don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Giovedì, 02 Gennaio 2025 12:41

Epifania del Signore

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga!

Con gli auguri ancora freschi per questo nuovo anno, ecco il commento delle letture della solennità dell’Epifania 

Epifania del Signore [6 gennaio 2025]

*Prima Lettura dal Libro del profeta Isaia (60,1-6)

Il richiamo ai simboli dell’oro, incenso e mirra, presente in questo testo del profeta Isaia, l’hanno fatto scegliere per l’odierna festa dell’Epifania del Signore con evidente connessione ai doni dei Magi, ma c’è molto di più. Da notare tutte le espressioni di luce che sono in questo passaggio: “Rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te”…(come sorge il sole)  su di te risplende il Signore , la sua gloria  appare su di te… cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere”. Insomma la tua luce, lo splendore della tua aurora ti renderà radiosa. Contrariamente a quel che si può immaginare, come spesso capita con i profeti che coltivano la speranza, dobbiamo dedurre immediatamente che l’umore generale in quel momento era piuttosto cupo. Perché l’umore generale era cupo, e che cosa suggerisce il profeta per invitare il popolo alla speranza? Per quanto riguarda l’umore, guardiamo al contesto: questo testo fa parte degli ultimi capitoli del libro di Isaia; siamo negli anni 525-520 a.C., cioè circa quindici o vent’anni dopo il ritorno dall’esilio a Babilonia. I deportati erano tornati in patria, e si credeva che la felicità si sarebbe stabilita, ma questo ritorno tanto atteso non ha soddisfatto tutte le aspettative. C’erano quelli che, rimasti nel paese, avevano vissuto il periodo di guerra e occupazione; gli esuli tornati dall’esilio speravano di ritrovare il loro posto e i loro beni. Poiché l’esilio durò cinquant’anni, coloro che erano partiti erano morti là e i superstiti rientrati in patria erano i loro figli o nipoti. Questo non doveva semplificare le riunioni, tanto più che coloro che tornavano non potevano pretendere di recuperare l’eredità dei loro genitori perché, proprio a causa del lungo periodo di cinquant’anni, i beni degli assenti e degli esiliati erano stati occupati e altri se ne erano impossessati. Inoltre molti stranieri si erano stabiliti nella città di Gerusalemme e in tutto il paese e vi avevano introdotto altre usanze, altre religioni. Appare evidente che quest’ammasso di persone tanto diverse non costituiva un clima ideale per vivere insieme. Prima causa di disaccordo fu la ricostruzione del Tempio. Fin dal ritorno dall’esilio, autorizzato nel 538 dal re Ciro, i primi rientrati, che formavano la cosiddetta “comunità del ritorno”, avevano ristabilito l’antico altare del Tempio di Gerusalemme e avevano ripreso a celebrare il culto come in passato. Si volle al tempo stesso cominciare la ricostruzione del Tempio, ma alcune persone considerate eretiche vollero intervenire. Si tratta di un miscuglio di ebrei rimasti nel paese e di popolazioni straniere pagane insediate lì dall’occupante mescolate insieme persino attraverso dei matrimoni che avevano preso abitudini giudicate eretiche dagli ebrei che tornavano dall’Esilio e per questo motivo la “comunità del ritorno” rifiutò che il Tempio del Dio unico fosse costruito da persone che poi vi avrebbero celebrato altri culti. Questo rifiuto fu mal accolto e coloro che erano stati respinti si opposero con tutti i mezzi: il risultato fu l’arresto dei lavori e il tramonto del sogno di ricostruire il Tempio. Con il passare degli anni crebbe e si diffuse lo scoraggiamento.  La tristezza e lo sconforto non sono però degni del popolo portatore delle promesse di Dio e per questo Isaia insieme al profeta Aggeo decisero di risvegliare i loro compatrioti invitandoli a non piangersi addosso e a mettersi al lavoro per ricostruire il Tempio.  Conoscendo questo  contesto, il linguaggio quasi trionfante d’Isaia ci sorprende, ma è il linguaggio abituale nei profeti. Se promettono tutta questa luce è perché il popolo è moralmente a terra e ci si trova nella notte più cupa. Tuttavia è proprio durante la notte che si scrutano i segni del sorgere del giorno e il ruolo del profeta è ridare coraggio annunciando l’alba del nuovo giorno. E’ chiaro: più il profeta insiste sul tema della luce più vuol dire che il popolo è oppresso dal buio dello scoramento. Per risollevarne il morale Isaia e Aggeo insistono su un solo argomento fondamentale per gli ebrei: Gerusalemme è la Città santa, scelta da Dio per farvi dimorare il segno della sua presenza. Dio stesso si è impegnato con il re Salomone, decidendo che “qui sarà il mio Nome”.  Possiamo così sintetizzare e attualizzare il messaggio di Isaia: “Vi sentite in un tunnel, nel buio più profondo, ma alla fine del tunnel vi attende la luce. Ricardatevi la promessa: giunge il Giorno in cui tutti riconosceranno in Gerusalemme la Città santa”.  E allora non lasciatevi abbattere e mettetevi al lavoro, dedicate tutte le vostre forze a ricostruire il Tempio come avete promesso. In ogni tempo quando ci si sente scoraggiati dalle difficoltà e si brancola nel buio dell’incertezza occorrono profeti che ridestano il coraggio della speranza. Isaia lo fa capire con determinazione e questo è il suo ragionamento: quando si è credenti, anche il buio più oscuro non riesce a soffocare la speranza. E qui non si tratta di promessa legata a un trionfo politico, ma della promessa di Dio: un giorno l’intera umanità sarà finalmente riunita in un’armonia perfetta nella Città santa. 

 

*Salmo Responsoriale (71/72) 

Questo salmo ci fa assistere all’incoronazione di un nuovo re, quando i sacerdoti pronunciano su di lui preghiere che raccolgono i desideri e i sogni del popolo all’inizio di ogni nuovo regno. Si auspica la potenza politica per il re, la pace e la giustizia, la felicità, la ricchezza e prosperità per tutti e il popolo eletto ha il vantaggio di sapere che questi sogni degli uomini coincidono con il progetto stesso di Dio. L’ultima strofa del salmo, che non fa parte dell’odierna liturgia, cambia però tono: non si parla più del re terreno, ma  di Dio: “Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele, lui solo compie meraviglie! Benedetto sia per sempre il suo nome glorioso, tutta la terra sia piena della sua gloria! Amen! Amen!”. Ed è proprio quest’ultima strofa a offrire la chiave per capire l’intero salmo composto e cantato dopo l’esilio a Babilonia (quindi tra il 500 e il 100 a.C.), in un’epoca in cui non c’era più un re in Israele. I voti e le preghiere non riguardano quindi un re in carne e ossa, ma il futuro re promesso da Dio, il re-messia. E poiché si tratta di una promessa di Dio, si può essere certi che si realizzerà. L’intera Bibbia è attraversata da questa speranza indistruttibile: la storia umana ha un fine, un senso dove  il termine “senso” significa due cose: sia “significato” che “direzione”. Dio ha un unico progetto che ispira tutte le  vicende della Bibbia e assume nomi diversi secondo i diversi autori: è  il “Giorno di Dio” per i profeti, il “regno dei cieli” per l’evangelista Matteo, il “disegno della sua benevolenza (eudokia) ” per san Paolo (Ef1,9-10). Dio ama l’umanità e ripropone instancabilmente il suo progetto di felicità. Progetto che sarà realizzato dal messia che viene invocato ogni qualvolta si cantano i salmi nel Tempio di Gerusalemme.

Il salmo 71 è la descrizione del re ideale, che Israele attende da secoli: quando nasce Gesù, sono passati circa 1000 anni da quando il profeta Natan si recò dal re Davide da parte di Dio e gli fece la promessa di cui parla il nostro salmo. (cf 2 Sam 7,12-16). Di secolo in secolo, la promessa è stata ribadita e meglio precisata. La certezza della fedeltà di Dio alle sue promesse ha permesso di scoprire a poco a poco tutta la sua ricchezza e le sue conseguenze; se questo re meritava davvero il titolo di figlio di Dio, allora sarebbe stato a immagine di Dio, re di giustizia e di pace. A ogni incoronazione di un nuovo re, la promessa veniva ripetuta su di lui e si tornava a sognare, ma il popolo ebraico attende ancora, e bisogna riconoscere che il regno ideale non ha ancora visto la luce sulla terra. Si finirebbe quasi per credere che sia solo un’utopia. I credenti però sanno che non si tratta di un’utopia ma di una promessa di Dio, quindi di una certezza. E l’intera Bibbia è attraversata da questa certezza, speranza invincibile che il progetto di Dio si realizzerà. È il miracolo della fede: di fronte a questa promessa ogni volta delusa, due diverse reazioni sono possibili: il non credente dice “ve l’avevo detto, non accadrà mai”; il credente afferma risolutamente “pazienza, poiché Dio l’ha promesso, non può rinnegare se stesso”, come ricorda san Paolo (2 Tm 2,13).  Oggi, il popolo ebraico canta questo salmo nell’attesa del re-messia e in certe sinagoghe gli ebrei manifestano la loro impazienza  di vedere il messia recitando questa professione di fede di Mosè Maimonide, filosofo, medico e giurista ebreo (1135-1204) di Toledo in Spagna: “Credo con fede certa che il messia verrà, e anche se tarda a venire, nonostante tutto, io aspetterò fino al giorno del suo arrivo”.  Noi, cristiani, lo applichiamo a Gesù Cristo e ci sembra che i magi venuti dall’Oriente abbiano iniziato a realizzare la promessa: “I re di Tarsis e delle isole porteranno doni, i re di Saba e di Seba offriranno tributi… Tutti i re si prostreranno davanti a lui, tutte le nazioni lo serviranno”. E non è lontano il giorno in cui tutta l’umanità accoglierà il Cristo e si realizzerà il regno del suo amore.

 

*Seconda Lettura, dalla lettera di san Paolo Apostolo agli Efesini (3,2-6)

Questo testo è tratto dal capitolo terzo della Lettera agli Efesini, e nel primo capitolo Paolo ha usato la famosa espressione “il disegno d’amore della sua volontà” (v.5), “facendoci conoscere il mistero della sua volontà” (v 9). Ritroviamo qui la parola “mistero” che per san Paolo non è un segreto che Dio custodisce gelosamente; al contrario, è la sua intimità, nella quale ci fa entrare. Paolo spiega meglio affermando: “Per rivelazione  mi è stato fatto conoscere il mistero”: il mistero è il disegno di amore che Dio rivela progressivamente. Tutta la storia biblica è una lunga, lenta e paziente pedagogia che Dio utilizza per introdurre il suo popolo in questo suo mistero, nella sua intimità. L’esperienza mostra che non si può insegnare a un bambino tutto in una volta; va educato con pazienza, giorno per giorno e a seconda delle circostanze. Non si possono dare lezioni teoriche in anticipo su vita, morte, matrimonio o famiglia. Il bambino scopre la famiglia vivendo con i genitori, i nonni e i fratelli e sorelle: quando la famiglia celebra un matrimonio o una nascita, quando affronta un lutto, il bambino vive questi eventi con i parenti i quali, pian piano, lo accompagnano nella scoperta della vita. Dio ha usato la stessa pedagogia con il suo popolo rivelandosi progressivamente. Questa rivelazione con Cristo ha compiuto un passo decisivo per cui la storia si divide in due periodi, prima di Cristo e dopo Cristo e spiega l’apostolo che questo mistero “non é stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito” e chiarisce ancor più che il mistero di cui parla è Cristo stesso, il centro del mondo e della storia e l’universo intero sarà un giorno riunito in lui, come le membra sono unite al capo. Nella frase “ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose” (1,10), la parola greca che traduciamo con capo significa proprio la testa. Si tratta inoltre davvero dell’universo intero e Paolo precisa che “le genti sono chiamate in Cristo  Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo”. In altre parole si può dire che l’eredità è Cristo, la Promessa è Cristo, il Corpo èCristo, Il disegno di amore di Dio è che Cristo sia il centro del mondo e che l’universo intero sia riunito in lui. Quando nel Padre Nostro diciamo “sia fatta la tua volontà”, parliamo proprio di questo progetto divino e, ripetendo quest’invocazione, ci impregniamo sempre di più del desiderio del Giorno in cui tale progetto sarà pienamente realizzato. Paolo spiega che questo progetto riguarda l’umanità intera, non solo il popolo ebreo: è l’universalismo del piano di Dio, dimensione universale scoperta progressivamente nella Bibbia e ben radicata nel popolo di Israele, visto che si fa risalire ad Abramo la promessa della benedizione di tutta l’umanità: “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,3). Il passaggio di Isaia che leggiamo nella prima lettura della festa dell’Epifania è esattamente su questa linea. Ovviamente, se un profeta come Isaia ha ritenuto opportuno insistervi, è perché si tendeva a dimenticarlo. Allo stesso modo, al tempo di Cristo, se Paolo precisa che “le genti  sono chiamate in Cristo Gesù a condividere a la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo” è perché ciò non era scontato. Dobbiamo fare uno sforzo d’immaginazione: non ci troviamo affatto nella stessa situazione dei contemporanei di Paolo; per noi, nel ventunesimo secolo, questa è un’evidenza: la gran parte di noi non sono di origine ebraica e trovano normale il fatto che tutti noi partecipiamo alla salvezza recata dal Messia. Dopo duemila anni di cristianesimo, sappiamo che Israele rimane il popolo eletto, perché, come dice altrove san Paolo, “Dio non può rinnegare sé stesso”, ma  crediamo di essere anche noi in questo piano chiamati a testimoniare il vangelo nel mondo. Al tempo di Cristo, però, la situazione era diversa. Gesù è nato all’interno del popolo ebraico: questa era la logica del piano di Dio e dell’elezione di Israele. I Giudei erano il popolo eletto, scelto da Dio per essere apostoli, testimoni e strumenti della salvezza di tutta l’umanità. I giudei diventati cristiani hanno avuto difficoltà, talvolta, ad accettare l’ammissione di ex pagani nelle loro comunità e san Paolo ricorda loro che anche i pagani, ormai, possono essere apostoli e testimoni della salvezza. Del resto, l’episodio dei Magi, narrato da Matteo nel Vangelo dell’Epifania, ci dice esattamente la stessa cosa. Le ultime parole di questa seconda lettura  risuonano come un invito: “le genti  sono chiamate in Cristo Gesù a condividere a la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo”. Certamente Dio attende la nostra collaborazione al suo disegno d’amore: i Magi allora hanno visto una stella e si sono messi in cammino. Per tanti nostri contemporanei, non ci sarà una stella nel cielo, ma siamo noi i testimoni di Cristo e per questo bisognosi di diventare pieni di luce e di gioia. 

 

*Dal Vangelo secondo Matteo ( 2,1-12)

Innanzitutto un’osservazione storica: l’episodio dei Magi narrato dall’evangelista Matteo ci dà uno dei rari indizi sulla data di nascita esatta di Gesù. La data della morte di Erode il Grande è certa: 4 a.C. (visse dal 73 al 4 a.C.) e, poiché fece uccidere tutti i bambini di età inferiore ai due anni, si trattava di bambini nati tra il 6 e il 4 a.C. Quindi, Gesù nacque probabilmente tra il 6 e il 5 a.C. L’errore di calcolo avvenne nel VI secolo, quando un monaco, Dionigi il Piccolo, stabilì, a giusto titolo, di contare gli anni a partire dalla nascita di Gesù, e non più dalla fondazione di Roma. All’epoca, come si desume anche da altre fonti storiche, 

molto viva era l’attesa del Messia e se ne parlava dappertutto. Tutti pregavano Dio affinché affrettasse la sua venuta e alcuni Giudei pensavano che sarebbe stato un re: un discendente di Davide che avrebbe regnato sul trono di Gerusalemme, dopo ver scacciato i Romani e stabilito definitivamente pace, giustizia e fraternità in Israele. Altri con più ottimismo speravano persino che questa felicità si sarebbe estesa al mondo intero. In questo senso, si citavano diverse profezie convergenti dell’Antico Testamento: innanzitutto, quella di Balaam nel Libro dei Numeri. La ricordo: nel momento in cui le tribù d’Israele si avvicinavano alla Terra Promessa sotto la guida di Mosè, attraversando le pianure di Moab (oggi in Giordania), il re di Moab, Balak, aveva convocato Balaam (profeta e indovino pagano) affinché maledicesse questi invasori. Ma, ispirato da Dio, Balaam, anziché maledire, aveva pronunciato profezie di felicità e gloria per Israele, dicendo in particolare: “Io lo vedo, lo contemplo: da Giacobbe spunta una stella, da Israele si alza uno scettro”  (Num 24,17). Il re di Moab si era infuriato, perché aveva interpretato questa profezia come l’annuncio della sua futura sconfitta contro Israele. Ma in Israele, nei secoli successivi, questa bella promessa era stata trasmessa con cura, arrivando a pensare che il regno del Messia sarebbe stato annunciato dall’apparizione di una stella. Ecco perché il re Erode, consultato dai Magi riguardo a una stella, prese la questione molto seriamente. Un’altra profezia riguardante il Messia è quella di Michea: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo tra i capoluoghi di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”. Una profezia perfettamente in linea con la promessa fatta da Dio a Davide, secondo cui la sua dinastia non si sarebbe mai estinta e avrebbe portato al paese la felicità tanto attesa.

I Magi, probabilmente, non sapevano tutte queste cose: erano astrologi e si erano messi in cammino semplicemente perché avevano visto sorgere una nuova stella. Arrivati a Gerusalemme, si informarono presso le autorità locali. Ed è qui che incontriamo la prima sorpresa del racconto di Matteo: da una parte,  i Magi, pagani che non hanno preconcetti, sono alla ricerca del Messia e alla fine lo troveranno guardando l’astro visibile a tutti. Dall’altra parte, ci sono quelli che conoscono le Scritture, gli scribi d’Israele che possono citarle senza errori e possono rivelarne il significato… a condizione, però, che essi stessi si lascino guidare dalle Scritture, ma purtroppo non muovono un dito; non si spingeranno nemmeno da Gerusalemme a Betlemme e quindi non incontreranno il Bambino nella mangiatoia. E’ davvero una provocazione: coloro che attendevano il Messia come gli scribi non riescono a vedere e quindi non incontrano il Messia, mentre i magi estranei alle scritture si lasciano guidare dalla stella , che tutti vedevano, e arrivano all’incontro con Gesù.  Quanto a Erode, è tutta un’altra storia. Mettiamoci nei suoi panni: è il re dei Giudei, riconosciuto come tale dal potere romano. È molto fiero del suo titolo e ferocemente geloso di chiunque possa offuscarlo. Non dimentichiamo che ha fatto assassinare diversi membri della sua famiglia, compresi i suoi stessi figli. Ogni volta che qualcuno diventava un po’ troppo popolare, Erode lo faceva eliminare per gelosia. E ora si diffonde una voce in città: degli astrologi stranieri hanno compiuto un lungo viaggio e dicono: “Abbiamo visto sorgere una stella del tutto eccezionale; sappiamo che annuncia la nascita di un bambino-re… altrettanto eccezionale. Sicuramente è nato il vero re dei Giudei!”. Possiamo immaginare la furia e l’angoscia di Erode. Così, quando san Matteo dice: “Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”, si tratta sicuramente di un modo molto delicato di esprimersi. Ovviamente, Erode non poteva mostrare la sua rabbia; doveva saper manovrare: il suo obiettivo era ottenere qualche informazione su questo bambino, un potenziale rivale da eliminare. Perciò si informa prima di tutto sul luogo.  Matteo scrive che convocò i capi dei sacerdoti e gli scribi per chiedere loro dove sarebbe nato il Messia. Ed è qui che interviene la profezia di Michea: il Messia sarebbe nato a Betlemme. Erode si informa inoltre sull’età del bambino, perché aveva già in mente un piano per eliminarlo. Convocò i Magi per chiedere loro il momento preciso in cui era apparsa la stella. Non conosciamo la loro risposta, ma gli eventi successivi ci permettono di dedurla: Erode ordinò di uccidere tutti i bambini di età inferiore ai due anni, prendendo così un ampio margine. Molto probabilmente, nel racconto della visita dei Magi, Matteo ci offre già un riassunto di tutta la vita di Gesù: sin dall’inizio, a Betlemme, incontrò l’ostilità e la collera delle autorità politiche e religiose. Non lo riconoscono come il Messia, lo trattano da impostore e alla fine lo eliminano crocifiggendolo come un malfattore . Eppure, era davvero il Messia. Grande lezione di fede per tutti! E’ proprio vero: solamente chi cerca Dio con sincerità e senza preconcetti arriva, come i Magi, a incontrarlo e a entrare nel piano della sua Misericordia infinita

 

N.B. Unisco questa preghiera tratta dal libretto di preghiere del santuario Santissima Trinità Misericordia di Maccio – Como

 

PREGHIERA ALLA SS. TRINITÀ PER IL DONO DELLA FEDE

Signore, sostieni la mia Fede!

O Mio Signor, o Mio Dio,

con fede profondissima son qui prostrato a Te.

Tu sei Speranza Certa in cui son fatto salvo!

Tu sei Misericordia che in Te tutto m’attiri!

Tu sei la Carità, Tu Tutto a me donato!

Tu sei l’Amore Eterno in cui il mio cuor s’acqueta!

Per questo Dono immenso,

di Te che Tutto sei e a me Tutto Ti doni,

del buio de la mia notte la Luce il velo squarcia,

e canto e prego e grido, con quanta fede io possa:

Io credo, io credo, io credo,

in te Dio Uno e Trino, mio Unico Signore!

Tu, Padre, Tu, Principio, che d’essa sei la Fonte;

Tu, Figlio, Eterno Verbo, per Cui essa s’accresce;

Tu, Spirito Divino, che in essa me confermi.

Tu, Trinità Santissima, Mistero impenetrabile di Te Unico Dio,

nel Sacrificio Santo del Dio che si fa Figlio,

fa’ che io trovi ognora Cibo, Conforto e Forza

e l’Acqua che purifica,

per render più salda e santa,

in Te che sei la Via, La Verità e la Vita,

per la sicura mano de la Virgo Purissima

che a Te, e da Te per me, Tu Amor, Madre facesti,

fermo e sicur restando

nel seno della tua Santa ed Amata Sposa,

la Fede che, nel Figlio, mi unisce e fa’ dono a Te!

 

+ Giovanni D’Ercole

Moltiplicazione per Condivisione

(Mc 6,34-44)

 

«L’uomo è l’essere-limite che non ha limite» (Fratelli Tutti n.150).

Nel cuore abbiamo un gran desiderio di appagamento e Felicità. Il Padre lo ha introdotto, Lui stesso lo soddisfa - ma ci vuole associati alla sua opera - dentro e fuori di noi.

Il Figlio riflette il disegno di Dio nella compassione per le folle bisognose di tutto e - malgrado la pletora di maestri ed esperti - prive di qualsiasi insegnamento autentico (v.34).

La sua soluzione è diversissima da quella di tutte le guide “spirituali”, perché non ci sorvola con un paternalismo indiretto (v.37) che asciughi le lacrime, rimargini le ferite, cancelli le umiliazioni.

Invita a utilizzare in prima persona ciò che siamo e abbiamo, sebbene possa apparire cosa ridicola. Ma insegna in modo assolutamente netto che spostando le energie si realizzano risultati prodigiosi.

Così rispondiamo in Cristo ai grandi problemi del mondo: recuperando la condizione dell’uomo viator - essere di passaggio, sua impronta essenziale - e condividendo i beni; non lasciando che ciascuno si arrangi (v.36).

La nostra reale nudità, le peripezie e l’esperienza dei molti fratelli diversi, sono risorse da non valutare con diffidenza, «come concorrenti o nemici pericolosi» della nostra realizzazione (FT n.152).

Non solo quel poco che rechiamo basterà a saziarci, ma avanzerà per altri e con identica pienezza di verità, umana, epocale (vv.42-43).

Il nuovo popolo di Dio non è una folla di gente scelta e pura. Ognuno reca con sé problemi, che il Signore guarisce - curando non con provvedimenti per procura (v.37), come dal di sopra o dal di fuori.

Insomma: un altro mondo è possibile, però attraverso lo spezzare il proprio (anche misero) pane e companatico (v.38).

Soluzione autentica, se la si fa emergere da dentro, e stando in mezzo - non davanti, non a capo, non in alto (v.36).

 

Il luogo della Rivelazione di Dio doveva essere quello delle saette, su un “monte” fumante come di fornace (Es 19,18)... ma infine persino lo zelo violento di Elia aveva dovuto ricredersi (1Re 19,12).

Anche a donne e uomini d’altra sponda (vv.31-32) il Figlio rivela un Padre il quale non semplicemente cancella le infermità, ma le fa capire come luogo che sta preparando uno sviluppo personale, e quello della Comunità.

S’immaginava che nei tempi del Messia, tutti i bisognosi sarebbero scomparsi (Is 35,5ss.). ‘Età dell’oro’: tutto al vertice, nessun abisso.

In Gesù - Pane distribuito - si manifesta una pienezza dei tempi inconsueta, apparentemente nebulosa e fragile (v.38) ma reale e in grado di riavviare persone e relazioni.

Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte, poste nelle mani del Figlio e dinamizzate (v.41).

Le stesse cadute possono essere un segnale prezioso; in Cristo, non sono più semplici umiliazioni, ma indicatori di percorso (vv.32-34): forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse.

Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti, non confezionate) e ricerca di completamento totale nella Comunione.

 

L’immagine del Regno nella gracile Eucaristia non elimina il difetto e la morte: li assume e trasfigura in punti di forza; creando incontro, dialogo, predilezione per le realtà minime - e Nuova Alleanza.

 

 

[Feria propria dell’8 gennaio]

Giovedì, 02 Gennaio 2025 06:35

Moltiplicazione per Condivisione

La soluzione diversissima

(Mc 6,34-44)

 

«L’uomo è l’essere-limite che non ha limite» (Fratelli Tutti n.150).

Nel cuore abbiamo un gran desiderio di appagamento e Felicità. Il Padre lo ha introdotto, Lui stesso lo soddisfa - ma ci vuole associati alla sua opera - dentro e fuori di noi.

Il Figlio riflette il disegno di Dio nella compassione per le folle bisognose di tutto e - malgrado la pletora di maestri ed esperti - prive di qualsiasi insegnamento autentico (v.34).

La sua soluzione è diversissima da quella di tutte le guide “spirituali”, perché non ci sorvola con un paternalismo indiretto (v.37) che asciughi le lacrime, rimargini le ferite, cancelli le umiliazioni.

Invita a utilizzare in prima persona ciò che siamo e abbiamo, sebbene possa apparire cosa ridicola. Ma insegna in modo assolutamente netto che spostando le energie si realizzano risultati prodigiosi.

Così rispondiamo in Cristo ai grandi problemi del mondo: recuperando la condizione dell’uomo viator - essere di passaggio, sua impronta essenziale - e condividendo i beni; non lasciando che ciascuno si arrangi (v.36).

La nostra reale nudità, le peripezie e l’esperienza dei molti fratelli diversi, sono risorse da non valutare con diffidenza: «come concorrenti o nemici pericolosi» della nostra realizzazione (FT n.151).

Non solo quel poco che rechiamo basterà a saziarci, ma avanzerà per altri e con identica pienezza di verità, umana, epocale (vv.42-43: il passo particolare insiste sulla simbologia semitica del numero “dodici”).

 

In Cristo, ciascuno può inaugurare un Tempo nuovo, e la Salvezza è già a portata di mano, perché la gente si riunisce spontaneamente intorno a Lui, giungendo così com’è, col carico dei tanti bisogni differenti.

Il nuovo popolo di Dio non è una folla di gente scelta e pura. Ognuno reca con sé problemi che il Signore guarisce - curando non con provvedimenti per procura (v.37), come dal di sopra o dal di fuori.

Insomma: un altro mondo è possibile, però attraverso lo spezzare il proprio (anche misero) pane e companatico (v.38).

Soluzione autentica, se la si fa emergere da dentro, e stando in mezzo - non davanti, non a capo, non in alto (v.36).

Nella simbologia dei cinque pani e due pesci (v.38) - in prospettiva cristologica - significa: assumendo la tradizione anche legalista che ha fatto da saggio nutrimento base (5 libri della Torah), quindi la propria storia e afflato sapienziale (Scritti: Kethubhiim) nonché l'indole profetica (Nevi’im: Profeti).

[Come diceva s. Agostino: «La Parola di Dio che ogni giorno viene a voi spiegata e in un certo senso “spezzata” è anch’essa Pane quotidiano» (Sermo 58, IV: PL 38,395). Alimento completo: cibo base e “companatico” - storico e ideale, in codice e in atto].

 

Il luogo della Rivelazione di Dio doveva essere quello delle saette, su un “monte” fumante come di fornace (Es 19,18)... ma infine persino lo zelo violento di Elia aveva dovuto ricredersi (1Re 19,12).

Anche a donne e uomini d’altra sponda (vv.31-32) il Figlio rivela un Padre il quale non semplicemente cancella le infermità: le fa capire come luogo che sta preparando uno sviluppo personale, e quello della Comunità.

S’immaginava che nei tempi del Messia, tutti i bisognosi sarebbero scomparsi (Is 35,5ss.). Età dell’oro: tutto al vertice, nessun abisso.

In Gesù - Pane distribuito - si manifesta una pienezza dei tempi inconsueta, apparentemente nebulosa e fragile (v.38) ma reale e in grado di riavviare persone e relazioni.

 

Lo Spirito di Dio agisce non calandosi dall’alto, bensì attivando in noi capacità che appaiono impalpabili, eppure in grado di raggranellare il nostro essere disperso, classificato inconsistente - che coinvolge il sommario di tutti i giorni - e lo rivaluta.

L’Incarnazione ritesse il cuore in dignità e promozione; si dispiega realmente, perché non trascina via le povertà e gli ostacoli: poggia su di essi e non li cancella affatto. Così li surclassa, ma trasmutandoli: creando nuova vita.

Linfa che trae succo e germoglia Fiori dall’unico terreno melmoso e fecondo, e li comunica. Solidarietà cui sono invitati tutti, non solo quelli ritenuti in condizione di “perfezione” e compattezza.

 

Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, bensì assunte, poste nelle mani del Figlio e dinamizzate (v.41).

Le stesse cadute possono essere un segnale prezioso; in Cristo, non sono più semplici umiliazioni, bensì indicatori di percorso (vv.32-34): forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse.

Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti, non confezionate), e ricerca di completamento totale nella Comunione.

Quindi, nell’ideale di realizzare la Vocazione e intuire il tipo di contributo da porgere, nulla di meglio d’un ambiente vivo, che non tarpi le ali: una fraternità vivace nello scambio delle qualità.

Non tanto per attutirci gli scossoni, ma perché siamo messi in grado di edificare magazzini sapienziali non tarati da nomenclature - bensì colmi di risorse personali e relazioni cui tutti possono attingere, persino i diversi e lontani da noi.

«Insieme», i “momenti no” divengono subito una molla per non stagnare nelle medesime situazioni di sempre - rigenerando, procedendo altrove; anche di molto.

Così, I fallimenti che mettono in bilico servono a farci accorgere di ciò che non avevamo notato, quindi a deviare da un destino conformista.

Essi costringono a cercare suggerimenti, differenti orizzonti e relazioni, un completamento che non avevamo immaginato.

 

Insomma, il nostro Cielo è intrecciato alla carne, alla terra e alla nostra polvere: un Sovrannaturale che sta dentro e in basso, anche nell’anima dei crollati a terra; non dietro le nuvole.

È il contatto diretto con il nostro humus colmo di succhi regali che rigenera e addirittura ci crea... come donne e uomini nuovi, appena ri-partoriti nella condivisione.

L’immagine del Regno nella gracile Eucaristia non elimina il difetto e la morte: li assume e trasfigura in punti di forza; creando incontro, dialogo, predilezione per le realtà minime - e Nuova Alleanza (francamente propulsiva).

Purtroppo, il target esagerato dei films sul Gesù che “moltiplica” l’abbondanza ci porta completamente fuori strada.

Genera i devoti dell’accrescimento... che disdegnano la divisione (triplicatori di denari, proprietà, titoli, traguardi, rapporti che contano, e così via).

Viceversa, in Cristo che distribuisce ogni cosa diventiamo come un corpus attualizzato e propulsivo di testimoni (e Scritture viventi!) sensibile.

Infanti nel Signore, nuotiamo in questa differente Acqua - a volte forse esteriormente velata o melmosa e torbida, ma infine fatta trasparente anche solo perché arrendevole, compassionevole (v.34) e benevola.

La vecchia pozzanghera esclusiva della religione che non osa il rischio della Fede (v.33) non avrebbe aiutato ad assimilare la proposta del Messia che risolve i problemi del mondo senza fulmini immediati, né scorciatoie.

 

Egli è in noi che ne abbiamo abbracciato la proposta di vita. E la sua Vittoria è questo Popolo, fraterno.

Iniziativa-Risposta del Padre, sostegno nel viaggio alla ricerca della Speranza dei poveri - di tutti noi indigenti in attesa.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Hai mai trasmesso felicità e compiuto recuperi che rinnovano i rapporti o rimettono in piedi le persone che neppure hanno stima di sé?

Il tuo Viaggio della Speranza è etereo o concreto?

Giovedì, 02 Gennaio 2025 06:28

Vocazione e Mistero da offrire al mondo

Eucaristia, pane spezzato per la vita del mondo

88. « Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo » (Gv 6,51). Con queste parole il Signore rivela il vero significato del dono della propria vita per tutti gli uomini. Esse ci mostrano anche l'intima compassione che Egli ha per ogni persona. In effetti, tante volte i Vangeli ci riportano i sentimenti di Gesù nei confronti degli uomini, in special modo dei sofferenti e dei peccatori (cfr Mt 20,34; Mc 6,34; Lc 19,41). Egli esprime attraverso un sentimento profondamente umano l'intenzione salvifica di Dio per ogni uomo, affinché raggiunga la vita vera. Ogni Celebrazione eucaristica attualizza sacramentalmente il dono che Gesù ha fatto della propria vita sulla Croce per noi e per il mondo intero. Al tempo stesso, nell'Eucaristia Gesù fa di noi testimoni della compassione di Dio per ogni fratello e sorella. Nasce così intorno al Mistero eucaristico il servizio della carità nei confronti del prossimo, che « consiste appunto nel fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neanche conosco. Questo può realizzarsi solo a partire dall'intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento. Allora imparo a guardare quest'altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo ».(240) In tal modo riconosco, nelle persone che avvicino, fratelli e sorelle per i quali il Signore ha dato la sua vita amandoli « fino alla fine » (Gv 13,1). Di conseguenza, le nostre comunità, quando celebrano l'Eucaristia, devono prendere sempre più coscienza che il sacrificio di Cristo è per tutti e pertanto l'Eucaristia spinge ogni credente in Lui a farsi « pane spezzato » per gli altri, e dunque ad impegnarsi per un mondo più giusto e fraterno. Pensando alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, dobbiamo riconoscere che Cristo ancora oggi continua ad esortare i suoi discepoli ad impegnarsi in prima persona: « Date loro voi stessi da mangiare » (Mt 14,16). Davvero la vocazione di ciascuno di noi è quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo.

[Papa Benedetto, Sacramentum caritatis]

Giovedì, 02 Gennaio 2025 06:25

La profondità del Segno

“Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”.

Dinanzi alla folla, che lo ha seguito dalle rive del mare di Galilea fin verso la montagna per ascoltare la sua parola, Gesù dà inizio, con questa domanda, al miracolo della moltiplicazione dei pani, che costituisce il significativo preludio al lungo discorso, nel quale si rivela al mondo come il vero pane della vita disceso dal cielo (cf. Gv 6,41).

1. Abbiamo ascoltato il racconto evangelico: con cinque pani d’orzo e con due pesci, messi a disposizione da un ragazzo, Gesù sfama circa cinquemila uomini. Ma questi, non comprendendo la profondità del “segno” in cui sono stati coinvolti, sono convinti di aver trovato finalmente il Re-Messia, che risolverà i problemi politici ed economici della loro Nazione. Di fronte a tale ottuso fraintendimento della sua missione, Gesù si ritira, tutto solo, sulla montagna.

Anche noi, Sorelle e Fratelli carissimi, abbiamo seguito Gesù e continuiamo a seguirlo. Ma possiamo e dobbiamo chiederci: con quale atteggiamento interiore?Con quello autentico della fede, che Gesù attendeva dagli Apostoli e dalla folla sfamata, oppure con un atteggiamento di incomprensione? Gesù si presentava in quella occasione come, anzi più di Mosè, che nel deserto aveva sfamato il popolo israelita durante l’esodo; si presentava come, anzi più di Eliseo, che con venti pani d’orzo e di farro aveva dato da mangiare a cento persone. Gesù si manifestava, e si manifesta oggi a noi, come Colui che è capace di saziare per sempre la fame del nostro cuore: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete” (Gv 6,33).

E l’uomo, specialmente quello contemporaneo, ha tanta fame: fame di verità, di giustizia, di amore, di pace, di bellezza; ma, soprattutto, fame di Dio. “Noi dobbiamo essere affamati di Dio!” esclama Sant’Agostino (“famelici Dei esse debemus” (S. Agostino, Enarrat. in Ps. 146, 17: PL 37,1895ss.). È lui, il Padre celeste, che ci dona il vero pane!

2. Questo pane, di cui abbiamo bisogno, è anzitutto il Cristo, il quale si dona a noi nei segni sacramentali dell’Eucaristia, e ci fa sentire, in ogni Messa, le parole dell’ultima Cena: “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”. Col sacramento del pane eucaristico – afferma il Concilio Vaticano II – “viene rappresentata e prodotta l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo Corpo in Cristo (cf. 1Cor 10,17). Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo che è luce del mondo; da lui veniamo, per lui viviamo, a lui siamo diretti” (Lumen Gentium, 3).

Il pane di cui abbiamo bisogno è, inoltre, la parola di Dio, perché “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio” (Mt 4,4; cf. Dt 8,3). Indubbiamente, anche gli uomini possono esprimere e pronunciare parole di alto valore. Ma la storia ci mostra come le parole degli uomini siano talvolta insufficienti, ambigue, deludenti, tendenziose; mentre la Parola di Dio è piena di verità (cf. 2Sam 7,28;1Cor 15,26); è retta (Sal 33,4); è stabile e rimane in eterno (cf. Sal 119,89;1Pt 1,25). 

Dobbiamo metterci continuamente in religioso ascolto di tale Parola; assumerla come criterio del nostro modo di pensare e di agire; conoscerla, mediante l’assidua lettura e la personale meditazione; ma, specialmente, dobbiamo farla nostra, realizzarla, giorno dopo giorno, in ogni nostro comportamento.

Il pane, infine, di cui abbiamo bisogno, è la grazia; e dobbiamo invocarla, chiederla con sincera umiltà e con instancabile costanza, ben sapendo che essa è quanto di più prezioso possiamo possedere.

3. Il cammino della nostra vita, tracciatoci dall’amore provvidenziale di Dio, è misterioso, talvolta umanamente incomprensibile, e quasi sempre duro e difficile. Ma il Padre ci dona il “pane del cielo” (cf. Gv 6,32), per essere rinfrancati nel nostro pellegrinaggio sulla terra.

Mi piace concludere con un passo di Sant’Agostino, che sintetizza mirabilmente quanto abbiamo meditato: “Si comprende molto bene... come la tua Eucaristia sia il cibo quotidiano. Sanno infatti i fedeli che cosa essi ricevono ed è bene che essi ricevano il pane quotidiano necessario per questo tempo. Pregano per loro stessi, per diventare buoni, per essere perseveranti nella bontà, nella fede, e nella vita buona... la parola di Dio, che ogni giorno viene a voi spiegata e, in un certo senso, spezzata, è anch’essa pane quotidiano” (S. Agostino, Sermo 58, IV: PL 38,395).

Che Cristo Gesù moltiplichi sempre, anche per noi, il suo pane!

Così sia!

[Papa Giovanni Paolo II, omelia 29 luglio 1979]

Giovedì, 02 Gennaio 2025 06:16

Ci fa pensare

Gv 6,1-15 presenta il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Vedendo la grande folla che lo aveva seguito nei pressi del lago di Tiberiade, Gesù si rivolge all’apostolo Filippo e domanda: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?» (v. 5). I pochi denari che Gesù e gli apostoli possiedono, infatti, non bastano per sfamare quella moltitudine. Ed ecco che Andrea, un altro dei Dodici, conduce da Gesù un ragazzo che mette a disposizione tutto quello che ha: cinque pani e due pesci; ma certo – dice Andrea – sono niente per quella folla (cfr v. 9). Bravo questo ragazzo! Coraggioso. Anche lui vedeva la folla, e vedeva i suoi cinque pani. Dice: “Io ho questo: se serve, sono a disposizione”. Questo ragazzo ci fa pensare… Quel coraggio… I giovani sono così, hanno coraggio. Dobbiamo aiutarli a portare avanti questo coraggio. Eppure Gesù ordina ai discepoli di far sedere la gente, poi prende quei pani e quei pesci, rende grazie al Padre e li distribuisce (cfr v. 11), e tutti possono avere cibo a sazietà. Tutti hanno mangiato quello che volevano.

Con questa pagina evangelica, la liturgia ci induce a non distogliere lo sguardo da quel Gesù che domenica scorsa, nel Vangelo di Marco, vedendo «una grande folla, ebbe compassione di loro» (6,34). Anche quel ragazzo dei cinque pani ha capito questa compassione, e dice: “Povera gente! Io ho questo…”. La compassione lo ha portato a offrire quello che aveva. Oggi infatti Giovanni ci mostra nuovamente Gesù attento ai bisogni primari delle persone. L’episodio scaturisce da un fatto concreto: la gente ha fame e Gesù coinvolge i suoi discepoli perché questa fame venga saziata. Questo è il fatto concreto. Alle folle, Gesù non si è limitato a donare questo – ha offerto la sua Parola, la sua consolazione, la sua salvezza, infine la sua vita –, ma certamente ha fatto anche questo: ha avuto cura del cibo per il corpo. E noi, suoi discepoli, non possiamo far finta di niente. Soltanto ascoltando le più semplici richieste della gente e ponendosi accanto alle loro concrete situazioni esistenziali si potrà essere ascoltati quando si parla di valori superiori.

L’amore di Dio per l’umanità affamata di pane, di libertà, di giustizia, di pace, e soprattutto della sua grazia divina, non viene mai meno. Gesù continua anche oggi a sfamare, a rendersi presenza viva e consolante, e lo fa attraverso di noi. Pertanto, il Vangelo ci invita ad essere disponibili e operosi, come quel ragazzo che si accorge di avere cinque pani e dice: “Io dò questo, poi tu vedrai…”. Di fronte al grido di fame – ogni sorta di “fame” – di tanti fratelli e sorelle in ogni parte del mondo, non possiamo restare spettatori distaccati e tranquilli. L’annuncio di Cristo, pane di vita eterna, richiede un generoso impegno di solidarietà per i poveri, i deboli, gli ultimi, gli indifesi. Questa azione di prossimità e di carità è la migliore verifica della qualità della nostra fede, tanto a livello personale, quanto a livello comunitario.

Poi, alla fine del racconto, Gesù, quando tutti furono saziati, Gesù disse ai discepoli di raccogliere i pezzi avanzati, perché nulla andasse perduto. E io vorrei proporvi questa frase di Gesù: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto» (v. 12). Penso alla gente che ha fame e a quanto cibo avanzato noi buttiamo… Ognuno di noi pensi: il cibo che avanza a pranzo, a cena, dove va? A casa mia, cosa si fa con il cibo avanzato? Si butta? No. Se tu hai questa abitudine, ti dò un consiglio: parla con i tuoi nonni che hanno vissuto il dopoguerra, e chiedi loro che cosa facevano col cibo avanzato. Non buttare mai il cibo avanzato. Si rifà o si dà a chi possa mangiarlo, a chi ha bisogno. Mai buttare il cibo avanzato. Questo è un consiglio e anche un esame di coscienza: cosa si fa a casa col cibo che avanza?

Preghiamo la Vergine Maria, perché nel mondo prevalgano i programmi dedicati allo sviluppo, all’alimentazione, alla solidarietà, e non quelli dell’odio, degli armamenti e della guerra.

[Papa Francesco, Angelus 29 luglio 2018]

Mercoledì, 01 Gennaio 2025 04:23

Conversione e Regno Vicino

Accogliere e non trasferire valutazioni

(Mt 4,12-17.23-25)

 

Il Regno è vicino se grazie al nostro coinvolgimento Dio viene sulla terra e la felicità bussa alla porta, convertendoci a qualcosa di profondamente nuovo: scelte di luce in vece del giudizio, del possesso, dell’esercizio del potere, dello sfoggio di gloria.

Il Vangelo di Mt è stato scritto per sostenere le comunità di Galilea e Siria, composte di giudei convertiti, i quali soffrivano le accuse d’aver tradito le promesse del Patto e accolto i pagani.

Scopo del testo è far emergere la figura di Gesù Messia [non più il figlio di Davide] che reca salvezza, dispiegata oltre i perimetri: non solo al popolo eletto e agli osservanti dei suoi cliché normativi.

Egli non esclude nessuno, e tutti devono sentirsi adeguati.

Già nella genealogia iniziale, Mt preannuncia l’ecclesiologia universale del nuovo Rabbi qual fonte di benedizione ampia, anche fuori d’Israele e le osservanze.

Realtà non ambiziosa, alternativa all’Impero o alla vita di culture ristrette - assolutamente non allestita né retta da noi.

 

La triste situazione dei tempi antichi (vv.14-16) è alle spalle.

Persino nel Discorso de «il Monte» - al quale Mt 4 prepara l’uditorio - l’evangelista sottolinea lo specifico della vocazione delle fraternità cristiane.

Loro tratto speciale: volgersi a tutta la terra, persino i nemici. Senza presunzione, senza preclusione alcuna.

In Cristo, non c’è più imperfezione, sbaglio o condizione malferma che possa tenerci distanti.

Ciascuno è indispensabile e prezioso. Tutti sono legittimati. Nessuno deve espiare.

In tal guisa, la Chiamata a non sentirsi emarginati, la Vocazione a non trascurarsi e non trascurare, viene ribadita in tutto il libro.

L’Araldo autentico e divino non alza il tono né il ritmo, non spezza la canna incrinata (Mt 12,2-3), supera le frontiere di purità e razza.

Tale la base della buona formazione degli intimi. Poi invia i discepoli a tutti i popoli - nello stile dell’aprirsi senza remore, e non fare gli schizzinosi.

 

L’idea compiuta di ciò che oggi chiameremmo «cultura dell’incontro» nasceva già nel confronto con la realtà interna della scuola del Battista.

Il figlio di Zaccaria ed Elisabetta pretendeva essere in grado di ben ‘preparare’ la Venuta del Regno. Viceversa, esso permaneva imprevedibile - non subito pieno di giudizi.

Invece, se il Regno dalle sfaccettature inattese è qui, non c’è che da viverlo appieno e con stupore.

Stimolo verso un’umanizzazione a tutto tondo - fondata sullo scambio di doni, la libertà creativa dell’amore, e uno spirito di larga comprensione.

È una Voce nuova: che ricompone l’intima energia di tutti, e dispiega la sua Guida superiore.

Appello radicale che in ogni donna e uomo indirizza e compie persino i disturbi - un mondo che ci appartiene, solo apparentemente inferiore.

E va oltre l’assoluto pio dei piani esclusivi o delle mortificazioni.

Una realtà che non trasferisce valutazioni al di là della persona - ma la sa attendere e non detta procedure, misure, cadenze altrui; elettive.

Nessun primo piano, neppure religiosamente “corretto”.

 

 

[Feria propria del 7 gennaio]

Mercoledì, 01 Gennaio 2025 04:18

Conversione e Regno Vicino

Accogliere e non trasferire valutazioni

(Mt 4,12-17.23-25)

 

Il Regno è vicino se grazie al nostro coinvolgimento Dio viene sulla terra e la felicità bussa alla porta, convertendoci a qualcosa di profondamente nuovo: scelte di luce in vece del giudizio, del possesso, dell’esercizio del potere, dello sfoggio di gloria.

Il Vangelo di Mt è stato scritto per sostenere le comunità di Galilea e Siria, composte di giudei convertiti, i quali soffrivano le accuse d’aver tradito le promesse del Patto e accolto i pagani.

Scopo del testo è far emergere la figura di Gesù Messia [non più il figlio di Davide] che reca salvezza, dispiegata oltre i perimetri: non solo al popolo eletto e agli osservanti dei suoi cliché normativi.

Egli non esclude nessuno, e tutti devono sentirsi adeguati.

Già nella genealogia iniziale, Mt preannuncia l’ecclesiologia universale del nuovo Rabbi qual fonte di benedizione ampia, anche fuori d’Israele e le osservanze.

Realtà non ambiziosa, alternativa all’Impero o alla vita di culture ristrette - assolutamente non allestita né retta da noi.

 

Per incoraggiare i suoi fedeli a non temere di essere esclusi, e riconoscersi nel Maestro, l’evangelista ribadisce appunto il criterio di redenzione senza confini.

Lo fa nel testo dei Magi e in quello in oggetto: una salvezza proposta come in viaggio, e senza troppo battagliare contro.

La triste situazione dei tempi antichi (vv.14-16) è alle spalle.

Persino nel Discorso de «il Monte» - al quale Mt 4 prepara l’uditorio - l’autore evangelista sottolinea lo specifico della vocazione delle fraternità cristiane.

Loro tratto speciale: volgersi a tutta la terra, persino i nemici. Senza presunzione, senza preclusione alcuna.

In Cristo, non c’è più imperfezione, sbaglio o condizione malferma che possa tenerci distanti.

Ciascuno è indispensabile e prezioso. Tutti sono legittimati. Nessuno deve espiare.

In tal guisa, la Chiamata a non sentirsi emarginati, la Vocazione a non trascurarsi e non trascurare, viene ribadita in modo diffuso in tutto il libro.

 

L’Araldo autentico e divino non alza il tono né il ritmo, non spezza la canna incrinata (Mt 12,2-3), supera le frontiere di purità e razza.

Tale la base della buona formazione degli intimi; nessun gap culturale, etnico, né di bagaglio religioso.

Il giovane Annunciatore poi invia i discepoli a tutti i popoli - nello stile dell’aprirsi senza remore, e non fare gli schizzinosi.

L’idea compiuta di ciò che oggi chiameremmo “cultura dell’incontro”, nasceva già nel confronto con la realtà interna della scuola del Battista.

Il figlio di Zaccaria ed Elisabetta pretendeva essere in grado di ben preparare la Venuta del Regno. Viceversa, esso permaneva imprevedibile.

Un ambiente - quello di Giovanni - in cui l’Annuncio non era unicamente positivo, né sempre pieno di vita e solo di gioia e accoglienza: spesso di giudizio e taglio netto.

Il Battezzatore non legittimava pienamente la spontaneità, i modi propri di ciascuno. Non spegneva i timori; né le paure di ogni anima perplessa, di poter essere “sbagliata”.

Invece, se il Regno dalle sfaccettature inattese è qui, non c’è che da viverlo appieno e con stupore.

 

Al seguito del Battista [e allievo, insieme ai suoi primi discepoli] il nuovo Maestro aveva colto in modo definitivo la differenza tra dinamiche ascetiche riduzioniste e il progetto di salvezza del Padre.

Stimolo verso un’umanizzazione a tutto tondo - fondata sullo scambio di doni, la libertà creativa dell’amore, e uno spirito di larga comprensione.

 

La missione luminosa e di carattere universale del Figlio di Dio non viene capita se non da pochissimi - tutta gente fragile e di poco conto - e tardava ad affermarsi.

È la condizione dei fedeli cui si rivolge Mt.

Gli amici del Signore non devono lasciarsi andare, se non riescono a convincere tutti, immediatamente.

Troppo difficile far credere ai religiosi veterani e alle loro realtà consolidate che nessuno ha l’esclusiva.

Anche i forti e sicuri di sé devono solo accettare la Vita che viene - figuriamoci deboli ed erranti.

Ma sino a quando lo stesso Precursore non viene imprigionato e messo a tacere, anche il Messia autentico vive quasi all’ombra dell’ultimo dei Profeti antichi (cf. Gv 3,22-23).

Poi si vede costretto a fuggire persino dal suo piccolo villaggio, tradizionalista e nazionalista (Mt 4,12-13.25).

Nessuno riusciva a credere ad un Regno senza grandi proclami e ardue condizioni.

Sembrava impossibile che l’Eterno potesse condividere la sua vita a maglie larghe; già fra noi, così ordinaria e niente di eccezionale.

Come fosse un Padre che trascende ma ci accosta tutti, senza previe condizioni di purità.

 

Sembrava improbabile passare dall’idea d’imminenza dell’impero di potenza annunciato, a una sua presenza quotidiana e non clamorosa.

A maggior ragione - tutto ciò, nella Persona del Messia servitore; non giustiziere, né capo, o vendicatore autosufficiente.

Vicinanza tanto dimessa, nulla di clamoroso, proprio al pari dei suoi amici, convertiti appunto dal giudaismo popolare e dal paganesimo.

Per animare le chiese in un momento critico, Mt fa emergere nella stessa vicenda del Signore il vissuto caratteristico e i medesimi picchi di discriminazione patiti dai poveri membri delle sue minuscole fraternità.

Al pari di Gesù, essi non dovevano lasciarsi prendere da spavento, condanne, grettezza d’idee separatiste e distintive, né dal sentirsi minoranza - o da timori per i rischi di persecuzione.

Infatti, i rinati da tale Spirito largo non dovevano soffocare più le loro tendenze, inclinazioni innate, percependo la mente e le capacità naturali come conflitto da aggiustare secondo modelli.

Non siamo chiamati a una piccola e stagnante delega, bensì a essere Luce e Presenza - in movimento - verso noi stessi e le moltitudini che riconosciamo dentro e fuori di noi (vv.23-25).

Anche con Fede silenziosa e non forsennata.

 

Il Carattere sapienziale innato trasmesso da Dio creatore a ciascuno può affiorare ovunque, nell’autenticità dell’Evangelo.

La Parola valica i sacri confini: in specie quando essa si fa eco non artificioso della nostra essenza, e richiamo dell’istinto bonario.

È una Voce nuova: che ricompone l’intima energia di tutti, e dispiega la sua Guida superiore.

Appello radicale che in ogni donna e uomo indirizza e compie persino i disturbi - un mondo che ci appartiene, solo apparentemente inferiore.

E va oltre l’assoluto pio dei piani esclusivi o delle mortificazioni.

Una realtà che non trasferisce valutazioni al di là della persona - ma la sa attendere e non detta procedure, misure, cadenze altrui; elettive.

Nessun primo piano, neppure religiosamente “corretto”.

 

Commentando il Tao Tê Ching (i) il maestro Ho-shang Kung afferma: «Mistero è il Cielo. Dice che tanto l’uomo che ha desideri quanto quello che non ne ha, ricevono parimenti il ch’ì dal Cielo».

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come puoi evitare le chiusure culturali, dottrinali o di carisma (già tutto progettato-regolato), e vivere l’universalità della nuova umanizzazione? 

Qual è il metro di valutazione con cui la tua realtà ecclesiale approccia i diversi?

 

 

Significato di “Vangeli”, e Guarigione integrale

 

Nella liturgia odierna l'evangelista Matteo presenta l'inizio della missione pubblica di Cristo. Essa consiste essenzialmente nella predicazione del Regno di Dio e nella guarigione dei malati, a dimostrare che questo Regno si è fatto vicino, anzi, è ormai venuto in mezzo a noi. Gesù comincia a predicare in Galilea, la regione in cui è cresciuto, territorio di "periferia" rispetto al centro della nazione ebraica, che è la Giudea, e in essa Gerusalemme. Ma il profeta Isaia aveva preannunciato che quella terra, assegnata alle tribù di Zabulon e di Neftali, avrebbe conosciuto un futuro glorioso: il popolo immerso nelle tenebre avrebbe visto una grande luce (cfr Is 8, 23-9, 1), la luce di Cristo e del suo Vangelo (cfr Mt 4, 12-16). Il termine "vangelo", ai tempi di Gesù, era usato dagli imperatori romani per i loro proclami. Indipendentemente dal contenuto, essi erano definiti "buone novelle", cioè annunci di salvezza, perché l'imperatore era considerato come il signore del mondo ed ogni suo editto come foriero di bene. Applicare questa parola alla predicazione di Gesù ebbe dunque un senso fortemente critico, come dire: Dio, non l'imperatore, è il Signore del mondo, e il vero Vangelo è quello di Gesù Cristo.

La "buona notizia" che Gesù proclama si riassume in queste parole: "Il regno di Dio - o regno dei cieli - è vicino" (Mt 4, 17; Mc 1, 15). Che significa questa espressione? Non indica certo un regno terreno delimitato nello spazio e nel tempo, ma annuncia che è Dio a regnare, che è Dio il Signore e la sua signoria è presente, attuale, si sta realizzando. La novità del messaggio di Cristo è dunque che Dio in Lui si è fatto vicino, regna ormai in mezzo a noi, come dimostrano i miracoli e le guarigioni che compie. Dio regna nel mondo mediante il suo Figlio fatto uomo e con la forza dello Spirito Santo, che viene chiamato "dito di Dio" (cfr Lc 11, 20). Dove arriva Gesù, lo Spirito creatore reca vita e gli uomini sono sanati dalle malattie del corpo e dello spirito. La signoria di Dio si manifesta allora nella guarigione integrale dell'uomo. Con ciò Gesù vuole rivelare il volto del vero Dio, il Dio vicino, pieno di misericordia per ogni essere umano; il Dio che ci fa dono della vita in abbondanza, della sua stessa vita. Il regno di Dio è pertanto la vita che si afferma sulla morte, la luce della verità che disperde le tenebre dell'ignoranza e della menzogna.

Preghiamo Maria Santissima, affinché ottenga sempre alla Chiesa la stessa passione per il Regno di Dio che animò la missione di Gesù Cristo: passione per Dio, per la sua signoria d'amore e di vita; passione per l'uomo, incontrato in verità col desiderio di donargli il tesoro più prezioso: l'amore di Dio, suo Creatore e Padre.

[Papa Benedetto, Angelus 27 gennaio 2008]

Mercoledì, 01 Gennaio 2025 04:12

Vangeli: Guarigione integrale

Cari fratelli e sorelle!

Nella liturgia odierna l'evangelista Matteo, che ci accompagnerà lungo tutto questo anno liturgico, presenta l'inizio della missione pubblica di Cristo. Essa consiste essenzialmente nella predicazione del Regno di Dio e nella guarigione dei malati, a dimostrare che questo Regno si è fatto vicino, anzi, è ormai venuto in mezzo a noi. Gesù comincia a predicare in Galilea, la regione in cui è cresciuto, territorio di "periferia" rispetto al centro della nazione ebraica, che è la Giudea, e in essa Gerusalemme. Ma il profeta Isaia aveva preannunciato che quella terra, assegnata alle tribù di Zabulon e di Neftali, avrebbe conosciuto un futuro glorioso: il popolo immerso nelle tenebre avrebbe visto una grande luce (cfr Is 8, 23-9, 1), la luce di Cristo e del suo Vangelo (cfr Mt 4, 12-16). Il termine "vangelo", ai tempi di Gesù, era usato dagli imperatori romani per i loro proclami. Indipendentemente dal contenuto, essi erano definiti "buone novelle", cioè annunci di salvezza, perché l'imperatore era considerato come il signore del mondo ed ogni suo editto come foriero di bene. Applicare questa parola alla predicazione di Gesù ebbe dunque un senso fortemente critico, come dire: Dio, non l'imperatore, è il Signore del mondo, e il vero Vangelo è quello di Gesù Cristo.

La "buona notizia" che Gesù proclama si riassume in queste parole: "Il regno di Dio - o regno dei cieli - è vicino" (Mt 4, 17; Mc 1, 15). Che significa questa espressione? Non indica certo un regno terreno delimitato nello spazio e nel tempo, ma annuncia che è Dio a regnare, che è Dio il Signore e la sua signoria è presente, attuale, si sta realizzando. La novità del messaggio di Cristo è dunque che Dio in Lui si è fatto vicino, regna ormai in mezzo a noi, come dimostrano i miracoli e le guarigioni che compie. Dio regna nel mondo mediante il suo Figlio fatto uomo e con la forza dello Spirito Santo, che viene chiamato "dito di Dio" (cfr Lc 11, 20). Dove arriva Gesù, lo Spirito creatore reca vita e gli uomini sono sanati dalle malattie del corpo e dello spirito. La signoria di Dio si manifesta allora nella guarigione integrale dell'uomo. Con ciò Gesù vuole rivelare il volto del vero Dio, il Dio vicino, pieno di misericordia per ogni essere umano; il Dio che ci fa dono della vita in abbondanza, della sua stessa vita. Il regno di Dio è pertanto la vita che si afferma sulla morte, la luce della verità che disperde le tenebre dell'ignoranza e della menzogna.

Preghiamo Maria Santissima, affinché ottenga sempre alla Chiesa la stessa passione per il Regno di Dio che animò la missione di Gesù Cristo: passione per Dio, per la sua signoria d'amore e di vita; passione per l'uomo, incontrato in verità col desiderio di donargli il tesoro più prezioso: l'amore di Dio, suo Creatore e Padre.

[Papa Benedetto, Angelus 27 gennaio 2008]

Mercoledì, 01 Gennaio 2025 04:07

Il Vangelo del Regno

"Cooperare all’avvento del Regno di Dio nel mondo" (Mt 13,31-33)

1. In quest'anno del Grande Giubileo, tema di fondo delle nostre catechesi è la gloria della Trinità, quale ci è stata rivelata nella storia della Salvezza. Abbiamo riflettuto sull’Eucaristia, massima celebrazione di Cristo presente sotto gli umili segni del pane e del vino. Vogliamo ora dedicare alcune catechesi all’impegno che ci viene chiesto, perché la gloria della Trinità rifulga pienamente nel mondo.

E la nostra riflessione parte dal vangelo di Marco dove leggiamo: “Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,14-15). Sono queste le prime parole che Gesù pronunzia davanti alla folla: esse contengono il cuore del suo Vangelo di speranza e di salvezza, l’annuncio del Regno di Dio. Da quel momento in poi, come notano gli evangelisti, ‘Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo’ (Mt 4,23; cfr Lc 8,1). Sulla sua scia si pongono gli Apostoli e con loro Paolo, l’Apostolo delle genti, chiamato ad ‘annunziare il Regno di Dio’ in mezzo alle nazioni fino alla capitale dell’impero romano (cfr At 20, 25; 28, 23.31).

2. Con il Vangelo del Regno, Cristo si collega alle Scritture Sacre che, attraverso l’immagine regale, celebrano la signoria di Dio sul cosmo e sulla storia. Così leggiamo nel Salterio: ‘Dite tra i popoli: Il Signore regna! Sorregge il mondo, perché non vacilli; governa le nazioni’ (Sal 96,10). Il Regno è, quindi, l’azione efficace ma misteriosa che Dio svolge nell’universo e nel groviglio delle vicende umane. Egli vince le resistenze del male con pazienza, non con prepotenza e clamore.

Per questo il Regno è paragonato da Gesù al granello di senape, il più piccolo di tutti i semi, destinato però a diventare un albero frondoso (cfr Mt 13,31-32), o al seme che un uomo ha deposto nella terra: ‘dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa’ (Mc 4,27). Il Regno è grazia, amore di Dio per il mondo, sorgente per noi di serenità e di fiducia: ‘Non temere, piccolo gregge - dice Gesù - perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno’ (Lc 12,32). Le paure, gli affanni, gli incubi si dissolvono, perché il Regno di Dio è in mezzo a noi nella persona di Cristo (cfr Lc 17,21).

3. Tuttavia l’uomo non è un inerte testimone dell’ingresso di Dio nella storia. Gesù ci invita a ‘cercare’ attivamente ‘il Regno di Dio e la sua giustizia’ e a fare di questa ricerca la nostra preoccupazione principale (Mt 6,33). A quelli che ‘credevano che il Regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro’ (Lc 10,11), egli prescrisse un atteggiamento attivo invece di una attesa passiva, raccontando loro la parabola delle dieci mine da far fruttare (cfr Lc 19,12-27). Dal canto suo, l’apostolo Paolo dichiara che ‘il Regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è - anzitutto – giustizia’ (Rm 14,17) ed invita pressantemente i fedeli a mettere le loro membra a servizio della giustizia in vista della santificazione (cfr Rm 6,13.19).

La persona umana è quindi chiamata a cooperare con le sue mani, la sua mente ed il suo cuore all’avvento del Regno di Dio nel mondo. Questo è vero specialmente di coloro che sono chiamati all’apostolato, e che sono, come dice Paolo, ‘cooperatori del Regno di Dio’ (Col 4,11), ma è anche vero di ogni persona umana.

4. Nel Regno entrano le persone che hanno scelto la via delle Beatitudini evangeliche, vivendo come ‘poveri di spirito’ nel distacco dai beni materiali, per sollevare gli ultimi della terra dalla polvere della loro umiliazione. ‘Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo - si domanda Giacomo nella sua Lettera - per farli ricchi con la fede ed eredi del Regno che ha promesso a quelli che lo amano?’ (Gc 2,5). Nel Regno entrano coloro che sopportano con amore le sofferenze della vita: ‘È, infatti, necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio’ (At 14,22; cfr 2 Ts 1,4-5), dove Dio stesso ‘tergerà ogni lacrima (‘) e non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno’ (Ap 21,4). Nel Regno entrano i puri di cuore che scelgono la via della giustizia, cioè dell’adesione alla volontà di Dio, come ammonisce san Paolo: ‘Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il Regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio’ (1 Cor 6,9-10; cfr 15,50; Ef 5,5).

5. Tutti i giusti della terra, anche quelli che ignorano Cristo e la sua Chiesa e che, sotto l'influsso della grazia, cercano Dio con cuore sincero (cfr Lumen gentium, 16), sono, dunque, chiamati a edificare il Regno di Dio, collaborando col Signore che ne è l’artefice primo e decisivo. Per questo dobbiamo affidarci alle sue mani, alla sua Parola, alla sua guida, come bambini inesperti che trovano solo nel Padre la sicurezza: ‘Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino - ha detto Gesù - non vi entrerà’ (Lc 18,17).

Con questo animo dobbiamo far nostra l’invocazione: ‘Venga il tuo Regno!’. Un’invocazione che nella storia dell’umanità è salita tante volte al cielo come un grande respiro di speranza: ‘Vegna vêr noi la pace del tuo regno’, esclama Dante nella sua parafrasi del Padre Nostro (Purgatorio XI,7). Un’invocazione che orienta lo sguardo al ritorno di Cristo e alimenta il desiderio della venuta finale del Regno di Dio. Questo desiderio però non distoglie la Chiesa dalla sua missione in questo mondo, anzi la impegna maggiormente (cfr CCC, 2818), nell’attesa di poter varcare la soglia del Regno, del quale la Chiesa è il germe e l'inizio (cfr Lumen gentium, 5), quando esso giungerà nel mondo in pienezza. Allora, ci assicura Pietro nella Seconda Lettera, "vi sarà ampiamente aperto l’ingresso nel Regno eterno del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo" (2 Pt 1,11).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 6 dicembre 2000]

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As said s. Augustine: «The Word of God which is explained to you every day and in a certain sense "broken" is also daily Bread». Complete food: basic and “compote” food - historical and ideal, in actuality
Come diceva s. Agostino: «La Parola di Dio che ogni giorno viene a voi spiegata e in un certo senso “spezzata” è anch’essa Pane quotidiano». Alimento completo: cibo base e “companatico” - storico e ideale, in atto
Yet Jesus started from there: not from the forecourt of the temple of Jerusalem, but from the opposite side of the country, from Galilee of the nations, from the border region. He started from a periphery. Here there is a message for us: the word of salvation does not go looking for untouched, clean and safe places. Instead, it enters the complex and obscure places in our lives. Now, as then, God wants to visit the very places we think he will never go (Pope Francis)
Eppure Gesù cominciò da lì: non dall’atrio del tempio di Gerusalemme, ma dalla parte opposta del Paese, dalla Galilea delle genti, da un luogo di confine. Cominciò da una periferia. Possiamo cogliervi un messaggio: la Parola che salva non va in cerca di luoghi preservati, sterilizzati, sicuri. Viene nelle nostre complessità, nelle nostre oscurità. Oggi come allora Dio desidera visitare quei luoghi dove pensiamo che Egli non arrivi (Papa Francesco)
“Lumen requirunt lumine”. These evocative words from a liturgical hymn for the Epiphany speak of the experience of the Magi: following a light, they were searching for the Light. The star appearing in the sky kindled in their minds and in their hearts a light that moved them to seek the great Light of Christ. The Magi followed faithfully that light which filled their hearts, and they encountered the Lord (Pope Francis)
«Lumen requirunt lumine». Questa suggestiva espressione di un inno liturgico dell’Epifania si riferisce all’esperienza dei Magi: seguendo una luce essi ricercano la Luce. La stella apparsa in cielo accende nella loro mente e nel loro cuore una luce che li muove alla ricerca della grande Luce di Cristo. I Magi seguono fedelmente quella luce che li pervade interiormente, e incontrano il Signore (Papa Francesco)
John's Prologue is certainly the key text, in which the truth about Christ's divine sonship finds its full expression (John Paul II)
Il Prologo di Giovanni è certamente il testo chiave, nel quale la verità sulla divina figliolanza di Cristo trova la sua piena espressione (Giovanni Paolo II)
The lamb is not a ruler but docile, it is not aggressive but peaceful; it shows no claws or teeth in the face of any attack; rather, it bears it and is submissive. And so is Jesus! So is Jesus, like a lamb (Pope Francis)
L’agnello non è un dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco, ma sopporta ed è remissivo. E così è Gesù! Così è Gesù, come un agnello (Papa Francesco)
Innocence prepares, invokes, hastens Peace. But are these things of so much value and so precious? The answer is immediate, explicit: they are very precious gifts (Pope Paul VI)
L’innocenza prepara, invoca, affretta la Pace. Ma si tratta di cose di tanto valore e così preziose? La risposta è immediata, esplicita: sono doni preziosissimi (Papa Paolo VI)
We will not find a wall, no. We will find a way out […] Let us not fear the Lord (Pope Francis)
Non troveremo un muro, no, troveremo un’uscita […] Non abbiamo paura del Signore (Papa Francesco)

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