Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
In questa domenica ventisettesima del tempo ordinario la Liturgia pone attenzione al brano lucano in cui gli apostoli chiedono a Gesù:
«Accresci in noi la fede!» (Lc 17,5).
Attraversando le Fonti, c’imbattiamo in un brano del Celano, tratto dalla Vita seconda, in cui Francesco viene chiamato a rafforzare la propria fede in Dio in un momento particolare del suo cammino.
"Ad un certo momento della sua vita, il Padre subì una violentissima tentazione di spirito, sicuramente a vantaggio della sua corona.
Per questo, era angustiato e pieno di sofferenza, mortificava e macerava il corpo, pregava e piangeva nel modo più penoso.
Questa lotta durò più anni. Un giorno, mentre pregava in Santa Maria della Porziuncola, udì in spirito una voce:
«Francesco, se avrai fede quanto un granello di senapa, dirai al monte che si sposti ed esso si muoverà».
«Signore, - rispose il Santo - qual è il monte, che io vorrei trasferire?».
E la voce di nuovo:
«Il monte è la tua tentazione».
«O Signore, - rispose il Santo in lacrime - avvenga a me, come hai detto».
Subito sparì ogni tentazione e si sentì libero e del tutto sereno nel più profondo del cuore (FF 702).
Così accade quando ci si apre alla Grazia! Essa trasforma ogni cosa, rafforzando l’uomo interiore.
Anche Chiara fu maestra di fede per la sua fraternità damianita.
Così si rivolge, infatti, in una lettera a Ermentrude di Bruges:
«Rimani, dunque, o carissima, fedele fino alla morte a Colui, al quale ti sei legata per sempre. E certamente sarai da Lui coronata con la corona della vita. Il tempo della fatica quaggiù è breve, ma la ricompensa è eterna…
Sostieni di buona voglia le avversità, e la superbia non rigonfi il tuo cuore nelle cose prospere; queste ti richiamano alla tua fede, quelle la richiedono» (FF 2914).
Domenica 27.a T.O. anno C (Lc 17,5-10)
Oggi è la Festa di colui che ha dato senso e radici al Francescanesimo. Il Vangelo scelto è quello di Gesù che rivolto al Padre Lo ringrazia per aver rivelato i Misteri del Regno ai piccoli. E lui, Francesco è il Piccolo, il mite per antonomasia.
Nelle Fonti la piccolezza di questo Gigante del Vangelo è compendiata così:
“Altra volta ebbe a confessare ai compagni:
«Tra le altre grazie, L’Altissimo mi ha largito questa: obbedirei al novizio entrato nell’Ordine oggi stesso, se fosse mio guardiano, come si trattasse del primo e più attempato dei fratelli.
Invero, il suddito non deve considerare nel prelato l’uomo, bensì Colui per amore del quale si sottomette a un uomo».
Disse pure:
«Non ci sarebbe un prelato nel mondo intero, temuto dai sudditi e fratelli suoi quanto il Signore farebbe che io fossi temuto dai miei frati, qualora lo volessi.
Ma L’Altissimo mi ha donato questa grazia: sapermi adattare a tutti, come fossi il più piccolo frate nell’Ordine».
Abbiamo visto con i nostri occhi ripetute volte, noi che siamo vissuti con Francesco, la verità di questa sua affermazione.
A più riprese, quando taluni frati non lo sovvenivano nelle sue necessità, o gli veniva rivolta qualche parola che produceva agitazione, subito il Santo si ritirava a pregare.
E tornandone, non voleva ricordare lo sgarbo, col dire: ‘Quel frate mi ha trascurato!’, oppure: ‘Mi ha detto questa parola’.
E quanto più si avvicinava alla morte, tanto più si preoccupava di vivere e morire in tutta la perfezione dell’umiltà e povertà” (FF 1663).
Era umile e mite non solo con i superiori ma pure con i pari e quelli inferiori, contento di essere ammonito e corretto da loro.
Un giorno, attraversando il campo di un contadino su un asinello, perché debole, questi gli fece presente di essere nella vita davvero quanto si diceva di lui:
‘Guarda - disse il contadino - di essere tanto buono quanti tutti dicono che tu sia, perché molti hanno fiducia in te. Per questo ti esorto a non comportarti mai diversamente da quanto si spera’.
Francesco a queste parole, scese dall’asino e, prostratosi davanti al contadino, più volte gli baciò i piedi umilmente ringraziandolo che si era degnato di ammonirlo […]
Si riteneva vile davanti a Dio e agli uomini” (FF 726).
E nel Saluto alle Virtù, da lui scritto, leggiamo:
«La santa umiltà / confonde la superbia/ e tutti gli uomini che sono nel mondo/ e similmente tutte le cose che sono nel mondo» (FF 258).
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25)
S. Francesco d’Assisi, patrono d’Italia (Mt 11,25-30)
Nel Vangelo di oggi Gesù rimprovera le città che, pur avendo ricevuto meravigliosi benefici, non si erano convertite. Echeggia:
«Ahimé per te, Corazin! Ahimé per te Betsàida!» (Lc 10,13).
All’orizzonte campeggia il Giudizio attuale.
Gesù sottolinea la mancanza di ascolto e il disprezzo verso i suoi inviati: è come se tutto questo lo facessero direttamente a Lui.
Francesco d’Assisi fu profondamente grato a Dio per averlo tratto dalla vita cortese e svagata del mondo al servizio del Vangelo.
Ma come ogni autentico profeta, anche Francesco incontrò nel suo cammino di fede il disprezzo degli uomini.
Tuttavia da vero discepolo di Cristo che ama conformarsi al Signore pure in questo - non smise di annunciare la conversione e penitenza a tutti, diffondendo ovunque la Parola di Dio e predicando persino agli uccelli:
“Si dice che Francesco, in viaggio con i compagni per città e borgate, giungesse in una città per predicarvi la Parola di Dio. Ma appena ebbe cominciato il discorso, i cittadini del luogo, osservandolo in quella strana foggia di vestito, lo scacciarono dalla città, come un pazzo.
Allora Francesco, uscito verso la campagna e stando sulla strada pubblica, osservò in un campo una gran quantità di uccelli di diverse specie, intenti a beccare.
Si rivolse a loro e li chiamò vicini a sé, come se parlasse ad uomini; e subito, al suo richiamo, si radunò attorno a lui tal moltitudine d’uccelli d’ogni specie, che si diceva di non averne mai visti tanti da quelle parti” (FF 2307).
Chi ascolta i Profeti di Dio ascolta Dio stesso e chi non li ascolta rifiuta Dio stesso.
Ma, altresì, Francesco non si fermò dinanzi al disprezzo degli uomini, perché sapeva che il discepolo non è più del suo Maestro, e tanto insegnava ai suoi frati.
Infatti le Fonti ancora attestano al riguardo.
Francesco sosteneva che se capitasse, dopo la convocazione dell’assemblea capitolare, di essere chiamato a predicare la Parola di Dio e subito dopo venire rifiutato, dovrebbe comunque esserne contento.
«Mi alzo e predico secondo l’ispirazione dello Spirito Santo. Finisco il sermone.
Supponiamo che allora, dopo averci pensato, concludano dicendomi:
“Non vogliamo che tu regni sopra di noi, perché non sai parlare, sei troppo semplice, ci vergogniamo di avere a capo una persona così incolta e incapace. D’ora in avanti non avere la pretesa di chiamarti nostro prelato!”. E così dicendo mi cacciano, vilipendendomi.
Ebbene, non potrei considerarmi vero frate minore, se non resto ugualmente sereno quando mi vilipendono e ignominiosamente mi cacciano via […] come quando mi onorano […] purché il loro vantaggio sia lo stesso […] qui infatti c’è sicuro guadagno per l’anima» (FF 1639).
«Tuttavia per Tiro e Simone sarà più sopportabile nel giudizio che per voi» (Lc 10,14)
Venerdì 26.a sett. T.O. (Lc 10,13-16)
Dinanzi ai discepoli che discutono su chi fosse il più grande tra loro, Gesù li educa ponendo dinanzi allo sguardo un bambino. Questi è misura della loro grandezza.
Dunque: accoglienza e piccolezza sono le credenziali per il Regno.
Piccolo di statura, ma veramente dotato di quella piccolezza che rende bambini nel cuore.
Francesco si preoccupò sempre di non scandalizzare i piccoli di cui parla Gesù nel Vangelo.
L’autorevolezza delle Fonti c’informa:
“Spesso pensando allo scandalo che veniva dato ai piccoli, provava una tristezza immensa, al punto da ritenere che sarebbe morto di dolore, se la bontà divina non l’avesse sorretto con il suo conforto” (FF 1139).
Francesco stesso si definiva «Io, piccolino e semplice, inesperto nel parlare, ho ricevuto la grazia dell’orazione più che quella della predicazione […]
Nell’orazione parliamo a Dio, lo ascoltiamo e ci tratteniamo in mezzo agli angeli» (FF 1204).
Ancora: “Nient’altro possedeva, il Povero di Cristo, se non due spiccioli da poter elargire con liberale carità: il corpo e l’anima” (FF 1167).
E ai suoi frati insegnava e raccomandava la piccolezza in ogni vicenda lieta o triste:
“La penuria stessa era per loro dovizia e sovrabbondanza, mentre, secondo il consiglio del Saggio, provavano piacere non nella grandezza, ma nelle cose più piccole” (FF 1075).
Oh quale grande amore aveva per gli Angeli!
Le Fonti francescane ci raccontano che “agli spiriti angelici, i quali ardono di un meraviglioso fuoco, che infiamma le anime degli eletti e le fa penetrare in Dio, era unito da un inscindibile vincolo d’amore […]
Per il beato Michele Arcangelo, dato che ha il compito di presentare le anime a Dio, nutriva particolare devozione e speciale amore, dettato dal suo fervido zelo per la salvezza delle anime” (FF 1166).
«Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli perché vi dico che i loro angeli nei cieli vedono incessantemente il volto del Padre nei cieli» (Mt 18,10)
Ss. Angeli Custodi, 2 ottobre
Il Vangelo di Luca in questi versetti del capitolo nove evidenzia le condizioni necessarie per seguire Gesù e la vita nuda, povera e peregrina di Lui.
«Le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58).
Francesco, vero amante e imitatore di Lui, ne ricalcò le orme - vivendo in povertà e precarietà la sua vita di fede, poiché aveva chiaro che il seguirlo nella chiamata comportava abbandonare tutto il resto.
Le Fonti raccontano che il Minimo, nella Lettera a tutto L’Ordine, così si esprimeva:
«Frate Francesco, uomo di poco conto e fragile, vostro piccolo servo, augura salute in Colui che ci ha redento e ci ha lavati nel suo preziosissimo sangue.
Ascoltando il nome di Lui, adoratelo con timore e riverenza, proni verso terra: Signore Gesù Cristo, Figlio dell’Altissimo è il suo nome, che è benedetto nei secoli» (FF 215).
Il Poverello presentava sempre Gesù come Colui che non aveva dove sistemarsi; infatti il Figlio di Dio mostrava in ogni circostanza la dimensione precaria del suo vivere.
Innamorato della povertà, Francesco rivolgeva ai suoi frati l’espressione di Lc 9,58:
“[Così] ammaestrava i frati a costruire casupole poverelle […] ad abitare in esse non come case proprie, ma come in case altrui, da pellegrini e forestieri.
Diceva che il codice dei pellegrini è questo:
«Raccogliersi sotto il tetto altrui, sentir sete della patria, passar via in pace»” (FF1120).
E poiché ripeteva che figli di Dio sono coloro che compiono le sue opere, il Povero d’Assisi si distingueva quale figlio, e nello Spirito operava molte guarigioni.
"Gente di ogni età e d’ogni sesso correva a vedere e ad ascoltare quell’uomo nuovo, donato dal cielo al mondo.
Egli pellegrinava per le varie regioni, annunciando con fervore il Vangelo; e il Signore cooperava, confermando la Parola con i miracoli che l’accompagnavano.
Infatti, nel nome del Signore, Francesco, predicatore della verità, scacciava i demoni, risanava gli infermi, e, prodigio ancor più grande, con l’efficacia della sua parola inteneriva e muoveva a penitenza gli ostinati e, nello stesso tempo, ridonava la salute ai corpi e ai cuori" (FF 1212).
Chiara stessa, nelle Lettere alla Beata Agnese da Praga, riprende il tema della dimensione precaria di Cristo e quindi della sequela del discepolo.
«O povertà beata! A chi t’ama e t’abbraccia procuri ricchezze eterne…
O povertà pia! Te il Signore Gesù Cristo, in cui potere erano e sono il cielo e la terra, giacché bastò un cenno della sua parola e tutte le cose furono create, si degnò abbracciare a preferenza di ogni altra cosa. Disse egli, infatti:
Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del cielo i nidi, ma il Figlio dell’uomo, cioè Cristo, non ha dove posare il capo e quando lo reclinò sul suo petto, fu per rendere l’ultimo respiro» (FF 2864 - Lettera prima).
Nella Sequela radicale, i due cantori della povertà avevano acquisito la libertà di non essere condizionati da nulla se non da Cristo.
Mercoledì 26.a sett. T.O. (Lc 9,57-62)
Luca presenta Gesù che procede fermamente e coraggiosamente verso Gerusalemme.
Per questo motivo un villaggio di Samaritani non volle riceverlo.
I discepoli intendono reagire all’inospitalità mostrata, ma Gesù li riprende, compreso della missione che stava adempiendo.
La finestra aperta sulle Fonti ci narra cose interessanti in merito.
Nei suoi scritti Francesco ammaestrava i suoi frati a perseverare con pazienza quando non venivano accolti, andando altrove, per amore di Cristo che soffrì le medesime cose.
Le Fonti - nello specifico la Regola non bollata (1221) - dice:
“E tutti frati, ovunque sono, si ricordino che si sono donati e hanno abbandonato i loro corpi al Signore nostro Gesù Cristo.
E per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili, poiché dice il Signore:
«Colui che perderà l’anima sua per causa mia la salverà per la vita eterna»” (FF 45).
E ancora nelle Ammonizioni:
“Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce.
Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e persecuzione, nell’ignominia e nella fame, nella infermità e nella tentazione e in altre simili cose; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna” (FF 155).
D’altra parte Francesco, allo stesso Frate Leone, insegnerà che, quando non siamo accolti, rimanendo nella pazienza, siamo nella perfetta letizia:
“E io sempre resto davanti alla porta e dico: «Per amor di Dio accoglietemi per questa notte».
E quegli risponde: «Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là».
«Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera Letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell’anima» ( FF 278).
Gesù, infatti, va oltre, laddove incontra il rifiuto, rimproverando i suoi che fanno fatica ad accettare la non accoglienza.
Francesco la segue come Provvidenza.
«Egli indurì il suo volto per partire verso Gerusalemme. E mandò Angeli davanti al suo Volto» (Lc 9,51b-52)
Martedì 26.a sett. T.O. (Lc 9,51-56)
Il brano di Vangelo tratto da Giovanni c’introduce nella festa dei Santi Michele, Gabriele e Raffaele arcangeli, depositari di missioni speciali presso gli uomini.
Gesù li chiama in causa nel colloquio con Natanaele, a riguardo della sua divinità:
«Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio che salgono e scendono sul Figlio dell’uomo» (Gv 1,51b).
Francesco d’Assisi nutriva una speciale devozione per gli Angeli, tanto più aveva scelto - come piccola porzione dove vivere - la Chiesa di S. Maria degli Angeli, luogo di singolari grazie.
Le Fonti, testimonianza di vita del Poverello e di tutti i frati c’informano.
“Venerava col più grande affetto gli Angeli, che sono con noi sul campo di battaglia e con noi camminano in mezzo all’ombra della morte.
«Dobbiamo venerare - diceva - questi compagni che ci seguono ovunque e allo stesso modo invocarli come custodi».
Insegnava che non si deve offendere il loro sguardo, né osare alla loro presenza ciò che non si farebbe davanti agli uomini.
E proprio perché in coro si salmeggia davanti agli Angeli, voleva che tutti quelli che potevano si radunassero nell’oratorio* e lì salmeggiassero con devozione.
Ripeteva spesso che si deve onorare in modo più solenne il beato Michele, perché ha il compito di presentare le anime a Dio.
Perciò ad onore di S. Michele, tra la festa dell’Assunzione e la sua digiunava con la massima devozione per quaranta giorni. E diceva:
«Ciascuno ad onore di così glorioso principe dovrebbe offrire a Dio un omaggio di lode o qualche altro dono particolare»” (FF 785).
E, a riguardo della Porziuncola:
“Là egli godeva spesso della visita degli Angeli, come sembrava indicare il nome della Chiesa stessa, chiamata fin dall’antichità Santa Maria degli Angeli.
Perciò la scelse come sua residenza, a causa della venerazione per gli Angeli e del suo speciale amore per la Madre di Cristo.
Il Santo amò questo luogo più di tutti gli altri luoghi del mondo. Qui, infatti, conobbe l’umiltà degli inizi; qui progredì nelle virtù; qui raggiunse felicemente la mèta.
Questo luogo, al momento della morte, raccomandò ai frati come il luogo più caro alla Vergine” (FF 1048).
Possiamo credergli, perché Francesco era un «Israelita in cui non c’è inganno».
• Oratorio= luogo riservato alla preghiera dei religiosi oppure coro della chiesa.
Il Vangelo proposto dalla Liturgia odierna ci pone dinanzi tre dimensioni esistenziali importanti, che Francesco teneva in grande conto.
La parabola del povero Lazzaro e del ricco smodato evoca l’uso diligente delle ricchezze, la premura verso i bisognosi, ed è un richiamo alla conversione, poiché dopo la morte il giudizio individuale sarà irreversibile.
Francesco, il Povero d’Assisi, ebbe sempre dinanzi allo sguardo questo quadro evangelico, che lo indusse a meglio dirigere il suo cuore verso Dio e i poveri.
Le Fonti attestano, fin dagli inizi del suo cammino:
"(Francesco) aveva sempre beneficato i bisognosi, ma da quel momento si propose fermamente di non rifiutare mai l’elemosina al povero che la chiedesse per amore di Dio, e anzi di fare largizioni spontanee e generose.
A ogni misero che gli domandasse la carità, quando Francesco era fuori casa, provvedeva con denaro; se ne era sprovvisto, gli regalava il cappello o la cintura, pur di non rimandarlo a mani vuote.
O essendo privo di questi, si ritirava in disparte, si toglieva la camicia e la faceva avere di nascosto all’indigente, pregandolo di prenderla per amore di Dio.
Comperava utensili di cui abbisognavano le chiese e segretamente li donava ai sacerdoti poveri" (FF 1403).
E ancora, la Leggenda dei tre compagni c’informa:
"La Grazia divina lo aveva profondamente cambiato. Pur non indossando un abito religioso, bramava trovarsi sconosciuto in qualche città, dove barattare i suoi abiti con gli stracci di un mendicante e provare lui stesso a chiedere l’elemosina per amor di Dio" (FF 1405).
Il Minimo sapeva che quanto riceveva un povero era rivolto a Cristo stesso e che un solo bicchiere d’acqua dato a quei piccoli ed emarginati era offerto a Gesù.
L’incontro con il lebbroso nella piana d’Assisi, infatti, aveva trasformato in lui l’amaro in vera dolcezza.
Francesco temeva il giudizio divino e desiderava corrispondere a quanto la Parola di Dio gli chiedeva.
Era davvero il Poverello fatto pane, il Giullare fatto misericordia, il Generoso che rigenera speranza.
Assisi era divenuta per lui la tavola della Carità su cui deporre amore e perdono; accoglienza dei non considerati - numero sconosciuto per i ricchi epuloni del tempo, sdoganati dal suo evangelico vissuto.
Leggiamo nelle Fonti:
"[i frati] disprezzavano […] ogni bene effimero, bramato dagli amatori di questo mondo.
Soprattutto avversavano il denaro, calpestandolo come la polvere della strada.
Francesco aveva insegnato loro che il denaro non valeva più dello sterco d’asino.
Quanto più erano separati dal mondo, tanto più si tenevano avvinti a Dio.
Avanzavano sulla via della croce e sui sentieri della giustizia: toglievano dal cammino stretto della penitenza e dell’osservanza evangelica ogni ostacolo, onde lasciare a quelli che li avrebbero seguiti una strada spianata e sicura" (FF 1454)
La stessa Chiara, fin da piccola, sottraeva al suo corpo il cibo per donarlo ai poveri, mantenendo questo atteggiamento di cura e sollecitudine speciale verso i bisognosi; tutta la vita.
Entrambi fecero dei beni a loro disposizione un uso evangelico, intelligente, al servizio del Regno di Dio.
«Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni nella tua vita, e Lazzaro ugualmente i mali; ma adesso qui è consolato, tu invece sei torturato» (Lc 16,25)
Il Poverello sempre esortò i suoi frati ad essere misericordiosi con ogni forma d’indigenza, perché il giudizio non concede vita piena a chi non la riconosce ai fratelli.
«Ora, c’era un uomo ricco, che si rivestiva di porpora e di bisso, facendo festa ogni giorno splendidamente. Ma un povero di nome Lazzaro giaceva presso il suo portone coperto di piaghe e desiderando di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco» (Lc 16,19-20)
Domenica 26.a T.O. anno C (Lc 16,19-31)
Il Vangelo di Luca parla oggi del secondo annuncio della Passione di Gesù.
Egli cercava di preparare i discepoli alla consumazione del suo mistero Pasquale, ma essi facevano fatica a capire, non coglievano il senso di quanto il Signore esprimeva.
Come Gesù si trova di fronte all’incomprensione dei discepoli dinanzi al mistero della sua morte, così Francesco ha dinanzi a sé, alla fine della sua vita, lo sconcerto dei suoi frati.
Nelle Fonti:
“Fece chiamare tutti i frati presenti nella casa, e cercando di lenire il dolore che dimostravano per la sua morte, li esortò con affetto paterno all’amore di Dio […]
«Addio - disse - voi tutti figli miei, vivete nel timore del Signore e conservatevi in esso sempre!
E poiché si avvicina l’ora della prova e della tribolazione, beati quelli che persevereranno in ciò che hanno intrapreso!
Io infatti mi affretto verso Dio e vi affido tutti alla sua grazia».
E benedisse nei presenti anche tutti i frati, ovunque si trovassero nel mondo, e quanti sarebbero venuti dopo di loro sino alla fine dei secoli” (FF 806).
“Mentre i frati versavano lacrime amarissime e si lamentavano desolati […] Volle anche i libri dei Vangeli e chiese che gli leggessero il Vangelo secondo Giovanni […]” (FF 808).
E ancora:
“Si rivolse poi al medico:
«Coraggio, frate medico, dimmi pure che la morte è imminente: per me sarà la porta della vita!».
E ai frati:
«Quando mi vedrete ridotto all’estremo, esponetemi nudo sulla terra come mi avete visto ieri l’altro, e dopo che sarò morto, lasciatemi giacere così per il tempo necessario a percorrere comodamente un miglio».
Giunse infine la sua ora, ed essendosi compiuti in lui tutti i misteri di Cristo, se ne volò felicemente a Dio” (FF 810).
«Ponete voi nei vostri orecchi queste parole perché il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini» (Lc 9,44)
Sabato della 25.a sett. T.O. (Lc 9,43b-45)
It has made us come here the veneration of martyrdom, on which, from the beginning, the kingdom of God is built, proclaimed and begun in human history by Jesus Christ (Pope John Paul II)
Ci ha fatto venire qui la venerazione verso il martirio, sul quale, sin dall’inizio, si costruisce il regno di Dio, proclamato ed iniziato nella storia umana da Gesù Cristo (Papa Giovanni Paolo II)
The evangelization of the world involves the profound transformation of the human person (Pope John Paul II)
L'opera evangelizzatrice del mondo comporta la profonda trasformazione delle persone (Papa Giovanni Paolo II)
The Church, which is ceaselessly born from the Eucharist, from Jesus' gift of self, is the continuation of this gift, this superabundance which is expressed in poverty, in the all that is offered in the fragment (Pope Benedict)
La Chiesa, che incessantemente nasce dall’Eucaristia, dall’autodonazione di Gesù, è la continuazione di questo dono, di questa sovrabbondanza che si esprime nella povertà, del tutto che si offre nel frammento (Papa Benedetto)
He is alive and wants us to be alive; he is our hope (Pope Francis)
È vivo e ci vuole vivi. Cristo è la nostra speranza (Papa Francesco
The Sadducees, addressing Jesus for a purely theoretical "case", at the same time attack the Pharisees' primitive conception of life after the resurrection of the bodies; they in fact insinuate that faith in the resurrection of the bodies leads to admitting polyandry, contrary to the law of God (Pope John Paul II)
I Sadducei, rivolgendosi a Gesù per un "caso" puramente teorico, attaccano al tempo stesso la primitiva concezione dei Farisei sulla vita dopo la risurrezione dei corpi; insinuano infatti che la fede nella risurrezione dei corpi conduce ad ammettere la poliandria, contrastante con la legge di Dio (Papa Giovanni Paolo II)
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Ecclesial life is made up of exclusive inclinations, and of tasks that may seem exceptional - or less relevant. What matters is not to be embittered by the titles of others, therefore not to play to the downside, nor to fear the more of the Love that risks (for afraid of making mistakes)
La vita ecclesiale è fatta di inclinazioni esclusive, e di incarichi che possono sembrare eccezionali - o meno rilevanti. Ciò che conta è non amareggiarsi dei titoli altrui, quindi non giocare al ribasso, né temere il di più dell’Amore che rischia (per paura di sbagliare).
Zacchaeus wishes to see Jesus, that is, understand if God is sensitive to his anxieties - but because of shame he hides (in the dense foliage). He wants to see, without being seen by those who judge him. Instead the Lord looks at him from below upwards; Not vice versa
Zaccheo desidera vedere Gesù, ossia capire se Dio è sensibile alle sue ansie - ma per vergogna si nasconde nel fitto fogliame. Vuole vedere, senza essere visto da chi lo giudica. Invece il Signore lo guarda dal basso in alto; non viceversa
don Giuseppe Nespeca
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