don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Mercoledì, 07 Agosto 2024 10:02

Non siamo “massa”

Già l’Antico Testamento parla comunemente di Dio come Pastore di Israele, del popolo dell’alleanza, da lui scelto per realizzare il progetto della salvezza. Il Salmo 22 è un inno meraviglioso al Signore, Pastore delle nostre anime: “Il Signore è il mio Pastore; non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce; mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino... Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me...” (Sal 23,1-3).

I profeti Isaia, Geremia ed Ezechiele ritornano sovente sul tema del popolo “gregge del Signore”: “Ecco il vostro Dio!... Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna...” (Is 40,11) e soprattutto annunciano il Messia come Pastore che pascerà veramente le sue pecore e non le lascerà più sbandare: “Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore...” (Ez 34,23).

Nel Vangelo è familiare questa dolce e commovente figura del pastore, la quale anche se i tempi sono cambiati a causa dell’industrializzazione e dell’urbanesimo, mantiene sempre il suo fascino e la sua efficacia; e tutti ricordiamo la parabola tanto toccante e suggestiva del Buon Pastore che va in cerca della pecorella smarrita (Lc 15,3-7).

Nei primi tempi della Chiesa poi l’iconografia cristiana si servì grandemente e sviluppò questo tema del Buon Pastore la cui immagine appare spesso, dipinta o scolpita, nelle Catacombe, nei sarcofagi, nei battisteri. Tale iconografia, così interessante e devota, ci attesta che, fin dai primi tempi della Chiesa, Gesù “Buon Pastore” colpì e commosse gli animi dei credenti e dei non credenti e fu motivo di conversione, di impegno spirituale e di conforto. Ebbene, Gesù “Buon Pastore” è vivo e vero ancora oggi in mezzo a noi, in mezzo all’umanità intera, e a ciascuno vuol far sentire la sua voce e il suo amore.

1. Che cosa significa essere il Buon Pastore?

Gesù ce lo spiega con chiarezza convincente:

– il pastore conosce le sue pecore e le pecore conoscono lui: come è bello e consolante sapere che Gesù ci conosce uno per uno, che non siamo degli anonimi per lui, che il nostro nome (quel nome che è concordato dall’amore dei genitori e degli amici) lui lo conosce! Non siamo “massa”, “moltitudine”, per Gesù! Siamo “persone” singole con un valore eterno, sia come creature sia come persone redente! lui ci conosce! lui mi conosce, e mi ama e ha dato se stesso per me! (Gal 2,20).

[…]

(Papa Giovanni Paolo II, omelia 6 maggio 1979)

Mercoledì, 07 Agosto 2024 09:52

Tutti figli, radicalmente dipendenti

Dopo aver passato in rassegna le diverse figure della vita familiare – madre, padre, figli, fratelli, nonni –, vorrei concludere questo primo gruppo di catechesi sulla famiglia parlando dei bambini. Lo farò in due momenti: oggi mi soffermerò sul grande dono che sono i bambini per l’umanità – è vero sono un grande dono per l’umanità, ma sono anche i grandi esclusi perché neppure li lasciano nascere – e prossimamente mi soffermerò su alcune ferite che purtroppo fanno male all’infanzia. Mi vengono in mente i tanti bambini che ho incontrato durante il mio ultimo viaggio in Asia: pieni di vita, di entusiasmo, e, d’altra parte, vedo che nel mondo molti di loro vivono in condizioni non degne… In effetti, da come sono trattati i bambini si può giudicare la società, ma non solo moralmente, anche sociologicamente, se è una società libera o una società schiava di interessi internazionali.

Per prima cosa i bambini ci ricordano che tutti, nei primi anni della vita, siamo stati totalmente dipendenti dalle cure e dalla benevolenza degli altri. E il Figlio di Dio non si è risparmiato questo passaggio. E’ il mistero che contempliamo ogni anno, a Natale. Il Presepe è l’icona che ci comunica questa realtà nel modo più semplice e diretto. Ma è curioso: Dio non ha difficoltà a farsi capire dai bambini, e i bambini non hanno problemi a capire Dio. Non per caso nel Vangelo ci sono alcune parole molto belle e forti di Gesù sui “piccoli”. Questo termine “piccoli” indica tutte le persone che dipendono dall’aiuto degli altri, e in particolare i bambini. Ad esempio Gesù dice: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). E ancora: «Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,10).

Dunque, i bambini sono in sé stessi una ricchezza per l’umanità e anche per la Chiesa, perché ci richiamano costantemente alla condizione necessaria per entrare nel Regno di Dio: quella di non considerarci autosufficienti, ma bisognosi di aiuto, di amore, di perdono. E tutti, siamo bisognosi di aiuto, d’amore e di perdono!

I bambini ci ricordano un’altra cosa bella; ci ricordano che siamo sempre figli: anche se uno diventa adulto, o anziano, anche se diventa genitore, se occupa un posto di responsabilità, al di sotto di tutto questo rimane l’identità di figlio. Tutti siamo figli.  E questo ci riporta sempre al fatto che la vita non ce la siamo data noi ma l’abbiamo ricevuta. Il grande dono della vita è il primo regalo che abbiamo ricevuto. A volte rischiamo di vivere dimenticandoci di questo, come se fossimo noi i padroni della nostra esistenza, e invece siamo radicalmente dipendenti. In realtà, è motivo di grande gioia sentire che in ogni età della vita, in ogni situazione, in ogni condizione sociale, siamo e rimaniamo figli. Questo è il principale messaggio che i bambini ci danno, con la loro stessa presenza: soltanto con la presenza ci ricordano che tutti noi ed ognuno di noi siamo figli.

Ma ci sono tanti doni, tante ricchezze che i bambini portano all’umanità. Ne ricordo solo alcuni.

Portano il loro modo di vedere la realtà, con uno sguardo fiducioso e puro. Il bambino ha una spontanea fiducia nel papà e nella mamma; ha una spontanea fiducia in Dio, in Gesù, nella Madonna. Nello stesso tempo, il suo sguardo interiore è puro, non ancora inquinato dalla malizia, dalle doppiezze, dalle “incrostazioni” della vita che induriscono il cuore. Sappiamo che anche i bambini hanno il peccato originale, che hanno i loro egoismi, ma conservano una purezza, e una semplicità interiore. Ma i bambini non sono diplomatici: dicono quello che sentono, dicono quello che vedono, direttamente. E tante volte mettono in difficoltà i genitori, dicendo davanti alle altre persone: “Questo non mi piace perché è brutto”. Ma i bambini dicono quello che vedono, non sono persone doppie, non hanno ancora imparato quella scienza della doppiezza che noi adulti purtroppo abbiamo imparato.

I bambini inoltre - nella loro semplicità interiore - portano con sé la capacità di ricevere e dare tenerezza. Tenerezza è avere un cuore “di carne” e non “di pietra”, come dice la Bibbia (cfr Ez 36,26). La tenerezza è anche poesia: è “sentire” le cose e gli avvenimenti, non trattarli come meri oggetti, solo per usarli, perché servono…

I bambini hanno la capacità di sorridere e di piangere. Alcuni, quando li prendo per abbracciarli, sorridono; altri mi vedono vestito di bianco e credono che io sia il medico e che vengo a fargli il vaccino, e piangono … ma spontaneamente! I bambini sono così: sorridono e piangono, due cose che in noi grandi spesso “si bloccano”, non siamo più capaci… Tante volte il nostro sorriso diventa un sorriso di cartone, una cosa senza vita, un sorriso che non è vivace, anche un sorriso artificiale, di pagliaccio. I bambini sorridono spontaneamente e piangono spontaneamente.  Dipende sempre dal cuore, e spesso il nostro cuore si blocca e perde questa capacità di sorridere, di piangere. E allora i bambini possono insegnarci di nuovo a sorridere e a piangere. Ma, noi stessi,  dobbiamo domandarci: io sorrido spontaneamente, con freschezza, con amore o il mio sorriso è artificiale? Io ancora piango oppure ho perso la capacità di piangere? Due domande molto umane che ci insegnano i bambini.

Per tutti questi motivi Gesù invita i suoi discepoli a “diventare come i bambini”, perché “a chi è come loro appartiene il Regno di Dio” (cfr Mt 18,3; Mc 10,14).

Cari fratelli e sorelle, i bambini portano vita, allegria, speranza, anche guai. Ma, la vita è così. Certamente portano anche preoccupazioni e a volte tanti problemi; ma è meglio una società con queste preoccupazioni e questi problemi, che una società triste e grigia perché è rimasta senza bambini! E quando vediamo che il livello di nascita di una società arriva appena all’uno percento, possiamo dire che questa società è triste, è grigia perché è rimasta senza bambini.

[Papa Francesco, Udienza Generale 18 marzo 2015]

Mercoledì, 07 Agosto 2024 07:03

Figli e tasse per il Tempio: quale precedenza

Senza meccanismi, né adempimenti che non ci riguardano

(Mt 17,22-27)

 

Anche i giudei dispersi nel mondo romano pagavano un’imposta annuale per il mantenimento del Tempio, che in realtà non figurava fra i contributi obbligatori previsti nella Torah (Es 30,11-16).

I convertiti alla nuova Fede in Cristo di Galilea e Siria si chiedevano se avessero ancora l’obbligo di continuare a pagare il balzello, per il luogo di culto e la classe sacerdotale.

La cifra dovuta era pur accessibile [si trattava di una somma pari a un paio di giornate di lavoro].

Gesù esprime la sua opinione attraverso un’analogia.

Roma aveva concesso l’amministrazione della Palestina a monarchi, principi e tetrarchi. I sudditi erano obbligati a pagare le imposte, esclusi i cittadini romani.

Il giovane Rabbi afferma: come coloro che possedevano la cittadinanza giuridica di Roma erano esenti dai tributi imposti ai giudei dai loro governanti, così i figli [nelle comunità di Mt, giudeo cristiani] dovevano essere esenti dalle imposte relative al Tempio.

Ma era forse opportuno esprimere un atteggiamento di rispetto circa un obbligo legale.

Dal tono e composizione del testo sembra però che tale criterio di lealismo verso le istituzioni si sia innestato su un precedente detto di Gesù, riguardante la totale libertà nei confronti del Santuario.

Egli intendeva sostituirlo in termini vitali: con la sua Persona e quella dei suoi intimi. Spazzandone via i manierismi artificiosi ed esterni.

 

In merito alla Cristologia specifica del brano, essa è nota: il Signore provvede e “paga” per i suoi amici (v.27).

Infatti l’acronimo di «pesce» in lingua greca [«ichthys»: Iēsous Christos Theou Yios Sōtēr] ha il significato di Gesù Messia Figlio di Dio Salvatore. Simbolo della Fede.

In tal guisa, l’autentico impegno dei figli sarà quello di manifestare un Volto di Dio assolutamente diverso da quello diffuso nella mentalità dell’oriente antico e mesopotamico.

Il Padre infatti non siede in una Nube percorsa da fulmini; non brama il titolo di «Grande» che richiama l’idea di forza tremenda, potenza terrificante, rapidità dirompente.

No, non è questa la ‘precedenza’ dell’uomo divino e dell’Altissimo. Egli nei suoi offre redenzione, e paga il tributo per tutti.

Beninteso, la Salvezza non è un meccanismo estrinseco, solo vicario. La Redenzione è Cuore, non un “vestito”.

 

Il «Figlio dell’uomo» non assume azioni standard; ci educa: affina la consapevolezza personale, e della nostra condizione.

Non lo fa per paternalismo, né per coprirci di accuse moraliste: consente di amare, scavalcando il formalismo nel rapporto col Padre.

La sua Presenza di Agnello che offre tutto di sé - anche la pelle - interpella l’umanità e la guida a riflettere sulla sua realtà, precaria anche nel cuore.

Coscienza d’incompletezza che può attivare ciò che conta: il cammino di Esodo, convinto, coinvolgente - a partire dal Centro di sé, piuttosto che da esteriorità legali.

Senza adempimenti che non ci riguardano.

 

 

[Lunedì 19.a sett. T.O. 12 agosto 2024]

Mercoledì, 07 Agosto 2024 06:59

Battezzati nella sua morte, fonte di vita

Il Signore Gesù è andato incontro alla passione, ha imboccato con decisione la via della croce; Egli parlava apertamente ai suoi discepoli di ciò che doveva accadergli a Gerusalemme, e l’oracolo del profeta Osea risuonava nelle sue stesse parole: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà” (Mc 9,31).

L’evangelista annota che i discepoli “non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo” (v. 32). Anche noi, di fronte alla morte, non possiamo non provare i sentimenti e i pensieri dettati dalla nostra condizione umana. E sempre ci sorprende e ci supera un Dio che si fa così vicino a noi da non fermarsi nemmeno davanti all’abisso della morte, che anzi lo attraversa, rimanendo per due giorni nel sepolcro. Ma proprio qui si attua il mistero del “terzo giorno”. Cristo assume fino in fondo la nostra carne mortale affinché essa sia investita dalla gloriosa potenza di Dio, dal vento dello Spirito vivificante, che la trasforma e la rigenera. E’ il battesimo della passione (cfr Lc 12,50), che Gesù ha ricevuto per noi e di cui scrive san Paolo nella Lettera ai Romani. L’espressione che l’Apostolo utilizza – “battezzati nella sua morte” (Rm 6,3) – non cessa mai di stupirci, tale è la concisione con cui riassume il vertiginoso mistero. La morte di Cristo è fonte di vita, perché in essa Dio ha riversato tutto il suo amore, come in un’immensa cascata, che fa pensare all’immagine contenuta nel Salmo 41: “Un abisso chiama l’abisso / al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde / sopra di me sono passati” (v. 8). L’abisso della morte viene riempito da un altro abisso, ancora più grande, che è quello dell’amore di Dio, così che la morte non ha più alcun potere su Gesù Cristo (cfr Rm 8,9), né su coloro che, per la fede e il Battesimo, sono associati a Lui: “Se siamo morti con Cristo – dice san Paolo – crediamo che anche vivremo con lui” (Rm 8,8). Questo “vivere con Gesù” è il compimento della speranza profetizzata da Osea: “… e noi vivremo alla sua presenza” (6,2).

[Papa Benedetto, omelia 3 novembre 2011]

Mercoledì, 07 Agosto 2024 06:56

Redentore del mondo

8. Redenzione: rinnovata creazione

Redentore del mondo! In lui si è rivelata in modo nuovo e più mirabile la fondamentale verità sulla creazione, che il Libro della Genesi attesta quando ripete più volte: «Dio vide che era cosa buona» Il bene ha la sua sorgente nella Sapienza e nell'Amore. In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l'uomo - quel mondo che, essendovi entrato il peccato, «è stato sottomesso alla caducità» - riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell'Amore. Infatti, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Come nell'uomo-Adamo questo vincolo è stato infranto, così nell'uomo-Cristo esso è stato di nuovo riallacciato. Non ci convincono forse, noi uomini del ventesimo secolo, le parole dell'Apostolo delle genti, pronunciate con una travolgente eloquenza, circa la «creazione (che) geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» ed «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio», circa la creazione che «è stata sottomessa alla caducità»? L'immenso progresso, non mai prima conosciuto, che si è verificato, particolarmente nel corso del nostro secolo, nel campo del dominio sul mondo da parte dell'uomo, non rivela forse esso stesso, e per di più in grado mai prima raggiunto, quella multiforme sottomissione «alla caducità»? Basta solo qui ricordare certi fenomeni, quali la minaccia di inquinamento dell'ambiente naturale nei luoghi di rapida industrializzazione, oppure i conflitti armati che scoppiano e si ripetono continuamente, oppure le prospettive di autodistruzione mediante l'uso delle armi atomiche, all'idrogeno, al neutrone e simili, la mancanza di rispetto per la vita dei non nati. Il mondo della nuova epoca, il mondo dei voli cosmici, il mondo delle conquiste scientifiche e tecniche, non mai prima raggiunte, non è nello stesso tempo il mondo che «geme e soffre» ed «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio»?

Il Concilio Vaticano II, nella sua penetrante analisi «del mondo contemporaneo», perveniva a quel punto che è il più importante del mondo visibile, l'uomo, scendendo - come Cristo - nel profondo delle coscienze umane, toccando il mistero interiore dell'uomo, che nel linguaggio biblico (ed anche non biblico) si esprime con la parola «cuore». Cristo, Redentore del mondo, è Colui che è penetrato, in modo unico e irrepetibile, nel mistero dell'uomo ed è entrato nel suo «cuore». Giustamente, quindi, il Concilio Vaticano II insegna: «In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5, 14), e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione». E poi ancora: «Egli è l'immagine dell'invisibile Iddio (Col 1, 15). Egli è l'uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, già resa deforme fin dal primo peccato. Poiché in Lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche a nostro beneficio innalzata a una dignità sublime. Con la sua incarnazione, infatti, il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato». Egli, il Redentore dell'uomo!

[Papa Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis]

Mercoledì, 07 Agosto 2024 06:45

Il suo modo divino

«Il trionfalismo nella Chiesa — ha proseguito il Papa — ferma la Chiesa. Il trionfalismo di noi cristiani ferma i cristiani. Una Chiesa trionfalista è una Chiesa a metà cammino». Una Chiesa che si accontentasse di essere «ben sistemata, con tutti gli uffici, tutto a posto, tutto bello, efficiente», ma che rinnegasse i martiri sarebbe «una Chiesa che soltanto pensa ai trionfi, ai successi; che non ha quella regola di Gesù: la regola del trionfo tramite il fallimento. Il fallimento umano, il fallimento della croce. E questa è una tentazione che tutti noi abbiamo».

E in proposito il Papa ha ricordato un episodio della sua vita: «Una volta, ero in un momento buio della mia vita spirituale, e chiedevo una grazia dal Signore. Sono andato a predicare gli esercizi dalle suore e l’ultimo giorno si sono confessate. È venuta a confessarsi una suora anziana, più di ottant’anni, ma con gli occhi chiari, proprio luminosi. Era una donna di Dio. Poi alla fine l’ho vista tanto donna di Dio che le ho detto: “Suora, come penitenza preghi per me, perché ho bisogno di una grazia, eh? Se lei la chiede al Signore, me la darà sicuro”. Lei si è fermata un attimo, come se pregasse, e mi ha detto questo: “Sicuro che il Signore le darà la grazia ma, non si sbagli: con il suo modo divino”. Questo mi ha fatto tanto bene: sentire che il Signore ci dà sempre quello che chiediamo ma lo fa con il suo modo divino». Questo modo, ha spiegato il Papa, «coinvolge la croce. Non per masochismo, no no: per amore, per amore fino alla fine».

[Papa Francesco, omelia s. Marta  29 maggio 2013;

https://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2013/documents/papa-francesco-cotidie_20130529_trionfalismo-cristiano.pdf]

(Gv 6,41-51)

 

Dio non attira con forza perentoria o ricatti, bensì con l’invito (v.44).

E il credere sincero si attiva a partire da una prima testimonianza in se stessi (v.44).

Il Padre non ci lascia cronicizzare. Agisce nell’intimo di ciascuno per rimodulare convinzioni, adesioni, progetti.

Tutto opera in direzione di noi stessi, non in modo innaturale.

Egli agisce presente in ogni persona nel modo più spontaneo e insieme affine a principi individuanti; più rispettoso delle inclinazioni, delle caratteristiche reali, delle energie.

Tale insegnamento (v.45) è interiore: impersonato da Cristo nella Parola che non snatura nulla - implicito nella sua Persona e vicenda.

In tal guisa il dono della vita è legato all’assimilare e farsi Uno con quell’Alimento.

Cibo che non incrina la persona, ma la convince, sostiene, fermenta e orienta - in modo irripetibile, per Nome.

Quel Pane manducato uccide il conformismo e l’estinzione.

Possiede la virtù di riannodare i fili che contraddistinguono il carattere di Persona, la qualità innata, l’essenza vocazionale, la capacità propulsiva [Vita dell’Eterno].

 

Il pane della terra conserva la vita ma non aggiorna, non ci rigenera incessantemente, né apre una strada attraverso la morte.

Il Pane che riattualizza per noi il dono estremo del Figlio, nutre l’esistere d’una qualità indistruttibile che non sfuma, perché Oro divino del nostro essere sorgivo.

I profeti avevano annunciato: negli ultimi tempi non si sarebbe conosciuto Dio per sentito dire ma per esperienza personale.

Dopo il fallimento dei re e della classe sacerdotale gli uomini sarebbero stati ammaestrati direttamente dal Signore.

L’espressione «Pane disceso dal Cielo» designa Gesù stesso in relazione con il Padre e [appunto] nella sua missione di recare agli uomini Sapienza, e Vita esuberante.

Vita divina, priva di limiti, che si riversa immediatamente in ciascuno - senza le incertezze o interpretazioni velate dai difetti di vista dei “mediatori”, i quali viceversa porterebbero al crollo.

Presenza che nel tempo della complessità accende anche in noi il desiderio di essere istruiti da Dio-in-Persona, guidati dall’Amico interiore. Percorsi da intuizioni rigeneranti, nel suo Spirito.

Egli c’inclina a non dare ascolto a una natura che ricerca e «mormora» solo per il corrivo “sapore” del sostentamento: «manna nel deserto» (v.49); ovvero interesse, reputazione, titoli, banalità di soddisfazioni.

 

«Io Sono il Pane il Vivente, quello disceso dal cielo. Se uno mangia da questo Pane vivrà la Vita dell’Eterno, e il pane che io darò è la mia carne per la vita piena del mondo» (v.51).

Lo Spirito che interiorizza e attualizza è principale Soggetto della storia anche domestica, sommaria, quotidiana, della salvezza. Facendosi nostro.

Evangelizzandoci e crescendo nell’Amicizia - «istruiti da Dio» (v.45) - l’azione nutriente del Maestro immette la nostra carne fermentata nella Vita nuova.

Il Figlio affianco cambia il nostro ‘gusto’ e familiarizza di Sé la stessa ‘Natura’.

Così anche noi assimilati e identificati al Pane-Persona fattosi intimo, sveliamo totalità in atto, eternità vivente, la Fonte originaria.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come entri nel dono di redenzione mediante l’Eucaristia?

Ti sei mai sentito un “reciso dalla terra” a motivo del tuo diverso Alimento dal Cielo?

Quali sono state le occasioni per fare il salto, che forse hai trascurato?

 

 

[19.a  Domenica  T.O.  B  (Gv 6,41-51)]

Martedì, 06 Agosto 2024 15:45

Mistica della Carne dal Cielo

Anche in stile domestico

Gv 6,44-51 (41-51)

 

Gesù vuol far voltare pagina. Non intende puntellare il farraginoso, non più vitale.

Egli è fedele alla legge di mutamento della Vita piena, che senza posa cerca nuovi assetti - invece di ristagnare nella situazione.

Ciò (in ogni tempo) mentre le autorità religiose e gli habitué desiderano restare aggrappati al passato, a ciò che sanno, al senso di “giustizia” ordinario, alla morale di riferimento attorno...

Insomma, quando è il momento di Cristo, tutti se ne vanno. Ma il dissidio è cosa già scritta.

Dio non attira con forza perentoria o ricatti, bensì con l’invito (v.44).

E il credere sincero si attiva a partire da una prima testimonianza in se stessi (v.44).

Per la sua condizione sociale di piccolo artigiano [un senza terra] la «mormorazione» (vv.41.43) era ovvia, e rimandava alla medesima contrarietà espressa dal popolo di Dio vagante nel deserto.

Non solo la pretesa divina di essere autentica Manna, ma l’origine stessa di Gesù è incomprensibile per una mentalità devotamente quieta, normalizzata - che si lascia trascinar via priva di enigmi.

 

La contestazione è indispettita e radicale; predilige e ricalca ciò che dà immediatamente sicurezza - non l’originale. Ma il Signore non allenta, altrimenti ci lascerebbe cronicizzare.

Il dover sembrare, il dover essere, il dover fare, non danno spazio all’ascolto, alla percezione, al cambiamento che ci attende: paralizzano.

Il Padre agisce nell’intimo di ciascuno per rimodulare convinzioni, adesioni, progetti.

Tutto opera in direzione di noi stessi, non in modo innaturale o di altri - e neppure di Lui.

Egli agisce presente in ogni persona nel modo più spontaneo.

In tal guisa e insieme, affine a principi individuanti; più rispettoso delle inclinazioni, delle caratteristiche reali, delle energie anche del periodo.

Tale insegnamento (v.45) è interiore: impersonato da Cristo nella Parola che non snatura nulla - implicito nella sua Persona e vicenda.

Così il dono della vita è legato all’assimilare e farsi Uno con quell’Alimento. Cibo che non incrina la persona, bensì la convince, sostiene, fermenta, e orienta - in modo irripetibile, per Nome.

Quel Pane manducato coglie il sapore di un vuoto dall’esteriorità in fondo al quale non sussiste l’annientamento: siamo introdotti nella redenzione, immessi nella vita nuova.

Nel conformismo, la vita non uccide l’estinzione. Non possiede la virtù di riannodare i fili che contraddistinguono il carattere di Persona, né la qualità innata, l’essenza vocazionale, la capacità propulsiva [Vita dell’Eterno].

È l’implicito “culturale”, rituale e banale, senza ispirazione, poco genuino, che non diviene vivente - e non garantisce pienezza bensì assuefazione.

Come per noi, se ci abbiamo fatto il callo.

 

Il pane della terra conserva la vita ma non aggiorna, non ci rigenera incessantemente, né apre una strada attraverso la morte.

Il Pane che riattualizza per noi il dono estremo del Figlio, nutre l’esistere d’una qualità indistruttibile che non sfuma, perché Oro divino del nostro essere sorgivo.

I profeti avevano annunciato: negli ultimi tempi non si sarebbe conosciuto Dio per sentito dire ma per esperienza personale.

Dopo il fallimento dei re e della classe sacerdotale gli uomini sarebbero stati ammaestrati direttamente dal Signore.

L’espressione «Pane disceso dal Cielo» designa Gesù stesso in relazione con il Padre e [appunto] nella sua missione di recare agli uomini Sapienza e Vita esuberante.

Vita divina, priva di limiti, che si riversa immediatamente, a ciascuno. Senza incertezze o interpretazioni velate dai difetti di vista dei “mediatori”, i quali viceversa porterebbero al crollo.

Presenza che nel tempo della complessità accende anche in noi il desiderio di essere istruiti da Dio-in-Persona, guidati dall’Amico interiore. Percorsi da intuizioni rigeneranti, nel suo Spirito.

Egli c’inclina a non dare ascolto a una natura che ricerca e «mormora» solo per il corrivo “sapore” del sostentamento: «manna nel deserto» (v.49); ovvero interesse, reputazione, titoli, banalità di soddisfazioni.

 

Piuttosto ritroviamo Vita autentica nel dono d’una buona intuizione e interiore Visione.

Nella grazia che ci fa capaci di accogliere la Chiamata.

Nella virtù che permane in ascolto - per fedeltà attiva alla Vocazione, mediante un’abnegazione e rettitudine d’intenzioni che si appropriano di virtù e meriti di Cristo.

 

«Io Sono il Pane il Vivente, quello disceso dal cielo. Se uno mangia da questo Pane vivrà la Vita dell’Eterno, e il pane che io darò è la mia carne per la vita piena del mondo» (v.51).

Lo Spirito che interiorizza e attualizza è principale Soggetto della storia anche sommaria, quotidiana, della salvezza. Facendosi nostro.

Evangelizzandoci e crescendo nell’Amicizia [«istruiti da Dio» (v.45)] l’azione nutriente del Maestro immette la nostra carne fermentata nella Vita nuova.

Il Figlio affianco cambia il nostro ‘gusto’ e familiarizza di Sé la stessa ‘Natura’.

In tal guisa, anche noi assimilati e identificati al Pane-Persona fattosi intimo, sveliamo totalità in atto, eternità vivente, la Fonte originaria.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come entri nel dono di redenzione mediante l’Eucaristia?

Quali propositi “contrari” alla morale di riferimento attorno, il Pane della Vita cerca di trasmetterti?

Ti sei mai sentito un ‘reciso dalla terra’ a motivo del tuo diverso Alimento dal Cielo?

Quali sono state le occasioni per fare il salto, che forse hai trascurato?

La lettura del 6° capitolo del Vangelo di Giovanni, che ci accompagna in queste Domeniche nella Liturgia, ci ha condotti a riflettere sulla moltiplicazione del pane, con il quale il Signore ha sfamato una folla di cinquemila uomini, e sull’invito che Gesù rivolge a quanti aveva saziato di darsi da fare per un cibo che rimane per la vita eterna. Gesù vuole aiutarli a comprendere il significato profondo del prodigio che ha operato: nel saziare in modo miracoloso la loro fame fisica, li dispone ad accogliere l’annuncio che Egli è il pane disceso dal cielo (cfr Gv 6,41), che sazia in modo definitivo. Anche il popolo ebraico, durante il lungo cammino nel deserto, aveva sperimentato un pane disceso dal cielo, la manna, che lo aveva mantenuto in vita, fino all’arrivo nella terra promessa. Ora, Gesù parla di sé come del vero pane disceso dal cielo, capace di mantenere in vita non per un momento o per un tratto di cammino, ma per sempre. Lui è il cibo che dà la vita eterna, perché è il Figlio unigenito di Dio, che sta nel seno del Padre, venuto per dare all’uomo la vita in pienezza, per introdurre l’uomo nella stessa vita di Dio.

Nel pensiero ebraico era chiaro che il vero pane del cielo, che nutriva Israele, era la Legge, la parola di Dio. Il popolo di Israele riconosceva con chiarezza che la Torah era il dono fondamentale e duraturo di Mosè e che l’elemento basilare che lo distingueva rispetto agli altri popoli consisteva nel conoscere la volontà di Dio e dunque la giusta via della vita. Ora Gesù, nel manifestarsi come il pane del cielo, testimonia di essere Lui la Parola di Dio in Persona, la Parola incarnata, attraverso cui l’uomo può fare della volontà di Dio il suo cibo (cfr Gv 4,34), che orienta e sostiene l’esistenza.

Dubitare allora della divinità di Gesù, come fanno i Giudei del passo evangelico di oggi, significa opporsi all’opera di Dio. Essi infatti, affermano: è il figlio di Giuseppe! Di lui conosciamo il padre e la madre! (cfr Gv 6,42). Essi non vanno oltre le sue origini terrene, e per questo si rifiutano di accoglierLo come la Parola di Dio fattasi carne. Sant’Agostino, nel suo Commento al Vangelo di Giovanni, spiega così: «erano lontani da quel pane celeste, ed erano incapaci di sentirne la fame. Avevano la bocca del cuore malata… Infatti, questo pane richiede la fame dell’uomo interiore» (26,1). E dobbiamo chiederci se noi realmente sentiamo questa fame, la fame della Parola di Dio, la fame di conoscere il vero senso della vita. Solo chi è attirato da Dio Padre, chi Lo ascolta e si lascia istruire da Lui può credere in Gesù, incontrarLo e nutrirsi di Lui e così trovare la vera vita, la strada della vita, la giustizia, la verità, l’amore. Sant’Agostino aggiunge: «il Signore… affermò di essere il pane che discende dal cielo, esortandoci a credere in lui. Mangiare il pane vivo, infatti, significa credere in lui. E chi crede, mangia; in modo invisibile è saziato, come in modo altrettanto invisibile rinasce [a una vita più profonda, più vera], rinasce di dentro, nel suo intimo diventa un uomo nuovo» (ibidem).

Invocando Maria Santissima, chiediamole di guidarci all’incontro con Gesù perché la nostra amicizia con Lui sia sempre più intensa; chiediamole di introdurci nella piena comunione di amore con il suo Figlio, il pane vivo disceso dal cielo, così da essere da Lui rinnovati nell’intimo del nostro essere.

[Papa Benedetto, Angelus 12 agosto 2012]

Martedì, 06 Agosto 2024 15:28

Il senso eucaristico dell’esistenza

1. La Giornata Missionaria Mondiale, in quest’anno dedicato all’Eucaristia, ci aiuta a meglio comprendere il senso “eucaristico” della nostra esistenza, rivivendo il clima del Cenacolo, quando Gesù, alla vigilia della sua passione, offrì al mondo se stesso: “Nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me” (1 Cor 11,23-24).

Nella recente Lettera apostolica Mane nobiscum Domine ho invitato a contemplare Gesù “pane spezzato” per l’intera umanità. Seguendo il suo esempio, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli, specialmente per i più bisognosi. L’Eucaristia porta “il segno dell’universalità”, e in modo sacramentale prefigura quel che avverrà “quando tutti quelli che sono partecipi della natura umana, rigenerati in Cristo per mezzo dello Spirito Santo, riflettendo insieme la gloria di Dio, potranno dire: «Padre nostro»” (Ad gentes, 7). In tal modo l’Eucaristia, mentre fa comprendere pienamente il senso della missione, spinge ogni singolo credente e specialmente i missionari ad essere “pane spezzato per la vita del mondo”.

L’umanità ha bisogno di Cristo «pane spezzato»

2. Nella nostra epoca la società umana sembra avvolta da folte tenebre, mentre è scossa da drammatici eventi e sconvolta da catastrofici disastri naturali. Ma, come “nella notte in cui veniva tradito” (1 Cor 11,23), anche oggi Gesù “spezza il pane” (cfr Mt 26,26) per noi e nelle Celebrazioni eucaristiche offre Se stesso sotto il segno sacramentale del suo amore per tutti. Per questo ho voluto ricordare che “l’Eucaristia non è solo espressione di comunione nella vita della Chiesa; essa è anche progetto di solidarietà per l’intera umanità” (Mane nobiscum Domine, 27); è “pane del cielo” che, donando la vita eterna (cfr Gv 6,33), apre il cuore degli uomini a una grande speranza.

Lo stesso Redentore, che alla vista delle folle bisognose sentì compassione “perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9,36), presente nell’Eucaristia, continua nei secoli a manifestare compassione verso l’umanità povera e sofferente.

Ed è in suo nome che gli operatori pastorali e i missionari percorrono sentieri inesplorati per recare a tutti il “pane” della salvezza. Li anima la consapevolezza che uniti a Cristo, “centro non solo della storia della Chiesa, ma anche della storia dell’umanità (cfr Ef 1,10; Col 1,15-20)” (Mane nobiscum Domine, 6), è possibile soddisfare le attese più intime del cuore umano. Gesù solo può spegnere la fame di amore e la sete di giustizia degli uomini; solo Lui rende possibile a ogni persona la partecipazione alla vita eterna: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51).

La Chiesa, insieme con Cristo, si fa “pane spezzato”

3. La Comunità ecclesiale quando celebra l’Eucaristia, in modo speciale la domenica, giorno del Signore, sperimenta alla luce della fede il valore dell’incontro con Cristo risorto, e prende sempre più coscienza che il Sacrificio eucaristico è “per tutti” (Mt 26,28). Se ci si nutre del Corpo e del Sangue del Signore crocifisso e risorto, non si può tenere solo per sé questo “dono”. Occorre, al contrario, diffonderlo. L’amore appassionato per Cristo porta al coraggioso annuncio di Cristo; annuncio che, con il martirio, diventa offerta suprema di amore a Dio e ai fratelli. L’Eucaristia spinge ad una generosa azione evangelizzatrice e ad un impegno fattivo nell’edificazione di una società più equa e fraterna.

Auspico di cuore che l’Anno dell’Eucaristia stimoli tutte le comunità cristiane ad andare incontro “con fraterna operosità a qualcuna delle tante povertà del nostro mondo” (Mane nobiscum Domine, 28). Questo, perché “dall’amore vicendevole e, in particolare, dalla sollecitudine per chi è nel bisogno saremo riconosciuti come veri discepoli di Cristo (cfr Gv 13,35; Mt 25,31-46). E’ questo il criterio in base al quale sarà comprovata l’autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche” (Mane nobiscum Domine, 28).

I missionari, “pane spezzato” per la vita del mondo

4. Anche oggi Cristo comanda ai suoi discepoli: “Date loro voi stessi da mangiare” (Mt 14,16). In suo nome i missionari si recano in tante parti del mondo per annunciare e testimoniare il Vangelo. Essi fanno risuonare con la loro azione le parole del Redentore: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete” (Gv 6,35); essi stessi si fanno “pane spezzato” per i fratelli, giungendo talvolta sino al sacrificio della vita.

Quanti martiri missionari in questo nostro tempo! Il loro esempio trascini tanti giovani sul sentiero dell’eroica fedeltà a Cristo! La Chiesa ha bisogno di uomini e di donne, che siano disposti a consacrarsi totalmente alla grande causa del Vangelo.

La Giornata Missionaria Mondiale costituisce un’opportuna circostanza per prendere consapevolezza dell’urgente necessità di partecipare alla missione evangelizzatrice in cui sono impegnate le Comunità locali e i molteplici Organismi ecclesiali e, in modo particolare, le Pontificie Opere Missionarie e gli Istituti Missionari. E’ missione che, oltre alla preghiera e al sacrificio, attende anche un concreto sostegno materiale. Colgo ancora una volta l’occasione per mettere in luce il prezioso servizio che rendono le Pontificie Opere Missionarie e invito tutti a sostenerle con una generosa cooperazione spirituale e materiale.

La Vergine, Madre di Dio, ci aiuti a rivivere l’esperienza del Cenacolo, perché le nostre Comunità ecclesiali diventino autenticamente “cattoliche”; Comunità, cioè, dove la “spiritualità missionaria”, che è “comunione intima con Cristo” (Redemptoris missio, 88), si pone in stretto rapporto con la “spiritualità eucaristica”, che ha come modello Maria, “Donna eucaristica” (Ecclesia de Eucharistia, 53); Comunità che restano aperte alla voce dello Spirito e alle necessità dell’umanità, Comunità dove i credenti, e specialmente i missionari, non esitano a farsi “pane spezzato per la vita del mondo”.

[Papa Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2005]

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Still today Jesus repeats these comforting words to those in pain: "Do not weep". He shows solidarity to each one of us and asks us if we want to be his disciples, to bear witness to his love for anyone who gets into difficulty (Pope Benedict)
Gesù ripete ancor oggi a chi è nel dolore queste parole consolatrici: "Non piangere"! Egli è solidale con ognuno di noi e ci chiede, se vogliamo essere suoi discepoli, di testimoniare il suo amore per chiunque si trova in difficoltà (Papa Benedetto))
Faith: the obeying and cooperating form with the Omnipotence of God revealing himself
Fede: forma dell’obbedire e cooperare con l’Onnipotenza che si svela
Jesus did not come to teach us philosophy but to show us a way, indeed the way that leads to life [Pope Benedict]
Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia, ma a mostrarci una via, anzi, la via che conduce alla vita [Papa Benedetto]
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole  lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)
The first constitutive element of the group of Twelve is therefore an absolute attachment to Christ: they are people called to "be with him", that is, to follow him leaving everything. The second element is the missionary one, expressed on the model of the very mission of Jesus (Pope John Paul II)
Il primo elemento costitutivo del gruppo dei Dodici è dunque un attaccamento assoluto a Cristo: si tratta di persone chiamate a “essere con lui”, cioè a seguirlo lasciando tutto. Il secondo elemento è quello missionario, espresso sul modello della missione stessa di Gesù (Papa Giovanni Paolo II)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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