Ago 4, 2025 Scritto da 

19a Domenica T.O.  (C)

19a Domenica del Tempo Ordinario (anno C) [10 Agosto 2025]

 

*Prima lettura dal Libro della Sapienza (18, 6-9)

Il primo versetto ci introduce immediatamente nell’atmosfera: l’autore si abbandona a una meditazione sulla “notte della liberazione pasquale”, la notte dell’uscita d’Israele dall’Egitto, guidato da Mosè. Di anno in anno Israele celebra il pasto pasquale per rivivere il mistero della liberazione operata da Dio in quella notte memorabile (Es 12,42). Celebrare per rivivere: il verbo “celebrare” non significa semplicemente commemorare, ma “fare memoria” lasciare cioè che Dio agisca nuovamente, il che implica lasciarsi trasformare in profondità. Ancora oggi, quando il padre di famiglia, durante il pasto pasquale, inizia il proprio figlio al significato della festa, non gli dice: “Il Signore ha agito a favore dei nostri padri”, ma: “Il Signore ha agito a mio favore, quando sono uscito dall’Egitto» (Es 13,8). E i commenti dei rabbini confermano: “In ogni generazione, ciascuno deve considerarsi come se fosse uscito dall’Egitto”. La celebrazione della notte pasquale racchiude tutte le dimensioni dell’Alleanza sia l’azione di grazie per la liberazione compiuta da Dio come pure l’impegno di fedeltà ai comandamenti. Liberazione, dono della Legge e alleanza sono un unico evento come Dio comunicò a Mosè, e tramite lui al popolo, ai piedi del Sinai (Es 19,4-6). Nelle poche righe del Libro della Sapienza ci vengono qui proposte le due dimensioni: anzitutto l’azione di grazie: “La notte (della liberazione) fu preannunciata ai nostri padri perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà” (v.6). Si parla qui dei giuramenti, che sono le promesse di Dio al suo popolo: una discendenza, una terra, una vita felice in quella terra (Gen 15,13-14; 46,3-4). “Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici. Difatti come punisti gli avversari, così glorificasti noi chiamandoci a te” (v.7). Questa è la lezione: scegliendo l’oppressione e la violenza, gli Egiziani hanno provocato da sé la propria rovina. Il popolo oppresso, invece, ha ricevuto la protezione di Dio. La seconda dimensione della celebrazione della notte pasquale è l’impegno personale e comunitario: “I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacri lodi dei padri” (v.9). L’autore metta in parallelo: la pratica del culto “offrivano sacrifici in segreto”, e l’impegno di solidarietà fraterna “si imposero concordi di condividere successi e pericoli”. La Legge d’Israele ha sempre unito la celebrazione dei doni di Dio e la solidarietà tra i membri del popolo dell’Alleanza. Anche Gesù opererà lo stesso legame: “fare memoria di lui” significa, con un solo gesto, celebrare l’Eucaristia e mettersi al servizio dei fratelli, come lui stesso fece la sera del Giovedì Santo, lavando i piedi ai discepoli.

 

*Salmo responsoriale (32/33, 1.12, 18-19, 20.22)

 “Esultate, o giusti, nel Signore; per gli uomini retti è bella la lode”. Fin dal primo versetto sappiamo di essere nel Tempio di Gerusalemme, nel contesto di una liturgia di rendimento di grazie. Attenzione: “giusti” e “uomini retti” non indicano atteggiamenti di orgoglio o autocompiacimento, ma l’atteggiamento umile di chi si inserisce nel progetto di Dio perché nella Bibbia la giustizia (per noi sarebbe santità) non è una qualità morale bensì un dono. “Beata la nazione che ha il Signore come Dio, il popolo che egli ha scelto come sua eredità” (v.12. L’Alleanza è il progetto di Dio cioè la scelta libera con cui ha voluto affidare a un popolo il suo mistero. È naturale, quindi, rendere grazie per questo dono. Non si tratta di un orgoglio arrogante, ma di una legittima fierezza, la consapevolezza dell’onore che Dio gli ha fatto scegliendolo per una missione ed è la fierezza nostra di essere incorporati col battesimo al suo popolo in missione nel mondo. La fiducia nasce dalla fede e il versetto seguente esprime in un altro modo questa esperienza della fede:”L’occhio del Signore è chi su lo teme, su chi spera nel suo amore”(v.18) Splendida definizione del “timore di Dio” in senso biblico: non paura, ma fiducia totale e interessante è l’accostamento delle due parti del versetto: “chi lo teme” e “chi spera nel suo amore”.  Il timore di Dio è, in realtà, fiducia nell’amore di Dio, non timore servile, ma risposta d’amore come dice il Salmo 102/103: “Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono”. L’unico vero modo per rispettare Dio è amarlo come appare chiaramente nella professione di fede d’Israele: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza” (Dt 6,4). Torno sul versetto centrale: “L’occhio del Signore è chi su lo teme, su chi spera nel suo amore”. Dio ha vegliato su Israele come un padre durante il cammino nel deserto. Liberati dall’Egitto gli ebrei, senza l’ntervento divino, non sarebbero sopravvissuti né al passaggio del Mare, né alle prove del deserto. Al roveto ardente,il Signore aveva promesso a Mosè di accompagnare il suo popolo verso la libertà e ha mantenuto la promessa. Quando leggiamo “il Signore” si tratta sempre del famoso tetragramma YHWH, che gli ebrei non pronunciano per rispetto e che significa: “Io sono, io sarò con voi, in ogni istante della vostra vita.”, in fondo si tratta del respiro dell’essere umano.  Il salmista continua: “Per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame” (v.19) che richiama il Libro del Deuteronomio dove si dice che il Signore ha vegliato sul suo popolo “come sulla pupilla del suo occhio”. Il salmo prosegue: “il Signore è nostro aiuto e nostro scudo. Su di noi sia il tuo amore, Signore come date noi speriamo” (vv20. 22) Una fiducia non sempre facile e Israele ha oscillato tra fiducia e ribellione, attratto costantemente da idoli. Questo salmo è in fondo una chiamata alla fede salda. Chi l’ ha composto conosce bene le incertezze del suo popolo. Per questo invita a ritrovare la certezza della fede, l’unica in grado di generare felicità duratura. E ha composto  questo salmo di ventidue versetti come le lettere dell’alfabeto ebraico, per indicare  che la Legge è un tesoro che guida la vita dall’A alla Z.

 

*Seconda lettura dalle Lettera agli Ebrei (11,1-2.8-19)

 “Per fede”: questa espressione ritorna come un ritornello nel capitolo 11 della Lettera agli Ebrei e l’autore arriva perfino a dire che il tempo gli manca per elencare tutti i credenti dell’Antico Testamento, la cui fede ha permesso al progetto di Dio di compiersi. Il testo che ci viene proposto questa domenica si concentra solo su Abramo e Sara, modelli di vera fede. Tutto è cominciato per loro con la prima chiamata di Dio (Gn 12): “Esci dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, e va’ verso il paese che io ti indicherò”. E Abramo obbedì, ci dice il testo, nel senso più bello del termine: obbedire nella Bibbia significa libera sottomissione di chi accetta di fidarsi perché sa che quando Dio ordina è per il suo bene e per la sua liberazione sapendo che Dio vuole soltanto il nostro bene, la nostra felicità. Abramo partì verso un paese che doveva ricevere in eredità: credere, significa vivere tutto ciò che possediamo come un dono di Dio. Partì senza sapere dove andava: se si sapesse dove si va, non ci sarebbe più bisogno di credere. Credere è fidarsi senza capire e senza sapere tutto; accettare che la strada non è quella da noi prevista o desiderata perché sia Dio a deciderla. Sia fatta la tua volontà, non la mia , disse molto tempo dopo Gesù, che a sua volta si fece obbediente, come dice san Paolo, fino alla morte di croce (Fil 2). “Per fede anche Sara, sebbene fuori dell’età (90 anni), potè diventare madre”. E’ vero che all’inizio rise a un annuncio così incredibile, ma poi lo accolse come una promessa e si fidò ascoltando la risposta del Signore al suo riso: “C’è forse qualcosa di troppo difficile per il Signore? – disse Dio – Al tempo stabilito ritornerò da te, e Sara avrà un figlio” (Gn 18,14). E ciò che era impossibile umanamente si realizzò. Un’altra donna, Maria, secoli più tardi, ascoltò l’annuncio della nascita del figlio della promessa, e accettò credendo che nulla è impossibile a Dio (Lc 1). Per fede Abramo affrontò la prova incredibile di offrire in sacrificio Isacco, ma anche lì, benché non comprendesse, sapeva che l’ordine di Dio era dato per amore: era il cammino della promessa, un cammino oscuro, ma sicuro. Dal punto di vista umano, la promessa di una discendenza e la richiesta del sacrificio di Isacco sono in netta contraddizione, ma Abramo, il credente, proprio perché aveva ricevuto la promessa di una discendenza per mezzo di Isacco, può arrivare fino al punto di offrirlo in sacrificio perché crede che Dio non può rinnegare la sua promessa. Alla domanda di Isacco: Padre, vedo il fuoco e la legna… ma dov’è l’agnello per l’olocausto?, Abramo risponde con tutta sicurezza: Dio provvederà, figlio mio. Il cammino della fede è oscuro, ma è sicuro. E non mentiva neppure quando disse ai suoi servi, lungo la strada: Rimanete qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin là per adorare e poi torneremo da voi. Non sapeva quale lezione Dio volesse dargli sull’interdizione dei sacrifici umani, non conosceva l’esito della prova, ma si fidava. Secoli dopo, Gesù, il nuovo Isacco, credette che poteva risuscitare dai morti, e fu esaudito, come dice la Lettera agli Ebrei. Abbiamo qui una straordinaria lezione di speranza! E’ la fede a salvarci e l’autore della Lettera agli Ebrei commenta che il progetto salvifico si compie grazie a chi crede e lascia che la promessa possa compiersi attraverso di lui.

NOTA In ebraico, il verbo credere è aman (da cui deriva il nostro «amen»),termine che implica solidità, fermezza; credere significa “tenersi saldi”, avere fiducia fino in fondo, anche nel dubbio, nello scoraggiamento o nell’angoscia.

 

*Dal Vangelo secondo Luca (12, 32 – 48)

 Questo testo inizia con una parola di speranza che dovrebbe darci tutto il coraggio possibile:

“Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto darvi il Regno.” In altre parole: questo Regno, è certo, vi è stato donato; credetelo anche se le apparenze sembrano dire il contrario.  Ma Gesù non si ferma qui: descrive subito le esigenze che derivano da questa promessa. Perché  “a chi fu dato molto, molto sarà richiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”. L’unico pensiero dominante nel cuore del credente è la realizzazione della promessa di Dio che libera da ogni altra preoccupazione:

“Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.” Gesù spiega ciò che si aspetta da noi con tre brevi parabole: la prima è quella dei servi che attendono il ritorno del loro padrone; la seconda, più breve, paragona il suo ritorno all’arrivo inaspettato di un ladro; la terza descrive l’arrivo del padrone e il giudizio che pronuncia sui suoi servi. La parola chiave è “servizio”: Dio ci fa l’onore di prenderci al suo servizio, di renderci suoi collaboratori. Più tardi, san Pietro — che ha ben compreso il messaggio di Gesù — dirà ai cristiani dell’Asia Minore: “Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certi credono, ma usa pazienza verso di voi, non volendo che qualcuno si perda, ma che tutti giungano alla conversione” (2 Pt 3,9). E arriva persino a dire: “Voi che attendete affrettate la venuta del giorno di Dio» (2 Pt 3,12). Sta a noi la responsabilità di “affrettare” l’avvento del Regno di Dio, come diciamo nel Padre nostro: “Venga il tuo Regno!” Verrà tanto più rapidamente quanto più crederemo e ci impegneremo. Così, ogni nostro sforzo, anche il più modesto, in modo misterioso, è collaborazione all’avvento del Giorno di Dio: “Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tuti i suoi averi”.  “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.”A ben vedere questo si realizza ogni domenica a Messa: il Signore ci invita alla sua mensa ed è lui stesso a nutrirci rinnovandoci l’energia necessaria per continuare il nostro servizio.

+ Giovanni D’Ercole

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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Today’s Gospel reminds us that faith in the Lord and in his Word does not open a way for us where everything is easy and calm; it does not rescue us from life’s storms. Faith gives us the assurance of a Presence (Pope Francis)
Il Vangelo di oggi ci ricorda che la fede nel Signore e nella sua parola non ci apre un cammino dove tutto è facile e tranquillo; non ci sottrae alle tempeste della vita. La fede ci dà la sicurezza di una Presenza (Papa Francesco)
Dear friends, “in the Eucharist Jesus also makes us witnesses of God’s compassion towards all our brothers and sisters. The Eucharistic mystery thus gives rise to a service of charity towards neighbour” (Post-Synodal Apostolic Exhortation Sacramentum Caritatis, 88) [Pope Benedict]
Cari amici, “nell’Eucaristia Gesù fa di noi testimoni della compassione di Dio per ogni fratello e sorella. Nasce così intorno al Mistero eucaristico il servizio della carità nei confronti del prossimo” (Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis, 88) [Papa Benedetto]
The fool in the Bible, the one who does not want to learn from the experience of visible things, that nothing lasts for ever but that all things pass away, youth and physical strength, amenities and important roles. Making one's life depend on such an ephemeral reality is therefore foolishness (Pope Benedict)
L’uomo stolto nella Bibbia è colui che non vuole rendersi conto, dall’esperienza delle cose visibili, che nulla dura per sempre, ma tutto passa: la giovinezza come la forza fisica, le comodità come i ruoli di potere. Far dipendere la propria vita da realtà così passeggere è, dunque, stoltezza (Papa Benedetto)
We see this great figure, this force in the Passion, in resistance to the powerful. We wonder: what gave birth to this life, to this interiority so strong, so upright, so consistent, spent so totally for God in preparing the way for Jesus? The answer is simple: it was born from the relationship with God (Pope Benedict)
Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio (Papa Benedetto)
Christians are a priestly people for the world. Christians should make the living God visible to the world, they should bear witness to him and lead people towards him (Pope Benedict)
I cristiani sono popolo sacerdotale per il mondo. I cristiani dovrebbero rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarLo e condurre a Lui (Papa Benedetto)
The discovery of the Kingdom of God can happen suddenly like the farmer who, ploughing, finds an unexpected treasure; or after a long search, like the pearl merchant who eventually finds the most precious pearl, so long dreamt of (Pope Francis)
La scoperta del Regno di Dio può avvenire improvvisamente come per il contadino che arando, trova il tesoro insperato; oppure dopo lunga ricerca, come per il mercante di perle, che finalmente trova la perla preziosissima da tempo sognata (Papa Francesco)
Christ is not resigned to the tombs that we have built for ourselves (Pope Francis)
Cristo non si rassegna ai sepolcri che ci siamo costruiti (Papa Francesco)
We must not fear the humility of taking little steps, but trust in the leaven that penetrates the dough and slowly causes it to rise (cf. Mt 13:33) [Pope Benedict]
Occorre non temere l’umiltà dei piccoli passi e confidare nel lievito che penetra nella pasta e lentamente la fa crescere (cfr Mt 13,33) [Papa Benedetto]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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