Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Luca narra della guarigione di dieci lebbrosi e la gratitudine di uno di essi per la sanità riacquistata, riconoscendo Dio nel Signore Gesù.
San Francesco “il Minimo” riversava su tutti la Gratuità ricevuta da Cristo.
Uomo dalla fede indomita, abbracciava i messi ai margini, andando oltre ogni giudizio o mentalità stereotipa.
Nelle Fonti è di straordinaria bellezza e speciale umanità l’episodio che lo rende custode degli emarginati.
Leggiamo: “Un giorno, mentre andava a cavallo per la pianura che si estende ai piedi di Assisi, si imbatté in un lebbroso.
Quell’incontro inaspettato lo riempì di orrore.
Ma, ripensando e riflettendo che, se voleva diventare cavaliere di Cristo, doveva prima di tutto vincere se stesso, scese da cavallo e corse ad abbracciare il lebbroso e, mentre questo stendeva la mano come per ricevere l’elemosina, gli porse del denaro e lo baciò.
Subito risalì a cavallo; ma, per quanto si volgesse a guardare da ogni parte e sebbene la campagna si stendesse libera tutt’intorno, non vide più in alcun modo quel lebbroso.
Perciò, colmo di meraviglia e gioia, incominciò a cantare devotamente le lodi del Signore” (Fonti 1034).
Da allora si rivestì dello spirito di povertà, di un intimo sentimento di umiltà e pietà profonda.
Mentre prima aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano, ora, a causa di Cristo crocifisso che, secondo le parole del profeta, ha assunto l’aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con umiltà e gentilezza […]
Visitava spesso le case dei lebbrosi; elargiva loro generosamente l’elemosina e con grande compassione e affetto baciava loro le mani e il volto” (Fonti 1036).
Nella Regola non bollata, indirizzo eminente per i suoi frati, leggiamo:
"E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra mendicanti lungo la strada […]" (Fonti 30).
Siccome il coraggio autentico non conosce limiti di tempo, nella Vita prima del Celano, si legge quanto segue in relazione al suo ultimo periodo di vita:
"Perciò bramava ardentemente ritornare alle umili origini del suo itinerario di vita evangelica e, allietato di nuova esperienza per l’immensità dell’amore, progettava di ricondurre quel suo corpo stremato di forze alla primitiva obbedienza dello spirito […]
Diceva: «Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto! ».
[…] Voleva rimettersi al servizio dei lebbrosi ed essere vilipeso, come un tempo" (Fonti 500).
Francesco, da grande anima qual era, aveva compreso che in ogni lebbroso c’era la presenza superlativa di Cristo.
«Levandoti, va’; la tua Fede ti ha salvato» (Lc 17,19)
Domenica 28.a T.O. anno C (Lc 17,11-19)
In questi pochi versetti del Vangelo odierno è contenuta la vera beatitudine, enunciata da Gesù, di chi sa ascoltare e incarnare la Parola di Dio fra le pieghe del quotidiano.
Francesco, che si riteneva semplice ed idiota, amava appassionatamente la Parola di Dio.
Infatti, imbattendosi a terra con le lettere di Essa, le raccoglieva per averne il dovuto riguardo.
Ce lo attestano le Fonti, nella prima lettera [da lui scritta] ai Custodi:
«Anche gli scritti che contengono i nomi e le parole del Signore, ovunque fossero trovati in luoghi sconvenienti, siano raccolti e collocati in luogo degno» (FF 242).
La stessa Chiara, pianticella del Serafico Padre, nel suo Testamento, ricorda quanto Francesco amasse e vivesse la Parola, dandone l’esempio:
«Il Figlio di Dio si è fatto nostra via; e questa con la parola e l’esempio ci indicò e insegnò il beato Padre nostro Francesco, vero amante e imitatore di Lui» (FF 2824).
E a chi gli chiedeva se avesse piacere che le persone istruite entrassero nell’Ordine, rispondeva:
«Ne ho piacere; purché, però, sull’esempio di Cristo, di cui si legge non tanto che ha studiato quanto che ha pregato, non trascurino di dedicarsi all’orazione e purché studino non tanto per sapere come devono parlare, quanto per mettere in pratica le cose apprese, e, solo quando le hanno messe in pratica, le propongano agli altri.
Voglio che i miei frati siano discepoli del Vangelo e progrediscano nella conoscenza della verità, in modo tale da crescere contemporaneamente nella purezza della semplicità» (FF 1188).
“E la ragione principale per cui venerava i ministri della Parola di Dio era questa: che essi fanno rivivere la discendenza del loro fratello morto, cioè fanno rivivere il Cristo, che è stato crocifisso per i peccatori, quando li convertono, facendosi loro guida con pia sollecitudine e con sollecita pietà.
Affermava che questo ufficio della pietà è più gradito di ogni sacrificio al Padre delle misericordie, soprattutto se viene adempiuto con zelo dettato da carità perfetta, per cui ci si affatica in esso più con l’esempio che con la parola, più con le lacrime della preghiera che con la loquacità dei discorsi” (FF 1135).
“Egli infatti non era mai stato un ascoltatore sordo del Vangelo, ma, affidando ad una encomiabile memoria tutto quello che ascoltava, cercava con ogni diligenza di seguirlo alla lettera” (FF 357).
«Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e [la] custodiscono» (v.28)
Sabato della 27.a sett. T.O. (Lc 11,27-28)
Gesù attesta agli astanti che scaccia i demoni non per mezzo di Beelzebul ma con il Dito di Dio, per opera di Lui.
Come Gesù così Francesco ebbe tentazioni e fu grandemente provato dal demonio.
Ma il Dito di Dio, lo Spirito Santo, vinse in lui ogni battaglia, estendendo il Regno dei cieli nei cuori.
Come Francesco, anche Chiara incontrò prove in tal senso da cui, per la Grazia di Dio, uscì sempre immune, perché non divisa, ma totalmente unita a Cristo.
Le Fonti sono portavoci eloquenti di grande verità esistenziale e spirituale. Guardiamo cosa ci dicono nel merito.
“In quei luoghi doveva lottare corpo a corpo col demonio, che l’affrontava per spaventarlo non solo con tentazioni interiori, ma anche esteriormente con strepiti e rovine.
Ma Francesco, da fortissimo soldato di Cristo, ben sapendo che il suo Signore poteva tutto dovunque, non si lasciava per nulla intimorire, ma ripeteva in cuor suo:
«Non puoi, o maligno, scatenare contro di me le armi della tua malizia, in questi luoghi più di quanto mi faresti se fossimo tra la folla»” (FF 446).
E un frate, che da tempo veniva molestato dagli assalti del demonio e in pianto ai piedi di Francesco, fu da lui liberato:
“il Padre ne sentì pietà , e comprendendo che era tormentato da istigazioni maligne:
«Io vi ordino, o demoni, - esclamò - in virtù di Dio di non tormentare più d’ora in avanti il mio fratello, come avete osato finora».
Subito si dissipò quel buio tenebroso, il frate si alzò libero e non sentì più alcun tormento, come se ne fosse sempre stato esente” (FF 697).
Altresì Chiara fu più volte attaccata dal nemico.
“Mentre una volta piangeva, in piena notte, le apparve l’angelo delle tenebre in forma di nero fanciullo, e così la ammonì: Non piangere tanto, perché diventerai cieca!
Ma, rispondendogli lei subito:
«Non sarà cieco chi vedrà Dio», confuso si allontanò” (FF 3198).
E nella prima lettera alla sua figlia spirituale, Agnese di Boemia, così Chiara si esprime:
«L’uomo coperto di vestiti non può pretendere di lottare con un ignudo, perché è più presto gettato a terra chi offre una presa all’avversario» (FF 1867).
I servi di Dio, nella loro semplicità, hanno le idee chiare, perché guidati dal Dito di Dio - e non mollano la Vocazione autentica.
«Ma se con il Dito di Dio io scaccio i demoni, quindi è arrivato per voi il regno di Dio» (Lc 11,20)
Venerdì 27.a sett. T.O. (Lc 11,15-26)
Il capitolo undici di Luca continua evidenziando come la preghiera fiduciosa e perseverante non solo ottiene quanto chiesto, ma di più: il grande dono dello Spirito Santo.
Nelle Fonti è magnifico l’esempio di Francesco.
Povero delle cose del mondo ma ricco dello Spirito di Dio, il Poverello considerava il Signore come Grande Elemosiniere che dona largamente a chi confida in Lui.
Nelle Fonti troviamo un episodio indicativo:
“Il servo di Dio, che si era molto aggravato, dal luogo di Nocera veniva ricondotto ad Assisi, da una scorta di ambasciatori, che il devoto popolo assisano aveva inviato.
Gli accompagnatori, col servo di Dio, giunsero in un villaggio poverello, chiamato Satriano.
Siccome l’ora e la fame facevano sentire il bisogno di cibo, andarono a cercarlo per il paese. Ma, non trovando niente da comprare, tornarono a mani vuote.
Allora il Santo disse a questi uomini:
«Se non avete trovato niente, è perché avete più fiducia nelle vostre mosche che in Dio (col termine ‘mosche’ egli indicava i denari).
Ma tornate indietro nelle case da cui siete passati e domandate umilmente l’elemosina, offrendo come pagamento l’amor di Dio.
E non crediate che questo sia un gesto vergognoso e umiliante: è un pensiero sbagliato, perché il Grande Elemosiniere, dopo il peccato, ha messo tutti i beni a disposizione dei degni e degli indegni, con generosissima bontà».
I cavalieri mettono da parte il rossore, vanno spontaneamente a chiedere l’elemosina e riescono a comprare con l’amor di Dio quello che non avevano ottenuto con i soldi.
Difatti quei poveri abitanti, commossi e ispirati da Dio, offrirono generosamente non solo le cose loro, ma anche se stessi.
E così avvenne che la povertà di Francesco sopperisse all’indigenza, che il denaro non aveva potuto alleviare” (FF 1130).
D’altra parte il Servo del Signore in tutta la sua vita aveva sempre creduto che Dio offre molto più di quel pensiamo, donando Spirito Santo - Somma di tutte le cose buone.
Infatti nella Regola bollata (1223) Francesco afferma che bisogna «desiderare sopra ogni cosa […] di avere lo Spirito del Signore e la sua Santa operazione» (FF 104), il Quale riposa su quanti vivono il Vangelo con fedeltà.
Il Povero di Cristo, infatti, Lo considerava Ministro dell’Ordine.
E diceva:
«Presso Dio […] non vi è preferenza di persone e lo Spirito Santo, ministro generale dell’Ordine, si posa egualmente sul povero ed il semplice» (FF 779).
«Quanto più il Padre che è dal Cielo darà Spirito Santo a quelli che gli chiedono» (Lc 11,13b)
Giovedì della 27.a sett. T.O. (Lc 11,5-13)
Dopo aver pregato, Gesù riceve dai discepoli la richiesta d’insegnare loro a pregare.
Così dona loro il ‘Padre nostro’.
Se andiamo a guardare nelle Fonti francescane ci accorgiamo quanto fosse importante per il Poverello la preghiera.
Francesco, l’Araldo del Gran Re, non era più tanto un uomo che pregava quanto una creatura fatta preghiera.
E come i discepoli nel vedere pregare Gesù gli chiesero d’insegnar loro a pregare, così i frati che ebbero la fortuna di vedere immerso in orazione Francesco, domandarono a lui d’insegnare loro.
“Quando, poi, i frati gli chiesero che insegnasse loro a pregare, disse: Quando pregate, dite:
«Padre nostro» e «Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono in tutto il mondo, e ti benediciamo, perché, per mezzo della tua Santa croce, hai redento il mondo» (FF 1068).
“Inoltre insegnò loro a lodare Dio in tutte le creature e […] a confessare schiettamente la verità della fede” (FF 1069).
E nei suoi scritti (nello specifico, la Parafrasi del «Padre nostro»):
«O santissimo Padre nostro: creatore, redentore, consolatore e Salvatore nostro. Che sei nei cieli: negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza, perché tu Signore, sei luce: infiammandoli all’amore, perché tu, Signore, sei amore; ponendo la tua dimora in loro e riempiendoli di beatitudine, perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene» (FF 266- 267).
Raccomandava ai suoi frati di non trascurare l’orazione. Infatti:
“«Sopra ogni altra cosa - asseriva con fermezza - il religioso deve desiderare la grazia dell’orazione» e incitava in tutte le maniere possibili i suoi frati a praticarla con zelo, convinto che nessuno fa progressi nel servizio di Dio senza di essa.
Camminando e sedendo, in casa e fuori, lavorando e riposando, restava talmente intento all’orazione da sembrare che le avesse dedicato ogni parte di se stesso, non solo il cuore e il corpo ma anche l’attività e il tempo” (FF 1176).
«Quando pregate, dite:
Padre, sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno» (Lc 11,2)
Mercoledì della 27.a sett. T.O. (Lc 11,1-4)
Francesco d’Assisi, il Sapiente e il Minimo di Dio, ebbe sempre chiara nella sua coscienza l’importanza e la necessità della vita contemplativa, temperata dal lavoro che tiene lontano l’ozio e che conforma a Cristo. Lo esigeva per sé e per i suoi frati. Arrivò a dire che servire i fratelli vale più di ogni sosta negli eremi, dove lui stesso amava recarsi, quando poteva.
Leggiamo nei suoi scritti: “Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio” (FF 119).
Inoltre: “Siamo convinti che […] siano stati rimproverati assai quelli che negli eremitori vivono in modo diverso. Molti infatti trasformano il luogo della contemplazione in ozio e il modo di vivere eremitico, istituito per consentire alle anime la perfezione, lo riducono ad un luogo di piacere […] Certo questo rimprovero non è per tutti. Sappiamo che vi sono dei Santi […] che nell’eremo seguono ottime leggi” (FF 765).
Anche tra i frati si discuteva se vivere di contemplazione o azione, infatti nella Leggenda Maggiore è scritto:
”Mentre, saldi nel santo proposito, affrontavano la valle Spoletana, si misero a discutere se dovevano passare la vita in mezzo alla gente oppure dimorare in luoghi solitari.
Ma Francesco, il servo di Cristo, non confidando nell’esperienza propria o in quella dei suoi, si affidò alla preghiera, per ricercare con insistenza quale fosse su questo punto la disposizione della volontà divina.
Venne così illuminato con una risposta dal Cielo e comprese che egli era stato mandato dal Signore a questo scopo: guadagnare a Cristo le anime […] E perciò scelse di vivere per tutti, anziché per sé solo, stimolato dall’esempio di Colui che si degnò di morire, Lui solo, per tutti gli uomini” (FF1066).
Ma l’amore per l’orazione e l’ascolto della Parola accompagnò sempre il suo agire e quello dei suoi frati.
“La dedizione instancabile alla preghiera […] aveva fatto pervenire l’uomo di Dio a così grande chiarezza di spirito che […] scrutava le profondità delle Scritture con intelletto limpido e acuto. Leggeva i libri sacri e riteneva tenacemente impresso nella memoria quanto aveva una volta assimilato: giacché ruminava continuamente con affettuosa devozione ciò che aveva ascoltato con mente attenta” (FF1187).
Trasformato in preghiera, senza venir meno ai servizi:
Francesco aveva una predilezione speciale per la Parola di Dio e in lui, senza venir meno ai servizi da rendere al prossimo, primeggiava sempre l’ascolto di quanto il Signore chiedeva o insegnava, fissandolo bene nella sua mente.
Aveva scelto la parte buona che nessuno avrebbe potuto togliergli.
Infatti le Fonti ci ammaestrano al riguardo:
“Trascorreva tutto il suo tempo in santo raccoglimento per imprimere nel cuore La sapienza; temeva di tornare indietro se non progrediva sempre.
E se a volte urgevano visite di secolari o altre faccende, le troncava più che terminarle, per rifugiarsi di nuovo nella contemplazione […]
Cercava sempre un luogo appartato, dove potersi unire non solo con lo spirito, ma con le singole membra al suo Dio” (FF 681).
“Spesso senza muovere le labbra, meditava a lungo dentro di sé e, concentrando all’interno le potenze esteriori, si alzava con lo spirito al cielo. In tal modo dirigeva tutta la mente e l’affetto a quell’unica cosa che chiedeva a Dio: non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente” (FF 682).
Aveva compreso l’essenza del Vangelo.
Quando era infermo e pieno di dolori, a un frate che da Francesco aveva appreso a rifugiarsi nelle Scritture e che ora lo invitava a farsela leggere per averne sollievo, il Santo rispose:
«È bene leggere le testimonianze della Scrittura, ed è bene cercare in esse il Signore nostro Dio. Ma, per quanto mi riguarda, mi sono già preso tanto dalle Scritture, da essere più che sufficiente alla mia meditazione e riflessione. Non ho bisogno di più, Figlio: conosco Cristo povero e Crocifisso» (FF 692).
Gesù, a colui che chiede: «E chi è a me prossimo?» (Lc 10,29) risponde raccontando una vicenda.
Dinanzi a chi giace a terra non bisogna passare oltre, bensì soccorrerlo, prendersene cura, perché ogni persona malmenata è: proprio prossimo, chiunque sia.
Il Poverello, che aveva ricevuto misericordia dal Signore, aveva bene imparato la lezione per applicarla "sine glossa", letteralmente verso tutti, incominciando dai più bisognosi ed emarginati del suo tempo.
L’incontro del Poverello con i lebbrosi costituisce una pagina fondamentale della sua crescita nello Spirito.
Crocevia che lo modifica profondamente e cambia le coordinate della vita interiore.
Per quegli sfortunati prova compassione e “passione”, disposto ad aiutarli in ogni modo, perché scrigno del Servo Sofferente.
Leggiamo nel suo meraviglioso Testamento:
«Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi Misericordia.
E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo» (FF 110).
Così “il Santo si reca tra i lebbrosi e vive con essi, per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulente […]
La vista dei lebbrosi infatti, come egli attesta, gli era prima così insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza il loro ricovero, si turava il naso con le mani.
Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per Grazia e virtù dell’Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò.
Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria” (FF 348).
E Francesco di lebbrosi ne guarì molti:
“Nella città di Fano, un giovane di nome Bonomo, ritenuto da tutti i medici lebbroso e paralitico, appena viene offerto molto devotamente dai genitori al beato Francesco, è liberato dalla lebbra e dalla paralisi e riacquista piena salute” (FF 564).
La cura riservata da lui ai lebbrosi, quale Buon Samaritano del Vangelo, si trasformerà, per dono del Signore, in potenza ed efficacia nel guarire le malattie del corpo e dello spirito.
Aveva compassione viscerale di queste anime abbandonate a se stesse e visse alla lettera il Vangelo dei derelitti e dei messi ai margini, amando con straordinaria predilezione i Lazzaro del suo tempo e oltre.
«Va’, anche tu fa’ ugualmente» (Lc 10,37)
Lunedì 27.a sett. T.O. (Lc 10,25-37)
In questa domenica ventisettesima del tempo ordinario la Liturgia pone attenzione al brano lucano in cui gli apostoli chiedono a Gesù:
«Accresci in noi la fede!» (Lc 17,5).
Attraversando le Fonti, c’imbattiamo in un brano del Celano, tratto dalla Vita seconda, in cui Francesco viene chiamato a rafforzare la propria fede in Dio in un momento particolare del suo cammino.
"Ad un certo momento della sua vita, il Padre subì una violentissima tentazione di spirito, sicuramente a vantaggio della sua corona.
Per questo, era angustiato e pieno di sofferenza, mortificava e macerava il corpo, pregava e piangeva nel modo più penoso.
Questa lotta durò più anni. Un giorno, mentre pregava in Santa Maria della Porziuncola, udì in spirito una voce:
«Francesco, se avrai fede quanto un granello di senapa, dirai al monte che si sposti ed esso si muoverà».
«Signore, - rispose il Santo - qual è il monte, che io vorrei trasferire?».
E la voce di nuovo:
«Il monte è la tua tentazione».
«O Signore, - rispose il Santo in lacrime - avvenga a me, come hai detto».
Subito sparì ogni tentazione e si sentì libero e del tutto sereno nel più profondo del cuore (FF 702).
Così accade quando ci si apre alla Grazia! Essa trasforma ogni cosa, rafforzando l’uomo interiore.
Anche Chiara fu maestra di fede per la sua fraternità damianita.
Così si rivolge, infatti, in una lettera a Ermentrude di Bruges:
«Rimani, dunque, o carissima, fedele fino alla morte a Colui, al quale ti sei legata per sempre. E certamente sarai da Lui coronata con la corona della vita. Il tempo della fatica quaggiù è breve, ma la ricompensa è eterna…
Sostieni di buona voglia le avversità, e la superbia non rigonfi il tuo cuore nelle cose prospere; queste ti richiamano alla tua fede, quelle la richiedono» (FF 2914).
Domenica 27.a T.O. anno C (Lc 17,5-10)
Those living beside us, who may be scorned and sidelined because they are foreigners, can instead teach us how to walk on the path that the Lord wishes (Pope Francis)
Chi vive accanto a noi, forse disprezzato ed emarginato perché straniero, può insegnarci invece come camminare sulla via che il Signore vuole (Papa Francesco)
Many saints experienced the night of faith and God’s silence — when we knock and God does not respond — and these saints were persevering (Pope Francis)
Tanti santi e sante hanno sperimentato la notte della fede e il silenzio di Dio – quando noi bussiamo e Dio non risponde – e questi santi sono stati perseveranti (Papa Francesco)
In some passages of Scripture it seems to be first and foremost Jesus’ prayer, his intimacy with the Father, that governs everything (Pope Francis)
In qualche pagina della Scrittura sembra essere anzitutto la preghiera di Gesù, la sua intimità con il Padre, a governare tutto (Papa Francesco)
It is necessary to know how to be silent, to create spaces of solitude or, better still, of meeting reserved for intimacy with the Lord. It is necessary to know how to contemplate. Today's man feels a great need not to limit himself to pure material concerns, and instead to supplement his technical culture with superior and detoxifying inputs from the world of the spirit [John Paul II]
Occorre saper fare silenzio, creare spazi di solitudine o, meglio, di incontro riservato ad un’intimità col Signore. Occorre saper contemplare. L’uomo d’oggi sente molto il bisogno di non limitarsi alle pure preoccupazioni materiali, e di integrare invece la propria cultura tecnica con superiori e disintossicanti apporti provenienti dal mondo dello spirito [Giovanni Paolo II]
This can only take place on the basis of an intimate encounter with God, an encounter which has become a communion of will, even affecting my feelings (Pope Benedict)
Questo può realizzarsi solo a partire dall'intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento (Papa Benedetto)
We come to bless him because of what he revealed, eight centuries ago, to a "Little", to the Poor Man of Assisi; - things in heaven and on earth, that philosophers "had not even dreamed"; - things hidden to those who are "wise" only humanly, and only humanly "intelligent"; - these "things" the Father, the Lord of heaven and earth, revealed to Francis and through Francis (Pope John Paul II)
Veniamo per benedirlo a motivo di ciò che egli ha rivelato, otto secoli fa, a un “Piccolo”, al Poverello d’Assisi; – le cose in cielo e sulla terra, che i filosofi “non avevano nemmeno sognato”; – le cose nascoste a coloro che sono “sapienti” soltanto umanamente, e soltanto umanamente “intelligenti”; – queste “cose” il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha rivelato a Francesco e mediante Francesco (Papa Giovanni Paolo II)
We are faced with the «drama of the resistance to become saved persons» (Pope Francis)
Siamo davanti al «dramma della resistenza a essere salvati» (Papa Francesco)
That 'always seeing the face of the Father' is the highest manifestation of the worship of God. It can be said to constitute that 'heavenly liturgy', performed on behalf of the whole universe [John Paul II]
Quel “vedere sempre la faccia del Padre” è la manifestazione più alta dell’adorazione di Dio. Si può dire che essa costituisce quella “liturgia celeste”, compiuta a nome di tutto l’universo [Giovanni Paolo II]
don Giuseppe Nespeca
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