Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Anime sagge, o pazze
(Mt 25,1-13)
Il tema non è quello della vigilanza morale, bensì puntuale: prima o poi tutti i battezzati in Cristo si addormentano (v.5).
E l’ambiente non sembra dei migliori: lo sposo ritarda, le ragazze sono assopite, alcune senz’olio e le altre... acide.
Ma a volte siamo come pazzi che vanno a costruire case sulla sabbia: alla prima fiumana crolla tutto.
L’entusiasmo c’era, la sintonia col Signore e la sua voglia di abbracciare e trasmettere pienezza di essere... forse no.
Manca una dimensione di profondità, o di speranza viva che anima le motivazioni e lubrifica l’energia, nell'impulso alla missione.
È l’esito di coloro che sembrano aver accolto le Beatitudini di tutto punto, ma non le fanno proprie...
Non per il fatto che non adempiono bene il ruolo - una mansione - ma perché non mettono in relazione l’ascolto con la pratica non distratta, squisitamente evangelica.
Alimentare la torcia è promuovere la vita!
E l’Appello, il momento opportuno, giunge improvviso; non si allestisce attraverso una scelta generale o formale che evolve senza correlazioni, binari personali, attenzione agli eventi e capacità di corrispondere.
Qui la relazione di Fede non è olio che si possa prestare.
Esistono anime ansiose o perfezioniste che si precipitano a intervenire, ma difettano di percezione. Vi sono cuori timorosi e paralizzati: devono acquisire flessibilità.
Alcuni fissano i momenti “no” e non sanno trasformarli in occasioni di risveglio, ovvero guariscono troppo tardi. Altri dipendono dalla stagione o vivono di adrenalina e difettano di consapevolezza.
Qualcuno deve rallentare e raccogliersi, ritrovare se stesso e la leggerezza vocazionale istintiva, la propria parte infinita - ma evitando strategie puerili.
Altri che già hanno accolto il divino, avrebbero bisogno di svegliarsi dal torpore, per mettere in moto la luce sapiente e innata che possiedono nelle inclinazioni profonde.
C’è chi ha necessità di gettare zavorre, divenire più sottile nell’udire e nel porgersi, o meno dirigista; altri prepararsi all’Incontro in una dimensione più relazionale e visibile.
Ci sono persone che devono complicarsi la vita per poi semplificare [senza disperdere] divenendo infine più nitide; altre e forse più, imparare a donare. Così via.
Quindi... meglio alcuni con la luce che tutti al buio. Le azioni e il rischio per la sapienza, l’amore e la completezza di vita costruiscono la Persona e il suo dialogo.
Spesso s’immagina di aver provveduto alla propria pratica con Dio iscrivendosi nei registri parrocchiali, senza però elaborarne l’impegno.
Ma chi non edifica né comunica vita non ha nulla a che fare con Dio stesso (v.12).
In tal guisa, anche la crisi potrà avere un senso evolutivo; nel non sentirsi assoluti, nella logica delle opzioni, nella personalizzazione, nell’Incontro imprevisto e differente.
Soglia di ogni Esodo, verso la Libertà e la Festa.
Quando la polizia nazista bussò alla porta del Monastero delle Carmelitane di Echt, Edith era pronta. Non aveva perso il senso dell’invito a Nozze.
[S. Teresa Benedetta della Croce, 9 agosto]
La distrazione in sala d’attesa, o una crisi dal senso evolutivo
(Mt 25,1-13)
Il tema non è quello della vigilanza morale, bensì puntuale: prima o poi tutti i battezzati in Cristo si addormentano (v.5).
E l’ambiente non sembra dei migliori: lo sposo ritarda, le ragazze sono assopite, alcune senz’olio e le altre... acide.
Ma a volte siamo come pazzi che vanno a costruire case sulla sabbia: alla prima fiumana crolla tutto.
L’entusiasmo c’e, la sintonia col Signore e la sua voglia di abbracciare e trasmettere pienezza di essere... forse no.
Manca una dimensione di profondità, o di speranza viva che anima le motivazioni e lubrifica l’energia, nell'impulso alla missione.
È l’esito di coloro che sembrano aver accolto le Beatitudini di tutto punto, ma non le fanno proprie...
Non per il fatto che non adempiono bene il ruolo - una mansione - ma perché non mettono in relazione l’ascolto con la pratica non distratta, squisitamente evangelica.
Alimentare la torcia è promuovere la vita!
Ma come concentrarsi e non offuscarla, anzi sbloccarla, e non lasciarsi suggestionare dai monili, tirarla fuori dal cassetto; orientarla bene - in favore locale e universale, proprio, e di tutti?
L’Appello, il momento opportuno, giunge improvviso. Non si allestisce attraverso una scelta generale o formale che evolve senza correlazioni, senza binari personali, senza attenzione agli eventi e capacità di corrispondere.
Insomma: la relazione di Fede non è olio che si possa prestare.
Come in un rapporto d’Amore, ciascuno ha bisogno istante per istante di un nuovo personale equilibrio - potenziato nella fusione.
Esistono anime ansiose o perfezioniste che si precipitano a intervenire, ma difettano di percezione. Vi sono cuori timorosi e paralizzati: devono acquisire flessibilità.
Alcuni fissano i momenti “no” e non sanno trasformarli in occasioni di risveglio; o guariscono troppo tardi. Altri dipendono dalla stagione o vivono di adrenalina, e difettano di consapevolezza.
Qualcuno deve rallentare e raccogliersi, ritrovare se stesso e la leggerezza vocazionale istintiva, la propria parte infinita - ma evitando strategie puerili.
Altri che già hanno accolto il divino, avrebbero bisogno di svegliarsi dal torpore, per mettere in moto la luce sapiente, innata, che possiedono nelle inclinazioni profonde.
Qualcuno ha necessità di gettare zavorre, divenire più sottile nell’udire e nel porgersi, o meno dirigista; altri, prepararsi all’Incontro in una dimensione più relazionale e visibile.
Ci sono persone che non possono non complicarsi la vita, per poi semplificare [senza disperdere] divenendo infine più nitide; altre e forse più, imparare a donare. Così via.
Quindi... per armonizzare e rinvigorire l’organismo naturale, passionale e vocazionale, meglio alcuni con la luce che tutti al buio - bloccati in sala d’attesa, persi per sempre.
Gesù non predilige gli assopiti in una spiritualità vuota senza unicità - ovvero gli avvinti dall’istinto di autoprotezione. Esso non ricerca prima le proprie risorse, ciò che già trova in sé; bensì quel che ottiene fuori, o vien dato a richiesta, mendicato da altri.
L’ascolto insolito - forse indebito - e personale, nonché le azioni intraprendenti, il rischio per la saggezza, l’amore, lo stimolo alla completezza di essere, costruiscono la Persona e il suo dialogo vero.
I conformismi non producono svolte; permangono nel contorno torpido.
La folla indistinta senza convivialità delle differenze - se mediocre, priva di picchi esplorativi, eccezioni - spinge in panchina ogni Chiamata irripetibile.
Spesso s’immagina di aver provveduto alla propria pratica con Dio iscrivendosi nei registri parrocchiali, senza elaborarne l’impegno sino in fondo. Forse per timore del rischio o di fatiche impreviste.
Poi qualche zelante manierista assume anche atteggiamenti proni di apparenza [un tempo si diceva] “papista” e [finta] ortodossia - o viceversa, sofisticate, à la page.
Astrazioni disincarnate, che allo Sposo non interessano.
Colui che neppure lavora su di sé, ovviamente secondo il carattere delle proprie inclinazioni vocazionali, non edifica né comunica vita.
Non arricchisce né rallegra l’esistenza anche sommaria, dei tempi di stanchezza nell’attesa. Infine, non ha nulla a che fare con Dio (v.12).
Il paradigma di questo Richiamo alto e forte del Vangelo è la terapia che può rigenerare il mondo soggiogato da omologazioni esterne, affinché vada Altrove - e non rinunci alla dimensione del Mistero che lo suscita.
Appello fuori del tempo per la Chiesa stessa, affinché non si accontenti di schemi, modelli, ricette standard, o di rimettere le cose a posto in modo abitudinario.
Né si blocchi nei rapporti malati, nelle nomenclature d’appoggio qualunquista; strepitoso o museale. E in tal guisa si ritrovi fuori della Festa, disorientata, sopraffatta; senza neppure aver attivato se stessa, umanizzando.
Come ricorda l’enciclica Fratelli Tutti al n.33 [riprendendo un’omelia di Papa Francesco a Skopje]:
«Ci siamo nutriti con sogni di splendore e grandezza e abbiamo finito per mangiare distrazione [perdendo] il gusto e il sapore della realtà».
Ma anche la crisi potrà avere un senso evolutivo: nell’accettare di sbagliare, nella presa di coscienza delle imperfezioni.
Nel non sentirsi assoluti; nella logica delle opzioni, nella personalizzazione, nell’Incontro imprevisto e differente.
Soglia di ogni Esodo verso la Libertà e la Festa.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Hai perso il senso dell’invito a Nozze? O semplicemente preferisci varcare indenne la soglia del Banchetto?
Esiste un Incontro che ritieni possa destare la tua vita, o l’abitudine di attendere si è tramutata in una abitudine di non attendere più nulla?
Per non ricadere
«Le Letture bibliche dell’odierna liturgia […] ci invitano a prolungare la riflessione sulla vita eterna […]. Su questo punto è netta la differenza tra chi crede e chi non crede, o, si potrebbe ugualmente dire, tra chi spera e chi non spera. Scrive infatti san Paolo ai Tessalonicesi: «Non vogliamo lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza» ( 1 Ts 4,13). La fede nella morte e risurrezione di Gesù Cristo segna, anche in questo campo, uno spartiacque decisivo. Sempre san Paolo ricorda ai cristiani di Efeso che, prima di accogliere la Buona Notizia, erano «senza speranza e senza Dio nel mondo» ( Ef 2,12). Infatti, la religione dei greci, i culti e i miti pagani, non erano in grado di gettare luce sul mistero della morte, tanto che un’antica iscrizione diceva: « In nihil ab nihilo quam cito recidimus», che significa: «Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo». Se togliamo Dio, se togliamo Cristo, il mondo ripiomba nel vuoto e nel buio. E questo trova riscontro anche nelle espressioni del nichilismo contemporaneo, un nichilismo spesso inconsapevole che contagia purtroppo tanti giovani.
Il Vangelo di oggi è una celebre parabola, che parla di dieci ragazze invitate ad una festa di nozze, simbolo del Regno dei cieli, della vita eterna (Mt 25,1-13). E’ un’immagine felice, con cui però Gesù insegna una verità che ci mette in discussione; infatti, di quelle dieci ragazze: cinque entrano alla festa, perché, all’arrivo dello sposo, hanno l’olio per accendere le loro lampade; mentre le altre cinque rimangono fuori, perché, stolte, non hanno portato l’olio. Che cosa rappresenta questo “olio”, indispensabile per essere ammessi al banchetto nuziale? Sant’Agostino (cfr Discorsi 93, 4) e altri antichi autori vi leggono un simbolo dell’amore, che non si può comprare, ma si riceve come dono, si conserva nell’intimo e si pratica nelle opere. Vera sapienza è approfittare della vita mortale per compiere opere di misericordia, perché, dopo la morte, ciò non sarà più possibile. Quando saremo risvegliati per l’ultimo giudizio, questo avverrà sulla base dell’amore praticato nella vita terrena (cfr Mt 25,31-46). E questo amore è dono di Cristo, effuso in noi dallo Spirito Santo. Chi crede in Dio-Amore porta in sé una speranza invincibile, come una lampada con cui attraversare la notte oltre la morte, e giungere alla grande festa della vita».
[Papa Benedetto, Angelus 6 novembre 2011]
Il Vangelo di oggi è una celebre parabola, che parla di dieci ragazze invitate ad una festa di nozze, simbolo del Regno dei cieli, della vita eterna (Mt 25,1-13). E’ un’immagine felice, con cui però Gesù insegna una verità che ci mette in discussione; infatti, di quelle dieci ragazze: cinque entrano alla festa, perché, all’arrivo dello sposo, hanno l’olio per accendere le loro lampade; mentre le altre cinque rimangono fuori, perché, stolte, non hanno portato l’olio. Che cosa rappresenta questo «olio», indispensabile per essere ammessi al banchetto nuziale? Sant’Agostino (cfr Discorsi 93, 4) e altri antichi autori vi leggono un simbolo dell’amore, che non si può comprare, ma si riceve come dono, si conserva nell’intimo e si pratica nelle opere. Vera sapienza è approfittare della vita mortale per compiere opere di misericordia, perché, dopo la morte, ciò non sarà più possibile. Quando saremo risvegliati per l’ultimo giudizio, questo avverrà sulla base dell’amore praticato nella vita terrena (cfr Mt 25,31-46). E questo amore è dono di Cristo, effuso in noi dallo Spirito Santo. Chi crede in Dio-Amore porta in sé una speranza invincibile, come una lampada con cui attraversare la notte oltre la morte, e giungere alla grande festa della vita.
A Maria, Sedes Sapientiae, chiediamo di insegnarci la vera sapienza, quella che si è fatta carne in Gesù. Lui è la Via che conduce da questa vita a Dio, all’Eterno. Lui ci ha fatto conoscere il volto del Padre, e così ci ha donato una speranza piena d’amore. Per questo, alla Madre del Signore la Chiesa si rivolge con queste parole: “Vita, dulcedo, et spes nostra”. Impariamo da lei a vivere e morire nella speranza che non delude.
[Papa Benedetto, Angelus 6 novembre 2011]
1. Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo (cfr Gal 6,14).
Le parole di San Paolo ai Galati, che poc'anzi abbiamo ascoltato, ben si addicono all'esperienza umana e spirituale di Teresa Benedetta della Croce, che oggi solennemente viene iscritta nell'albo dei santi. Anche lei può ripetere con l'Apostolo: Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo.
La croce di Cristo! Nella sua costante fioritura l'albero della Croce porta sempre rinnovati frutti di salvezza. Per questo, alla Croce guardano fiduciosi i credenti, traendo dal suo mistero di amore coraggio e vigore per camminare fedeli sulle orme di Cristo crocifisso e risorto. Il messaggio della Croce è così entrato nel cuore di tanti uomini e di tante donne cambiandone l'esistenza.
Un esempio eloquente di questo straordinario rinnovamento interiore è la vicenda spirituale di Edith Stein. Una giovane donna in cerca della verità, grazie al lavorio silenzioso della grazia divina, è diventata una santa ed una martire: è Teresa Benedetta della Croce, che quest'oggi dal cielo ripete a tutti noi le parole che hanno segnato la sua esistenza: "Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce di Gesù Cristo".
2. Il primo maggio 1987, nel corso della mia visita pastorale in Germania, ho avuto la gioia di proclamare Beata, nella città di Colonia, questa generosa testimone della fede. Oggi, a undici anni di distanza, qui a Roma, in Piazza San Pietro, mi è dato di presentare solennemente come Santa davanti a tutto il mondo questa eminente figlia d'Israele e figlia fedele della Chiesa.
Come allora, così quest'oggi ci inchiniamo dinanzi alla memoria di Edith Stein, proclamando l'invitta testimonianza da lei resa durante la vita e soprattutto con la morte. Accanto a Teresa d'Avila ed a Teresa di Lisieux, quest'altra Teresa va a collocarsi fra lo stuolo di santi e sante che fanno onore all'Ordine carmelitano.
Carissimi Fratelli e Sorelle, che siete convenuti per questa solenne celebrazione, rendiamo gloria a Dio per l'opera da lui compiuta in Edith Stein.
3. Saluto i numerosi pellegrini venuti a Roma, con un particolare pensiero per i membri della famiglia Stein, che hanno voluto essere con noi per questa lieta circostanza. Un saluto cordiale va anche alla rappresentanza della Comunità carmelitana, la quale è diventata la "seconda famiglia" per Teresa Benedetta della Croce.
Rivolgo, poi, il mio benvenuto alla delegazione ufficiale della Repubblica Federale di Germania, guidata del Cancelliere Federale uscente, Helmut Kohl, che saluto con deferente cordialità. Saluto, inoltre, i rappresentanti dei Länder Nordrhein-Westfalen e Rheinland-Pfalz, come anche il Primo Sindaco della Città di Colonia.
Anche dalla mia patria è venuta una delegazione ufficiale guidata dal Primo Ministro Jerzy Buzek. Rivolgo ad essa un cordiale saluto.
Una speciale menzione voglio poi riservare ai pellegrini delle diocesi di Breslavia (Wroclaw), di Colonia, Münster, Spira, Kraków e Bielsko-Zywiec, presenti con i loro Vescovi e sacerdoti. Essi si uniscono alla numerosa schiera di fedeli venuti dalla Germania, dagli Stati Uniti d'America e dalla mia patria, la Polonia.
4. Cari Fratelli e Sorelle! Perché ebrea, Edith Stein fu deportata insieme con la sorella Rosa e molti altri ebrei dei Paesi Bassi nel campo di concentramento di Auschwitz, ove insieme con loro trovò la morte nelle camere a gas. Di tutti facciamo oggi memoria con profondo rispetto. Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: "Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta".
Nel celebrare d'ora in poi la memoria della nuova Santa, non potremo non ricordare di anno in anno anche la Shoah, quel piano efferato di eliminazione di un popolo, che costò la vita a milioni di fratelli e sorelle ebrei. Il Signore faccia brillare il suo volto su di loro e conceda loro la pace (cfr Nm 6,25 s.).
Per amor di Dio e dell'uomo ancora una volta io levo un grido accorato: mai più si ripeta una simile iniziativa criminale per nessun gruppo etnico, nessun popolo, nessuna razza, in nessun angolo della terra! E' un grido che rivolgo a tutti gli uomini e le donne di buona volontà; a tutti coloro che credono all'eterno e giusto Iddio; a tutti coloro che si sentono uniti in Cristo, Verbo di Dio incarnato. Tutti dobbiamo trovarci in questo solidali: è in gioco la dignità umana. Esiste una sola famiglia umana. Questo ha ribadito la nuova Santa con grande insistenza: "Il nostro amore verso il prossimo - scriveva - è la misura del nostro amore a Dio. Per i cristiani - e non solo per loro - nessuno è «straniero». L'amore di Cristo non conosce frontiere".
5. Cari Fratelli e Sorelle! L'amore di Cristo fu il fuoco che incendiò la vita di Teresa Benedetta della Croce. Prima ancora di rendersene conto, essa ne fu completamente catturata. All'inizio il suo ideale fu la libertà. Per lungo tempo Edith Stein visse l'esperienza della ricerca. La sua mente non si stancò di investigare ed il suo cuore di sperare. Percorse il cammino arduo della filosofia con ardore appassionato ed alla fine fu premiata: conquistò la verità, anzi ne fu conquistata. Scoprì, infatti, che la verità aveva un nome: Gesù Cristo, e da quel momento il Verbo incarnato fu tutto per lei. Guardando da carmelitana a questo periodo della sua vita, scrisse ad una benedettina: "Chi cerca la verità, consapevolmente o inconsapevolmente cerca Dio".
Pur essendo stata educata nella religione ebraica dalla madre, Edith Stein a quattordici anni "si era consapevolmente e di proposito disabituata alla preghiera". Voleva contare solo su se stessa, preoccupata di affermare la propria libertà nelle scelte della vita. Alla fine del lungo cammino le fu dato di giungere ad una constatazione sorprendente: solo chi si lega all'amore di Cristo diventa veramente libero.
L'esperienza di questa donna, che ha affrontato le sfide di un secolo travagliato come il nostro, diventa esemplare per noi: il mondo moderno ostenta la porta allettante del permissivismo, ignorando la porta stretta del discernimento e della rinuncia. Mi rivolgo specialmente a voi, giovani cristiani, in particolare ai numerosi ministranti convenuti in questi giorni a Roma: guardatevi del concepire la vostra vita come una porta aperta a tutte le scelte! Ascoltate la voce del vostro cuore! Non restate alla superficie, ma andate al fondo delle cose! E quando sarà il momento, abbiate il coraggio di decidervi! Il Signore attende che voi mettiate la vostra libertà nelle sue mani misericordiose.
6. Santa Teresa Benedetta della Croce giunse a capire che l'amore di Cristo e la libertà dell'uomo s'intrecciano, perché l'amore e la verità hanno un intrinseco rapporto. La ricerca della verità e la sua traduzione nell'amore non le apparvero in contrasto; essa, anzi, capì che si richiamavano a vicenda.
Nel nostro tempo la verità viene scambiata spesso con l'opinione della maggioranza. Inoltre è diffusa la convinzione che ci si debba servire della verità anche contro l'amore o viceversa. Ma la verità e l'amore hanno bisogno l'una dell'altro. Suor Teresa Benedetta ne è testimone. La "martire per amore", che donò la sua vita per gli amici, non si fece superare da nessuno nell'amore. Allo stesso tempo ella cercò con tutta se stessa la verità, della quale scriveva: "Nessuna opera spirituale viene al mondo senza grandi travagli. Essa sfida sempre l'uomo intero".
Suor Teresa Benedetta della Croce dice a noi tutti: Non accettate nulla come verità che sia privo di amore. E non accettate nulla come amore che sia privo di verità! L'uno senza l'altra diventa una menzogna distruttiva.
7. La nuova Santa ci insegna, infine, che l'amore per Cristo passa attraverso il dolore. Chi ama davvero non si arresta di fronte alla prospettiva della sofferenza: accetta la comunione nel dolore con la persona amata.
Consapevole di ciò che comportava la sua origine ebraica, Edith Stein ebbe al riguardo parole eloquenti: "Sotto la croce ho compreso la sorte del popolo di Dio... Infatti, oggi conosco molto meglio ciò che significa essere la sposa del Signore nel segno della Croce. Ma poiché è un mistero, con la sola ragione non potrà mai essere compreso".
Il mistero della Croce pian piano avvolse tutta la sua vita, fino a spingerla verso l'offerta suprema. Come sposa sulla Croce, Suor Teresa Benedetta non scrisse soltanto pagine profonde sulla "scienza della croce", ma fece fino in fondo il cammino alla scuola della Croce. Molti nostri contemporanei vorrebbero far tacere la Croce. Ma niente è più eloquente della Croce messa a tacere! Il vero messaggio del dolore è una lezione d'amore. L'amore rende fecondo il dolore e il dolore approfondisce l'amore.
Attraverso l'esperienza della Croce, Edith Stein poté aprirsi un varco verso un nuovo incontro col Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Fede e croce le si rivelarono inseparabili. Maturata alla scuola della Croce, ella scoprì le radici alle quali era collegato l'albero della propria vita. Capì che era molto importante per lei "essere figlia del popolo eletto e di appartenere a Cristo non solo spiritualmente, ma anche per un legame di sangue".
8. "Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità" (Gv 4,24).
Carissimi Fratelli e Sorelle, con queste parole il divino Maestro s'intrattenne con la Samaritana presso il pozzo di Giacobbe. Quanto egli donò alla sua occasionale ma attenta interlocutrice lo troviamo presente anche nella vita di Edith Stein, nella sua "salita al Monte Carmelo". La profondità del mistero divino le si rese percettibile nel silenzio della contemplazione. Man mano che, lungo la sua esistenza, essa maturava nella conoscenza di Dio, adorandolo in spirito e verità, sperimentava sempre più chiaramente la sua specifica vocazione a salire sulla Croce con Cristo, ad abbracciarla con serenità e fiducia, ad amarla seguendo le orme del suo diletto Sposo: Santa Teresa Benedetta della Croce ci viene additata oggi come modello a cui ispirarci e come protettrice a cui ricorrere.
Rendiamo grazie a Dio per questo dono. La nuova Santa sia per noi un esempio nel nostro impegno a servizio della libertà, nella nostra ricerca della verità. La sua testimonianza valga a rendere sempre più saldo il ponte della reciproca comprensione tra ebrei e cristiani.
Tu, Santa Teresa Benedetta della Croce, prega per noi! Amen.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia per la canonizzazione di Edith Stein, 11 ottobre 1998]
Mt 25,1-13 ci indica la condizione per entrare nel Regno dei cieli, e lo fa con la parabola delle dieci vergini: si tratta di quelle damigelle che erano incaricate di accogliere e accompagnare lo sposo alla cerimonia delle nozze, e poiché a quel tempo era usanza celebrarle di notte, le damigelle erano dotate di lampade.
La parabola dice che cinque di queste vergini sono sagge e cinque stolte: infatti le sagge hanno portato con sé l’olio per le lampade, mentre le stolte non l’hanno portato. Lo sposo tarda ad arrivare e tutte si addormentano. A mezzanotte viene annunciato l’arrivo dello sposo; allora le vergini stolte si accorgono di non avere l’olio per le lampade, e lo chiedono a quelle sagge. Ma queste rispondono che non possono darlo, perché non basterebbe per tutte. Mentre dunque le stolte vanno in cerca dell’olio, arriva lo sposo; le vergini sagge entrano con lui nella sala del banchetto e la porta viene chiusa. Le cinque stolte ritornano troppo tardi, bussano alla porta, ma la risposta è: «Non vi conosco» (v. 12), e rimangono fuori.
Che cosa vuole insegnarci Gesù con questa parabola? Ci ricorda che dobbiamo tenerci pronti all’incontro con Lui. Molte volte, nel Vangelo, Gesù esorta a vegliare, e lo fa anche alla fine di questo racconto. Dice così: «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» (v. 13). Ma con questa parabola ci dice che vegliare non significa soltanto non dormire, ma essere preparati; infatti tutte le vergini dormono prima che arrivi lo sposo, ma al risveglio alcune sono pronte e altre no. Qui sta dunque il significato dell’essere saggi e prudenti: si tratta di non aspettare l’ultimo momento della nostra vita per collaborare con la grazia di Dio, ma di farlo già da adesso. Sarebbe bello pensare un po’: un giorno sarà l’ultimo. Se fosse oggi, come sono preparato, preparata? Ma devo fare questo e questo … Prepararsi come fosse l’ultimo giorno: questo fa bene.
La lampada è il simbolo della fede che illumina la nostra vita, mentre l’olio è il simbolo della carità che alimenta, rende feconda e credibile la luce della fede. La condizione per essere pronti all’incontro con il Signore non è soltanto la fede, ma una vita cristiana ricca di amore e di carità per il prossimo. Se ci lasciamo guidare da ciò che ci appare più comodo, dalla ricerca dei nostri interessi, la nostra vita diventa sterile, incapace di dare vita agli altri, e non accumuliamo nessuna scorta di olio per la lampada della nostra fede; e questa – la fede – si spegnerà al momento della venuta del Signore, o ancora prima. Se invece siamo vigilanti e cerchiamo di compiere il bene, con gesti di amore, di condivisione, di servizio al prossimo in difficoltà, possiamo restare tranquilli mentre attendiamo la venuta dello sposo: il Signore potrà venire in qualunque momento, e anche il sonno della morte non ci spaventa, perché abbiamo la riserva di olio, accumulata con le opere buone di ogni giorno. La fede ispira la carità e la carità custodisce la fede.
La Vergine Maria ci aiuti a rendere la nostra fede sempre più operante per mezzo della carità; perché la nostra lampada possa risplendere già qui, nel cammino terreno, e poi per sempre, alla festa di nozze in paradiso.
[Papa Francesco, Angelus 12 novembre 2017]
(Mt 16,24-28)
Tutto ciò che facciamo è motivato dalla ricerca di pienezza di essere e felicità - anche il rischio. Ci siamo appassionati al cammino nello Spirito per lo stesso motivo: avere un incremento di vita.
Ma nella proposta del Maestro cogliamo una logica sconcertante: per porsi al riparo da vane illusioni che ci degradano, non bisogna precipitarsi ad agguantare ruoli prestigiosi, beni, relazioni che contano.
Le cose più attraenti e vistose, permangono esterne e infeconde. Non rigenerano.
Invece… attesa, ascolto, esercizio di virtù passive, amarezza e sconfitta, chiamano a rientrare in noi stessi - e stanno preparando gli sviluppi futuri più pertinenti e fondati, proprio a favore di un’esistenza piena.
Ma nell’equivoco, anche coloro che non temono sacrifici possono oscillare, perché la Via di Cristo sembra condurci subito ai motteggi, al fallimento.
Anche per Gesù l'evangelizzazione degli Apostoli e dei “vicini” - tutti intenti ad ammorbidire e attenuare i suoi Sogni immoderati - non è stato un gioco da ragazzi.
Eppure il Maestro non si fa prendere in ostaggio - anzi è Lui che ha collocato il capo dei discepoli al suo posto (vv.22-23).
La croce era pena di morte e onta perenne riservata agli schiavi ribelli; banditi, sovversivi, disadattati che rifiutavano la loro posizione di emarginazione civile.
Questa è tutta la partita: accettare di sollevare il braccio orizzontale del pubblico patibolo dietro a Gesù significa ancora oggi dimenticare la “reputazione”, essere svergognato.
Non per ascesi, né perfezionismo particolare. Ma affinché si lasci il tempo alla Provvidenza di prepararci.
La vita che viene farà appello ad altre energie, disporrà accadimenti in modo più misterioso che ovvio.
Metterà in gioco virtù personali e sociali difformi - confluenti - cosmiche e intimamente umanizzanti; acutamente fascinose e sorgive.
Nella bufera, la passione d’amore ha i suoi stadi preparatori, misteriosi [di più alta portata], che faranno emergere consapevolezze autentiche. E lo spirito fraterno annidato nell’anima.
La prospettiva è in tal senso personale, ma non individualistica, bensì quella del «Figlio dell’uomo» che lascia intuire il piglio umano, accessibile e divinizzante: aiutiamoci a coglierlo Presente (vv.27-28)!
«Figlio dell’uomo» è Colui che essendosi spinto al massimo dell’amore nella pienezza di Persona, giunge a riflettere la condizione divina, la mostra e irradia in contrassegni eminenti.
Abbracciati alla propria Chiamata individuante, sperimenteremo il Padre che provvede a noi. In tal guisa, riusciremo a sollevare la Croce fiorita che feconda l’anima e il mondo attorno.
Su tale raggio di ‘luce’, anche nei grandi disagi del nostro tempo saremo come l’Amico-Guida: genuini, non omologati; sdraiati sul nucleo dell’essere, ma ritti su strade inesplorate.
Simultaneamente impegnati e sereni. Meno banali, per contatto personale.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
In che senso hai fatto esperienza di vita guadagnata, dopo averla “persa”? Contattando quali energie sopite? Su quali strade inesplorate?
[Venerdì 18.a sett. T. O. 8 agosto 2025]
La reputazione: crocevia della Croce
(Mt 16,24-28)
Smarrire la vita o perderla? Salvarla o trovarla? Cristo desidera condurci nella Patria che ci corrisponde profondamente.
Lo propone condividendo l’andare pellegrino, in esplorazione; insieme a Lui e ai fratelli.
Nel procedere, ciò che facciamo è motivato dalla ricerca di pienezza di essere e felicità - anche il rischio.
Ci siamo appassionati al cammino nello Spirito per lo stesso motivo: avere un incremento di vita.
Ma nella proposta del Maestro cogliamo una logica sconcertante.
Per porsi al riparo da vane illusioni (che degradano) non bisogna precipitarsi ad agguantare ruoli prestigiosi, beni, relazioni che contano.
Le cose più attraenti e vistose, permangono esterne e infeconde. Non rigenerano.
Invece… attesa, ascolto, esercizio di virtù passive, amarezza e sconfitta, chiamano a rientrare in noi stessi.
Lo smacco è un appello che sta preparando gli sviluppi futuri più pertinenti e fondati, proprio a favore di un’esistenza piena.
Certo, chi non s’inserisce nella fretta dei titoli e nella commedia dei cerimoniali di società affine, può subire immediatamente il peggio. Ma è meglio questo che perdere qualità e fecondità di vita, disperdendole nell’equivoco.
Spesso il nostro “lasciare tutto” per la sequela di Cristo è anch’esso per un guadagno atteso e sperato. Persino “buono”: immediatamente relazionale, qualitativo, e culturale, ad es.
[Le guide ci parlavano in tal senso di vizio di “gola spirituale”: il fine è apprendere cose interessanti, avere buone e corpose compagnie, accrescere conoscenze, trovare modi anche fondati per farsi lodare, etc].
Il punto è che la ricaduta positiva immaginata, si configura sempre secondo antichi propositi. Infine per imporsi, brillare e comandare; non per “perdere”.
Non per “cedere”. Non per far sì che altre energie e orizzonti si introducano nelle situazioni, e affiorino - paradossali - in noi.
Su questo terreno poco appetibile - ma che in Cristo diverrà eccessivo di grazia, fecondo, intimamente educativo - anche coloro che non temono sacrifici possono oscillare, perché la Via del Crocifisso sembra condurci subito ai motteggi, al fallimento.
Emerge però il motivo profondo e in apparenza assurdo, del nuovo Magistero; senza retropensieri.
Il confronto con la Parola aiuta sempre più a renderci conto che è necessario introdurre nell’anima di ciascuno un nuovo profilo di riferimento: personale, sociale, comunitario.
L’antico contesto sicuro e trionfale ha contribuito ad edificare una impalcatura impressionante, ma che stride con il senso del Lieto Annunzio di Salvezza.
La vita da salvati è per tutti. Una Proclamazione trasparente, ormai: di smisurate Beatitudini in favore dei miti, umiliati e trascurati, bisognosi di tutto.
Anche per Gesù l'evangelizzazione degli Apostoli e dei “vicini” - tutti intenti ad ammorbidire e attenuare i suoi Sogni immoderati - non è stato un gioco da ragazzi.
Proprio come il Signore, anche oggi i veri Annunciatori devono già mettere in conto afflizioni, e trappole, spallate, beffe, derisioni (le più sorprendenti).
Ma non si molla, anche perché è comprensibile l’imbarazzo di coloro che d’improvviso si vedono introdotti non in un cammino trionfale. Non su un sentiero mozzafiato, punteggiato di approdi onorevoli ed esaltanti.
Piuttosto, di verità e dono di sé dismesso e reietto - non più edulcorante, né epidermico, o di contrabbando.
Lo si può tollerare, in fondo, con senso di realismo; come ha fatto Gesù con il suo Pietro. Insomma, anche questo filone potrà far parte del nuovo equilibrio che lo Spirito sta edificando.
Sì, l’aspetto istituzionale e compromissorio [“petrino”] vuole spesso prendere l’iniziativa ed esorcizzare il Richiamo di Gesù; metterlo a tacere, in favore dell’esibizione dei suoi superpoteri.
Eppure il Maestro non si fa prendere in ostaggio - anzi è Lui che ha collocato il capo dei discepolo al suo posto (vv.22-23).
La croce era pena di morte e onta perenne riservata agli schiavi ribelli; banditi, sovversivi, disadattati che rifiutavano la loro posizione di emarginazione civile.
Questa è tutta la partita: accettare di sollevare il braccio orizzontale del pubblico patibolo dietro a Gesù significa ancora oggi dimenticare la “reputazione”, essere svergognato.
Non per ascesi, né perfezionismo particolare alcuno.
Impoverire di beni superflui, perdere prestigio e ruoli, essere svergognato, lasciare che siano gli altri a passare avanti [anche per manipolarci: ché prima o poi si rendano conto].
Affinché si lasci il tempo alla Provvidenza di prepararci.
La vita che viene farà appello ad altre energie, disporrà accadimenti in modo più misterioso che ovvio.
Metterà in gioco virtù personali e sociali difformi - confluenti - cosmiche e intimamente umanizzanti; acutamente fascinose e sorgive.
Lo stiamo vivendo nel tempo della crisi e del travaglio, per una “rinascita” che vuole altri primordi; che pare non abbia voglia alcuna di ri-conformarsi all’età trascorsa.
Infatti, nella bufera, la passione d’amore ha i suoi stadi preparatori, di più alta portata, i quali presto o tardi faranno emergere consapevolezze autentiche eminenti. E lo spirito fraterno annidato nell’anima di tutti.
La prospettiva è in tal senso personale, ma non individualistica, bensì quella del «Figlio dell’uomo»: Colui che lascia intuire il portato umano, accessibile e divinizzante.
Però bisogna accorgersene: aiutiamoci a coglierlo Presente (vv.27-28)!
Infatti, nei Vangeli «Figlio di Dio» è Cristo che manifesta il Padre, svelando Dio nella condizione umana. «Figlio dell’uomo» è Gesù che manifesta l’uomo nella condizione divina.
«Figlio dell’uomo» è Colui che essendosi spinto al massimo dell’amore nella pienezza di Persona, giunge a riflettere la condizione divina, la mostra e irradia in contrassegni eminenti.
Lo fa senza prospettive anguste, tipiche delle religioni; senza neppure un retaggio d’idee “giuste” e invariabili, o forze di livello crescente e sempre performanti.
«Figlio dell’uomo» è il Figlio riuscito: la Persona dal passo definitivo.
Verbo fattosi fratello prossimo, che in noi aspira alla pienezza diffusa nella storia, a una caratura indistruttibile dentro ciascuno che accosta (e incontra cifre divine accorate, tratti sublimi di umanizzazione).
Rischiamo dunque di vivere “con” e “per” gli altri, tralasciando la ricerca della stima, e perdendo credito [non a tutti i costi lucrandolo].
Lo facciamo con piglio; abbracciati alla propria Chiamata individuante, sperimentando il Padre che provvede a noi.
In tal guisa, riusciremo a sollevare positivamente la Croce fiorita, che feconda l’anima e il mondo attorno.
Esperienza dalla quale non si esce più - tanto è sublime e dai traguardi sterminati, impossibili da immaginare e proporsi, per via di sterile “natura”.
Su tale raggio di luce e con nuovo Nome, anche nei grandi disagi del nostro tempo saremo come l’Amico-Guida: genuini, non omologati; sdraiati sul nucleo dell’essere, ma ritti su strade inesplorate.
Simultaneamente impegnati e sereni. Meno banali, per contatto personale.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
In che senso hai fatto esperienza di vita guadagnata, dopo averla “persa”? Contattando quali energie sopite? Su quali strade inesplorate?
Gesù spiega ai suoi discepoli che dovrà «andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Mt 16,21). Tutto sembra capovolgersi nel cuore dei discepoli! Com’è possibile che «il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (v. 16), possa patire fino alla morte? L’apostolo Pietro si ribella, non accetta questa strada, prende la parola e dice al Maestro: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai» (v. 22). Appare evidente la divergenza tra il disegno d’amore del Padre, che giunge fino al dono del Figlio Unigenito sulla croce per salvare l’umanità, e le attese, i desideri, i progetti dei discepoli. E questo contrasto si ripete anche oggi: quando la realizzazione della propria vita è orientata solamente al successo sociale, al benessere fisico ed economico, non si ragiona più secondo Dio, ma secondo gli uomini (v. 23). Pensare secondo il mondo è mettere da parte Dio, non accettare il suo progetto di amore, quasi impedirgli di compiere il suo sapiente volere. Per questo Gesù dice a Pietro una parola particolarmente dura: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo» (ibid.). Il Signore insegna che «il cammino dei discepoli è un seguire Lui, [andare dietro a Lui], il Crocifisso. In tutti e tre i Vangeli spiega tuttavia questo seguirlo nel segno della croce … come il cammino del “perdere se stesso”, che è necessario per l’uomo e senza il quale non gli è possibile trovare se stesso» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 333).
Come ai discepoli, così anche a noi Gesù rivolge l’invito: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). Il cristiano segue il Signore quando accetta con amore la propria croce, che agli occhi del mondo appare una sconfitta e una “perdita della vita” (cfr vv. 25-26), sapendo di non portarla da solo, ma con Gesù, condividendo il suo stesso cammino di donazione. Scrive il Servo di Dio Paolo VI: “Misteriosamente, il Cristo stesso, per sradicare dal cuore dell'uomo il peccato di presunzione e manifestare al Padre un'obbedienza integra e filiale, accetta … di morire su di una croce” (Es. ap. Gaudete in Domino (9 maggio 1975), AAS 67, [1975], 300-301). Accettando volontariamente la morte, Gesù porta la croce di tutti gli uomini e diventa fonte di salvezza per tutta l’umanità. San Cirillo di Gerusalemme commenta: «La croce vittoriosa ha illuminato chi era accecato dall’ignoranza, ha liberato chi era prigioniero del peccato, ha portato la redenzione all’intera umanità» (Catechesis Illuminandorum XIII,1: de Christo crucifixo et sepulto: PG 33, 772 B).
[Papa Benedetto, Angelus 28 agosto 2011]
8. Redenzione: rinnovata creazione
Redentore del mondo! In lui si è rivelata in modo nuovo e più mirabile la fondamentale verità sulla creazione, che il Libro della Genesi attesta quando ripete più volte: «Dio vide che era cosa buona» Il bene ha la sua sorgente nella Sapienza e nell'Amore. In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l'uomo - quel mondo che, essendovi entrato il peccato, «è stato sottomesso alla caducità» - riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell'Amore. Infatti, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Come nell'uomo-Adamo questo vincolo è stato infranto, così nell'uomo-Cristo esso è stato di nuovo riallacciato. Non ci convincono forse, noi uomini del ventesimo secolo, le parole dell'Apostolo delle genti, pronunciate con una travolgente eloquenza, circa la «creazione (che) geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» ed «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio», circa la creazione che «è stata sottomessa alla caducità»? L'immenso progresso, non mai prima conosciuto, che si è verificato, particolarmente nel corso del nostro secolo, nel campo del dominio sul mondo da parte dell'uomo, non rivela forse esso stesso, e per di più in grado mai prima raggiunto, quella multiforme sottomissione «alla caducità»? Basta solo qui ricordare certi fenomeni, quali la minaccia di inquinamento dell'ambiente naturale nei luoghi di rapida industrializzazione, oppure i conflitti armati che scoppiano e si ripetono continuamente, oppure le prospettive di autodistruzione mediante l'uso delle armi atomiche, all'idrogeno, al neutrone e simili, la mancanza di rispetto per la vita dei non nati. Il mondo della nuova epoca, il mondo dei voli cosmici, il mondo delle conquiste scientifiche e tecniche, non mai prima raggiunte, non è nello stesso tempo il mondo che «geme e soffre» ed «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio»?
Il Concilio Vaticano II, nella sua penetrante analisi «del mondo contemporaneo», perveniva a quel punto che è il più importante del mondo visibile, l'uomo, scendendo - come Cristo - nel profondo delle coscienze umane, toccando il mistero interiore dell'uomo, che nel linguaggio biblico (ed anche non biblico) si esprime con la parola «cuore». Cristo, Redentore del mondo, è Colui che è penetrato, in modo unico e irrepetibile, nel mistero dell'uomo ed è entrato nel suo «cuore». Giustamente, quindi, il Concilio Vaticano II insegna: «In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5, 14), e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione». E poi ancora: «Egli è l'immagine dell'invisibile Iddio (Col 1, 15). Egli è l'uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, già resa deforme fin dal primo peccato. Poiché in Lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche a nostro beneficio innalzata a una dignità sublime. Con la sua incarnazione, infatti, il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato». Egli, il Redentore dell'uomo!
9. Dimensione divina del mistero della Redenzione
Riflettendo nuovamente su questo stupendo testo del Magistero conciliare, non dimentichiamo, neanche per un momento, che Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, è diventato la nostra riconciliazione presso il Padre. Proprio Lui, solo Lui ha soddisfatto all'eterno amore del Padre, a quella paternità che sin dal principio si è espressa nella creazione del mondo, nella donazione all'uomo di tutta la ricchezza del creato, nel farlo «poco meno degli angeli», in quanto creato «ad immagine ed a somiglianza di Dio»; e, egualmente, ha soddisfatto a quella paternità di Dio e a quell'amore, in un certo modo respinto dall'uomo con la rottura della prima Alleanza e di quelle posteriori che Dio «molte volte ha offerto agli uomini». La redenzione del mondo - questo tremendo mistero dell'amore, in cui la creazione viene rinnovata - è, nella sua più profonda radice, la pienezza della giustizia in un Cuore umano: nel Cuore del Figlio primogenito, perché essa possa diventare giustizia dei cuori di molti uomini, i quali proprio nel Figlio primogenito sono stati, fin dall'eternità, predestinati a divenire figli di Dio e chiamati alla grazia, chiamati all'amore. La croce sul Calvario, per mezzo della quale Gesù Cristo - uomo, figlio di Maria Vergine, figlio putativo di Giuseppe di Nazaret - «lascia» questo mondo, è al tempo stesso una nuova manifestazione dell'eterna paternità di Dio, il quale in Lui si avvicina di nuovo all'umanità, ad ogni uomo, donandogli il tre volte santo «Spirito di verità».
Con questa rivelazione del Padre ed effusione dello Spirito Santo, che stampano un sigillo indelebile sul mistero della Redenzione, si spiega il senso della croce e della morte di Cristo. Il Dio della creazione si rivela come Dio della redenzione, come Dio «fedele a se stesso», fedele al suo amore verso l'uomo e verso il mondo, già rivelato nel giorno della creazione. E il suo è amore che non indietreggia davanti a nulla di ciò che in lui stesso esige la giustizia. E per questo il Figlio «che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore». Se «trattò da peccato» Colui che era assolutamente senza alcun peccato, lo fece per rivelare l'amore che è sempre più grande di tutto il creato, l'amore che è Lui stesso, perché «Dio è amore»58. E soprattutto l'amore è più grande del peccato, della debolezza, della «caducità del creato», più forte della morte; è amore sempre pronto a sollevare e a perdonare, sempre pronto ad andare incontro al figliol prodigo, sempre alla ricerca della «rivelazione dei figli di Dio», che sono chiamati alla gloria futura62. Questa rivelazione dell'amore viene anche definita misericordia, e tale rivelazione dell'amore e della misericordia ha nella storia dell'uomo una forma e un nome: si chiama Gesù Cristo.
10. Dimensione umana del mistero della Redenzione
L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non s'incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. E perciò appunto Cristo Redentore - come è stato già detto - rivela pienamente l'uomo all'uomo stesso. Questa è - se così è lecito esprimersi - la dimensione umana del mistero della Redenzione. In questa dimensione l'uomo ritrova la grandezza, la dignità e il valore propri della sua umanità. Nel mistero della Redenzione l'uomo diviene nuovamente «espresso» e, in qualche modo, è nuovamente creato. Egli è nuovamente creato! «Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo - non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere - deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso, deve «appropriarsi» ed assimilare tutta la realtà dell'Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso. Se in lui si attua questo profondo processo, allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di se stesso. Quale valore deve avere l'uomo davanti agli occhi del Creatore se «ha meritato di avere un tanto nobile e grande Redentore», se «Dio ha dato il suo Figlio», affinché egli, l'uomo, «non muoia, ma abbia la vita eterna».
In realtà, quel profondo stupore riguardo al valore ed alla dignità dell'uomo si chiama Vangelo, cioè la Buona Novella. Si chiama anche Cristianesimo. Questo stupore giustifica la missione della Chiesa nel mondo, anche, e forse di più ancora, «nel mondo contemporaneo». Questo stupore, ed insieme persuasione e certezza, che nella sua profonda radice è la certezza della fede, ma che in modo nascosto e misterioso vivifica ogni aspetto dell'umanesimo autentico, è strettamente collegato a Cristo. Esso determina anche il suo posto, il suo - se così si può dire - particolare diritto di cittadinanza nella storia dell'uomo e dell'umanità. La Chiesa, che non cessa di contemplare l'insieme del mistero di Cristo, sa con tutta la certezza della fede, che la Redenzione, avvenuta per mezzo della croce, ha ridato definitivamente all'uomo la dignità ed il senso della sua esistenza nel mondo, senso che egli aveva in misura notevole perduto a causa del peccato. E perciò la Redenzione si è compiuta nel mistero pasquale, che attraverso la croce e la morte conduce alla risurrezione.
Il còmpito fondamentale della Chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra, è di dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della Redenzione, che avviene in Cristo Gesù. Contemporaneamente, si tocca anche la più profonda sfera dell'uomo, la sfera - intendiamo - dei cuori umani, delle coscienze umane e delle vicende umane.
[Papa Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis]
Gesù sa bene che Pietro e gli altri hanno ancora molta strada da fare per diventare suoi apostoli!
A quel punto, il Maestro si rivolge a tutti quelli che lo seguivano, presentando loro con chiarezza la via da percorrere: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (v. 24). Sempre, anche oggi, la tentazione è quella di voler seguire un Cristo senza croce, anzi, di insegnare a Dio la strada giusta; come Pietro: “No, no Signore, questo no, non accadrà mai”. Ma Gesù ci ricorda che la sua via è la via dell’amore, e non c’è vero amore senza il sacrificio di sé. Siamo chiamati a non lasciarci assorbire dalla visione di questo mondo, ma ad essere sempre più consapevoli della necessità e della fatica per noi cristiani di camminare contro-corrente e in salita.
Gesù completa la sua proposta con parole che esprimono una grande sapienza sempre valida, perché sfidano la mentalità e i comportamenti egocentrici. Egli esorta: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (v. 25). In questo paradosso è contenuta la regola d’oro che Dio ha inscritto nella natura umana creata in Cristo: la regola che solo l’amore dà senso e felicità alla vita. Spendere i propri talenti, le proprie energie e il proprio tempo solo per salvare, custodire e realizzare sé stessi, conduce in realtà a perdersi, ossia a un’esistenza triste e sterile. Invece viviamo per il Signore e impostiamo la nostra vita sull’amore, come ha fatto Gesù: potremo assaporare la gioia autentica, e la nostra vita non sarà sterile, sarà feconda.
Nella celebrazione dell’Eucaristia riviviamo il mistero della croce; non solo ricordiamo, ma compiamo il memoriale del Sacrificio redentore, in cui il Figlio di Dio perde completamente Sé stesso per riceversi di nuovo dal Padre e così ritrovare noi, che eravamo perduti, insieme con tutte le creature. Ogni volta che partecipiamo alla Santa Messa, l’amore di Cristo crocifisso e risorto si comunica a noi come cibo e bevanda, perché possiamo seguire Lui nel cammino di ogni giorno, nel concreto servizio dei fratelli.
Maria Santissima, che ha seguito Gesù fino al Calvario, accompagni anche noi e ci aiuti a non avere paura della croce, ma con Gesù inchiodato, non una croce senza Gesù, la croce con Gesù, cioè la croce di soffrire per amore di Dio e dei fratelli, perché questa sofferenza, per la grazia di Cristo, è feconda di risurrezione.
[Papa Francesco, Angelus 3 settembre 2017]
«And they were certainly inspired by God those who, in ancient times, called Porziuncola the place that fell to those who absolutely did not want to own anything on this earth» (FF 604)
«E furono di certo ispirati da Dio quelli che, anticamente, chiamarono Porziuncola il luogo che toccò in sorte a coloro che non volevano assolutamente possedere nulla su questa terra» (FF 604)
It is a huge message of hope for each of us, for you whose days are always the same, tiring and often difficult. Mary reminds you today that God calls you too to this glorious destiny (Pope Francis)
È un grande messaggio di speranza per ognuno noi; per te, che vivi giornate uguali, faticose e spesso difficili. Maria ti ricorda oggi che Dio chiama anche te a questo destino di gloria (Papa Francesco)
In the divine attitude justice is pervaded with mercy, whereas the human attitude is limited to justice. Jesus exhorts us to open ourselves with courage to the strength of forgiveness, because in life not everything can be resolved with justice. We know this (Pope Francis)
Nell’atteggiamento divino la giustizia è pervasa dalla misericordia, mentre l’atteggiamento umano si limita alla giustizia. Gesù ci esorta ad aprirci con coraggio alla forza del perdono, perché nella vita non tutto si risolve con la giustizia; lo sappiamo (Papa Francesco)
The Second Vatican Council's Constitution on the Sacred Liturgy refers precisely to this Gospel passage to indicate one of the ways that Christ is present: "He is present when the Church prays and sings, for he has promised "where two or three are gathered together in my name there am I in the midst of them' (Mt 18: 20)" [Sacrosanctum Concilium, n. 7]
La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II si riferisce proprio a questo passo del Vangelo per indicare uno dei modi della presenza di Cristo: "Quando la Chiesa prega e canta i Salmi, è presente Lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20)" [Sacrosanctum Concilium, 7]
This was well known to the primitive Christian community, which considered itself "alien" here below and called its populated nucleuses in the cities "parishes", which means, precisely, colonies of foreigners [in Greek, pároikoi] (cf. I Pt 2: 11). In this way, the first Christians expressed the most important characteristic of the Church, which is precisely the tension of living in this life in light of Heaven (Pope Benedict)
Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo (Papa Benedetto)
A few days before her deportation, the woman religious had dismissed the question about a possible rescue: “Do not do it! Why should I be spared? Is it not right that I should gain no advantage from my Baptism? If I cannot share the lot of my brothers and sisters, my life, in a certain sense, is destroyed” (Pope John Paul II)
Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: "Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta" (Papa Giovanni Paolo II)
don Giuseppe Nespeca
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