Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Lasciato solo dai discepoli, Gesù risponde loro ricordando e sottolineando la Comunione col Padre.
Li invita alla Pace, spronandoli a essere coraggiosi - perché Lui ha vinto il mondo.
Francesco affrontava con coraggio le avversità, sapendo che sono inevitabili per chi ama il Regno.
Il Poverello le incontrava ad ogni dove, ma si relazionava con le prove cantando, poiché Gesù aveva trionfato su di esse.
Le Fonti raccontano di un episodio avvenuto presso Caprignone:
"Vestito di cenci, colui che un tempo si adornava di abiti purpurei, se ne va per una selva, cantando le lodi di Dio in francese.
Ad un tratto, alcuni manigoldi si precipitano su di lui, domandandogli brutalmente chi sia.
L’uomo di Dio risponde impavido e sicuro:
«Sono l’araldo del gran Re; vi interessa questo?».
Quelli lo percuotono e lo gettano in una fossa piena di neve, dicendo:
«Stattene lì, zotico araldo di Dio!».
Ma egli, rivoltandosi di qua e di là, scossasi di dosso la neve, appena i briganti sono spariti, balza fuori dalla fossa e, tutto giulivo, riprende a cantare a gran voce, riempiendo il bosco con le lodi al Creatore di tutte le cose" (FF 346).
Esempio di coraggio e di fiducia nel Signore!
Francesco, il cui nome viene dall’antico tedesco e significa «libero», appunto liberamente continuava il suo cammino tra i marosi del mondo.
Il coraggio cui Gesù chiamava, lo chiedeva nella preghiera.
Nella Leggenda maggiore si narra:
"I concittadini, al vederlo squallido in volto e mutato nell’animo, ritenendolo uscito di senno, gli lanciavano contro il fango e i sassi delle strade, e, strepitando e schiamazzando, lo insultavano come un pazzo, un demente.
Ma il servo di Dio, senza scoraggiarsi o turbarsi per le ingiurie, passava in mezzo a loro, come se fosse sordo" (FF 1041).
«Nel mondo avete tribolazione. Ma fatevi coraggio! Io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).
Lunedì della 7.a sett. di Pasqua (Gv 16,29-33)
Il brano del Vangelo di Luca evidenzia il mandato di Gesù ai suoi, inviati a predicare la Parola a tutti i popoli.
Gesù sottolinea che «nel suo nome sarebbe stata predicata a tutti i popoli la conversione in remissione dei peccati» (Lc 24,47).
Francesco, fedele Araldo di Cristo e annunciatore costante della Parola, ebbe sempre a cuore la diffusione della Buona Novella del Regno per la salvezza di ogni fratello.
Nelle Fonti, percorso delle prime esperienze di fede, troviamo conferma di tale atteggiamento.
Nella Vita prima del Celano leggiamo:
"Era veramente fermo e costante nel bene, e null’altro cercava se non di compiere la volontà di Dio. E infatti, quando anche predicava la parola del Signore davanti a migliaia di persone, era tranquillo e sicuro, come se parlasse con il suo fratello e compagno.
Ai suoi occhi un’immensa moltitudine di uditori era come un uomo solo, e con la stessa diligenza che usava per le folle predicava ad una sola persona.
Dalla purezza del suo cuore attingeva la sicurezza della sua parola, e anche invitato all’improvviso, sapeva dire cose mirabili e mai udite prima" (FF 447).
Nella Leggenda maggiore, poi, viene evidenziato il suo modo di annunciare il Vangelo.
"Gente di ogni età e d’ogni sesso correva a vedere e ad ascoltare quell’uomo nuovo, donato dal cielo al mondo.
Egli pellegrinava per le varie regioni, annunciando con fervore il Vangelo; e il Signore cooperava, confermando la Parola con i miracoli che l’accompagnavano.
Infatti, nel nome del Signore, Francesco, predicatore della verità, scacciava i demoni, risanava gli infermi, e, prodigio ancor più grande, con l’efficacia della sua parola inteneriva e muoveva a penitenza gli ostinati e, nello stesso tempo, ridonava la salute ai corpi e ai cuori" (FF 1212).
Il Povero d’Assisi, consapevole dei patimenti di Cristo, attingeva forza per l’annuncio dagli insegnamenti di Gesù.
L’ascendere di Cristo al Padre lo avvertiva come un andare di Lui a "prepararci un posto".
Per questo, infervorato dalla missione affidata dal Signore ai suoi discepoli, predicava alacremente il Vangelo ad ogni creatura sotto il cielo, pregando costantemente.
Ascensione del Signore (Lc 24,46-53)
Il brano di Luca proposto oggi dalla Liturgia presenta la visita di Maria, Madre di Gesù, alla cugina Elisabetta. Entrambe sono in attesa della nascita del proprio figlio, che portano in grembo. Un’attesa confortata da un sussulto di gioia nel ventre di Elisabetta e dall’inno del Magnificat sulle labbra di Maria.
È uno splendido incontro che attesta le grandi opere di Dio in coloro che credono in Lui.
Francesco e Chiara vissero il loro incontro e quello con ogni creatura come Visitazione della Grazia presso di loro, rallegrandosi e commuovendosi per la bellezza dell’opera divina.
Nelle Fonti ci sono passaggi che lasciano intravvedere tutto questo.
Basta scorrere le Lettere di Chiara alla sua figlia spirituale, Agnese di Boemia, per rendersi conto come, pur distanti, godessero l’un l’altra per le meraviglie operate da Dio in loro, comunicandosele.
«Alla venerabile e santissima vergine, Donna Agnese, figlia dell’esimio e illustrissimo re di Boemia, Chiara, indegna serva di Gesù Cristo ed ancella inutile delle Donne recluse del monastero di San Damiano, sua suddita in tutto e serva […] augura di conseguire la gloria dell’eterna felicità» (FF 2859 - Lettera prima).
«Memore del tuo proposito, come un’altra Rachele, tieni sempre davanti agli occhi il punto di partenza. I risultati raggiunti, conservali; ciò che fai, fallo bene; non arrestarti; ma anzi, con corso veloce e passo leggero, con piede sicuro, che neppure alla polvere permetta di ritardarne l’andare, cautamente avanza confidente, lieta e sollecita nella via della beatitudine» (FF 2875 - Lettera seconda).
E ancora:
«Ti ammiro […] stringere a te, mediante l’umiltà, con la forza della fede e le braccia della povertà, il tesoro incomparabile, nascosto nel campo del mondo e dei cuori umani, col quale si compra Colui che dal nulla trasse tutte le cose» (FF 2885 - lettera terza).
«Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza, e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nella immagine della divinità di Lui» (FF 2888 - lettera terza).
Quindi Chiara, amabilmente, esorta Agnese e con gioia:
«A quel modo, dunque, che la gloriosa Vergine delle vergini portò Cristo materialmente nel suo grembo, tu pure, seguendo le sue vestigia, specialmente dell’umiltà e povertà di lui, puoi sempre, senza alcun dubbio, portarlo spiritualmente nel tuo corpo casto e verginale.
E conterrai in te Colui dal quale tu e tutte le creature sono contenute, e possederai ciò che è bene più duraturo e definitivo anche a paragone di tutti gli altri possessi transeunti di questo mondo» (FF 2893 - lettera terza).
La danza di gioia di queste due grandi anime visitate dalla Grazia evidenzia come il Signore, di generazione in generazione, continui a compiere i suoi disegni di salvezza in modo mirabile e inarrestabile.
«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha rivolto il suo sguardo alla bassezza della sua serva» (Lc 1,46b-48a)
Visitazione B.V. Maria, 31 maggio (Lc 1,39-56)
Gesù parla ai suoi dicendo: «La vostra gioia nessuno potrà togliere da voi» (Gv 16,22).
La felicità che viene da Lui è duratura, è autentica perché fondata su pilastri non mondani.
Francesco trovava gioia nella povertà e fraternità. Ancor più nell’orazione, nel rapporto interiore con Cristo.
Era la sua allegrezza quella proveniente dall’essere Araldo del Gran Re, che poggiava i propri piedi sulle orme del Figlio di Dio.
Nelle Fonti, sorgente dell’esperienza originaria francescana, vi sono passi che lo avvalorano.
Il Celano, solerte biografo, nella Vita prima, informa sulla vita fraterna e gioiosa dei frati:
“Da cultori fedeli della santissima povertà, poiché non possedevano nulla, non s’attaccavano a nessuna cosa, e niente temevano di perdere.
Erano contenti di una sola tonaca, talvolta rammendata dentro e fuori, tanto povera e senza ricercatezze da apparire in quella veste dei veri crocifissi per il mondo, e la stringevano ai fianchi con una corda, e portavano rozzi calzoni.
Il loro santo proposito era di restare in quello stato, senza avere altro. Erano perciò sempre sereni, liberi da ogni ansietà e pensiero, senza affanni per il futuro; non si angustiavano neppure di assicurarsi un ospizio per la notte, anche se pativano grandi disagi nel viaggio. Sovente, durante il freddo più intenso, non trovando ospitalità, si rannicchiavano in un forno, o pernottavano in qualche spelonca" (FF 388).
Nella Leggenda dei Tre compagni, Francesco e frate Egidio vibrano di gioia nel Signore:
"Francesco unitamente a Egidio andò nella Marca di Ancona, gli altri due si posero in cammino verso un’altra regione. Andando verso la Marca, esultavano giocondamente nel Signore.
Francesco, a voce alta e chiara, cantava in francese le lodi del Signore, benedicendo e glorificando la bontà dell’Altissimo. Tanta era la loro gioia, che pareva avessero scoperto un magnifico tesoro nel podere evangelico della signora Povertà, per amore del quale si erano generosamente e spontaneamente sbarazzati di ogni avere materiale, considerandolo alla stregua dei rifiuti […]" (FF 1436).
E Chiara gioisce nel sapere come Agnese di Praga, sua diletta figlia nello Spirito, progredisce nella vita interiore, tanto da dire:
«All’udire la stupenda fama della vostra santa vita religiosa, che non a me soltanto è giunta, ma si è sparsa magnificamente su tutta quasi la faccia della terra, sono ripiena di gaudio nel Signore e gioisco; e di questo possono rallegrarsi non soltanto io, ma tutti coloro che servono o desiderano servire Gesù Cristo» (FF 2860).
I due Poveri d’Assisi vivevano la loro disadorna esistenza, proiettati nel Vangelo di Gesù; riposavano sulla Parola, che preparava loro la beatitudine senza fine.
In attesa del ritorno di Cristo, avevano apparecchiato la loro vita offrendola all’unione con Dio e con i fratelli.
Con letizia accoglievano le esperienze favorevoli e (almeno in apparenza) contrarie, sapendo che Dio è fedele alle sue promesse e ai semplici che lo seguono.
Venerdì della 6.a sett. di Pasqua (Gv 16,20-23a)
Nel capitolo sedici del Vangelo di Giovanni, ormai vicino al suo ritorno al Padre, Gesù dice ai suoi discepoli:
«Voi vi rattristerete, ma la vostra tristezza diverrà gioia» (Gv 16,20).
Francesco aveva una geniale capacità ispirata dall’alto, nel trasformare ogni tristezza in gioia, in attesa della beata speranza.
Aveva insegnato, ad esempio, a frate Leone, pecorella di Dio, a trovare perfetta letizia nell’essere respinti e non riconosciuti dagli altri.
Trovava gioia nelle sofferenze al solo pensiero che Gesù le aveva vissute per primo e che quello era un nobile modo di unirsi a Lui.
Provava tristezza per le cattive testimonianze fra i suoi, ma veniva scosso da Dio stesso dinanzi a questo tipo di amarezza, poiché il Signore gli ricordava che tutto era in mano sua.
Le varie malinconie del cammino erano trasformate dal Poverello, per la forza dello Spirito, in opportunità di grazia - pensando al ritorno di Gesù e alla beata unione.
Nelle Fonti, gioiello di testimonianze originali, scopriamo la bellezza di tali dinamiche che la fede in Dio e l’efficacia della Parola elaboravano nel Minimo.
"Un giorno vide un suo compagno con una faccia triste e melanconica. Sopportando la cosa a malincuore, gli disse:
«Il servo di Dio non deve mostrarsi agli altri triste e rabbuiato, ma sempre sereno.
Ai tuoi peccati, riflettici nella tua stanza e alla presenza di Dio piangi e gemi. Ma quando ritorni tra i frati, lascia la tristezza e conformati agli altri».
E, poco dopo:
«Gli avversari della salvezza umana hanno molta invidia di me e, siccome non riescono a turbarmi direttamente, tentano sempre di farlo attraverso i miei compagni».
Amava poi tanto l’uomo pieno di letizia spirituale, che per ammonimento generale fece scrivere in un capitolo queste parole:
«Si guardino i frati di non mostrarsi tristi di fuori e rannuvolati come degli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore, ilari e convenientemente graziosi» " (FF 712).
E ancora, nella Vita seconda del Celano, troviamo Francesco che istruisce su come comportarsi nei turbamenti:
«Il servo di Dio - spiegava - quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito per pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza. Perché se permane nella tristezza, crescerà quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una ruggine indelebile, se non verrà tolta con le lacrime» (FF 709).
Francesco, esperto di vita nello Spirito, era solito dire ai suoi:
«I demoni non possono recare danno al servo di Cristo, quando lo vedono santamente giocondo. Se invece l’animo è malinconico, desolato e piangente, con tutta facilità o viene sopraffatto dalla tristezza o è trasportato alle gioie frivole» (FF 709).
In attesa di ricongiungersi al suo Signore, egli voleva vivere ogni cosa in unità di Spirito con Lui, che aveva donato tutto di Sé per ogni creatura.
Giovedì 6.a sett. di Pasqua (Gv 16,16-20)
Gesù dice ai suoi che lo Spirito della Verità inviato li condurrà alla verità tutta intera, annunciando ciò che avrà udito.
Francesco, povero e semplice, era un uomo in continuo ascolto del sussurro dello Spirito.
Ed era proprio questo atteggiamento costante che gli faceva cogliere quanto agli altri talora sfuggiva.
Le primizie raccolte nelle Fonti illustrano come lo Spirito della verità lo istruiva e conduceva ogni giorno.
"In realtà, pur essendo egli perfettissimo tra i perfetti, non ammettendolo, si stimava il più imperfetto di tutti.
Aveva infatti gustato e provato personalmente quanto è dolce, soave e buono il Dio d’Israele per i retti di cuore, che lo cercano sempre con semplicità pura e con purezza vera.
La dolcezza e soavità, che egli sentiva infusa dall’alto nella sua anima, dono rarissimo concesso a pochissimi, lo spingeva a dimenticare totalmente se stesso, e allora, riboccante di tale gaudio, bramava con tutte le forze ascendere alla vita immortale degli spiriti eletti, dove, uscendo da se stesso, in parte si era già elevato.
Ripieno dello spirito di Dio, era pronto ad affrontare qualsiasi angustia di spirito, qualsiasi tormento nel corpo, a patto che gli fosse concesso quanto bramava: che si compisse in lui totalmente la misericordiosa volontà del Padre celeste" (FF 481).
Inoltre, Francesco ormai molto malato e vicino alla morte, a frate Elia che chiedeva come riuscisse ad esprimere tanta letizia in mezzo a così tanti dolori, in un impeto di fervore ebbe a dire:
«Fratello, lascia che io goda nel Signore e nelle sue Laudi in mezzo ai miei dolori, poiché, con la grazia dello Spirito Santo, sono così strettamente unito al mio Signore che, per sua misericordia, posso ben esultare nell’Altissimo» (FF 1614).
Aveva imparato che la presenza dello Spirito conduce alla verità tutta intera e che si offre a quanti lo invocano con tanta maggiore familiarità, nella solitudine e nelle sofferenze.
«Ma quando verrà Lui, lo Spirito della verità, vi guiderà alla verità tutta, perché non parlerà da se stesso, ma dirà quanto avrà udito, e vi annuncerà le cose che verranno» (Gv 16,13)
Mercoledì della 6.a sett. di Pasqua (Gv 16,12-15)
Nel capitolo sedici di Giovanni, rivolto ai suoi discepoli, Gesù fa presente che è bene che Lui torni al Padre, altrimenti non giungerà loro il Paraclito: lo Spirito che rende testimonianza alla Verità.
Francesco, nell’orazione continua, lo considerava il Tesoro più grande della sua esistenza.
Senza lo Spirito Santo non sapeva parlare né agire secondo Dio.
Infatti, nella Leggenda maggiore, troviamo un episodio che conferma tutto questo:
"Una volta, che doveva predicare davanti al Papa e ai cardinali, per suggerimento del cardinale di Ostia aveva mandato a memoria un discorso stilato con ogni cura.
Se non che, quando si trovò là in mezzo, al momento di pronunciare quelle parole edificanti, dimenticò tutto e non riuscì a spiccicare nemmeno una frase.
Allora, dopo aver esposto con umiltà e sincerità il suo imbarazzo, si mise a invocare la Grazia dello Spirito Santo.
Immediatamente le parole incominciarono ad affluire così abbondanti, così efficaci nel commuovere e piegare il cuore di quegli illustri personaggi, da far vedere chiaramente che non era lui a parlare, ma lo Spirito del Signore" (FF 1211).
E ancora:
"Lo Spirito del Signore, che lo aveva unto e inviato assisteva il suo servo Francesco, ovunque si dirigesse; lo assisteva Cristo stesso, potenza e sapienza di Dio.
Per questo le sue parole sovrabbondavano di sana dottrina e i suoi miracoli erano così splendidi ed efficaci.
Era, la sua parola, come un fuoco ardente, che penetrava l’intimo del cuore e ricolmava d’ammirazione le menti; non sfoggiava l’eleganza della retorica, ma aveva il profumo e l’afflato della rivelazione divina" (FF 1210).
La vocazione di Francesco e la sua missione furono davvero una Epifania dello Spirito, che dimorava presso di lui e la sua fraternità. Manifestazione che ancora oggi attesta la santa operazione avvenuta nel suo percorso di fede sorprendente, incoraggiando ogni creatura nel suo cammino.
«Se non vado, il Paraclito non verrà a voi; se invece parto, lo manderò a voi» (Gv 16,7)
Martedì 6.a sett. di Pasqua (Gv 16,5-11)
Francesco e Chiara d’Assisi avevano una speciale devozione per lo Spirito del Signore e la sua Santa operazione.
Nelle Fonti sono innumerevoli i passi che lo attestano.
Nella Vita prima del Celano, a riguardo della vita fraterna condotta dai frati, leggiamo:
"Poiché camminavano con semplicità davanti a Dio e con coraggio davanti agli uomini, in quel tempo meritarono i santi frati la grazia di una rivelazione soprannaturale.
Animati dal fuoco dello Spirito Santo, pregavano cantando il «Pater noster» su una melodia religiosa, non solo nei momenti prescritti, ma ad ogni ora, perché non erano preoccupati dalle cure materiali" (FF 404).
Lo stesso Francesco, avvinto dallo Spirito, andò a Roma per fare una richiesta a Papa Onorio. Questi, insieme ai suoi Cardinali, lo accolsero con grande devozione.
"[…] predicò davanti al Papa e ai Cardinali con animo franco e pieno di ardore, attingendo dalla pienezza del cuore, come gli suggeriva lo Spirito.
Alla sua Parola si commossero quelle altezze e, traendo profondi sospiri dall’intimo, lavarono con lacrime l’uomo interiore.
Terminato il discorso e dopo qualche istante di cordiale colloquio col Papa, alla fine così espose la sua richiesta:
«Non è facile, Signore, come sapete, per gente povera e umile avere accesso a così grande maestà.
Avete nelle mani il mondo, e gli impegni molto importanti non permettono di dedicarsi alle minuzie.
Per questo, Signore, - continuò - chiedo al tenerissimo affetto di vostra Santità di concederci come papa il Signore d’Ostia, qui presente; così, rimanendo sempre intatta la dignità della vostra preminenza, i frati potranno rivolgersi a lui in tempo di necessità, ed essere, con vantaggio, difesi e governati».
Il Papa gradì una richiesta tanto santa, e subito prepose all’Ordine, secondo la domanda dell’uomo di Dio, il Signor Ugolino, allora vescovo d’Ostia.
Il santo cardinale accettò con amore il gregge, che gli era stato affidato, lo allevò premurosamente, e ne fu insieme pastore ed alunno sino alla beata fine" (FF 612).
Anche Chiara, sposa dello Spirito Santo sulle orme di Maria, la Madre di Gesù, così si rivolgeva ad Agnese di Praga, sua fedele discepola:
«E non credere, e non lasciarti sedurre da nessuno che tentasse sviarti da questo proposito o metterti degli ostacoli su questa via, per impedirti di riportare all’Altissimo le tue promesse con quella perfezione alla quale ti invitò lo Spirito del Signore» (FF 2876).
Lo Spirito di Dio aveva fecondato la vita di Francesco e di Chiara e quella delle loro rispettive fraternità, rendendone l’agire una testimonianza eloquente del Vangelo.
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della Verità che procede dal Padre, egli testimonierà di me. Ma anche voi testimonierete, perché fin da principio siete con me» (Gv 15,26-27)
Lunedì della 6.a sett. di Pasqua (Gv 15,26-16,4a)
In questa domenica il Vangelo evidenzia la risposta data da Gesù ai discepoli:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui e faremo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Francesco, innamorato di Cristo, desiderava essere abitato in pienezza dal Signore, custodendo una Relazione d’amore profonda.
Desiderava ardentemente essere dimora di Dio e lo chiedeva nella preghiera per i suoi fratelli.
Nelle Fonti, luogo di primizie, troviamo:
«E tutti quelli e quelle che si diporteranno in questo modo, fino a quando faranno tali cose e persevereranno in esse sino alla fine, riposerà su di essi lo Spirito del Signore, ed egli ne farà sua abitazione e dimora. E saranno figli del Padre celeste, di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo […]» (FF 200 - Lettera ai fedeli).
Ancora, nella Vita prima del Celano:
"Passando un giorno per quelle contrade con grande pompa e clamore l’imperatore Ottone*, che si recava a ricevere «la corona della terra», il santissimo padre non volle neppure uscire dal suo tugurio, che era vicino alla via di transito, né permise che i suoi vi andassero, eccetto uno il quale doveva annunciare con fermezza all’imperatore che quella sua gloria sarebbe durata ben poco.
Siccome il glorioso Santo aveva la sua dimora nell’intimo del cuore, dove preparava una degna abitazione a Dio, il mondo esteriore con il suo strepito non poteva mai distrarlo, né alcuna voce interrompere la grande opera a cui era intento. Si sentiva investito dall’autorità apostolica, e perciò ricusava fermamente di adulare re e principi" (FF 396).
Il Povero si considerava l’Araldo del Gran Re, l’unico vero Re: Gesù, che non inseguiva certo la corona umana.
Dimorare in Dio per Francesco significava vivere in pienezza la sua Parola, avere i sentimenti di Cristo, compiere la propria missione ricevuta, con la forza dello Spirito.
E Chiara, altresì, nella terza lettera ad Agnese di Praga, ricorda:
«È ormai chiaro che l’anima dell’uomo fedele, che è la più degna tra tutte le creature, è resa dalla Grazia di Dio più grande del cielo.
Mentre, infatti, i cieli con tutte le altre cose create non possono contenere il Creatore, l’anima fedele invece, ed essa sola, è sua dimora e soggiorno, e ciò soltanto a motivo della carità, di cui gli empi sono privi. È la stessa Verità che lo afferma:
«Colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio, e io pure l’amerò; noi verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora» (FF 2892).
La comunità di Santa Maria della Porziuncola e quella di San Damiano furono davvero due luoghi dove la Trinità si specchiò e rifulse.
* Ottone IV transitò per il Ducato di Spoleto alla fine del settembre 1209.
* Incoronato a Roma il 4 ottobre e destituito dallo stesso Papa Innocenzo III un anno dopo. Ma la notizia potrebbe riferirsi pure ad un successivo passaggio dell’imperatore avvenuto nel 1210.
Domenica 6.a di Pasqua C (Gv 14,23-29)
May we obtain this gift [the full unity of all believers in Christ] through the Apostles Peter and Paul, who are remembered by the Church of Rome on this day that commemorates their martyrdom and therefore their birth to life in God. For the sake of the Gospel they accepted suffering and death, and became sharers in the Lord's Resurrection […] Today the Church again proclaims their faith. It is our faith (Pope John Paul II)
Ci ottengano questo dono [la piena unità di tutti i credenti in Cristo] gli Apostoli Pietro e Paolo, che la Chiesa di Roma ricorda in questo giorno, nel quale si fa memoria del loro martirio, e perciò della loro nascita alla vita in Dio. Per il Vangelo essi hanno accettato di soffrire e di morire e sono diventati partecipi della risurrezione del Signore […] Oggi la Chiesa proclama nuovamente la loro fede. E' la nostra fede (Papa Giovanni Paolo II)
Family is the heart of the Church. May an act of particular entrustment to the heart of the Mother of God be lifted up from this heart today (John Paul II)
La famiglia è il cuore della Chiesa. Si innalzi oggi da questo cuore un atto di particolare affidamento al cuore della Genitrice di Dio (Giovanni Paolo II)
The liturgy interprets for us the language of Jesus’ heart, which tells us above all that God is the shepherd (Pope Benedict)
La liturgia interpreta per noi il linguaggio del cuore di Gesù, che parla soprattutto di Dio quale pastore (Papa Benedetto)
In the heart of every man there is the desire for a house [...] My friends, this brings about a question: “How do we build this house?” (Pope Benedict)
Nel cuore di ogni uomo c'è il desiderio di una casa [...] Amici miei, una domanda si impone: "Come costruire questa casa?" (Papa Benedetto)
Try to understand the guise such false prophets can assume. They can appear as “snake charmers”, who manipulate human emotions in order to enslave others and lead them where they would have them go (Pope Francis)
Chiediamoci: quali forme assumono i falsi profeti? Essi sono come “incantatori di serpenti”, ossia approfittano delle emozioni umane per rendere schiave le persone e portarle dove vogliono loro (Papa Francesco)
Every time we open ourselves to God's call, we prepare, like John, the way of the Lord among men (John Paul II)
Tutte le volte che ci apriamo alla chiamata di Dio, prepariamo, come Giovanni, la via del Signore tra gli uomini (Giovanni Paolo II)
Paolo VI stated that the world today is suffering above all from a lack of brotherhood: “Human society is sorely ill. The cause is not so much the depletion of natural resources, nor their monopolistic control by a privileged few; it is rather the weakening of brotherly ties between individuals and nations” (Pope Benedict)
Paolo VI affermava che il mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza di fraternità: «Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli» (Papa Benedetto)
Dear friends, this is the perpetual and living heritage that Jesus has bequeathed to us in the Sacrament of his Body and his Blood. It is an inheritance that demands to be constantly rethought and relived so that, as venerable Pope Paul VI said, its "inexhaustible effectiveness may be impressed upon all the days of our mortal life" (Pope Benedict)
don Giuseppe Nespeca
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