don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Martedì, 06 Agosto 2024 12:18

La lampada e l’olio

Mt 25,1-13 ci indica la condizione per entrare nel Regno dei cieli, e lo fa con la parabola delle dieci vergini: si tratta di quelle damigelle che erano incaricate di accogliere e accompagnare lo sposo alla cerimonia delle nozze, e poiché a quel tempo era usanza celebrarle di notte, le damigelle erano dotate di lampade.

La parabola dice che cinque di queste vergini sono sagge e cinque stolte: infatti le sagge hanno portato con sé l’olio per le lampade, mentre le stolte non l’hanno portato. Lo sposo tarda ad arrivare e tutte si addormentano. A mezzanotte viene annunciato l’arrivo dello sposo; allora le vergini stolte si accorgono di non avere l’olio per le lampade, e lo chiedono a quelle sagge. Ma queste rispondono che non possono darlo, perché non basterebbe per tutte. Mentre dunque le stolte vanno in cerca dell’olio, arriva lo sposo; le vergini sagge entrano con lui nella sala del banchetto e la porta viene chiusa. Le cinque stolte ritornano troppo tardi, bussano alla porta, ma la risposta è: «Non vi conosco» (v. 12), e rimangono fuori.

Che cosa vuole insegnarci Gesù con questa parabola? Ci ricorda che dobbiamo tenerci pronti all’incontro con Lui. Molte volte, nel Vangelo, Gesù esorta a vegliare, e lo fa anche alla fine di questo racconto. Dice così: «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» (v. 13). Ma con questa parabola ci dice che vegliare non significa soltanto non dormire, ma essere preparati; infatti tutte le vergini dormono prima che arrivi lo sposo, ma al risveglio alcune sono pronte e altre no. Qui sta dunque il significato dell’essere saggi e prudenti: si tratta di non aspettare l’ultimo momento della nostra vita per collaborare con la grazia di Dio, ma di farlo già da adesso. Sarebbe bello pensare un po’: un giorno sarà l’ultimo. Se fosse oggi, come sono preparato, preparata? Ma devo fare questo e questo … Prepararsi come fosse l’ultimo giorno: questo fa bene.

La lampada è il simbolo della fede che illumina la nostra vita, mentre l’olio è il simbolo della carità che alimenta, rende feconda e credibile la luce della fede. La condizione per essere pronti all’incontro con il Signore non è soltanto la fede, ma una vita cristiana ricca di amore e di carità per il prossimo. Se ci lasciamo guidare da ciò che ci appare più comodo, dalla ricerca dei nostri interessi, la nostra vita diventa sterile, incapace di dare vita agli altri, e non accumuliamo nessuna scorta di olio per la lampada della nostra fede; e questa – la fede – si spegnerà al momento della venuta del Signore, o ancora prima. Se invece siamo vigilanti e cerchiamo di compiere il bene, con gesti di amore, di condivisione, di servizio al prossimo in difficoltà, possiamo restare tranquilli mentre attendiamo la venuta dello sposo: il Signore potrà venire in qualunque momento, e anche il sonno della morte non ci spaventa, perché abbiamo la riserva di olio, accumulata con le opere buone di ogni giorno. La fede ispira la carità e la carità custodisce la fede.

La Vergine Maria ci aiuti a rendere la nostra fede sempre più operante per mezzo della carità; perché la nostra lampada possa risplendere già qui, nel cammino terreno, e poi per sempre, alla festa di nozze in paradiso.

[Papa Francesco, Angelus 12 novembre 2017]

(Mt 16,13-23)

 

A oltre metà della sua vita pubblica Gesù non ha ancora dato formule, ma fa una domanda impegnativa - che ha la pretesa di chiederci molto più delle usuali espressioni con struttura di legge.

Globalmente la folla può averlo accostato a personaggi eminenti come il Battista [colui che ha dimostrato di essere estraneo alle cortigianerie] o Elia [per la sua attività di denuncia degli idoli] o Geremia [l’oppositore della compravendita di benedizioni].

Ma Egli non è venuto - come i profeti antichi - a migliorare la situazione o rabberciare devozioni, né a purificare il Tempio, bensì a sostituirlo!

Le immagini della tradizione raffigurano Cristo in molti modi (per gli atei un filantropo), il più diffuso dei quali è ancora quello di un Signore antico, garante di comportamenti convenzionali.

Egli invece - per farci riflettere - porta i discepoli in un ambiente di cantiere [a nord della Palestina, Cesarea di Filippo era in costruzione], lontano dalla nomenclatura interessata della Città “santa”.

 

La mentalità comune valutava la riuscita della vita - e la verità di una religione - sulla base del successo, del dominio, dell’arricchimento, delle sicurezze in genere.

Il quesito che Gesù pone ai suoi fa trapelare una novità che soppianta tutto il sistema: la Chiamata si rivolge a ogni singola persona.

È una proposta di confine, al pari del luogo geografico simbolico della capitale del regno di Filippo, uno dei tre figli eredi di Erode il Grande: in Palestina, il punto più lontano dal centro della religiosità conformista.

Il Volto del «Figlio dell’uomo» è riconoscibile solo ponendo la massima distanza da schemi politici e veterani - altrimenti anche noi non saremmo in grado di percepirne la ‘luce’ personale.

Nella comunità di Mt si stava appunto facendo esperienza di una sempre più larga partecipazione di pagani, che prima si sentivano degli esclusi e man mano si integravano.

 

Per la nostra mentalità, le chiavi di casa servono a chiudere e serrare il portone, per non far entrare i malintenzionati.

In quella semitica, erano piuttosto icona dell’apertura dell’uscio.

 

Nel celebre capolavoro del Perugino sulla parete nord della Cappella Sistina, Gesù consegna al capo della Chiesa due chiavi: quella d’oro del Paradiso e quella d’argento del Purgatorio.

Ma il senso del brano non è l’Aldilà - anzi, non è neppure istituzionale. In ebraico il termine ‘chiave’ è derivante dal verbo ‘aprire’!

Massimo compito missionario dei responsabili di comunità è tenere il Regno dei Cieli spalancato, ossia garantire una Chiesa accogliente!

Pietro non deve ricalcare il tipo del monarca arrogante, immagine dell’autorità; sostitutiva dell’imperatore.

Simone deve farsi primo responsabile dell’accettazione di coloro che sono fuori.

Sembra strano per qualsiasi proposta antica, ove si supponeva che Dio temesse di rendersi impuro nel contatto col mondo.

Il Padre è Colui che osa di più.

Questo il motivo per cui Gesù impone severamente un totale silenzio messianico (v.20) alle labbra e al cervello antico degli Apostoli.

 

Pietro e i discepoli volevano tornare all’idea consueta de «il» Messia [cf. testo greco] atteso da tutti.

Un canovaccio troppo normale, incapace di rigenerarci.

 

 

[Giovedì 18.a sett. T.O.  8 agosto 2024]

Martedì, 06 Agosto 2024 07:30

Chi Sono, le Chiavi, la Fede, il Nome

Chi sono per voi, e le Chiavi della comunità aperta

(Mt 16,13-23)

 

A oltre metà della sua vita pubblica Gesù non ha ancora dato formule, ma fa una domanda impegnativa - che ha la pretesa di chiederci molto più delle usuali espressioni con struttura di legge.

Globalmente la folla può averlo accostato a personaggi eminenti come il Battista [colui che ha dimostrato di essere estraneo alle cortigianerie] o Elia [per la sua attività di denuncia degli idoli] o Geremia [l’oppositore della compravendita di benedizioni].

Ma Egli non è venuto - come i profeti antichi - a migliorare la situazione o rabberciare devozioni, né a purificare il Tempio, bensì a sostituirlo!

Le immagini della tradizione raffigurano Cristo in molti modi (per gli atei un filantropo), il più diffuso dei quali è ancora quello di un Signore antico, garante di comportamenti convenzionali.

Egli invece - per farci riflettere - porta i discepoli in un ambiente di cantiere [a nord della Palestina, Cesarea di Filippo era in costruzione], lontano dalla nomenclatura interessata della Città “santa”.

 

La mentalità comune valutava la riuscita della vita - e la verità di una religione - sulla base del successo, del dominio, dell’arricchimento, delle sicurezze in genere.

Il quesito che Gesù pone ai suoi fa trapelare una novità che soppianta tutto il sistema: la Chiamata si rivolge a ogni singola persona.

È una proposta di confine, al pari del luogo geografico simbolico della capitale del regno di Filippo, uno dei tre figli eredi di Erode il Grande: in Palestina, il punto più lontano dal centro della religiosità conformista.

Il Volto del «Figlio dell’uomo» è riconoscibile solo ponendo la massima distanza da schemi politici e veterani - altrimenti anche noi non saremmo in grado di percepirne la ‘luce’ personale.

Nella comunità di Mt si stava appunto facendo esperienza di una sempre più larga partecipazione di pagani, che prima si sentivano degli esclusi e man mano si integravano.

 

Per la nostra mentalità, le chiavi di casa servono a chiudere e serrare il portone, per non far entrare i malintenzionati.

In quella semitica, erano piuttosto icona dell’apertura dell’uscio.

 

Nel celebre capolavoro del Perugino sulla parete nord della Cappella Sistina, Gesù consegna al capo della Chiesa due chiavi: quella d’oro del Paradiso e quella d’argento del Purgatorio.

Ma il senso del brano non è l’Aldilà - anzi, non è neppure istituzionale. In ebraico il termine ‘chiave’ è derivante dal verbo ‘aprire’!

Massimo compito missionario dei responsabili di comunità è tenere il Regno dei Cieli spalancato, ossia garantire una Chiesa accogliente!

Pietro non deve ricalcare il tipo del monarca arrogante, immagine dell’autorità; sostitutiva dell’imperatore.

Simone deve farsi primo responsabile dell’accettazione di coloro che sono fuori.

Sembra strano per qualsiasi proposta antica, ove si supponeva che Dio temesse di rendersi impuro nel contatto col mondo.

Il Padre è Colui che osa di più.

Questo il motivo per cui Gesù impone severamente un totale silenzio messianico (v.20) alle labbra e al cervello antico degli Apostoli.

 

Pietro e i discepoli volevano tornare all’idea consueta de «il» Messia [cf. testo greco] atteso da tutti.

Un canovaccio troppo normale, incapace di rigenerarci.

 

 

Ma voi chi dite che io sia? La Fede di Pietro

 

Prendere distanza da ciò che si spera

 

Gesù guida i suoi lontano dal territorio dell’ideologia di potere e dal centro sacro dell’istituzione religiosa ufficiale - la Giudea.

Il Signore vuole che i suoi intimi prendano distanza da limitazioni e apprezzamenti.

Il relativo successo ottenuto dal Maestro in Galilea aveva infatti ravvivato le speranze di gloria (unilaterale) degli apostoli.

Il territorio di Cesarea di Filippo, all’estremo nord della Palestina, era incantevole; celebre per fertilità e pascoli rigogliosi. Zona famosa per la bellezza del contesto e la fecondità di greggi e armenti.

Anche i discepoli restano affascinati dal paesaggio e dalla vita agiata degli abitanti della regione; per non dire della magnificenza dei palazzi.

Il richiamo del contesto allude alle agiatezze che la religione pagana in genere propone; prosperità eccessiva che incantava i Dodici.

Cristo chiede agli apostoli - in pratica - cosa la gente si aspettasse da Lui. Così vuole si rendano conto degli effetti nefasti della loro stessa predicazione.

“Annuncio” che volentieri confondeva benedizioni materiali e spirituali.

 

Mentre gli Dei mostrano di saper colmare di beni i loro devoti - e una sfarzosa vita di corte che (appunto) ammaliava tutti - Cristo cosa offre?

Il Maestro si accorge che i discepoli erano ancora fortemente condizionati dalla propaganda del governo politico e religioso [vv.6.11] che assicurava benessere [vv.5-12; cf. Mt 15,32-38].

E Gesù li istruisce ancora, affinché almeno i suoi inviati possano superare la cecità e la crisi prodotta dalla sua Croce (v.21), dall’impegno richiesto nell’ottica del dono di sé.

Egli non è solo un continuatore dell’atteggiamento limpido del Battista, mai incline al compromesso nei confronti delle corti e dell’opulenza; né uno dei tanti restauratori della legge di Mosè, con lo zelo di Elia.

Neppure voleva limitarsi a purificare la religione da elementi spuri, ma addirittura sostituirsi al Tempio [Mt 21,12-17.18-19.42; 23,2.37-39; 24,30] - luogo dell’incontro tra il Padre e i suoi figli.

 

Su tale questione, in quel momento erano particolarmente vive le distanze non solo col paganesimo, ma anche le contrapposizioni tra giudei convertiti al Signore e osservanti secondo tradizione.

Infatti, nei libri sacri del giudaismo tardivo si parlava di grandi personaggi che avevano lasciato un’impronta nella storia d’Israele, e avrebbero dovuto riapparire per inaugurare i tempi messianici.

Anche all’interno delle comunità perseguitate di Galilea e Siria, Mt constata una scarsa capacità di comprensione, e tutta la difficoltà di abbracciare la nuova proposta - la quale non garantiva successo e riconoscimenti, né traguardi immediati.

(Sin dalle prime generazioni ci si rendeva conto che la Fede non si accorda facilmente con i primi impulsi umani: è invece sconcertante, per le vedute ovvie e le sue pulsioni).

Così il Maestro contraddice lo stesso Pietro [vv.20.23] la cui opinione restava legata all’idea conformista e popolaresca de «il» [vv.16.20: «quel»] Messia atteso.

 

Insomma, il capo degli apostoli - così debole nella Fede - può smetterla di indicare a Cristo quale strada percorrere «dietro» a lui [v.23] deviandolo!

Simone deve ricominciare a fare l’allievo; piantarla di tracciare a tutti vie riconosciute e opportuniste, sequestrando Dio in nome di Dio.

Il Signore è Colui che osa di più.

 

 

Una speciale nota sul tema del Nome:

 

Mentre per la nostra cultura è spesso un’etichetta, fra i popoli orientali il nome è tutt’uno con la persona, e la designa in modo speciale.

Per quanto si evince ad es. nel “secondo” comandamento, la forza del Nome ha un grande peso: è un conoscere il Soggetto (divino) nell’essenza e nel senso dell’agire; quasi un impossessarsi del suo potere.

Anche nella nostra tradizione orante, spirituale e mistica, il Nome proprio (es. Gesù) è stato spesso considerato quasi un’icona acustica della persona, comprensiva delle sue virtù; evocativa della sua presenza e potenza.

Nelle culture antiche, pronunciare il nome significava riuscire a cogliere il seme, il nucleo pregnante e globale della figura di riferimento.

Non di rado, anche nella nostra mentalità ha voluto esprimere un presagio, un mandato, un augurio, una benedizione, una vocazione, un destino, un compito, una chiamata, una missione [nomen (est) omen].

Ma qui si misura la differenza tra mentalità sacrale e Fede. Nelle religioni il nome proprio che il maestro o fondatore dona al discepolo è una sorta di cartello: colui il quale non avesse acume o fortuna, forza e coraggio di realizzarlo, sminuirebbe in dignità.

Invece Cristo coi suoi appellativi ci chiama a percorrere una strada,  certo - ma profondamente commisurata all’essenza.

Egli stimola all’esodo - non secondo modelli - perché prima fa rientrare la persona in se stessa. Affinché tutti ci mettiamo in gioco nel profondo e sino all’estremo che corrisponde.

Primo passo: incontrarci a tutto tondo; nei diversi versanti, anche sorprendenti, inespressi o sconosciuti - in genere, caratteri inimmaginabili secondo regola e nomenclature.

Persino i nostri modi di essere eccentrici, ambigui, in ombra o addirittura rifiutati in prima persona: si riveleranno lungo la Via i lati migliori di noi stessi.

Solo in questo binario plurale troviamo la strada per un’avventura densa di senso; non meccanica, né ripetitiva - bensì somigliante alla vita: sempre nuova e autentica.

Non a partire dalle esteriorità di facciata o di calcolo: c’è una firma d’Autore che precede, nella edificazione di noi stessi e del mondo.

 

Passando fra i diversi cantieri della città di Filippo, Gesù ha invece voluto paragonare Simone ai materiali inerti e accatastati (in modo anche confusionario) che si trovava di fronte.

Quella condizione coglieva la radice delle aspettative apostoliche!

I discepoli non davano ancora spazio al Mistero in loro stessi, all’idea di una salvezza segreta, che erompe con energia propria, innata; che supera i sogni comuni.

Cefa deriva infatti dall’aramaico Kefas: pietra da costruzione; qualcosa di duro: praticamente, un testardo come tanti; nulla di speciale, anzi. Gesù affibbia a Simone un soprannome negativo!

Infatti il termine greco «petros» [v.18] non è nome proprio: indica un sasso (raccolto da terra) che può essere sì utile a una costruzione - se ovviamente si lascia compaginare. E che non solo sostiene, ma è sostenuto; che non solo aggrega, ma viene aggregato.

Attenzione: il termine greco «petra» [v.18] non è il femminile di «petros»: indica «roccia», e si riferisce alla Persona di Cristo unica sicurezza (assieme alla Fede in Lui).

Appellativo che cambia imprevedibilmente tutta una vita. Solo l’Amico interiore infatti trae dal nostro [anche cattivo] bagaglio l’imprevedibile che sgorga.

 

Ciascuno viene cesellato dal Signore secondo il nome Pietro, nel senso di tassello particolare, elemento individuo e speciale.

Collocato in modo singolare ma in un grande mosaico: quello della storia della salvezza, dove ciascuno è contemporaneamente se stesso e in continua fase di rigenerazione.

Unico sentimento di appartenenza delle molte pietre da costruzione (tutte viventi): la convivialità delle differenze, la comunione delle disparate membra fraterne nella Chiesa ministeriale.

Nessuna per sempre, ma ovunque (incessantemente) nuclei pulsanti di un’istituzione sommaria e tutta raccolta da terra... Liberata gratis.

Martedì, 06 Agosto 2024 07:26

Il dramma della storia del papato

Nel brano del Vangelo di san Matteo che abbiamo ascoltato poco fa, Pietro rende la propria confessione di fede a Gesù riconoscendolo come Messia e Figlio di Dio; lo fa anche a nome degli altri Apostoli. In risposta, il Signore gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la «pietra», la «roccia», il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cfr Mt 16,16-19). Ma in che modo Pietro è la roccia? Come egli deve attuare questa prerogativa, che naturalmente non ha ricevuto per se stesso? Il racconto dell’evangelista Matteo ci dice anzitutto che il riconoscimento dell’identità di Gesù pronunciato da Simone a nome dei Dodici non proviene «dalla carne e dal sangue», cioè dalle sue capacità umane, ma da una particolare rivelazione di Dio Padre. Invece subito dopo, quando Gesù preannuncia la sua passione, morte e risurrezione, Simon Pietro reagisce proprio a partire da «carne e sangue»: egli «si mise a rimproverare il Signore: … questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù a sua volta replicò: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo...» (v. 23). Il discepolo che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, si manifesta anche per quello che è, nella sua debolezza umana: una pietra sulla strada, una pietra in cui si può inciampare – in greco skandalon. Appare qui evidente la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane; e in questa scena tra Gesù e Simon Pietro vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzata proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall’alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare.

[Papa Benedetto, omelia 29 giugno 2012]

Martedì, 06 Agosto 2024 07:21

Domanda circa l’identità

1. "Voi chi dite che io sia?" (Mt 16,15).

Questa domanda circa la sua identità Gesù la pone ai discepoli, mentre si trova con loro nell'alta Galilea. Era accaduto più volte che fossero loro a porre delle domande a Gesù; ora è Lui che li interpella. La sua è una domanda precisa, che attende una risposta. Per tutti prende la parola Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).

La risposta è straordinariamente lucida. Vi si rispecchia in modo perfetto la fede della Chiesa. In essa ci rispecchiamo anche noi. In modo particolare, si rispecchia nelle parole di Pietro il Vescovo di Roma, per volontà divina suo successore. 2. "Tu sei il Cristo!". Alla confessione di Pietro Gesù replica: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17).

Beato te, Pietro! Beato, perché questa verità, che è centrale nella fede della Chiesa, non poteva emergere nella tua consapevolezza di uomo, se non per opera di Dio. "Nessuno - ha detto Gesù - conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27).

Noi riflettiamo su questa pagina di Vangelo singolarmente densa: il Verbo incarnato aveva rivelato il Padre ai suoi discepoli; ora è il momento che lo stesso Padre rivela ad essi il Figlio suo unigenito. Pietro accoglie l'illuminazione interiore e proclama con coraggio: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente"!

Queste parole sulle labbra di Pietro provengono dal profondo del mistero di Dio. Rivelano l'intima verità, la vita stessa di Dio. E Pietro, sotto l'azione dello Spirito divino, diventa testimone e confessore di questa sovrumana verità. La sua professione di fede costituisce così la solida base della fede della Chiesa: "Su di te edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,18). Sulla fede e sulla fedeltà di Pietro è edificata la Chiesa di Cristo.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia 29 giugno 2000]

Pietro, il pescatore di Galilea, è stato anzitutto liberato dal senso di inadeguatezza e dall’amarezza del fallimento, e questo è avvenuto grazie all’amore incondizionato di Gesù. Pur essendo un esperto pescatore, ha sperimentato più volte, nel cuore della notte, il gusto amaro della sconfitta per non aver pescato nulla (cfr Lc 5,5; Gv 21,5) e, davanti alle reti vuote, ha avuto la tentazione di tirare i remi in barca; pur essendo forte e impetuoso, si è fatto prendere spesso dalla paura (cfr Mt 14,30); pur essendo un appassionato discepolo del Signore, ha continuato a ragionare secondo il mondo senza riuscire a comprendere e accogliere il significato della Croce del Cristo (cfr Mt 16,22); pur dicendosi pronto a dare la vita per Lui, gli è bastato sentirsi sospettato di essere dei suoi per spaventarsi e arrivare a rinnegare il Maestro (cfr Mc 14,66-72).

Eppure Gesù lo ha amato gratuitamente e ha scommesso su di lui. Lo ha incoraggiato a non arrendersi, a gettare ancora le reti in mare, a camminare sulle acque, a guardare con coraggio alla propria debolezza, a seguirlo sulla via della Croce, a dare la vita per i fratelli, a pascere le sue pecore. Così lo ha liberato dalla paura, dai calcoli basati sulle sole sicurezze umane, dalle preoccupazioni mondane, infondendogli il coraggio di rischiare tutto e la gioia di sentirsi pescatore di uomini. Ha chiamato proprio lui a confermare nella fede i fratelli (cfr Lc 22,32). A lui ha dato – lo abbiamo ascoltato nel Vangelo – le chiavi per aprire le porte che conducono all’incontro con il Signore e il potere di legare e sciogliere: legare i fratelli a Cristo e sciogliere i nodi e le catene della loro vita (cfr Mt 16,19).

Tutto ciò è stato possibile solo perché – come ci ha raccontato la prima Lettura – Pietro per primo è stato liberato. Le catene che lo tengono prigioniero vengono spezzate e, proprio come era accaduto nella notte della liberazione degli Israeliti dalla schiavitù dell’Egitto, gli viene chiesto di alzarsi in fretta, di mettere la cintura e legarsi i sandali per uscire. E il Signore spalanca le porte davanti a lui (cfr At 12,7-10). È una nuova storia di apertura, di liberazione, di catene spezzate, di uscita dalla prigionia che rinchiude. Pietro fa l’esperienza della Pasqua: il Signore lo ha liberato.

[Papa Francesco, omelia 29 giugno 2021]

Lunedì, 05 Agosto 2024 15:48

Carne dal Cielo, stile domestico

(Mt 15,21-28)

 

La legge religiosa impediva di occuparsi di persone straniere e di altra etnia, frontiere, o cultura.

All’inizio, Gesù [ovvero: Lui nelle prime comunità, suo Corpo mistico] sembra non volersene occupare (v.26).

Ma dopo aver aiutato le folle e i suoi ad emanciparsi dalla prigione delle norme di purità (vv.10-20) il giovane Rabbi stesso era uscito dai modi conformisti di sperimentare Dio.

Egli fa Esodo persino da territori nazionali e di razza che allora sequestravano le linfe vitali - così sorvolando i preconcetti “sacri”.

Per farci crescere nella Fede, Cristo promuove l’esistere variegato. In tal guisa, al di fuori della miopia standard, può riscontrare adesioni sbalorditive.

Fede: Principio Nuovo, che non allontana da noi stessi. E sgretola ogni illusione di esclusività.

 

Le singolari iniziative del Figlio nascono sulla base dell’esperienza tutta personale del divino, di un Padre munifico nell’elargire senza condizioni. 

Provvidente e disuguale dal Dio taccagno delle religioni antiche: quest’ultimo tutto discordante dalle creature, estraneo, predatorio, e incomprensibilmente abitudinario.

Con una trovata inconsueta, il giovane Rabbi cerca di aprire la mentalità giudaizzante, superando le frontiere.

Persino il dialogo con una donna non del suo popolo era una “pensata” aliena dalla mentalità delle folle dell’epoca. Iniziativa estranea perfino alle concezioni delle prime due generazioni di credenti, sotto questo aspetto ancora ingessate e frammiste d’idoli.

Ma c’era tutto un popolo di sconosciuti [la «Donna» meticcia e la sua ‘discendenza’ spirituale] che sentiva di non avere futuro... e ciò interpellava i tanti apriorismi del tempo.

Insomma, anche la chiesa di Mt non aveva colto appieno il significato del «pane dei figli» - tutto a disposizione affinché venisse “riconosciuto”.

 

A motivo di rivalità, i popoli antichi erano soliti chiamare gli stranieri con l’appellativo sprezzante di «cane»: sinonimo d’impudenza, meschinità e ignobile bassezza.

La frase durissima del Signore (v.26) riflette un paragone proveniente dalle zone povere e dalla vita in famiglia, dove un tempo abbondavano animali domestici e gioventù.

Vi era pur differenza tra ‘bambini’ generati dall’ascolto della Parola di Dio e coloro che si regolavano “a fiuto”. Ma sebbene nessuno negasse il sostentamento ai «figli» per darlo ai «cani» attorno - questi ultimi avevano almeno il diritto delle briciole cadute sul terreno.

Per i diversi e lontani - anche malconsiderati - non è un problema ricorrere a Gesù in modo istintivo; anzi, anche oggi si accontenterebbero dei frantumi.

[Purtroppo, non di rado gli estranei e difformi sono più affamati della vera Manna dal Cielo].

 

Nella comunità cristiana non dovrebbe mancare il nutrimento del corpo e l’Alimento per chiunque (Mt 14,20-21).

La Fede non ha nazionalità, ed è l’unico linguaggio e relazione immediata validi per la comunicazione fra Dio e la donna e l’uomo.

Cristo è vivanda sapienziale per una libera circolazione; non cibo impedito, da tener chiuso.

Spezzare il Pane è partecipare l'esistere in radice; ciò che abbiamo e siamo. Metro di ciò che annunciamo, crediamo e pratichiamo.

 

 

[Mercoledì 18.a sett. T.O.  7 agosto 2024]

Mt 15,21-28 (21-37)

 

Gesù scopriva la volontà del Padre negli eventi della vita. Lo stesso per la crescita di consapevolezza delle prime comunità, le quali si sono trascinate pregiudizi non da poco, almeno sino alla terza generazione di credenti (compresa) - come testimoniato dai Sinottici.

La legge religiosa impediva di occuparsi di persone straniere e di altra etnia, frontiere o cultura. All’inizio, Gesù [ovvero: Lui nelle prime comunità, suo Corpo mistico] sembra non volersene occupare (v.26).

Ma dopo aver aiutato le folle e i suoi ad emanciparsi dalla prigione delle norme di purità (vv.10-20) Cristo esce dai modi conformisti di sperimentare Dio.

Egli fa esodo persino da territori nazionali e di razza che allora sequestrano le linfe vitali - così sorvolando i preconcetti sacri.

 

Le singolari iniziative del Figlio nascono sulla base dell’esperienza tutta personale del divino, di un Padre munifico nell’elargire senza condizioni. 

Provvidente e disuguale dal Dio taccagno delle religioni: quest’ultimo discordante dalle creature, estraneo, e (incomprensibilmente) abitudinario.

Il Signore stesso ci aiuta nella sua vicenda a sperimentare il trascendente nella vita anche sommaria. Così, a uscire dai modi dottrinali artificiosi che mettono l’esistenza in gabbia [territorio, costumi, ideologia, appartenenze di vario genere - anche “interne”].

Con una trovata inconsueta, il giovane Rabbi cerca di aprire la mentalità giudaizzante, superando le frontiere.

L’intento è quello di farci sviluppare la sua stessa Fede. Essa che promuoveva l’esistere variegato, e al di fuori della miopia tradizionale poteva così riscontrare adesioni sbalorditive.

Nessuno steccato a confine, nessun ostacolo... riescono a contenere la nostra voglia di vivere: vogliamo alimentarci non dell’orgoglio (o di resistenze) ma dell’amore a rischio, non svilito - ed esprimerci completamente.

Persino il dialogo con una donna non del suo popolo era una “pensata” aliena dalla mentalità delle folle dell’epoca - estranea perfino alle concezioni delle prime due generazioni di credenti, sotto questo aspetto ancora ingessate e frammiste d’idoli.

Ma c’era tutto un popolo di sconosciuti [la «donna» meticcia e la sua ‘discendenza’ spirituale] che sentiva di non avere futuro. E ciò interpellava i tanti apriorismi del tempo.

Insomma, anche la chiesa di Mt non aveva colto appieno il significato del «pane dei figli» - tutto a disposizione affinché venisse “riconosciuto”.

 

A motivo di ataviche rivalità, i popoli antichi erano soliti chiamare gli stranieri con l’appellativo sprezzante di «cane», sinonimo d’impudenza, meschinità e ignobile bassezza.

Erano diffuse titubanze del senso della fraternità umana - da visione primitiva [e non solo, nell’era dell’accesso].

La frase durissima del Signore (v.26) riflette un paragone proveniente dalle zone povere e dalla vita in famiglia, dove un tempo abbondavano animali domestici e gioventù.

Vi era pur differenza tra ‘bambini” generati dall’ascolto della Parola di Dio e coloro che si regolavano “a fiuto”.

Ma sebbene nessuno negasse il sostentamento ai «figli» per darlo ai «cani» attorno - questi ultimi avevano almeno il diritto delle briciole cadute sul terreno.

In effetti, il testo parla di «piccoli cani» [kynaría-kynaríois] come animali domestici amati dai giovanissimi e che durante i pasti facilmente davano loro da mangiare gli avanzi.

In certo senso, appartenevano alla “casa”.

 

Per i diversi e lontani - anche malconsiderati - non è un problema ricorrere a Gesù in modo istintivo; anzi, si accontenterebbero dei frantumi.

In base a ciò, nella comunità dei figli non dovrebbe mancare il nutrimento del corpo e l’alimento sapienziale per chiunque (Mt 14,20-21).

Tuttavia i veterani che si ritenevano famigliari di spettanza e accampavano diritti anagrafici, tenevano il broncio e nelle assemblee pretendevano non consentire a tutti di partecipare alla comunione, ai granelli eucaristici, ai doni del Regno di festa.

Ma grazie all’appello dei Vangeli [ben diversi dagli esagerati proclami “evangelici” imperiali o delle legioni] il dominio del male volgeva al termine (v.28).

Secondo Mt non dovrebbe esistere ossessione, catena o preconcetto che possa toglierci orientamenti di progresso ed energie, affinché con estrema libertà siamo messi in grado di adoperarci e aprirsi nei confronti dei bisogni altrui, anche pagani (Mt 14,22a).

 

Dunque nelle fraternità giudeo cristiane di Galilea e Siria sorge un dibattito circa le condizioni di appartenenza comunitaria.

Qual è la posizione dei convertiti dal paganesimo? Hanno diritto di partecipare allo spezzare del Pane senza previa trafila dottrina-disciplina? C’è o no frattura con la tradizione osservante?

Mt ribadisce che non abbiamo prelazione alcuna: principio di salvezza universale è l’attitudine di Fede; non un diritto.

La comunità dei battezzati non è autorizzata a vivere di rendita. Il Vangelo è aperto, supera la biblica priorità del popolo eletto.

La ragione di ogni eventuale eccezione è l’amore sensibile, che ha la libertà di cedere, che diviene unico principio di appartenenza.

 

Condizione di adesione al nuovo popolo di Dio è la Fede nel cuore e non nel sangue o nella testa, né nella disciplina che allontana da noi stessi, da Dio e dagli altri.

Fede: principio nuovo, che sgretola ogni illusione di esclusività.

 

Col Padre, nel Figlio, non si tratta più di mortificarsi, dipendere, sforzarsi e lottare, per poter stare uno di fronte all’altro.

La purità legale è insufficiente (vv.1-20), anzi ora è la persona anche dalle origini sconcertanti - prima un’estranea - che esce “vittoriosa” dal botta e risposta con il Signore.

L’Affidamento sponsale è apprezzabile ovunque, da parte di chiunque: Eros fondante che zampilla da ogni anima, e non è legato a repertori. Supera qualsiasi particolarismo.

Certo, ha i suoi criteri - però essenziali: trasparenza, freschezza, tensione all’unità, superamento delle condizioni e dei tabù; valore della persona; empatia segreta di energie.

 

Il passo di Vangelo traccia un intero cammino di adesione a Cristo.

I lontani possono accostarsi e addirittura partire dall’idea popolare - sconveniente - che Gesù sia il «Figlio di Davide» atteso (v.22): comandante militare e sovrano che avrebbe dovuto prendere il potere, assoggettare le nazioni, assicurare l’età dell’oro, adempiere egli stesso le prescrizioni di Legge come fosse un Modello, e imporne a tutti l’osservanza.

Il punto di partenza del cammino può essere un misero barlume, un inizio che forse non promette granché. Infatti nel caso specifico risulta decisamente confusionario: il Maestro non risponde (v.23).

Il titolo a Lui affibbiato non ha nulla a che vedere con Dio, né riguarda l’autentico Primogenito. Egli non è Messia potente - immagine predatoria, omologata - bensì servitore.

Non ha alcun senso neppure chiedergli «Pietà» (v.22)! Anzi - diciamola tutta - malgrado le superficiali abitudini rituali che abbiamo, qui Cristo sembra proprio adirato (v.23).

Non è questo il rapporto sano col Signore: Egli non mette in castigo e non gode di sentirsi implorato dai bisognosi.

Piuttosto educa come fa un amico, fratello o genitore; e non concede grazie a lotteria, né miracoli a simpatia e protezione, o favori a territorio - come gli dèi pagani.

Quell’immagine è totalmente deviante, ma è una figura fasulla che vien fuori proprio dagli “interni” (vv.23-24), i quali sul tema non avrebbero nulla da eccepire (v.23).

Anzi, la loro stessa catechesi ne è la scaturigine: il titolo «figlio di Davide» suona strano, sulla bocca di una pagana.

 

Ancora oggi questa idea paternalista omologante - di colpa inculcata - tende ad allontanare chi cerca un compagno di strada amabile.

La priorità per “Israele” è riconosciuta da Gesù perché sono proprio i figli maggiori a doversi convertire a un nuovo Volto del primo Dio del Sinai - ancora valutato Legislatore e Giudice, invece che Creatore e Redentore della nostra intelligenza e libertà.

[Sebbene in modo bonario-infantile, purtroppo continuano a diffonderlo, quale notaio arcigno, sin dal pre-catechismo].

Gesù prende le distanze da chi accampa pretese e nel contempo devia le anime dei bisognosi che lo cercano.

Poi, in termini spirituali nessuno può millantare diritto a nulla: i Doni davvero sacri non derivano da nessun rapporto di elezione selettiva, e neppure clientelare [del tipo compravendita].

 

Dunque, per diventare intimi a Cristo... ci si può accontentare delle «briciole» eucaristiche - ossia “salvezza minima”?

Ci si può sentire appagati dai soli frantumi che cadono dalla tavola dei supponenti chiusi in piccoli schemi (vv.26-27)?

Certo, perché è la Fede che salva (v.28), non un grande gesto o una lunga consuetudine nelle discipline dell’arcano - né un codice di purità.

L’autentico Signore dice solo:

«Donna, grande la tua Fede! Avvenga per te come vuoi» (v.28) - ossia procedi pure verso la gioia di una vita piena, trasmissibile a una “prole” non destinata a tormenti o morte prematura.

E senza più sul groppone il giudizio altrui, quello con solite tare ingannevoli, d’inadeguatezza.

Grazie a Lui non siamo introdotti in una pratica religiosa sommaria, ma in una Relazione che si cesella nel tempo (vv.22-28).

 

Come orientarsi?

Invece della stretta Legge, è il Vangelo che ci abilita in pieno.

Come fossimo «cagnolini» (vv.26-27) che cercano vita e alimento, procedendo istintivamente [a “fiuto”] per strade inesplorate. E che secondo carattere, inclinazione, Chiamata per Nome, fanno appello ad altre forze segrete.

Insomma, tutti gli uomini - sebbene ancora lontani da un’esplicita adesione di fede - sono abitati da questo sapere al contempo personale e primordiale, che orienta in modo immediato, e infallibile.

Così in semplicità faremo anche noi, per trovare la Via.

Infatti la Fede non ha nazionalità, ed è l’unico linguaggio-relazione-traiettoria validi per la comunicazione fra Dio e la donna e l’uomo.

La proposta è universale; valica i tempi, le frontiere denominazionali e persino religiose.

 

A commento del Tao Te Ching (LVIII), il maestro Wang Pi afferma:

«Chi ben governa non ha forma né nome, non dà inizio ad amministrazioni. Le varie categorie si dividono e si separano, per questo il popolo è frammentato».

Aggiunge il maestro Ho-shang Kung:

«Quando chi governa è liberale, il popolo è unito nella ricchezza e nella sazietà: gli uomini si amano e vanno d’accordo».

 

Oggi si tratta di condividere i minuzzoli e frammenti del “di più” da noi in occidente ereditato dalle passate generazioni.

Un “di più” molto istruttivo e agiato; elargito in modo sovrabbondante, eppure ricevuto senza “nulla di troppo” [ne quid nimis] né tanti meriti o azzardi (da “buoni cristiani...”).

E rispettando in tutto la nomenclatura dei reduci, di cordate e potenti - sempre poco inclini alla convivenza reale.

Cristo è invece vivanda sapienziale per una libera circolazione; non cibo impedito, da tener chiuso nei tabernacoli.

La sua virtù è compresa ormai solo fuori delle sagrestie - da discosti e remoti (vv.21-22) - dove persino un minuzzolo di Pane fa confidare e risorgere, nella condivisione.

Spezzare l’Eucaristia sorgente e culmine è proclamarla Dono da non trattenere né conservare intatto, bensì da esporre e distribuire senza previ moralismi.

Dividere quel Cibo è partecipare l'esistere in radice, ciò che abbiamo e siamo; metro di quel che annunciamo, crediamo e pratichiamo.

 

Purtroppo, non di rado gli estranei e difformi sono più affamati della vera Manna dal Cielo.

Saturi fino alla nausea - e forse ancora incapaci di comprenderne il senso - perché vivere il Nutrimento condiviso [forse con pochi riguardi al suo significato] come problema e paura?

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Se non è del “tuo popolo”, ti va almeno di parlarci - anche se veterani, clubs interni e regolari lo vietano?

Non pensi che il cammino sinodale sia una buona occasione per rivedere posizioni astratte?

Sai di qualche parrocchietta ecclesiale che non lascia possibilità agli esterni?

Conosci persone ferite dalle esclusioni? Tu cosa fai, silenzio-assenso?

 

 

Moltiplicazione per Divisione, nell’itineranza

 

Il semplice Mistero (Eucaristico)

(Mt 15,29-37)

 

«L’uomo è l’essere-limite che non ha limite» (Fratelli Tutti n.150).

Nel cuore abbiamo un gran desiderio di appagamento e Felicità. Il Padre ce lo ha messo, Lui stesso lo soddisfa - ma ci vuole associati alla sua opera - dentro e fuori di noi.

Il Figlio riflette il disegno di Dio nella compassione per le folle bisognose di tutto (vv.30.32) e - malgrado la pletora di maestri ed esperti - prive di qualsiasi insegnamento autentico [cf. Mt 9,36. 14,14].

La sua soluzione è diversissima da quella di tutte le guide “spirituali”, perché non ci sorvola con un paternalismo indiretto [cf. Mt 14,16] che asciughi le lacrime, rimargini le ferite, cancelli le umiliazioni.

Invita a utilizzare in prima persona ciò che siamo e abbiamo, sebbene possa apparire cosa ridicola. Ma insegna in modo assolutamente netto che spostando le energie si realizzano risultati prodigiosi.

Così rispondiamo in Cristo ai grandi problemi del mondo: recuperando la condizione dell’uomo viator - essere di passaggio, sua impronta essenziale - e condividendo i beni; non lasciando che ciascuno si arrangi [cf. Mt 14,15].

La nostra reale nudità, le peripezie e l’esperienza dei molti fratelli, diversi, sono risorse da non valutare con diffidenza, «come concorrenti o nemici pericolosi» della nostra realizzazione (FT n.151).

Non solo quel poco che rechiamo basterà a saziarci: avanzerà per altri e con identica pienezza di verità, umana, epocale [vv.34.37: il brano insiste sulla simbologia semitica del numero “sette”].

 

In Mt Gesù è il nuovo Mosè che sale su «il Monte» dei rapporti autentici - per inaugurare un Tempo alternativo, che contrassegna la storia vera.

La gente non rimane più a fondovalle ad aspettare: si riunisce intorno a Lui, giungendo così com’è, col carico dei tanti bisogni differenti.

Il nuovo popolo di Dio non è una folla stanziale, di eletti, scelti e puri.

Ognuno reca con sé il suo percorso, i suoi affanni e problemi, che il Signore guarisce - curando non con una soluzione dal di sopra o dal di fuori.

Insomma: un altro mondo è possibile, però attraverso lo spezzare il proprio (anche misero) pane.

Soluzione sapiente, ininterrotta, efficace, se la si fa emergere da dentro, in cammino e stando in mezzo - non davanti, non a capo, non in alto (v.36).

 

Il luogo della Rivelazione di Dio doveva essere quello dei fulmini, su un “monte” fumante come di fornace (Es 19,18)... ma infine persino lo zelo violento di Elia aveva dovuto ricredersi (1Re 19,12).

Anche ai pagani, il Figlio rivela un Padre il quale non semplicemente cancella le infermità: le fa capire come luogo che sta preparando uno sviluppo personale, e quello della Comunità.

S’immaginava che nei tempi del Messia, zoppi, sordi e ciechi sarebbero scomparsi (Is 35,5ss.). Età dell’oro: tutto al vertice, nessun abisso.

In Gesù - Pane distribuito - si manifesta una pienezza dei tempi inconsueta, apparentemente nebulosa e fragile, ma reale e in grado di riavviare persone e relazioni.

Lo Spirito di Dio agisce non calandosi come un fulmine dall’alto, bensì attivando in noi capacità che appaiono impalpabili, eppure in grado di raggranellare il nostro essere disperso, classificato inconsistente - che coinvolge il sommario di tutti i giorni - e lo rivaluta.

 

L’Incarnazione ci ritessere il cuore, in dignità e promozione; si dispiega realmente, perché non solo trascina via gli ostacoli, ma poggia su di essi.

E non li cancella affatto: così li surclassa, ma trasmutando - ponendo nuova vita.

Linfa che trae succo e germoglia Fiori dall’unico terreno melmoso e fecondo, e li comunica.

Solidarietà cui sono invitati tutti, non solo quelli ritenuti in condizione di perfezione e compattezza.

 

Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, bensì assunte, poste nelle mani del Figlio e dinamizzate (v.36).

Le stesse cadute possono essere un segnale prezioso: in Cristo, non sono più umiliazioni riduttive, bensì indicatori di percorso. Forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse.

Così i crolli possono trasformarsi rapidamente in risalite - differenti, non confezionate - e ricerca di completamento totale nella Comunione.

Quindi, nell’ideale di realizzare la Vocazione e intuire il tipo di contributo da porgere, nulla di meglio d’un ambiente vivo che non tarpi le ali: una fraternità vivace nello scambio e convivenza.

Non tanto per attutirci gli scossoni, ma perché siamo messi in grado di edificare magazzini sapienziali non tarati da nomenclature - cui tutti possono attingere, persino i diversi e lontani da noi.

Se poi anche qui verrà a trovarci una manchevolezza, sarà per insegnare a essere presenti al mondo secondo (magari) altre e ulteriori direzioni, o per far emergere la missione e una maturazione creativa - non per rimanere fissati su parzialità e minuzie.

 

L’allusione ai sette pani (moltiplicati perché divisi) conforta le citazioni relative al magma plasmabile delle icone bibliche.

Qui Mosè ed Elia su «il Monte»: figure dei cinque Libri del Pentateuco (i primi Alimenti), più le due sezioni di Profeti e Scritti.

Tutti insieme «sette pani»: Pienezza di cibo e saggezza per l’anima, chiamata a procedere oltre le siepi circonvicine, rompendo gli argini della mentalità asservita al contorno.

È il nutrimento-base dello spirito umano-divino, cui però si aggiunge un giovane e fresco alimento companatico, che appunto ci coinvolge (v.34).

[Come diceva s. Agostino: «La Parola di Dio che ogni giorno viene a voi spiegata e in un certo senso “spezzata” è anch’essa Pane quotidiano» (Sermo 58, IV: PL 38,395)].

Alimento completo: cibo base e “companatico” - storico e ideale, in codice e in atto.

Qui diventiamo in Cristo come un corpus attualizzato e propulsivo di testimoni (e Scritture!) sensibile.

Certo ridotto, non ancora affermato - e privo di eroici fenomeni, ma accentuatamente sapienziale e pratico.

Annunciatori e condivisori, senza clamorosi proclami di autosufficienza.

Mai rinchiusi entro steccati arcaici: sempre in fieri - perciò in grado di percepire binari sconosciuti.

 

E «spezzare il Pane»... ossia attivarsi, procedere oltre, dividere il poco - per alimentare, straripare (moltiplicando l’ascolto e l’azione di Dio) e far riconquistare stima anche ai disperati.

Siamo figli: come pochi e piccoli pesci (v.34), ma che non sguazzano in competizioni che rendono tossica la vita.

Anzi: chiamati in prima persona a scrivere una singolare, empatica e sacra, Parola-evento.

Infanti nel Signore, nuotiamo in questa differente Acqua. A volte forse esteriormente velata o melmosa e torbida…

Infine fatta trasparente anche solo perché arrendevole, compassionevole (v.32) e benevola.

La vecchia pozzanghera esclusiva della religione che non osa il rischio della Fede (v.33) non ci avrebbe aiutato ad assimilare la proposta del Gesù Messia, Figlio di Dio, Salvatore - acrostico del termine greco Ichtys [pesce].

Egli è l’Iniziativa-Risposta del Padre, sostegno nel (poco etereo) viaggio alla ricerca della Speranza dei poveri - di tutti noi indigenti in attesa.

 

La Fede operante ha dunque per emblema l’Eucaristia, rivoluzione della sacralità. Sembra strano, per noi che ci abbiamo fatto il callo.

Infatti scopo dell’evangelizzazione è partecipare ed emancipare l’essere completo da tutto ciò che lo minaccia, non solo nel limite estremo: anche nella sua azione di ogni giorno - fino a cercare la comunione dei beni.

In Mc (7,31-37) il prodigio è collocato dopo l’apertura dei “sensi”. Qui dopo le guarigioni presso il lago di Galilea (vv.29-31).

Il Segno Fonte e Culmine della comunità dei figli è un gesto creativo che impone uno spostamento di visione, un occhio assolutamente nuovo.

Di fronte all’indigenza di molti - causata dall’avidità di pochi - l’atteggiamento della Chiesa autentica non si compiace di emblemi e fervorini, né di parziali chiamate a distinguersi nell’elemosina.

Lo spezzare del Pane subentra alla Manna calata dall’alto nel deserto (Mt 15,33) e comporta la sua distribuzione - non solo in situazioni particolari.

Non c’è da accontentarsi, nel moltiplicare la vita per tutti.

Questa l’attitudine del Corpo vivente del Cristo taumaturgico [non il facitore di miracoli] che si sente chiamato ad attivarsi in ogni circostanza.

 

Se la partecipazione eucaristica non suscita solo elemosina puntuale, pietismo esterno e assistenzialismo di maniera, ecco il Risultato:

Donne e uomini mangeranno, rimarranno sazi, e avanzerà alimento per altri ancora (non tutti i convitati da Dio previsti sono ancora presenti...).

 

Notiamo che ai discepoli non era neanche passato per la testa che la soluzione potesse venire dalla gente stessa e dal loro spirito.

Non solo dal paternalismo dei capi, o da qualche singolo benefattore.

Soluzione inattesa: la questione dell’alimento si risolve non dall’alto, ma a partire dall’interno delle persone e con i pochi pani portati con sé.

Non c’è soluzione col verbo “moltiplicare” - ossia “incrementare”…relazioni che contano, accrescere proprietà, ammucchiare astuzie.

Unica terapia è «spezzare», «dare», «porgere» (v.36). E tutti sono coinvolti, nessuno privilegiato.

 

A quel tempo la competitività e la mentalità di classe caratterizzava la società dell’impero - e iniziava a infiltrarsi già nella piccola comunità, appena agli inizi.

Come se il Signore e il Dio del tornaconto potessero convivere uno a fianco all’altro, ancora.

È la comunione dei bisognosi che viceversa sale in cattedra nella Chiesa non artefatta.

La condivisione reale fa da professore degli onnipresenti veterani, smaliziati e pretenziosi, unici a doversi ancora convertire.

Il germe della loro “durata” dovrebbe essere non la posizione in quota e il ruolo, bensì l’amore.

Tale l’unico senso dei gesti sacri; non altri progetti venati da prevaricazioni, o dall’apparire.

 

Gli “appartenenti” sbalordiscono.

Per il Signore i lontani (sebbene ancora in bilico nelle scelte) sono pienamente partecipi del banchetto messianico - senza preclusioni, né discipline dell’arcano con attese snervanti.

Viceversa, quella Mensa urge in favore di altri che ancora devono essere chiamati. Per una sorta di ristabilimento dell’Unità originale.

 

Insomma, la Redenzione non appartiene alle élites preoccupate della stabilità del loro dominio - che sono addirittura i deboli a dover sostenere.

 

La vita da salvati viene a noi per incorporazione.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Hai mai spezzato il tuo pane, trasmesso felicità e compiuto recuperi che rinnovano i rapporti, rimettendo in piedi le persone che neppure hanno stima di sé? O hai privilegiato disinteresse, catene e atteggiamenti di élite?

Lunedì, 05 Agosto 2024 07:45

Bastano le briciole

Cari fratelli e sorelle, il brano evangelico di questa domenica inizia con l’indicazione della regione dove Gesù si stava recando: Tiro e Sidone, a nord-ovest della Galilea, terra pagana. Ed è qui che Egli incontra una donna cananea, che si rivolge a Lui chiedendoGli di guarire la figlia tormentata da un demonio (cfr Mt 15,22). Già in questa richiesta, possiamo ravvisare un inizio del cammino di fede, che nel dialogo con il divino Maestro cresce e si rafforza. La donna non ha timore di gridare a Gesù “Pietà di me”, un’espressione che ricorre nei Salmi (cfr 50,1), lo chiama “Signore” e “Figlio di Davide” (cfr Mt 15,22), manifesta così una ferma speranza di essere esaudita. Qual è l’atteggiamento del Signore di fronte a quel grido di dolore di una donna pagana? Può sembrare sconcertante il silenzio di Gesù, tanto che suscita l’intervento dei discepoli, ma non si tratta di insensibilità al dolore di quella donna. Sant’Agostino commenta giustamente: “Cristo si mostrava indifferente verso di lei, non per rifiutarle la misericordia, ma per infiammarne il desiderio” (Sermo 77, 1: PL 38, 483). L’apparente distacco di Gesù, che dice “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele” (v. 24), non scoraggia la cananea, che insiste: “Signore, aiutami!” (v. 25). E anche quando riceve una risposta che sembra chiudere ogni speranza - “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” (v. 26) -, non desiste. Non vuole togliere nulla a nessuno: nella sua semplicità e umiltà le basta poco, le bastano le briciole, le basta solo uno sguardo, una buona parola del Figlio di Dio. E Gesù rimane ammirato per una risposta di fede così grande e le dice: “Avvenga per te come desideri” (v. 28)

Cari amici, anche noi siamo chiamati a crescere nella fede, ad aprirci e ad accogliere con libertà il dono di Dio, ad avere fiducia e gridare anche a Gesù “donaci la fede, aiutaci a trovare la via!”. È il cammino che Gesù ha fatto compiere ai suoi discepoli, alla donna cananea e agli uomini di ogni tempo e popolo, a ciascuno di noi. La fede ci apre a conoscere e ad accogliere la reale identità di Gesù, la sua novità e unicità, la sua Parola, come fonte di vita, per vivere una relazione personale con Lui. Il conoscere della fede cresce, cresce con il desiderio di trovare la strada, ed è finalmente un dono di Dio, che si rivela a noi non come una cosa astratta senza volto e senza nome, ma la fede risponde a una Persona, che vuole entrare in un rapporto di amore profondo con noi e coinvolgere tutta la nostra vita. Per questo ogni giorno il nostro cuore deve vivere l’esperienza della conversione, ogni giorno deve vedere il nostro passare dall’uomo ripiegato su stesso, all’uomo aperto all’azione di Dio, all’uomo spirituale (cfr 1Cor 2, 13-14), che si lascia interpellare dalla Parola del Signore e apre la propria vita al suo Amore.

Cari fratelli e sorelle, alimentiamo quindi ogni giorno la nostra fede, con l’ascolto profondo della Parola di Dio, con la celebrazione dei Sacramenti, con la preghiera personale come “grido” verso di Lui e con la carità verso il prossimo. Invochiamo l’intercessione della Vergine Maria, che domani contempleremo nella sua gloriosa assunzione al cielo in anima e corpo, perché ci aiuti ad annunciare e testimoniare con la vita la gioia di aver incontrato il Signore.

[Papa Benedetto, Angelus 14 agosto 2011]

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Still today Jesus repeats these comforting words to those in pain: "Do not weep". He shows solidarity to each one of us and asks us if we want to be his disciples, to bear witness to his love for anyone who gets into difficulty (Pope Benedict)
Gesù ripete ancor oggi a chi è nel dolore queste parole consolatrici: "Non piangere"! Egli è solidale con ognuno di noi e ci chiede, se vogliamo essere suoi discepoli, di testimoniare il suo amore per chiunque si trova in difficoltà (Papa Benedetto))
Faith: the obeying and cooperating form with the Omnipotence of God revealing himself
Fede: forma dell’obbedire e cooperare con l’Onnipotenza che si svela
Jesus did not come to teach us philosophy but to show us a way, indeed the way that leads to life [Pope Benedict]
Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia, ma a mostrarci una via, anzi, la via che conduce alla vita [Papa Benedetto]
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole  lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)
The first constitutive element of the group of Twelve is therefore an absolute attachment to Christ: they are people called to "be with him", that is, to follow him leaving everything. The second element is the missionary one, expressed on the model of the very mission of Jesus (Pope John Paul II)
Il primo elemento costitutivo del gruppo dei Dodici è dunque un attaccamento assoluto a Cristo: si tratta di persone chiamate a “essere con lui”, cioè a seguirlo lasciando tutto. Il secondo elemento è quello missionario, espresso sul modello della missione stessa di Gesù (Papa Giovanni Paolo II)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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