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”.  Gesù allora si presenta come il Messia atteso: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”. E perché crederti? Mosè fece il miracolo della manna e in quel tempo grande era l’attesa per la manna promessa come cibo dell’era messianica. Si comprende quindi la terza domanda: “Quale opera tu compi perché crediamo?” e Gesù risponde: “il Padre mio vi da il pane del cielo, quello vero”. L’incomprensione non lo ferma nella sua autorivelazione e Il testo evangelico oggi si chiude con l’annuncio dell’Eucaristia: “Io sono il pane di vita. Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà mai sete”. Il segreto dunque è aver Fede! 

Buona domenica a tutti + Giovanni D’Ercole

 

P.S. Aggiungo oggi, memoria del santo curato d’Ars Giovani Maria Vianney, questo suo pensiero sulla fede e l’Eucaristia: “Quale gioia per un cristiano che ha la fede, che, alzandosi dalla santa Mensa, se ne va con tutto il cielo nel suo cuore!... Ah, felice la casa nella quale abitano tali cristiani!... quale rispetto bisogna avere per essi, durante la giornata. Avere, in casa, un secondo tabernacolo dove il buon Dio ha dimorato veramente in corpo e anima!”

Giovedì, 01 Agosto 2024 06:24

La lotta per la Liberazione dai corrotti

Profezia, Rivelazione

(Mt 14,1-12)

 

Chi è ammantato di lustro e potere diventa ambizioso, sfrontato e disposto ad ogni violenza per un falso punto d’onore.

Il coraggioso che denuncia soprusi viene stroncato, ma la voce del suo martirio non tacerà più. Per questo l’episodio non induce Gesù a maggiore prudenza.

I tiranni si fanno beffe dell’isolato, scomodo e indifeso, ma capi e potenti sono anche vigliacchi: non intendono alienarsi la fama popolare.

Oltre che smidollato, qui Erode Antipa appare superstizioso, addirittura influenzato da credenze ellenistiche sulla riapparizione dei morti.

In aggiunta, egli pensava gli uomini di Dio come facitori di miracoli - termine ambiguo, che la nuova traduzione CEI evita (cf. v.2).

Gesù non ha mai frequentato la nuova capitale erodiana, Tiberiade, la città dei palazzi di corte, costruita in diplomatico omaggio all’imperatore romano - dopo Sefforis, dove anche Gesù ha lavorato.

 

La religiosità generica e confusionaria può adattarsi a ogni stagione ed esser fatta propria anche da chi pensa che la vita altrui non valga nulla, ma un Profeta non si assesta al capriccio di sistemi corrotti.

Nei villaggi palestinesi la vita della gente era vessata da balzelli e abusi di latifondisti [che neppure risiedevano in loco] e controllata dal perfetto connubio d’interessi fra potere civile e religioso.

I leaders della fede popolare, ortodossa, subalterna e confacente, erano a guinzaglio delle autorità sul territorio, le quali si consideravano definitive e trovavano forza nella coalizione.

Sembrava assurdo che in quella società qualcuno osasse infrangere il muro omertoso che garantiva ai facinorosi - alle guide, ai prepotenti persino d’infimo livello - di considerarsi intoccabili.

Di fronte al ricatto (senza troppi complimenti) dei privilegiati che avevano il controllo d’ogni ceto sociale e culturale, pareva impossibile iniziare un nuovo cammino, o dire e fare qualsiasi cosa non allineata.

 

La domanda su «Gesù, Chi è?» cresce lungo tutti i Vangeli.

Il bilancio delle opinioni della gente (es: Mt 14,1-2; Mc 6,14-16; Lc 9,7-9) lascia intendere che anche attorno alle prime assemblee di credenti si tentava di capire Cristo a partire da quanto si sapeva già [dai criteri delle Scritture e della tradizione, dalle credenze e suggestioni antiche - persino superstiziose].

Ma l’uomo di Dio non è semplice purificatore del Tempio, né un rabberciatore della religiosità conformista. Egli capovolge le speranze popolaresche, emotive o standard.

In tal guisa, ogni Profeta inquieta tutti i personaggi “di rango”, che detengono l’esclusiva.

 

Giovanni e Gesù sfidano e attraggono su di sé le vendette di coloro che tentano di perpetuare le prerogative del cosmo antiquato, e le rabbie di quanti vengono smascherati nelle loro ipocrisie.

È la difficoltà reale che incontra l’Annuncio del nuovo Regno nel mondo. 

Il suo rifiuto sprezzante e ogni tentativo di omicidio saranno una cartina al tornasole della nostra singolare e rinnovata testimonianza, la cui rivelazione correrà parallela ai Due.

 

 

[Sabato 17.a sett. T.O.   3 agosto 2024]

Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio, dalla preghiera, che è il filo conduttore di tutta la sua esistenza. Giovanni è il dono divino lungamente invocato dai suoi genitori, Zaccaria ed Elisabetta (cfr Lc 1,13); un dono grande, umanamente insperabile, perché entrambi erano avanti negli anni ed Elisabetta era sterile (cfr Lc 1,7); ma nulla è impossibile a Dio (cfr Lc 1,36). L’annuncio di questa nascita avviene proprio nel luogo della preghiera, al tempio di Gerusalemme, anzi avviene quando a Zaccaria tocca il grande privilegio di entrare nel luogo più sacro del tempio per fare l’offerta dell’incenso al Signore (cfr Lc 1,8-20). Anche la nascita del Battista è segnata dalla preghiera: il canto di gioia, di lode e di ringraziamento che Zaccaria eleva al Signore e che recitiamo ogni mattina nelle Lodi, il «Benedictus», esalta l’azione di Dio nella storia e indica profeticamente la missione del figlio Giovanni: precedere il Figlio di Dio fattosi carne per preparargli le strade (cfr Lc 1,67-79). L’esistenza intera del Precursore di Gesù è alimentata dal rapporto con Dio, in particolare il periodo trascorso in regioni deserte (cfr Lc 1,80); le regioni deserte che sono luogo della tentazione, ma anche luogo in cui l’uomo sente la propria povertà perché privo di appoggi e sicurezze materiali, e comprende come l’unico punto di riferimento solido rimane Dio stesso. Ma Giovanni Battista non è solo uomo di preghiera, del contatto permanente con Dio, ma anche una guida a questo rapporto. L’Evangelista Luca riportando la preghiera che Gesù insegna ai discepoli, il «Padre nostro», annota che la richiesta viene formulata dai discepoli con queste parole: «Signore insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (cfr Lc 11,1).

Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio. La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche, ma è esattamente il contrario: solo se se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio. San Giovanni Battista interceda per noi, affinché sappiamo conservare sempre il primato di Dio nella nostra vita.

[Papa Benedetto, Udienza Generale 29 agosto 2012]

1. […] la tradizione cristiana fa memoria del martirio di San Giovanni Battista, "il più grande fra i nati di donna", secondo l’elogio del Messia stesso (cfr Lc 7, 28). Egli rese a Dio la suprema testimonianza del sangue immolando la sua esistenza per la verità e la giustizia; fu infatti decapitato per ordine di Erode, al quale aveva osato dire che non gli era lecito tenere la moglie di suo fratello (cfr Mt 6, 17 – 29).

2. Nell’Enciclica Veritatis splendor, ricordando il sacrificio di Giovanni Battista (cfr n.91), notavo che il martirio è "un segno preclaro della santità della Chiesa" (n.93). Esso infatti "rappresenta il vertice della testimonianza alla verità morale" (ibid.). Se relativamente pochi sono chiamati al sacrificio supremo, vi è però "una coerente testimonianza che tutti i cristiani devono esser pronti a dare ogni giorno anche a costo di sofferenze e di gravi sacrifici" (ibid.). Ci vuole davvero un impegno talvolta eroico per non cedere, anche nella vita quotidiana, alle difficoltà che spingono al compromesso e per vivere il Vangelo "sine glossa".

3. L’eroico esempio di Giovanni Battista fa pensare ai martiri della fede che lungo i secoli hanno seguito coraggiosamente le sue orme. In modo speciale, mi tornano alla mente i numerosi cristiani, che nel secolo scorso sono stati vittime dell’odio religioso in diverse nazioni d’Europa. Anche oggi, in alcune parti del mondo, i credenti continuano ad essere sottoposti a dure prove per la loro adesione a Cristo e alla sua Chiesa.

Sentano questi nostri fratelli e sorelle la piena solidarietà dell’intera comunità ecclesiale! Li affidiamo alla Vergine Santa, Regina dei martiri, che ora insieme invochiamo.

[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 29 agosto 2004]

Giovedì, 01 Agosto 2024 06:08

Strade parallele

Un uomo, Giovanni, e una strada, che è quella di Gesù, indicata dal Battista, ma è anche la nostra, nella quale tutti siamo chiamati al momento della prova.

Parte dalla figura di Giovanni, «il grande Giovanni: al dire di Gesù “l’uomo più grande nato da donna”» la riflessione di Papa Francesco nella messa celebrata a Santa Marta venerdì 6 febbraio. Il vangelo di Marco (6, 14-29) racconta della prigionia e del martirio di quest’«uomo fedele alla sua missione; l’uomo che ha sofferto tante tentazioni» e che «mai, mai ha tradito la sua vocazione». Un uomo «fedele» e «di grande autorità, rispettato da tutti: il grande di quel tempo».

Papa Francesco si è soffermato ad analizzare la sua figura: «Quello che gli usciva dalla bocca era giusto. Il suo cuore era giusto». Era tanto grande che «Gesù dirà anche di lui che “è Elia che è tornato, per pulire la casa, per preparare il cammino”». E Giovanni «era cosciente che il suo dovere era soltanto annunziare: annunziare la prossimità del Messia. Lui era cosciente, come ci fa riflettere sant’Agostino, che lui era la voce soltanto, la Parola era un altro». Anche quando «è stato tentato di “rapinare” questa verità, lui è rimasto giusto: “Io non sono, dietro di me viene, ma io non sono: io sono il servo; io sono il servitore; io sono quello che apre le porte, perché lui venga».

A questo punto il Pontefice ha introdotto il concetto di strada, perché, ha ricordato: «Giovanni è il precursore: precursore non solo della entrata del Signore nella vita pubblica, ma di tutta la vita del Signore». Il Battista «va avanti nel cammino del Signore; dà testimonianza del Signore non soltanto mostrandolo — “È questo!”— ma anche portando la vita fino alla fine come l’ha portata il Signore». E finendo la vita «col martirio» è stato «precursore della vita e della morte di Gesù Cristo».

Il Papa ha continuato a riflettere su queste strade parallele lungo le quali «il grande» soffre «tante prove e diventa piccolo, piccolo, piccolo, piccolo fino al disprezzo». Giovanni, come Gesù, «si annienta, conosce la strada dell’annientamento. Giovanni con tutta quella autorità, pensando alla sua vita, comparandola con quella di Gesù, dice alla gente chi è lui, come sarà la sua vita: “Conviene che lui cresca, io invece debbo diminuire”». È questa, ha sottolineato il Papa, «la vita di Giovanni: diminuire davanti a Cristo, perché Cristo cresca». È «la vita del servo che fa posto, fa strada perché venga il Signore».

La vita di Giovanni «non è stata facile»: infatti, «quando Gesù ha incominciato la sua vita pubblica», egli era «vicino agli Esseni, cioè agli osservanti della legge, ma anche delle preghiere, delle penitenze». Così, a un certo punto, nel periodo in cui era in carcere, «ha sofferto la prova del buio, della notte nella sua anima». E quella scena, ha commentato Francesco, «commuove: il grande, il più grande manda da Gesù due discepoli per domandargli: “Ma Giovanni ti domanda: sei tu o ho sbagliato e dobbiamo aspettare un altro?”». Lungo la strada di Giovanni si è affacciato quindi «il buio dello sbaglio, il buio di una vita bruciata nell’errore. E questa per lui è stata una croce».

Alla domanda di Giovanni «Gesù risponde con le parole di Isaia»: il Battista «capisce, ma il suo cuore rimane nel buio». Ciò nonostante si presta alle richieste del re, «al quale piaceva sentirlo, al quale piaceva portare avanti una vita adultera», e «quasi diventava un predicatore di corte, di questo re perplesso». Ma «lui si umiliava» perché «pensava di convertire quest’uomo».

Infine, ha detto il Papa, «dopo questa purificazione, dopo questo calare continuo nell’annientamento, facendo strada all’annientamento di Gesù, finisce la sua vita». Quel re da perplesso «diventa capace di una decisione, ma non perché il suo cuore sia stato convertito»; piuttosto «perché il vino gli dà coraggio».

E così Giovanni finisce la sua vita «sotto l’autorità di un re mediocre, ubriaco e corrotto, per il capriccio di una ballerina e per l’odio vendicativo di un’adultera». Così «finisce il grande, l’uomo più grande nato da donna», ha commentato Francesco che ha confessato: «Quando io leggo questo brano, mi commuovo». E ha aggiunto una considerazione utile alla vita spirituale di ogni cristiano: «Penso a due cose: primo, penso ai nostri martiri, ai martiri dei nostri giorni, quegli uomini, donne, bambini che sono perseguitati, odiati, cacciati via dalle case, torturati, massacrati». E questa, ha sottolineato, «non è una cosa del passato: oggi succede questo. I nostri martiri, che finiscono la loro vita sotto l’autorità corrotta di gente che odia Gesù Cristo». Perciò «ci farà bene pensare ai nostri martiri. Oggi pensiamo a Paolo Miki, ma quello è successo nel 1600. Pensiamo a quelli di oggi, del 2015».

Il Pontefice ha proseguito aggiungendo che questo brano lo spinge anche a riflettere su se stesso: «Anche io finirò. Tutti noi finiremo. Nessuno ha la vita “comprata”. Anche noi, volendo o non volendo, andiamo sulla strada dell’annientamento esistenziale della vita». E ciò, ha detto, lo spinge «a pregare che questo annientamento assomigli il più possibile a Gesù Cristo, al suo annientamento».

Si chiude così il cerchio della meditazione di Francesco: «Giovanni, il grande, che diminuisce continuamente fino al nulla; i martiri, che diminuiscono oggi, nella nostra Chiesa di oggi, fino al nulla; e noi, che siamo su questa strada e andiamo verso la terra, dove tutti finiremo». In questo senso la preghiera finale del Papa: «Che il Signore ci illumini, ci faccia capire questa strada di Giovanni, il precursore della strada di Gesù; e la strada di Gesù, che ci insegna come deve essere la nostra».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 07.02.2015]

Mercoledì, 31 Luglio 2024 06:40

Come non diventare un non-popolo?

Divino nell’Umano: gesti forti, dignitosi e fraterni, non di repertorio

(Mt 13,54-58)

 

Il Divino nell’Umano si rende Presente nelle relazioni intense, accoglienti, che aprono a recuperi inspiegabili; quindi trapela nei gesti forti, dignitosi e fraterni - non di repertorio.

 

Nel passo di Vangelo di oggi c’è una differenza rilevante con la traduzione CEI (‘74) precedente (vv.54.58).

Il Signore ci aiuta a crescere con veri «prodigi», non con “miracoli”[eventi puntuali] bensì operando nell’intimo, modificando il cuore rattrappito e migliorandoci col suo Amore.

Il «profetico» non ha a che fare col clamoroso che s’impone.

Solo così non ci si stancherà del buono che non è brillante; né si disprezzerà l’esistenza della gente normale, perché senza prestigio e titoli.

Le opere potenti di Gesù si dispiegano nel tempo - educando, non impressionando e assoggettando.

I suoi ‘segni’, quei recuperi inspiegabili che compie, sono calibro e frutto d’un Incontro-per-Via che cresce.

Opera d’Arte (assai meglio di scorciatoie accidentali) è che il profittatore diventi giusto, il dubbioso più sicuro, l’infelice riprenda a sperare.

Ci vuole tempo, anche se lo stupore può essere immediato.

Il Mistero della potenza del nuovo Dio annunciato da Cristo si cela in ‘Qualcuno dentro qualcosa’.

È la trama ove si annidano i Segni d’una Realtà grande, cui malgrado le difficoltà abbiamo accesso e siamo partecipi.

 

La Persona di Gesù narra di un Padre il quale non teme che la sua santità sia messa in pericolo dal contatto col mondo.

Il Mistero sovreminente è già nell’uomo comune.

Quindi il conflitto non è coi forestieri, bensì con i soliti ostinati “vicini” colmi di pregiudizio - abitudinari e assuefatti, i quali già sanno come va a finire... Ma non inaugurano nulla.

Invece il Figlio non è più un bambinone del posto: un programma quieto del «villaggio», il prodotto d’idee arcaiche normali o di propositi già trasmessi, che nessun Incontro potrà destare e smuovere.

In patria il Maestro non sbalordisce come altrove: incontra una diffidenza che logora di giorni tutti contati quella sporgenza del credere che colmerebbe le indigenze.

La Fede invece comprende ciò che taglia il Sogno impossibile della Novità: il nostro vanto non è da condizione sociale, né da genere stabilito.

Essa coglie un suo peso specifico non nei balocchi del folklore, bensì appunto nel rigenerare - per l’incessante riattivarsi dell’interesse intrinseco.

In tal guisa, la Fede non è retorica: intuisce che lo stato di dubbio è più fecondo delle convinzioni.

 

Come si diventa un non-popolo?

Le sicurezze non lasciano respiro all’inventiva del fare inusuale, né al sentimento o alla crescita della Vita forte, non sfigurata dal repertorio di compimenti attesi.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come la tua esistenza ordinaria riscatta le vicende della gente malferma?

Come vivi il di più della Fede sulle abitudini e luoghi comuni?

 

 

[Venerdì 17.a sett. T.O.   2 agosto 2024]

Mercoledì, 31 Luglio 2024 06:36

Come non diventare un non-popolo?

Divino nell’Umano: gesti forti, dignitosi e fraterni, non di repertorio

(Mt 13,54-58)

 

«I cristiani sono popolo sacerdotale per il mondo. I cristiani dovrebbero rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarLo e condurre a Lui. Quando parliamo di questo nostro comune incarico, in quanto siamo battezzati, ciò non è una ragione per farne un vanto. È una domanda che, insieme, ci dà gioia e ci inquieta: siamo veramente il santuario di Dio nel mondo e per il mondo? Apriamo agli uomini l’accesso a Dio o piuttosto lo nascondiamo? Non siamo forse noi – popolo di Dio – diventati in gran parte un popolo dell’incredulità e della lontananza da Dio? Non è forse vero che l’Occidente, i Paesi centrali del cristianesimo sono stanchi della loro fede e, annoiati della propria storia e cultura, non vogliono più conoscere la fede in Gesù Cristo? Abbiamo motivo di gridare in quest’ora a Dio: “Non permettere che diventiamo un non-popolo! Fa’ che ti riconosciamo di nuovo! Infatti, ci hai unti con il tuo amore, hai posto il tuo Spirito Santo su di noi. Fa’ che la forza del tuo Spirito diventi nuovamente efficace in noi, affinché con gioia testimoniamo il tuo messaggio!».

[Papa Benedetto, omelia 21 aprile 2011]

 

Il Divino nell’Umano si rende Presente nelle relazioni intense, accoglienti, che aprono a recuperi inspiegabili; quindi trapela nei gesti forti, dignitosi e fraterni - non di repertorio.

 

Nel passo di Vangelo di oggi c’è una differenza rilevante con la traduzione CEI (‘74) precedente (vv.54.58).

Il Signore ci aiuta a crescere con veri «prodigi», non con “miracoli”[eventi puntuali] bensì operando nell’intimo, modificando il cuore rattrappito e migliorandoci col suo Amore.

Il «profetico» non ha a che fare col clamoroso che s’impone.

Solo così non ci si stancherà del buono che non è brillante; né si disprezzerà l’esistenza della gente normale, perché senza prestigio e titoli.

Le opere potenti di Gesù si dispiegano nel tempo - educando, non impressionando e assoggettando.

I suoi ‘segni’, quei recuperi inspiegabili che compie, sono calibro e frutto d’un Incontro-per-Via che cresce.

Opera d’Arte (assai meglio di scorciatoie accidentali) è che il profittatore diventi giusto, il dubbioso più sicuro, l’infelice riprenda a sperare.

Ci vuole tempo, anche se lo stupore può essere immediato.

Il Mistero della potenza del nuovo Dio annunciato da Cristo si cela in ‘Qualcuno dentro qualcosa’.

È la trama ove si annidano i Segni d’una Realtà grande, cui malgrado le difficoltà abbiamo accesso e siamo partecipi.

 

La Persona di Gesù narra di un Padre il quale non teme che la sua santità sia messa in pericolo dal contatto col mondo.

Il Mistero sovreminente è già nell’uomo comune.

Quindi il conflitto non è coi forestieri, bensì con i soliti ostinati “vicini” colmi di pregiudizio - abitudinari e assuefatti, i quali già sanno come va a finire... Ma non inaugurano nulla.

Invece il Figlio non è più un bambinone del posto: un programma quieto del «villaggio», il prodotto d’idee arcaiche normali o di propositi già trasmessi, che nessun Incontro potrà destare e smuovere.

In patria il Maestro non sbalordisce come altrove: incontra una diffidenza che logora di giorni tutti contati quella sporgenza del credere che colmerebbe le indigenze.

La Fede invece comprende ciò che taglia il Sogno impossibile della Novità: il nostro vanto non è da condizione sociale, né da genere stabilito.

Essa coglie un suo peso specifico non nei balocchi del folklore, bensì appunto nel rigenerare - per l’incessante riattivarsi dell’interesse intrinseco.

In tal guisa, la Fede non è retorica: intuisce che lo stato di dubbio è più fecondo delle convinzioni.

 

Come si diventa un non-popolo?

Le sicurezze non lasciano respiro all’inventiva del fare inusuale, né al sentimento o alla crescita della Vita forte, non sfigurata dal repertorio di compimenti attesi.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come la tua esistenza ordinaria riscatta le vicende della gente malferma?

Come vivi il di più della Fede sulle abitudini e luoghi comuni?

 

Aspettative, incomprensioni - e lo spirito della valle

(Mc 6,1-6)

 

Lato domestico, non addomesticazioni

 

Dove la Fede è carente avvengono solo piccoli cambiamenti, non i prodigi sbalorditivi della presenza alternativa del Regno di Dio:

«E non poté fare là alcuna opera potente, se non che avendo imposto le mani a pochi infermi, curò» (v.5).

Non ci capacitiamo che il Signore possa provenire da umili origini, disonorevoli, come potrebbero essere le nostre - prive di grandi vincoli dinastici, o salti di ceto violenti.

Dice il Tao Tê Ching (vi):

«Lo spirito della valle non muore [...] viene usato, ma non si stanca». Commenta il maestro Wang Pi:

«Lo spirito della valle è la non-valle al centro della valle. Non ha forma né ombra, nulla contrasta e nulla rifiuta, resta in basso senza muoversi, si mantiene cheto senza affievolirsi. La valle è completata da esso, eppure non se ne vede la forma: questo è il modello più perfetto».

Al pari dei codici della Sapienza di natura, la Fede in Cristo dà l’addio all’idea diffusa nelle culture e religioni istituzionali, rappresentative e verticiste.

Tutte maldisposte, nei loro grandi saperi, a occuparsi della normalità della vita che fluisce.

 

Gesù evita modelli rigidi o di grande apparenza. Si dona con semplicità ai suoi paesani e mira alla formazione degli autentici credenti.

La loro Fiducia dev’essere riposta unicamente nel Regno di Dio - dimensione che davvero rompe gli equilibri, perché s’introduce nell’esistenza diurna, e la fermenta a partire da radici invisibili.

Quale inviato del Padre, vorrebbe che tutto il popolo fosse edificatore e alfiere di altri sogni - ma nel suo villaggio natale si sente come bloccato da chi è incapace di decifrare la dimensione del divino nell’umano.

Egli deve fronteggiare l’incomprensione ottusa dei centri di potere, ma anche le inadempienze e le speranze stesse - quiete o divisive - della realtà popolare che frequenta i luoghi di culto.

I paesani si attendevano le solite benedizioni (ormai assuefatte) o forse un capo carismatico in lotta contro i romani - e qui volentieri usavano far leva sulla vampa dell'identità religiosa, per infiammare gli animi.

Avrebbero accettato un capitano bellicoso, che rispecchiasse credenze arcaiche - invece si ritrovano delusi della realtà inapparente sotto gli occhi.

Non sanno scoprire la trama di Dio nella storia dei minimi.

Viceversa, numerosi sono i segni divini iscritti in quanto si manifesta sommario: avvisaglie che possono farci scoprire la dimensione non puramente terrena delle cose, delle relazioni, delle presenze; così via.

Molti fraintendono lo spirito di forza che la Fede ci trasmette.

Essa rompe gli equilibri perché non offre garanzie già immaginate - ma è in fondo domestica e tutta naturale [ogni Seme ha il suo destino e sviluppo particolare].

Come mai dunque il ragazzo che hanno conosciuto fin dalla nascita è così diverso?

Per il fatto che non c’è equazione fra ciò che si pensa in modo conformista, e il Signore. Neppure dando enfasi ai propositi.

 

Sia le grandi attese che la prossimità possono essere di ostacolo per una conoscenza quotidiana di ciò che di straordinario si cela dietro la dimensione ordinaria degli accadimenti e delle persone.

Anche molti confratelli o collaboratori di Santi non hanno saputo cogliere l’eccezionalità di una vita comune vissuta in fedeltà e dedizione alla propria Chiamata per Nome. Tanto più reale quanto meno appariscente.

L’incomprensione e la gelosia paesana di chi vive accanto e insegue un suo dio - sfigurato - è fonte di amarezza; ma non ci blocca.

L’esperienza del rifiuto spinge a cambiare direzione (v.6b).

L’anima vive sotto il segno dell’Unicità che rinuncia al preconcetto, alla vita tranquilla, alla semplice approvazione, al facile successo.

E le porte chiuse possono essere un valore aggiunto! Esse ci aprono al viaggio dell’anima nello Spirito, all’Annuncio eccentrico, alla Missione stupefacente.

 

Purtroppo, registriamo un altro genere di spirito della “valle” - di segno del tutto negativo, che nell’azione di evangelizzazione e animazione delle comunità s’identifica con la pastorale del consenso [io ti dò quello che tu vuoi].

Il coordinatore astuto gestisce i rapporti con i fedeli, le masse e le istituzioni con estrema accortezza, nonché aspettative - concrete, immediate - d’approvazione e tornaconto individuale o di cerchia.

Talora alcuni responsabili (anche di chiesa) sembrano nient’altro che abili affabulatori: non combattono le strutture disumanizzanti, né i potenti sul territorio. Viceversa, cercano di farseli alleati, per vincere facile.

Sussiste anche nel tempo della crisi globale la convinzione che le strutture educative, culturali e “religiose” possano andare avanti solo col sostegno esterno delle gerarchie di potere, e dell’ordine stabilito da sempre. O con la ricerca di altri “segni” e altrettanti prodigi.

Purtroppo tale atteggiamento al ribasso, esteriore - per stanchezza, assai diffuso - non equivale alla valorizzazione dei più variegati e intimi Doni di Dio nelle persone, né alla promozione del Regno.

Ovvio poi che i frequentatori del palazzo non amino gli incendiari: chi detiene titoli e un ruolo glorioso resta impermeabile al lavoro dello Spirito che fa nuove tutte le cose.

[Ogni opportunista resta purtroppo legato alle catene di comando, agli antichi equilibri tattici che gli hanno pur garantito carriera, posizione, lustro, visibilità, facili sicurezze a contorno].

 

L’aspetto forse peggiore di questo gioco al ribasso e al normale comun denominatore è probabilmente la dozzinale identificazione tra ordine garantito dall’Evangelo ed equilibrio corrente.

Un’illusione di sintonia esterna fra Beatitudini annunciate dal Signore e opportunità di vita quieta, o guadagno, e riconoscimenti sociali.

Così i princìpi vissuti in prima persona dal Maestro vengono sovvertiti da alcuni seguaci, in strategia opaca che finisce per snaturare il Lieto Annuncio in favore di ogni smarrito.

E ciascun malfermo sebbene insoddisfatto, tende spontaneamente ad adeguarsi alle piccole certezze che trova, offerte dalla retorica di pur grandi narrazioni.

Ancora oggi invece la Parola di Dio fa scintille con il facile richiamo di tali dinamiche e strutture di autentico “peccato”: le minaccia senza mezzi termini.

Esse infatti sequestrano le anime, le rendono conformiste, indifferenti all’ingiustizia, timorose della libertà - e tendono a prendere in ostaggio perfino il Dio dell’Esodo.

Il Padre però continua a suscitare Profeti eccentrici: essi rendono tutti noi più capaci di percepire il genio del tempo. Nonché i talenti personali dispiegati - anche fra le irritate minacce dei “compaesani” presi dal marketing livellante.

Annunciatori che rischiano di rimanere senza protezione o casato, ovvio.

Ma che si rifiutano di apporre sigilli già pronti allo spirito di mediocrità che non infastidisce nessuno.

 

 

Per interiorizzare e vivere la Parola, chiediamoci:

 

Cosa è cambiato nel tuo percorso da quando hai cominciato a vivere più intensamente in adesione al Cristo? Come ha reagito il tuo ambiente?

Mercoledì, 31 Luglio 2024 06:29

Nemo Propheta in patria

Cari fratelli e sorelle!

Vorrei soffermarmi brevemente sul brano del Vangelo […] un testo da cui è tratto il celebre detto «Nemo propheta in patria», cioè nessun profeta è bene accetto tra la sua gente, che lo ha visto crescere (cfr Mc 6,4). In effetti, dopo che Gesù, a circa trent’anni, aveva lasciato Nazareth e già da un po’ di tempo era andato predicando e operando guarigioni altrove, ritornò una volta al suo paese e si mise ad insegnare nella sinagoga. I suoi concittadini «rimanevano stupiti» per la sua sapienza e, conoscendolo come il «figlio di Maria», il «falegname» vissuto in mezzo a loro, invece di accoglierlo con fede si scandalizzavano di Lui (cfr Mc 6,2-3). Questo fatto è comprensibile, perché la familiarità sul piano umano rende difficile andare al di là e aprirsi alla dimensione divina. Che questo Figlio di un falegname sia Figlio di Dio è difficile crederlo per loro. Gesù stesso porta come esempio l’esperienza dei profeti d’Israele, che proprio nella loro patria erano stati oggetto di disprezzo, e si identifica con essi. A causa di questa chiusura spirituale, Gesù non poté compiere a Nazareth «nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì» (Mc 6,5). Infatti, i miracoli di Cristo non sono una esibizione di potenza, ma segni dell’amore di Dio, che si attua là dove incontra la fede dell’uomo nella reciprocità. Scrive Origene: «Allo stesso modo che per i corpi esiste un’attrazione naturale da parte di alcuni verso altri, come del magnete verso il ferro … così tale fede esercita un’attrazione sulla potenza divina» (Commento al Vangelo di Matteo 10, 19).

Dunque, sembra che Gesù si faccia – come si dice – una ragione della cattiva accoglienza che incontra a Nazareth. Invece, alla fine del racconto, troviamo un’osservazione che dice proprio il contrario. Scrive l’Evangelista che Gesù «si meravigliava della loro incredulità» (Mc 6,6). Allo stupore dei concittadini, che si scandalizzano, corrisponde la meraviglia di Gesù. Anche Lui, in un certo senso, si scandalizza! Malgrado sappia che nessun profeta è bene accetto in patria, tuttavia la chiusura del cuore della sua gente rimane per Lui oscura, impenetrabile: come è possibile che non riconoscano la luce della Verità? Perché non si aprono alla bontà di Dio, che ha voluto condividere la nostra umanità? In effetti, l’uomo Gesù di Nazareth è la trasparenza di Dio, in Lui Dio abita pienamente. E mentre noi cerchiamo sempre altri segni, altri prodigi, non ci accorgiamo che il vero Segno è Lui, Dio fatto carne, è Lui il più grande miracolo dell’universo: tutto l’amore di Dio racchiuso in un cuore umano, in un volto d’uomo.

Colei che ha compreso veramente questa realtà è la Vergine Maria, beata perché ha creduto (cfr Lc 1,45). Maria non si è scandalizzata di suo Figlio: la sua meraviglia per Lui è piena di fede, piena d’amore e di gioia, nel vederlo così umano e insieme così divino. Impariamo quindi da lei, nostra Madre nella fede, a riconoscere nell’umanità di Cristo la perfetta rivelazione di Dio.

[Papa Benedetto, Angelus 8 luglio 2012]

Mercoledì, 31 Luglio 2024 06:23

Segno, Fede e Chiamata

Lo stesso legame tra il “miracolo-segno” e la fede è confermato per opposto da altri fatti di segno negativo. Ricordiamone alcuni. Nel Vangelo di Marco leggiamo che Gesù a Nazaret “non poté operare alcun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità” (Mc 6, 5-6).

Conosciamo il delicato rimprovero che Gesù rivolse una volta a Pietro: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Ciò avvenne quando Pietro, che all’inizio andava coraggiosamente sulle onde verso Gesù, poi per la violenza del vento, s’impaurì e cominciò ad affondare” (cf. Mt 14, 29-31).

5. Gesù sottolinea più di una volta che il miracolo da lui compiuto è legato alla fede. “La tua fede ti ha guarita”, dice alla donna che soffriva d’emorragia da dodici anni e che, accostatasi alle sue spalle, gli aveva toccato il lembo del mantello ed era stata risanata (cf. Mt 9, 20-22; Lc 8, 48; Mc 5, 34).

Parole simili Gesù pronunzia mentre guarisce il cieco Bartimeo, che all’uscita da Gerico con insistenza chiedeva il suo aiuto gridando: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” (cf. Mc 10, 46-52). Secondo Marco: “Va’, la tua fede ti ha salvato”, gli risponde Gesù. E Luca precisa la risposta: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato” (Lc 18, 42).

Un’identica dichiarazione fa al samaritano guarito dalla lebbra (Lc 17, 19). Mentre ad altri due ciechi che invocano il riacquisto della vista, Gesù chiede: “Credete voi che io possa fare questo?”. “Sì, o Signore!” . . . “Sia fatto a voi, secondo la vostra fede” (Mt 9, 28-29).

6. Particolarmente toccante è l’episodio della donna cananea, che non cessava di chiedere l’aiuto di Gesù per sua figlia “crudelmente tormentata da un demonio”. Quando la cananea si prostrò dinanzi a Gesù per chiedergli aiuto, egli rispose: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini” (era un richiamo alla diversità etnica tra israeliti e cananei, che Gesù figlio di Davide, non poteva ignorare nel suo comportamento pratico, ma alla quale accennava in funzione metodologica per provocare la fede). Ed ecco la donna pervenire d’intuito a un atto insolito di fede e di umiltà. Dice: “È vero, Signore . . . ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Dinanzi a questa parola così umile, garbata e fiduciosa, Gesù replica: “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri” (cf. Mt 15, 21-28).

È un avvenimento difficile da dimenticare, soprattutto se si pensa agli innumerevoli “cananei” di ogni tempo, paese, colore e condizione sociale, che tendono la mano per chiedere comprensione e aiuto nelle loro necessità!

7. Si noti come nella narrazione evangelica è messo continuamente in rilievo il fatto che Gesù, quando “vede la fede”, compie il miracolo. Ciò è detto chiaramente nel caso del paralitico calato ai suoi piedi attraverso l’apertura praticata nel tetto (cf. Mc 2, 5; Mt 9, 2; Lc 5, 20). Ma l’osservazione si può fare in tanti altri casi registrati dagli evangelisti. Il fattore fede è indispensabile; ma appena si verifica, il cuore di Gesù è proteso a esaudire le richieste dei bisognosi che si rivolgono a lui perché li soccorra col suo potere divino.

8. Ancora una volta constatiamo che, come abbiamo detto all’inizio, il miracolo è un “segno" della potenza e dell’amore di Dio che salvano l’uomo in Cristo. Ma, proprio per questo, è nello stesso tempo una chiamata dell’uomo alla fede. Deve portare a credere sia chi viene miracolato, sia i testimoni del miracolo.

Ciò vale per gli stessi apostoli, fin dal primo “segno” fatto da Gesù a Cana di Galilea: fu allora che essi “credettero in lui” (Gv 2, 11). Quando poi avvenne la moltiplicazione miracolosa dei pani nei pressi di Cafarnao, con la quale è collegato il preannunzio dell’Eucaristia, l’evangelista nota che “da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andarono più con lui”, non essendo in grado di accogliere un linguaggio sembrato loro troppo “duro”. Allora Gesù domandò ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”. Rispose Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole ai vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (cf. Gv 6, 66-69). Il principio della fede è dunque fondamentale nel rapporto con Cristo, sia come condizione per ottenere il miracolo, sia come scopo per il quale esso è compiuto. Ciò è ben chiarito alla fine del Vangelo di Giovanni, dove leggiamo: “Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20, 30-31).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 16 dicembre 1987]

Mercoledì, 31 Luglio 2024 06:12

Investimento umano?

L’odierno racconto evangelico ci conduce ancora una volta, come domenica scorsa, nella sinagoga di Nazaret, il villaggio della Galilea dove Gesù è cresciuto in famiglia ed è conosciuto da tutti. Egli, che da poco tempo se n’era andato per iniziare la sua vita pubblica, ritorna ora per la prima volta e si presenta alla comunità, riunita di sabato nella sinagoga. Legge il passo del profeta Isaia che parla del futuro Messia e alla fine dichiara: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). I concittadini di Gesù, dapprima stupiti e ammirati, poi cominciano a fare la faccia storta, a mormorare tra loro e a dire: perché costui, che pretende di essere il Consacrato del Signore, non ripete qui, nel suo paese, i prodigi che si dice abbia compiuto a Cafarnao e nei villaggi vicini? Allora Gesù afferma: «Nessun profeta è bene accetto nella sua patria» (v. 24), e si appella ai grandi profeti del passato Elia ed Eliseo, che operarono miracoli in favore dei pagani per denunciare l’incredulità del loro popolo. A questo punto i presenti si sentono offesi, si alzano sdegnati, cacciano fuori Gesù e vorrebbero buttarlo giù dal precipizio. Ma Lui, con la forza della sua pace, «passando in mezzo a loro, si mise in cammino» (v. 30). La sua ora non  era ancora arrivata.

Questo brano dell’evangelista Luca non è semplicemente il racconto di una lite tra compaesani, come a volte avviene anche nei nostri quartieri, suscitata da invidie e da gelosie, ma mette in luce una tentazione alla quale l’uomo religioso è sempre esposto - tutti noi siamo esposti - e dalla quale occorre prendere decisamente le distanze. E qual è questa tentazione? E’ la tentazione di considerare la religione come un investimento umano e, di conseguenza, mettersi a “contrattare” con Dio cercando il proprio interesse. Invece, nella vera religione, si tratta di accogliere la rivelazione di un Dio che è Padre e che ha cura di ogni sua creatura, anche di quella più piccola e insignificante agli occhi degli uomini. Proprio in questo consiste il ministero profetico di Gesù: nell’annunciare che nessuna condizione umana può costituire motivo di esclusione - nessuna condizione umana può essere motivo di esclusione! - dal cuore del Padre, e che l’unico privilegio agli occhi di Dio è quello di non avere privilegi. L’unico privilegio agli occhi di Dio è quello di non avere privilegi, di non avere padrini, di essere abbandonati nelle sue mani.

«Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato (Lc 4, 21). L’“oggi”, proclamato da Cristo quel giorno, vale per ogni tempo; risuona anche per noi in questa piazza, ricordandoci l’attualità e la necessità della salvezza portata da Gesù all’umanità. Dio viene incontro agli uomini e alle donne di tutti i tempi e luoghi nella situazione concreta in cui essi si trovano. Viene incontro anche a noi. E’ sempre Lui che fa il primo passo: viene a visitarci con la sua misericordia, a sollevarci dalla polvere dei nostri peccati; viene a tenderci la mano per farci risalire dal baratro in cui ci ha fatto cadere il nostro orgoglio, e ci invita ad accogliere la consolante verità del Vangelo e a camminare sulle vie del bene. Lui viene sempre a trovarci, a cercarci.

Torniamo nella sinagoga. Certamente quel giorno, nella sinagoga di Nazaret, c’era anche Maria, la Madre. Possiamo immaginare le risonanze del suo cuore, un piccolo anticipo di quello che soffrirà sotto la Croce, vedendo Gesù, lì in sinagoga, prima ammirato, poi sfidato, poi insultato, minacciato di morte. Nel suo cuore, pieno di fede, lei custodiva ogni cosa. Ci aiuti Lei a convertirci da un dio dei miracoli al miracolo di Dio, che è Gesù Cristo.

[Papa Francesco, Angelus 31 gennaio 2016]

Pagina 1 di 35
We see this great figure, this force in the Passion, in resistance to the powerful. We wonder: what gave birth to this life, to this interiority so strong, so upright, so consistent, spent so totally for God in preparing the way for Jesus? The answer is simple: it was born from the relationship with God (Pope Benedict)
Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio (Papa Benedetto)
Christians are a priestly people for the world. Christians should make the living God visible to the world, they should bear witness to him and lead people towards him (Pope Benedict)
I cristiani sono popolo sacerdotale per il mondo. I cristiani dovrebbero rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarLo e condurre a Lui (Papa Benedetto)
Christ says: the kingdom of heaven is similar "to a net thrown into the sea, which gathers all kinds of fish" (Mt 13:47). These simple words completely change the physiognomy of the world: the physiognomy of our human world, as we make it [Pope John Paul II]
Cristo dice: il regno dei cieli è simile “a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci” (Mt 13,47). Queste semplici parole mutano completamente la fisionomia del mondo: la fisionomia del nostro mondo umano, come noi ce la facciamo [Papa Giovanni Paolo II]
The discovery of the Kingdom of God can happen suddenly like the farmer who, ploughing, finds an unexpected treasure; or after a long search, like the pearl merchant who eventually finds the most precious pearl, so long dreamt of (Pope Francis)
La scoperta del Regno di Dio può avvenire improvvisamente come per il contadino che arando, trova il tesoro insperato; oppure dopo lunga ricerca, come per il mercante di perle, che finalmente trova la perla preziosissima da tempo sognata (Papa Francesco)
Many situations, then, which unfortunately do not conform to the legitimate predictions and rules established, are anything but negative; and instead of taking away confidence for the harassment they cause, They should have it more generous and far-sighted in favor of their process of responsible decantation (Pope Paul VI)
Molte situazioni, poi, che non sono purtroppo conformi alle legittime previsioni e alle norme stabilite, sono tutt’altro che del tutto negative; e invece di togliere la fiducia per la molestia che arrecano, esse dovrebbero averla più generosa e lungimirante in favore del loro processo di responsabile decantazione (Papa Paolo VI)
Christ is not resigned to the tombs that we have built for ourselves (Pope Francis)
Cristo non si rassegna ai sepolcri che ci siamo costruiti (Papa Francesco)
In recounting the "sign" of bread, the Evangelist emphasizes that Christ, before distributing the food, blessed it with a prayer of thanksgiving (cf. v. 11). The Greek term used is eucharistein and it refers directly to the Last Supper, though, in fact, John refers here not to the institution of the Eucharist but to the washing of the feet [Pope Benedict]
Narrando il “segno” dei pani, l’Evangelista sottolinea che Cristo, prima di distribuirli, li benedisse con una preghiera di ringraziamento (cfr v. 11). Il verbo è eucharistein, e rimanda direttamente al racconto dell’Ultima Cena, nel quale, in effetti, Giovanni non riferisce l’istituzione dell’Eucaristia, bensì la lavanda dei piedi [Papa Benedetto]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

duevie.art

don Giuseppe Nespeca

Tel. 333-1329741


Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.