Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Parlando di Dio, tocchiamo anche precisamente l'argomento che, nella predicazione terrena di Gesù, costituiva il suo interesse centrale. Il tema fondamentale di tale predicazione è il dominio di Dio, il “Regno di Dio”. Con ciò non è espresso qualcosa che verrà una volta o l’altra in un futuro indeterminato. Neppure si intende con ciò quel mondo migliore che cerchiamo di creare passo passo con le nostre forze. Nel termine “Regno di Dio” la parola “Dio” è un genitivo soggettivo. Questo significa: Dio non è un’aggiunta al “Regno” che forse si potrebbe anche lasciar cadere. Dio è il soggetto. Regno di Dio vuol dire in realtà: Dio regna. Egli stesso è presente ed è determinante per gli uomini nel mondo. Egli è il soggetto, e dove manca questo soggetto non resta nulla del messaggio di Gesù. Perciò Gesù ci dice: il Regno di Dio non viene in modo che si possa, per così dire, mettersi sul lato della strada ed osservare il suo arrivo. “È in mezzo a voi!” (cfr Lc 17,20s). Esso si sviluppa dove viene realizzata la volontà di Dio. È presente dove vi sono persone che si aprono al suo arrivo e così lasciano che Dio entri nel mondo. Perciò Gesù è il Regno di Dio in persona: l’uomo nel quale Dio è in mezzo a noi e attraverso il quale noi possiamo toccare Dio, avvicinarci a Dio. Dove questo accade, il mondo si salva.
[Papa Benedetto, alla Curia romana 22 dicembre 2006]
Siate il cuore di Cristo per amare e pregare, siate le mani di Cristo per lavorare e servire
4. “EurHope”: Europa e Speranza. Avete voluto dare questo titolo all’odierna suggestiva veglia. Nel termine “EurHope” le parole Europa e Speranza si intrecciano inscindibilmente. È un’intuizione bella, ma anche singolarmente impegnativa. Essa esige che voi siate uomini e donne di speranza: persone che credono nel Dio della vita e dell’amore, e proclamano con salda fiducia che c’è futuro per l’uomo.
Voi siete il volto giovane dell’Europa. Il futuro del Continente, come del mondo intero, vi appartiene, se saprete seguire il cammino che Cristo vi indica. Il segreto è lo stesso di sempre: è Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo; è la Croce di Cristo. Il Papa stasera vi affida questo segreto antico e sempre nuovo: cari giovani, seguite Colui, che “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45). Siate le sue mani e il suo cuore, per i vostri fratelli e le vostre sorelle: il cuore per amare e pregare, le mani per lavorare, costruire e servire.
[Papa Giovanni Paolo II, Incontro coi giovani a Loreto 9 settembre 1995]
C’è una domanda ricorrente nelle meditazioni di Papa Francesco durante le messe celebrate a Santa Marta, ed è l’invito a un esame di coscienza: «Come è il mio rapporto con lo Spirito Santo?». Anche nell’omelia di giovedì 16 novembre il Pontefice ha riproposto il quesito con una particolare declinazione: «Credo davvero che lo Spirito fa crescere in me il regno di Dio?».
È stato infatti il regno di Dio il tema della riflessione che ha preso le mosse dal brano del vangelo di Luca (17, 20-25) nel quale i dottori della legge chiedono a Gesù: «Tu predichi il regno di Dio, ma quando verrà il regno di Dio?». È una domanda, ha spiegato il Pontefice, che veniva anche dalla «curiosità di tanta gente», una domanda «semplice che nasce da un cuore buono, un cuore di discepolo». Non a caso, è una richiesta ricorrente nel vangelo: per esempio, ha suggerito il Papa, in quel momento «tanto brutto, oscuro» in cui Giovanni Battista — che era al buio in carcere e «non capiva nulla, angosciato» — invia i suoi discepoli per dire al Signore: «Ma di’: sei tu o dobbiamo aspettare un altro? È arrivato il regno di Dio o è un altro?».
Ritorna spesso il dubbio sul «quando», come avviene nella «domanda, sfacciata, superba, cattiva» del ladrone: «Se sei tu, scendi dalla croce», che esprime la «curiosità» del «quando viene il regno di Dio».
La risposta di Gesù è: «Ma il regno di Dio è in mezzo a voi». Così ad esempio, ha ricordato Francesco, «il regno di Dio è stato annunciato nella sinagoga di Nazaret, quel lieto annuncio quando Gesù legge quel passo di Isaia e finisce dicendo: “Oggi questa scrittura si è adempiuta in mezzo a voi”». Un annuncio lieto e, soprattutto, «semplice». Infatti «il regno di Dio cresce di nascosto», tanto che Gesù stesso lo spiega con la parabola del seme: «nessuno sa come», ma Dio lo fa crescere. È un regno che «cresce da dentro, di nascosto o si trova nascosto come la gemma o il tesoro, ma sempre nell’umiltà».
Qui il Pontefice ha inserito il passaggio chiave della sua meditazione: «Chi dà la crescita a quel seme, chi lo fa germogliare? Dio, lo Spirito Santo che è in noi». Una considerazione che spiega l’avvento del regno con il modo di operare del Paraclito, che «è spirito di mitezza, di umiltà, di ubbidienza, di semplicità». Ed è lo Spirito, ha aggiunto il Papa, «che fa crescere dentro il regno di Dio, non sono i piani pastorali, le grandi cose...».
Si tratta, ha detto Francesco, di un’azione nascosta. Lo Spirito «fa crescere e arriva il momento e appare il frutto». Un’azione che sfugge a una piena comprensione: «Chi è stato o è stata — si è chiesto ad esempio il Papa — a seminare il seme del regno di Dio nel cuore del buon ladrone? Forse la mamma quando gli insegnò a pregare... Forse un rabbino quando gli spiegava la legge...». Certo è che nonostante nella vita egli lo abbia dimenticato, quel seme, nascosto, a un certo punto è stato fatto crescere. Tutto ciò accade perché «il regno di Dio è sempre una sorpresa, una sorpresa che viene» in quanto «è un dono dato dal Signore».
Nel colloquio con i dottori della legge, Gesù si sofferma sulla caratteristiche di questa azione silenziosa: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà: “Eccolo qui oppure eccolo là”». Infatti, ha aggiunto il Pontefice, «il regno di Dio non è uno spettacolo» o addirittura «un carnevale». Esso non si mostra «con la superbia, con l’orgoglio, non ama la pubblicità», ma «è umile, nascosto e così cresce».
Un esempio lampante viene da Maria. Quando la gente la guardava al seguito di Gesù, a stento la riconosceva («Ah, quella è la mamma...»). Lei era «la donna più santa», ma giacché lo era «di nascosto», nessuno comprendeva «il mistero del regno di Dio, la santità del regno di Dio». E così, «quando era vicina alla croce del figlio, la gente diceva: “Ma povera donna con questo criminale come figlio, povera donna...”». Nessuno capiva, «nessuno sapeva».
La caratteristica del nascondimento, ha spiegato il Papa, viene proprio dallo Spirito Santo che è «dentro di noi»: è lui «che fa crescere il seme, lo fa germogliare fino a dare il frutto». E noi tutti siamo chiamati a percorrere questa strada: «è una vocazione, è una grazia, è un dono, è gratuito, non si compra, è una grazia che Dio ci dà».
Ecco perché, ha concluso il Pontefice, è bene che «noi tutti battezzati» che «abbiamo dentro lo Spirito Santo», ci chiediamo: «Come è il mio rapporto con lo Spirito Santo, quello che fa crescere in me il regno di Dio?». Bisogna infatti capire: «Io credo davvero che il regno di Dio è in mezzo a noi, è nascosto, o mi piace più lo spettacolo?». Occorre, ha aggiunto, pregare «lo Spirito che è in noi» per chiedere la grazia «che faccia germogliare in noi e nella Chiesa, con forza, il seme del regno di Dio perché divenga grande, dia rifugio a tanta gente e dia frutti di santità».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 17/11/2017]
Gloria straniera, o religiosità che partorisce modelli e schiavi
(Lc 17,11-19)
Secondo l’enciclica Fratelli Tutti la custodia delle differenze è il criterio della vera fraternità, che non annienta i picchi estroversi.
Infatti perfino in un rapporto d’amore profondo e coesistenza «c’è bisogno di liberarsi dall’obbligo di essere uguali» [Amoris Laetitia, n.139].
Stupirà, ma il senso del testo non riguarda i ringraziamenti da fare!
Gesù non si rattrista perché verifica una mancanza di riconoscenza e buone maniere, bensì per il fatto che solo uno straniero dà «gloria a Dio» (v.15).
Ossia: lo riconosce suo Signore personale - in un rapporto, appunto, senza mediazioni.
Quel personale «fare-Eucaristia» […] «e cadde sulla faccia presso i suoi piedi» (v.16 testo greco) ha un significato forte, sponsale, di perfetta reciprocità nel Cammino.
Tutto nell’orizzonte di una scelta cruciale - dirimente - fra vita di qualità esclusiva, o morte.
Pur emarginati dai “recinti sacri” del Tempio nella Città Santa - proprio i lontani e rifiutati (considerati bastardi e nemici) capiscono immediatamente ciò che non sfigura il volto della loro umanità.
A ben guardare, nel terzo Vangelo i modelli della Fede sono tutti ‘estranei’: centurione, prostituta, emorroissa, cieco; così via.
Essi percepiscono subito i segni della Vita, segni di Dio!
Altri più insediati o attratti dalle normalità si accontentano di farsi reintegrare nella pratica religiosa vetusta e comune, tornando alle solite cose impersonali, e al culto di massa.
Ma chi si lascia asservire, perde traccia di sé e del Cristo (v.17); ridiventa schiavo della mentalità allineata, convenzionalista; non vagliata - e succube della ‘permanenza’.
Invece, se riconosciuta [come ad es. nel caso del samaritano] una Presenza a nostro favore ci fa ritrovare, scoprire, e capire.
Essa procede impareggiabile attraversando tutti i nostri stati d’animo - senza più rimorsi verso i doveri che non ci appartengono.
Tale Amicizia fa recuperare i punti fermi dei codici umani davvero intimi, potenziando - fuori le righe - sia il sistema di riconoscimento di noi stessi che il modo autentico e irripetibile di onorare Dio nei fratelli.
Insomma, percorrendo con ottimismo e speranza la nostra personalissima Via, giungiamo incontro al Cristo vivo; non al vociare del Tempio [antico o alla moda].
Esso non manda più messaggi preziosi; solo annota. Batte in testa, ma non tocca dentro.
C’intrappolerà in una rete di pensieri prevedibili, sorveglianze nemiche, costumi indotti; così via.
Circa l’essenziale disponibilità divina a cogliere le differenze come ricchezza, ricordiamo l’insegnamento del maestro sufi Ibn Ata Allah, che sosteneva l’immediatezza senza eguali del Colloquio personale - dove sapienza dell’analisi ed esperienza dell’ebbrezza si congiungono:
«Egli fa giungere su di te l’illuminazione perché per mezzo di essa tu giunga a Lui; la fa giungere su di te per toglierti dalla mano degli altri; la fa giungere su di te per liberarti dalla schiavitù delle creature; la fa giungere su di te per farti uscire dalla prigione della tua esistenza verso il cielo della contemplazione di Lui».
Vita nuova, piena, definitiva.
Le persone di Fede staccano dall’identità religiosa esterna: sognano, amano e inventano strade; deviano e non seguono un percorso già tracciato.
[Mercoledì 32.a sett. T.O. 13 novembre 2024]
Gloria straniera, o religiosità che partorisce modelli e schiavi
(Lc 17,11-19)
L’impuro doveva stare fuori dai piedi: tutto ciò che era diverso dal pensiero dominante veniva scalzato.
Secondo lo schema religioso antico, i luoghi degli “infetti” erano considerati pari a cimiteri.
Le malattie erano immaginate come castighi per le inadempienze.
Ma la lebbra - morbo che corrode dentro - era il simbolo stesso del peccato [tuttavia qui sembrano proprio gli osservanti l’immagine ambulante della morte].
L’eventuale guarigione era valutata al pari d’una miracolosa risuscitazione.
E prima d’essere riammessi in società bisognava espiare tutte le colpe (supposte).
Gesù sostituisce la globalità snervante di queste trafile arcano-superstiziose con un semplicissimo percorso in uscita.
Così distrugge la devozione idolatrica arcaica, scaramantica, soppiantandola con una proposta di vita reale.
Il passo è esclusivo di Lc ma in tutti i Vangeli il termine «villaggio» ha connotati fortemente negativi.
«Villaggi» sono i luoghi in cui il Signore non viene accolto. Lì non c’è posto per il nuovo, e se attecchisce diventa tradizione obbligante.
Sono territori e paludi della riduzione, della conferma cocciuta, del voler riprodurre pensieri consolidati e imporre costumi più o meno serafici a chicchessia. Li conosciamo.
Nella Chiesa la mentalità del «villaggio» è quella della certezza a tutti i costi.
Convinzione ipica di chi si ritiene sacralmente corretto e abilitato a emarginare, scacciare, rifiutare, tenere lontano, non prendere in considerazione.
Il brano ha diversi livelli di lettura.
Il Maestro cammina con gli Apostoli e si rivolge loro (Lc 17,1-11) ma d’improvviso sembra trovarsi solo (v.12). Come se i “lebbrosi del villaggio” non fossero che i suoi [a quel tempo nessun affetto dalla malattia poteva dimorare in luoghi residenziali].
L’impurità contratta dai discepoli conclamati e anche da noi oggi dipende proprio dalla condizione guasta, di scadimento e corruzione dell’ambiente ridotto e infetto.
Quest’ultimo rende impossibile la rigenerazione - perché in esso gli stessi seguaci (che paiono intimi) talora si chiudono, tutti raggruppati.
I dieci lebbrosi ci rappresentano.
Lo stesso numero indica una totalità (come le dita).
Ma proprio qui, se veniamo almeno resi coscienti della separazione dalla realizzazione del nostro volto, ecco il primo passo per un coinvolgimento personale col Signore.
Tutti abbiamo segni di non-vita.
Chi si ritiene arrivato e indenne da patologie alza steccati per proteggere sé e il proprio mondo, ma resta lì, impacciato.
Quando viceversa tocca con mano che lo sviluppo non è ancora fiorito, scatta un senso di tolleranza verso il prossimo, e la molla personale che sorvola adesioni vuote, intimiste, o coartate.
Anche nelle prime assemblee dei chiamati a essere figli e fratelli, talora si manifestava una mentalità autocompiaciuta e isolazionista nei confronti dei pagani che si presentavano alla soglia delle comunità.
I nuovi - passati ai raggi x dai veterani che non sopportavano differenti specificità - gridavano appellandosi direttamente al Cristo stesso.
Scattava la domanda - tutta attuale:
«Tu che stai a capo [v.13 testo greco], Tu che comandi la chiesa, cosa pensi dei tuoi? Cosa dici di questa mentalità da villaggio?»
«I primi che si credono in diritto di scansare gli altri, davvero hanno titolo per farlo?»
«Il Padre che annunciavi è ridiventato esattamente come il Dio arcigno delle religioni?».
Infatti i “lebbrosi” non chiedono guarigione, bensì compassione.
Insomma, il Richiamo è “interno”.
Ciò significa che sono proprio i fenomeni del ruolo o ministero acquisito - forse colonialista - che dovrebbero farsi sanare.
Condizionati da false guide, non di rado anche noi approcciamo Cristo in modo astruso, sbagliato: chiedendogli «Pietà».
All’Amico o a un Padre non si chiede «Pietà».
Per questo Gesù è netto. Chi si ritiene immondo o vuol essere commiserato deve andare altrove, rivolgersi alla religione ufficiale.
Ognuno è completo, e lo si vede nella scelta dello straniero che da solo capisce e torna a Cristo.
Nessuno ha bisogno di mettersi in castigo, sottomettendosi a protocolli conformisti.
Ma allora erano i sacerdoti del Tempio a verificare e decidere se il già guarito (!) potesse venire riammesso in società.
Insomma, tutti noi peccatori siamo resi puri non da miracoli che scendono come fulmini, ma nell’Esodo.
Tragitto che smuove dall’ambiente putrido e ammalorato - ben prima che qualcuno controlli, faccia raccomandazioni banali, e detti il ritmo di praticucce a postilla.
È solo il «villaggio» che ci fa - e considera - impuri… perché non gli assomigliamo!
Basta uscire da pensieri e costumanze ghettizzanti per acquistare serenità e motivazioni: non ci sentiremo più dei rifiutati e additati.
Scopriremo noi stessi e il Dio-con.
Egli ci ha fatti così per una Missione speciale; non ricalcata su prototipi da copiare come fossimo idioti: bensì figli sommamente amabili.
Il Padre ci vede perfetti, e a suo tempo farà sorgere perle sbalorditive proprio dalle nostre supposte o intruse indegnità.
Inadeguatezze al “villaggio”, che compongono e completano il bagaglio della nostra preziosa personalità, e irripetibile Vocazione.
Guarda caso, ci realizziamo spiritualmente solo valicando gli steccati “culturali” locali.
Anche non obbedendo a ordini, ma trasgredendoli (vv.14ss.)!
In tal guisa, Gesù non contempla inquisitori.
Dobbiamo lasciarci controllare unicamente dallo Spirito, che già ci anima.
È questione risolutiva. Infatti: il senso del testo non riguarda i ringraziamenti da fare!
Gesù non si rattrista perché verifica una mancanza di riconoscenza e buone maniere, bensì per il fatto che solo uno straniero dà «gloria a Dio» (v.15).
Ossia: lo riconosce suo Signore personale - in un rapporto, appunto, senza mediazioni.
Quel personale «fare-Eucaristia» […] «e cadde sulla faccia presso i suoi piedi» (v.16 testo greco) ha un significato forte, sponsale, di perfetta reciprocità nel Cammino.
Tutto nell’orizzonte di una scelta cruciale - non paciosa, né pacata e buonista, ma dirimente - fra vita di qualità esclusiva, o morte.
Pur emarginati dai “recinti sacri” del Tempio nella Città Santa - proprio i lontani e rifiutati (considerati bastardi e nemici) capiscono immediatamente ciò che non sfigura il volto della loro umanità.
Qui Lc cita il termine alloghenès (v.18) scolpito a caratteri cubitali nelle tavolette affisse sul primo dei parapetti interni del Santuario di Gerusalemme [quello che sotto pena di morte impediva la partecipazione dei pagani al sacrificio cultuale ebraico].
Ma a ben guardare, nel terzo Vangelo i modelli della Fede sono tutti “estranei”: centurione, prostituta, emorroissa, cieco, così via.
Essi percepiscono subito i segni della Vita, segni di Dio!
Altri più insediati o attratti dalle normalità si accontentano di farsi reintegrare nella pratica religiosa vetusta e comune, tornando alle solite cose impersonali, e al culto di massa.
Eppure, chi si riadatta all’andazzo di tutti, si fa asservire; perde traccia di sé e del Cristo (v.17).
Costui ridiventa schiavo della mentalità allineata, convenzionalista; non vagliata - e succube della ‘permanenza’.
Secondo l’enciclica Fratelli Tutti la custodia delle differenze è il criterio della vera fraternità, che non annienta i picchi estroversi.
Infatti perfino in un rapporto d’amore profondo e coesistenza «c’è bisogno di liberarsi dall’obbligo di essere uguali» [Amoris Laetitia, n.139].
Ancora Papa Francesco:
«Mentre la Solidarietà è il principio di pianificazione sociale che permette ai diseguali di diventare eguali, la Fraternità è quello che consente agli eguali di essere persone diverse» [Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, 24/04/2017].
Insomma, percorrendo con ottimismo e speranza la nostra personalissima Via, giungiamo incontro al Cristo vivo; non al vociare del Tempio [antico o alla moda].
Esso non manda più messaggi preziosi; solo annota. Batte in testa, ma non tocca dentro.
C’intrappolerà in una rete di pensieri prevedibili, sorveglianze nemiche, costumi indotti; così via.
Domesticazioni prive d’affinità con vicende di peso specifico - senza il passo alleato delle persone d’una cultura e sensibilità particolari.
Coloro che stanno sanando il mondo.
Malgrado l’appartenenza esibita, dietro sacre quinte ufficiali, i rapporti spesso si allentano; non rigenerano.
In quei territori spesso vengono partoriti modelli e prototipi, codici e brevetti, ottusità di meschini primattori - figurini della ristrettezza.
Invece, se riconosciuta [come ad es. nel caso del samaritano] una Presenza a nostro favore ci fa ritrovare, scoprire, e capire.
Essa procede impareggiabile attraversando tutti i nostri stati d’animo - senza più rimorsi verso i doveri che non ci appartengono.
Tale Amicizia fa recuperare i punti fermi dei codici umani davvero intimi, potenziando - fuori le righe - sia il sistema di riconoscimento di noi stessi che il modo autentico e irripetibile di onorare Dio nei fratelli.
Non più privilegio esclusivo di eletti e migliori… tutti non decisivi.
Circa l’essenziale disponibilità divina a cogliere le differenze come ricchezza, ricordiamo l’insegnamento del maestro sufi Ibn Ata Allah, che sosteneva l’immediatezza senza eguali del Colloquio personale - dove sapienza dell’analisi ed esperienza dell’ebbrezza si congiungono:
«Egli fa giungere su di te l’illuminazione perché per mezzo di essa tu giunga a Lui; la fa giungere su di te per toglierti dalla mano degli altri; la fa giungere su di te per liberarti dalla schiavitù delle creature; la fa giungere su di te per farti uscire dalla prigione della tua esistenza verso il cielo della contemplazione di Lui».
Vita nuova, piena, definitiva.
Le persone di Fede staccano dall’identità religiosa esterna: sognano, amano e inventano strade; deviano e non seguono un percorso già tracciato.
Il Vangelo […] presenta Gesù che guarisce dieci lebbrosi, dei quali solo uno, samaritano e dunque straniero, torna a ringraziarlo (cfr Lc 17, 11-19). A lui il Signore dice: "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!" (Lc 17, 19). Questa pagina evangelica ci invita ad una duplice riflessione. Innanzitutto fa pensare a due gradi di guarigione: uno, più superficiale, riguarda il corpo; l'altro, più profondo, tocca l'intimo della persona, quello che la Bibbia chiama il "cuore", e da lì si irradia a tutta l'esistenza. La guarigione completa e radicale è la "salvezza". Lo stesso linguaggio comune, distinguendo tra "salute" e "salvezza", ci aiuta a capire che la salvezza è ben più della salute: è infatti una vita nuova, piena, definitiva. Inoltre, qui Gesù, come in altre circostanze, pronuncia l'espressione: "La tua fede ti ha salvato". È la fede che salva l'uomo, ristabilendolo nella sua relazione profonda con Dio, con se stesso e con gli altri; e la fede si esprime nella riconoscenza. Chi, come il samaritano sanato, sa ringraziare, dimostra di non considerare tutto come dovuto, ma come un dono che, anche quando giunge attraverso gli uomini o la natura, proviene ultimamente da Dio. La fede comporta allora l'aprirsi dell'uomo alla grazia del Signore; riconoscere che tutto è dono, tutto è grazia. Quale tesoro è nascosto in una piccola parola: "grazie"!
Gesù guarisce dieci malati di lebbra, infermità allora considerata una "impurità contagiosa" che esigeva una purificazione rituale (cfr Lv 14, 1-37). In verità, la lebbra che realmente deturpa l'uomo e la società è il peccato; sono l'orgoglio e l'egoismo che generano nell'animo umano indifferenza, odio e violenza. Questa lebbra dello spirito, che sfigura il volto dell'umanità, nessuno può guarirla se non Dio, che è Amore. Aprendo il cuore a Dio, la persona che si converte viene sanata interiormente dal male.
"Convertitevi e credete al Vangelo" (cfr Mc 1, 15). Gesù dette inizio alla sua vita pubblica con quest'invito, che continua a risuonare nella Chiesa. […] Alla Madonna chiediamo per tutti i cristiani il dono di una vera conversione, perché sia annunciato e testimoniato con coerenza e fedeltà il perenne messaggio evangelico, che indica all'umanità la via dell'autentica pace.
[Papa Benedetto, Angelus 14 ottobre 2007]
“Mga kaibigan” (Cari amici)
“Maraming salamat sa inyong lahat” (Ringrazio calorosamente voi tutti).
Avrei voluto visitarvi al vostro domicilio, ma non è stato possibile. Vi ringrazio per essere venuti invece a incontrare me. Vi ringrazio per avere voluto rappresentare gli altri che volevano tanto venire ma che non hanno potuto. Lo stare con voi oggi reca grande gioia al mio cuore. Vi saluto con affetto e spero che sappiate quanto ho atteso questo nostro incontro.
Nelle mie precedenti visite pastorali in Africa e in Brasile ho incontrato altri uomini e donne malati di lebbra. Questi incontri hanno lasciato in me una profonda impressione, perché ho potuto apprezzare la pazienza amorosa e il coraggio con cui vivono nonostante le prove e le avversità.
1. Mi trovo qui in nome di Cristo Gesù per ricordarvi il suo straordinario amore per tutti i suoi fratelli e sorelle, ma in particolare per ciascuno di voi. I Vangeli danno testimonianza di questa verità. Pensate per un momento quanto spesso Gesù manifestò la sua preoccupazione trasformando situazioni di necessità in momenti di grazia. Nel Vangelo di San Luca, per esempio, Gesù è avvicinato da dieci lebbrosi che chiedono di essere guariti. Il Signore ordina loro di mostrarsi ai sacerdoti, e lungo la via vengono guariti. Uno di essi ritorna per rendere grazie. Nella sua gratitudine dimostra una fede che è forte, gioiosa e piena di lode per la meraviglia dei doni di Dio. Evidentemente Gesù ha toccato con il suo amore l’intimità profonda dell’essere di questo uomo.
2. Ancora nei Vangeli di Matteo e Marco, ci viene presentato un lebbroso che chiede a Gesù di guarirlo ma soltanto se è la sua volontà. Che grande riconoscenza prova l’uomo quando la sua domanda e ascoltata! Egli parte per diffondere la gioiosa notizia del miracolo a tutti coloro che incontra. Una felicità così grande deriva dalla fede dell’uomo. Le sue parole “se vuoi tu puoi mondarmi” riflettono una disponibilità ad accettare qualunque cosa Gesù desideri per lui. E la sua fede in Gesù non fu delusa! Cari fratelli e sorelle, possa la vostra fede in Gesù essere non meno ferma e costante della fede di queste persone nei Vangeli.
3. So che la vostra afflizione comporta intense sofferenze, non soltanto attraverso le sue manifestazioni fisiche, ma anche per i malintesi che tante persone della società continuano ad associare al morbo di Hansen. Spesso vi imbattete in pregiudizi molto antichi, e questi diventano una fonte di sofferenza ancora maggiore. Da parte mia continuerò a proclamare davanti al mondo la necessità di una consapevolezza ancora maggiore del fatto che, attraverso un aiuto appropriato, questa malattia potrà effettivamente essere vinta. Per questo motivo chiedo a tutti dovunque di appoggiare sempre di più i coraggiosi sforzi che vengono fatti per debellare la lebbra e curare efficacemente coloro che ne sono ancora affetti.
4. Prego affinché non siate mai scoraggiati o inaspriti. Dovunque e ogni qualvolta incontrate la Croce, abbracciatela come fece Gesù, affinché venga compiuta la volontà del Padre. Che la vostra sofferenza sia offerta a beneficio di tutta la Chiesa, in modo che possiate dire con san Paolo: “Perciò sono lieto nelle mie sofferenze... e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del Suo Corpo che è la Chiesa...”(Col 1,24).
Tre giorni or sono beatificavo nel vostro Paese sedici martiri di Nagasaki. Tra di essi vi è il Beato Lazzaro di Kyoto, che era lebbroso. Quanto esultiamo per l’aiuto che il beato Lazzaro fornì ai missionari come traduttore e guida. Infine il suo impegno a diffondere il Vangelo gli costò la vita; morì spargendo il suo sangue per la fede. Il suo amore per Cristo comportò molta sofferenza, anche dolori torturanti! Sperimentò l’incomprensione, la ripulsa e l’odio degli altri nel suo servizio alla Chiesa! Ma con la forza della grazia di Dio, il Beato Lazzaro diede testimonianza della fede e meritò il dono prezioso della corona del martirio.
Cari amici, vi invito a imitare il coraggio del Beato Lazzaro che è così vicino a voi. Condividete le convinzioni della vostra fede con i vostri fratelli e sorelle che soffrono con voi. Contraccambiate l’amore dei medici, degli infermieri e dei volontari che si prendono così generosamente cura di voi. Lavorate per costruire una comunità di fede vivente, una comunità che dia supporto, che rinforzi e che arricchisca la Chiesa universale. È qui il vostro servizio a Cristo! È qui la sfida per la vostra vita! È qui che potete manifestare la vostra fede, la vostra speranza e il vostro amore!
Che Dio vi benedica, cari fratelli e sorelle! Benedica tutti i malati di lebbra in questo Paese! Benedica le vostre famiglie, i vostri amici e tutti quelli che vi assistono! “Ai higit sa lahat, inihahabilin ko ang aking sarili sa inyong panalangin, sa inyong pagmamahal” (E soprattutto, mi raccomando alla vostra preghiera e al vostro amore).
[Papa Giovanni Paolo II, Discorso al Lebbrosario di Tala, Manila 21 febbraio 1981]
Vorrei soffermarmi oggi sulla preghiera di ringraziamento. E prendo lo spunto da un episodio riportato dall’evangelista Luca. Mentre Gesù è in cammino, gli vengono incontro dieci lebbrosi, che implorano: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!” (17,13). Sappiamo che, per i malati di lebbra, alla sofferenza fisica si univa l’emarginazione sociale e l’emarginazione religiosa. Erano emarginati. Gesù non si sottrae all’incontro con loro. A volte va oltre i limiti imposti dalle leggi e tocca il malato - che non si poteva fare - lo abbraccia, lo guarisce. In questo caso non c’è contatto. A distanza, Gesù li invita a presentarsi ai sacerdoti (v. 14), i quali erano incaricati, secondo la legge, di certificare l’avvenuta guarigione. Gesù non dice altro. Ha ascoltato la loro preghiera, ha ascoltato il loro grido di pietà, e li manda subito dai sacerdoti.
Quei dieci si fidano, non rimangono lì fino al momento di essere guariti, no: si fidano e vanno subito, e mentre stanno andando guariscono tutti e dieci. I sacerdoti avrebbero dunque potuto constatare la loro guarigione e riammetterli alla vita normale. Ma qui viene il punto più importante: di quel gruppo, solo uno, prima di andare dai sacerdoti, torna indietro a ringraziare Gesù e a lodare Dio per la grazia ricevuta. Solo uno, gli altri nove continuano la strada. E Gesù nota che quell’uomo era un samaritano, una specie di “eretico” per i giudei del tempo. Gesù commenta: «Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?» (17,18). E’ toccante il racconto!
Questo racconto, per così dire, divide il mondo in due: chi non ringrazia e chi ringrazia; chi prende tutto come gli fosse dovuto, e chi accoglie tutto come dono, come grazia. Il Catechismo scrive: «Ogni avvenimento e ogni necessità può diventare motivo di ringraziamento» (n. 2638). La preghiera di ringraziamento comincia sempre da qui: dal riconoscersi preceduti dalla grazia. Siamo stati pensati prima che imparassimo a pensare; siamo stati amati prima che imparassimo ad amare; siamo stati desiderati prima che nel nostro cuore spuntasse un desiderio. Se guardiamo la vita così, allora il “grazie” diventa il motivo conduttore delle nostre giornate. Tante volte dimentichiamo pure di dire “grazie”.
Per noi cristiani il rendimento di grazie ha dato il nome al Sacramento più essenziale che ci sia: l’Eucaristia. La parola greca, infatti, significa proprio questo: ringraziamento. I cristiani, come tutti i credenti, benedicono Dio per il dono della vita. Vivere è anzitutto aver ricevuto la vita. Tutti nasciamo perché qualcuno ha desiderato per noi la vita. E questo è solo il primo di una lunga serie di debiti che contraiamo vivendo. Debiti di riconoscenza. Nella nostra esistenza, più di una persona ci ha guardato con occhi puri, gratuitamente. Spesso si tratta di educatori, catechisti, persone che hanno svolto il loro ruolo oltre la misura richiesta dal dovere. E hanno fatto sorgere in noi la gratitudine. Anche l’amicizia è un dono di cui essere sempre grati.
Questo “grazie” che dobbiamo dire continuamente, questo grazie che il cristiano condivide con tutti, si dilata nell’incontro con Gesù. I Vangeli attestano che il passaggio di Gesù suscitava spesso gioia e lode a Dio in coloro che lo incontravano. I racconti del Natale sono popolati di oranti con il cuore allargato per la venuta del Salvatore. E anche noi siamo stati chiamati a partecipare a questo immenso tripudio. Lo suggerisce anche l’episodio dei dieci lebbrosi guariti. Naturalmente tutti erano felici per aver recuperato la salute, potendo così uscire da quella interminabile quarantena forzata che li escludeva dalla comunità. Ma tra loro ce n’è uno che a gioia aggiunge gioia: oltre alla guarigione, si rallegra per l’avvenuto incontro con Gesù. Non solo è liberato dal male, ma possiede ora anche la certezza di essere amato. Questo è il nocciolo: quando tu ringrazi, esprimi la certezza di essere amato. E questo è un passo grande: avere la certezza di essere amato. È la scoperta dell’amore come forza che regge il mondo. Dante direbbe: l’Amore «che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso, XXXIII, 145). Non siamo più viandanti errabondi che vagano qua e là, no: abbiamo una casa, dimoriamo in Cristo, e da questa “dimora” contempliamo tutto il resto del mondo, ed esso ci appare infinitamente più bello. Siamo figli dell’amore, siamo fratelli dell’amore. Siamo uomini e donne di grazia.
Dunque, fratelli e sorelle, cerchiamo di stare sempre nella gioia dell’incontro con Gesù. Coltiviamo l’allegrezza. Invece il demonio, dopo averci illusi - con qualsiasi tentazione - ci lascia sempre tristi e soli. Se siamo in Cristo, nessun peccato e nessuna minaccia ci potranno mai impedire di continuare con letizia il cammino, insieme a tanti compagni di strada.
Soprattutto, non tralasciamo di ringraziare: se siamo portatori di gratitudine, anche il mondo diventa migliore, magari anche solo di poco, ma è ciò che basta per trasmettergli un po’ di speranza. Il mondo ha bisogno di speranza e con la gratitudine, con questo atteggiamento di dire grazie, noi trasmettiamo un po’ di speranza. Tutto è unito, tutto è legato e ciascuno può fare la sua parte là dove si trova. La strada della felicità è quella che San Paolo ha descritto alla fine di una delle sue lettere: «Pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito» (1 Ts 5,17-19). No spegnere lo Spirito, bel programma di vita! Non spegnere lo Spirito che abbiamo dentro ci porta alla gratitudine.
[Papa Francesco, Udienza Generale 30 dicembre 2020]
(Lc 17,7-10)
Accrescere la Fede? Il Dono non è un regalo, ma un Appello. Perciò Gesù neppure risponde - ciononostante fa riflettere sui risultati dell’eventuale adesione.
Basterebbe un minimo coinvolgimento e nel mondo si produrrebbero risultati straordinari (v.6); in comunità, nelle famiglie, nella vita personale.
Realizzeremmo l’impossibile e importante. Si risolverebbero i veri problemi. Si trasformerebbero anche le azioni più semplici.
Parole assai provocatorie, quelle di Gesù, che neppure condannano a priori né demonizzano la Via contraria alla sua.
Ma ci mette sull’avviso su come funzionano le cose in ambiente piramidale (vv.7-9).
«Quando avete fatto tutto quello che vi è stato “ordinato”...» (v.10).
Il Signore allude all’obbedienza della Torah, e vorrebbe renderci liberi dal giogo ossessivo, limitante, meschino e ansiogeno della Legge antica.
Essa produce impoverimento delle anime.
È come se il Signore dicesse:
«Provate pure a ricalcare il modello prevedibile, ingessato, privo di scossoni... Tentate e vedrete sulla vostra pelle che inconcludenza, che lacerazioni e disastri produce!».
In una prospettiva di Fede e di crescita umana in Cristo bisogna abbandonare il modello standard limitante «suddito-Sovrano».
Esso toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.
La Fede accoglienza-somiglianza ci porterà invece a crescere da ‘inutili’ schiavi a Figli; collaboratori e alleati del Padre.
Da gretti sottomessi e obbedienti pedissequi, a famigliari, amici e consanguinei-assomiglianti.
Altrimenti rimarremo nella condizione puerile di bambinoni e garzoni «di nessun conto» (v.10) che non si esprimono né reinterpretano, ma restano sottoposti e fanno solo “quello che devono”.
La religione dei meriti e dei ruoli è deleteria; produce malessere, va avanti per inerzia e con atteggiamento difensivo.
Non reinventa il presente, né apre il futuro.
Essa non ascolta i bisogni, piuttosto ci spinge a improntare rapporti sulla base dell’egoismo, anche spirituale.
Qui non si guarda più ciò che si affaccia spontaneamente - costringendo le nostre facoltà a valutazioni tutte predicibili, conformiste.
La vita dunque impoverisce, desertificando se stessa, perché intimidita.
Diventando un’assurda farsa che Gesù non vuole: un’accozzaglia di atteggiamenti paludosi, incapaci di riattivarci - disattenti alle azioni speciali che trasformano la routine in avventura.
Parafrasando l’enciclica Fratelli Tutti, in quelle condizioni suonerebbe «come un delirio» anche elaborare «grandi obiettivi per lo sviluppo di tutta l’umanità» (n.16).
Mancherebbe il senso del Mistero, mai percependolo nei solchi della storia: ci trascineremmo nei rimedi, tutelando solo il tran tran.
Perciò nessun cambiamento inatteso, nessuna trasformazione inspiegabile, nessun recupero eccezionale (v.6).
Nessuna imprevedibilità scorgerebbe il ‘sacro’ nelle mille situazioni che la Provvidenza inventa, stimolando risposte nuove.
Il mistico Ibn Ata Allah - Maestro delle due Scienze [sapienza dell’analisi ed esperienza dell’ebbrezza mistica] - sosteneva:
«Se vuoi che ti si apra la porta del timore, guarda ciò che da te va a Lui. Se vuoi che ti si apra la porta della Speranza, guarda a ciò che da Lui viene a te».
[Martedì 32.a sett. T.O. 12 Novembre 2024]
Lc 17,7-10 (1-10)
Perdono e Fede: Incontro vivo
Gratis eccentrico, in avanti: Sacramento dell’umanità come tale
(Lc 17,1-6)
La conoscenza di Dio non è un bene di confisca o una scienza acquisita e già pignorata: muove da un’azione e un’altra, incessantemente; si realizza in un Incontro sempre vivo, che non ci blocca né dissolve.
Tipica, l’esperienza dei «piccoli» [mikròi v.2]. Sin dalle prime comunità di fede, essi sono stati coloro cui mancavano sicurezze ed energie; instabili e senz’appoggio.
Da sempre, «Piccoli» sono gli incipienti; i nuovi, che hanno sentito parlare di fraternità cristiana, ma che talora sono costretti a mettersi in fila, da parte, o rinunciare al cammino.
Ma il criterio di accoglienza, tolleranza, comunione anche di beni materiali, è stato il primo e principale catalizzatore della crescita delle assemblee.
Addirittura la scaturigine e il senso di tutte le formule e segni della liturgia.
Il centro esistenziale e ideale cui convergere. Per una Fede proattiva e in se stessa trasformativa.
Nello Spirito del Maestro, anche per noi la conciliazione degli attriti non si configura come semplice opera di magnanimità.
È inizio del mondo futuro. Principio di un’avventura imprevedibile e indicibile. E noi con esso d’improvviso rinati: venuti a un franco contatto nel Cristo. Colui che non ci spegne affatto.
Di qui il Perdono cristiano dei figli, che non è… “guardare positivo”, e “chiudere un occhio”: piuttosto, Novità di Dio che crea un ambiente di Grazia, propulsivo, con possibilità enormi.
Forza che irrompe e lascia incontrare paradossalmente i poli oscuri, invece di scuoterli di dosso. Eliminando in modo genuino paragoni, parole e zavorre inutili, che bloccano l’Esodo trasparente.
Dinamica che guida all’indispensabile e imprescindibile: onde spostare lo sguardo. Insegnando ad accorgersi dei propri isterismi, conoscersi, affrontare l’ansia, il suo motivo; a gestire situazioni e momenti di crisi.
Virtù plasmabile che pone in ascolto intimo dell’essenza personale.
Quindi Empatia solida, larga, che introduce nuove energie; fa incontrare i propri stati profondi, perfino la vita standard… suscitando altri saperi, diverse prospettive, relazioni inattese.
Così senza troppa lotta ci rinnova, e argina la perdita di veracità [tipica, quella in favore delle maniere di circostanza]. Accentua capacità e gli orizzonti della Pace - sgretolando primati, equilibri paludosi.
La scoperta di nuovi versanti dell’essere che siamo, trasmette un senso di migliore completezza, quindi spontaneamente argina influssi esterni, scioglie pregiudizi, non fa agire su base emotiva, impulsiva.
Colloca piuttosto nella posizione che mette in grado di rivelare il senso nascosto e sbalorditivo dell’essere. Dispiegando l’orizzonte cruciale.
Attivare «Perdono» è gratuitamente una restituzione in sovraggiunta del proprio ventaglio caratteriale, di tutta la dignità perduta, e ben oltre.
Deponendo le sentenze, l’arte della tolleranza dilata lo sguardo [anche intimo]. Migliora e potenzia i lati spenti; quelli che noi stessi avevamo detestato.
In tal guisa eccentrica trasforma i considerati lontani o mediocri [mikroi] in battistrada, e geniali inventori. Perché ciò che ieri era impensato, domani sarà di chiarificazione e traino.
Le confusioni acquisteranno un senso - proprio grazie al pensiero delle menti in crisi, e per l’azione dei disprezzati, intrusi, fuori d’ogni giro e prevedibilità.
Vita di pura Fede nello Spirito: ossia, la fantasia dei “fiacchi”… al potere.
Perché è il meccanismo paradossale che fa valutare i crocevia della storia, attiva le passioni, crea condivisione, risolve i veri problemi.
E dunque soppianta in avanti i momenti difficili (riportandoci al vero percorso) orientando la realtà al bene concreto.
Facendola volare verso se stessa.
L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne. È in tale ‘vuoto’ e Silenzio che Dio si fa strada.
Mistero della Presenza, che trabocca. Nuova Alleanza.
Accrescere la Fede: vita noiosa, intimidita, o la porta della Speranza
(Lc 17,5-10)
Forse anche a noi è stato inculcato che la fede bisogna chiederla, così Dio ce l’aumenta. Invece abbiamo voce in capitolo, ma non nel senso d’una avance da rivolgere al Cielo.
La Fede è dono, però nel senso di proposta e iniziativa relazionale, faccia a faccia; che chiede percezione accogliente. Quindi non cresce per caduta d’un pacchetto - come a precipizio, o per infusione dall’alto. Addirittura forzandola, e convincendo il Padre.
Non è neppure un semplice assenso legato al carattere bonario. Non è un bagaglio di nozioni che qualcuno ha e dimostra in modo giusto; altri meno, o affatto.
Nell’innamoramento si può essere più o meno coinvolti!
Fede non è credere che Dio esista, ma l’aderire a un suggerimento sorgivo che (senza imposizioni) ci guida a trascurare la reputazione.
La persona di Fede non bada a spese o rischi, anche per la vita altrui. Tiene in sospeso le costumanze particolari; non anteporre gli affetti di cerchia. Perdona senza limiti.
Spesso siamo d’accordo solo in parte e accettiamo qualcosina - magari fino a che l’amore non vada sino in fondo, o ci rimetta in discussione.
Così la testa, i vezzi, la concatenazione dei valori, e il piccolo mondo cui siamo legati.
Accrescere la Fede? Il Dono non è un regalo, ma un Appello.
Perciò Gesù neppure risponde a una richiesta tanto ridicola - ciononostante fa riflettere sui risultati dell’eventuale adesione.
Basterebbe un minimo coinvolgimento e nel mondo si produrrebbero risultati straordinari (v.6); in comunità, nelle famiglie e nella vita personale.
Realizzeremmo l’impossibile e importante. Si risolverebbero i veri problemi. Si trasformerebbero anche le azioni più semplici.
Ci sono poi grandi eventi piantati nel cuore di ogni uomo, che forse consideriamo irrealizzabili: ad es. la fratellanza universale, la vittoria sulla fame, una vita dignitosa e bella per tutti, un mondo e una Chiesa senza personaggi volatili, corrotti e vanitosi.
Siccome le consideriamo situazioni impossibili, neppure iniziamo a edificarle - subito ci lasciamo cadere le braccia.
Ma la maturazione è frutto contromano di lati segreti, non di armature mentali impermeabili.
Come diceva un premio Nobel: «Gli innocenti non sapevano che il loro progetto era impossibile, per questo lo realizzarono».
E non è che dopo una vita impiegata nel servizio - agli ordini del Principale - nell’aldilà finalmente comanderemo, sulla base del rango conquistato [sebbene anche questo forse ci sia stato trasmesso].
Uno dei prodigi che compie in noi la Fede in Cristo - qui e ora - è farci prendere coscienza della bellezza e della gioia di avere libertà di scendere dai piedistalli già identificati, per favorire la vita piena (di tutti).
E a “fine mese” - alla “resa dei conti” o alla “paga” - non diventeremo finalmente dei boss - almeno in cielo!
Perché Dio è Comunione, convivialità delle differenze; e non accetta lo schema servo-padrone, addirittura come premio.
Parole assai provocatorie, quelle di Gesù, che neppure condannano a priori né demonizzano la Via contraria alla sua.
Ma ci mette sull’avviso su come funzionano le cose in ambiente piramidale (vv.7-9).
«Quando avete fatto tutto quello che vi è stato “ordinato”...» (v.10).
Il Signore allude all’obbedienza della Torah, e vorrebbe renderci liberi dal giogo ossessivo, limitante, meschino e ansiogeno della Legge religiosa antica.
Essa produce gerarchie artificiose e finte, collasso sociale, impoverimento delle anime.
È come se il Signore dicesse:
«Provate pure a ricalcare il modello prevedibile, pio, correttissimo, ingessato e privo di scossoni...
Tentate e vedrete sulla vostra pelle che inconcludenza, che lacerazioni e disastri produce.
Fatene pure l’esperienza, così vi renderete conto, e in modo definitivo!».
In una prospettiva di Fede e di crescita umana in Cristo bisogna abbandonare il modello standard limitante «suddito-Sovrano» imposto da Mosè.
Che noia! Persona e Amicizia non si mettono in banca!
E dopo le prime scoperte, non si torna indietro a coltivare vincoli - altrimenti i comportamenti obbligati ci procureranno guai grossi.
Toglieranno ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.
Forse già sappiamo cosa significa sentirci dei numeri, copiare l’emancipazione (istrionica) altrui e di conseguenza cercare compensazioni esterne; o riempirci di secondi fini, quindi truccare e guastare.
«Prova pure ad accontentarti della religiosità ufficiale, conformista e normalizzata, invece d’impegnarti nella ricerca e scoperta senza risarcimenti; nell’Esodo e nell’avventura di adesione a un Amore di livello! Vedrai che impedimento alle svolte, che degrado di relazioni, che vita ripiegata e colma di risentimenti attorno, insulsa e vuota!».
La Fede accoglienza-somiglianza ci porterà invece a crescere da inutili schiavi a Figli; collaboratori e alleati del Padre.
Da gretti sottomessi e obbedienti pedissequi, a famigliari, amici e consanguinei-assomiglianti.
Altrimenti rimarremo nella condizione puerile di bambinoni e garzoni «di nessun conto» (v.10) che non si esprimono né reinterpretano, ma restano sottoposti e fanno solo “quello che devono”.
La religione dei meriti e dei ruoli è deleteria; produce malessere. Gestisce l’impero immobiliare ma va avanti per inerzia e con atteggiamento difensivo.
Non reinventa il presente, né apre il futuro.
Essa non ascolta i bisogni, piuttosto ci spinge a improntare rapporti sulla base dell’egoismo, anche spirituale.
Qui non si guarda più ciò che si affaccia spontaneamente - costringendo le nostre facoltà a valutazioni tutte predicibili, conformiste.
La vita dunque impoverisce, desertificando se stessa, perché intimidita.
Diventando un’assurda farsa che Gesù non vuole: un’accozzaglia di atteggiamenti paludosi, incapaci di riattivarci - disattenti alle azioni speciali che trasformano la routine in avventura.
Parafrasando l’enciclica Fratelli Tutti, in quelle condizioni suonerebbe «come un delirio» anche elaborare «grandi obiettivi per lo sviluppo di tutta l’umanità» (n.16).
Mancherebbe il senso del Mistero, mai percependolo nei solchi della storia: ci trascineremmo nei rimedi, tutelando solo il tran tran.
Al rapporto di Amicizia e Gratuità subentrerebbe un modello indotto (e in Italia lo conosciamo bene, purtroppo).
Modello che poi non consente d’incontrare se stessi e gli altri; anzi, deformerebbe persino la relazione con Dio.
Impiegati a stipendio - meno umani e meno unici - significa meno “divini”: tutto già noto, guidato e previsto come nelle trame di marionette su palcoscenico purchessia.
Nessun cambiamento inatteso; nessuna trasformazione inspiegabile.
Nessun recupero eccezionale, nessun prodigio umano e culturale stupefacente (v.6).
Alcuna imprevedibilità che scorge il ‘sacro’ nelle mille situazioni che la Provvidenza inventa, stimolando risposte nuove.
Il mistico Ibn Ata Allah - Maestro delle due Scienze [sapienza dell’analisi ed esperienza dell’ebbrezza mistica] - sosteneva:
«Se vuoi che ti si apra la porta del timore, guarda ciò che da te va a Lui. Se vuoi che ti si apra la porta della Speranza, guarda a ciò che da Lui viene a te».
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa vorresti fare per Dio? Come vivi la Speranza?
«Too pure water has no fish». Accepting ourselves will complete us: it will make us recover the co-present, opposite and shadowed sides. It’s the leap of profound Faith. And seems incredible, but the Rock on which we build the way of being believers is Freedom
«L’acqua troppo pura non ha pesci». Accettarsi ci completerà: farà recuperare i lati compresenti, opposti e in ombra. È il balzo della Fede profonda. Sembra incredibile, ma la Roccia sulla quale edifichiamo il modo di essere credenti è la Libertà
Our shortages make us attentive, and unique. They should not be despised, but assumed and dynamized in communion - with recoveries that renew relationships. Falls are therefore also a precious signal: perhaps we are not using and investing our resources in the best possible way. So the collapses can quickly turn into (different) climbs even for those who have no self-esteem
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte e dinamizzate in comunione - con recuperi che rinnovano i rapporti. Anche le cadute sono dunque un segnale prezioso: forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse. Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti) anche per chi non ha stima di sé
God is Relationship simple: He demythologizes the idol of greatness. The Eternal is no longer the master of creation - He who manifested himself strong and peremptory; in his action, again in the Old Covenant illustrated through nature’s irrepressible powers
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza. L’Eterno non è più il padrone del creato - Colui che si manifestava forte e perentorio; nella sua azione, ancora nel Patto antico illustrato attraverso le potenze incontenibili della natura
Starting from his simple experience, the centurion understands the "remote" value of the Word and the magnet effect of personal Faith. The divine Face is already within things, and the Beatitudes do not create exclusions: they advocate a deeper adhesion, and (at the same time) a less strong manifestation
Partendo dalla sua semplice esperienza, il centurione comprende il valore “a distanza” della Parola e l’effetto-calamita della Fede personale. Il Cospetto divino è già dentro le cose, e le Beatitudini non creano esclusioni: caldeggiano un’adesione più profonda, e (insieme) una manifestazione meno forte
What kind of Coming is it? A shortcut or an act of power to equalize our stormy waves? The missionaries are animated by this certainty: the best stability is instability: that "roar of the sea and the waves" Coming, where no wave resembles the others.
Che tipo di Venuta è? Una scorciatoia o un atto di potenza che pareggi le nostre onde in tempesta? I missionari sono animati da questa certezza: la migliore stabilità è l’instabilità: quel «fragore del mare e dei flutti» che Viene, dove nessuna onda somiglia alle altre.
The words of his call are entrusted to our apostolic ministry and we must make them heard, like the other words of the Gospel, "to the end of the earth" (Acts 1:8). It is Christ's will that we would make them heard. The People of God have a right to hear them from us [Pope John Paul II]
Queste parole di chiamata sono affidate al nostro ministero apostolico e noi dobbiamo farle ascoltare, come le altre parole del Vangelo, «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). E' volontà di Cristo che le facciamo ascoltare. Il Popolo di Dio ha diritto di ascoltarle da noi [Papa Giovanni Paolo II]
don Giuseppe Nespeca
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