Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Il brano di Matteo, oggi, ci chiama ad una vigilante attesa del ritorno del Signore, comportandoci da servi impegnati e disponibili. Chi si lascia andare troverà alla fine amare sorprese.
Poiché non sappiamo quando arriverà è necessario vegliare.
Il Povero assisano fece dell’atteggiamento di solerte attesa e veglia il motivo conduttore del suo percorso di fede.
Non solo vegliava in preghiera, aspettando sempre la Venuta del suo Signore, ma si studiò di incarnare la Parola servendo e amando i suoi frati e ogni creatura.
In tal senso le Fonti c’informano e fanno da testimoni credibili della sua semplice vita evangelica.
Leggiamo:
“Egli alzava sempre le mani al cielo in favore dei veri Israeliti, e a volte, dimentico di sé, provvedeva prima alla salvezza dei fratelli.
Si prostrava ai piedi della Maestà divina, offriva un sacrificio spirituale per i suoi figli, e piegava Dio a beneficarli.
Vegliava con trepido amore sul piccolo gregge, che si era condotto dietro, perché non gli capitasse che, dopo aver lasciato questo mondo, perdesse anche il cielo.
Ed era convinto che un giorno sarebbe rimasto senza gloria, se nello stesso tempo non ne avesse reso meritevoli e partecipi quanti gli erano stati affidati, e che il suo spirito dava alla luce con dolore maggiore di quello provato dalle viscere materne” (FF 760).
Vegliava con amore di padre e madre sui figli spirituali che Dio gli aveva donato e con grande sollecitudine e lungimiranza.
Vegliava con ardore per poter vivere ogni giorno quanto Gesù gli aveva rivelato nel suo cammino.
Vegliava paternamente sulle Povere Dame di S. Damiano, su quelle pianticelle nate dalla medesima chiamata: vocazione d’incarnare il santo Vangelo, annunciandolo ad ogni creatura sotto il cielo.
«Anche voi tenetevi pronti, perché nell’ora che non pensate il Figlio dell’uomo Viene» (Mt 24,44)
Giovedì della 21.a sett.T.O. (Mt 24,42-51)
Gesù punta il dito su scribi e farisei ipocriti. Essi si preoccupano d’inezie, invece di praticare la giustizia e la misericordia.
Sono sepolcri imbiancati, mostrano un’apparenza che fa solo da paravento, al putridume interiore.
Francesco detestava l’ipocrisia rimproverata da Gesù a scribi e farisei, e se ne guardava bene dal coltivarla sotto ogni forma.
Anche quando la malattia gli imponeva di allentare i digiuni per recuperare forze, poi denunciava tutto davanti alla gente, apertamente, per guadagnarsi il disprezzo.
Infatti nella Leggenda maggiore è scritto:
“Fu una dimostrazione di umiltà perfetta, che insegna al seguace di Cristo la necessità di disprezzare gli elogi e le lodi passeggere, di reprimere il gonfiore e l’arroganza dell’ostentazione e di smascherare le menzogne fraudolenti dell’ipocrisia” (FF 1104).
Un giorno a un frate che mostrava la faccia triste disse:
«Il servo di Dio non deve mostrarsi agli altri triste e rabbuiato, ma sempre sereno.
Ai tuoi peccati, riflettici nella tua stanza e alla presenza di Dio piangi e gemi.
Ma quando ritorni tra i frati, lascia la tristezza e conformati agli altri» (FF 712).
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, poiché assomigliate a tombe imbiancate che all’esterno appaiono splendide, ma dentro sono piene di ossa di morti e di ogni impurità» (Mt 23,27)
Mercoledì 21.a sett. T.O (Mt 23,27-32)
Continuano i «Guai» pronunciati da Gesù nel Vangelo di Matteo.
Egli sferza l’ipocrisia dilagante, rimproverando la cura dell’esteriore che cozza con la fuliggine interiore.
Guardiamo la vita del Poverello attraverso le Fonti e nel merito.
Francesco detestava l’ipocrisia rimproverata da Gesù a scribi e farisei, e se ne guardava bene dal coltivarla sotto ogni forma.
Anche quando la malattia gli imponeva di allentare i digiuni per recuperare forze, poi denunciava tutto davanti alla gente, apertamente, per guadagnarsi il disprezzo.
Infatti nella Leggenda maggiore è scritto:
“Fu una dimostrazione di umiltà perfetta, che insegna al seguace di Cristo la necessità di disprezzare gli elogi e le lodi passeggere, di reprimere il gonfiore e l’arroganza dell’ostentazione e di smascherare le menzogne fraudolenti dell’ipocrisia” (FF 1104).
Un giorno a un frate che mostrava la faccia triste disse:
" «Il servo di Dio non deve mostrarsi agli altri triste e rabbuiato, ma sempre sereno. Ai tuoi peccati, riflettici nella tua stanza e alla presenza di Dio piangi e gemi. Ma quando ritorni tra i frati, lascia la tristezza e conformati agli altri»" (FF 712).
Francesco fu cultore della verità, aborrendo ogni avidità e intemperanza.
Guardava al Padre che è nei cieli e attende da ognuno giustizia, fedeltà e misericordia.
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché pagate la decima della menta e dell’aneto e del comino, e [tra]lasciate i [punti] più gravi della Legge: il giudizio e la misericordia e la fedeltà» (Mt 23,23)
Martedì della 21.a sett. T.O. (Mt 23,23-26)
Il Vangelo di Matteo insiste sull’ipocrisia di scribi e farisei che chiudono, con il loro comportamento, il regno dei cieli davanti alla gente.
Guardando nelle Fonti scopriamo come tutto questo sia stato incarnato dal Povero d’Assisi in modo singolare.
Francesco era tanto avverso all’ipocrisia da mettere nella stessa Regola non Bollata (1221) uno specifico comma in merito:
«E si guardino i frati dal mostrarsi tristi all’esterno e oscuri in faccia come gli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore e giocondi e garbatamente amabili» (FF 27).
Egli detestava ogni doppiezza come peste, e la denunciava pubblicamente anche a suo riguardo, se gli pareva di non aver vissuto secondo la Parola di Dio - temendo di non entrare nel Regno dei cieli e di non essere testimone credibile.
A tal riguardo le Fonti rivelano:
“Una volta, intorno a Natale, si era radunata molta folla per la predica presso l’eremo di Poggio*.
Francesco esordì a questo modo:
«Voi mi credete un uomo santo e perciò siete venuti qui con devozione. Ebbene, ve lo confesso, in tutta questa Quaresima ho mangiato cibi conditi con lardo».
E così più di una volta attribuì a gola ciò che invece aveva concesso alla malattia” (FF 715).
Chiara stessa, impronta della Madre di Dio, esortò sempre la sua comunità a rifuggire ogni forma di falsità che catalogava come vera cecità.
Lei, Chiara per vita e virtù, si guardò sempre da questa peste che poteva rovinare la fraternità fra sorelle e impedire l’amore vicendevole.
«Ahimé per voi, scribi e farisei teatranti, poiché chiudete il regno dei cieli davanti alla gente» (Mt 23,13).
• S’intende Poggio Bustone, nella valle reatina.
Lunedì 21.a sett. T.O (Mt 23,13-22)
In questa domenica il Vangelo di Luca porta alla nostra attenzione l’esortazione di Gesù a sforzarsi di entrare per la porta stretta, ribadendo che al momento dell’incontro definitivo con Lui le opere compiute parleranno per noi.
«Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi» (Lc 13,30).
Il tema della Porta Stretta e del ‘farsi ultimi’ è presente in modo assiduo nelle Fonti francescane.
Dopo la conversione, il Figlio di Pietro Bernardone pone molta cura allo «sforzatevi di entrare per la porta stretta» raccomandato da Gesù.
Infatti, in quelli che denominiamo «Scritti di Francesco» [per lo più dettati a qualche frate che si faceva suo segretario] emerge con chiarezza la sua ferma adesione al Vangelo.
Nella Regola non bollata (1221) troviamo, tra le esortazioni rivolte ai suoi frati:
«E si sforzino di entrare per la porta stretta, poiché dice il Signore: Angusta è la porta e stretta la via che conduce alla vita; e sono pochi quelli che la trovano» (FF 37).
E ben consapevole dell’esigenza evangelica dell’umiltà e della minorità, così rispondeva ai suoi in merito a chi deve essere ritenuto un vero frate minore:
«Prendi un corpo morto - disse - e mettilo dove ti pare e piace. E vedrai che, se lo muovi, non si oppone: se lo lasci cadere, non protesta. Se lo metti in cattedra, non guarderà in alto, ma in basso. Se gli metti un vestito di porpora, sembrerà doppiamente pallido. Questo è il vero obbediente: chi non giudica il perché lo spostano; non si cura del luogo a cui viene destinato; non insiste per essere trasferito; eletto in un ufficio, mantiene la solita umiltà; quanto più viene onorato, tanto più si ritiene indegno» (FF 1107).
E Chiara non era da meno!
Nel suo Testamento lasciato alle sorelle leggiamo:
«Ma poiché stretta è la via e il sentiero, e angusta la porta per la quale ci si incammina e si entra nella vita, pochi sono quelli che la percorrono e vi entrano; e se pure vi sono quelli che per un poco di tempo vi camminano, pochissimi perseverano in essa. Beati però quelli cui è concesso di camminare per questa via e di perseverarvi fino alla fine» (FF 2850).
Nella Leggenda:
“Da allora non respinse più alcuna incombenza servile, al punto che, per lo più, era lei a versare l’acqua sulle mani delle sorelle, se ne stava in piedi per assisterle, mentre esse sedevano e le serviva a tavola mentre mangiavano” (FF 3180).
Già, gli ultimi saranno i primi nel Regno di Dio!
Quanti sono stati messi all’angolo, dalla durezza e saccenza della vita competitiva, saranno abbracciati dalla Misericordia di Dio.
Domenica 21.a T.O. anno C (Lc 13,22-30)
Nel brano evangelico proposto oggi, Gesù si rivolge alla gente comune e ai suoi discepoli mettendoli in guardia dai criteri usati dagli scribi e farisei:
«Non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno» (Mt 23,3).
In quanto operano c’è la ricerca dell’apparire e dell’essere ammirati, vivendo fuori di sé anziché dentro.
Cercatori dei primi posti e dell’essere chiamati "rabbì" dalla gente.
No, dice Gesù, fra voi non sia così, la logica del Regno è altra e chi si umilia sarà esaltato.
In questo contesto guardiamo dentro le Fonti.
Francesco aveva un grande rispetto concreto per Dio, tanto che leggiamo nelle Fonti:
"Non voleva chiamare col loro nome quanti avessero nome «Buono», per riverenza al Signore che ha detto: Nessuno è buono, fuorché Dio solo.
Allo stesso modo, non voleva dare a nessuno il titolo di «padre» o di «maestro», né scriverlo nelle lettere, per rispetto al Signore che disse: Non chiamate nessuno «padre» sulla terra, né fatevi chiamare «maestri», ecc" (FF 1615).
Il Povero d’ Assisi inoltre aborriva l’ipocrisia, la malattia dell’apparire e non essere, e non fare.
Infatti nella Vita seconda del Celano leggiamo:
“Costoro si preoccupano di apparire buoni, non di diventarlo, accusano i vizi altrui ma non depongono i propri […] vendono a prezzo di lodi funeste il pallore della loro faccia emaciata per sembrare spirituali, in modo da giudicare tutto e non essere giudicati da nessuno.
Godono della fama di essere santi, senza averne le opere, del nome di angeli ma non ne hanno la virtù” (FF 770).
Il Poverello era in modo evidente nemico di ogni forma di ostentazione e mancata trasparenza.
Infatti, nelle Fonti: "Una volta, intorno a Natale, si era radunata molta folla per la predica presso l’eremo di Poggio [Bustone].
Francesco esordì a questo modo:
«Voi mi credete un uomo santo e perciò siete venuti con devozione. Ebbene, ve lo confesso, in tutta questa quaresima, ho mangiato cibi conditi con lardo».
E così più di una volta attribuì a gola, ciò che invece aveva concesso alla malattia” (FF 715).
L’interiorità di Francesco andava a braccetto con la forma esterna, in un sapiente equilibrio esistenziale.
Sabato della 20.a sett. T.O. (Mt 23,1-12)
Matteo evidenzia la risposta data da Gesù ai leaders che tentavano di metterlo alla prova, in merito al più grande comandamento.
E il Signore li spiazza: amare Dio con tutto se stesso, e il prossimo come se stesso, è quanto di meglio si possa fare.
Francesco d’Assisi era infiammato da un profondo amore per Dio e per il prossimo, poiché, per grazia, aveva compreso che in questi due comandamenti era racchiuso tutto il Vangelo.
Le Fonti lo attestano in modo lampante.
“Fra le altre parole, che ricorrevano spesso nel parlare, non poteva udire l’espressione «amore di Dio» senza provare una certa commozione. Subito infatti, al suono di questa espressione «amore di Dio» si eccitava, si commuoveva e si infiammava, come se venisse toccata col plettro della voce la corda interiore del cuore.
«È una prodigalità da nobili - ripeteva - offrire questa ricchezza in cambio dell’elemosina e sono quanto mai stolti quelli che l’apprezzano meno del denaro».
Da parte sua, osservò infallibilmente sino alla morte il proposito che aveva fatto quando era ancora nel mondo, di non respingere alcun povero che gli chiedesse per amore di Dio.
Una volta un povero gli chiese la carità per amore di Dio. Siccome non aveva nulla, il Santo prese di nascosto le forbici e si preparò a spartire la sua misera tonaca.
E l’avrebbe certamente fatto se non fosse stato scoperto dai frati, ai quali però ordinò di provvedere con altro compenso al povero” (FF 784).
“La forza dell’amore aveva reso Francesco fratello di tutte le altre creature; non è quindi meraviglia se la carità di Cristo lo rendeva ancora più fratello di quanti sono insigniti della immagine del Creatore.
Diceva infatti che niente è più importante della salvezza delle anime, e lo provava molto spesso col fatto che l’Unigenito di Dio si è degnato di essere appeso alla croce per le anime.
Da qui derivava il suo impegno nella preghiera, il suo trasferirsi da un luogo all’altro per predicare, la sua grande preoccupazione di dare il buon esempio.
Non si riteneva amico di Cristo, se non amava le anime che Egli ha amato […]
Ma al di sopra di ogni misura, amava di un amore particolarmente intimo con tutto l’affetto del cuore, i frati, come familiari di una fede speciale e uniti dalla partecipazione alla eredità eterna” (FF 758).
Francesco sapeva che l’amore fraterno era riprova di quello attestato a Dio in tutta la sua concretezza.
Venerdì della 20.a sett. T.O. (Mt 22,34-40)
Gesù paragona il Regno dei cieli a un banchetto di nozze.
Gli invitati non si curano di partecipare al banchetto del re, e i servi vengono inviati a raccogliere quanti trovano nelle strade, ma con l’abito nuziale.
«Molti infatti sono chiamati, ma pochi eletti» (Mt 22,14).
Guardiamo ora al Poverello d’Assisi: come vive tutto questo, secondo il racconto delle Fonti.
Innamorato di Madonna Povertà, Francesco invitò con insistenza la Medesima a prendere cibo con i frati [cf. Sacrum Commercium Beati Francisci cum Domina Paupertate]:
“Poi la condussero al luogo dove era preparata la mensa. Come fu arrivata ella si guardò attorno e, non vedendo nulla all’infuori di tre o quattro tozzi di pane d’orzo e di crusca posti sull’erba fu presa da grande ammirazione” (FF 2020).
Quindi "ordinò loro di essere tutti insieme e rivolse ad essi parole di vita, dicendo:
«Siate Benedetti, figli miei, dal Signore Iddio che ha creato il cielo e la terra, perché mi avete accolta nella vostra casa con tale pienezza di carità, che oggi stando con voi mi è parso di stare nel paradiso del Signore […]
Ecco quello che ho tanto cercato, ora lo contemplo […] perché in terra mi sono unita a uomini che sono per me immagine fedele di Colui che è mio sposo nel cielo.
Benedica il Signore il vostro coraggio e gradisca il lavoro delle vostre mani»" (FF 2024).
Chiamati/e ed eletti/e in compagnia di Madonna Povertà, a ricalcare le orme del Figlio di Dio.
La stessa Chiara, nel suo Testamento spirituale, vera perla francescana, si rivolge alle figlie presenti e future invitandole a custodire il tesoro inestimabile dell’elezione. Leggiamo in esso:
«Tra gli altri benefici che abbiamo ricevuto e ogni giorno riceviamo dal nostro Donatore, il Padre delle Misericordie, per i quali siamo molto tenute a rendere a Lui glorioso vive azioni di grazie, grande è quello della nostra vocazione. E quanto più essa è grande e perfetta, tanto maggiormente siamo a lui obbligate. Perciò l’Apostolo ammonisce: ‘Conosci bene la tua vocazione’» (FF 2823).
E ancora:
«Il Figlio di Dio si è fatto nostra Via; e questa con la parola e l’esempio ci indicò e insegnò il beato padre nostro Francesco, vero amante e imitatore di Lui» (FF 2824).
A questo punto Chiara ricorda quando il Santo, sotto ispirazione divina, profetò a loro riguardo.
“Salito sopra il muro di detta chiesa […] rivolto ad alcuni poverelli che stavano lì appresso:
«Venite ed aiutatemi in quest’opera del monastero di S. Damiano, perché tra poco verranno ad abitarli delle donne, e per la fama della santità della loro vita si renderà gloria al Padre nostro celeste in tutta la sua santa Chiesa».
Possiamo, dunque, ammirare in questo fatto la grande bontà di Dio verso di noi: Egli si è degnato, nella sovrabbondante sua misericordia e carità, di ispirare tali parole al suo Santo a proposito della nostra vocazione ed elezione» (FF 2827-2828).
[Giovedì della 20.a sett.T.O. (Mt 22,1-14)]
Nel capitolo venti del Vangelo di Matteo, Gesù paragona il Regno dei cieli ad un padrone che chiama e accoglie a lavorare nella sua vigna a tutte le ore, perfino quanti arrivano all’ultima ora. Senza nulla togliere a quelli che hanno lavorato duramente tutto il giorno, il Signore accoglie pienamente anche coloro che arrivano tardi, secondo l’orologio umano.
Dio, nella sua bontà, valuta in base ad un criterio diverso dai pregiudizi degli uomini.
Per questo: «gli ultimi saranno i primi e i primi, ultimi» (Mt 20,16).
Nelle Fonti Francescane troviamo un Poverello che amava la laboriosità e non il pregiudizio, rifuggendo l’ozio.
Aveva però compreso che il nostro Dio non è dispotico, bensì dispensa i suoi beni in totale gratuità.
Il Minore guardava sempre alla Bontà dell’Artefice di ogni cosa, che ha cura di ciascuno, e tutti vuole condurre nel suo Regno.
Esortava i suoi frati a lavorare con sollecitudine nella Vigna del Signore, accogliendo chiunque e stando lontano solo da chi oziava.
Le Fonti raccontano:
“Quando i frati dimoravano a Rivotorto, c’era uno di loro che poco pregava, non lavorava e si rifiutava di andare alla cerca perché si vergognava: mangiava forte, però.
Considerando una simile condotta, Francesco capì con la luce dello Spirito Santo che quello era un uomo carnale. E gli rivolse queste parole:
«Va’ per la tua strada, fratello Mosca! Tu vuoi mangiare il lavoro dei tuoi fratelli, ma sei ozioso nel servizio di Dio. Sei come il fuco, che non lavora e non raccoglie, e divora il frutto della fatica delle api operose».
Quel tale se ne andò per la sua strada, senza nemmeno chiedere scusa, da quell’uomo carnale che era” (FF 1612).
Tuttavia Francesco non aveva pregiudizi, e sempre contemplava la Suprema Bontà di Dio, risalendo all’Origine salvifica di ogni cosa.
In tal guisa “esultava per tutte quante le opere delle mani del Signore e, da quello spettacolo di gioia, risaliva alla Causa e Ragione che tutto fa vivere” (FF 1162).
Quindi non mancava di ammonire i suoi frati a non essere invidiosi di quanto il Signore operava nel prossimo:
“Chiunque invidia il suo fratello riguardo al bene che il Signore dice e fa in lui, commette peccato di bestemmia, poiché invidia lo stesso Altissimo, il quale dice e fa ogni bene” (FF 157 Ammonizioni).
E ancora:
“Voglio che i miei frati lavorino e si tengano esercitati. Così non andranno in giro, oziando con il cuore e con la lingua, a pascersi di cose illecite” (FF1093).
Mercoledì della 20.a sett. T.O. (Mt 20,1-16)
From a human point of view, he thinks that there should be distance between the sinner and the Holy One. In truth, his very condition as a sinner requires that the Lord not distance Himself from him, in the same way that a doctor cannot distance himself from those who are sick (Pope Francis))
Da un punto di vista umano, pensa che ci debba essere distanza tra il peccatore e il Santo. In verità, proprio la sua condizione di peccatore richiede che il Signore non si allontani da lui, allo stesso modo in cui un medico non può allontanarsi da chi è malato (Papa Francesco)
The life of the Church in the Third Millennium will certainly not be lacking in new and surprising manifestations of "the feminine genius" (Pope John Paul II)
Il futuro della Chiesa nel terzo millennio non mancherà certo di registrare nuove e mirabili manifestazioni del « genio femminile » (Papa Giovanni Paolo II)
And it is not enough that you belong to the Son of God, but you must be in him, as the members are in their head. All that is in you must be incorporated into him and from him receive life and guidance (Jean Eudes)
E non basta che tu appartenga al Figlio di Dio, ma devi essere in lui, come le membra sono nel loro capo. Tutto ciò che è in te deve essere incorporato in lui e da lui ricevere vita e guida (Giovanni Eudes)
This transition from the 'old' to the 'new' characterises the entire teaching of the 'Prophet' of Nazareth [John Paul II]
Questo passaggio dal “vecchio” al “nuovo” caratterizza l’intero insegnamento del “Profeta” di Nazaret [Giovanni Paolo II]
The Lord does not intend to give a lesson on etiquette or on the hierarchy of the different authorities […] A deeper meaning of this parable also makes us think of the position of the human being in relation to God. The "lowest place" can in fact represent the condition of humanity (Pope Benedict)
Il Signore non intende dare una lezione sul galateo, né sulla gerarchia tra le diverse autorità […] Questa parabola, in un significato più profondo, fa anche pensare alla posizione dell’uomo in rapporto a Dio. L’"ultimo posto" può infatti rappresentare la condizione dell’umanità (Papa Benedetto)
We see this great figure, this force in the Passion, in resistance to the powerful. We wonder: what gave birth to this life, to this interiority so strong, so upright, so consistent, spent so totally for God in preparing the way for Jesus? The answer is simple: it was born from the relationship with God (Pope Benedict)
Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio (Papa Benedetto)
These words are full of the disarming power of truth that pulls down the wall of hypocrisy and opens consciences [Pope Benedict]
Queste parole sono piene della forza disarmante della verità, che abbatte il muro dell’ipocrisia e apre le coscienze [Papa Benedetto]
While the various currents of human thought both in the past and at the present have tended and still tend to separate theocentrism and anthropocentrism, and even to set them in opposition to each other, the Church, following Christ, seeks to link them up in human history, in a deep and organic way [Dives in Misericordia n.1]
Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda [Dives in Misericordia n.1]
don Giuseppe Nespeca
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