don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

1. […] la tradizione cristiana fa memoria del martirio di San Giovanni Battista, "il più grande fra i nati di donna", secondo l’elogio del Messia stesso (cfr Lc 7, 28). Egli rese a Dio la suprema testimonianza del sangue immolando la sua esistenza per la verità e la giustizia; fu infatti decapitato per ordine di Erode, al quale aveva osato dire che non gli era lecito tenere la moglie di suo fratello (cfr Mt 6, 17 – 29).

2. Nell’Enciclica Veritatis splendor, ricordando il sacrificio di Giovanni Battista (cfr n.91), notavo che il martirio è "un segno preclaro della santità della Chiesa" (n.93). Esso infatti "rappresenta il vertice della testimonianza alla verità morale" (ibid.). Se relativamente pochi sono chiamati al sacrificio supremo, vi è però "una coerente testimonianza che tutti i cristiani devono esser pronti a dare ogni giorno anche a costo di sofferenze e di gravi sacrifici" (ibid.). Ci vuole davvero un impegno talvolta eroico per non cedere, anche nella vita quotidiana, alle difficoltà che spingono al compromesso e per vivere il Vangelo "sine glossa".

3. L’eroico esempio di Giovanni Battista fa pensare ai martiri della fede che lungo i secoli hanno seguito coraggiosamente le sue orme. In modo speciale, mi tornano alla mente i numerosi cristiani, che nel secolo scorso sono stati vittime dell’odio religioso in diverse nazioni d’Europa. Anche oggi, in alcune parti del mondo, i credenti continuano ad essere sottoposti a dure prove per la loro adesione a Cristo e alla sua Chiesa.

Sentano questi nostri fratelli e sorelle la piena solidarietà dell’intera comunità ecclesiale! Li affidiamo alla Vergine Santa, Regina dei martiri, che ora insieme invochiamo.

[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 29 agosto 2004]

Giovedì, 01 Agosto 2024 06:08

Strade parallele

Un uomo, Giovanni, e una strada, che è quella di Gesù, indicata dal Battista, ma è anche la nostra, nella quale tutti siamo chiamati al momento della prova.

Parte dalla figura di Giovanni, «il grande Giovanni: al dire di Gesù “l’uomo più grande nato da donna”» la riflessione di Papa Francesco nella messa celebrata a Santa Marta venerdì 6 febbraio. Il vangelo di Marco (6, 14-29) racconta della prigionia e del martirio di quest’«uomo fedele alla sua missione; l’uomo che ha sofferto tante tentazioni» e che «mai, mai ha tradito la sua vocazione». Un uomo «fedele» e «di grande autorità, rispettato da tutti: il grande di quel tempo».

Papa Francesco si è soffermato ad analizzare la sua figura: «Quello che gli usciva dalla bocca era giusto. Il suo cuore era giusto». Era tanto grande che «Gesù dirà anche di lui che “è Elia che è tornato, per pulire la casa, per preparare il cammino”». E Giovanni «era cosciente che il suo dovere era soltanto annunziare: annunziare la prossimità del Messia. Lui era cosciente, come ci fa riflettere sant’Agostino, che lui era la voce soltanto, la Parola era un altro». Anche quando «è stato tentato di “rapinare” questa verità, lui è rimasto giusto: “Io non sono, dietro di me viene, ma io non sono: io sono il servo; io sono il servitore; io sono quello che apre le porte, perché lui venga».

A questo punto il Pontefice ha introdotto il concetto di strada, perché, ha ricordato: «Giovanni è il precursore: precursore non solo della entrata del Signore nella vita pubblica, ma di tutta la vita del Signore». Il Battista «va avanti nel cammino del Signore; dà testimonianza del Signore non soltanto mostrandolo — “È questo!”— ma anche portando la vita fino alla fine come l’ha portata il Signore». E finendo la vita «col martirio» è stato «precursore della vita e della morte di Gesù Cristo».

Il Papa ha continuato a riflettere su queste strade parallele lungo le quali «il grande» soffre «tante prove e diventa piccolo, piccolo, piccolo, piccolo fino al disprezzo». Giovanni, come Gesù, «si annienta, conosce la strada dell’annientamento. Giovanni con tutta quella autorità, pensando alla sua vita, comparandola con quella di Gesù, dice alla gente chi è lui, come sarà la sua vita: “Conviene che lui cresca, io invece debbo diminuire”». È questa, ha sottolineato il Papa, «la vita di Giovanni: diminuire davanti a Cristo, perché Cristo cresca». È «la vita del servo che fa posto, fa strada perché venga il Signore».

La vita di Giovanni «non è stata facile»: infatti, «quando Gesù ha incominciato la sua vita pubblica», egli era «vicino agli Esseni, cioè agli osservanti della legge, ma anche delle preghiere, delle penitenze». Così, a un certo punto, nel periodo in cui era in carcere, «ha sofferto la prova del buio, della notte nella sua anima». E quella scena, ha commentato Francesco, «commuove: il grande, il più grande manda da Gesù due discepoli per domandargli: “Ma Giovanni ti domanda: sei tu o ho sbagliato e dobbiamo aspettare un altro?”». Lungo la strada di Giovanni si è affacciato quindi «il buio dello sbaglio, il buio di una vita bruciata nell’errore. E questa per lui è stata una croce».

Alla domanda di Giovanni «Gesù risponde con le parole di Isaia»: il Battista «capisce, ma il suo cuore rimane nel buio». Ciò nonostante si presta alle richieste del re, «al quale piaceva sentirlo, al quale piaceva portare avanti una vita adultera», e «quasi diventava un predicatore di corte, di questo re perplesso». Ma «lui si umiliava» perché «pensava di convertire quest’uomo».

Infine, ha detto il Papa, «dopo questa purificazione, dopo questo calare continuo nell’annientamento, facendo strada all’annientamento di Gesù, finisce la sua vita». Quel re da perplesso «diventa capace di una decisione, ma non perché il suo cuore sia stato convertito»; piuttosto «perché il vino gli dà coraggio».

E così Giovanni finisce la sua vita «sotto l’autorità di un re mediocre, ubriaco e corrotto, per il capriccio di una ballerina e per l’odio vendicativo di un’adultera». Così «finisce il grande, l’uomo più grande nato da donna», ha commentato Francesco che ha confessato: «Quando io leggo questo brano, mi commuovo». E ha aggiunto una considerazione utile alla vita spirituale di ogni cristiano: «Penso a due cose: primo, penso ai nostri martiri, ai martiri dei nostri giorni, quegli uomini, donne, bambini che sono perseguitati, odiati, cacciati via dalle case, torturati, massacrati». E questa, ha sottolineato, «non è una cosa del passato: oggi succede questo. I nostri martiri, che finiscono la loro vita sotto l’autorità corrotta di gente che odia Gesù Cristo». Perciò «ci farà bene pensare ai nostri martiri. Oggi pensiamo a Paolo Miki, ma quello è successo nel 1600. Pensiamo a quelli di oggi, del 2015».

Il Pontefice ha proseguito aggiungendo che questo brano lo spinge anche a riflettere su se stesso: «Anche io finirò. Tutti noi finiremo. Nessuno ha la vita “comprata”. Anche noi, volendo o non volendo, andiamo sulla strada dell’annientamento esistenziale della vita». E ciò, ha detto, lo spinge «a pregare che questo annientamento assomigli il più possibile a Gesù Cristo, al suo annientamento».

Si chiude così il cerchio della meditazione di Francesco: «Giovanni, il grande, che diminuisce continuamente fino al nulla; i martiri, che diminuiscono oggi, nella nostra Chiesa di oggi, fino al nulla; e noi, che siamo su questa strada e andiamo verso la terra, dove tutti finiremo». In questo senso la preghiera finale del Papa: «Che il Signore ci illumini, ci faccia capire questa strada di Giovanni, il precursore della strada di Gesù; e la strada di Gesù, che ci insegna come deve essere la nostra».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 07.02.2015]

Mercoledì, 31 Luglio 2024 06:40

Come non diventare un non-popolo?

Divino nell’Umano: gesti forti, dignitosi e fraterni, non di repertorio

(Mt 13,54-58)

 

Il Divino nell’Umano si rende Presente nelle relazioni intense, accoglienti, che aprono a recuperi inspiegabili; quindi trapela nei gesti forti, dignitosi e fraterni - non di repertorio.

 

Nel passo di Vangelo di oggi c’è una differenza rilevante con la traduzione CEI (‘74) precedente (vv.54.58).

Il Signore ci aiuta a crescere con veri «prodigi», non con “miracoli”[eventi puntuali] bensì operando nell’intimo, modificando il cuore rattrappito e migliorandoci col suo Amore.

Il «profetico» non ha a che fare col clamoroso che s’impone.

Solo così non ci si stancherà del buono che non è brillante; né si disprezzerà l’esistenza della gente normale, perché senza prestigio e titoli.

Le opere potenti di Gesù si dispiegano nel tempo - educando, non impressionando e assoggettando.

I suoi ‘segni’, quei recuperi inspiegabili che compie, sono calibro e frutto d’un Incontro-per-Via che cresce.

Opera d’Arte (assai meglio di scorciatoie accidentali) è che il profittatore diventi giusto, il dubbioso più sicuro, l’infelice riprenda a sperare.

Ci vuole tempo, anche se lo stupore può essere immediato.

Il Mistero della potenza del nuovo Dio annunciato da Cristo si cela in ‘Qualcuno dentro qualcosa’.

È la trama ove si annidano i Segni d’una Realtà grande, cui malgrado le difficoltà abbiamo accesso e siamo partecipi.

 

La Persona di Gesù narra di un Padre il quale non teme che la sua santità sia messa in pericolo dal contatto col mondo.

Il Mistero sovreminente è già nell’uomo comune.

Quindi il conflitto non è coi forestieri, bensì con i soliti ostinati “vicini” colmi di pregiudizio - abitudinari e assuefatti, i quali già sanno come va a finire... Ma non inaugurano nulla.

Invece il Figlio non è più un bambinone del posto: un programma quieto del «villaggio», il prodotto d’idee arcaiche normali o di propositi già trasmessi, che nessun Incontro potrà destare e smuovere.

In patria il Maestro non sbalordisce come altrove: incontra una diffidenza che logora di giorni tutti contati quella sporgenza del credere che colmerebbe le indigenze.

La Fede invece comprende ciò che taglia il Sogno impossibile della Novità: il nostro vanto non è da condizione sociale, né da genere stabilito.

Essa coglie un suo peso specifico non nei balocchi del folklore, bensì appunto nel rigenerare - per l’incessante riattivarsi dell’interesse intrinseco.

In tal guisa, la Fede non è retorica: intuisce che lo stato di dubbio è più fecondo delle convinzioni.

 

Come si diventa un non-popolo?

Le sicurezze non lasciano respiro all’inventiva del fare inusuale, né al sentimento o alla crescita della Vita forte, non sfigurata dal repertorio di compimenti attesi.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come la tua esistenza ordinaria riscatta le vicende della gente malferma?

Come vivi il di più della Fede sulle abitudini e luoghi comuni?

 

 

[Venerdì 17.a sett. T.O.   2 agosto 2024]

Mercoledì, 31 Luglio 2024 06:36

Come non diventare un non-popolo?

Divino nell’Umano: gesti forti, dignitosi e fraterni, non di repertorio

(Mt 13,54-58)

 

«I cristiani sono popolo sacerdotale per il mondo. I cristiani dovrebbero rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarLo e condurre a Lui. Quando parliamo di questo nostro comune incarico, in quanto siamo battezzati, ciò non è una ragione per farne un vanto. È una domanda che, insieme, ci dà gioia e ci inquieta: siamo veramente il santuario di Dio nel mondo e per il mondo? Apriamo agli uomini l’accesso a Dio o piuttosto lo nascondiamo? Non siamo forse noi – popolo di Dio – diventati in gran parte un popolo dell’incredulità e della lontananza da Dio? Non è forse vero che l’Occidente, i Paesi centrali del cristianesimo sono stanchi della loro fede e, annoiati della propria storia e cultura, non vogliono più conoscere la fede in Gesù Cristo? Abbiamo motivo di gridare in quest’ora a Dio: “Non permettere che diventiamo un non-popolo! Fa’ che ti riconosciamo di nuovo! Infatti, ci hai unti con il tuo amore, hai posto il tuo Spirito Santo su di noi. Fa’ che la forza del tuo Spirito diventi nuovamente efficace in noi, affinché con gioia testimoniamo il tuo messaggio!».

[Papa Benedetto, omelia 21 aprile 2011]

 

Il Divino nell’Umano si rende Presente nelle relazioni intense, accoglienti, che aprono a recuperi inspiegabili; quindi trapela nei gesti forti, dignitosi e fraterni - non di repertorio.

 

Nel passo di Vangelo di oggi c’è una differenza rilevante con la traduzione CEI (‘74) precedente (vv.54.58).

Il Signore ci aiuta a crescere con veri «prodigi», non con “miracoli”[eventi puntuali] bensì operando nell’intimo, modificando il cuore rattrappito e migliorandoci col suo Amore.

Il «profetico» non ha a che fare col clamoroso che s’impone.

Solo così non ci si stancherà del buono che non è brillante; né si disprezzerà l’esistenza della gente normale, perché senza prestigio e titoli.

Le opere potenti di Gesù si dispiegano nel tempo - educando, non impressionando e assoggettando.

I suoi ‘segni’, quei recuperi inspiegabili che compie, sono calibro e frutto d’un Incontro-per-Via che cresce.

Opera d’Arte (assai meglio di scorciatoie accidentali) è che il profittatore diventi giusto, il dubbioso più sicuro, l’infelice riprenda a sperare.

Ci vuole tempo, anche se lo stupore può essere immediato.

Il Mistero della potenza del nuovo Dio annunciato da Cristo si cela in ‘Qualcuno dentro qualcosa’.

È la trama ove si annidano i Segni d’una Realtà grande, cui malgrado le difficoltà abbiamo accesso e siamo partecipi.

 

La Persona di Gesù narra di un Padre il quale non teme che la sua santità sia messa in pericolo dal contatto col mondo.

Il Mistero sovreminente è già nell’uomo comune.

Quindi il conflitto non è coi forestieri, bensì con i soliti ostinati “vicini” colmi di pregiudizio - abitudinari e assuefatti, i quali già sanno come va a finire... Ma non inaugurano nulla.

Invece il Figlio non è più un bambinone del posto: un programma quieto del «villaggio», il prodotto d’idee arcaiche normali o di propositi già trasmessi, che nessun Incontro potrà destare e smuovere.

In patria il Maestro non sbalordisce come altrove: incontra una diffidenza che logora di giorni tutti contati quella sporgenza del credere che colmerebbe le indigenze.

La Fede invece comprende ciò che taglia il Sogno impossibile della Novità: il nostro vanto non è da condizione sociale, né da genere stabilito.

Essa coglie un suo peso specifico non nei balocchi del folklore, bensì appunto nel rigenerare - per l’incessante riattivarsi dell’interesse intrinseco.

In tal guisa, la Fede non è retorica: intuisce che lo stato di dubbio è più fecondo delle convinzioni.

 

Come si diventa un non-popolo?

Le sicurezze non lasciano respiro all’inventiva del fare inusuale, né al sentimento o alla crescita della Vita forte, non sfigurata dal repertorio di compimenti attesi.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come la tua esistenza ordinaria riscatta le vicende della gente malferma?

Come vivi il di più della Fede sulle abitudini e luoghi comuni?

 

Aspettative, incomprensioni - e lo spirito della valle

(Mc 6,1-6)

 

Lato domestico, non addomesticazioni

 

Dove la Fede è carente avvengono solo piccoli cambiamenti, non i prodigi sbalorditivi della presenza alternativa del Regno di Dio:

«E non poté fare là alcuna opera potente, se non che avendo imposto le mani a pochi infermi, curò» (v.5).

Non ci capacitiamo che il Signore possa provenire da umili origini, disonorevoli, come potrebbero essere le nostre - prive di grandi vincoli dinastici, o salti di ceto violenti.

Dice il Tao Tê Ching (vi):

«Lo spirito della valle non muore [...] viene usato, ma non si stanca». Commenta il maestro Wang Pi:

«Lo spirito della valle è la non-valle al centro della valle. Non ha forma né ombra, nulla contrasta e nulla rifiuta, resta in basso senza muoversi, si mantiene cheto senza affievolirsi. La valle è completata da esso, eppure non se ne vede la forma: questo è il modello più perfetto».

Al pari dei codici della Sapienza di natura, la Fede in Cristo dà l’addio all’idea diffusa nelle culture e religioni istituzionali, rappresentative e verticiste.

Tutte maldisposte, nei loro grandi saperi, a occuparsi della normalità della vita che fluisce.

 

Gesù evita modelli rigidi o di grande apparenza. Si dona con semplicità ai suoi paesani e mira alla formazione degli autentici credenti.

La loro Fiducia dev’essere riposta unicamente nel Regno di Dio - dimensione che davvero rompe gli equilibri, perché s’introduce nell’esistenza diurna, e la fermenta a partire da radici invisibili.

Quale inviato del Padre, vorrebbe che tutto il popolo fosse edificatore e alfiere di altri sogni - ma nel suo villaggio natale si sente come bloccato da chi è incapace di decifrare la dimensione del divino nell’umano.

Egli deve fronteggiare l’incomprensione ottusa dei centri di potere, ma anche le inadempienze e le speranze stesse - quiete o divisive - della realtà popolare che frequenta i luoghi di culto.

I paesani si attendevano le solite benedizioni (ormai assuefatte) o forse un capo carismatico in lotta contro i romani - e qui volentieri usavano far leva sulla vampa dell'identità religiosa, per infiammare gli animi.

Avrebbero accettato un capitano bellicoso, che rispecchiasse credenze arcaiche - invece si ritrovano delusi della realtà inapparente sotto gli occhi.

Non sanno scoprire la trama di Dio nella storia dei minimi.

Viceversa, numerosi sono i segni divini iscritti in quanto si manifesta sommario: avvisaglie che possono farci scoprire la dimensione non puramente terrena delle cose, delle relazioni, delle presenze; così via.

Molti fraintendono lo spirito di forza che la Fede ci trasmette.

Essa rompe gli equilibri perché non offre garanzie già immaginate - ma è in fondo domestica e tutta naturale [ogni Seme ha il suo destino e sviluppo particolare].

Come mai dunque il ragazzo che hanno conosciuto fin dalla nascita è così diverso?

Per il fatto che non c’è equazione fra ciò che si pensa in modo conformista, e il Signore. Neppure dando enfasi ai propositi.

 

Sia le grandi attese che la prossimità possono essere di ostacolo per una conoscenza quotidiana di ciò che di straordinario si cela dietro la dimensione ordinaria degli accadimenti e delle persone.

Anche molti confratelli o collaboratori di Santi non hanno saputo cogliere l’eccezionalità di una vita comune vissuta in fedeltà e dedizione alla propria Chiamata per Nome. Tanto più reale quanto meno appariscente.

L’incomprensione e la gelosia paesana di chi vive accanto e insegue un suo dio - sfigurato - è fonte di amarezza; ma non ci blocca.

L’esperienza del rifiuto spinge a cambiare direzione (v.6b).

L’anima vive sotto il segno dell’Unicità che rinuncia al preconcetto, alla vita tranquilla, alla semplice approvazione, al facile successo.

E le porte chiuse possono essere un valore aggiunto! Esse ci aprono al viaggio dell’anima nello Spirito, all’Annuncio eccentrico, alla Missione stupefacente.

 

Purtroppo, registriamo un altro genere di spirito della “valle” - di segno del tutto negativo, che nell’azione di evangelizzazione e animazione delle comunità s’identifica con la pastorale del consenso [io ti dò quello che tu vuoi].

Il coordinatore astuto gestisce i rapporti con i fedeli, le masse e le istituzioni con estrema accortezza, nonché aspettative - concrete, immediate - d’approvazione e tornaconto individuale o di cerchia.

Talora alcuni responsabili (anche di chiesa) sembrano nient’altro che abili affabulatori: non combattono le strutture disumanizzanti, né i potenti sul territorio. Viceversa, cercano di farseli alleati, per vincere facile.

Sussiste anche nel tempo della crisi globale la convinzione che le strutture educative, culturali e “religiose” possano andare avanti solo col sostegno esterno delle gerarchie di potere, e dell’ordine stabilito da sempre. O con la ricerca di altri “segni” e altrettanti prodigi.

Purtroppo tale atteggiamento al ribasso, esteriore - per stanchezza, assai diffuso - non equivale alla valorizzazione dei più variegati e intimi Doni di Dio nelle persone, né alla promozione del Regno.

Ovvio poi che i frequentatori del palazzo non amino gli incendiari: chi detiene titoli e un ruolo glorioso resta impermeabile al lavoro dello Spirito che fa nuove tutte le cose.

[Ogni opportunista resta purtroppo legato alle catene di comando, agli antichi equilibri tattici che gli hanno pur garantito carriera, posizione, lustro, visibilità, facili sicurezze a contorno].

 

L’aspetto forse peggiore di questo gioco al ribasso e al normale comun denominatore è probabilmente la dozzinale identificazione tra ordine garantito dall’Evangelo ed equilibrio corrente.

Un’illusione di sintonia esterna fra Beatitudini annunciate dal Signore e opportunità di vita quieta, o guadagno, e riconoscimenti sociali.

Così i princìpi vissuti in prima persona dal Maestro vengono sovvertiti da alcuni seguaci, in strategia opaca che finisce per snaturare il Lieto Annuncio in favore di ogni smarrito.

E ciascun malfermo sebbene insoddisfatto, tende spontaneamente ad adeguarsi alle piccole certezze che trova, offerte dalla retorica di pur grandi narrazioni.

Ancora oggi invece la Parola di Dio fa scintille con il facile richiamo di tali dinamiche e strutture di autentico “peccato”: le minaccia senza mezzi termini.

Esse infatti sequestrano le anime, le rendono conformiste, indifferenti all’ingiustizia, timorose della libertà - e tendono a prendere in ostaggio perfino il Dio dell’Esodo.

Il Padre però continua a suscitare Profeti eccentrici: essi rendono tutti noi più capaci di percepire il genio del tempo. Nonché i talenti personali dispiegati - anche fra le irritate minacce dei “compaesani” presi dal marketing livellante.

Annunciatori che rischiano di rimanere senza protezione o casato, ovvio.

Ma che si rifiutano di apporre sigilli già pronti allo spirito di mediocrità che non infastidisce nessuno.

 

 

Per interiorizzare e vivere la Parola, chiediamoci:

 

Cosa è cambiato nel tuo percorso da quando hai cominciato a vivere più intensamente in adesione al Cristo? Come ha reagito il tuo ambiente?

Mercoledì, 31 Luglio 2024 06:29

Nemo Propheta in patria

Cari fratelli e sorelle!

Vorrei soffermarmi brevemente sul brano del Vangelo […] un testo da cui è tratto il celebre detto «Nemo propheta in patria», cioè nessun profeta è bene accetto tra la sua gente, che lo ha visto crescere (cfr Mc 6,4). In effetti, dopo che Gesù, a circa trent’anni, aveva lasciato Nazareth e già da un po’ di tempo era andato predicando e operando guarigioni altrove, ritornò una volta al suo paese e si mise ad insegnare nella sinagoga. I suoi concittadini «rimanevano stupiti» per la sua sapienza e, conoscendolo come il «figlio di Maria», il «falegname» vissuto in mezzo a loro, invece di accoglierlo con fede si scandalizzavano di Lui (cfr Mc 6,2-3). Questo fatto è comprensibile, perché la familiarità sul piano umano rende difficile andare al di là e aprirsi alla dimensione divina. Che questo Figlio di un falegname sia Figlio di Dio è difficile crederlo per loro. Gesù stesso porta come esempio l’esperienza dei profeti d’Israele, che proprio nella loro patria erano stati oggetto di disprezzo, e si identifica con essi. A causa di questa chiusura spirituale, Gesù non poté compiere a Nazareth «nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì» (Mc 6,5). Infatti, i miracoli di Cristo non sono una esibizione di potenza, ma segni dell’amore di Dio, che si attua là dove incontra la fede dell’uomo nella reciprocità. Scrive Origene: «Allo stesso modo che per i corpi esiste un’attrazione naturale da parte di alcuni verso altri, come del magnete verso il ferro … così tale fede esercita un’attrazione sulla potenza divina» (Commento al Vangelo di Matteo 10, 19).

Dunque, sembra che Gesù si faccia – come si dice – una ragione della cattiva accoglienza che incontra a Nazareth. Invece, alla fine del racconto, troviamo un’osservazione che dice proprio il contrario. Scrive l’Evangelista che Gesù «si meravigliava della loro incredulità» (Mc 6,6). Allo stupore dei concittadini, che si scandalizzano, corrisponde la meraviglia di Gesù. Anche Lui, in un certo senso, si scandalizza! Malgrado sappia che nessun profeta è bene accetto in patria, tuttavia la chiusura del cuore della sua gente rimane per Lui oscura, impenetrabile: come è possibile che non riconoscano la luce della Verità? Perché non si aprono alla bontà di Dio, che ha voluto condividere la nostra umanità? In effetti, l’uomo Gesù di Nazareth è la trasparenza di Dio, in Lui Dio abita pienamente. E mentre noi cerchiamo sempre altri segni, altri prodigi, non ci accorgiamo che il vero Segno è Lui, Dio fatto carne, è Lui il più grande miracolo dell’universo: tutto l’amore di Dio racchiuso in un cuore umano, in un volto d’uomo.

Colei che ha compreso veramente questa realtà è la Vergine Maria, beata perché ha creduto (cfr Lc 1,45). Maria non si è scandalizzata di suo Figlio: la sua meraviglia per Lui è piena di fede, piena d’amore e di gioia, nel vederlo così umano e insieme così divino. Impariamo quindi da lei, nostra Madre nella fede, a riconoscere nell’umanità di Cristo la perfetta rivelazione di Dio.

[Papa Benedetto, Angelus 8 luglio 2012]

Mercoledì, 31 Luglio 2024 06:23

Segno, Fede e Chiamata

Lo stesso legame tra il “miracolo-segno” e la fede è confermato per opposto da altri fatti di segno negativo. Ricordiamone alcuni. Nel Vangelo di Marco leggiamo che Gesù a Nazaret “non poté operare alcun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità” (Mc 6, 5-6).

Conosciamo il delicato rimprovero che Gesù rivolse una volta a Pietro: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Ciò avvenne quando Pietro, che all’inizio andava coraggiosamente sulle onde verso Gesù, poi per la violenza del vento, s’impaurì e cominciò ad affondare” (cf. Mt 14, 29-31).

5. Gesù sottolinea più di una volta che il miracolo da lui compiuto è legato alla fede. “La tua fede ti ha guarita”, dice alla donna che soffriva d’emorragia da dodici anni e che, accostatasi alle sue spalle, gli aveva toccato il lembo del mantello ed era stata risanata (cf. Mt 9, 20-22; Lc 8, 48; Mc 5, 34).

Parole simili Gesù pronunzia mentre guarisce il cieco Bartimeo, che all’uscita da Gerico con insistenza chiedeva il suo aiuto gridando: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” (cf. Mc 10, 46-52). Secondo Marco: “Va’, la tua fede ti ha salvato”, gli risponde Gesù. E Luca precisa la risposta: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato” (Lc 18, 42).

Un’identica dichiarazione fa al samaritano guarito dalla lebbra (Lc 17, 19). Mentre ad altri due ciechi che invocano il riacquisto della vista, Gesù chiede: “Credete voi che io possa fare questo?”. “Sì, o Signore!” . . . “Sia fatto a voi, secondo la vostra fede” (Mt 9, 28-29).

6. Particolarmente toccante è l’episodio della donna cananea, che non cessava di chiedere l’aiuto di Gesù per sua figlia “crudelmente tormentata da un demonio”. Quando la cananea si prostrò dinanzi a Gesù per chiedergli aiuto, egli rispose: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini” (era un richiamo alla diversità etnica tra israeliti e cananei, che Gesù figlio di Davide, non poteva ignorare nel suo comportamento pratico, ma alla quale accennava in funzione metodologica per provocare la fede). Ed ecco la donna pervenire d’intuito a un atto insolito di fede e di umiltà. Dice: “È vero, Signore . . . ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Dinanzi a questa parola così umile, garbata e fiduciosa, Gesù replica: “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri” (cf. Mt 15, 21-28).

È un avvenimento difficile da dimenticare, soprattutto se si pensa agli innumerevoli “cananei” di ogni tempo, paese, colore e condizione sociale, che tendono la mano per chiedere comprensione e aiuto nelle loro necessità!

7. Si noti come nella narrazione evangelica è messo continuamente in rilievo il fatto che Gesù, quando “vede la fede”, compie il miracolo. Ciò è detto chiaramente nel caso del paralitico calato ai suoi piedi attraverso l’apertura praticata nel tetto (cf. Mc 2, 5; Mt 9, 2; Lc 5, 20). Ma l’osservazione si può fare in tanti altri casi registrati dagli evangelisti. Il fattore fede è indispensabile; ma appena si verifica, il cuore di Gesù è proteso a esaudire le richieste dei bisognosi che si rivolgono a lui perché li soccorra col suo potere divino.

8. Ancora una volta constatiamo che, come abbiamo detto all’inizio, il miracolo è un “segno" della potenza e dell’amore di Dio che salvano l’uomo in Cristo. Ma, proprio per questo, è nello stesso tempo una chiamata dell’uomo alla fede. Deve portare a credere sia chi viene miracolato, sia i testimoni del miracolo.

Ciò vale per gli stessi apostoli, fin dal primo “segno” fatto da Gesù a Cana di Galilea: fu allora che essi “credettero in lui” (Gv 2, 11). Quando poi avvenne la moltiplicazione miracolosa dei pani nei pressi di Cafarnao, con la quale è collegato il preannunzio dell’Eucaristia, l’evangelista nota che “da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andarono più con lui”, non essendo in grado di accogliere un linguaggio sembrato loro troppo “duro”. Allora Gesù domandò ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”. Rispose Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole ai vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (cf. Gv 6, 66-69). Il principio della fede è dunque fondamentale nel rapporto con Cristo, sia come condizione per ottenere il miracolo, sia come scopo per il quale esso è compiuto. Ciò è ben chiarito alla fine del Vangelo di Giovanni, dove leggiamo: “Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20, 30-31).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 16 dicembre 1987]

Mercoledì, 31 Luglio 2024 06:12

Investimento umano?

L’odierno racconto evangelico ci conduce ancora una volta, come domenica scorsa, nella sinagoga di Nazaret, il villaggio della Galilea dove Gesù è cresciuto in famiglia ed è conosciuto da tutti. Egli, che da poco tempo se n’era andato per iniziare la sua vita pubblica, ritorna ora per la prima volta e si presenta alla comunità, riunita di sabato nella sinagoga. Legge il passo del profeta Isaia che parla del futuro Messia e alla fine dichiara: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). I concittadini di Gesù, dapprima stupiti e ammirati, poi cominciano a fare la faccia storta, a mormorare tra loro e a dire: perché costui, che pretende di essere il Consacrato del Signore, non ripete qui, nel suo paese, i prodigi che si dice abbia compiuto a Cafarnao e nei villaggi vicini? Allora Gesù afferma: «Nessun profeta è bene accetto nella sua patria» (v. 24), e si appella ai grandi profeti del passato Elia ed Eliseo, che operarono miracoli in favore dei pagani per denunciare l’incredulità del loro popolo. A questo punto i presenti si sentono offesi, si alzano sdegnati, cacciano fuori Gesù e vorrebbero buttarlo giù dal precipizio. Ma Lui, con la forza della sua pace, «passando in mezzo a loro, si mise in cammino» (v. 30). La sua ora non  era ancora arrivata.

Questo brano dell’evangelista Luca non è semplicemente il racconto di una lite tra compaesani, come a volte avviene anche nei nostri quartieri, suscitata da invidie e da gelosie, ma mette in luce una tentazione alla quale l’uomo religioso è sempre esposto - tutti noi siamo esposti - e dalla quale occorre prendere decisamente le distanze. E qual è questa tentazione? E’ la tentazione di considerare la religione come un investimento umano e, di conseguenza, mettersi a “contrattare” con Dio cercando il proprio interesse. Invece, nella vera religione, si tratta di accogliere la rivelazione di un Dio che è Padre e che ha cura di ogni sua creatura, anche di quella più piccola e insignificante agli occhi degli uomini. Proprio in questo consiste il ministero profetico di Gesù: nell’annunciare che nessuna condizione umana può costituire motivo di esclusione - nessuna condizione umana può essere motivo di esclusione! - dal cuore del Padre, e che l’unico privilegio agli occhi di Dio è quello di non avere privilegi. L’unico privilegio agli occhi di Dio è quello di non avere privilegi, di non avere padrini, di essere abbandonati nelle sue mani.

«Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato (Lc 4, 21). L’“oggi”, proclamato da Cristo quel giorno, vale per ogni tempo; risuona anche per noi in questa piazza, ricordandoci l’attualità e la necessità della salvezza portata da Gesù all’umanità. Dio viene incontro agli uomini e alle donne di tutti i tempi e luoghi nella situazione concreta in cui essi si trovano. Viene incontro anche a noi. E’ sempre Lui che fa il primo passo: viene a visitarci con la sua misericordia, a sollevarci dalla polvere dei nostri peccati; viene a tenderci la mano per farci risalire dal baratro in cui ci ha fatto cadere il nostro orgoglio, e ci invita ad accogliere la consolante verità del Vangelo e a camminare sulle vie del bene. Lui viene sempre a trovarci, a cercarci.

Torniamo nella sinagoga. Certamente quel giorno, nella sinagoga di Nazaret, c’era anche Maria, la Madre. Possiamo immaginare le risonanze del suo cuore, un piccolo anticipo di quello che soffrirà sotto la Croce, vedendo Gesù, lì in sinagoga, prima ammirato, poi sfidato, poi insultato, minacciato di morte. Nel suo cuore, pieno di fede, lei custodiva ogni cosa. Ci aiuti Lei a convertirci da un dio dei miracoli al miracolo di Dio, che è Gesù Cristo.

[Papa Francesco, Angelus 31 gennaio 2016]

Martedì, 30 Luglio 2024 06:15

La Rete, il Bello, e il marcio

(Mt 13,47-53)

 

«Tesoro» è il Vangelo, la Parola di Dio: un vero affare (v.44). «Perla» d’uomo è Gesù (vv.45-46).

«Regno» è il dono dell’assemblea viva - popolo senza meriti, dall’esito inatteso; sbocco dell’impegno per la ricerca del meglio.

La parabola della Rete sottolinea il Risultato del Regno di Dio, ossia il frutto educativo-operativo della comunità, ambito in cui Dio “regna”.

La Chiesa sognata dal Cristo è come una Rete che ci tira su alla luce, al respiro, all’esistere in pienezza.

Convivialità delle differenze che fa rinascere ciascuno e tutti, senza però trattenere il marcio e putrefatto [«guasto»: v.48 testo greco], ossia quello che non ha vita, né più la offre.

Non si tratta d’un banale giudizio moralistico o forense, fra buono e cattivo!

È la distinzione tra ciò che resta pieno e «bello» (in senso orientale) e ciò che - putrido - corrompe e degrada, lasciando fradiciume irreparabile.

Insomma: è nelle realtà fraterne che Dio ha un piede sulla terra.

 

Nella Comunione il Signore si fa Nido e Presenza reale. Alleato che anche nei momenti difficili ci lascia contattare energie rigenerative.

Amicizia e Sé eminente, Approdo e Istinto vocazionale che sebbene nascosto riempie il cammino, trasformandolo in Relazione; anche nei momenti fugaci e sommari.

Eccolo Vivente in noi, mentre fa sgorgare Gioia di vivere, perché colma la mentalità d’ognuno, e permette il dialogo e lo scambio dei doni che fanno trasalire di gioia.

In tal guisa, siamo noi l’intervento divino nell’esistenza ordinaria della gente, quando corrispondiamo e collaboriamo alla Sua azione creatrice-promotrice di essere abbondante e totale.

Nessuna esclusione o condanna: solo allegria, nel senso di pienezza d’onda vitale.

 

Su ogni figlio il Padre torna con cura. La sua opera non scarta a priori il “pezzo” malriuscito, ma solo ciò che non serve per la vita completa.

Ora il mondo è frammisto, e non ci si deve estraniare dal nostro tempo, eppure ciò non toglie ch’è bene si badi a quant’è eternamente umano.

Accogliamo le cose del nostro mondo, ma cerchiamo di andare oltre il contingente - per l’intensità, per l’amore: tutto il bello che c’è.

I credenti sono i responsabili della trasmissione della Fede (v.52). In tal guisa, essi fanno capire la saggezza del Regno, la differenza fra usanze e Chiamata personale.

Gli intimi del Signore invitano tutti a pazientare, affinché ciascuno possa avere il tempo della crescita, e le scelte siano ‘utili’. E belle (v.48).

Tutto quello che già abbiamo assimilato per educazione famigliare acquista così una dimensione amabile, profonda, intima, coinvolgente, creativa.

Ed insieme una finalità più ampia, però illuminata dal di dentro.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

L’esperienza di comunità ti è entrata dentro e ha arricchito l’idea di Dio?

 

 

[Giovedì 17.a sett. T.O.   1 agosto 2024]

Martedì, 30 Luglio 2024 06:12

Mai semplicemente arrivati

Il Signore ci ha donato anche, per la nostra consolazione, queste parabole delle rete con pesci buoni e non buoni, del campo dove cresce il grano ma anche la zizzania. Egli ci fa sapere di essere venuto proprio per aiutarci nella nostra debolezza, di non essere venuto, come Egli dice, per chiamare i giusti, quelli che pretendono di essere già completamente giusti, di non aver bisogno della grazia, quelli che pregano lodando se stessi, ma di essere venuto a chiamare quelli che sanno di essere manchevoli, a provocare quelli che sanno di aver bisogno ogni giorno del perdono del Signore, della sua grazia per andare avanti.

Questo mi sembra molto importante: riconoscere che abbiamo bisogno di una conversione permanente, non siamo mai semplicemente arrivati. Sant’Agostino, nel momento della conversione, pensava di essere arrivato sulle alture ormai della vita con Dio, della bellezza del sole che è la sua Parola. Poi ha dovuto capire che anche il cammino dopo la conversione rimane un cammino di conversione, che rimane un cammino dove non mancano le grandi prospettive, le gioie, le luci del Signore, ma dove anche non mancano valli oscure, dove dobbiamo andare avanti con fiducia appoggiandoci alla bontà del Signore.

[Papa Benedetto, in visita al Seminario Romano Maggiore 17 febbraio 2007]

Permettetemi, reverendo Vescovo dell’antica, veneranda Chiesa di Colonia, reverendi confratelli Cardinali e Vescovi, permettetemi tutti, amati fratelli e sorelle, che io cerchi di chiarire in questa celebrazione eucaristica l’importanza del nostro incontro straordinario di oggi con l’aiuto di questa parabola, con l’aiuto della parola di Cristo, che ha ripetutamente spiegato il regno di Dio a mezzo di parabole. Servendosi di esse, egli ha annunciato la presenza di questo regno al mondo.

Anche noi dobbiamo incontrarci in questa dimensione. Questa è, in certo qual modo, la premessa essenziale della visita odierna del successore dell’apostolo Pietro nella sede episcopale di Roma alla vostra Chiesa in Germania, a voi qui a Colonia, che rappresentate la Chiesa di Dio quale si è formata nel corso di molti secoli attorno alla romana “Colonia Agrippina”. Il simbolo eminente di questa Chiesa è stato fino ad oggi il vostro splendido duomo, la cui importanza spirituale si è rinnovata in voi grazie al giubileo di quest’anno: con forza esso vi parla del regno di Dio fra noi.

Noi, che formiamo adesso la Chiesa di Cristo sulla terra, su questa parte del territorio tedesco dobbiamo incontrarci nella dimensione dell’unità del regno di Dio: Cristo è venuto per annunziare questo regno e diffonderlo su questa terra, in ogni luogo della terra, negli uomini e tra gli uomini.

Questo regno di Dio è in mezzo a noi (cf. Lc 17,21), così come è stato in tutte le generazioni dei vostri padri ed antenati. Come loro, noi però preghiamo ancora nel “Padre nostro” ogni giorno: “Venga il tuo regno”. Queste parole testimoniano che il regno di Dio sta ancora davanti a noi, che gli andiamo incontro e ad esso andiamo avanzando per sentieri confusi, e anzi qualche volta perfino falsi, della nostra esistenza terrena. Noi testimoniamo con queste parole, che il regno di Dio si realizza in continuazione e si avvicina, anche se noi spesso lo perdiamo d’occhio e non percepiamo più il suo profilo determinato dal Vangelo. Sembra spesso che l’unica ed esclusiva dimensione della nostra esistenza sia “questo mondo”: il “regno di questo mondo” con il suo profilo visibile, il suo affascinante progresso nella scienza e nella tecnica, nella cultura e nella economia... affascinante e spesso anche preoccupante! Se noi però ogni giorno, o almeno di quando in quando, ci inginocchiamo per pregare, pronunciamo tra le circostanze della vita sempre le stesse parole: “Venga il tuo regno”.

Cari fratelli e sorelle! Queste ore, nelle quali noi ci incontriamo qui, il tempo, che grazie al vostro invito ed alla vostra ospitalità posso trascorrere tra voi, è il tempo del regno di Dio: del regno “che è già qui”, e di quello che ancora “viene”. Per questo dobbiamo interpretare tutto l’essenziale, che si riferisce a questa visita, con l’aiuto della parabola, che ascoltiamo nel Vangelo di oggi: “Il regno dei cieli è simile...”.

2. A che cosa è simile?

Secondo le parole di Gesù come ce le hanno tramandate i quattro evangelisti, questo regno viene spiegato con diverse parabole e paragoni. Il paragone di oggi è uno dei tanti. Ci sembra collegato molto strettamente con quel lavoro, che facevano gli apostoli di Cristo, tra cui anche Pietro, come molti dei suoi ascoltatori sulla spiaggia del lago di Genezaret. Cristo dice: il regno dei cieli è simile “a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci” (Mt 13,47). Queste semplici parole mutano completamente la fisionomia del mondo: la fisionomia del nostro mondo umano, come noi ce la facciamo con l’esperienza e la scienza. Esperienza e scienza non possono valicare quei confini del “mondo” e della esistenza umana in esso, che sono necessariamente congiunti con il “mare del tempo”: i confini di un mondo, nel quale l’uomo nasce e muore, in corrispondenza con le parole della Genesi: “Tu sei polvere ed in polvere ritornerai” (Gen 3,19). Il paragone di Cristo, al contrario, parla della trasposizione dell’uomo in un altro “mondo”, in un’altra dimensione della sua esistenza. Il regno dei cieli è propriamente questa nuova dimensione, che si apre sopra il “mare del tempo” ed è allo stesso tempo la “rete”, che lavora in questo mare per il destino dell’uomo e di tutti gli uomini in Dio.

La parabola odierna ci invita a riconoscere il regno dei cieli come l’adempimento definitivo di quella giustizia, desiderata dall’uomo con nostalgia insopprimibile, che il Signore gli ha posto nel cuore, di quella giustizia che Gesù stesso realizzò ed annunciò, di quella giustizia, infine, che Cristo ha suggellato con il suo proprio sangue sulla croce.

Nel regno dei cieli, nel regno “della giustizia, dell’amore e della pace” (prefatio in festo Christi Regis) anche l’uomo si troverà perfetto. Poiché l’uomo è l’essere, che scaturisce dalla profondità di Dio e nasconde in se stesso una tale profondità, che soltanto Dio la può riempire. Egli, l’uomo, è in tutto il suo essere una copia di Dio ed è simile a lui.

3. Gesù ha fondato la sua Chiesa su dodici apostoli, di cui parecchi erano pescatori. Così l’immagine della rete era immediata. Gesù li volle fare pescatori di uomini. Anche la Chiesa è una rete, unita allo Spirito Santo, collegata dalla missione apostolica, efficiente per la unità in fede, vita ed amore.

Penso in questo momento alla rete ampiamente distesa della Chiesa universale.

Contemporaneamente mi sta davanti agli occhi ogni singola Chiesa nella vostra terra, specialmente la grande Chiesa di Colonia e le diocesi vicine. E finalmente mi sta davanti agli occhi la più piccola di queste chiese, la “ecclesiola”, la chiesa domestica, che il recentissimo Sinodo dei Vescovi in Roma ha ricordato con tanto grande attenzione nel tema sopra “i compiti della famiglia cristiana”.

La famiglia: chiesa domestica, inconfondibile ed insostituibile comunità di persone, di cui parla san Paolo nella seconda lettura di oggi. In questa egli ha davanti agli occhi naturalmente la famiglia cristiana del suo tempo, ma ciò che dice dobbiamo ugualmente applicarlo ai problemi delle famiglie del nostro tempo: ciò che dice ai mariti, ciò che dice alle mogli, ai figli ed ai genitori. Ed infine ciò che egli dice a noi tutti: “Rivestitevi dunque di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente... Al di sopra di tutto poi vi sia la carità che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!” (Col 3,12-15).

Che grande lezione di spiritualità matrimoniale e familiare!

4. Noi però non possiamo chiudere gli occhi neppure dinanzi all’altra faccia; i padri sinodali in Roma si sono occupati molto seriamente anche di essa: intendo le difficoltà, cui oggi è esposto l’alto ideale della intelligenza cristiana della famiglia e della vita di famiglia. La società industriale moderna ha fondamentalmente mutato le condizioni di vita per il matrimonio e la famiglia.

Matrimonio e famiglia prima non erano soltanto comunità di vita, ma erano anche comunità di produzione e di economia. Esse furono respinte da molte funzioni pubbliche. Il clima pubblico non è sempre favorevole nei confronti del matrimonio e della famiglia. E tuttavia, nella nostra civilizzazione di massa, si dimostrano come luogo di rifugio nella ricerca di protezione e felicità. Matrimonio e famiglia sono più importanti che mai: cellule viventi per il rinnovamento della società, sorgenti di forza, per le quali la vita vien fatta più umana. Posso afferrare l’immagine: rete, che dà sostegno ed unità e solleva dalle correnti del profondo.

Non permettiamo che questa rete si spezzi. Stato e società avviano il proprio decadimento, se non sostengono il matrimonio e la famiglia più efficacemente e non li proteggono più e li mettono alla pari con altre comunità di vita non matrimoniali. Tutti gli uomini di buona volontà, particolarmente noi cristiani siamo chiamati a riscoprire la dignità ed il valore del matrimonio e della famiglia e di viverli davanti agli uomini in maniera convincente. La Chiesa, con la luce della fede, offre il suo consiglio ed il suo servizio spirituale.

5. Matrimonio e famiglia sono assai profondamente congiunti con la dignità personale dell’uomo. Essi non derivano soltanto dall’istinto e dalla passione, neppure soltanto dal sentimento; essi derivano prima di tutto da una decisione della libera volontà, da un amore personale, per il quale gli sposi diventano non soltanto una carne, ma anche un cuore ed un’anima. La comunione fisica e sessuale è qualche cosa di grande e di bello. Ma è soltanto degna dell’uomo, se è integrata in una unione personale, riconosciuta dalla comunità civile ed ecclesiastica. La piena comunione sessuale tra l’uomo e la donna ha perciò il luogo legittimo soltanto nell’ambito dell’esclusivo e definitivo personale vincolo di fedeltà nel matrimonio. La indissolubilità della fedeltà coniugale, che oggi a molti non riesce più comprensibile, è ugualmente una espressione della incondizionata dignità dell’uomo. Non si può vivere solo per prova, non si può morire solo per prova. Non si può amare solo per prova, accettare un uomo solo per prova ed a tempo.

6. Così il matrimonio è orientato alla durata, all’avvenire. Esso guarda oltre i suoi confini. Il matrimonio è l’unico luogo idoneo alla generazione e all’educazione dei bambini. Quindi l’amore matrimoniale è orientato per la sua essenza anche alla fecondità. In questo compito di tramandare la vita, i coniugi sono collaboratori con l’amore di Dio creatore. So che anche qui nella società di oggi le difficoltà sono grandi. Gravano specialmente la donna. Abitazioni ristrette, problemi economici e sanitari, spesso perfino un dichiarato atteggiamento non favorevole alle famiglie prolifiche costituiscono un ostacolo ad una maggiore fertilità. Faccio appello a tutti i responsabili, a tutte le forze della società: fate di tutto per portare aiuto. Faccio appello prima di tutto alla vostra coscienza ed alla vostra responsabilità personale, cari fratelli e sorelle. Nella vostra coscienza voi dovete, alla presenza di Dio, prendere la decisione sul numero dei vostri figli.

Come coniugi siete chiamati ad una paternità responsabile. Ciò però significa una tale pianificazione della famiglia, che rispetti le norme ed i criteri etici, come è stato sottolineato anche dal recentissimo Sinodo dei Vescovi. Con grande premura desidero oggi richiamarvi alla memoria su tale motivo solo questa cosa: l’uccisione della vita non nata non è un legittimo mezzo della pianificazione della famiglia. Ripeto ciò che ho detto il 31 maggio di questo anno ai lavoratori nella periferia parigina di Saint-Denis: “Il primo diritto dell’uomo è il diritto alla vita. Noi dobbiamo difendere questo diritto e questo valore. Altrimenti verrebbe scossa tutta la logica della fede nell’uomo, tutto il programma di un progresso veramente umano e cadrebbe tutto a terra”. In realtà si tratta di questo: servire la vita.

7. Cari fratelli e sorelle! Sulla indispensabile piattaforma e sul presupposto di quanto detto vogliamo rivolgerci al più profondo mistero del matrimonio e della famiglia. Il matrimonio dal punto di vista della nostra fede è un Sacramento di Gesù Cristo. L’amore e la fedeltà coniugale sono compresi e trasmessi dall’amore e dalla fedeltà di Dio in Gesù Cristo. La forza della sua croce e della sua resurrezione porta e santifica i coniugi cristiani.

Come ha rilevato il recente Sinodo dei Vescovi nel suo messaggio alle famiglie cristiane del mondo di oggi, la famiglia cristiana è chiamata in modo particolare a collaborare al piano salvifico di Dio, in quanto essa aiuta i suoi membri “a diventare protagonisti della storia della salvezza e insieme segni viventi del progetto che Dio ha sul mondo” (Synodi Episcoporum Nuntius ad Christianas Familias, 8).

Come “Chiesa in piccolo”, sacramentalmente fondata, ovvero Chiesa domestica, matrimonio e famiglia debbono essere una scuola di fede e luogo di preghiera comune. Io attribuisco proprio alla preghiera nella famiglia grande significato. Essa dà forza per il superamento di tanti problemi e difficoltà. Nel matrimonio e nella famiglia debbono crescere e maturarsi gli atteggiamenti fondamentali umani e cristiani, senza i quali la Chiesa e la società non possono sussistere. Qui sta il primo luogo per l’apostolato cristiano dei laici e del sacerdozio comune a tutti i battezzati. Tali matrimoni e famiglie impregnati di spirito cristiano, sono anche i veri seminari, vale a dire i vivai per vocazioni spirituali per lo stato sacerdotale e religioso.

Cari coniugi e genitori, care famiglie! Che cosa vi potrei augurare in occasione dell’odierno incontro eucaristico con più cordialità di questo: che voi tutti ed ogni singola famiglia siate una tale “chiesa domestica”, una Chiesa in piccolo! Che si realizzi in voi la parabola del regno di Dio! Che sperimentiate la presenza del regno di Dio, in quanto siete voi stessi la “rete” viva, che unisce e porta e dà rifugio - per voi stessi e per molti intorno a voi.

Questo è il mio desiderio di benedizione, che vi esprimo come vostro ospite e pellegrino e come servo della vostra salvezza.

8. Ed ora permettetemi che alla fine di questa fondamentale riflessione sul regno di Dio e sulla famiglia cristiana mi rivolga anche a sant’Alberto Magno, la cui festa del settimo centenario mi ha condotto nella vostra città. Infatti è qui la tomba di questo celebre figlio della vostra terra, che nacque in Lauingen e nella sua lunga vita fu allo stesso tempo un grande scienziato, un figlio spirituale di san Domenico ed il maestro di san Tommaso d’Aquino. Egli fu uno dei più grandi uomini di intelligenza nel XIII secolo. Egli come nessun altro ha congiunto la “rete” che unisce insieme fede e ragione, sapienza di Dio e scienza del mondo. Almeno in spirito visito anche la sua città dove nacque, Lauingen, mentre oggi, a Colonia, presso la sua tomba, mi fermo a meditare insieme a voi le parole con le quali la odierna liturgia lo celebra: “Se questa è la volontà del Signore grande / egli sarà ricolmato di spirito di intelligenza. / Come pioggia effonderà parole di sapienza, / nella preghiera renderà lode al Signore. / Egli dirigerà il suo consiglio e la sua scienza, mediterà sui misteri di Dio. / Farà brillare la dottrina del suo insegnamento, / si vanterà della legge dell’alleanza del Signore. / Molti loderanno la sua intelligenza, / egli non sarà mai dimenticato, / non scomparirà il suo ricordo, / il suo nome vivrà di generazione in generazione. / I popoli parleranno della sua sapienza, / l’assemblea proclamerà le sue lodi” (Sir 39,6-10).

A queste parole del saggio Gesù Sirach non c’è da aggiungere niente. Però non si deve neppure lasciarne alcuna. Esse infatti descrivono perfettamente la figura di quell’uomo, la cui patria, la vostra città con ragione si onora e che è di gioia per l’intera Chiesa. Alberto Magno, dottore universale - Alberto Magno, dalla dottrina molto ampia: un vero “discepolo del regno di Dio”! Se noi oggi abbiamo riflettuto insieme sulla vocazione della famiglia cristiana alla costruzione del regno di Dio sulla terra, le parole della parabola di Cristo ci devono dare anche il più profondo significato di questo santo, che oggi noi ricordiamo solennemente. Cristo infatti dice: “Ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile ad un padrone di casa, che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52).

A tale padrone di casa è simile anche sant’Alberto! Il suo esempio e la sua intercessione mi accompagnino, mentre nel mio pellegrinaggio attraverso il vostro paese tento, come pescatore di uomini, di annodare più strettamente la rete e di gettarla ancora, affinché venga il regno di Dio.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia Colonia 15 novembre 1980]

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Still today Jesus repeats these comforting words to those in pain: "Do not weep". He shows solidarity to each one of us and asks us if we want to be his disciples, to bear witness to his love for anyone who gets into difficulty (Pope Benedict)
Gesù ripete ancor oggi a chi è nel dolore queste parole consolatrici: "Non piangere"! Egli è solidale con ognuno di noi e ci chiede, se vogliamo essere suoi discepoli, di testimoniare il suo amore per chiunque si trova in difficoltà (Papa Benedetto))
Faith: the obeying and cooperating form with the Omnipotence of God revealing himself
Fede: forma dell’obbedire e cooperare con l’Onnipotenza che si svela
Jesus did not come to teach us philosophy but to show us a way, indeed the way that leads to life [Pope Benedict]
Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia, ma a mostrarci una via, anzi, la via che conduce alla vita [Papa Benedetto]
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole  lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)
The first constitutive element of the group of Twelve is therefore an absolute attachment to Christ: they are people called to "be with him", that is, to follow him leaving everything. The second element is the missionary one, expressed on the model of the very mission of Jesus (Pope John Paul II)
Il primo elemento costitutivo del gruppo dei Dodici è dunque un attaccamento assoluto a Cristo: si tratta di persone chiamate a “essere con lui”, cioè a seguirlo lasciando tutto. Il secondo elemento è quello missionario, espresso sul modello della missione stessa di Gesù (Papa Giovanni Paolo II)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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