don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

In questa domenica prosegue la lettura del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, in cui Gesù, dopo aver compiuto il grande miracolo della moltiplicazione dei pani, spiega alla gente il significato di quel “segno” (Gv 6,41-51).

Come aveva fatto in precedenza con la Samaritana, partendo dall’esperienza della sete e dal segno dell’acqua, qui Gesù parte dall’esperienza della fame e dal segno del pane, per rivelare Sé stesso e invitare a credere in Lui.

La gente lo cerca, la gente lo ascolta, perché è rimasta entusiasta del miracolo - volevano farlo re! -; ma quando Gesù afferma che il vero pane, donato da Dio, è Lui stesso, molti si scandalizzano, non capiscono, e cominciano a mormorare tra loro: «Di lui – dicevano – non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo?”» (Gv 6,42). E cominciano a mormorare. Allora Gesù risponde: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato», e aggiunge: «Chi crede ha la vita eterna» (vv. 44.47).

Ci stupisce, e ci fa riflettere questa parola del Signore. Essa introduce nella dinamica della fede, che è una relazione: la relazione tra la persona umana – tutti noi – e la Persona di Gesù, dove un ruolo decisivo gioca il Padre, e naturalmente anche lo Spirito Santo – che qui rimane sottinteso. Non basta incontrare Gesù per credere in Lui, non basta leggere la Bibbia, il Vangelo - questo è importante!, ma non basta -; non basta nemmeno assistere a un miracolo, come quello della moltiplicazione dei pani. Tante persone sono state a stretto contatto con Gesù e non gli hanno creduto, anzi, lo hanno anche disprezzato e condannato. E io mi domando: perché, questo? Non sono stati attratti dal Padre? No, questo è accaduto perché il loro cuore era chiuso all’azione dello Spirito di Dio. E se tu hai il cuore chiuso, la fede non entra. Dio Padre sempre ci attira verso Gesù: siamo noi ad aprire il nostro cuore o a chiuderlo. Invece la fede, che è come un seme nel profondo del cuore, sboccia quando ci lasciamo “attirare” dal Padre verso Gesù, e “andiamo a Lui” con il cuore aperto, senza pregiudizi; allora riconosciamo nel suo volto il Volto di Dio e nelle sue parole la Parola di Dio, perché lo Spirito Santo ci ha fatto entrare nella relazione d’amore e di vita che c’è tra Gesù e Dio Padre. E lì noi riceviamo il dono, il regalo della fede.

Allora, con questo atteggiamento di fede, possiamo comprendere anche il senso del “Pane della vita” che Gesù ci dona, e che Egli esprime così: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). In Gesù, nella sua “carne” – cioè nella sua umanità concreta – è presente tutto l’amore di Dio, che è lo Spirito Santo. Chi si lascia attirare da questo amore va verso Gesù e va con fede, e riceve da Lui la vita, la vita eterna.

Colei che ha vissuto questa esperienza in modo esemplare è la Vergine di Nazaret, Maria: la prima persona umana che ha creduto in Dio accogliendo la carne di Gesù. Impariamo da Lei, nostra Madre, la gioia e la gratitudine per il dono della fede. Un dono che non è “privato”, un dono che non è proprietà privata ma è un dono da condividere: è un dono «per la vita del mondo»!

[Papa Francesco, Angelus 9 agosto 2015]

Martedì, 06 Agosto 2024 13:55

Chicco, tramite della Vita in forma nuova

Gv 12,24-26 (20-26)

 

«Se il granello di frumento caduto a terra non muore, esso rimane solo; ma se muore, porta molto frutto» [Gv 12,24].

 

Ci chiediamo: in che modo è possibile in qualsiasi situazione far germogliare cose preziose? Come diventare fecondi?

E il piacere di vivere? Possiamo sperimentare almeno brevi momenti di eternità?

 

Nell’avanzamento del cammino spirituale, scopriamo che non basta essere lontani dagli idoli: desideriamo fare passi successivi.

Vogliamo pienezza e gioia; non rimanere soffocati nelle mansioni senza incanto, nei meccanismi privi di passo lirico.

Cristo è davvero in grado di fornire alla nostra esistenza un colpo d’ala,  far esplodere vita - gestire gli impegni in modo diverso, e trasalire di felicità?

Oppure ci scava definitivamente la fossa, col suo Nascondimento … che sembra un’opzione di morte?

Vorremmo approfondire, e magari da semplici ammiratori diventare Apostoli - coinvolti nel segreto brioso e crescente di Gesù.

Il modo migliore di «vedere» il Signore [v.21b - ossia capire e sperimentare il suo Volto generatore di Vita] sembra quello di accostarsi a un processo naturale. E l’immagine è presa dal mondo agricolo.

Affinché in un campo possano germogliare spighe, è necessario che i chicchi scompaiano nella terra.

Solo da una trasmutazione può sbocciare il prodigio d’un processo di nuova genesi, e quella nascita che porge il ‘cento per uno’.

La posta in palio è sconcertante: la vita non sviluppa a partire da un qualche proposito (artificioso) bensì dalla ‘natura’ stessa del Seme che dentro ha tutta una vitalità particolare.

 

Per realizzare ciò che ci caratterizza, il successo o la capacità di farsi “direttori” di sé non c’entra. Anzi, forse è meglio imparare ad attendere, e agire con lentezza, ospitando la Linfa che ‘viene’.

Neppure possiamo cavarcela con un’osservanza religiosa sostitutiva, la quale spesso [cercando di mettere le cose a posto, all’istante, all’esterno] si tramuta in serbatoio d’intimi disagi e nevrosi.

La crescita vocazionale in pienezza di persona e di essere, contrasta ogni opinione lontana dalle Radici dell’essenza e delle sue metamorfosi.

 

Sulla base della propria esperienza, Gesù vuol dire:

Compagna di vita del profeta che corrisponde alla propria “assurda” Chiamata è la solitudine, lo stare all’angolo, il non essere cercato - e sentirsi trattare come inadeguato, disonorevole o fallito (proprio dagli esperti e da gente di rango).

Non è previsto che si possa sbrigare questo tipo di pratica schietta con se stessi, con Dio e gli uomini imboccando scorciatoie di zucchero filato: bisogna incontrare i nostri e altrui “piani bassi”.

La via dei rapporti fatui - di facciata, spesso subiti e di sovrappeso - non ci corrisponderà mai.

Proprio così: andremo dritti all’obbiettivo solo entrando in una nuova normalità, e restando concentrati sulla nostra autentica trama caratteriale, ove si annida la Chiamata di Dio.

Qui le situazioni amare si riveleranno transitorie.

E se nel frattempo non ci saremo lasciati andare a motivo di qualche mancato riconoscimento o appartenenza, la storia ci troverà da un’altra parte.

 

Ma facciamo continuamente attenzione alle proposte spirituali poco evangeliche - appunto, carenti di  ri-Nascite.

La dimensione sapiente del «Chicco che muore» non riguarda il volontarismo e l’autocontrollo, che ci faranno sconcertare dentro, sminuendo la sacra Unicità dell’anima e della Vocazione.

La disciplina di maniera che assume a ‘modello’ il già stabilito [e “come dovremmo essere”] trametterà solo lacerazioni; ci farà ammalare!

L’eccesso di controllo infatti, in ogni circostanza concreta attenuerà la nostra eccezionale inclinazione dell’essere variegato, dissanguerà il Mistero personale, e la crescente fioritura di Vita nuova.

Invece, il Signore ci vuole Pronti a ricreare noi stessi e far rigenerare il mondo - anche nel tempo della crisi globale.

 

 

[S. Lorenzo, 10 agosto 2024]

Martedì, 06 Agosto 2024 13:51

Chicco, tramite della Vita in forma nuova

(Gv 12,20-33)

 

«Se il granello di frumento caduto a terra non muore, esso rimane solo; ma se muore, porta molto frutto» [Gv 12,24].

 

Ci chiediamo: in che modo è possibile in qualsiasi situazione far germogliare cose preziose? Qual è il modo migliore per occuparsi di sé? Come diventare fecondi, senza restringere il proprio spazio vitale?

Cosa attinge una propria linfa persino dai traumi, dai disagi, dagli insuccessi, o da ciò che non ci lascia tranquilli? E il piacere di vivere? Possiamo sperimentare almeno brevi momenti di eternità?

Cristo è davvero in grado di fornire alla nostra esistenza un colpo d’ala,  far esplodere vita - gestire gli impegni in modo diverso, e trasalire di felicità?

Oppure ci scava definitivamente la fossa, col suo Nascondimento (che sembra un’opzione di morte)?

Siamo già ampiamente introdotti, ma forse non ci sentiamo abbastanza consapevoli: vorremmo approfondire, e magari da semplici ammiratori diventare Apostoli - coinvolti nel segreto brioso e crescente di Gesù.

 

Nell’avanzamento del cammino spirituale, scopriamo che non basta essere lontani dagli idoli e celebrare la fede: desideriamo fare passi successivi (vv.20-22), sperimentare immensi regali.

Vogliamo pienezza, espansione, gioia; non rimanere soffocati nelle mansioni senza incanto, nei meccanismi senza passo lirico.

E addentrarci nella Fede che sia già amore non compulsivo - così accedere alla salvezza integrale.

Desideriamo essere nella completezza - e quello del chicco di frumento che marcisce facendosi tramite dell’integrità perfetta non è un invito ad accumulare fatiche, né al dolorismo (intimista o catartico) bensì al  rigoglio totale.

Insomma c’è crisi fra l’attaccamento al sé consolidato e approvato, e la sequela senza quelle ansie dentro. Discepolato che porta a letizia compiuta: vedersi sviluppare, espandere, fiorire - manifestando in forma nuova tutta la propria onda vitale.

 

Gv presenta il primo contatto dei già credenti con gli stranieri mettendo in campo dei «greci», arrivati a Gerusalemme per salire al Tempio in occasione della grande festa di Pasqua.

Forse desideravano «vedere Gesù» come la star del momento - ma in Lui incontrano una proposta di dono agli antipodi della concezione ellenista. Il contrasto che fa da sfondo all’episodio è acuto.

In Grecia era stato coniato il termine «aristoi» per indicare le persone di successo, che si stagliavano sugli altri: i migliori. Erano i ragguardevoli, coloro che ottenevano prestigio, fama, visibilità, onori consistenti.

Il Maestro toglie il velo delle illusioni [anche poi ecclesiastiche] insipienti. Ritiene questo ideale di vita infecondo.

E spiega in cosa consiste la Gloria che ha peso specifico: «cadere a terra» - affinché sia quest’ultima e le sue energie nascoste a rigenerare il nostro e altrui destino.

Insomma, in ogni persona ci sono forze sopite che attendono - anche se non le si volesse ammettere.

Esse pretendono una via propria; non modelli. In tal guisa, esse vengono liberate soltanto quando non ci si precipita ad aggiustare le cose come “dovrebbero essere”.

 

Sentiamo talora l’inconscio che vuole una evoluzione; ma i volti inespressi non emergono... le virtù primordiali restano soffocate.

Forse anche nel tempo della crisi globale pretendiamo di continuare così, a galleggiare sulle procedure, disinteressandoci della Vita come sorgente - non camuffata, a tutto tondo e senza lustrini.

Chi pensa ancora in modo conforme rimane nel recinto… diventato la tomba dell’anima.

Costui si ripiega sulla gloria fatua, resta sempre a distanza di sicurezza da altre possibilità, e perde il se stesso che dà origine al futuro.

Dice infatti il Tao Tê Ching (xxviii): «Chi sa d’esser glorioso e si mantiene nell’ignominia, è la valle del mondo; essendo la valle del mondo, la virtù sempre si ferma in lui, ed egli ritorna ad esser grezzo. Quando quel ch’è grezzo vien tagliato, allora se ne fanno strumenti; quando l’uomo santo ne usa, allora ne fa i primi tra i ministri».

 

Il modo migliore di «vedere» il Signore [v.21b - ossia capire e sperimentare il suo Volto generatore di vita] sembra quello di accostarsi a un processo naturale.

E l’immagine evangelica è presa dal mondo agricolo.

Affinché in un campo possano germogliare spighe, è necessario che i chicchi scompaiano nella terra, scivolando nell’oblio.

Solo da una trasmutazione (senza resistenze) può sbocciare il prodigio: un processo di nuova genesi e sviluppo, e quella nascita che porge il cento per uno [genesi ben dilatata, per es. a paragone delle piccine speranze di ruolo sociale].

La posta in palio è sconcertante: sembra paradossale, ma la vita non sviluppa a partire da un qualche proposito artificioso, bensì dalla natura stessa del seme, che dentro ha tutta una vitalità particolare.

Per realizzare ciò che ci caratterizza, il successo o la capacità di farsi “direttori” di sé non c’entra.

Anzi, forse è meglio imparare ad attendere, e agire con lentezza, ospitando la linfa che viene - invece che diventare frettolosamente persone “con” posizione sociale ragguardevole.

Neppure possiamo cavarcela allestendo un’osservanza religiosa sostitutiva che non ci corrisponde e non vogliamo, la quale spesso [cercando di mettere le cose a posto, all’istante, all’esterno] si tramuta in serbatoio d’intimi disagi e nevrosi.

 

Attivati dal Mistero paradossale, che chiama per Nome, passo passo e sapientemente, siamo invitati a rispettare i processi reali e gli sviluppi complessivi.

La crescita missionale in pienezza di personalità e di essere è tutta naturale - e solo così contrasta le opposizioni, anzi le coglie come opportunità che accendono il cammino, e opportunamente lo deviano.

Il nostro sviluppo è crescita globale.

Esso contrasta ogni falsa voce interiore o potenza esteriore: inclinazioni eterodirette - volte all’apparire. [Rincorse per farsi riconoscere al primo colpo… tutte opinioni a buon mercato; lontane dalle radici dell’essenza e delle metamorfosi].

 

Sulla base della propria esperienza, Gesù vuol dire:

Compagna di vita del Profeta che corrisponde alla propria “assurda” Chiamata non è l’affermazione d’emblée (statica, di sé) che non dà spazio al sogno inespresso.

Piuttosto, ecco la solitudine, lo stare all’angolo, il non essere cercato - e sentirsi trattare come inadeguato, disonorevole o fallito (proprio dagli esperti e da gente di rango).

 

Non è previsto che si possa sbrigare questo tipo di pratica schietta con se stessi, con Dio e gli uomini imboccando scorciatoie di zucchero filato: bisogna incontrare i nostri e altrui “piani bassi”.

La via dei rapporti fatui - di facciata, spesso subiti e di sovrappeso - non ci corrisponderà mai.

Proprio così: andremo dritti all’obbiettivo solo entrando in una nuova normalità: per voltare pagina, restando concentrati sulla nostra autentica trama caratteriale, ove si annida l’Appello imprevedibile di Dio che fa spazio all’istinto di libertà.

Le situazioni amare si riveleranno transitorie.

E se nel frattempo non ci saremo lasciati andare a motivo di qualche mancato riconoscimento o appartenenza, la storia ci troverà da un’altra parte.

 

Ma facciamo continuamente attenzione alle proposte spirituali poco evangeliche - appunto, carenti di  ri-Nascite.

La dimensione sapiente del «Chicco che muore» non riguarda il volontarismo e l’autocontrollo, che ci faranno sconcertare dentro, sminuendo la sacra Unicità dell’anima e della Vocazione.

La disciplina di maniera che assume a ‘modello’ il già stabilito [e “come dovremmo essere”] trametterà solo lacerazioni; ci farà ammalare!

L’eccesso di controllo infatti, in ogni circostanza concreta attenuerà la nostra eccezionale inclinazione dell’essere variegato, dissanguerà il Mistero personale, e la crescente fioritura di Vita nuova.

Invece, il Signore ci vuole Pronti a ricreare noi stessi e far rigenerare il mondo - anche nel tempo della crisi globale.

 

Insomma, le attese “adeguate” sono armi a doppio taglio, assurdi alibi; ideali annebbiati - prodotti dall’artifizio. Senz’alcun Mistero che respiri dentro.

Chi invece consegna la reputazione, apparentemente sembra che marcisca, eppure (come Gesù) troverà immensità di raccolto.

 

Il Segno del Pane aiuta a non farci illusioni: il ministero dei discepoli non è per chiudersi, neppure per narrare l’ammirazione esterna e rimanere nella tana - bensì per farlo «vedere».

Anche nel tempo dei rivolgimenti complessivi.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

In cosa riconosci i tramiti della vita, o a cosa accordi un altissimo onore?

Il Vangelo, dal dodicesimo capitolo di Giovanni, che io vorrei cercare di spiegare, è anche un Vangelo della speranza e, nello stesso tempo, è un Vangelo della Croce. Queste due dimensioni vanno insieme: poiché il Vangelo si riferisce alla Croce, parla della speranza, e poiché dona speranza, deve parlare della Croce.

Giovanni ci narra che Gesù era salito a Gerusalemme per celebrare la Pasqua e poi dice: “C'erano anche alcuni greci che erano saliti per il culto”. Erano sicuramente uomini del gruppo dei cosiddetti phoboumenoi ton Theon, i “timorati di Dio”, che, al di là del politeismo del loro mondo, erano alla ricerca del Dio autentico che è veramente Dio, alla ricerca dell’unico Dio, al quale appartiene il mondo intero e che è il Dio di tutti gli uomini. E avevano trovato quel Dio, che chiedevano e cercavano, al quale ogni uomo anela in silenzio, nella Bibbia di Israele, riconoscendovi quel Dio che ha creato il mondo. Egli è il Dio di tutti gli uomini e, allo stesso tempo, ha scelto un popolo concreto e un luogo per essere da lì presente tra noi. Sono cercatori di Dio, e sono venuti a Gerusalemme per adorare l'unico Dio, per sapere qualcosa del suo mistero. Inoltre, l'evangelista ci narra che queste persone sentono parlare di Gesù, vanno da Filippo, l'apostolo proveniente da Betsaida, in cui per metà si parlava in greco, e dicono: “Vogliamo vedere Gesù”. Il loro desiderio di conoscere Dio li spinge a voler vedere Gesù e attraverso di lui conoscere più da vicino Dio. “Vogliamo vedere Gesù”: un’espressione che ci commuove, poiché noi tutti vorremmo sempre più veramente vederlo e conoscerlo. Penso che quei greci ci interessano per due motivi: da una parte, la loro situazione è anche la nostra, anche noi siamo pellegrini con la domanda su Dio, alla ricerca di Dio. E anche noi vorremmo conoscere Gesù più da vicino, vederlo veramente. Tuttavia  è anche vero che, come Filippo e Andrea, dovremmo essere amici di Gesù, amici che lo conoscono e possono aprire agli altri il cammino che porta a lui. E perciò penso che in quest’ora dovremmo pregare così: Signore, aiutaci a essere uomini in cammino verso di te. Signore, donaci di poterti vedere sempre di più. Aiutaci a essere tuoi amici, che aprono  agli altri la porta verso di te. Se ciò portò effettivamente ad un incontro fra Gesù e quei greci, san Giovanni non lo narra. La risposta di Gesù, che egli ci riferisce, va molto al di là di quel momento contingente. Si tratta di una doppia risposta: parla della glorificazione di Gesù che ora iniziava: “È venuta l’ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato” (Gv 12,23). Il Signore spiega questo concetto della glorificazione con la parabola del chicco di grano: “In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto” (v. 24). In effetti, il chicco di grano deve morire, in certo qual modo spezzarsi nel terreno, per assorbire in sé le forze della terra e così divenire stelo  e frutto. Per quanto riguarda il Signore, questa è la parabola del suo proprio mistero. Egli stesso è il chicco di grano venuto da Dio, il chicco di grano divino, che si lascia cadere sulla terra, che si lascia spezzare, rompere nella morte e, proprio attraverso questo, si apre e può così portare frutto nella vastità del mondo. Non si tratta più solo di un incontro con questa o quella persona per un momento. Ora, in quanto risorto, è “nuovo” e oltrepassa i limiti spaziali e temporali. Adesso raggiunge veramente i greci. Ora si mostra a loro e parla con loro, ed essi parlano con lui e in tal modo nasce la fede, cresce la Chiesa a partire da tutti i popoli, la comunità di Gesù Cristo risorto, che diventerà il suo corpo vivo, frutto del chicco di grano. In questa parabola possiamo trovare anche un riferimento al mistero dell'Eucaristia: Egli, che è il chicco di grano, cade nella terra e muore.

Così nasce la santa moltiplicazione del pane dell'Eucaristia, nella quale egli diviene pane per gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

Ciò, che qui, in questa parabola cristologica, il Signore dice di sé, lo applica a noi in due altri versetti: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (v. 25). Penso che quando ascoltiamo ciò, in un primo momento, non ci piace. Vorremmo dire al Signore: Ma cosa ci stai dicendo, Signore? Dobbiamo odiare la nostra vita, noi stessi? La nostra vita non è forse un dono di Dio? Non siamo stati creati a tua immagine? Non dovremmo essere grati e lieti perché ci ha donato la vita? Ma la parola di Gesù ha un altro significato. Naturalmente il Signore ci ha donato la vita, e di questo siamo grati. Gratitudine e gioia sono atteggiamenti fondamentali dell’esistenza cristiana. Sì, possiamo essere lieti perché sappiamo che questa mia vita è da Dio. Non è un caso privo di senso. Io sono voluto e sono amato. Quando Gesù dice che dovremmo odiare la nostra propria vita, intende dire tutt’altro. Pensa qui a due atteggiamenti fondamentali. Uno è quello per cui io vorrei tenere per me la mia vita, per cui considero la mia vita come mia proprietà, considero me stesso come mia proprietà, per cui vorrei sfruttare il più possibile questa vita presente, così da aver vissuto molto vivendo per me stesso. Chi lo fa, chi vive per se stesso e considera e vuole solo se stesso, non si trova, si perde. È proprio il contrario: non prendere la vita, ma darla. Questo ci dice il Signore. E non è che prendendo la vita per noi, noi la riceviamo, ma è donandola, andando oltre noi stessi, non guardando a noi, ma dandosi all’altro nell’umiltà dell’amore, donando la nostra vita a lui e agli altri. Così diveniamo ricchi allontanandoci da noi stessi, liberandoci da noi stessi. Donando la vita, e non prendendola, riceviamo veramente vita.

[Papa Benedetto, visita alla Chiesa Luterana di Roma 14 marzo 2010]

Martedì, 06 Agosto 2024 13:44

Chicco Eucaristia Chiesa Famiglia

1. “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto” (Gv 12, 24).

Queste parole furono pronunciate dal Signore Gesù mentre pensava alla sua morte. È lui in primo luogo quel “chicco di grano” che “cade in terra e muore” Il Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, fu fatto uomo. Egli entrò nella vita degli uomini e delle donne comuni come il Figlio della Vergine Maria di Nazaret. E infine egli accettò la morte sulla croce come sacrificio per i peccati del mondo. Precisamente in questo modo il chicco di grano muore e produce molto frutto. È il frutto della redenzione del mondo, il frutto della salvezza delle anime, la potenza della verità e dell’amore come principio di vita eterna in Dio.

In questo senso la parabola del chicco di grano ci aiuta a capire il vero mistero di Cristo.

2. Nello stesso tempo, il chicco di grano che “cade in terra e muore” diventa la promessa del pane. Un uomo raccoglie dai suoi campi le spighe di grano che sono cresciute dal semplice chicco e, trasformando il grano raccolto in farina, con essa fa il pane che è nutrimento per il suo corpo. In questo modo la parabola di Cristo sul chicco di grano ci aiuta a capire il mistero dell’Eucaristia.

Infatti, all’ultima cena, Cristo prese il pane nelle sue mani, lo benedisse e pronunciò queste parole: “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto per voi”. Ed egli distribuì agli apostoli il pane spezzato che era divenuto in modo sacramentale il suo proprio corpo.

In modo simile egli compì la transustanziazione del vino nel proprio sangue, e, distribuendolo agli apostoli, disse: “Prendete e bevete, questo è il calice del mio sangue, il sangue della nuova ed eterna alleanza. Esso sarà versato per voi e per tutti in remissione dei vostri peccati”. E aggiunse: “Fate questo in memoria di me”.

3. È così che il mistero di Cristo ci è stato tramandato per il tramite del sacramento dell’Eucaristia.

Il mistero del Redentore del mondo che sacrificò se stesso per noi tutti, offrendo il suo corpo e il suo sangue nel sacrificio della croce. Grazie all’Eucaristia si adempiono le parole del nostro Redentore: “Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi” (Gv 14, 18).

Attraverso questo sacramento egli ritorna sempre da noi.

Non siamo orfani. Egli è con noi! Nell’Eucaristia egli porta a noi anche la sua pace, e ci aiuta a superare le nostre debolezze e i nostri timori. È proprio come egli aveva annunciato:

“Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” (Gv 14, 27).

E quindi, fin dal principio, i discepoli e i testimoni del nostro Signore crocifisso e risorto “erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2, 42).

Essi rimasero fedeli “nella frazione del pane”. In altre parole, l’Eucaristia costituiva il vero centro della loro vita, il centro della vita della comunità cristiana, il centro della vita della Chiesa.

Così è stato fin dal principio a Gerusalemme. Così è stato ovunque siano stati introdotti la fede nel Vangelo e l’insegnamento degli apostoli. Di generazione in generazione è stato così, fra popoli e nazioni differenti. Così è anche stato nel continente africano, fin dal primo momento in cui il Vangelo raggiunse queste terre per opera dei missionari, e produsse i suoi primi frutti in una comunità raccolta per celebrare l’Eucaristia [...]

8. Nutrire, vestire e prendersi cura di ciascun figlio richiede molto sacrificio e duro lavoro. Oltre a ciò, i genitori hanno il dovere di educare i loro figli. Come afferma il Concilio Vaticano II: “Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può a stento essere supplita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell’atmosfera vivificata dell’amore e della pietà verso Dio e verso gli uomini, che favorisce l’educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia dunque è la prima scuola delle virtù sociali, di cui appunto hanno bisogno tutte le società” (Gravissimum educationis, 3).

9. La preghiera è essenziale nella vita di ogni cristiano, ma la preghiera della famiglia ha un suo posto speciale. Dal momento che essa è una forma partecipativa di preghiera, deve essere modellata e adattata alle particolarità e alla composizione di ciascuna famiglia. Poche attività influiscono su una famiglia quanto la preghiera in comune. La preghiera alimenta il rispetto per Dio e il rispetto reciproco. Essa pone le gioie e i dolori, le speranze e le delusioni, ogni evento e ogni situazione, nella prospettiva della divina misericordia e provvidenza. La preghiera della famiglia apre il cuore di ciascuno al Sacro Cuore di Gesù, e aiuta la famiglia a essere più unita, e ancora più pronta a servire la chiesa e la società.

[Papa Giovanni Paolo II, dall’omelia a Nairobi, 18 agosto 1985]

Il Vangelo di oggi […] racconta un episodio avvenuto negli ultimi giorni della vita di Gesù. La scena si svolge a Gerusalemme, dove Egli si trova per la festa della Pasqua ebraica. Per questa celebrazione rituale sono arrivati anche alcuni greci; si tratta di uomini animati da sentimenti religiosi, attirati dalla fede del popolo ebraico e che, avendo sentito parlare di questo grande profeta, si avvicinano a Filippo, uno dei dodici apostoli, e gli dicono: «Vogliamo vedere Gesù» (v. 21). Giovanni pone in risalto questa frase, centrata sul verbo vedere, che nel vocabolario dell’evangelista significa andare oltre le apparenze per cogliere il mistero di una persona. Il verbo che utilizza Giovanni, “vedere”, è arrivare fino al cuore, arrivare con la vista, con la comprensione fino all’intimo della persona, dentro la persona.

La reazione di Gesù è sorprendente. Egli non risponde con un “sì” o con un “no”, ma dice: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato» (v. 23). Queste parole, che sembrano a prima vista ignorare la domanda di quei greci, in realtà danno la vera risposta, perché chi vuole conoscere Gesù deve guardare dentro alla croce, dove si rivela la sua gloria. Guardare dentro alla croce. Il Vangelo di oggi ci invita a volgere il nostro sguardo al crocifisso, che non è un oggetto ornamentale o un accessorio di abbigliamento – a volte abusato! – ma è un segno religioso da contemplare e comprendere. Nell’immagine di Gesù crocifisso si svela il mistero della morte del Figlio come supremo atto di amore, fonte di vita e di salvezza per l’umanità di tutti i tempi. Nelle sue piaghe siamo stati guariti.

Posso pensare: “Come guardo io il crocifisso? Come un’opera d’arte, per vedere se è bello o non bello? O guardo dentro, entro nelle piaghe di Gesù fino al suo cuore? Guardo il mistero del Dio annientato fino alla morte, come uno schiavo, come un criminale?”. Non dimenticatevi di questo: guardare il crocifisso, ma guardarlo dentro. C’è questa bella devozione di pregare un Padre Nostro per ognuna delle cinque piaghe: quando preghiamo quel Padre Nostro, cerchiamo di entrare attraverso le piaghe di Gesù dentro, dentro, proprio al suo cuore. E lì impareremo la grande saggezza del mistero di Cristo, la grande saggezza della croce.

E per spiegare il significato della sua morte e risurrezione, Gesù si serve di un’immagine e dice: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (v. 24). Vuole far capire che la sua vicenda estrema – cioè la croce, morte e risurrezione – è un atto di fecondità – le sue piaghe ci hanno guariti – una fecondità che darà frutto per molti. Così paragona sé stesso al chicco di grano che marcendo nella terra genera nuova vita. Con l’Incarnazione Gesù è venuto sulla terra; ma questo non basta: Egli deve anche morire, per riscattare gli uomini dalla schiavitù del peccato e donare loro una nuova vita riconciliata nell’amore. Ho detto “per riscattare gli uomini”: ma, per riscattare me, te, tutti noi, ognuno di noi, Lui ha pagato quel prezzo. Questo è il mistero di Cristo. Va’ verso le sue piaghe, entra, contempla; vedi Gesù, ma da dentro.

E questo dinamismo del chicco di grano, compiutosi in Gesù, deve realizzarsi anche in noi suoi discepoli: siamo chiamati a fare nostra questa legge pasquale del perdere la vita per riceverla nuova ed eterna. E che cosa significa perdere la vita? Cioè, che cosa significa essere il chicco di grano? Significa pensare di meno a sé stessi, agli interessi personali, e saper “vedere” e andare incontro ai bisogni del nostro prossimo, specialmente degli ultimi. Compiere con gioia opere di carità verso quanti soffrono nel corpo e nello spirito è il modo più autentico di vivere il Vangelo, è il fondamento necessario perché le nostre comunità crescano nella fraternità e nell’accoglienza reciproca. Voglio vedere Gesù, ma vederlo da dentro. Entra nelle sue piaghe e contempla quell’amore del suo cuore per te, per te, per te, per me, per tutti.

La Vergine Maria, che ha tenuto sempre lo sguardo del cuore fisso al suo Figlio, dalla mangiatoia di Betlemme fino alla croce sul Calvario, ci aiuti a incontrarlo e conoscerlo così come Lui vuole, perché possiamo vivere illuminati da Lui, e portare nel mondo frutti di giustizia e di pace.

[Papa Francesco, Angelus 18 marzo 2018]

Martedì, 06 Agosto 2024 12:44

Il senso dell’Invito

Anime sagge, o pazze

(Mt 25,1-13)

 

Il tema non è quello della vigilanza morale, bensì puntuale: prima o poi tutti i battezzati in Cristo si addormentano (v.5).

E l’ambiente non sembra dei migliori: lo sposo ritarda, le ragazze sono assopite, alcune senz’olio e le altre... acide.

Ma a volte siamo come pazzi che vanno a costruire case sulla sabbia: alla prima fiumana crolla tutto.

L’entusiasmo c’era, la sintonia col Signore e la sua voglia di abbracciare e trasmettere pienezza di essere... forse no.

Manca una dimensione di profondità, o di speranza viva che anima le motivazioni e lubrifica l’energia, nell'impulso alla missione.

È l’esito di coloro che sembrano aver accolto le Beatitudini di tutto punto, ma non le fanno proprie...

Non per il fatto che non adempiono bene il ruolo - una mansione - ma perché non mettono in relazione l’ascolto con la pratica non distratta, squisitamente evangelica.

Alimentare la torcia è promuovere la vita!

E l’Appello, il momento opportuno, giunge improvviso; non si allestisce attraverso una scelta generale o formale che evolve senza correlazioni, binari personali, attenzione agli eventi e capacità di corrispondere.

Qui la relazione di Fede non è olio che si possa prestare.

Esistono anime ansiose o perfezioniste che si precipitano a intervenire, ma difettano di percezione. Vi sono cuori timorosi e paralizzati: devono acquisire flessibilità.

Alcuni fissano i momenti “no” e non sanno trasformarli in occasioni di risveglio, ovvero guariscono troppo tardi. Altri dipendono dalla stagione o vivono di adrenalina e difettano di consapevolezza.

Qualcuno deve rallentare e raccogliersi, ritrovare se stesso e la leggerezza vocazionale istintiva, la propria parte infinita - ma evitando strategie puerili.

Altri che già hanno accolto il divino, avrebbero bisogno di svegliarsi dal torpore, per mettere in moto la luce sapiente e innata che possiedono nelle inclinazioni profonde.

C’è chi ha necessità di gettare zavorre, divenire più sottile nell’udire e nel porgersi, o meno dirigista; altri prepararsi all’Incontro in una dimensione più relazionale e visibile.

Ci sono persone che devono complicarsi la vita per poi semplificare [senza disperdere] divenendo infine più nitide; altre e forse più, imparare a donare. Così via.

Quindi... meglio alcuni con la luce che tutti al buio. Le azioni e il rischio per la sapienza, l’amore e la completezza di vita costruiscono la Persona e il suo dialogo.

Spesso s’immagina di aver provveduto alla propria pratica con Dio iscrivendosi nei registri parrocchiali, senza però elaborarne l’impegno.

Ma chi non edifica né comunica vita non ha nulla a che fare con Dio stesso (v.12).

In tal guisa, anche la crisi potrà avere un senso evolutivo; nel non sentirsi assoluti, nella logica delle opzioni, nella personalizzazione, nell’Incontro imprevisto e differente.

Soglia di ogni Esodo, verso la Libertà e la Festa.

 

Quando la polizia nazista bussò alla porta del Monastero delle Carmelitane di Echt, Edith era pronta. Non aveva perso il senso dell’invito a Nozze.

 

 

[S. Teresa Benedetta della Croce,  9 agosto 2024]

Martedì, 06 Agosto 2024 12:39

Anime pazze o sagge

La distrazione in sala d’attesa, o una crisi dal senso evolutivo

(Mt 25,1-13)

 

Il tema non è quello della vigilanza morale, bensì puntuale: prima o poi tutti i battezzati in Cristo si addormentano (v.5).

E l’ambiente non sembra dei migliori: lo sposo ritarda, le ragazze sono assopite, alcune senz’olio e le altre... acide.

Ma a volte siamo come pazzi che vanno a costruire case sulla sabbia: alla prima fiumana crolla tutto.

L’entusiasmo c’e, la sintonia col Signore e la sua voglia di abbracciare e trasmettere pienezza di essere... forse no.

Manca una dimensione di profondità, o di speranza viva che anima le motivazioni e lubrifica l’energia, nell'impulso alla missione.

È l’esito di coloro che sembrano aver accolto le Beatitudini di tutto punto, ma non le fanno proprie...

Non per il fatto che non adempiono bene il ruolo - una mansione - ma perché non mettono in relazione l’ascolto con la pratica non distratta, squisitamente evangelica.

Alimentare la torcia è promuovere la vita!

Ma come concentrarsi e non offuscarla, anzi sbloccarla, e non lasciarsi suggestionare dai monili, tirarla fuori dal cassetto; orientarla bene - in favore locale e universale, proprio, e di tutti?

L’Appello, il momento opportuno, giunge improvviso. Non si allestisce attraverso una scelta generale o formale che evolve senza correlazioni, senza binari personali, senza attenzione agli eventi e capacità di corrispondere.

Insomma: la relazione di Fede non è olio che si possa prestare.

Come in un rapporto d’Amore, ciascuno ha bisogno istante per istante di un nuovo personale equilibrio - potenziato nella fusione.

Esistono anime ansiose o perfezioniste che si precipitano a intervenire, ma difettano di percezione. Vi sono cuori timorosi e paralizzati: devono acquisire flessibilità.

Alcuni fissano i momenti “no” e non sanno trasformarli in occasioni di risveglio; o guariscono troppo tardi. Altri dipendono dalla stagione o vivono di adrenalina, e difettano di consapevolezza.

Qualcuno deve rallentare e raccogliersi, ritrovare se stesso e la leggerezza vocazionale istintiva, la propria parte infinita - ma evitando strategie puerili.

Altri che già hanno accolto il divino, avrebbero bisogno di svegliarsi dal torpore, per mettere in moto la luce sapiente, innata, che possiedono nelle inclinazioni profonde.

Qualcuno ha necessità di gettare zavorre, divenire più sottile nell’udire e nel porgersi, o meno dirigista; altri, prepararsi all’Incontro in una dimensione più relazionale e visibile.

Ci sono persone che non possono non complicarsi la vita, per poi semplificare [senza disperdere] divenendo infine più nitide; altre e forse più, imparare a donare. Così via.

Quindi... per armonizzare e rinvigorire l’organismo naturale, passionale e vocazionale, meglio alcuni con la luce che tutti al buio - bloccati in sala d’attesa, persi per sempre.

Gesù non predilige gli assopiti in una spiritualità vuota senza unicità - ovvero gli avvinti dall’istinto di autoprotezione. Esso non ricerca prima le proprie risorse, ciò che già trova in sé; bensì quel che ottiene fuori, o vien dato a richiesta, mendicato da altri.

L’ascolto insolito - forse indebito - e personale, nonché le azioni intraprendenti, il rischio per la saggezza, l’amore, lo stimolo alla completezza di essere, costruiscono la Persona e il suo dialogo vero.

I conformismi non producono svolte; permangono nel contorno torpido. 

La folla indistinta senza convivialità delle differenze - se mediocre, priva di picchi esplorativi, eccezioni - spinge in panchina ogni Chiamata irripetibile.

Spesso s’immagina di aver provveduto alla propria pratica con Dio iscrivendosi nei registri parrocchiali, senza elaborarne l’impegno sino in fondo. Forse per timore del rischio o di fatiche impreviste.

Poi qualche zelante manierista assume anche atteggiamenti proni di apparenza [un tempo si diceva] “papista” e [finta] ortodossia - o viceversa, sofisticate, à la page.

Astrazioni disincarnate, che allo Sposo non interessano.

 

Colui che neppure lavora su di sé, ovviamente secondo il carattere delle proprie inclinazioni vocazionali, non edifica né comunica vita.

Non arricchisce né rallegra l’esistenza anche sommaria, dei tempi di stanchezza nell’attesa. Infine, non ha nulla a che fare con Dio (v.12).

 

Il paradigma di questo Richiamo alto e forte del Vangelo è la terapia che può rigenerare il mondo soggiogato da omologazioni esterne, affinché vada Altrove - e non rinunci alla dimensione del Mistero che lo suscita.

Appello fuori del tempo per la Chiesa stessa, affinché non si accontenti di schemi, modelli, ricette standard, o di rimettere le cose a posto in modo abitudinario.

Né si blocchi nei rapporti malati, nelle nomenclature d’appoggio qualunquista; strepitoso o museale. E in tal guisa si ritrovi fuori della Festa, disorientata, sopraffatta; senza neppure aver attivato se stessa, umanizzando.

Come ricorda l’enciclica Fratelli Tutti al n.33 [riprendendo un’omelia di Papa Francesco a Skopje]:

«Ci siamo nutriti con sogni di splendore e grandezza e abbiamo finito per mangiare distrazione [perdendo] il gusto e il sapore della realtà».

Ma anche la crisi potrà avere un senso evolutivo: nell’accettare di sbagliare, nella presa di coscienza delle imperfezioni.

Nel non sentirsi assoluti; nella logica delle opzioni, nella personalizzazione, nell’Incontro imprevisto e differente.

Soglia di ogni Esodo verso la Libertà e la Festa.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Hai perso il senso dell’invito a Nozze? O semplicemente preferisci varcare indenne la soglia del Banchetto?

Esiste un Incontro che ritieni possa destare la tua vita, o l’abitudine di attendere si è tramutata in una abitudine di non attendere più nulla?

 

 

Per non ricadere

 

«Le Letture bibliche dell’odierna liturgia […] ci invitano a prolungare la riflessione sulla vita eterna […]. Su questo punto è netta la differenza tra chi crede e chi non crede, o, si potrebbe ugualmente dire, tra chi spera e chi non spera. Scrive infatti san Paolo ai Tessalonicesi: «Non vogliamo lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza» ( 1 Ts 4,13). La fede nella morte e risurrezione di Gesù Cristo segna, anche in questo campo, uno spartiacque decisivo. Sempre san Paolo ricorda ai cristiani di Efeso che, prima di accogliere la Buona Notizia, erano «senza speranza e senza Dio nel mondo» ( Ef 2,12). Infatti, la religione dei greci, i culti e i miti pagani, non erano in grado di gettare luce sul mistero della morte, tanto che un’antica iscrizione diceva: « In nihil ab nihilo quam cito recidimus», che significa: «Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo». Se togliamo Dio, se togliamo Cristo, il mondo ripiomba nel vuoto e nel buio. E questo trova riscontro anche nelle espressioni del nichilismo contemporaneo, un nichilismo spesso inconsapevole che contagia purtroppo tanti giovani.

Il Vangelo di oggi è una celebre parabola, che parla di dieci ragazze invitate ad una festa di nozze, simbolo del Regno dei cieli, della vita eterna (Mt 25,1-13). E’ un’immagine felice, con cui però Gesù insegna una verità che ci mette in discussione; infatti, di quelle dieci ragazze: cinque entrano alla festa, perché, all’arrivo dello sposo, hanno l’olio per accendere le loro lampade; mentre le altre cinque rimangono fuori, perché, stolte, non hanno portato l’olio. Che cosa rappresenta questo “olio”, indispensabile per essere ammessi al banchetto nuziale? Sant’Agostino (cfr Discorsi 93, 4) e altri antichi autori vi leggono un simbolo dell’amore, che non si può comprare, ma si riceve come dono, si conserva nell’intimo e si pratica nelle opere. Vera sapienza è approfittare della vita mortale per compiere opere di misericordia, perché, dopo la morte, ciò non sarà più possibile. Quando saremo risvegliati per l’ultimo giudizio, questo avverrà sulla base dell’amore praticato nella vita terrena (cfr Mt 25,31-46). E questo amore è dono di Cristo, effuso in noi dallo Spirito Santo. Chi crede in Dio-Amore porta in sé una speranza invincibile, come una lampada con cui attraversare la notte oltre la morte, e giungere alla grande festa della vita».

[Papa Benedetto, Angelus 6 novembre 2011]

Il Vangelo di oggi è una celebre parabola, che parla di dieci ragazze invitate ad una festa di nozze, simbolo del Regno dei cieli, della vita eterna (Mt 25,1-13). E’ un’immagine felice, con cui però Gesù insegna una verità che ci mette in discussione; infatti, di quelle dieci ragazze: cinque entrano alla festa, perché, all’arrivo dello sposo, hanno l’olio per accendere le loro lampade; mentre le altre cinque rimangono fuori, perché, stolte, non hanno portato l’olio. Che cosa rappresenta questo «olio», indispensabile per essere ammessi al banchetto nuziale? Sant’Agostino (cfr Discorsi 93, 4) e altri antichi autori vi leggono un simbolo dell’amore, che non si può comprare, ma si riceve come dono, si conserva nell’intimo e si pratica nelle opere. Vera sapienza è approfittare della vita mortale per compiere opere di misericordia, perché, dopo la morte, ciò non sarà più possibile. Quando saremo risvegliati per l’ultimo giudizio, questo avverrà sulla base dell’amore praticato nella vita terrena (cfr Mt 25,31-46). E questo amore è dono di Cristo, effuso in noi dallo Spirito Santo. Chi crede in Dio-Amore porta in sé una speranza invincibile, come una lampada con cui attraversare la notte oltre la morte, e giungere alla grande festa della vita.

A Maria, Sedes Sapientiae, chiediamo di insegnarci la vera sapienza, quella che si è fatta carne in Gesù. Lui è la Via che conduce da questa vita a Dio, all’Eterno. Lui ci ha fatto conoscere il volto del Padre, e così ci ha donato una speranza piena d’amore. Per questo, alla Madre del Signore la Chiesa si rivolge con queste parole: “Vita, dulcedo, et spes nostra”. Impariamo da lei a vivere e morire nella speranza che non delude.

[Papa Benedetto, Angelus 6 novembre 2011]

Martedì, 06 Agosto 2024 12:29

Scienza ed esperienza della Croce

1. Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo (cfr Gal 6,14).

Le parole di San Paolo ai Galati, che poc'anzi abbiamo ascoltato, ben si addicono all'esperienza umana e spirituale di Teresa Benedetta della Croce, che oggi solennemente viene iscritta nell'albo dei santi. Anche lei può ripetere con l'Apostolo: Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo.

La croce di Cristo! Nella sua costante fioritura l'albero della Croce porta sempre rinnovati frutti di salvezza. Per questo, alla Croce guardano fiduciosi i credenti, traendo dal suo mistero di amore coraggio e vigore per camminare fedeli sulle orme di Cristo crocifisso e risorto. Il messaggio della Croce è così entrato nel cuore di tanti uomini e di tante donne cambiandone l'esistenza.

Un esempio eloquente di questo straordinario rinnovamento interiore è la vicenda spirituale di Edith Stein. Una giovane donna in cerca della verità, grazie al lavorio silenzioso della grazia divina, è diventata una santa ed una martire: è Teresa Benedetta della Croce, che quest'oggi dal cielo ripete a tutti noi le parole che hanno segnato la sua esistenza: "Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce di Gesù Cristo".

2. Il primo maggio 1987, nel corso della mia visita pastorale in Germania, ho avuto la gioia di proclamare Beata, nella città di Colonia, questa generosa testimone della fede. Oggi, a undici anni di distanza, qui a Roma, in Piazza San Pietro, mi è dato di presentare solennemente come Santa davanti a tutto il mondo questa eminente figlia d'Israele e figlia fedele della Chiesa.

Come allora, così quest'oggi ci inchiniamo dinanzi alla memoria di Edith Stein, proclamando l'invitta testimonianza da lei resa durante la vita e soprattutto con la morte. Accanto a Teresa d'Avila ed a Teresa di Lisieux, quest'altra Teresa va a collocarsi fra lo stuolo di santi e sante che fanno onore all'Ordine carmelitano.

Carissimi Fratelli e Sorelle, che siete convenuti per questa solenne celebrazione, rendiamo gloria a Dio per l'opera da lui compiuta in Edith Stein.

3. Saluto i numerosi pellegrini venuti a Roma, con un particolare pensiero per i membri della famiglia Stein, che hanno voluto essere con noi per questa lieta circostanza. Un saluto cordiale va anche alla rappresentanza della Comunità carmelitana, la quale è diventata la "seconda famiglia" per Teresa Benedetta della Croce.

Rivolgo, poi, il mio benvenuto alla delegazione ufficiale della Repubblica Federale di Germania, guidata del Cancelliere Federale uscente, Helmut Kohl, che saluto con deferente cordialità. Saluto, inoltre, i rappresentanti dei Länder Nordrhein-Westfalen e Rheinland-Pfalz, come anche il Primo Sindaco della Città di Colonia.

Anche dalla mia patria è venuta una delegazione ufficiale guidata dal Primo Ministro Jerzy Buzek. Rivolgo ad essa un cordiale saluto.

Una speciale menzione voglio poi riservare ai pellegrini delle diocesi di Breslavia (Wroclaw), di Colonia, Münster, Spira, Kraków e Bielsko-Zywiec, presenti con i loro Vescovi e sacerdoti. Essi si uniscono alla numerosa schiera di fedeli venuti dalla Germania, dagli Stati Uniti d'America e dalla mia patria, la Polonia.

4. Cari Fratelli e Sorelle! Perché ebrea, Edith Stein fu deportata insieme con la sorella Rosa e molti altri ebrei dei Paesi Bassi nel campo di concentramento di Auschwitz, ove insieme con loro trovò la morte nelle camere a gas. Di tutti facciamo oggi memoria con profondo rispetto. Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: "Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta".

Nel celebrare d'ora in poi la memoria della nuova Santa, non potremo non ricordare di anno in anno anche la Shoah, quel piano efferato di eliminazione di un popolo, che costò la vita a milioni di fratelli e sorelle ebrei. Il Signore faccia brillare il suo volto su di loro e conceda loro la pace (cfr Nm 6,25 s.).

Per amor di Dio e dell'uomo ancora una volta io levo un grido accorato: mai più si ripeta una simile iniziativa criminale per nessun gruppo etnico, nessun popolo, nessuna razza, in nessun angolo della terra! E' un grido che rivolgo a tutti gli uomini e le donne di buona volontà; a tutti coloro che credono all'eterno e giusto Iddio; a tutti coloro che si sentono uniti in Cristo, Verbo di Dio incarnato. Tutti dobbiamo trovarci in questo solidali: è in gioco la dignità umana. Esiste una sola famiglia umana. Questo ha ribadito la nuova Santa con grande insistenza: "Il nostro amore verso il prossimo - scriveva - è la misura del nostro amore a Dio. Per i cristiani - e non solo per loro - nessuno è «straniero». L'amore di Cristo non conosce frontiere".

5. Cari Fratelli e Sorelle! L'amore di Cristo fu il fuoco che incendiò la vita di Teresa Benedetta della Croce. Prima ancora di rendersene conto, essa ne fu completamente catturata. All'inizio il suo ideale fu la libertà. Per lungo tempo Edith Stein visse l'esperienza della ricerca. La sua mente non si stancò di investigare ed il suo cuore di sperare. Percorse il cammino arduo della filosofia con ardore appassionato ed alla fine fu premiata: conquistò la verità, anzi ne fu conquistata. Scoprì, infatti, che la verità aveva un nome: Gesù Cristo, e da quel momento il Verbo incarnato fu tutto per lei. Guardando da carmelitana a questo periodo della sua vita, scrisse ad una benedettina: "Chi cerca la verità, consapevolmente o inconsapevolmente cerca Dio".

Pur essendo stata educata nella religione ebraica dalla madre, Edith Stein a quattordici anni "si era consapevolmente e di proposito disabituata alla preghiera". Voleva contare solo su se stessa, preoccupata di affermare la propria libertà nelle scelte della vita. Alla fine del lungo cammino le fu dato di giungere ad una constatazione sorprendente: solo chi si lega all'amore di Cristo diventa veramente libero.

L'esperienza di questa donna, che ha affrontato le sfide di un secolo travagliato come il nostro, diventa esemplare per noi: il mondo moderno ostenta la porta allettante del permissivismo, ignorando la porta stretta del discernimento e della rinuncia. Mi rivolgo specialmente a voi, giovani cristiani, in particolare ai numerosi ministranti convenuti in questi giorni a Roma: guardatevi del concepire la vostra vita come una porta aperta a tutte le scelte! Ascoltate la voce del vostro cuore! Non restate alla superficie, ma andate al fondo delle cose! E quando sarà il momento, abbiate il coraggio di decidervi! Il Signore attende che voi mettiate la vostra libertà nelle sue mani misericordiose.

6. Santa Teresa Benedetta della Croce giunse a capire che l'amore di Cristo e la libertà dell'uomo s'intrecciano, perché l'amore e la verità hanno un intrinseco rapporto. La ricerca della verità e la sua traduzione nell'amore non le apparvero in contrasto; essa, anzi, capì che si richiamavano a vicenda.

Nel nostro tempo la verità viene scambiata spesso con l'opinione della maggioranza. Inoltre è diffusa la convinzione che ci si debba servire della verità anche contro l'amore o viceversa. Ma la verità e l'amore hanno bisogno l'una dell'altro. Suor Teresa Benedetta ne è testimone. La "martire per amore", che donò la sua vita per gli amici, non si fece superare da nessuno nell'amore. Allo stesso tempo ella cercò con tutta se stessa la verità, della quale scriveva: "Nessuna opera spirituale viene al mondo senza grandi travagli. Essa sfida sempre l'uomo intero".

Suor Teresa Benedetta della Croce dice a noi tutti: Non accettate nulla come verità che sia privo di amore. E non accettate nulla come amore che sia privo di verità! L'uno senza l'altra diventa una menzogna distruttiva.

7. La nuova Santa ci insegna, infine, che l'amore per Cristo passa attraverso il dolore. Chi ama davvero non si arresta di fronte alla prospettiva della sofferenza: accetta la comunione nel dolore con la persona amata.

Consapevole di ciò che comportava la sua origine ebraica, Edith Stein ebbe al riguardo parole eloquenti: "Sotto la croce ho compreso la sorte del popolo di Dio... Infatti, oggi conosco molto meglio ciò che significa essere la sposa del Signore nel segno della Croce. Ma poiché è un mistero, con la sola ragione non potrà mai essere compreso".

Il mistero della Croce pian piano avvolse tutta la sua vita, fino a spingerla verso l'offerta suprema. Come sposa sulla Croce, Suor Teresa Benedetta non scrisse soltanto pagine profonde sulla "scienza della croce", ma fece fino in fondo il cammino alla scuola della Croce. Molti nostri contemporanei vorrebbero far tacere la Croce. Ma niente è più eloquente della Croce messa a tacere! Il vero messaggio del dolore è una lezione d'amore. L'amore rende fecondo il dolore e il dolore approfondisce l'amore.

Attraverso l'esperienza della Croce, Edith Stein poté aprirsi un varco verso un nuovo incontro col Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Fede e croce le si rivelarono inseparabili. Maturata alla scuola della Croce, ella scoprì le radici alle quali era collegato l'albero della propria vita. Capì che era molto importante per lei "essere figlia del popolo eletto e di appartenere a Cristo non solo spiritualmente, ma anche per un legame di sangue".

8. "Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità" (Gv 4,24).

Carissimi Fratelli e Sorelle, con queste parole il divino Maestro s'intrattenne con la Samaritana presso il pozzo di Giacobbe. Quanto egli donò alla sua occasionale ma attenta interlocutrice lo troviamo presente anche nella vita di Edith Stein, nella sua "salita al Monte Carmelo". La profondità del mistero divino le si rese percettibile nel silenzio della contemplazione. Man mano che, lungo la sua esistenza, essa maturava nella conoscenza di Dio, adorandolo in spirito e verità, sperimentava sempre più chiaramente la sua specifica vocazione a salire sulla Croce con Cristo, ad abbracciarla con serenità e fiducia, ad amarla seguendo le orme del suo diletto Sposo: Santa Teresa Benedetta della Croce ci viene additata oggi come modello a cui ispirarci e come protettrice a cui ricorrere.

Rendiamo grazie a Dio per questo dono. La nuova Santa sia per noi un esempio nel nostro impegno a servizio della libertà, nella nostra ricerca della verità. La sua testimonianza valga a rendere sempre più saldo il ponte della reciproca comprensione tra ebrei e cristiani.

Tu, Santa Teresa Benedetta della Croce, prega per noi! Amen.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia per la canonizzazione di Edith Stein, 11 ottobre 1998]

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Still today Jesus repeats these comforting words to those in pain: "Do not weep". He shows solidarity to each one of us and asks us if we want to be his disciples, to bear witness to his love for anyone who gets into difficulty (Pope Benedict)
Gesù ripete ancor oggi a chi è nel dolore queste parole consolatrici: "Non piangere"! Egli è solidale con ognuno di noi e ci chiede, se vogliamo essere suoi discepoli, di testimoniare il suo amore per chiunque si trova in difficoltà (Papa Benedetto))
Faith: the obeying and cooperating form with the Omnipotence of God revealing himself
Fede: forma dell’obbedire e cooperare con l’Onnipotenza che si svela
Jesus did not come to teach us philosophy but to show us a way, indeed the way that leads to life [Pope Benedict]
Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia, ma a mostrarci una via, anzi, la via che conduce alla vita [Papa Benedetto]
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole  lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)
The first constitutive element of the group of Twelve is therefore an absolute attachment to Christ: they are people called to "be with him", that is, to follow him leaving everything. The second element is the missionary one, expressed on the model of the very mission of Jesus (Pope John Paul II)
Il primo elemento costitutivo del gruppo dei Dodici è dunque un attaccamento assoluto a Cristo: si tratta di persone chiamate a “essere con lui”, cioè a seguirlo lasciando tutto. Il secondo elemento è quello missionario, espresso sul modello della missione stessa di Gesù (Papa Giovanni Paolo II)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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