don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Lunedì, 02 Dicembre 2024 14:16

L’Immacolata Concezione, nei Testimoni

L’Immacolata Concezione. Dio ci benedica e la Vergine ci protegga!  

Domenica prossima celebreremo la solennità dell’’Immacolata Concezione. Oggi invio solo alcune testimonianze sul dogma dell’Immacolata Concezione, mentre dopodomani invierò come d’abitudine, il commento ai testi biblici della liturgia della Solennità. Trovate qui oggi alcune testimonianze sul dogma dell’Immacolata Concezione di teologi cattolici latini, orientali, ortodossi e anche di convertiti. Unisco in coda, semplicemente per informazione, la testimonianza di un teologo sufi musulmano per capire quale ruolo abbia Maria per l’islam. Aggiungo in conclusione quanti sono e quali sono  i dogmi della Chiesa cattolica su Maria. 

 

1. Testimonianze di teologi, santi e convertiti.

*San Bonaventura, uno dei teologi francescani più importanti, scrisse che Maria è stata preservata dal peccato per essere la “degna dimora” di Cristo. Pur non avendo vissuto quando il dogma fu formalizzato (1854), la sua visione anticipa la logica del dogma dell’Immacolata Concezione. Egli dice che, essendo Maria scelta per essere Madre di Dio, Dio l’ha preservata dal peccato originale fin dal primo istante della sua esistenza.

*Il Beato Giovanni Duns Scoto, un altro teologo francescano del XIII secolo, è uno dei più noti difensori della dottrina dell’Immacolata Concezione, che poi sarebbe stata proclamata dogma da Pio IX nel 1854. Scoto introdusse il concetto di “redenzione preventiva”. Secondo Duns Scoto, Maria è stata preservata dal peccato originale in previsione dei meriti di Cristo sulla croce. In altre parole, anche se Maria è stata salvata come tutti gli altri esseri umani, è stata salvata prima ancora di cadere nel peccato, proprio per il ruolo unico che avrebbe avuto come Madre di Dio. Questo è spesso riassunto nella frase: “Potuit, decuit, ergo fecit” (“Dio poteva farlo, era conveniente farlo, dunque lo fece”).

*San Massimiliano Kolbe è uno dei santi che ha reso il dogma dell’Immacolata Concezione accessibile e comprensibile attraverso la sua profonda devozione mariana. Egli collegava Maria allo Spirito Santo, definendola:“L’Immacolata è la Sposa dello Spirito Santo.”

Kolbe vedeva Maria come il riflesso perfetto della purezza e dell’amore di Dio. La sua immacolatezza era necessaria affinché potesse accogliere Cristo senza alcuna ombra di peccato. Secondo Kolbe, Maria, nella sua purezza assoluta, è il modello di santità per l’intera Chiesa.

*San Giovanni Paolo II ha spiegato il dogma dell’Immacolata Concezione in modo pastorale e accessibile, mettendo in relazione Maria con l’umanità redenta. Durante un’omelia per l’Immacolata Concezione (8 dicembre 1982), disse: “In Maria Immacolata vediamo il compimento della redenzione di Cristo, che non solo ha liberato l’umanità dal peccato, ma ha anche preservato Maria dal peccato fin dall’inizio.” Per Giovanni Paolo II, il dogma non è solo un mistero teologico, ma anche un messaggio di speranza: Maria è la prova che la grazia di Dio può trasformare completamente la vita umana.

In conclusione: Tra i teologi, il Beato Duns Scoto ha fornito una delle spiegazioni più eleganti e fondamentali del dogma dell’Immacolata Concezione con la teoria della redenzione preventiva. Tuttavia, per una visione più spirituale e pastorale, san Massimiliano Kolbe e san Giovanni Paolo II offrono riflessioni comprensibili e ricche di devozione, rendendo accessibile a tutti il significato profondo di Maria come “l’Immacolata”.

*Fra i teologi orientali chi ha scritto in modo particolarmente bello e profondo sull’Immacolata Concezione di Maria è San Giovanni Damasceno (675-749), uno dei più grandi Padri della Chiesa orientale. Anche se il dogma dell’Immacolata Concezione sarebbe stato definito ufficialmente dalla Chiesa cattolica solo nel 1854, San Giovanni Damasceno ha anticipato con il suo pensiero molti elementi che sarebbero stati fondamentali per la comprensione di questo mistero. San Giovanni Damasceno, nel suo “Discorso sulla Natività di Maria”, celebra la purezza e la santità unica di Maria fin dal momento della sua concezione. Egli descrive Maria come la “Tutta Santa” (Panaghía), il tempio vivente di Dio, il tabernacolo incontaminato scelto per accogliere il Verbo incarnato. Secondo il Damasceno, Maria è stata preservata da ogni macchia di peccato per essere degna Madre di Dio (Theotókos). Ecco un passaggio particolarmente significativo del suo pensiero: “Oggi la natura umana riceve i primi frutti della sua glorificazione. La Vergine, la dimora pura e immacolata del Dio d’ogni purezza, è condotta alla luce.” Anche quindi se non sviluppa esplicitamente la dottrina dell’Immacolata Concezione come sarà definita più tardi,  Giovanni Damasceno mette in evidenza la santità originaria e straordinaria di Maria, che è al centro della riflessione orientale sulla Madre di Dio. 

*La Chiesa Ortodossa non accetta la dottrina dell’Immacolata Concezione di Maria, così come è intesa e formulata dalla Chiesa cattolica (ossia che Maria è stata preservata dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento), ma vale la pena conoscere come molti teologi ortodossi hanno riflettuto profondamente sulla santità di Maria e sulla sua purezza unica, sebbene con un accento diverso rispetto alla teologia cattolica. C’è sicuramente una differenza di prospettiva tra cattolici e ortodossi perché per la Chiesa cattolica, l’Immacolata Concezione riguarda la preservazione dal peccato originale, mentre 

per la Chiesa Ortodossa, Maria è venerata come Panaghía (Tutta Santa), ma senza la necessità di postulare una preservazione dal peccato originale come definito in Occidente. Gli ortodossi sottolineano piuttosto la progressiva divinizzazione (theosis) di Maria attraverso la sua libera cooperazione con la grazia di Dio.

Ecco qualche testo di ortodossi sulla purezza di Maria. Uno dei più profondi teologi ortodossi che hanno scritto sulla santità e la purezza di Maria è San Nicola Cabasilas (XIV secolo). Nel suo commento sulla vita della Vergine Maria, egli afferma: “La Vergine, fin dal primo momento della sua esistenza, ha iniziato a partecipare in modo unico alla santità di Dio, crescendo sempre più in essa fino a diventare il Tempio vivente del Verbo.”

Anche San Gregorio Palamas (1296-1359), grande teologo esicasta, ha scritto in modo significativo sulla purezza di Maria. Egli sottolinea la sua progressiva santificazione e l’azione speciale dello Spirito Santo su di lei: “La Madre di Dio è stata purificata e santificata più di ogni altra creatura, non solo prima della sua nascita, ma anche nel corso della sua esistenza, fino a divenire il trono vivente di Dio.”In conclusione, anche se la dottrina dell’Immacolata Concezione non sia accettata nella teologia ortodossa, molti Padri e teologi ortodossi hanno scritto testi profondi sulla purezza, la santità, e il ruolo unico di Maria nel piano della salvezza. La differenza non sta nel negare la purezza di Maria, ma piuttosto nella comprensione diversa del peccato originale e della santificazione.

*Presento pure qualche scrittore e teologo convertiti al cattolicesimo che hanno scritto pagine profonde e ispirate sull’Immacolata Concezione di Maria, cogliendo la bellezza teologica e spirituale di questo dogma. Tra questi, spiccano nomi di grande rilievo per il loro contributo letterario e teologico. In primo luogo, John Henry Newman (1801-1890), convertito dall’anglicanesimo e diventato poi cardinale e canonizzato da papa Francesco nel 2019. Egli ha dedicato riflessioni intense a Maria, anche se inizialmente trovò difficile accettare il dogma dell’Immacolata Concezione. Col tempo, Newman comprese che questa verità era perfettamente coerente con la dottrina dell’incarnazione e della redenzione e scrisse: “Maria è stata preservata dal peccato originale non per sé, ma per Cristo, affinché potesse essere un tabernacolo puro e degno per il Figlio di Dio.” Nel suo famoso saggio “Lettera a Pusey”, Newman difende con chiarezza la devozione mariana e il dogma dell’Immacolata Concezione. G.K. Chesterton (1874-1936) scrittore e apologeta inglese, convertito al cattolicesimo dall’anglicanesimo, non ha scritto direttamente trattati sull’Immacolata Concezione, ma nelle sue opere traspare un profondo amore e rispetto per la figura di Maria. In particolare, Chesterton la descrive come il modello di umiltà e purezza, essenziale per comprendere l’incarnazione. In “L’Uomo Eterno”, scrive: “Il cristianesimo ha reso l’universo più piccolo per rendere un cuore più grande, e il mondo ha trovato una Regina nell’umiltà della Vergine.” Edith Stein (Santa Teresa Benedetta della Croce, 1891-1942), nata ebrea, poi filosofa e discepola di Husserl, si convertì al cattolicesimo e divenne suora carmelitana. Nei suoi scritti spirituali e filosofici, ha trattato la figura di Maria come esempio di purezza, umiltà e totale apertura alla volontà di Dio. Riferendosi all’Immacolata Concezione, scrisse: “Maria è l’immagine della creatura perfettamente redenta: non solo non ha mai peccato, ma è stata preservata fin dall’inizio, per essere totalmente di Dio e Madre del suo Figlio.” Nel suo libro “La donna e la sua vocazione”, esalta la maternità spirituale di Maria come frutto della sua immacolata purezza. Louis Bouyer (1913-2004), pastore luterano e successivamente teologo cattolico, Bouyer ha approfondito la dottrina mariana nei suoi studi teologici. Nel suo libro “Il Trono della Sapienza”, esplora il ruolo di Maria nel piano salvifico di Dio, sottolineando come l’Immacolata Concezione sia il primo passo della nuova creazione: “Maria è stata pensata da Dio come il compimento dell’antico Israele e l’alba della nuova umanità, senza macchia, per accogliere il Verbo che si fa carne.”

Jacques Maritain (1882-1973), filosofo francese convertito dall’agnosticismo al cattolicesimo, ha scritto sull’Immacolata Concezione sottolineando il suo significato metafisico e spirituale. Nel suo libro “La Vie de la Grâce”, Maritain definisce Maria come il capolavoro della grazia preveniente di Dio: “Maria è la donna redenta in anticipo, l’immagine perfetta dell’uomo come Dio l’aveva pensato prima della caduta.”

*Maria è venerata e amata anche nella religione islamica con tutte le differenze di natura teologica che occorre mai dimenticare. Vale la pena però conoscere, anche se non collegato al dogma dell’Immacolata Concezione ma comunque concernente Maria, un testo particolarmente significativo sulla figura di Maria (Maryam) nell’ambito della mistica islamica (tasawwuf), quello di Ibn ’Arabi (1165-1240), uno dei più grandi sufi della storia islamica. Nel suo capolavoro Futuhat al-Makkiyya (Le Rivelazioni della Mecca), Ibn ‘Arabi dedica riflessioni profonde a Maria, riconosciuta nell’Islam come un modello di purezza, obbedienza e vicinanza a Dio. Ibn ‘Arabi descrive Maria come una delle più alte manifestazioni della wilaya (santità) femminile e la vede come un simbolo dell’anima perfettamente purificata che accoglie il Verbo divino. Egli la paragona ai profeti, attribuendole un ruolo spirituale unico: “Maria è il simbolo della Vergine dell’Anima che, purificata da ogni contaminazione del mondo, diventa il luogo in cui il Verbo divino si incarna. Come Gesù (ʿĪsā) è nato da Maria per il mondo, così la conoscenza divina nasce nell’anima che si è resa pura.” Secondo Ibn ’Arabi, la maternità di Maria non è solo fisica, ma anche spirituale. In lei si compie il mistero dell’unione tra il cielo e la terra, tra il divino e l’umano: “Maria rappresenta l’essere umano che, pur restando creatura, diventa il ricettacolo della Parola di Dio (Kalimatullah), accogliendo nel suo cuore il soffio dello Spirito Santo (Ruh al-Qudus).”  Ibn ’Arabi sottolinea che la verginità di Maria non è solo un fatto fisico, ma un simbolo della purezza interiore necessaria per ricevere la conoscenza di Dio. Maria diventa quindi il prototipo dell’essere umano che raggiunge la perfezione spirituale attraverso la completa sottomissione alla volontà divina: “Quando l’anima umana è libera da ogni attaccamento, essa diventa come Maria: pronta a concepire, nel suo cuore verginale, il Verbo che proviene da Dio.”

Per i sufi, Maria è la manifestazione di una delle qualità divine fondamentali: la taharah (purezza). La sua figura è venerata non solo per la sua maternità fisica, ma per il suo ruolo spirituale come esempio di serva perfetta di Dio (abd Allah), che si abbandona completamente alla volontà divina: “Dio ha scelto Maria, l’ha purificata e l’ha eletta su tutte le donne del mondo” (Corano 3,42). In questo senso, Maria non è solo la madre di Gesù, ma anche una guida per i mistici sufi che cercano l’unione con Dio attraverso la purezza, l’umiltà e l’amore divino. In definitiva, per Ibn ’Arabi e altri mistici sufi, Maria non è solo una figura storica, ma un simbolo eterno della possibilità di ogni anima di divenire il luogo in cui Dio si manifesta. La sua vita rappresenta il viaggio interiore verso la conoscenza, la purezza e l’unione con il divino.

 

2. Infine, per completezza d’informazione, riassumo i quattro dogmi della Chiesa cattolica che concernono Maria 

1.Dogma della Maternità divina (Theotókos), Maria è Madre di Dio. Fu proclamato con il concilio di Efeso nel 431 e questa è la frase centrale del Concilio di Efeso: “Se qualcuno non confessa che l’Emmanuele è Dio e che perciò la Santa Vergine è Madre di Dio (Theotókos), sia anatema.”; 

2.Dogma della perpetua verginità di Maria. Maria è sempre vergine: prima, durante e dopo il parto di Gesù e il dogma fu proclamato e definito ufficialmente dal Concilio Lateranense del 649, ma creduto fin dai primi secoli. La frase centrale del dogma: “Maria ha concepito verginalmente, partorito senza corruzione, ed è rimasta vergine perpetua.”

3.Dogma dell’Immacolata Concezione (Maria è senza peccato originale). Il dogma dell’Immacolata Concezione fu definito l’8 dicembre 1854 dal beato papa Pio IX con la bolla pontificia “Ineffabilis Deus”. Il dogma proclama che Maria, fin dal primo istante della sua concezione, è stata preservata immune dal peccato originale, grazie ai meriti di Gesù Cristo. La definizione dogmatica si trova nella parte finale della bolla, e recita: “Dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina la quale sostiene che la beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia di colpa originale, è stata rivelata da Dio e, perciò, deve essere fermamente e costantemente creduta da tutti i fedeli.” 

*“Primo istante della sua concezione”: Indica che Maria è stata preservata dal peccato originale fin dal momento in cui è stata concepita nel grembo di sua madre, Sant’Anna.

*“Per singolare grazia e privilegio”: Questo stato speciale di Maria non è per merito proprio, ma un dono gratuito di Dio.

*“In previsione dei meriti di Gesù Cristo”: Maria è stata salvata dal peccato non indipendentemente da Cristo, ma grazie alla redenzione operata da suo Figlio. È una redenzione preventiva, unica nel suo genere.

*“Rivelata da Dio”: Il dogma si basa su una verità rivelata, che è stata creduta dalla Chiesa lungo i secoli, anche se formalizzata solo nel 1854. La fede nell’Immacolata Concezione di Maria era già radicata nella tradizione della Chiesa, specialmente nella teologia medievale e nella devozione popolare. Nel 1854, Papa Pio IX volle proclamare ufficialmente questa dottrina per rafforzare la fede cattolica, in un’epoca segnata da crescenti sfide al cristianesimo. Il dogma fu mirabilmente confermato pochi anni dopo, nel 1858, quando la Vergine apparve a Santa Bernadette Soubirous a Lourdes, presentandosi con le parole: “Io sono l’Immacolata Concezione.” Questo evento rafforzò ulteriormente la devozione e la comprensione del dogma da parte dei fedeli.

4 Dogma dell’Assunzione di Maria. Maria è stata assunta in anima e corpo alla gloria del cielo. E’ stato proclamato da papa Pio XII nella costituzione apostolica Munificentissimus Deus il 1° novembre 1950. Questa la frase centrale del dogma: “La Vergine Maria, terminato il corso della sua vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo.” Alla fine della sua vita terrena, Maria non ha subito la corruzione del corpo, ma è stata glorificata in cielo. Non viene specificato se sia morta oppure direttamente assunta alla vita eterna.

+Giovanni D’Ercole

Giovedì, 28 Novembre 2024 09:53

Prima Domenica di Avvento (C)

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga!

Ecco un breve commento alle letture della prossima domenica [1° Dicembre 2024]

 

Prima Lettura: Geremia 33, 14 – 16. 

*Il linguaggio della speranza 

“Ecco, verranno giorni in cui realizzerò la promessa di felicità che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda”. Troviamo queste parole nella prima lettura tratta dal libro di Geremia (33, 14-16); sono però considerate posteriori rispetto all’epoca del profeta e ritenute un’aggiunta alla versione dei Settanta che risale a circa il 250 a.C.; l’autore sarebbe probabilmente un discepolo, figlio spirituale di Geremia. Chi parla non è dunque Geremia, ma questo suo figlio spirituale che, in un periodo in cui regna disperazione per il futuro del popolo di Dio, ricorda le parole del profeta Geremia, vissuto alcuni secoli prima. Geremia  aveva allora così profetizzato: “Farò nascere per Davide un Germoglio di giustizia”(23,5; 33,15). In questa profezia ci sono due simboli: il germoglio e il nome del nuovo re legato a ”giustizia”. Il germoglio è un simbolo che suggerisce un inizio del tutto gratuito da parte di Dio e si riferisce alla nascita di un nuovo re, discendente di Davide a Gerusalemme. In quel tempo era difficile credere a questa promessa annunciata da Geremia perché, dopo la morte di Davide, la sua dinastia si era praticamente estinta. C’era poi stata la deportazione babilonese, Gerusalemme occupata, il Tempio distrutto, il paese devastato e la popolazione decimata. Tra i superstiti quasi tutti furono fatti prigionieri ed esiliati a Babilonia, così che la piccola colonia giudaica sembrava destinata a morire lontano dalla propria terra. Sorgevano tante inquietudini: Israele scomparirà dalla carta geografica e dove finiranno le promesse dei profeti? Non aveva il profeta Natan annunciato a Davide e alla sua discendenza un regno eterno con un re che avrebbe instaurato sicurezza, pace e giustizia per tutti? Molti erano i problemi legati alla distruzione della monarchia davidica, ed erano nate divisioni e contrasti per cui poca gente era rimasta fedele alla Torah. Dinanzi a così tante angustie occorreva infondere speranza e questa è la ragione per cui s’insisteva nel sottolineare la fedeltà di Dio alle sue promesse, che è il fondamento della speranza. Alle tante persone scoraggiate che temevano che Israele non avanzasse verso il Regno di Dio, il profeta rispondeva: Abbiate fede, credete, perché è proprio nei momenti di oscurità che la fede deve restare salda. Ed è così nella nostra vita. Mai cedere allo scoraggiamento perché quando Dio promette, realizza sempre i suoi disegni di salvezza. Non sappiamo né quando né come, ma Dio interviene sempre. Il linguaggio della speranza è una sfida alla ragione e un atto di fede, una grande lezione di fiducia e un bell’esempio di parola profetica, che annuncia la luce anche e soprattutto nei giorni più bui. Tutti siamo a rischio quando ci lasciamo dominare dall’ansia dello scoramento di fronte alle difficoltà e in queste situazioni ci lasciamo assalire da pensieri del tipo: se Dio esiste perché non interviene per portare la pace, l’armonia e la fraternità nel mondo? Perché il Regno di Dio tarda a realizzarsi? Allora, come in ogni tempo, occorre continuare a sperare e poggiare Il linguaggio della speranza su due verità invincibili: anzitutto la certezza che Dio non viene mai meno alle promesse e in secondo luogo che Dio sempre porta a compimento i suoi progetti malgrado tutti gli ostacoli. L’altro simbolo è  il nome che è nella frase a chiusura del brano: “Il Signore è la nostra giustizia” (Sedeq Yah), che è il nome del re Sedecìa “giustizia di Dio”. Quest’ultimo re di Giuda fu deportato in Babilonia, gli uccisero i suoi figli e lo accecarono con crudeltà e si pensava che tutto questo avvenne perché non aveva onorato la sua missione e non aveva ascoltato il profeta Geremia. Il testo profetico ribalta qui il significato del nome Sedecia che significa Giustizia di Dio espresso con la frase “Il Signore è la nostra giustizia”, per indicare che invece sorgerà il vero Re che incarnerà la giustizia biblica concernente la salvezza integrale dell’uomo e dell’umanità e la offrirà  al popolo deluso, sofferente e stanco: sarà fedele, grande e duratura.

 

Salmo Responsoriale 24 (25), 4-5, 8-9, 10. 14  

*Ritrovare la propria strada

“Il Signore indica ai peccatori la via giusta” (v.8).  Questo versetto ci introduce nel contesto del salmo 24/25: si è in una celebrazione penitenziale al Tempio di Gerusalemme e il linguaggio del cammino è tipico dei salmi penitenziali, perché il peccato è una strada sbagliata e la conversione richiede un autentico dietrofront. Nel libro del Deuteronomio Mosè invitava a camminare in tutto e per tutto per la via che il Signore ha prescritto (5, 32-33). Chi si pente riconosce di aver preso strade sbagliate e supplica Dio di ricondurlo sulla giusta via. Ma cos’è la via giusta? E’ l’osservanza della Legge di Dio e per rimarcarlo questo salmo è stato composto in un modo molto particolare. E’ infatti un salmo alfabetico, intenzionalmente strutturato come un acrostico e, controllando la colonna delle lettere, forma l’intero alfabeto ebraico dall’alto in basso. Questo modo di comporre i salmi, detti alfabetici, è in pratica una professione di fede e ruota sempre attorno allo stesso tema: l’amore di Israele per la Torah, l’amore di e per Dio è l’unica strada verso la felicità: l’amore per la Torah è “l’alfabeto della felicità”. Per l’ebreo credente la Legge non è un comando ma un dono di Dio, segno della sua tenerezza verso l’intera umanità. Il termine Legge (Torah) non deriva infatti da una radice che significa “prescrivere”, ma dal verbo “insegnare” e il tema “insegnami le tue vie” è molto presente in questo salmo. Se Dio ci ha dato la Legge è per la nostra felicità. La legge è il manuale di istruzioni della nostra libertà per essere felici, il codice della strada che ci porta alla felicità: “Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti” (v.10).  “Signore insegnami i tuoi sentieri” (v.4). Il metodo alfabetico è un modo per confermare l’attaccamento alla Legge e il vero desiderio di seguirla; una professione di fede e nel contempo una risoluzione. Soprattutto dopo il ritorno da Babilonia, nella celebrazione penitenziale il popolo riconosceva la sua infedeltà all’Alleanza; era consapevole che le disgrazie sopravvenute ne erano la conseguenza e chiedeva perdono. Allo stesso tempo, aveva la certezza che la fedeltà è possibile in futuro solo con l’aiuto di Dio ed esprimeva quasi angoscia di non riuscirci chiedendo per questo aiuto, come leggiamo nell’ultimo versetto del salmo: “O Dio, libera Israele da tutte le sue angosce”.(v.22). Non si dimentichi che per gli ebrei il peccato più grande è l’idolatria e la prima conversione consiste nel rinnegare gli idoli per tornare all’unico Dio vivente. Sollecitati dal salmo 24/25 anche noi, all’inizio dell’Avvento, decidiamo di percorrere un cammino penitenziale che sia propedeutico alla vera gioia; gioia che la celebrazione del Natale ci farà pregustare.

 

Seconda Lettura: dalla Prima Lettera di san Paolo ai Tessalonicesi 3,12-4,2 

*L’Avvento è un’occasione per rimettere la nostra vita nella giusta prospettiva 

Quando circa vent’anni dopo la risurrezione di Cristo, Paolo arrivò a Tessalonica, porto commerciale e capitale della provincia di Macedonia sotto il dominio romano, vi erano molti stranieri e una nutrita comunità ebraica. La sua predicazione ottenne successo come leggiamo negli Atti degli Apostoli (At 17, 3-4) con gli ebrei e con i pagani che invitò a rigettare gli idoli. Quest’ultimo successo suscitò però l’ira dei Giudei ostili a Gesù, al punto da costringere Paolo a fuggire. Prevedendo che sarebbe sopravvenuta una persecuzione da parte dei Giudei, qualche tempo dopo Paolo inviò Timoteo alla comunità cristiana nascente di Tessalonica per sostenerne la fede perché nessuno vacillasse e Timoteo tornò con la “buona notizia” della loro perseveranza nella fede e del loro amore.  I versetti dell’odierno brano della lettera parlano della commozione di Paolo quando apprese le notizie riportategli, dopo di che invita i tessalonicesi a continuare sulla strada giusta fino al giorno del ritorno di Cristo e precisa: “Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù” (3,12-4,2,), come dire: sapete come camminare e quindi camminate così.  Ieri come oggi la sfida cristiana consiste nell’orientare l’intera esistenza nella prospettiva dell’attesa del ritorno di Cristo, il giorno in cui il Signore Gesù verrà con tutti i suoi santi. Quest’esortazione di Paolo risulta attuale in una società come la nostra, che sembra aver smarrito la direzione della sua marcia.  Il cristiano, secondo l’insegnamento dell’apostolo, non resta a fissare il passato, ma guarda a Colui che è il nostro avvenire e che da senso al presente: “Il Signore vi faccia crescere nell’amore per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità davanti a Dio Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo con tutti i suoi santi” (3,13). E questo perché conoscere Dio significa in verità amare. Come scrive san Giovanni, Dio è amore e lui solo è capace di renderci santi nell’amore (1 Gv 4, 8).

 

Vangelo secondo Luca ( 21, 25-28, 34-36)

 *Lo stile apocalittico 

L’anno liturgico B si è chiuso domenica scorsa con il genere letterario apocalittico e si apre il nuovo anno C con il medesimo stile. Il discorso apocalittico spaventa e il termine “apocalisse” ha una pessima reputazione essendo sinonimo di orrore, mentre in verità, nel contesto biblico, esprime il contrario. Occorre allora tener conto di quest’osservazione previa ricordando che il racconto non va mai preso alla lettera. Il verbo greco apocaluptô vuol dire “sollevare il velo” e in latino si traduce con “revelare” cioè rivelare. Può essere utile una breve riflessione su questo genere letterario di cui evidenziamo almeno quattro caratteristiche particolari: 

1.Il genere apocalittico tratta di scritti di angoscia, guerre, occupazione da parte di stranieri, di persecuzione come nel libro di Daniele (II secolo a.C.). Presenta nemici e persecutori come mostri terribili ed è naturale che, per tale ragione, “apocalisse” diventa sinonimo di eventi spaventosi. 

2.L’Apocalisse presenta pure parole e scritti di consolazione per rafforzare la fedeltà dei credenti e incoraggiarli a sperare e resistere di fronte al martirio poiché siamo in tempi di dure persecuzioni. 

3.Apocalisse assume inoltre un significato diverso nei testi biblici perché rivelano il lato nascosto della storia annunciando la vittoria finale di Dio e in questa luce invitano a guardare al futuro con fiducia. Le descrizioni di cambiamenti cosmici sono infatti immagini simboliche del capovolgimento delle situazioni con un unico messaggio: in ogni situazione Dio ha sempre l’ultima parola. 

4.Infine, lo stile apocalittico riveste in ogni testo un invito alla vigilanza attiva rigettando l’attesa passiva e inerte, per cui occorre vivere ogni giorno alla luce della speranza.

 Queste quattro tipologie sono tutte presenti nel vangelo di oggi. 

1. Vediamo descritti tempi di angoscia con segni spaventosi per indicare che il mondo presente sta passando (vv. 25-26); 

2. emerge una parola di consolazione, che invita a resistere: “La vostra liberazione è vicina (v.28)

 3. La parola di Cristo rivela il senso occulto della storia annunciando la venuta del Figlio dell’uomo (v.27).  L’espressione “Figlio dell’uomo” indica ciò che Daniele chiama “il popolo dei santi di Dio” (Dn 7,12). Dopo la risurrezione i discepoli compresero che il titolo di Figlio dell’uomo che Gesù si attribuisce è perché lui è insieme uomo e Dio, il primogenito della nuova umanità, il Capo che fa di noi un unico Corpo. Alla fine della storia, saremo tutti come “un solo uomo, innestati in lui e quindi “il popolo dei santi dell’Altissimo”. 

4. Apocalisse infine vuol dire anche che è indispensabile una vigilanza attiva: “Risollevatevi e alzate il capo … state attenti a voi stessi …vegliate in ogni momento pregando”(v.36).  

Nel vangelo sono evidenziati due modi di vivere: chi non crede si rassegna a un destino inevitabile e purtroppo alcuni vivono praticamente così; il credente/fedele invece non si lascia sorprendere perché conosce il senso ultimo della storia, ed è certo che è ormai vicina la liberazione e il male sarà sconfitto per sempre. E questa è la sfida cristiana, testimonianza/martirio richiesta a chi vuole essere discepolo di Cristo crocifisso e risorto. All’inizio dell’Avvento questi testi biblici ci spronano a iniziare con vigile attesa un nuovo anno liturgico e ad accompagnarci sarà san Luca, l’evangelista della misericordia, della gioia, dell’universalità della salvezza, con un’attenzione peculiare alla figura di Maria, alla preghiera e all’azione dello Spirito Santo.

Buon avvio dell’Avvento!

+Giovanni D’Ercole

Mercoledì, 27 Novembre 2024 16:07

Il semplice Mistero (Eucaristico)

Moltiplicazione per Divisione, nell’itineranza

(Mt 15,29-37)

 

«L’uomo è l’essere-limite che non ha limite» (Fratelli Tutti n.150).

Il Figlio riflette il disegno di Dio nella compassione per le folle bisognose di tutto (v.32).

Tuttavia la sua soluzione non ci sorvola - semplicemente asciugando lacrime o cancellando le umiliazioni.

Invita a utilizzare ciò che abbiamo, sebbene possa apparire cosa ridicola. Ma insegna che spostando le energie si creano risultati prodigiosi.

Così rispondiamo in Cristo ai grandi problemi del mondo: recuperando la condizione dell’uomo ‘viator’ - essere di passaggio, sua impronta essenziale - e condividendo i beni.

La nostra reale nudità, le peripezie e l’esperienza dei molti fratelli, diversi, sono risorse da non valutare con diffidenza, «come concorrenti o nemici pericolosi» della nostra realizzazione (FT n.152).

Non solo quel poco che rechiamo con noi basterà a saziarci, ma avanzerà per altri e con identica pienezza di verità, umana, epocale (vv.34.37).

 

In Mt Gesù è il nuovo Mosè che sale su ‘il Monte’, ma per inaugurare un Tempo alternativo, che contrassegna la storia vera; dei rapporti autentici.

La gente non rimane più a fondovalle ad aspettare: si riunisce intorno a Lui, giungendo così com’è, col carico dei tanti bisogni differenti.

Il nuovo popolo di Dio non è una folla stanziale, di eletti, scelti, puri.

Ognuno reca con sé il suo percorso, i suoi affanni e problemi, che il Signore guarisce - curando non con una soluzione dal di sopra o dal di fuori.

Insomma: un altro mondo è possibile, però attraverso lo spezzare il proprio [anche misero] ‘pane’.

Soluzione sapiente, ininterrotta, efficace… se la si fa emergere da ‘dentro’, e in cammino - e stando «in mezzo» - non davanti, non a capo, non “in alto” (v.36).

Il luogo della Rivelazione di Dio doveva essere quello dei fulmini, su un ‘monte’ fumante come di fornace (Es 19,18)... ma infine persino lo zelo violento di Elia aveva dovuto ricredersi (1Re 19,12).

 

Anche ai pagani, il Figlio rivela un Padre il quale non semplicemente cancella le infermità, ma le fa capire come luogo che sta preparando uno sviluppo personale, e quello della Comunità.

S’immaginava che nei tempi del Messia, zoppi, sordi e ciechi sarebbero scomparsi (Is 35,5ss.). «Età dell’oro»: tutto al vertice, nessun abisso.

In Gesù - Pane distribuito - si manifesta una pienezza dei tempi inconsueta, apparentemente nebulosa e fragile, ma reale e in grado di riavviare persone e relazioni.

L’Incarnazione ci ritessere il cuore, in dignità e promozione; e si dispiega realmente, perché non solo trascina via gli ostacoli, ma poggia su di essi.

E non li cancella affatto: così li surclassa, ma trasmutando - ponendo nuova vita.

Linfa che trae succo e germoglia Fiori dall’unico terreno melmoso e fecondo, e li comunica.

Solidarietà cui sono invitati tutti, non solo quelli ritenuti in condizione di perfezione e compattezza.

 

Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte, poste nelle mani del Figlio e dinamizzate (v.36).

Le stesse cadute possono essere un segnale prezioso: in Cristo, non sono più umiliazioni riduttive, bensì indicatori di percorso.

Forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse.

Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite [differenti, non confezionate].

 

 

[Mercoledì 1.a sett. Avvento, 4 dicembre 2024]

Mercoledì, 27 Novembre 2024 16:04

Moltiplicazione per Divisione, nell’itineranza

Il semplice Mistero (Eucaristico)

(Mt 15,29-37)

 

«L’uomo è l’essere-limite che non ha limite» (Fratelli Tutti n.150).

Nel cuore abbiamo un gran desiderio di appagamento e Felicità. Il Padre ce lo ha messo, Lui stesso lo soddisfa - ma ci vuole associati alla sua opera - dentro e fuori di noi.

Il Figlio riflette il disegno di Dio nella compassione per le folle bisognose di tutto (vv.30.32) e - malgrado la pletora di maestri ed esperti - prive di qualsiasi insegnamento autentico [cf. Mt 9,36. 14,14].

La sua soluzione è diversissima da quella di tutte le guide “spirituali”, perché non ci sorvola con un paternalismo indiretto [cf. Mt 14,16] che asciughi le lacrime, rimargini le ferite, cancelli le umiliazioni.

Invita a utilizzare in prima persona ciò che siamo e abbiamo, sebbene possa apparire cosa ridicola. Ma insegna in modo assolutamente netto che spostando le energie si realizzano risultati prodigiosi.

Così rispondiamo in Cristo ai grandi problemi del mondo: recuperando la condizione dell’uomo ‘viator’ - essere di passaggio, sua impronta essenziale - e condividendo i beni; non lasciando che ciascuno si arrangi [cf. Mt 14,15].

La nostra reale nudità, le peripezie e l’esperienza dei molti fratelli, diversi, sono risorse da non valutare con diffidenza, «come concorrenti o nemici pericolosi» della nostra realizzazione (FT n.152).

Non solo quel poco che rechiamo basterà a saziarci: avanzerà per altri e con identica pienezza di verità, umana, epocale [vv.34.37: il brano insiste sulla simbologia semitica del numero “sette”].

 

In Mt Gesù è il nuovo Mosè che sale su «il Monte» dei rapporti autentici - per inaugurare un Tempo alternativo, che contrassegna la storia vera.

La gente non rimane più a fondovalle ad aspettare: si riunisce intorno a Lui, giungendo così com’è, col carico dei tanti bisogni differenti.

Il nuovo popolo di Dio non è una folla stanziale, di eletti, scelti e puri.

Ognuno reca con sé il suo percorso, i suoi affanni e problemi, che il Signore guarisce - curando non con una soluzione dal di sopra o dal di fuori.

Insomma: un altro mondo è possibile, però attraverso lo spezzare il proprio (anche misero) ‘pane’.

Soluzione sapiente, ininterrotta, efficace, se la si fa emergere da ‘dentro’, in cammino, e stando in mezzo - non davanti, non a capo, non in alto (v.36).

 

Il luogo della Rivelazione di Dio doveva essere quello dei fulmini, su un ‘monte’ fumante come di fornace (Es 19,18)... ma infine persino lo zelo violento di Elia aveva dovuto ricredersi (1Re 19,12).

Anche ai pagani, il Figlio rivela un Padre il quale non semplicemente cancella le infermità: le fa capire come luogo che sta preparando uno sviluppo personale, e quello della Comunità.

S’immaginava che nei tempi del Messia, zoppi, sordi e ciechi sarebbero scomparsi (Is 35,5ss.). «Età dell’oro»: tutto al vertice, nessun abisso.

In Gesù - Pane distribuito - si manifesta una pienezza dei tempi inconsueta, apparentemente nebulosa e fragile, ma reale e in grado di riavviare persone e relazioni.

Lo Spirito di Dio agisce non calandosi come un fulmine dall’alto, bensì attivando in noi capacità che appaiono impalpabili, eppure in grado di raggranellare il nostro essere disperso, classificato inconsistente - che coinvolge il sommario di tutti i giorni - e lo rivaluta.

 

L’Incarnazione ci ritessere il cuore, in dignità e promozione; si dispiega realmente, perché non solo trascina via gli ostacoli, ma poggia su di essi.

E non li cancella affatto: così li surclassa, ma trasmutando - ponendo nuova vita.

Linfa che trae succo e germoglia Fiori dall’unico terreno melmoso e fecondo, e li comunica.

Solidarietà cui sono invitati tutti, non solo quelli ritenuti in condizione di perfezione e compattezza.

 

Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, bensì assunte, poste nelle mani del Figlio e dinamizzate (v.36).

Le stesse cadute possono essere un segnale prezioso: in Cristo, non sono più umiliazioni riduttive, bensì indicatori di percorso.

Forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse.

Così i crolli possono trasformarsi rapidamente in risalite - differenti, non confezionate - e ricerca di completamento totale nella Comunione.

Quindi, nell’ideale di realizzare la Vocazione e intuire il tipo di contributo da porgere, nulla di meglio d’un ambiente vivo che non tarpi le ali: una fraternità vivace nello scambio e convivenza.

Non tanto per attutirci gli scossoni, ma perché siamo messi in grado di edificare magazzini sapienziali non tarati da nomenclature - cui tutti possono attingere, persino i diversi e lontani da noi.

Se poi anche qui verrà a trovarci una manchevolezza, sarà per insegnare a essere presenti al mondo secondo magari altre e ulteriori direzioni, o per far emergere la missione e una maturazione creativa - non per rimanere fissati su parzialità e minuzie.

 

L’allusione ai sette pani moltiplicati perché divisi conforta le citazioni relative al magma plasmabile delle icone bibliche.

Qui Mosè ed Elia su «il Monte»: figure dei ‘cinque Libri’ del Pentateuco [i primi Alimenti], più le ‘due’ sezioni di Profeti e Scritti.

Tutti insieme «sette pani»: Pienezza di cibo e saggezza per l’anima, chiamata a procedere oltre le siepi circonvicine, rompendo gli argini della mentalità asservita al contorno.

È il nutrimento-base dello spirito umano-divino, cui però si aggiunge un giovane e fresco alimento “companatico” che appunto ci coinvolge (v.34).

[Come diceva s. Agostino: «La Parola di Dio che ogni giorno viene a voi spiegata e in un certo senso “spezzata” è anch’essa Pane quotidiano» (Sermo 58, IV: PL 38,395)].

Alimento completo: cibo base e appunto companatico - storico e ideale, in codice e in atto.

Qui diventiamo in Cristo come un corpus attualizzato e propulsivo di testimoni (e Scritture!) sensibile.

Certo ridotto, non ancora affermato - e privo di eroici fenomeni, ma accentuatamente sapienziale e pratico.

Annunciatori e condivisori, senza clamorosi proclami di autosufficienza.

Mai rinchiusi entro steccati arcaici: sempre in fieri - perciò in grado di percepire binari sconosciuti.

 

E «spezzare il Pane»... ossia attivarsi, procedere oltre, dividere il poco - per alimentare, straripare [moltiplicando l’ascolto e l’azione di Dio] e far riconquistare stima anche ai disperati.

Siamo figli: come pochi e piccoli pesci (v.34), ma che non sguazzano in competizioni che rendono tossica la vita.

Anzi: chiamati in prima persona a scrivere una singolare, empatica e sacra, «Parola-evento».

Infanti’ nel Signore, nuotiamo in questa differente Acqua. A volte forse esteriormente velata o melmosa e torbida…

Infine fatta trasparente anche solo perché arrendevole, compassionevole (v.32) e benevola.

La vecchia pozzanghera esclusiva della religione che non osa il rischio della Fede (v.33) non ci avrebbe aiutato ad assimilare la proposta del Gesù Messia, Figlio di Dio, Salvatore - acrostico del termine greco «Ichtys» [pesce].

Egli è l’Iniziativa-Risposta del Padre, sostegno nel poco etereo Viaggio alla ricerca della Speranza dei poveri - di tutti noi ‘indigenti in attesa’.

 

La Fede operante ha dunque per emblema l’Eucaristia, Rivoluzione della sacralità. Sembra strano, per noi che ci abbiamo fatto il callo.

Infatti scopo dell’evangelizzazione è partecipare ed emancipare l’essere completo da tutto ciò che lo minaccia, non solo nel limite estremo: anche nella sua azione di ogni giorno - fino a cercare la «comunione» dei beni.

In Mc (7,31-37) il prodigio è collocato dopo l’apertura dei “sensi”. Qui dopo le guarigioni presso il lago di Galilea (vv.29-31).

Il Segno Fonte e Culmine della comunità dei figli è un gesto ‘creativo’ che impone uno spostamento di visione, un occhio assolutamente nuovo.

Di fronte all’indigenza di molti - causata dall’avidità di pochi - l’atteggiamento della Chiesa autentica non si compiace di emblemi e fervorini, né di parziali chiamate a distinguersi nell’elemosina.

Lo spezzare del Pane subentra alla Manna calata dall’alto nel deserto (Mt 15,33) e comporta la sua distribuzione - non solo in situazioni particolari.

Non c’è da accontentarsi, nel moltiplicare la vita per tutti.

Questa l’attitudine del Corpo vivente del Cristo taumaturgico [non il facitore di miracoli] che si sente chiamato ad attivarsi in ogni circostanza.

 

In tal guisa, se la partecipazione eucaristica non suscita solo elemosina puntuale, pietismo esterno e assistenzialismo di maniera, ecco il Risultato:

Donne e uomini mangeranno, rimarranno sazi, e avanzerà alimento per altri ancora (non tutti i convitati da Dio previsti sono ancora presenti...).

 

Notiamo che ai discepoli non era neanche passato per la testa che la soluzione potesse venire dalla gente stessa e dal loro spirito.

Non solo dal paternalismo dei capi, o da qualche singolo benefattore.

Soluzione inattesa. Da ribadire: la questione dell’alimento si risolve non dall’alto, ma a partire dall’interno delle persone e con i pochi pani portati con sé.

Non c’è soluzione col verbo “moltiplicare” - ossia “incrementare”…relazioni che contano, accrescere proprietà, ammucchiare astuzie.

Unica terapia è «spezzare», «dare», «porgere» (v.36). E tutti sono coinvolti, nessuno privilegiato.

 

A quel tempo la competitività e la mentalità di classe caratterizzava la società dell’impero - e iniziava a infiltrarsi già nella piccola comunità, appena agli inizi.

Come se il Signore e il Dio del tornaconto potessero convivere uno a fianco all’altro, ancora.

È la comunione dei bisognosi che viceversa sale in cattedra, nella Chiesa non artefatta.

La condivisione reale fa da professore degli onnipresenti direttori e principi, smaliziati e pretenziosi, unici a doversi ancora convertire.

Il germe della loro “durata” dovrebbe essere non la posizione in quota e il ruolo, bensì l’amore.

Tale l’unico senso dei gesti sacri; non altri progetti venati da prevaricazioni, o dall’apparire.

 

Gli “appartenenti” sbalordiscono.

Per il Signore i lontani - sebbene ancora in bilico nelle scelte - sono pienamente partecipi del banchetto messianico; senza preclusioni, né discipline dell’arcano con attese snervanti.

Viceversa, quella Mensa urge in favore di altri che ancora devono essere chiamati. Per una sorta di ristabilimento dell’Unità originale.

 

Insomma, la Redenzione non appartiene alle élites preoccupate della stabilità del loro dominio - che sono addirittura i deboli a dover sostenere.

 

Insomma, la vita da salvati Viene a noi per Incorporazione.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Hai mai spezzato il tuo pane, trasmesso felicità e compiuto recuperi che rinnovano i rapporti, rimettendo in piedi le persone che neppure hanno stima di sé? O hai privilegiato disinteresse, catene, e atteggiamenti di élite?

Mercoledì, 27 Novembre 2024 15:59

Stile eucaristico: rinunciare a quello aggressivo

Lo sguardo di Gesù sembra estendersi fino ad oggi, fino al nostro mondo. Anche oggi si posa su tanta gente oppressa da condizioni di vita difficili, ma anche priva di validi punti di riferimento per trovare un senso e una meta all’esistenza. Moltitudini sfinite si trovano nei Paesi più poveri, provate dall’indigenza; e anche nei Paesi più ricchi sono tanti gli uomini e le donne insoddisfatti, addirittura malati di depressione. Pensiamo poi ai numerosi sfollati e rifugiati, a quanti emigrano mettendo a rischio la propria vita. Lo sguardo di Cristo si posa su tutta questa gente, anzi, su ciascuno di questi figli del Padre che è nei cieli, e ripete: “Venite a me, voi tutti…”.

Gesù promette di dare a tutti “ristoro”, ma pone una condizione: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Che cos’è questo “giogo”, che invece di pesare alleggerisce, e invece di schiacciare solleva? Il “giogo” di Cristo è la legge dell’amore, è il suo comandamento, che ha lasciato ai suoi discepoli (cfr Gv 13,34; 15,12). Il vero rimedio alle ferite dell’umanità, sia quelle materiali, come la fame e le ingiustizie, sia quelle psicologiche e morali causate da un falso benessere, è una regola di vita basata sull’amore fraterno, che ha la sua sorgente nell’amore di Dio. Per questo bisogna abbandonare la via dell’arroganza, della violenza utilizzata per procurarsi posizioni di sempre maggiore potere, per assicurarsi il successo ad ogni costo. Anche verso l’ambiente bisogna rinunciare allo stile aggressivo che ha dominato negli ultimi secoli e adottare una ragionevole “mitezza”. Ma soprattutto nei rapporti umani, interpersonali, sociali, la regola del rispetto e della non violenza, cioè la forza della verità contro ogni sopruso, è quella che può assicurare un futuro degno dell’uomo.

[Papa Benedetto, Angelus 3 luglio 2011]

Mercoledì, 27 Novembre 2024 15:55

Un’altra fame, più fondamentale

Oltre alla fame fisica l'uomo porta in sè ancora un'altra fame, una fame più fondamentale, che non può essere saziata con un cibo ordinario. Si tratta qui di fame di vita, di fame di eternità. Il segno della manna era l'annuncio dell'avvento di Cristo, che avrebbe soddisfatto la fame di eternità da parte dell'uomo diventando Lui stesso il "pane vivo" che "dà la vita al mondo". Ed ecco: coloro che l'ascoltano chiedono a Gesù di compiere ciò che veniva annunziato dal segno della manna, forse senza rendersi conto di quanto lontano andava quella loro richiesta: "Signore, dacci sempre questo pane" (Gv 6, 34). Quanto è eloquente questa richiesta! Quanto generoso e quanto sorprendente è il suo compimento. "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete . . . Perchè la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui" (Gv 6, 35.55-56). "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6, 54).

Quale grande dignità ci è stata elargita! Il Figlio di Dio si dona a noi nel Santissimo Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Quanto infinitamente grande è la liberalità di Dio! Risponde ai nostri più profondi desideri, che non sono soltanto desideri di pane terreno, ma raggiungono gli orizzonti della vita eterna. Questo è il grande mistero della fede!

[Papa Giovanni Paolo II, omelia a Wroclaw 31 maggio 1997]

Mercoledì, 27 Novembre 2024 15:45

Pane della Vita

È così, con semplicità, che Gesù ci dona il sacramento più grande. Il suo è un gesto umile di dono, un gesto di condivisione. Al culmine della sua vita, non distribuisce pane in abbondanza per sfamare le folle, ma spezza sé stesso nella cena pasquale con i discepoli. In questo modo Gesù ci mostra ch“e il traguardo della vita sta nel donarsi, che la cosa più grande è servire. E noi ritroviamo oggi la grandezza di Dio in un pezzetto di Pane, in una fragilità che trabocca amore, trabocca condivisione. Fragilità è proprio la parola che vorrei sottolineare. Gesù si fa fragile come il pane che si spezza e si sbriciola. Ma proprio lì sta la sua forza, nella sua fragilità. Nell’Eucaristia la fragilità è forza: forza dell’amore che si fa piccolo per poter essere accolto e non temuto; forza dell’amore che si spezza e si divide per nutrire e dare vita; forza dell’amore che si frammenta per riunire tutti noi in unità.

E c’è un’altra forza che risalta nella fragilità dell’Eucaristia: la forza di amare chi sbaglia. È nella notte in cui viene tradito che Gesù ci dà il Pane della vita. Ci regala il dono più grande mentre prova nel cuore l’abisso più profondo: il discepolo che mangia con Lui, che intinge il boccone nello stesso piatto, lo sta tradendo. E il tradimento è il dolore più grande per chi ama. E che cosa fa Gesù? Reagisce al male con un bene più grande. Al no” di Giuda risponde con il “sì” della misericordia. Non punisce il peccatore, ma dà la vita per lui, paga per lui. Quando riceviamo l’Eucaristia, Gesù fa lo stesso con noi: ci conosce, sa che siamo peccatori, sa che sbagliamo tanto, ma non rinuncia a unire la sua vita alla nostra. Sa che ne abbiamo bisogno, perché l’Eucaristia non è il premio dei santi, no, è il Pane dei peccatori. Per questo ci esorta: “Non abbiate paura! Prendete e mangiate”.

Ogni volta che riceviamo il Pane di vita, Gesù viene a dare un senso nuovo alle nostre fragilità. Ci ricorda che ai suoi occhi siamo più preziosi di quanto pensiamo. Ci dice che è contento se condividiamo con Lui le nostre fragilità. Ci ripete che la sua misericordia non ha paura delle nostre miserie. La misericordia di Gesù non ha paura delle nostre miserie. E soprattutto ci guarisce con amore da quelle fragilità che da soli non possiamo risanare. Quali fragilità? Pensiamo. Quella di provare risentimento verso chi ci ha fatto del male – questa da soli non la possiamo guarire –; quella di prendere le distanze dagli altri e isolarci in noi stessi – questa da soli non la possiamo guarire –; quella di piangerci addosso e lamentarci senza trovare pace – anche questa noi soli non la possiamo guarire. È Lui che ci guarisce con la sua presenza, con il suo Pane, con l’Eucaristia. L’Eucaristia è farmaco efficace contro queste chiusure. Il Pane di vita, infatti, risana le rigidità e le trasforma in docilità. L’Eucaristia guarisce perché unisce a Gesù: ci fa assimilare il suo modo di vivere, la sua capacità di spezzarsi e donarsi ai fratelli, di rispondere al male con il bene. Ci dona il coraggio di uscire da noi stessi e di chinarci con amore verso le fragilità altrui. Come fa Dio con noi. Questa è la logica dell’Eucaristia: riceviamo Gesù che ci ama e sana le nostre fragilità per amare gli altri e aiutarli nelle loro fragilità. E questo, durante tutta la vita. Oggi, nella Liturgia delle Ore, abbiamo pregato un inno: quattro versetti che sono il riassunto di tutta la vita di Gesù. Ci dicono così: che Gesù, nascendo, si è fatto compagno di viaggio nella vita; poi, nella cena, si è dato come cibo; poi, nella croce, nella sua morte, si è fatto “prezzo”, ha pagato per noi; e adesso, regnando nei Cieli, è il nostro premio, che noi andiamo a cercare, quello che ci aspetta.

La Vergine Santa, in cui Dio si è fatto carne, ci aiuti ad accogliere con cuore grato il dono dell’Eucaristia e a fare anche della nostra vita un dono. Che l’Eucaristia ci faccia un dono per tutti gli altri.

[Papa Francesco, Angelus 6 giugno 2021]

Mercoledì, 27 Novembre 2024 03:44

L’unica preghiera di Gesù poco insegnata

Scienziati e Piccoli: mondo astratto e incarnazione

Lc 10,21-24 (17-24)

 

A differenza dell’azione infruttuosa degli Apostoli [Lc 9 passim], il ritorno dei nuovi evangelizzatori è pieno di gioia e risultati (vv.17-20). Perché?

I capi guardavano la religiosità con scopi d’interesse. I professori di teologia erano abituati a valutare ogni virgola partendo dal proprio sapere, ridicolo ma supponente - estraneo alle vicende reali.

Ciò che rimane vincolato a costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

Il Maestro si rallegra della sua stessa esperienza, che reca una gioia non epidermica e un insegnamento dallo Spirito - su chi è ben disposto, e capace di comprendere le profondità del Regno, nelle cose comuni.

Insomma, dopo un primo momento di folle entusiaste, il Maestro approfondisce le tematiche e si ritrova tutti contro, tranne Dio e i minimi: i senza peso, ma con tanta voglia di cominciare da zero.

Barlume del Mistero che lievita la storia - senza farne un possesso.

 

In un primo tempo anche Gesù rimane sbalordito per il rifiuto di chi si riteneva già soddisfatto e non attendeva più nulla che potesse destare le abitudini.

Poi comprende, loda e benedice il disegno del Padre: la persona autentica nasce dai bassifondi, e possiede «lo spirito del vicinato» (FT n.152).

Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza.

L’Eterno non è il padrone del creato: è Ristoro che rinfranca, perché fa sentire completi e amabili; ci cerca, si fa attento al linguaggio del cuore.

Egli è Custode del mondo, anche dei non istruiti - degli «infanti» (v.21) spontaneamente vuoti di spirito borioso, ossia di coloro che non restano chiusi nella loro sufficiente appartenenza.

Così il rapporto Padre-Figlio viene comunicato ai poveri di Dio: coloro che sono dotati di un’attitudine da famigliari (v.22).

Insignificanti e invisibili privi di grandi doti, ma che si abbandonano alle proposte della vita provvidente che viene, come bimbi in braccio a dei genitori.

Con Spirito di pietas che favorisce chi si lascia colmare di saggezza innata. Unica realtà che ci corrisponde e non presenta il “conto”: essa non procede sulle vie del pensiero funzionale, dell’iniziativa calcolante.

Sapienza che trasmette freschezza nella disponibilità a ricevere accogliere ritemprare personalmente la Verità come Dono, e l’entusiasmo spontaneo stesso, in grado di realizzarla.

 

Una preghiera di benedizione semplice, per i semplici - questa di Gesù (v.21) - che ci fa crescere nella stima, calza perfettamente con la nostra esperienza, e va d’accordo con noi stessi.

Non presuppone l’energia dei ‘modelli’, né la potenza aggressiva dei “pezzi grossi”.

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalom] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano e realizzano anche spiritualmente.

E invece che solo con il “grande” ed esterno, bisogna vivere di Comunione pur con il ‘piccolo’ di sé, o non c’è amabilità, né autentica vita.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa provi quando ti senti dire: «Tu non conti»? Rimane un disprezzo umiliante o la consideri una grande Luce ricevuta, come ha fatto Gesù?

 

 

[Martedì 1.a sett. Avvento, 3 dicembre 2024]

Mercoledì, 27 Novembre 2024 03:39

L’unica preghiera di Gesù poco insegnata

Chiama i lontani e piccoli, per smuovere vicini e grandi

Lc 10,21-24 (17-24)

 

E io e Te

«La Verità non è affatto ciò che ho. Non è affatto ciò che hai. Essa è ciò che ci unisce nella sofferenza, nella gioia. Essa è figlia della nostra Unione, nel dolore e nel piacere partoriti. Né io né Te. E io e Te. La nostra opera comune, stupore permanente. Il suo nome è Saggezza».

[Irénée Guilane Dioh]

 

Gesù constata che gli Apostoli non sono persone libere, per questo non emancipano nessuno e addirittura impediscono qualsiasi svolta (cf. Lc 9).

Il loro modo di essere è talmente fondato su atteggiamenti standard e comportamenti obbligati da tradursi in armature mentali impermeabili.

La loro prevedibilità è troppo limitante: non dà respiro al cammino di coloro che invece vogliono riattivarsi, scoprire e valorizzare sorprese dietro i lati segreti della realtà e della personalità.

Ciò che rimane vincolato ad antiche costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

Il Signore si vede costretto a chiamare i samaritani (gli eretici della religione) raccolti altrove, non provenienti da osservanze “corrette” - ma in grado di camminare, comprendere e non fare gli schizzinosi.

Almeno loro non smentiscono la Parola che proclamano con una vita dietro le quinte: quello che vedi, sono.

È praticamente indotto a sorvolare i Dodici, con «72» insicuri ma trasparenti, nell’incertezza dei (molti) lupi che si sentono destabilizzati.

I nuovi inviati vanno sulla strada indifesi. Non potendo contare sulle consuete astuzie, vengono sicuramente danneggiati, defraudati e - se toccano tutti i nervi scoperti - sbranati.

Ma il loro essere dimesso e poco saccente fa pensare, suscita nuovi saperi e consapevolezze. Così la loro amicizia spontanea e innocente.

Poi, in situazioni bloccate sarà questo “disordine” di nuovi stupefatti a introdurre rinnovato fascino; evocare potenzialità, allargare le possibili inclinazioni espressive, e il campo d’azione di tutti.

Sono i testimoni critici a trasmutare il mondo e guidare le persone alla lode (perché magari si sono semplicemente riappropriati di risorse che neanche sapevano di possedere o avevano perso di vista).

Coloro che non cessano di sorprendere devono stare attenti ai falsi e profittatori che si sentono disturbati dal sorriso dei nuovi ingenui - e molto attenti. Solo qui bisogna fare i difficili: non ci siano altri scrupoli!

Giunti in un territorio, sarà bene non passare di casa in casa: da una sistemazione di fortuna all’appartamento, alla villa, poi al palazzo, perché la ricerca di migliori agi fa sparire la Novità di Dio.

La cura dei malati e delle devianze è punto fermo della Missione, perché è proprio dalle insicurezze o eccentricità che germoglia un regno diverso, quello che si accorge e si fa carico - nell’amore di chi non abbandona.

E non si perda tempo a pettinare l’ambiente seduto sulla falsa ideologia tronetto-altare: anche un volontario allontanamento educa alla gratuità. Anzi fa sbalordire e riflettere proprio i capi religiosi [all’antica e non] e i loro devoti di cerchia, che restano legati a posizioni di visibilità sociale, all’idolo del posto, alla malattia del titolo (senza il quale non si sentono personaggi).

Sono manipolatori, e ci riempiono la testa di venticelli.

Lo spione del sovrano - il «satana» [i suoi accoliti sono molti e insospettabili] nemico del progresso dell’umanità - non avrà più rilievo.

Lo slancio della vita desterà le coscienze e prevarrà sul negativo: nel cammino che ci appartiene le accuse dei sorveglianti interessati conteranno sempre meno.

A differenza dell’azione scrupolosa ma triste e deviante degli Apostoli [Lc 9 passim] il ritorno dei nuovi evangelizzatori aggregati per Chiamata diretta e senza ritualità intermedie è pieno di brio e risultati (vv.17-20).

Sono gli ultimi e diversi - non i più noti e autoreferenziali aggregati - a far cadere dal “cielo” e sostituire i satana-funzionari, nemici dell’umanità e della Gioia inclusiva (vv.5-6).

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalôm] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci compiono e realizzano anche spiritualmente.

Ora la Salvezza che fiorisce [vita da salvati, conclusiva] è per tutti a portata di mano (v.9), non più un privilegio.

I lati giudicati malaticci, squilibrati, sofferenti, invalidi, pazzeschi o materialmente inconcludenti stanno apprestando i nostri nuovi percorsi.

 

Nella dinamica vocazionale il punto fermo non risiede in una soddisfacente adesione a criteri di ragione, né in qualche geniale elaborazione di novità.

Neppure si colloca nella eroicità o fissità di comportamenti conformi, pur convinti.

La nostra certezza stupisce d’una sorpresa che Viene.

Essa ci desta, ma risiede unicamente in una percezione dell’occhio interiore: nella leggera immagine ricorrente che c’inabita e misteriosamente si affaccia, trascina e guida.

E cura le paure.

Unica sicurezza sarà quella lieve visione che - corrispondendo e ribadendo le sue venute - volge ciascuno al suo desiderio personale inespresso, tessendo un dialogo ineffabile con l’anima e la sua Via.

Il Dono s’impone allo scenario intimo, per volgere ogni Nome a destinazione.

Per attirare e attualizzare Futuro. Beninteso: non il ritorno alla situazione precedente che molti propugnano; oggi, anche in tempo di crisi globale.

Non esiste altro punto fermo che la nostra Chiamata.

Essa giunge per allacciare una relazione sponsale con l’opera imprevedibile e inedita della personale Fede-calamita.

Attrazione che seduce l'anima, la libera dalle insicurezze infondendole passione, e chiede di farsi rispettare.

Solo in senso vocazionale e intimamente forte, l’appello del Sogno che affiora alla percezione del cuore, ci fa tenaci.

E rianima un’esistenza vagante tra le bufere - come quella d’un pianeta alla deriva - intrecciando la vita al Cristo.

È la nostra Pace nel caos, che pure invita all’introspezione.

“Magnete-contro” nell’artificio esterno del farsi condurre da obbiettivi altrui.

Non basta neppure trovare un antidoto moderno alla frenesia che ci punge, ancora peggiorando il nostro vagabondare.

Né imponendosi uno stile conflittuale con l’indipendenza dello spirito personale.

Non è sufficiente una parentesi per annientare la tensione della vita contemporanea.

Tutto sommato non ci manca un’oasi per riflettere sul mondo, comprendere se stessi, e gli amici o i lontani.

 

«Non ho pace» - ci sentiamo ripetere da persone che si sentono alla deriva. E questo sentimento è contagioso; oggi dilagante.

Come proclamare armonia e conciliazione nelle case (v.5), in un mondo assediato da provocazioni, da malanni e competizioni globali, che se considerate in modo responsabile fanno subito tremare i polsi?

In un discorso di auguri d’inizio anno al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Giovanni Paolo II sintetizzò quattro emergenze epocali per il nuovo millennio:

«Vita, pane, pace e libertà: ecco le grandi sfide dell’umanità di oggi».

Un fuori scala per la nostra natura.

Come può l’uomo di Fede annunciare equilibrio e prosperità, se la debolezza non è protetta, se il criterio di natura sembra oggi volatile, se il nutrimento non è abbondante e vario per tutti, se la fraternità non si scorge neppure in ambienti protetti [al massimo viene scambiata per generica simpatia a scopo pubblicitario, in una chiesa degli eventi - come dice Papa Francesco], o se il belligerare può avere motivazioni teologiche (pur di non accettare le esigenze vitali altrui)… se non si riconosce a ciascuno di potersi realizzare «in maniera rispondente alla sua natura»?

Quest’ultimo a mio parere il punto cardine: prerogativa della Vocazione e dell’immaginario interiore che suscita; della nostra risposta di fiducia sponsale personale e creativa.

Diceva Giovanni Paolo: la libertà è luce «perché permette di scegliere responsabilmente le proprie mete e la via per raggiungerle».

Non un lume che abbaglia, bensì che si posa, e tesse trame.

Una luce redenta, che diviene rapporto, possibilità di condivisione; Presenza che trasmette senso.

Il libero arbitrio impallidisce, a braccetto col nostro volontarismo, e non ci basta neppure la capacità di autodeterminarci per il bene. Lo sappiamo da sempre.

 

Nella sua seconda Satira, Giovenale scrive:

«Le pratiche t’han dato questa tigna/

E a molti la daran, come di pecore/

O di porci in un branco un sol comunica/

A tutti gli altri la scabbia e la forfora/

E basta un chicco per guastare un grappolo/

Da questa moda a più brutte faccende/

Adagio adagio passerai: la scala/

Dei vizi non discendesi d’un salto/

In breve ti faranno uno dei loro/

Quelli che in casa cingonsi la fronte».

 

Bisogna vivere di Comunione, anche con se stessi, o non c’è autentica vita.

Nel grande Mistero di percepirsi come un “essere nel Dono” - «due a due» (v.1) - per godere pienezza, il sé comprende le opposte polarità della sua essenza.

Solo così dilatati diventiamo un essere “con” e “per” l'altro.

 

Non di rado la proposta sacrale ci isola o colloca in compartimenti stagni unilaterali, che troncano i sogni [non le fantasie disincarnate, che ne sono corollario].

I bei costumi antichi, o gli schemi di sociologia astratta, e stilemi o costumi locali, determinano i binari della nostra corsa: i soliti totem di costume. O le mode altrui; i manierismi esterni.

Gesù (appunto) nota l’insuccesso dei suoi, che non riescono a liberare le persone - e addirittura pretendono d’impedirlo [Lc 9].

Così chiama anche i samaritani (v.1), ossia i male indottrinati, meticci e bastardi.

Insomma, allarga l’orizzonte delle tribù designate, facendo appello a nazioni pagane, per un compito universale.

Il Signore sa che la Fede “laicale” non è di cerchia.

Essa non si adegua volentieri a modelli senza forza intima; quindi non blocca l’evoluzione, perché fa vivere di Relazione e carattere.

Ciò, in mezzo a tutte le sfaccettature dell’essere e della storia: appunto con e per gli altri, ma non all’esterno - bensì saldi in se stessi.

In tal guisa, nell’amicizia di sé e del prossimo, diventiamo per Grazia e genuinamente assai più affidabili di coloro che sono animati da articolate convinzioni o forti volontarismi di club.

Queste i ultimi spesso illusioni pericolosissime, se non riconoscono come valore assoluto il bene concreto dell’uomo reale, il diritto alla sua Felicità.

Totalità o integrazione derivante dal benessere d’un completamento nell’essere, non più ridotto.

Presenza Messianica [Annuncio dello Shalôm] che non svaluta; non permane unilaterale.

 

 

Lo spione che cade, e i piccoli cervelli

 

Lo spione del “sovrano” - il «satana» [i suoi accoliti sono molti e insospettabili], nemico del progresso dell’umanità - non avrà più rilievo.

Detronizzato dalla condizione di potere sugli uomini, esso precipita nel baratro (v.18).

Significa che grazie alla missione in Cristo, lo slancio della vita prevarrà sul negativo.

Nel cammino che ci appartiene, le accuse dei sorveglianti interessati conteranno zero.

I vecchi Re e Profeti avevano solo sospirato la pienezza del Messia. Si sentivano dei grandi, ma non avevano incontrato l’Eterno in sovrabbondanza di Persona.

Erano ancora schiavi di elementi cosmici, talora sottomessi al potere irrazionale del male; spesso vinti dal pensiero comune, dalla miseria propria e altrui, dalle attrattive della realtà mondana circostante.

I «piccoli» invece anche oggi restano aperti al Mistero e ricevono un essere rinnovato.

I sapientoni suppongono che l’unica vita si trovi dalla loro parte; si pensano potenti e convincenti. Non hanno bisogno di luce, né di un Amico.

Su questo piano viene formulata una delle rivelazioni definitive sull’Uomo autentico che manifesta la condizione divina.

Il Figlio benedice il Padre per il dono concesso agli insignificanti della società, e scopre il punto nodale del Mistero della nostra comunicazione con l’Altissimo: lo spirito di sapersi in Famiglia, a pieno titolo.

 

La santità religiosa antica poggiava sulla separazione [Qadosh-Santo: è attributo del Dio che dimora in luoghi distinti, remoti, inaccessibili] non sull’essenza.

Il nuovo nome della santità (domestica) riflessa nella Persona del Cristo e in quella dei suoi fratelli non è più sinonimo di “tagliato dagli altri e messo a parte”, bensì «Unito».

Malgrado le stampelle che porta, resta in sé “dignitoso” e addirittura “chiamato”; quindi abilitato a essere promosso, senza ulteriori condizioni di purità ideologica o cultuale.

Padre e Figlio costituiscono un Mistero di reciprocità e dedizione nel quale penetrano solo coloro che vogliono ricevere e accogliersi nella scaturigine - in Dio, per lasciarsi avvolgere da una Amicizia che raggranella tutto l’essere.

Dialogo ch’espande le pur minime qualità, sublima in Perle i lati ignoti e oscuri della personalità; per dilatare l’onda dell’esistere, senza inseguire le voci del mondo esterno [solo apparentemente vitale].

Così l’Invio e Missione hanno come nucleo il dispiegamento della qualità intensa, della stessa realtà intima e indistruttibile divina: l’Amore.

Unico Fuoco che annienta le potenze logoranti, nelle persone, nelle nazioni, nella storia.

 

Appunto, a differenza dell’opera scrupolosa ma triste e deviante degli Apostoli [Lc 9 passim], il ritorno dei nuovi evangelizzatori aggregati per Chiamata diretta e senza ritualità intermedie è pieno di gioia e risultati (vv.17-20).

Ricordiamo Tagore: «Se i cristiani fossero come il loro Maestro, avrebbero tutta l’India ai loro piedi».

Sono gli ultimi e diversi - i nuovi protagonisti dell’Annuncio.

Non i più noti e autoreferenziali cooptati riescono a far cadere dal cielo e sostituire i satana-funzionari, nemici dell’umanità e della nostra Gioia democratica (vv.5-6).

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalôm] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano, includono e realizzano anche spiritualmente.

Ora la Salvezza [vita da salvati] che fiorisce è a portata di mano di tutti coloro che hanno spirito attento e virtù da famigliari. Non più privilegio di cerchie che si sentono sicure [ma perdono l’unicità].

Ancora Tagore: «Benignamente, volutamente fattoti piccolo, vieni in questa piccola dimora [...] Come amico, come padre, come madre fattoti piccolo, vieni nel mio cuore. Io pure con le mie mani mi farò piccolo davanti al padrone dell’universo; con la mia piccola intelligenza ti conoscerò e ti farò conoscere».

Il Mistero resiste ai «dotti» che fanno professione di alta saggezza (v.21). 

Viceversa il Regno si apre ai non imprigionati da idee conformi e interposte - schiavi di pensieri e convenzioni.

Ecco l’Inno di Giubilo (vv.21-24) che introduce il Comandamento dell’Amore (vv.25ss).

Ricordo il mio professore agostiniano di Patristica: insisteva nel ripeterci che uno dei nomignoli conquistati dai primi cristiani era quello di «piccoli cervelli».

Erano persone semplici ma ricolme di attitudini alla pienezza, e di sapienti nuove consapevolezze, che sbalordivano i professori e i filosofi del mondo antico.

 

Anche noi ci chiediamo: cosa fa tornare vicini a ciò che siamo chiamati a fare?

Ebbene, forse ne abbiamo già contezza: la sufficienza di coloro che fanno professione di dottrina cerebrale - in realtà - conduce solo a precipitare dal cielo.

Annienta l’umile percezione di sé, fa impallidire la capacità di accorgersi; chiude al perdono, all’accoglienza benevolente, all’ascolto dell’anima e degli altri, alla disponibilità. Perfino all’acume dei saperi innati, quelli che ci appartengono e risolverebbero i veri problemi.

Proprio i lati giudicati pazzeschi o materialmente inconcludenti - anche nella trama di piccole cose - farebbero affrontare gli eventi esterni che attanagliano… come occasioni di crescita.

Stanno infatti preparando i nostri nuovi percorsi, e un germe di società alternativa.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

Cosa è successo in te quando hai accettato la modesta (e piena) condizione di figlio?

Quali nuove consapevolezze di te stesso e del mondo hai acquisito?

Hai scoperto anche slanci di gratuità, oltre che di gratitudine?

 

 

Scienziati e Piccoli

(Lc 10,21-24)

 

A differenza dell’azione infruttuosa degli Apostoli [Lc 9 passim], il ritorno dei nuovi evangelizzatori è pieno di gioia e risultati (vv.17-20). Perché?

Ciò che rimane vincolato ad antiche costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

I capi guardavano la religiosità con scopi d’interesse. I professori di teologia erano abituati a valutare ogni virgola partendo dal proprio sapere, ridicolo ma supponente - estraneo alle vicende reali.

I nuovi inviati vanno sulla strada indifesi.

Il Maestro si rallegra della loro e della sua stessa esperienza, che reca una gioia non epidermica e un insegnamento dallo Spirito - su chi è ben disposto a comprendere le profondità del Regno nelle cose comuni.

Insomma, dopo un primo momento di folle entusiaste, il Maestro approfondisce le tematiche e si ritrova tutti contro, tranne Dio e i minimi: i senza peso, ma con tanta voglia di cominciare da zero.

Barlume del Mistero che lievita la storia - senza farne un possesso.

A conclusione dell’enciclica Fratelli Tutti, Papa Francesco cita la figura e l’esperienza di Charles de Foucauld, il quale - sovvertendo i conformismi - «solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti» (n.287).

In un primo tempo anche Gesù rimane sbalordito per il rifiuto di chi si riteneva già soddisfatto della struttura religiosa ufficiale e non attendeva più nulla che potesse destare abitudini e tornaconto.

Poi comprende, loda e benedice il disegno del Padre.

Comprende che la persona autentica nasce dai bassifondi, comunque da un’altra elaborazione e genesi, che sconvolgono il rapporto religioso consolidato, inerte e rassicurante - mai profondo né decisivo per le sorti umane.

Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza.

L’Eterno non è il padrone del creato che si manifesta attraverso le potenze incontenibili della natura.

È Ristoro che rinfranca, perché fa sentire completi e amabili; ci cerca, si fa attento al linguaggio del cuore.

Egli è Custode del mondo, anche dei non istruiti - degli «infanti» (v.21) spontaneamente vuoti di spirito borioso, ossia di coloro che non restano chiusi nella loro sufficiente appartenenza.

Il rapporto Padre-Figlio viene comunicato ai poveri di Dio: coloro che sono dotati di un’attitudine da famigliari (v.22).

Insignificanti e invisibili privi di grandi doti, ma che si abbandonano alle proposte della vita provvidente che viene, come bimbi in braccio a dei genitori.

Spirito di pietas che favorisce chi si lascia colmare, e non procede sulle vie del pensiero o dell’iniziativa calcolante, bensì della Sapienza innata.

Unica realtà che ci corrisponde e non presenta il “conto”: essa non procede sulle vie del pensiero funzionale, dell’iniziativa calcolante.

Essa trasmette freschezza nella disponibilità a ricevere - accogliere e ritemprare personalmente - sia la Verità come Dono... che l’entusiasmo spontaneo stesso, in grado di realizzarla.

Una preghiera di benedizione semplice e per i semplici - questa di Gesù (v.21) - che ci fa crescere nella stima, calza perfettamente con la nostra esperienza, e va d’accordo con noi stessi.

Ma che stranamente i «dotti» i quali non vivono «lo spirito del vicinato» (FT n.152) però rivendicano posizioni e giocano sempre d’astuzia, non ci hanno voluto trasmettere così volentieri.

Perché tale Berakah non presuppone l’energia dei ‘modelli’, né la potenza aggressiva dei “pezzi grossi”.

Appunto, nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalom] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano e realizzano anche spiritualmente.

E invece che solo con il “grande” ed esterno, bisogna in tal guisa vivere di Comunione pur con il ‘piccolo’ di sé, o non c’è amabilità, né autentica vita.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa provi quando ti senti dire: «Tu non conti»? Rimane un disprezzo umiliante o la consideri una grande Luce ricevuta, come ha fatto Gesù?

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Our shortages make us attentive, and unique. They should not be despised, but assumed and dynamized in communion - with recoveries that renew relationships. Falls are therefore also a precious signal: perhaps we are not using and investing our resources in the best possible way. So the collapses can quickly turn into (different) climbs even for those who have no self-esteem
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte e dinamizzate in comunione - con recuperi che rinnovano i rapporti. Anche le cadute sono dunque un segnale prezioso: forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse. Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti) anche per chi non ha stima di sé
God is Relationship simple: He demythologizes the idol of greatness. The Eternal is no longer the master of creation - He who manifested himself strong and peremptory; in his action, again in the Old Covenant illustrated through nature’s irrepressible powers
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza. L’Eterno non è più il padrone del creato - Colui che si manifestava forte e perentorio; nella sua azione, ancora nel Patto antico illustrato attraverso le potenze incontenibili della natura
Starting from his simple experience, the centurion understands the "remote" value of the Word and the magnet effect of personal Faith. The divine Face is already within things, and the Beatitudes do not create exclusions: they advocate a deeper adhesion, and (at the same time) a less strong manifestation
Partendo dalla sua semplice esperienza, il centurione comprende il valore “a distanza” della Parola e l’effetto-calamita della Fede personale. Il Cospetto divino è già dentro le cose, e le Beatitudini non creano esclusioni: caldeggiano un’adesione più profonda, e (insieme) una manifestazione meno forte
What kind of Coming is it? A shortcut or an act of power to equalize our stormy waves? The missionaries are animated by this certainty: the best stability is instability: that "roar of the sea and the waves" Coming, where no wave resembles the others.
Che tipo di Venuta è? Una scorciatoia o un atto di potenza che pareggi le nostre onde in tempesta? I missionari sono animati da questa certezza: la migliore stabilità è l’instabilità: quel «fragore del mare e dei flutti» che Viene, dove nessuna onda somiglia alle altre.
The words of his call are entrusted to our apostolic ministry and we must make them heard, like the other words of the Gospel, "to the end of the earth" (Acts 1:8). It is Christ's will that we would make them heard. The People of God have a right to hear them from us [Pope John Paul II]
Queste parole di chiamata sono affidate al nostro ministero apostolico e noi dobbiamo farle ascoltare, come le altre parole del Vangelo, «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). E' volontà di Cristo che le facciamo ascoltare. Il Popolo di Dio ha diritto di ascoltarle da noi [Papa Giovanni Paolo II]
"In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet". This refers to the solidity of the Word. It is solid, it is the true reality on which one must base one's life (Pope Benedict)
«In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet». Si parla della solidità della Parola. Essa è solida, è la vera realtà sulla quale basare la propria vita (Papa Benedetto)

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