don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Lunedì, 05 Agosto 2024 07:40

Tendono la mano

1. I “miracoli e segni” che Gesù faceva per confermare la sua missione messianica e la venuta del regno di Dio, sono ordinati e legati strettamente alla chiamata alla fede. Questa chiamata in relazione al miracolo ha due forme: la fede precede il miracolo, anzi è condizione perché esso si realizzi; la fede costituisce un effetto del miracolo, perché provocata da esso nell’anima di coloro che lo hanno ricevuto, oppure ne sono stati i testimoni.

È noto che la fede è una risposta dell’uomo alla parola della rivelazione divina. Il miracolo avviene in legame organico con questa parola di Dio rivelante. È un “segno” della sua presenza e del suo operare, un segno, si può dire, particolarmente intenso. Tutto ciò spiega in modo sufficiente il particolare legame che esiste tra i “miracoli-segni” di Cristo e la fede: legame delineato così chiaramente nei Vangeli.

6. Particolarmente toccante è l’episodio della donna cananea, che non cessava di chiedere l’aiuto di Gesù per sua figlia “crudelmente tormentata da un demonio”. Quando la cananea si prostrò dinanzi a Gesù per chiedergli aiuto, egli rispose: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini” (era un richiamo alla diversità etnica tra israeliti e cananei, che Gesù figlio di Davide, non poteva ignorare nel suo comportamento pratico, ma alla quale accennava in funzione metodologica per provocare la fede). Ed ecco la donna pervenire d’intuito a un atto insolito di fede e di umiltà. Dice: “È vero, Signore . . . ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Dinanzi a questa parola così umile, garbata e fiduciosa, Gesù replica: “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri” (cf. Mt 15, 21-28).

È un avvenimento difficile da dimenticare, soprattutto se si pensa agli innumerevoli “cananei” di ogni tempo, paese, colore e condizione sociale, che tendono la mano per chiedere comprensione e aiuto nelle loro necessità!

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 16 dicembre 1987]

Lunedì, 05 Agosto 2024 07:27

L’Incontro: intuizione, storia, Fede

Il Vangelo […] descrive l’incontro tra Gesù e una donna cananea. Gesù si trova a nord della Galilea, in territorio straniero per stare con i suoi discepoli un po’ lontano dalle folle, che lo cercano sempre più numerose. Ed ecco avvicinarsi una donna che implora aiuto per la figlia malata: «Pietà di me, Signore!» (v. 22). È il grido che nasce da una vita segnata dalla sofferenza, dal senso di impotenza di una mamma che vede la figlia tormentata dal male e non può guarirla. Gesù inizialmente la ignora, ma questa madre insiste, insiste, anche quando il Maestro dice ai discepoli che la sua missione è rivolta soltanto alle «pecore perdute della casa d’Israele» (v. 24) e non ai pagani. Lei continua a supplicarlo, e Lui, a questo punto, la mette alla prova citando un proverbio - sembra quasi un po’ crudele questo -: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini» (v. 26). E la donna subito, svelta, angosciata risponde: «È vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (v. 27).

Con queste parole questa madre dimostra di aver intuito che la bontà del Dio Altissimo, presente in Gesù, è aperta ad ogni necessità delle sue creature. Questa saggezza piena di fiducia colpisce il cuore di Gesù e gli strappa parole di ammirazione: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri» (v. 28). Quale è la fede grande? La fede grande è quella che porta la propria storia, segnata anche dalle ferite, ai piedi del Signore domandando a Lui di guarirla, di darle un senso. Ognuno di noi ha la propria storia e non sempre è una storia pulita; tante volte è una storia difficile, con tanti dolori, tanti guai e tanti peccati. Cosa faccio, io, con la mia storia? La nascondo? No! Dobbiamo portarla davanti al Signore: “Signore, se Tu vuoi, puoi guarirmi!”. Questo è quello che ci insegna questa donna, questa brava madre: il coraggio di portare la propria storia di dolore davanti a Dio, davanti a Gesù; toccare la tenerezza di Dio, la tenerezza di Gesù. Facciamo, noi, la prova di questa storia, di questa preghiera: ognuno pensi alla propria storia. Sempre ci sono delle cose brutte in una storia, sempre. Andiamo da Gesù, bussiamo al cuore di Gesù e diciamoGli: “Signore, se Tu voi, puoi guarirmi!”. E noi potremo fare questo se abbiamo sempre davanti a noi il volto di Gesù, se noi capiamo come è il cuore di Cristo: un cuore che ha compassione, che porta su di sé i nostri dolori, che porta su di sé i nostri peccati, i nostri sbagli, i nostri fallimenti.

Ma è un cuore che ci ama così, come siamo, senza trucco. “Signore, se Tu vuoi, puoi guarirmi!”. E per questo è necessario capire Gesù, avere familiarità con Gesù. E torno sempre al consiglio che vi do: portate sempre un piccolo Vangelo tascabile e leggete ogni giorno un passo. Portate il Vangelo: nella borsa, nella tasca e anche nel telefonino, per vedere Gesù. E lì troverete Gesù come Lui è, come si presenta; troverete Gesù che ci ama, che ci ama tanto, che ci vuole tanto bene. Ricordiamo la preghiera: “Signore, se Tu vuoi, puoi guarirmi!”. Bella preghiera. Il Signore ci aiuti, tutti noi, a pregare queste bella preghiera che ci insegna una donna pagana: non cristiana, non ebrea, ma pagana.

La Vergine Maria interceda con la sua preghiera, perché cresca in ogni battezzato la gioia della fede e il desiderio di comunicarla con la testimonianza di una vita coerente, che ci dia il coraggio di avvicinarci a Gesù e dirGli: “Signore, se Tu vuoi, puoi guarirmi!”.

[Papa Francesco, Angelus 16 agosto 2020]

(Mc 9,2-10)

 

Nel linguaggio biblico, l’esperienza de «il Monte» è icona dell’Incontro fra Dio e l’uomo. È sì per noi come un “perdere la testa”, ma in modo assai pratico - niente affatto visionario.

Il Maestro la impone alle tre figure eminenti delle prime comunità, non perché li considera degli eletti, ma l’esatto contrario: si accorge che sono i suoi capitani che hanno bisogno d’una verifica.

I Vangeli sinottici non parlano di trasfigurazione alcuna, ma di «Metamorfosi» [Mc 9,2 e Mt 17,2; testo greco]: passaggio sotto una ‘forma’ differente.

In particolare, Lc 9,29 sottolinea che «l’aspetto del suo volto divenne ‘altro’». Non per uno stato parossistico.

Sembra pazzesco, ma la ieratica magnificenza dell’Eterno si rivela controcorrente: nell’immagine del garzone dimesso.

L’esperienza della Gloria divina risulta per i discepoli eminenti insostenibile - non in riferimento a bagliori di luce fisici.

Come nelle icone orientali, si ritrovano faccia a terra [Mt 17,6; nella cultura dell’oriente antico significava precisamente: “sconfitti” nelle loro aspirazioni] e spaventati. Timorosi di essere chiamati anche loro al dono di sé: Mc 9,6; Mt 17,6; Lc 9,34-36.

La vertigine dell’esperienza di Dio non era quella che coltivavano e volevano.

Il chiarore abbagliante cui si riferisce il passo (Mc 9,3; Mt 17,2.5; Lc 9,29) è quello d’una Rivelazione che fa aprire gli occhi sull’identità “impossibile” del Figlio.

Era popolarmente atteso come somigliante a Davide, sovrano potente, in grado di assicurare al popolo un agevole e pronto benessere.

Si ‘svela’ in un capovolgimento: Gloria di Dio è la Comunione nella semplicità, che ci qualifica tutti.

La ‘forma’ del “capo” è quella dell’inserviente, che ha la libertà di scendere di quota per mettere a proprio agio gli ultimi: l’umanamente sconfitto!

Pietro sgomita più di altri per dire la sua. Come solito, vuole emergere e ribadire le idee antiche, ma si svela come il più ridicolo di tutti (Mc 9,6; Lc 9,33): sproloquia.

Per lui [ancora!] al centro del trittico resta Mosè (Mc 9,5; Mt 17,4; Lc 9,33).

Con l’ausilio di profezie animate da zelo focoso [Elia], secondo Simone Gesù sarebbe uno dei tanti che fa praticare la tradizione legalista.

A fondamento restano i Comandamenti, non le Beatitudini.

Il primo degli apostoli proprio non vuol capire che il Signore non impone un’Alleanza fondata sull’obbedire, ma sul Somigliare!

Certo, anche gli altri “grandi” erano in dormiveglia. Chissà cosa sognavano... poi smarriti cercano tutti e ancora un Gesù secondo Mosè ed Elia (Mc 9,8-10; Mt 17,8; Lc 9,36).

 

Nella cultura del tempo, il nuovo Principe osservante e dirompente era atteso durante la festa delle Capanne.

Avrebbe inaugurato il dominio del popolo eletto su tutte le nazioni della terra (Zc 14,16-19); in pratica, l’età dell’oro.

Nel giudaismo, la festa delle Capanne faceva memoria delle mirabilia Dei dell’esodo [Lc 9,31: qui, la nuova e personalistica liberazione dal paese delle schiavitù] e guardava al futuro celebrando le prospettive di vittoria dell’etnia protagonista.

Ma il Regno del Signore non è un impero affetto da verticismo prodigioso e immediato.

Per edificare la Chiesa di Dio non vi sono scorciatoie, né punti di sicurezza intorpidita. E lì starsene tranquilli - a distanza di sicurezza - delirando riconoscimenti.

 

 

[Trasfigurazione del Signore, 6 agosto 2024]

Domenica, 04 Agosto 2024 07:02

Trasfigurazione controcorrente

Fede e Metamorfosi

(Mt 17,1-9; Mc 9,2-13; Lc 9,28-36)

 

«La montagna - il Tabor come il Sinai - è il luogo della vicinanza con Dio. È lo spazio elevato, rispetto all'esistenza quotidiana, dove respirare l'aria pura della creazione. È il luogo della preghiera, dove stare alla presenza del Signore, come Mosè e come Elia, che appaiono accanto a Gesù trasfigurato e parlano con Lui dell'"esodo" che lo attende a Gerusalemme, cioè della sua Pasqua. La Trasfigurazione è un avvenimento di preghiera: pregando Gesù si immerge in Dio, si unisce intimamente a Lui, aderisce con la propria volontà umana alla volontà di amore del Padre, e così la luce lo invade e appare visibilmente la verità del suo essere: Egli è Dio, Luce da Luce. Anche la veste di Gesù diventa candida e sfolgorante. Questo fa pensare al Battesimo, alla veste bianca che indossano i neofiti. Chi rinasce nel Battesimo viene rivestito di luce anticipando l'esistenza celeste, che l'Apocalisse rappresenta con il simbolo delle vesti candide (cfr Ap 7, 9.13). Qui è il punto cruciale: la trasfigurazione è anticipo della risurrezione, ma questa presuppone la morte. Gesù manifesta agli Apostoli la sua gloria, perché abbiano la forza di affrontare lo scandalo della croce, e comprendano che occorre passare attraverso molte tribolazioni per giungere al Regno di Dio. La voce del Padre, che risuona dall'alto, proclama Gesù suo Figlio prediletto come nel Battesimo nel Giordano, aggiungendo: "Ascoltatelo" (Mt 17, 5). Per entrare nella vita eterna bisogna ascoltare Gesù, seguirlo sulla via della croce, portando nel cuore come Lui la speranza della risurrezione. "Spe salvi", salvati nella speranza. Oggi possiamo dire: "Trasfigurati nella speranza"» [Papa Benedetto].

 

 

Nel linguaggio biblico, l’esperienza de «il Monte» è icona dell’Incontro fra Dio e l’uomo. È sì per noi come un perdere la testa, ma in modo assai pratico - niente affatto visionario.

Il Maestro la impone alle tre figure eminenti delle prime comunità, non perché li considera degli eletti, ma l’esatto contrario: si accorge che sono i suoi capitani che hanno bisogno d’una verifica.

I Vangeli sinottici non parlano di trasfigurazione alcuna, ma di «Metamorfosi» [testo greco di Mt 17,2 e Mc 9,2]: passaggio sotto una forma differente.

In particolare Lc 9,29 sottolinea che «l’aspetto del suo volto divenne altro» [testo greco]. Non per uno stato parossistico.

Sembra pazzesco, ma la ieratica magnificenza dell’Eterno si rivela controcorrente: nell’immagine del garzone dimesso.

 

L’esperienza della Gloria divina risulta per i discepoli eminenti insostenibile - non in riferimento a bagliori di luce fisici.

Come nelle icone orientali, si ritrovano faccia a terra. «E udendo i discepoli caddero sul loro volto e furono presi grandemente da timore» (Mt 17,6).

Nella cultura dell’oriente antico significava precisamente: “sconfitti” nelle loro aspirazioni - e spaventati. Timorosi di essere chiamati anche loro al dono di sé: Mt 17,6; Mc 9,6; Lc 9,34-36.

La vertigine dell’esperienza di Dio non era quella che coltivavano e volevano.

Il chiarore abbagliante cui si riferisce il passo (Mt 17,2.5; Mc 9,3; Lc 9,29) è quello d’una Rivelazione che fa aprire gli occhi sull’identità “impossibile” del Figlio.

Era popolarmente atteso come somigliante a Davide, sovrano potente, in grado di assicurare al popolo un agevole e pronto benessere.

Si svela al viceversa. Manifestazione lampante di Dio è: Comunione nella semplicità, che ci qualifica tutti.

La forma del “capo” è quella dell’inserviente, che ha la libertà di scendere di quota per mettere a proprio agio gli ultimi: l’umanamente sconfitto!

Pietro sgomita più di altri per dire la sua. Come solito, vuole emergere e ribadire le idee antiche, ma si svela come il più ridicolo di tutti (Mc 9,6; Lc 9,33): sproloquia.

Per lui [ancora!] al centro del trittico resta Mosè (Mt 17,4; Mc 9,5; Lc 9,33).

Con l’ausilio di profezie animate da zelo focoso [Elia], secondo Simone Gesù sarebbe uno dei tanti che avrebbe fatto praticare la tradizione legalista.

A fondamento restano i Comandamenti, non le Beatitudini.

Il primo degli apostoli proprio non vuol capire che il Signore non impone un’Alleanza fondata sull’obbedire, ma sul Somigliare!

Certo, anche gli altri “grandi” erano in dormiveglia. Chissà cosa sognavano... poi smarriti cercano tutti e ancora un Gesù secondo Mosè ed Elia (Mt 17,8; Mc 9,8-10; Lc 9,36).

 

Nella cultura del tempo, il nuovo Principe osservante e dirompente era atteso durante la festa delle Capanne.

Avrebbe inaugurato il dominio del popolo eletto su tutte le nazioni della terra (Zc 14,16-19); in pratica, l’età dell’oro.

Nel giudaismo, la festa delle Capanne faceva memoria delle «mirabilia Dei» dell’Esodo [Lc 9,31: qui, la nuova e personalistica liberazione dal paese delle schiavitù] celebrandone le prospettive di vittoria.

Ma il Regno del Signore non è un impero tutto da godere, prodigioso e immediato - badando per il resto a non farsi troppo del male, ossia tenendosi a distanza di sicurezza.

Nessuna proposta di vita scorrevole. Piuttosto, cambiamento di volto e di cosmo.

Sviluppo e passaggio inatteso, che però convince l’anima: invita all’introspezione e a prendere atto - così ci completa e fa trasalire (con virtù perfetta).

 

Per edificare la Chiesa di Dio non vi sono scorciatoie, né punti di sicurezza intorpidita, e lì starsene tranquilli a coltivare consenso - al riparo dalle ferite, o senza vedere altre relazioni.

L’esperienza della Gloria è «sub contraria specie»: nella regalità che spinge verso il basso.

Ma nella parsimonia ci fa scoprire metamorfosi da stupore - così vicine alle nostre radici.

 

 

Elia, Giovanni, Gesù: Evoluzione del senso di Comunità

 

Traiettoria curva, e il modello che non è la “sfera”

(Mt 17,10-13)

 

All’esperienza de “il Monte” - cosiddetta Trasfigurazione -  segue l’episodio di Elia e Giovanni [cf. Mt 17,10-13 e parallelo Mc 9,2-13].

Gesù ha introdotto i discepoli in vista ma più testardi degli altri alla percezione della Metamorfosi (Mt 17,2 testo greco) del Volto divino e ad un’idea capovolta del Messia atteso (vv.4-7).

 

Gli esperti delle sacre Scritture ritenevano che il ritorno di Elia dovesse anticipare e preparare l’avvento del Regno di Dio.

Poiché il Signore era presente, i primi discepoli si chiedevano quale fosse il valore di quell’insegnamento.

 

Anche nelle comunità di Mt e Mc, tra i molti provenienti dal giudaismo sorgeva il quesito circa il peso delle dottrine antiche, in relazione al Cristo.

Il brano di Vangelo è dotato di una potente specificità personale, cristologica [il fratello più prossimo, che riscatta: Go’El del sangue].

A ciò si aggiunge una precisa accezione comunitaria, perché Gesù identifica la figura del profeta Elia con il Battista.

 

Al tempo, nell’area palestinese le difficoltà economiche e la dominazione romana costringevano le persone a ripiegare su un modello di vita individuale.

I problemi di sussistenza e assetto sociale avevano avuto come conseguenza uno sgretolamento della vita di relazione (e legami) sia di clan che nelle stesse famiglie.

Nuclei accorpanti, che avevano sempre assicurato assistenza, sostegno e difesa concreta ai membri più deboli e in difficoltà.

Tutti si attendevano che la venuta di Elia e del Messia potesse avere un esito positivo nella ricostruzione della vita fraterna, allora intaccata.

Come si diceva: «ricondurre il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri» [Mal 3,22-24 annunciava proprio l’invio di Elia] per ricostruire la convivenza disintegrata.

Ovviamente il recupero del senso d'identità interno del popolo era malvisto dal sistema di dominazione. Figuriamoci la cifra gesuana della Chiamata per Nome, che avrebbe spalancato la vita pia popolare a mille possibilità.

Giovanni aveva predicato con forza un ripensamento dell’idea di libertà conquistata (passaggio del Giordano), il riassetto delle idee religiose consolidate (conversione e perdono dei peccati nella vita reale, fuori del Tempio) e giustizia sociale.

Avendo un progetto evoluto di riforma nella solidarietà (Lc 3,7-14), in pratica era il Battezzatore stesso che aveva già svolto la missione dell’Elia atteso [Mt 17,10-12; Mc 9,11-13].

Per questo motivo era stato tolto di mezzo: poteva riassemblare tutto un popolo di estromessi - emarginati sia dal giro del potere che della religiosità verticista, accomodante, servile, e collaborazionista.

Una devozione a compartimenti stagni, che non consentiva assolutamente né il “ricordo” di se stessi, né dell’antico assetto sociale comunitario, incline alla condivisione.

Insomma, il sistema di cose, interessi, gerarchie, forzava a radicarsi in quella configurazione insoddisfacente. Ma ecco Gesù, che non si piega.

 

Chi ha il coraggio d’intraprendere un cammino di spiritualità biblica e di Esodo impara ad apprendere che ciascuno ha un modo differente di scendere in campo e stare nel mondo.

Allora, esiste un saggio equilibrio tra rispetto di sé, del contesto, e altrui?

Gesù viene presentato da Mt alle sue comunità come Colui che ha voluto continuare l’opera di edificazione del Regno, sia sotto il profilo della qualità vocazionale che per quanto concerne la ricostruzione della coesistenza.

Con una differenza fondamentale: rispetto al portato delle concezioni etnico-religiose, il Maestro non propone a tutti una sorta di ideologia di corpo, che finisce per spersonalizzare i Doni eccentrici dei deboli - quelli imprevedibili per una mentalità consolidata, ma che tracciano futuro.

In clima di clan rinsaldato, non di rado sono proprio i senza peso e coloro che conoscono solo abissi (e non vertici) a venire come spinti all’assenso di una conformazione rassicurante d’idee - invece che dinamica - e fucina di accoglienza più larga.

Quanti non conoscono vette ma solo povertà, proprio nei momenti di crisi sono i primi invitati dalle circostanze avverse ad oscurare il proprio sguardo sull’avvenire.

 

I miseri restano gl’impossibilitati a guardare in un’altra direzione e spostarsi, tracciando un diverso destino - proprio a causa di tare esterne a loro: culturali, di tradizione, di reddito, o “spirituali”.

Tutte caselle riconoscibili, forse talora non allarmanti, ma lontane dalla nostra natura.

E subito: con la condanna a portata di giudizio comune [per mancata omologazione].

Sentenza che vuole tarpare le ali, annientare l’atmosfera nascosta e segreta che appartiene davvero all'unicità personale, e condurci tutti - anche in modo esasperato.

 

Il Signore propone una vita assembleare di carattere, ma non ostinata né targata - non disattenta... come nella misura in cui viene costretta ad andare nella medesima rotta antica di sempre. O nella stessa direzione dei capitribù.

Cristo vuole una collaborazione più rigogliosa, che faccia utilizzare bene le risorse (interne e non) e le differenze.

Assetto per l’inedito: nel modo che ad es. le cadute o le inesorabili tensioni non vengano camuffate - anzi, diventino opportunità, sconosciute e impensabili ma assai feconde di vita.

 

Qui anche le crisi diventano importanti, anzi fondamentali per far evolvere la qualità dello stare accanto - nella ricchezza del «poliedro» che come scrive Papa Francesco «riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» [Evangelii Gaudium n.236].

Senza rigenerarsi, solo ripetendo e ricalcando modalità collettive - da modello sfera (ibidem) - o altrui, ossia da nomenclatura, non personalmente rielaborate o valicate, non si cresce; non ci si dirige verso la propria irripetibile missione.

Non si colma il senso lacerante di vuoto.

Tentando di manipolare caratteri e personalità per guidarle al “come devono essere”, non si sta bene con se stessi e neppure fianco a fianco. Non si trasmette ai tanti diversi la percezione di stima e adeguatezza, né il senso di benevolenza - tantomeno gioia di vivere.

Le traiettorie curve o a tentativo ed errore si confanno alla Prospettiva del Padre, e alla nostra crescita irripetibile.

Differenza tra religiosità e Fede.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quando nella tua vita è cresciuto in modo sincero e non costretto dalle circostanze il tuo senso di comunità?

Come contribuisci in modo convinto alla fraternità concreta - talora profetica e critica (come Giovanni e Gesù)? O sei rimasto allo zelo fondamentalista di Elia e a quello accorpante ma purista dei precursori del Signore Gesù?

 

 

In tutti i Sinottici, al brano della Metamorfosi di Gloria segue l’episodio della guarigione del fanciullo epilettico [in Mt appunto dopo la questione del Ritorno di Elia che Mc include]. Tema che gli altri evangelisti traggono proprio da Mc 9,14-29. Andiamo direttamente a tale fonte, assai istruttiva per cogliere e precisare il significato profondo dell’argomento e della proposta essenziale comune, introdotta dagli Autori nella catechesi della cosiddetta “Trasfigurazione”:

Fede, Preghiera d’attenzione, Guarigioni: senza esclusione di colpi

(Mc 9,14-29)

 

Come regolarsi nell’impotenza di fronte ai drammi dell’umanità? Anche nel cammino di Fede, a un certo punto del nostro percorso cogliamo un bisogno insopprimibile di trasformarci.

Vogliamo realizzare il nostro essere in modo più completo, e fare il bene, perfino altrui. È una spinta innata.

Il bisogno di vita non nasce da ragionamenti: sorge spontaneo, affinché emergano nuove situazioni, altre parti di noi.

Cambiare è legge di natura, di ogni Seme.

Tale moto ci “chiama” dalle profondità del nostro Nucleo, affinché arriviamo a modificare equilibri, convincimenti, modi di scendere in campo che hanno fatto il loro tempo.

A tale vocazione si può rispondere rendendosi disponibili, onde scoprire differenti punti di vista. Anche esterni, ma a partire dal rinvenimento di una sorta di “nuovo io” che in realtà giaceva nell’ombra delle nostre virtù.

Energie cui non avevamo ancora concesso respiro.

Viceversa, a tale processo ci si può d’istinto opporre, causa varie paure, e allora ogni vicenda diventa ostica; come una corsa a ostacoli.

Infine, nel nostro itinerario di trasformazione si rinviene spesso anche l’opposizione degli altri, che magari appaiono più esperti di noi…

Sembrano periti e veterani, eppure anch’essi “spaventati” dal fatto che non intendiamo fermarci al palo già dettato.

In ogni caso la spinta al cambiamento non mollerà la presa intima.

Faremo azioni nuove, esprimeremo diverse opinioni, mostreremo lati opposti della personalità; lasceremo più spazio all’onda vitale.

Basta coi compromessi, anche se agli altri può sorgere il dubbio che siamo diventati “tortuosi”.

 

Insomma, che potere ha il sopraggiungere della scelta di Fede nella vita, persino fra l’incredulità della gente?

E - come nel passo di Vangelo - nello scetticismo incapace [degli stessi apostoli, che sarebbero i primi deputati a manifestarne lo spessore]?

Anche oggi alcuni vecchi “personaggi” e guide stanno tramontando, spiazzati dal nuovo incedere di consapevolezze, o da enigmi cangianti, e differenti unità di misura.

La vecchia “forma” non soddisfa più. Anzi, produce malessere. Ma c’è attorno - appunto - tutto un sistema di aspettative, anche “spirituali”, o almeno “religiose” piuttosto conformiste.

Qual è il punto, se anche noi preti non siamo più rassicuranti? E cosa ne pensa Dio?

 

La messianicità di Cristo e la stessa Salvezza appartengono alla sfera della Fede e della Preghiera.

Sono gli ambiti dell'ascolto intimo, della percezione acuta, della fiduciosa accoglienza sponsale, e della spinta liberatrice.

Il Maestro stesso - fluido e concreto - non si è immerso nel sistema delle rigide aspettative sociali [reciproche] del suo tempo, e ha deciso di uscire dal “gruppo”.

Su questo punto Gesù sbotta contro la mediocrità e l’azione senza picchi - tutta prevedibile - dei suoi (vv.18-19) ed è costretto a riprendere da zero (vv.28-29).

Certo, forse anche agli altri manca la Fede creativa senza flessioni e turbillon, ma almeno lo riconoscono (v.24) e con estrema riservatezza desiderano essere aiutati, ben prima di farsi insegnanti altrui (v.14).

Talora proprio gli intimi del vero Maestro, forse ancora scarsamente esperti dei grandi segni di Dio, ricercano solo l’osanna dei ruoli, e consenso nella spettacolarità.

Tanto che «entrato Egli in casa» ossia nella sua Chiesa (v.28) deve ricominciare a fare catechismo base [forse pre-catechismo, proprio ai suoi capi].

Senza voler concedere alle turbe nessun festival d’avanspettacolo esterno, come probabilmente avrebbero fatto gli “intimi”.

 

Il brano è strutturato sulla falsariga delle prime liturgie catecumenali.

Il Signore vuole che le persone schiavizzate da pensieri normali, dall’ideologia di potere e dalla falsa religione vengano portate a Lui (v.19) ed esige la Fede di coloro che le guidano (vv.23-24).

Il principiante passa attraverso una revisione di vita che «contorce» e «conduce a terra».

Questo perché si può rimanere appunto plagiati da guide “spirituali” dirigiste, poco sagge, nascostamente manipolanti - malgrado inefficaci e sotto sotto insicure.

Poi è un vero strazio scoprire di essersi fin dall’infanzia (v.21) regolati su un modello mortificante - fatto di facili classificazioni, che però non realizzano, bensì disumanizzano.

Forse anche noi siamo stati condizionati da direttori poco accorti.

E solo con faticose, strazianti esperienze, abbiamo scoperto che proprio quanto ci era stato insegnato come sublime - e in grado di assicurarci comunione con Dio - era viceversa la prima causa del distacco da Lui, nonché da un’esistenza personale ed ecclesiale più armonica e colma.

 

Per essere liberato e risorgere a nuova vita (v.27) il candidato del cammino di Fede passa come attraverso una morte - sorta d’immersione battesimale, che affoga la sua antica formazione [di fatto] paganeggiante.

Al tempo di Mc molti parlavano di espulsione dei demoni.

Nella tipologia del nuovo Battesimo, la comunità di Roma voleva esprimere l’obbiettivo della Lieta Notizia dei Vangeli: aiutare le persone a levarsi su - liberandosi dalle paure condizionanti del male.

Non è quello il vero potere.

 

Nel brano, sordità e mutismo del fanciullo stanno a indicare la mancanza della «Parola» che si fa «evento» - vita incessante, crescente, in grado di tramutare la sorte segnata, standard, di “terra”.

Carenza che sussiste sia in mezzo al popolo disorientato che - purtroppo - in primis tra i discepoli, malati di protagonismo e unilateralità.

Lo stesso comportamento del giovane (vv.18.20.26) ricalca le modalità esistenziali di persone soggiogate da forze invincibili, perché autodistruttive - quindi in preda a lacerazioni ossessive, senza posa.

Contrarie alla quintessenza del carattere personale.

È una situazione appunto straziante: quella di chi scopre di essere stato ingannato da una religiosità di convincimenti troppo comuni - col trucco epidermico, persuasivo, delle direzioni di branco o di massa.

 

L’avvento del Regno di Dio significava sin d’allora la venuta d’un potere “interno” più forte dello stesso esercito romano, le cui legioni venivano usate appunto per mantenere situazioni d’oppressione civile, persino di timore religioso.

Anche oggi, tra le spinte che inducono malattie profonde [come un qualcosa che si è impadronito di noi] e la presenza del Messia, si scatena una lotta senza esclusione di colpi.

I due poli opposti non si sopportano; fanno scintille.

Ma la soluzione non è meravigliare le folle, né viceversa tentare di rifare cose che infine tornino a sacralizzare lo status quo.

Così, talora sembra che non siamo in condizione di avviare processi di guarigione autentica (v.18b).

Eppure il male non cede per miracolo e con clamore, né per forza o insistenza dell’uomo, bensì per sintonia e Dono (v.29). A partire da potenze-evento interne.

Ecco lo spazio dell’orazione-ascolto.

La preghiera fa uscire dai confini e pone in contatto con altre energie e sorprese di cui non ci si è accorti: virtù innate e della Grazia, le quali permettono di vedere ogni situazione con altri occhi, liberati.

 

Per le soluzioni che risolvono i veri problemi, da dentro, abbiamo bisogno costante non di regole conformiste, bensì di una nuova Lettura

Ecco lo sguardo dissimmetrico.

Dice il Tao Tê Ching (i): «Il Tao [modo di condursi] che può esser detto non è l’Eterno Tao. Il nome che può esser nominato, non è l’Eterno Nome». Commenta il maestro Wang Pi: «Un Tao effabile indica una pratica».

La nostra vita non si gioca sull’iniziativa di ciò che siamo già in grado di allestire e praticare - o interpretare, disegnare e prevedere (vv.14-19) - ma sull’Attenzione (v.29).

Il «monte» da smuovere [v. parallelo Mt 17,20 - cf. Mt 19,20ss; Mc10,20ss; Lc 18,21ss] non è fuori, ma dentro di noi.

In tal guisa, l’idea conformista che ci scoraggia, o tutti gli ostacoli (invece di nuocere) saranno preziose occasioni di crescita.

 

Saremo al centro della realtà d’Incarnazione: come un mettere la carne al fuoco.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come vivi i tuoi conflitti? Qual è la tua esperienza di guarigione?

 

 

Superare quel “qualcosa di incredulità”,

e “mettere la carne al fuoco”

 

I miracoli esistono ancora oggi. Ma per consentire al Signore di compierli c'è bisogno di una preghiera coraggiosa, capace di superare quel "qualcosa di incredulità" che alberga nel cuore di ogni uomo, anche se uomo di fede. Una preghiera soprattutto per coloro che soffrono a causa delle guerre, delle persecuzioni e di ogni altro dramma che scuote la società di oggi. Ma la preghiera deve "mettere carne al fuoco", cioè coinvolgere la nostra persona e impegnare tutta la nostra vita, per superare l'incredulità [...]

Tornando all'episodio evangelico, il Santo Padre ha riproposto la domanda dei discepoli che non erano riusciti a scacciare lo spirito maligno dal giovane: "Ma perché noi non abbiamo potuto cacciarlo? Questa specie di demoni, spiega Gesù, non si può cacciare in alcun modo se non con la preghiera". E il padre del fanciullo "ha detto: Credo Signore, aiuta la mia incredulità". La sua è stata "una preghiera forte; e questa preghiera, umile e forte, fa sì che Gesù possa fare il miracolo. La preghiera per chiedere un'azione straordinaria - ha spiegato il Pontefice - deve essere una preghiera che ci coinvolge tutti, come se impegnassimo tutta la nostra vita in quel senso. Nella preghiera bisogna mettere la carne al fuoco".

Il Pontefice ha poi raccontato un episodio avvenuto in Argentina: "Mi ricordo una cosa che è successa tre anni fa nel santuario di Luján". Una bambina di sette anni si era ammalata, ma i medici non trovavano la soluzione. Andava peggiorando sempre, sino a quando, una sera, i medici dissero che non c'era più niente da fare e che le rimanevano poche ore di vita. "Il papà, che era un elettricista, un uomo di fede, è diventato come pazzo. E spinto da quella pazzia ha preso il bus ed è andato al santuario di Luján, due ore e mezzo di bus, a settanta chilometri di distanza. È arrivato alle nove di sera e ha trovato tutto chiuso. E lui ha cominciato a pregare con le mani aggrappate al cancello di ferro. Pregava e piangeva. Così è rimasto tutta la notte. Quest'uomo lottava con Dio. Lottava proprio con Dio per la guarigione della sua fanciulla. Poi alle sei di mattina è andato al terminal e ha preso il bus. È arrivato all'ospedale alle nove, più o meno. Ha trovato la moglie che piangeva e ha pensato al peggio: cosa è successo? Non capisco. Cosa è successo? Sono venuti i dottori, gli ha risposto la moglie, e mi hanno detto che la febbre è scomparsa, respira bene, non c'è niente... La terranno ancora solo due giorni. Ma non capiscono quello che è successo. E questo - ha commentato il Papa - succede ancora. I miracoli ci sono. Ma serve la preghiera! Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo, non quelle preghiere per cortesia: Ah, io pregherò per te! Poi un Pater Noster, un'Ave Maria e mi dimentico. No! Ci vuole una preghiera coraggiosa, come quella di Abramo che lottava con il Signore per salvare la città; come quella di Mosè che pregava con le mani in alto e si stancava pregando il Signore; come quella di tanta gente che ha fede e con la fede prega, prega".

La preghiera fa miracoli, "ma - ha concluso Papa Francesco - dobbiamo crederlo. Io penso che noi possiamo fare una bella preghiera, non una preghiera per cortesia, ma una preghiera con il cuore, e dirgli oggi per tutta la giornata: Credo Signore! Aiuta la mia incredulità. Tutti noi abbiamo nel cuore qualcosa di incredulità. Diciamo al Signore: Credo, credo! Tu puoi! Aiuta la mia incredulità. E quando ci chiedono di pregare per tanta gente che soffre nelle guerre, nelle loro condizioni di rifugiati, in tutti questi drammi preghiamo, ma con il cuore, e diciamo: Signore, fallo. Credo, Signore. Ma aiuta la mia incredulità".

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 20-21/05/2013]

Domenica, 04 Agosto 2024 06:53

Ne abbiamo bisogno

Questa domenica, la seconda di Quaresima, si caratterizza come domenica della Trasfigurazione di Cristo. Infatti, nell’itinerario quaresimale, la liturgia, dopo averci invitato a seguire Gesù nel deserto, per affrontare e vincere con Lui le tentazioni, ci propone di salire insieme a Lui sul “monte” della preghiera, per contemplare sul suo volto umano la luce gloriosa di Dio. L’episodio della trasfigurazione di Cristo è attestato in maniera concorde dagli Evangelisti Matteo, Marco e Luca. Gli elementi essenziali sono due: anzitutto, Gesù sale con i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni su un alto monte e là «fu trasfigurato davanti a loro» (Mc 9,2), il suo volto e le sue vesti irradiarono una luce sfolgorante, mentre accanto a Lui apparvero Mosè ed Elia; in secondo luogo, una nube avvolse la cima del monte e da essa uscì una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato; ascoltatelo!» (Mc 9,7). Dunque, la luce e la voce: la luce divina che risplende sul volto di Gesù, e la voce del Padre celeste che testimonia per Lui e comanda di ascoltarlo.

Il mistero della Trasfigurazione non va staccato dal contesto del cammino che Gesù sta percorrendo. Egli si è ormai decisamente diretto verso il compimento della sua missione, ben sapendo che, per giungere alla risurrezione, dovrà passare attraverso la passione e la morte di croce. Di questo ha parlato apertamente ai discepoli, i quali però non hanno capito, anzi, hanno rifiutato questa prospettiva, perché non ragionano secondo Dio, ma secondo gli uomini (cfr Mt 16,23). Per questo Gesù porta con sé tre di loro sulla montagna e rivela la sua gloria divina, splendore di Verità e d’Amore. Gesù vuole che questa luce possa illuminare i loro cuori quando attraverseranno il buio fitto della sua passione e morte, quando lo scandalo della croce sarà per loro insopportabile. Dio è luce, e Gesù vuole donare ai suoi amici più intimi l’esperienza di questa luce, che dimora in Lui. Così, dopo questo avvenimento, Egli sarà in loro luce interiore, capace di proteggerli dagli assalti delle tenebre. Anche nella notte più oscura, Gesù è la lampada che non si spegne mai. Sant’Agostino riassume questo mistero con una espressione bellissima, dice: «Ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è [Cristo] per gli occhi del cuore» (Sermo 78, 2: PL 38, 490).

Cari fratelli e sorelle, tutti noi abbiamo bisogno di luce interiore per superare le prove della vita. Questa luce viene da Dio, ed è Cristo a donarcela, Lui, in cui abita la pienezza della divinità (cfr Col 2,9). Saliamo con Gesù sul monte della preghiera e, contemplando il suo volto pieno d’amore e di verità, lasciamoci colmare interiormente della sua luce. Chiediamo alla Vergine Maria, nostra guida nel cammino della fede, di aiutarci a vivere questa esperienza nel tempo della Quaresima, trovando ogni giorno qualche momento per la preghiera silenziosa e per l’ascolto della Parola di Dio.

[Papa Benedetto, Angelus 4 marzo 2012]

Domenica, 04 Agosto 2024 06:47

Questa anche la Via dei suoi

Il mistero della Trasfigurazione si compie in un momento ben preciso della predicazione di Cristo della sua missione, quando cioè egli inizia a confidare ai discepoli di dover “salire a Gerusalemme e soffrire molto... e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno” (Mt 16, 21). Con riluttanza essi accolgono il primo annuncio della passione e il divino Maestro, prima di ribadirlo e confermarlo, vuole dar loro la prova del suo totale radicamento nella volontà del Padre perché davanti allo scandalo della croce essi non abbiano a soccombere. La passione e la morte saranno infatti la via per la quale il padre celeste farà giungere alla gloria “il Figlio prediletto”, risuscitato dai morti. Questa sarà d’ora innanzi anche la via dei suoi discepoli. Nessuno giungerà alla luce se non attraverso la croce, simbolo delle sofferenze che affliggono l’umana esistenza. La croce viene, così, trasformata in strumento di espiazione dei peccati dell’intera umanità. Unito al suo Signore nell’amore, il discepolo partecipa alla sua passione redentrice.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia 7 marzo 1993]

Domenica, 04 Agosto 2024 06:37

Attendevano un dominatore

Il Vangelo di oggi […] ci invita a contemplare la trasfigurazione di Gesù (cfr Mc 9,2-10). Questo episodio va collegato a quanto era accaduto sei giorni prima, quando Gesù aveva svelato ai suoi discepoli che a Gerusalemme avrebbe dovuto «soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (Mc 8,31). Questo annuncio aveva messo in crisi Pietro e tutto il gruppo dei discepoli, che respingevano l’idea che Gesù venisse rifiutato dai capi del popolo e poi ucciso. Loro infatti attendevano un Messia potente, forte, dominatore, invece Gesù si presenta come umile, come mite, servo di Dio, servo degli uomini, che dovrà donare la sua vita in sacrificio, passando attraverso la via della persecuzione, della sofferenza e della morte. Ma come poter seguire un Maestro e Messia la cui vicenda terrena si sarebbe conclusa in quel modo? Così pensavano loro. E la risposta arriva proprio dalla trasfigurazione. Che cos’è la trasfigurazione di Gesù? E’ un’apparizione pasquale anticipata.

Gesù prese con sé i tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni e «li condusse su un alto monte» (Mc 9,2); e là, per un momento, mostra loro la sua gloria, gloria di Figlio di Dio. Questo evento della trasfigurazione permette così ai discepoli di affrontare la passione di Gesù in modo positivo, senza essere travolti. Lo hanno visto come sarà dopo la passione, glorioso. E così Gesù li prepara alla prova. La trasfigurazione aiuta i discepoli, e anche noi, a capire che la passione di Cristo è un mistero di sofferenza, ma è soprattutto un dono di amore, di amore infinito da parte di Gesù. L’evento di Gesù che si trasfigura sul monte ci fa comprendere meglio anche la sua risurrezione. Per capire il mistero della croce è necessario sapere in anticipo che Colui che soffre e che è glorificato non è solamente un uomo, ma è il Figlio di Dio, che con il suo amore fedele fino alla morte ci ha salvati. Il Padre rinnova così la sua dichiarazione messianica sul Figlio, già fatta sulle rive del Giordano dopo il battesimo, ed esorta: «Ascoltatelo!» (v. 7). I discepoli sono chiamati a seguire il Maestro con fiducia, con speranza, nonostante la sua morte; la divinità di Gesù deve manifestarsi proprio sulla croce, proprio nel suo morire «in quel modo», tanto che l’evangelista Marco pone sulla bocca del centurione la professione di fede: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (15,39).

[Papa Francesco, Angelus 25 febbraio 2018]

(Mt 14,13-21)

 

Gesù vuole che contributi, risorse e capacità facciano sinergia; porgersi in servizio e coalizzarsi per la vita delle moltitudini (vv.13-15.19).

Il gesto eucaristico - spezzare la vita - dice: cieli e terra nuovi non corrispondono al mondo in cui ciascuno si affretta a mietere per sé o la sua cerchia, onde accaparrarsi il massimo delle risorse.

Anche gli Apostoli - chiamati da Gesù e ancora rimasti a distanza di sicurezza da Lui - non sono i proprietari del Pane, bensì coloro che devono porgere nutrimento a tutti (v.16), per creare abbondanza dov’essa non c’è.

Devono condividere, non comandare. E, onde evitare impoverimenti e danni alla felicità, collocarsi in una logica di superamento.

Il Figlio riflette il disegno di Dio nella compassione per le folle bisognose di tutto. Tuttavia la sua soluzione non ci sorvola - semplicemente asciugando lacrime o cancellando le umiliazioni.

Invita a utilizzare ciò che abbiamo, sebbene possa apparire cosa ridicola. Ma insegna che spostando le energie si creano risultati prodigiosi.

Così rispondiamo in Cristo ai grandi problemi del mondo: recuperando la condizione dell’uomo ‘viator’ - essere di passaggio - e condividendo i beni.

La nostra reale nudità, le peripezie e l’esperienza dei molti fratelli, diversi, sono risorse da non valutare con diffidenza.

E il Signore non è d’accordo con l’idea che ciascuno s’arrangi (v.15).

Impone ai suoi che «le folle» (plurali) si sdraino in clima di abbondanza (v.19) come facevano i signori e le persone libere nei banchetti solenni.

Egli vuole e insiste che siano anzitutto i discepoli a servire (v.19), non altri schiavi.

E forse la cosa più sbalorditiva è che a nessuno dei presenti impone gesti preventivi di purificazione, com’era abitudine nella religiosità selettiva.

Prima del pasto essa postulava l’abluzione rituale: una cerimonia che sottolineasse un distacco sacrale fra puro e impuro.

Unico compito dei discepoli è quello di distribuire l’Alimento da sminuzzare, vagliare e assimilare personalmente, per edificare un nuovo mondo.

 

Per presentarci a cospetto di Dio, in religione abbiamo una lunga trafila di adempimenti da osservare, che talora ci normalizzano.

Nel cammino di Fede è l’Incontro gratuito col Signore che fa crescere e completa, rendendoci perfetti e puri senza condizioni.

In ciò, estraendo autentiche Perle; proprio dalle nostre eccentricità caratteriali - quelle che si distaccano dagli accordi millimetrici.

Il suo Regno? Tutti invitati e fratelli anche non concordi. Nessuno padrone o dominatore - anche se più svelto e capace a gestirsi.

L’Eucaristia resta così un Appello alla Convivialità reale [delle differenze così come sono] e Richiamo sempreverde a non accontentarsi di devozioni individuali o d’una spiritualità gemellabile ma vuota.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

In che modo il gesto eucaristico ti parla della Rivoluzione della Tenerezza, e della tua Chiamata per Nome attraverso la Chiesa?

 

 

[Lunedì 18.a sett. T.O.  5 agosto 2024]

Moltiplicare dividendo

(Mt 14,13-21)

 

«L’uomo è l’essere-limite che non ha limite» (Fratelli Tutti n.150).

Nel cuore abbiamo un gran desiderio di appagamento e Felicità. Il Padre ce lo ha messo, Lui stesso lo soddisfa - ma ci stima associati alla sua opera - dentro e fuori di noi.

Il Figlio riflette il disegno di Dio nella compassione per le folle bisognose di tutto e - malgrado la pletora di maestri ed esperti - prive di qualsiasi insegnamento autentico (cf. Mt 9,36).

La sua soluzione è diversissima da quella di tutte le guide “spirituali”, perché non ci sorvola con un paternalismo indiretto (cf. Mt 14,16) che asciughi le lacrime, rimargini le ferite, cancelli le umiliazioni.

Invita a utilizzare in prima persona ciò che siamo e abbiamo, sebbene possa apparire cosa ridicola. Ma insegna in modo assolutamente netto che spostando le energie si realizzano risultati prodigiosi.

Così rispondiamo in Cristo ai grandi problemi del mondo: recuperando la condizione dell’uomo viator - essere di passaggio, sua impronta essenziale - e condividendo i beni; non lasciando che ciascuno si arrangi (v.15).

La nostra reale nudità, le peripezie e l’esperienza dei molti fratelli, diversi, sono risorse da non valutare con diffidenza, «come concorrenti o nemici pericolosi» della nostra realizzazione (FT n.151).

Non solo quel poco che rechiamo basterà a saziarci: avanzerà per altri e con identica pienezza di verità, umana, epocale [v.17: il passo particolare insiste sulla nota simbologia semitica del numero “sette”].

 

In Cristo, ciascuno può inaugurare un Tempo nuovo, e la Salvezza è già a portata di mano, perché la gente si riunisce spontaneamente intorno a Lui, giungendo così com’è, col carico dei tanti bisogni differenti.

Il nuovo popolo di Dio non è una folla di gente scelta e pura. Ognuno reca con sé problemi, che il Signore guarisce - ma curando non con provvedimenti per procura (v.16), come dal di sopra o dal di fuori.

Insomma: un altro mondo è possibile, però attraverso lo spezzare il proprio (anche misero) pane e companatico (vv.17-19).

Soluzione autentica, se la si fa emergere da dentro, e stando in mezzo - non davanti, non a capo, non in alto (v.15c).

Il luogo della Rivelazione di Dio doveva essere quello dei fulmini, su un “monte” fumante come di fornace (Es 19,18)... ma infine persino lo zelo violento di Elia aveva dovuto ricredersi (1Re 19,12).

Anche ai pagani, il Figlio rivela un Padre il quale non semplicemente cancella le infermità (v.14): le fa capire come luogo che sta preparando uno sviluppo personale, e quello della Comunità.

S’immaginava che nei tempi del Messia, zoppi, sordi e ciechi sarebbero scomparsi (Is 35,5ss.). Età dell’oro: tutto al vertice, nessun abisso.

In Gesù - Pane distribuito - si manifesta una pienezza dei tempi inconsueta, apparentemente nebulosa e fragile, ma reale e in grado di riavviare tutti, e le relazioni.

Lo Spirito di Dio agisce non calandosi come un fulmine dall’alto, bensì attivando in noi capacità che appaiono impalpabili, eppure in grado di raggranellare il nostro essere disperso, classificato inconsistente - che coinvolge il sommario di tutti i giorni - e lo rivaluta.

 

L’Incarnazione ci ritessere il cuore, in dignità e promozione; si dispiega realmente, perché non solo trascina via gli ostacoli: poggia su di essi e non li cancella affatto: così li surclassa ma trasmutando - ponendo nuova vita.

Linfa che trae succo e germoglia Fiori dall’unico terreno melmoso e fecondo, e li comunica. Solidarietà cui sono invitati tutti, non solo quelli ritenuti in condizione di “perfezione” e compattezza.

Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, bensì assunte, poste nelle mani del Figlio e dinamizzate (v.18).

Le stesse cadute possono essere un segnale prezioso: in Cristo, non sono più umiliazioni riduttive, bensì indicatori di percorso. Forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse.

Così i crolli possono trasformarsi rapidamente in risalite - differenti, non confezionate - e ricerca di completamento totale nella Comunione.

Quindi, nell’ideale di realizzare la Vocazione e intuire il tipo di contributo da porgere, nulla di meglio d’un ambiente vivo, che non tarpi le ali: una fraternità vivace nello scambio di risorse, e convivenza.

Non tanto per attutirci gli scossoni, ma perché siamo messi in grado di edificare magazzini sapienziali non tarati da nomenclature - cui tutti possono attingere, persino i diversi e lontani da noi.

Se poi anche qui verrà a trovarci una manchevolezza, sarà per insegnare a essere presenti al mondo secondo (magari) altre e ulteriori direzioni, o per far emergere la missione e una maturazione creativa - non per rimanere fissati su parzialità e minuzie.

 

L’allusione ai sette alimenti (moltiplicati perché divisi) conforta le citazioni relative al magma plasmabile delle icone bibliche, come quelle di Mosè ed Elia: figure dei cinque Libri del Pentateuco [i Pani base], più le due sezioni di Profeti e Scritti [che fanno come da “companatico”].

I primi “cinque”, Pienezza essenziale di cibo e saggezza per l’anima, chiamata a procedere oltre le siepi circonvicine, rompendo gli argini della mentalità asservita al contorno.

È il nutrimento-base dello spirito umano-divino, cui però si aggiunge un giovane e fresco alimento companatico, che appunto ci coinvolge (v.17.19).

[Come diceva s. Agostino: «La Parola di Dio che ogni giorno viene a voi spiegata e in un certo senso “spezzata” è anch’essa Pane quotidiano» (Sermo 58, IV: PL 38,395). Alimento completo: cibo base e “companatico” - storico e ideale, in codice e in atto].

Diventiamo nel Cristo come un corpus attualizzato e propulsivo di testimoni (e Scritture!) sensibile; certo ridotto, non ancora affermato e privo di eroici fenomeni, ma accentuatamente sapienziale e pratico.

Annunciatori e condivisori senza clamorosi proclami di autosufficienza, mai rinchiusi entro steccati arcaici - sempre in fieri - perciò in grado di percepire binari sconosciuti.

E spezzare il Pane... ossia attivarsi, procedere oltre, dividere il poco - per alimentare, straripare (moltiplicando l’ascolto e l’azione di Dio) e far riconquistare stima anche ai disperati.

Siamo figli: come pochi e piccoli pesci (vv.17.19), i quali non sguazzano in competizioni che rendono tossica la vita - anzi: chiamati in prima persona a scrivere una singolare, empatica e sacra, Parola-evento.

Infanti nel Signore, nuotiamo in questa differente Acqua - a volte forse esteriormente velata o melmosa e torbida; infine fatta trasparente anche solo perché arrendevole, compassionevole e benevola.

La vecchia pozzanghera esclusiva della religione che non osa il rischio della Fede (v.13) non ci avrebbe aiutato ad assimilare la proposta del Gesù Messia, Figlio di Dio, Salvatore - acrostico del termine greco «Ichtys» (pesce: vv.17.19 diminutivo).

Egli è l’Iniziativa-Risposta del Padre, sostegno nel (poco etereo) viaggio alla ricerca della Speranza dei poveri - di tutti noi indigenti in attesa.

 

Sembra strano, per noi che ci abbiamo fatto il callo: la Fede operante ha per emblema l’Eucaristia frazionata, rivoluzione della sacralità.

Infatti scopo dell’evangelizzazione è partecipare ed emancipare l’essere completo da tutto ciò che lo minaccia, non solo nel limite estremo: anche nella sua azione di ogni giorno - fino a cercare la comunione dei beni.

Il prodigio è collocato dopo il rifiuto a Nazaret (Mt 13,53-57), il quesito ambiguo e superstizioso di Erode (vv.1-2), e l’esecuzione del Battista (vv.3-12).

Insomma, il Segno Fonte e Culmine della comunità dei figli è un gesto creativo che impone uno spostamento di visione e azione, un occhio e un gesto assolutamente nuovi.

[in tal guisa, di fronte all’indigenza di molti - causata dall’avidità di pochi - l’atteggiamento della Chiesa autentica non si compiace di emblemi e fervorini, né di parziali chiamate a distinguersi].

Lo spezzare del Pane subentra alla Manna calata dall’alto nel deserto (Mt 14,15; 15,33; Mc 8,4) e comporta la sua distribuzione - non solo in situazioni particolari.

Non c’è da accontentarsi, nel moltiplicare vita per tutti.

Questa l’attitudine del Corpo vivente del Cristo taumaturgico [non il facitore di miracoli] che si sente chiamato ad attivarsi in ogni circostanza.

L’adesione grata deve condurci al dono e alla condivisione del «pane».

Se non è elemosina puntuale, pietismo esterno, assistenzialismo di maniera, ecco il Risultato:

Donne e uomini mangeranno, rimarranno sazi, e avanzerà alimento per altri ancora. Infatti, non tutti i convitati da Dio previsti sono ancora presenti...

Notiamo che ai discepoli non era neanche passato per la testa che la soluzione potesse venire dalla gente stessa e dal loro spirito - non dal patentato dei leaders o da qualche singolo benefattore.

Soluzione inattesa: la questione dell’alimento si risolve non dall’alto, ma a partire dall’interno delle persone e con i pochi pani portati con sé.

Non c’è soluzione col verbo “moltiplicare” - ossia “incrementare”… cosa? relazioni che contano, accrescere proprietà, ammucchiare astuzie.

Unica terapia è la convivenza dello «spezzare», «dare», «porgere» (v.19). E tutti sono coinvolti, nessuno privilegiato.

 

A quel tempo la competitività e la mentalità di classe caratterizzava la società piramidale dell’impero - e iniziava a infiltrarsi già nella piccola comunità, appena agli inizi.

Come se il Signore e il Dio del tornaconto potessero convivere uno a fianco all’altro, ancora.

È la comunione dei bisognosi che viceversa sale in cattedra nella Chiesa non artefatta.

La condivisione reale fa da professore degli onnipresenti veterani, smaliziati e pretenziosi, unici a doversi ancora convertire.

Il germe della loro “durata” dovrebbe essere non la posizione in quota e il ruolo, ma l’amore.

Tale l’unico senso dei gesti sacri; non altri progetti venati da prevaricazioni, o dall’apparire.

 

Gli “appartenenti” sbalordiscono.

Per il Signore i lontani (sebbene ancora in bilico nelle scelte) sono pienamente partecipi del banchetto messianico - senza preclusioni, né discipline dell’arcano con attese snervanti.

Viceversa, quella Mensa urge in favore di altri che ancora devono essere chiamati. Per una sorta di ristabilimento dell’Unità originale.

 

Insomma, la Redenzione non appartiene alle élites preoccupate della stabilità del loro dominio - che sono addirittura i deboli a dover sostenere.

 

La vita da salvati viene a noi per incorporazione.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Hai mai spezzato il tuo pane, trasmesso felicità e compiuto recuperi che rinnovano i rapporti, rimettendo in piedi le persone che neppure hanno stima di sé? O hai privilegiato atteggiamenti di élite monarchica?

 

 

Appendice

 

Gesù vuole che contributi, risorse e capacità facciano sinergia; porgersi in servizio e coalizzarsi per la vita delle moltitudini (vv.13-15.19).

Il gesto eucaristico - spezzare la vita - dice: cieli e terra nuovi non corrispondono al mondo in cui ciascuno si affretta a mietere per sé o la sua cerchia, onde accaparrarsi il massimo delle risorse.

Anche gli Apostoli - chiamati da Gesù ma ancora rimasti a distanza di sicurezza da Lui - non sono i proprietari del Pane, bensì coloro che devono porgere nutrimento a tutti (v.16), per creare abbondanza dov’essa non c’è.

Devono condividere, non comandare - tantomeno sulle opinioni o situazioni altrui. E, onde evitare impoverimenti e danni alla felicità, collocarsi in una logica di superamento.

 

Il Figlio riflette il disegno di Dio nella compassione per le folle bisognose di tutto. Tuttavia la sua soluzione non ci sorvola - semplicemente asciugando lacrime o cancellando le umiliazioni.

Invita a utilizzare ciò che abbiamo, sebbene possa apparire cosa ridicola. Ma insegna che spostando le energie si creano risultati prodigiosi.

Così rispondiamo in Cristo ai grandi problemi del mondo: recuperando la condizione dell’uomo viator - essere di passaggio, sua impronta essenziale - e condividendo i beni.

La nostra reale nudità, le peripezie e l’esperienza dei molti fratelli, diversi, sono risorse da non valutare con diffidenza, «come concorrenti o nemici pericolosi» della nostra realizzazione (FT n.151).

 

Il Signore non è d’accordo con l’idea che ciascuno s’arrangi (v.15); neppure gli va a genio l’elemosina, o il vecchio idolo del «comprare» (v.15).

Impone ai suoi che «le folle» (plurali) si sdraino in clima di abbondanza (v.19 testo greco) come facevano i signori e le persone libere nei banchetti solenni.

Egli vuole e insiste che siano anzitutto i discepoli a servire (v.19), non altri schiavi.

E forse la cosa più sbalorditiva è che a nessuno dei presenti impone gesti preventivi di purificazione, com’era abitudine nella religiosità tradizionale, ipocritamente sterilizzata e selettiva.

Prima del pasto essa richiedeva l’abluzione: una cerimonia che sottolineasse un distacco sacrale fra puro e impuro.

Unico compito dei discepoli è quello di distribuire l’Alimento - poi da sminuzzare, vagliare e assimilare personalmente, per edificare un nuovo mondo - non fare radiografie preventive; tantomeno interessate.

 

In religione abbiamo una lunga trafila di adempimenti da osservare per presentarci a cospetto di Dio, che purtroppo ci normalizzano.

Nel cammino di Fede è l’incontro gratuito col Signore che fa crescere e completa, rendendoci perfetti e incontaminati, senza condizioni... estraendo autentiche Perle, proprio dalle nostre eccentricità caratteriali (quelle che si distaccano dagli accordi millimetrici).

Il suo Regno? Tutti invitati e fratelli (anche non concordi), nessuno padrone o dominatore - destinato a guidare gli umili a vita e di testa sua, stando sempre davanti o sopra - perché più svelto e capace a gestirsi.

L’Eucaristia resta un Appello alla Convivialità reale (delle differenze così come sono) e Richiamo sempreverde a non accontentarsi di devozioni individuali o d’una spiritualità gemellabile ma vuota.

 

La Fede operante ha dunque per emblema l’Eucaristia, rivoluzione della sacralità. Sembra strano, per noi che ci abbiamo fatto il callo.

Scopo dell’evangelizzazione è emancipare da tutto ciò che minaccia la vita, non solo nel limite estremo, ma anche nella sua azione di ogni giorno - fino a cercare la comunione dei beni.

In Mt 14 il prodigio è collocato dopo che Gesù è stato respinto da Nazaret, la preoccupazione di Erode, l’omicidio del Battista.

Il Segno Fonte e Culmine della comunità dei figli è un gesto creativo che impone lo spostamento di visione, un occhio assolutamente nuovo.

Di fronte all’indigenza di molti - causata dall’avidità di pochi - l’atteggiamento della Chiesa autentica non si compiace di emblemi e fervorini, né di parziali chiamate a distinguersi nell’elemosina.

Lo spezzare del Pane subentra alla Manna calata dall’alto nel deserto e comporta la sua distribuzione - non solo in situazioni particolari (v.15).

Non c’è da accontentarsi, nel moltiplicare la vita per tutti.

Questa l’attitudine del Corpo vivente del Cristo taumaturgico [non il facitore di miracoli] che si sente chiamato ad attivarsi in ogni circostanza.

La partecipazione eucaristica deve condurci al dono e alla condivisione del pane.

Risultato: donne e uomini mangeranno, rimarranno sazi, e avanzerà Alimento per altri ancora [non tutti i convitati da Dio previsti sono ancora presenti...].

Notiamo che ai discepoli non era neanche passato per la testa che la soluzione potesse venire dalla gente stessa e dal loro spirito - non solo dal paternalismo dei capi o da qualche singolo benefattore.

Soluzione inattesa: la questione dell’alimento si risolve non dall’alto, ma solo a partire dall’interno delle persone e con i pochi pani portati con sé (vv.15-17).

Non c’è soluzione col verbo “moltiplicare” - ossia “incrementare”…relazioni che contano, accrescere proprietà, ammucchiare astuzie.

Unica terapia è «spezzare», «dare», «porgere», «distribuire» (vv.16-19 testo greco).

E tutti sono coinvolti, nessun privilegiato.

A quel tempo la competitività e la mentalità di classe caratterizzava la società dell’impero - e iniziava a infiltrarsi già nella piccola comunità, appena agli inizi.

Come se il Signore e il Dio del tornaconto potessero convivere uno a fianco all’altro, ancora.

È la comunione dei bisognosi che viceversa sale in cattedra nella Chiesa autentica.

La condivisione reale fa da professore degli onnipresenti veterani, smaliziati e pretenziosi, unici a doversi ancora convertire.

Il germe della loro “durata” dovrebbe essere non la posizione in quota e il ruolo, ma l’amore.

Tale l’unico senso dei gesti sacri, non altri progetti venati da prepotenze, o dall’apparire.

Gli “appartenenti” e reduci sbalordiscono.

Per il Signore i lontani (sebbene ancora in bilico nelle scelte) sono pienamente partecipi del banchetto messianico - senza preclusioni, né discipline dell’arcano o attese snervanti.

Viceversa, quella Mensa urge in favore degli altri che ancora devono essere chiamati, per una sorta di ristabilimento dell’Unità originale.

Insomma, la Redenzione non appartiene alle élites (monarchiche piramidali) preoccupate della stabilità del loro predominio - che sono addirittura i deboli a dover sostenere.

 

[Come diceva s. Agostino: «La Parola di Dio che ogni giorno viene a voi spiegata e in un certo senso “spezzata” è anch’essa Pane quotidiano» (Sermo 58, IV: PL 38,395). Alimento completo: cibo base e “companatico” - storico e ideale, in codice e in atto].

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

In che modo il gesto eucaristico ti parla della Rivoluzione della Tenerezza, e della tua Chiamata per Nome attraverso la Chiesa?

Il Vangelo di questa domenica descrive il miracolo della moltiplicazione dei pani, che Gesù compie per una moltitudine di persone che lo hanno seguito per ascoltarlo ed essere guariti da varie malattie (cfr Mt 14,14). Sul far della sera, i discepoli suggeriscono a Gesù di congedare la folla, perché possa andare a rifocillarsi. Ma il Signore ha in mente qualcos’altro: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mt 14,16). Essi, però, non hanno “altro che cinque pani e due pesci”. Gesù allora compie un gesto che fa pensare al sacramento dell’Eucaristia: “Alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla (Mt 14,19). Il miracolo consiste nella condivisione fraterna di pochi pani che, affidati alla potenza di Dio, non solo bastano per tutti, ma addirittura avanzano, fino a riempire dodici ceste. Il Signore sollecita i discepoli affinché siano loro a distribuire il pane per la moltitudine; in questo modo li istruisce e li prepara alla futura missione apostolica: dovranno infatti portare a tutti il nutrimento della Parola di vita e del Sacramento.

In questo segno prodigioso si intrecciano l’incarnazione di Dio e l’opera della redenzione. Gesù, infatti, “scende” dalla barca per incontrare gli uomini (cfr Mt 14,14). San Massimo il Confessore afferma che il Verbo di Dio “si degnò, per amore nostro, di farsi presente nella carne, derivata da noi e conforme a noi tranne che nel peccato, e di esporci l’insegnamento con parole ed esempi a noi convenienti” (Ambiguum 33: PG 91, 1285 C). Il Signore ci offre qui un esempio eloquente della sua compassione verso la gente. Viene da pensare ai tanti fratelli e sorelle che in questi giorni, nel Corno d’Africa, patiscono le drammatiche conseguenze della carestia, aggravate dalla guerra e dalla mancanza di solide istituzioni. Cristo è attento al bisogno materiale, ma vuole dare di più, perché l’uomo è sempre “affamato di qualcosa di più, ha bisogno di qualcosa di più” (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 311). Nel pane di Cristo è presente l’amore di Dio; nell’incontro con Lui “ci nutriamo, per così dire, dello stesso Dio vivente, mangiamo davvero il «pane dal cielo»” (ibid.).

Cari amici, “nell’Eucaristia Gesù fa di noi testimoni della compassione di Dio per ogni fratello e sorella. Nasce così intorno al Mistero eucaristico il servizio della carità nei confronti del prossimo” (Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis, 88).

[Papa Benedetto, Angelus 31 luglio 2011]

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Still today Jesus repeats these comforting words to those in pain: "Do not weep". He shows solidarity to each one of us and asks us if we want to be his disciples, to bear witness to his love for anyone who gets into difficulty (Pope Benedict)
Gesù ripete ancor oggi a chi è nel dolore queste parole consolatrici: "Non piangere"! Egli è solidale con ognuno di noi e ci chiede, se vogliamo essere suoi discepoli, di testimoniare il suo amore per chiunque si trova in difficoltà (Papa Benedetto))
Faith: the obeying and cooperating form with the Omnipotence of God revealing himself
Fede: forma dell’obbedire e cooperare con l’Onnipotenza che si svela
Jesus did not come to teach us philosophy but to show us a way, indeed the way that leads to life [Pope Benedict]
Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia, ma a mostrarci una via, anzi, la via che conduce alla vita [Papa Benedetto]
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole  lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)
The first constitutive element of the group of Twelve is therefore an absolute attachment to Christ: they are people called to "be with him", that is, to follow him leaving everything. The second element is the missionary one, expressed on the model of the very mission of Jesus (Pope John Paul II)
Il primo elemento costitutivo del gruppo dei Dodici è dunque un attaccamento assoluto a Cristo: si tratta di persone chiamate a “essere con lui”, cioè a seguirlo lasciando tutto. Il secondo elemento è quello missionario, espresso sul modello della missione stessa di Gesù (Papa Giovanni Paolo II)

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