don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Sabato, 03 Agosto 2024 06:39

Famelici Dei esse debemus 

“Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”.

Dinanzi alla folla, che lo ha seguito dalle rive del mare di Galilea fin verso la montagna per ascoltare la sua parola, Gesù dà inizio, con questa domanda, al miracolo della moltiplicazione dei pani, che costituisce il significativo preludio al lungo discorso, nel quale si rivela al mondo come il vero pane della vita disceso dal cielo (cf. Gv 6,41).

1. Abbiamo ascoltato il racconto evangelico: con cinque pani d’orzo e con due pesci, messi a disposizione da un ragazzo, Gesù sfama circa cinquemila uomini. Ma questi, non comprendendo la profondità del “segno” in cui sono stati coinvolti, sono convinti di aver trovato finalmente il Re-Messia, che risolverà i problemi politici ed economici della loro Nazione. Di fronte a tale ottuso fraintendimento della sua missione, Gesù si ritira, tutto solo, sulla montagna.

Anche noi, Sorelle e Fratelli carissimi, abbiamo seguito Gesù e continuiamo a seguirlo. Ma possiamo e dobbiamo chiederci: con quale atteggiamento interiore?Con quello autentico della fede, che Gesù attendeva dagli Apostoli e dalla folla sfamata, oppure con un atteggiamento di incomprensione? Gesù si presentava in quella occasione come, anzi più di Mosè, che nel deserto aveva sfamato il popolo israelita durante l’esodo; si presentava come, anzi più di Eliseo, che con venti pani d’orzo e di farro aveva dato da mangiare a cento persone. Gesù si manifestava, e si manifesta oggi a noi, come Colui che è capace di saziare per sempre la fame del nostro cuore: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete” (Gv 6,33).

E l’uomo, specialmente quello contemporaneo, ha tanta fame: fame di verità, di giustizia, di amore, di pace, di bellezza; ma, soprattutto, fame di Dio. “Noi dobbiamo essere affamati di Dio!” esclama Sant’Agostino (“famelici Dei esse debemus” (S. Agostino, Enarrat. in Ps. 146, 17: PL 37,1895ss.). È lui, il Padre celeste, che ci dona il vero pane!

2. Questo pane, di cui abbiamo bisogno, è anzitutto il Cristo, il quale si dona a noi nei segni sacramentali dell’Eucaristia, e ci fa sentire, in ogni Messa, le parole dell’ultima Cena: “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”. Col sacramento del pane eucaristico – afferma il Concilio Vaticano II – “viene rappresentata e prodotta l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo Corpo in Cristo (cf. 1Cor 10,17). Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo che è luce del mondo; da lui veniamo, per lui viviamo, a lui siamo diretti” (Lumen Gentium, 3).

Il pane di cui abbiamo bisogno è, inoltre, la parola di Dio, perché “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio” (Mt 4,4; cf. Dt 8,3). Indubbiamente, anche gli uomini possono esprimere e pronunciare parole di alto valore. Ma la storia ci mostra come le parole degli uomini siano talvolta insufficienti, ambigue, deludenti, tendenziose; mentre la Parola di Dio è piena di verità (cf. 2Sam 7,28;1Cor 15,26); è retta (Sal 33,4); è stabile e rimane in eterno (cf. Sal 119,89;1Pt 1,25). 

Dobbiamo metterci continuamente in religioso ascolto di tale Parola; assumerla come criterio del nostro modo di pensare e di agire; conoscerla, mediante l’assidua lettura e la personale meditazione; ma, specialmente, dobbiamo farla nostra, realizzarla, giorno dopo giorno, in ogni nostro comportamento.

Il pane, infine, di cui abbiamo bisogno, è la grazia; e dobbiamo invocarla, chiederla con sincera umiltà e con instancabile costanza, ben sapendo che essa è quanto di più prezioso possiamo possedere.

3. Il cammino della nostra vita, tracciatoci dall’amore provvidenziale di Dio, è misterioso, talvolta umanamente incomprensibile, e quasi sempre duro e difficile. Ma il Padre ci dona il “pane del cielo” (cf. Gv 6,32), per essere rinfrancati nel nostro pellegrinaggio sulla terra.

Mi piace concludere con un passo di Sant’Agostino, che sintetizza mirabilmente quanto abbiamo meditato: “Si comprende molto bene... come la tua Eucaristia sia il cibo quotidiano. Sanno infatti i fedeli che cosa essi ricevono ed è bene che essi ricevano il pane quotidiano necessario per questo tempo. Pregano per loro stessi, per diventare buoni, per essere perseveranti nella bontà, nella fede, e nella vita buona... la parola di Dio, che ogni giorno viene a voi spiegata e, in un certo senso, spezzata, è anch’essa pane quotidiano” (S. Agostino, Sermo 58, IV: PL 38,395).

Che Cristo Gesù moltiplichi sempre, anche per noi, il suo pane!

Così sia!

[Papa Giovanni Paolo II, omelia 29 luglio 1979]

Sabato, 03 Agosto 2024 06:31

Compassione e Potenza

Il Vangelo […] ci presenta il prodigio della moltiplicazione dei pani (cfr Mt 14,13-21). La scena si svolge in un luogo deserto, dove Gesù si era ritirato con i suoi discepoli. Ma la gente lo raggiunge per ascoltarlo e farsi guarire: infatti le sue parole e i suoi gesti risanano e danno speranza. Al calar del sole, le folle sono ancora lì, e i discepoli, uomini pratici, invitano Gesù a congedarle perché possano andare a procurarsi da mangiare. Ma Lui risponde: «Voi stessi date loro da mangiare» (v. 16). Immaginiamo le facce dei discepoli! Gesù sa bene quello che sta per fare, ma vuole cambiare il loro atteggiamento: non dire “congedali, che si arrangino, che trovino loro da mangiare”, no, ma “che cosa ci offre la Provvidenza da condividere?”. Due atteggiamenti contrari. E Gesù vuole portarli al secondo atteggiamento, perché la prima proposta è la proposta di un uomo pratico, ma non generosa: “congedali, che vadano a trovare, che si arrangino”. Gesù pensa in un altro modo. Gesù, attraverso questa situazione, vuole educare i suoi amici di ieri e di oggi alla logica di Dio. E qual è la logica di Dio che vediamo qui? La logica del farsi carico dell’altro. La logica di non lavarsene le mani, la logica di non guardare da un’altra parte. La logica di farsi carico dell’altro. Il “che si arrangino” non entra nel vocabolario cristiano.

Non appena uno dei Dodici dice, con realismo: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!», Gesù risponde: «Portatemeli qui» (vv. 17-18). Prende quel cibo tra le sue mani, alza gli occhi al cielo, recita la benedizione e comincia a spezzare e a dare le porzioni ai discepoli da distribuire. E quei pani e quei pesci non finiscono, bastano e avanzano per migliaia di persone.

Con questo gesto Gesù manifesta la sua potenza, non però in modo spettacolare, ma come segno della carità, della generosità di Dio Padre verso i suoi figli stanchi e bisognosi. Egli è immerso nella vita del suo popolo, ne comprende le stanchezze, ne comprende i limiti, ma non lascia che nessuno si perda o venga meno: nutre con la sua Parola e dona cibo abbondante per il sostentamento.

In questo racconto evangelico si percepisce anche il riferimento all’Eucaristia, soprattutto là dove descrive la benedizione, la frazione del pane, la consegna ai discepoli, la distribuzione alla gente (v. 19). E va notato come sia stretto il legame tra il pane eucaristico, nutrimento per la vita eterna, e il pane quotidiano, necessario per la vita terrena. Prima di offrire sé stesso al Padre come Pane di salvezza, Gesù si cura del cibo per coloro che lo seguono e che, pur di stare con Lui, hanno dimenticato di fare provviste.A volte si contrappone spirito e materia, ma in realtà lo spiritualismo, come il materialismo, è estraneo alla Bibbia. Non è un linguaggio della Bibbia.

La compassione, la tenerezza che Gesù ha mostrato nei confronti delle folle non è sentimentalismo, ma la manifestazione concreta dell’amore che si fa carico delle necessità delle persone. E noi siamo chiamati ad accostarci alla mensa eucaristica con questi stessi atteggiamenti di Gesù: [anzitutto] compassione dei bisogni altrui. Questa parola che si ripete nel Vangelo quando Gesù vede un problema, una malattia o questa gente senza cibo. “Ne ebbe compassione”. Compassione non è un sentimento puramente materiale; la vera compassione è patire con, prendere su di noi i dolori altrui. Forse ci farà bene oggi domandarci: io ho compassione? Quando leggo le notizie delle guerre, della fame, delle pandemie, tante cose, ho compassione di quella gente? Io ho compassione della gente che è vicina a me? Sono capace di patire con loro, o guardo da un’altra parte o dico “che si arrangino”? Non dimenticare questa parola “compassione”, che è fiducia nell’amore provvidente del Padre e significa coraggiosa condivisione.

Maria Santissima ci aiuti a percorrere il cammino che il Signore ci indica nel Vangelo di oggi. È il percorso della fraternità, che è essenziale per affrontare le povertà e le sofferenze di questo mondo, specialmente in questo momento grave, e che ci proietta oltre il mondo stesso, perché è un cammino che inizia da Dio e a Dio ritorna.

[Papa Francesco, Angelus 2 agosto 2020]

Venerdì, 02 Agosto 2024 11:00

Mistica del Seme e Pane della Vita

(Gv 6,24-35)

 

Mistica del Seme e Opera-Dono della Fede

(Gv 6,22-29)

 

Non pochi cercano Gesù non per lo stupore della Persona e della sua Via, ma perché garantisce più sazietà di altri (v.26).

Allora si deve uscire dalla superficialità di corti pensieri. Al Maestro, il rapporto “corretto” sembra già un Amore “finito”.

La proposta di Cristo addita altre mete; non si abbina con l’entusiasmo momentaneo per un fatto sensazionale, né con l’egoismo quieto.

Nel Segno che alimenta la nuova Via [l’Esodo di «barchette» (vv.22-24) che seguono il Cristo] si cela una Vocazione e una Missione.

Al di là di dove si presume.

Una Mistica del Seme donato - per farci finalmente partire senza tutori (v.22) - spalanca il senso dell’esistere personale.

Il «Figlio dell’uomo» è la persona dotata di umanità piena, che raffigura l’uomo nella condizione divina.

Egli è sempre sorprendentemente sull’altra sponda (v.25) per farsi quel “non so che”: ‘Profumo’ della Chiesa in uscita.

Eros oltre, che vince attaccamenti, abitudine, equilibri consolidati.

 

Il Signore non identifica il benessere spirituale con lo spegnersi della fiamma dell’anima, nei vezzi anche dell’attivismo.

Pertanto l’Opera richiesta non riguarda affatto il soddisfacimento delle molte prescrizioni.

Essa non somiglia ai soliti lavori di allestimento [il «fare»: v.28], perché è piuttosto Azione singolare di Dio [Soggetto] in noi.

Le osservanze devono essere tediosamente ammucchiate una sull’altra. 

L’Opera divina che si compie in ogni nostro gesto è invece Virtù preziosa, Energia inattesa.

Nuova opportunità per incontrare noi stessi, i fratelli, un altro litorale - e staccarci dall’esteriorità.

 

Gesù si autorivela nel segno della frazione del Pane.

«Cibo che dura per la Vita dell’Eterno» (v.27) ossia che sfocia in una esperienza che già qui e ora possiede la qualità indistruttibile della stessa intimità di Dio.

Per ricevere l’Alimento ben sminuzzato che sostiene e diviene in noi sorgente di vita completa, il “lavoro” da fare non appartiene al genere di quelli che possiamo apprestare - neppure secondo legge e devozioni.

Può essere solo una risposta all’opera che il Padre stesso svolge dentro ciascuno di noi; anche se non apparisse subito brillante e finalizzata.

Ed ecco il capovolgimento garantito dall’avventura di Fede:

La sottomissione religiosa viene scalzata dall’Accettazione, che ha un senso assai meno mortificante (e riduzionista); viceversa, rispettoso dei tentativi. E creativo.

 

Cambia la relazione con Dio.

Essa diviene di pura accoglienza; eppure inventiva, per Nome: irripetibile e personale.

Non più di rinuncia passiva, rimprovero, purificazione, obbedienza [apparenze da Signorsì].

L’Eros fondante non ci sgrida: è unicamente Dono. Per una Reciprocità sana, rispettosa del nostro carattere e ascendente.

In tal guisa l’attrazione non si spegnerà. Essa vuole ogni giorno i suoi picchi; non gli basta trasformarsi in normale simbiosi, poi abitudine.

Piuttosto, sogna un Cammino largo.

Il resto rimane purtroppo sequela inefficace o ambigua; portando l’anima sempre in guerra con se stessa e gli altri.

Binario che qua e là può manifestare solo caricature cieche, unilaterali, forzate, della Sua Immagine - malgrado le pretese d’eccellenza.

 

Meccanismi che fanno male.

 

 

Mistica del Pane della Vita

(Gv 6,30-35)

 

Ciò cui allude il termine «Pane» usato da Gesù in questa pericope deriva dal termine ebraico «Lechem», la cui radice [consonanti «l-h-m»] evoca il suo «essere macinato» e «vagliato» nella Passione d’amore; quindi riguarda in filigrana il dono completo sulla Croce.

Secondo una credenza giudaica, l’avvento del Messia sarebbe stato accompagnato da una pioggia di Manna dal cielo - detta Manna del secondo Redentore - per soddisfare gli appetiti materiali.

Pane che non dura.

Vi erano anche speculazioni rabbiniche le quali riflettevano altre pretese, non di necessità fisica; e narravano del «pane» disceso dall’alto in figura sapienziale (Dt 8,3: «l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore»; cf. Sap 16,26).

Per soddisfare le esigenze esistenziali e i grandi accorati interrogativi di senso, Gesù si rivela e presenta come Pane della Vita indistruttibile.

 

Ci sono domande cui non riusciamo a dare risposta: per quale motivo il dolore e le umiliazioni, perché ci sono persone fortunate e altre che senza colpa vivono infelici; per quale grande compito siamo nati e perché malgrado gli agi non ci sentiamo ancora compiuti.

La nostra esperienza è come avvolta nella confusione dei quesiti di fondo... e spesso manca perfino l’occhio e il calore di un Testimone.

Cerchiamo allora una Persona che traduca tutto in Relazione, e desideriamo ardentemente il suo Alimento sapienziale - un fondamento, il tepore umanizzante, e una sintesi di ogni verità, di tutta la storia.

Solo Gesù e la sua vicenda donano significato ai molti accadimenti; anche a limiti, ferite, confini, precarietà.

Egli è Sogno, Senso, Azione e Voce del Padre. Chiave, Centro e Destinazione di ciascuno e dell’umanità. Unico Cibo per la ‘fame’ e unica Fonte per la ‘sete’ della donna e dell’uomo sottoposti a prove e interrogativi.

Ai tempi di Gesù, per devozione diffusa Mosè continuava a essere il grande condottiero cui credere e aderire. Ma secondo il Signore quella dell’Esodo dei “padri” si configura come proposta che non ha futuro: non garantisce orientamento, sussistenza e vita gioiosa, solida e piena.

Essa non permane neppure come un ceppo dell’adesso. È solo un seme arcaico, un’escrescenza particolare disfatta in favore del mistico e rinnovato Frumento che fa procedere sulla Via autentica.

Il costume pio e inattuale - con tutte le sue fatiche - non aveva assicurato il grande cambiamento: l’accesso alla ‘terra della libertà’.

Il Dono dal Cielo preparava e disponeva un’altra Nascita, sconvolgente fin dalla radice il nutrimento leggero, tedioso e insipido; qualunque, per tutte le stagioni.

Nessuna ricetta rassicurante ci sovviene, perché la ‘seconda Genesi’ e crescita nello Spirito ha carattere, ma non accade una volta per tutte.

Anche le piaghe e gl’incerti della vita diventano una ‘chiamata’ a nutrirsi della Persona di Cristo. Ma reinterpretandolo con risposte nuove a domande nuove; per generarsi ancora e crescere in Lui e di Lui.

Così siamo negli episodi, eppure fuori del tempo; nell’Amore che nasce, ancora nuovo.

Possiamo provare il gusto di vivere, invece della condanna di sentirsi sempre insidiati.

Per questa unione sponsale e sempre inedita, la portata immensa della sua Persona sminuzzata, ruminata, fatta propria come si fa con un cibo, diventa Vita stessa dell’Eterno (v.33).

Unzione che non decade, che chiama insieme a Concelebrare.

Venerdì, 02 Agosto 2024 10:56

Mistica del Seme e Pane della vita

(Gv 6,24-35)

 

Mistica del Seme e Opera-Dono della Fede

(Gv 6,22-29)

 

La folla va orientata, perché di fronte al «segno dei pani» la reazione sembra deludente. Non vale il sensazionalismo che dirige verso un regno terreno (v.15).

Non pochi cercano Gesù non per lo stupore della Persona e della sua Via, ma perché garantisce più sazietà di altri (v.26).

Allora si deve uscire dalla superficialità di corti pensieri. Al Maestro, il rapporto “corretto” sembra già un Amore “finito”.

La proposta di Cristo addita altre mete; non si abbina con l’entusiasmo momentaneo per un fatto sensazionale, né con l’egoismo quieto.

Nel Segno che alimenta la nuova Via [l’Esodo di «barchette» (vv.22-24) che seguono il Cristo] si cela una Vocazione e una Missione. Al di là di dove si presume.

Una Mistica del Seme donato per farci finalmente partire senza tutori (v.22) spalanca il senso dell’esistere personale.

Altrimenti la lotta per il «pane» non raggiunge la Sorgente, né le radici dell’essere e della relazione. Neppure dilata l’orizzonte del vivere totale.

Nel deserto Mosè aveva assicurato sostentamento al popolo: certo, un alimento fiacco e sempre identico sino alla noia - ma rassicurante. 

Come la religione antica: buona per tutte le stagioni; che sta bene anche in superficie.

 

Il «Figlio dell’uomo» è la persona dotata di umanità piena, che raffigura l’uomo nella condizione divina.

Egli non ripete il passato: è sempre sorprendentemente sull’altra sponda (v.25) per farsi quel “non so che”: ‘profumo’ della Chiesa in uscita.

Eros oltre, che vince attaccamenti, abitudine, equilibri consolidati.

Insomma, Cristo non desidera amici passivi, quelli che non vogliono i disagi dell’ascolto e del dialogo; che scansano le sofferenze, gli affronti, o le conseguenze di nuove iniziative.

Il Signore non identifica il benessere spirituale con lo spegnersi (tossico) della fiamma dell’anima che non si misura, che non ama interrogarsi, e i confronti.

Nel nostro cammino, l’apprensione stessa verso situazioni che preoccupano e manifestano le vulnerabilità, sono segnali intimi preziosi.

Lo stesso vale per i fallimenti, che costringono a rielaborare gli “eventi no”, guardarci dentro, spostare lo sguardo.

 

‘Assemblee di Fede’ sono le Fraternità che nel dispiegarsi delle relazioni, degli orizzonti e persino delle insicurezze non ci lasciano condizionati e “regolati”, plasmati da sguardi epidermici, altrui.

Convivialità paritaria di persone che non trattengono cibo e tesori per sé, sperimentando insieme una speciale attitudine alla valorizzazione e completezza - senza dissociazioni segrete, isteriche, laceranti.

L’Opera richiesta non riguarda affatto gli adempimenti di legge, il mucchio delle “opere”, o il soddisfacimento delle molte prescrizioni... per «meritare».

Essa non somiglia ai soliti lavori di allestimento [il «fare»: v.28], perché è piuttosto Azione singolare di Dio [Soggetto] in noi.

Le osservanze devono essere tediosamente ammucchiate una sull’altra. L’Opera divina che si compie in ogni nostro gesto è invece Virtù preziosa.

Energia inattesa; nuova opportunità per incontrare noi stessi, i fratelli, un altro litorale - e staccarci dall’esteriorità.

 

Gesù si autorivela nel segno della frazione del Pane, «cibo che dura per la Vita dell’Eterno» (v.27) ossia che sfocia in una esperienza che già qui e ora possiede la qualità indistruttibile della stessa intimità di Dio.

Per ricevere l’Alimento ben sminuzzato che sostiene e diviene in noi sorgente di vita completa, il “lavoro” da fare non appartiene al genere di quelli che possiamo apprestare - neppure secondo legge e devozioni.

Può essere solo una risposta all’opera che il Padre stesso svolge dentro ciascuno di noi, anche se non apparisse subito brillante e finalizzata.

Ed ecco il capovolgimento garantito dall’avventura di Fede:

La sottomissione religiosa viene scalzata dall’accettazione, che ha un senso assai meno mortificante (o riduzionista); viceversa, rispettoso dei tentativi, e creativo.

Non presenta solo una sorta di spersonalizzazione elitista e normalizzata: ad es. “occhi aperti”, piaceri da non vivere, “conti da pagare”; così via.

 

Cambia la relazione con Dio.

Essa diviene di pura ‘accoglienza’. Eppur inventiva, per Nome: irripetibile e personale.

Non più di rinuncia passiva, rimprovero, purificazione, obbedienza [apparenze da Signorsì].

L’Eros fondante non ci sgrida: è unicamente Dono.

Ma solo la sua opera è affidabile, benché estrosa, non allineata, mutevole, totalmente imprevedibile.

E Noi? Corrispondenza spontanea, trasparente, non infastidita; non coperta dall’attivismo addomesticato.

Solo così il “cedere” non si somatizzerà in atti di protesta. Per una Reciprocità sana, rispettosa del nostro carattere e ascendente.

In tal guisa l’attrazione non si spegnerà. Essa vuole ogni giorno i suoi picchi; non gli basta trasformarsi in normale simbiosi, poi vezzo.

Piuttosto, sogna un Cammino largo; in profondità. Di rigenerazione e somiglianza - che coinvolge e proietta, ma non assorbe.

Il resto rimane purtroppo sequela inefficace o ambigua; portando l’anima sempre in guerra con se stessa e gli altri.

Binario che qua e là può manifestare solo caricature cieche, unilaterali, forzate, della Sua Immagine - malgrado le pretese d’eccellenza.

 

Meccanismi che fanno male.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come discerni la differenza qualitativa fra opere di legge e Opera della Fede?

 

 

Mistica del Pane della Vita

(Gv 6,30-35)

 

Ciò cui allude il termine «Pane» usato da Gesù in questa pericope deriva dal termine ebraico «Lechem», la cui radice [consonanti «l-h-m»] evoca il suo «essere macinato» e «vagliato» nella Passione d’amore; quindi riguarda in filigrana il dono completo sulla Croce.

Secondo una credenza giudaica, l’avvento del Messia sarebbe stato accompagnato da una pioggia di Manna dal cielo - detta Manna del secondo Redentore - per soddisfare gli appetiti materiali.

Pane che non dura.

Vi erano anche speculazioni rabbiniche le quali riflettevano altre pretese, non di necessità fisica; e narravano del «pane» disceso dall’alto in figura sapienziale (Dt 8,3: «l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore»; cf. Sap 16,26).

Per soddisfare le esigenze esistenziali e i grandi accorati interrogativi di senso, Gesù si rivela e presenta come Pane della Vita indistruttibile.

 

Nelle speranze messianiche di età dell’oro e liberazione si annidavano le medesime aspettative che si celano nelle pieghe del nostro andare, anche più in là di quelle soddisfatte da Mosè.

Cerchiamo cibo eminente.

Ci sono infatti domande cui non riusciamo a dare risposta: per quale motivo il dolore e le umiliazioni, perché ci sono persone fortunate e altre che senza colpa vivono infelici; per quale grande compito siamo nati, e perché malgrado gli agi non ci sentiamo ancora compiuti.

La nostra esperienza è come avvolta nella confusione dei quesiti di fondo... e spesso manca perfino l’occhio e il calore di un Testimone.

Cerchiamo allora una Persona che traduca tutto in Relazione, e desideriamo ardentemente il suo Alimento sapienziale - un fondamento, il tepore umanizzante, e una sintesi di ogni verità e di tutta la storia.

Solo Gesù e la sua vicenda donano significato ai molti accadimenti; anche a limiti, ferite, confini, precarietà: Egli è Sogno, Senso, Azione e Voce del Padre. Chiave, Centro e Destinazione di ciascuno e dell’umanità.

Unico Nutrimento per la ‘fame’ e sola vera Fonte per la ‘sete’ della donna e dell’uomo sottoposti a prove e interrogativi.

 

Ai tempi di Gesù, per devozione diffusa Mosè continuava a essere il grande condottiero cui credere e aderire.

Ma secondo il Signore quella dell’Esodo dei “padri” si configura come proposta che non ha futuro: non garantisce orientamento, sussistenza e vita gioiosa, solida e piena.

Essa non permane neppure come un ceppo dell’adesso. È solo un seme arcaico, un’escrescenza particolare disfatta in favore del mistico e rinnovato Frumento che ci fa procedere sulla Via autentica.

Il grande condottiero antico si era fermato alla dimensione religiosa e alle sue requisitorie. Mancava il balzo della Fede accesa per la rivelazione del cuore del Padre, nell’insegnamento, nella vicenda, e nella Persona del Cristo.

Accettare Gesù come autentico motivo e motore, sostegno e alimento che davvero avrebbe tolto di mezzo la fame, è inseparabile dall’accoglienza della sua proposta:

«Vuoi unire la tua vita alla Mia?». Corpo Unico, fra noi e Lui - che brucia.

In tale approccio, neppure il cielo era stato in grado di saziare i dubbi - una fame paradossalmente crescente e un’arsura che obbligava a tornare ad attingere, invece di riuscire a dissetare il popolo.

L’approccio della semplice religiosità affliggeva la vita delle donne e degli uomini, in modo crescente.

Gente nervosa, scostante e insoddisfatta. Un Banchetto nuziale privo di festosità, a motivo d’una dottrina e disciplina fredde, distanti, impersonali, resistenti allo Spirito.

Il costume pio e inattuale, vetusto - con tutte le sue fatiche - non aveva assicurato e neppure oggi garantisce il grande cambiamento che ci sostiene nel cammino e sollecita senza posa, accendendo il cuore di Amicizia: l’accesso alla ‘terra della libertà’, quindi dell’amore.

Il Dono dal Cielo preparava e disponeva un’altra Nascita, sconvolgente fin dalla radice il rapporto religioso comune - nutrimento leggero, tedioso e insipido; qualunque, e che non si addensa mai: “buono” per tutte le stagioni.

Tutto ciò era affiancato a una prospettiva di Felicità rimandata all’aldilà, dopo la morte, e sulla base dei meriti esterni.

Un clima paludoso di energie compresse e stagnanti, che non facevano vibrare di gioia.

 

Con Gesù, il semplice credere diventa Fede - non più assenso e ripetizione avvilente, che ci scaglia e trascina oltre il nostro «centro» - bensì azione unica, inedita e creativa. Anzitutto di Dio stesso in noi; per una realizzazione completa: da figli.

Nessuna ricetta rassicurante sovviene, perché la “seconda” Genesi e crescita nello Spirito ha carattere, ma non accade una volta per tutte.

Unicamente in tal senso, l’espressione «Io Sono» (v.35) sottolinea l’esclusività del «discorso di rivelazione».

Cristo reinterpreta totalmente, e capovolge, l’idea di trascendenza della condizione divina nell’umano.

L’Altissimo viene accolto e assimilato in vista della germinazione e della somiglianza, non più dell’imitazione e dell’obbedienza esterne.

“Troppa” è solo la Sapienza della sua Rivelazione, che libera da dubbi perché li rende fecondi e propulsivi; affatto umilianti al pari dei vacillamenti antichi.

Anche le piaghe e gl’incerti della vita diventano una ‘chiamata’ a nutrirsi della Persona di Cristo. Ma reinterpretandolo con risposte nuove a domande nuove; per generarsi ancora e crescere in Lui e di Lui.

Coì siamo negli episodi, eppure fuori del tempo; nell’Amore che nasce, nuovo.

La nostra identità - meglio: ‘impronta’ - non è quella dei finti conoscitori [ciò che non estingue la sete dell’anima] bensì quella di essere amati.

In tal guisa non abbiamo più bisogno di tacitare tutte le esigenze normali.

Possiamo provare il gusto di vivere, invece della condanna di sentirsi sempre insidiati.

Per questa unione sponsale e sempre inedita, la portata immensa della sua Persona sminuzzata, ruminata e fatta propria come si fa con un cibo, diventa Vita stessa dell’Eterno (v.33).

Unzione che non decade, che chiama insieme a Concelebrare.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

La mia anima ha fame di pietosi uffici sul corpo o di rinascite, di senso, e d’un percorso di libertà?

Nella Liturgia della Parola di questa Domenica continua la lettura del 6° capitolo del Vangelo di Giovanni. Siamo nella sinagoga di Cafarnao dove Gesù sta tenendo il suo noto discorso dopo la moltiplicazione dei pani. La gente aveva cercato di farlo re, ma Gesù si era ritirato, prima sul monte con Dio, con il Padre, e poi a Cafarnao. Non vedendolo, si era messa a cercarlo, era salita sulle barche per raggiungere l’altra riva del lago e finalmente l’aveva trovato. Ma Gesù sapeva bene il perché di tanto entusiasmo nel seguirlo e lo dice anche con chiarezza: voi «mi cercate non perché avete visto dei segni [perché il vostro cuore è stato impressionato], ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (v. 26). Gesù vuole aiutare la gente ad andare oltre la soddisfazione immediata delle proprie necessità materiali, pur importanti. Vuole aprire ad un orizzonte dell’esistenza che non è semplicemente quello delle preoccupazioni quotidiane del mangiare, del vestire, della carriera. Gesù parla di un cibo che non perisce, che è importante cercare e accogliere. Egli afferma: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’Uomo vi darà» (v. 27).

La folla non comprende, crede che Gesù chieda l’osservanza di precetti per poter ottenere la continuazione di quel miracolo, e chiede: «Cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» (v. 28). La risposta di Gesù è chiara: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (v. 29). Il centro dell’esistenza, ciò che dà senso e ferma speranza al cammino spesso difficile della vita è la fede in Gesù, l’incontro con Cristo. Anche noi domandiamo: «cosa dobbiamo fare per avere la vita eterna?». E Gesù dice: «credete in me». La fede è la cosa fondamentale. Non si tratta qui di seguire un’idea, un progetto, ma di incontrare Gesù come una Persona viva, di lasciarsi coinvolgere totalmente da Lui e dal suo Vangelo. Gesù invita a non fermarsi all’orizzonte puramente umano e ad aprirsi all’orizzonte di Dio, all’orizzonte della fede. Egli esige un’unica opera: accogliere il piano di Dio, cioè «credere a colui che egli ha mandato» (v. 29). Mosè aveva dato ad Israele la manna, il pane dal cielo, con il quale Dio stesso aveva nutrito il suo popolo. Gesù non dona qualcosa, dona Se stesso: è Lui il «pane vero, disceso dal cielo», Lui, la Parola vivente del Padre; nell’incontro con Lui incontriamo il Dio vivente.

«Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» (v. 28) chiede la folla, pronta ad agire, perché il miracolo del pane continui. Ma Gesù, vero pane di vita che sazia la nostra fame di senso, di verità, non si può «guadagnare» con il lavoro umano; viene a noi soltanto come dono dell’amore di Dio, come opera di Dio da chiedere e accogliere.

Cari amici, nelle giornate cariche di occupazioni e di problemi, ma anche in quelle di riposo e di distensione, il Signore ci invita a non dimenticare che se è necessario preoccuparci per il pane materiale e ritemprare le forze, ancora più fondamentale è far crescere il rapporto con Lui, rafforzare la nostra fede in Colui che è il «pane di vita», che riempie il nostro desiderio di verità e di amore.

[Papa Benedetto, Angelus 5 agosto 2012]

1. "Io sono il pane della vita" (Gv 6, 35).

Come pellegrino al 46° Congresso Eucaristico Internazionale, dirigo i primi passi verso l'antichissima Cattedrale di Wrocław , per inginocchiarmi con fede davanti al Santissimo Sacramento è il "Pane della vita". Lo faccio con profonda commozione e con il cuore colmo di gratitudine, nei riguardi della Divina Provvidenza, per il dono di questo Congresso e perchè esso si svolge proprio qui, a Wrocław , in Polonia - nella mia Patria.

Dopo la moltiplicazione miracolosa del pane, Cristo dice alle folle che lo cercavano: "In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perchè avete visto dei segni, ma perchè avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà" (Gv 6, 26-27). Come era difficile, a chi ascoltava Gesù, questo passaggio dal segno al mistero indicato da quel segno, dal pane quotidiano a quel pane "che dura per la vita eterna"! Ciò non è facile neppure per noi, uomini del XX secolo. I Congressi Eucaristici vengono celebrati proprio per questo, per ricordare questa verità a tutto il mondo: "Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna".

Gli interlocutori di Cristo, continuando il dialogo, domandano giustamente: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?" (Gv 6, 28). E Cristo risponde: "Questa è l'opera di Dio [l'opera intesa da Dio]: credere in colui che egli ha mandato" (Gv 6, 29). E' un'esortazione ad aver fede nel Figlio dell'uomo, nel Datore del cibo che non perisce. Senza la fede in colui che il Padre ha mandato, non è possibile riconoscere ed accettare questo Dono che non passa. Proprio per questo siamo qui - qui, a Wrocław , al 46° Congresso Eucaristico Internazionale. Siamo qui per confessare, insieme con tutta la Chiesa, la nostra fede in Cristo-Eucaristia, in Cristo-Pane vivo e Pane che dà la vita. Diciamo con san Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16, 16) ed ancora: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Gv 6, 68).

2. "Signore, dacci sempre questo pane" (Gv 6, 34).

La moltiplicazione miracolosa del pane non aveva destato l'attesa risposta della fede nei testimoni oculari di quell'evento. Essi pretendevano un nuovo segno: "Quale segno dunque tu fai perchè vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo" (Gv 6, 30-31). I discepoli che circondano Gesù attendono dunque un segno simile alla manna, che i loro avi avevano mangiato nel deserto. Gesù, tuttavia, li esorta ad aspettarsi qualcosa di più di un'ordinaria ripetizione del miracolo della manna, di aspettarsi un cibo di un altro tipo. Cristo dice: "Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo" (Gv 6, 32-33).

Oltre alla fame fisica l'uomo porta in sè ancora un'altra fame, una fame più fondamentale, che non può essere saziata con un cibo ordinario. Si tratta qui di fame di vita, di fame di eternità. Il segno della manna era l'annuncio dell'avvento di Cristo, che avrebbe soddisfatto la fame di eternità da parte dell'uomo diventando Lui stesso il "pane vivo" che "dà la vita al mondo". Ed ecco: coloro che l'ascoltano chiedono a Gesù di compiere ciò che veniva annunziato dal segno della manna, forse senza rendersi conto di quanto lontano andava quella loro richiesta: "Signore, dacci sempre questo pane" (Gv 6, 34). Quanto è eloquente questa richiesta! Quanto generoso e quanto sorprendente è il suo compimento. "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete . . . Perchè la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui" (Gv 6, 35.55-56). "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6, 54).

Quale grande dignità ci è stata elargita! Il Figlio di Dio si dona a noi nel Santissimo Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Quanto infinitamente grande è la liberalità di Dio! Risponde ai nostri più profondi desideri, che non sono soltanto desideri di pane terreno, ma raggiungono gli orizzonti della vita eterna. Questo è il grande mistero della fede!

3. "Rabbi [Maestro], quando sei venuto qui?" (Gv 6, 25).

Posero a Gesù questa domanda coloro che lo cercavano dopo la moltiplicazione miracolosa del pane. Anche noi poniamo oggi, a Wrocław , la stessa domanda. La pongono tutti i partecipanti al Congresso Eucaristico Internazionale. E Cristo ci risponde: sono venuto quando i vostri avi ricevettero il battesimo, ai tempi di Mieszko I e di Boleslao il Prode, quando i vescovi e i sacerdoti iniziarono a celebrare in questa terra il "mistero della fede" che riuniva tutti coloro che avevano fame del cibo che dà la vita eterna.

In questo modo Cristo giunse a Wrocław  oltre mille anni fa, quando qui nacque la Chiesa, e Wrocław  divenne sede vescovile, una delle prime nei territori dei Piast. Nel corso dei secoli Cristo è giunto in tutti i luoghi del globo terrestre di dove provengono i partecipanti al Congresso Eucaristico. E da allora continua la sua presenza nell'Eucaristia, sempre ugualmente silenziosa, umile e generosa. Davvero, "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13, 1).

Ora, alla soglia del terzo millennio, vogliamo dare una particolare espressione alla nostra gratitudine. Questo Congresso Eucaristico di Wrocław  ha una dimensione internazionale. Vi prendono parte non solo i fedeli della Polonia, ma quelli di tutto il mondo. Tutti insieme vogliamo esprimere la nostra profonda fede nell'Eucaristia e la nostra ardente gratitudine per il cibo eucaristico di cui da quasi duemila anni si nutrono intere generazioni di credenti in Cristo. Quanto inesauribile ed a tutti aperto è il tesoro dell'Amore di Dio! Quanto enorme è il debito contratto nei riguardi di Cristo-Eucaristia! Ci rendiamo conto di questo e insieme a san Tommaso d'Aquino esclamiamo: "Quantum potes, tantum aude: quia maior omni laude, nec laudare sufficis", "Quanto puoi, tanto osa, perchè Egli supera ogni lode, nè vi è canto che sia degno" (Lauda Sion).

Queste parole esprimono molto bene l'atteggiamento dei partecipanti al Congresso Eucaristico. In questi giorni cerchiamo di dare al Signore Gesù nell'Eucaristia l'onore e la gloria che Egli merita. Cerchiamo di rendergli grazie per la sua presenza, perchè da quasi duemila anni ormai Egli rimane con noi.

"Ti ringraziamo, o Padre nostro . . .

a noi hai fatto grazia

di un cibo e di una bevanda spirituale

e della vita eterna

per opera di Gesù, tuo servo.

A te sia gloria nei secoli!" (cfr Didachè).

 

[Papa Giovanni Paolo II, Congresso Eucaristico, omelia nella cattedrale di Wroclaw, 31 maggio 1997]

In queste ultime domeniche, la liturgia ci ha mostrato l’immagine carica di tenerezza di Gesù che va incontro alle folle e ai loro bisogni. Nell’odierno racconto evangelico (cfr Gv 6,24-35) la prospettiva cambia: è la folla, sfamata da Gesù, che si mette nuovamente in cerca di Lui, va incontro a Gesù. Ma a Gesù non basta che la gente lo cerchi, vuole che la gente lo conosca; vuole che la ricerca di Lui e l’incontro con Lui vadano oltre la soddisfazione immediata delle necessità materiali. Gesù è venuto a portarci qualcosa di più, ad aprire la nostra esistenza a un orizzonte più ampio rispetto alle preoccupazioni quotidiane del nutrirsi, del vestirsi, della carriera, e così via. Perciò, rivolto alla folla, esclama: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (v. 26). Così stimola la gente a fare un passo avanti, a interrogarsi sul significato del miracolo, e non solo ad approfittarne. Infatti, la moltiplicazione dei pani e dei pesci è segno del grande dono che il Padre ha fatto all’umanità e che è Gesù stesso!

Egli, vero «pane della vita» (v. 35), vuole saziare non soltanto i corpi ma anche le anime, dando il cibo spirituale che può soddisfare la fame profonda. Per questo invita la folla a procurarsi non il cibo che non dura, ma quello che rimane per la vita eterna (cfr v. 27). Si tratta di un cibo che Gesù ci dona ogni giorno: la sua Parola, il suo Corpo, il suo Sangue. La folla ascolta l’invito del Signore, ma non ne comprende il senso – come capita tante volte anche a noi – e gli chiede: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» (v. 28). Gli ascoltatori di Gesù pensano che Egli chieda loro l’osservanza dei precetti per ottenere altri miracoli come quello della moltiplicazione dei pani. E’ una tentazione comune, questa, di ridurre la religione solo alla pratica delle leggi, proiettando sul nostro rapporto con Dio l’immagine del rapporto tra i servi e il loro padrone: i servi devono eseguire i compiti che il padrone ha assegnato, per avere la sua benevolenza. Questo lo sappiamo tutti. Perciò la folla vuole sapere da Gesù quali azioni deve fare per accontentare Dio. Ma Gesù dà una risposta inattesa: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (v. 29). Queste parole sono rivolte, oggi, anche a noi: l’opera di Dio non consiste tanto nel “fare” delle cose, ma nel “credere” in Colui che Egli ha mandato. Ciò significa che la fede in Gesù ci permette di compiere le opere di Dio. Se ci lasceremo coinvolgere in questo rapporto d’amore e di fiducia con Gesù, saremo capaci di compiere opere buone che profumano di Vangelo, per il bene e le necessità dei fratelli.

Il Signore ci invita a non dimenticare che, se è necessario preoccuparci per il pane, ancora più importante è coltivare il rapporto con Lui, rafforzare la nostra fede in Lui che è il «pane della vita», venuto per saziare la nostra fame di verità, la nostra fame di giustizia, la nostra fame di amore. La Vergine Maria, nel giorno in cui ricordiamo la dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma, la Salus populi romani, ci sostenga nel nostro cammino di fede e ci aiuti ad abbandonarci con gioia al disegno di Dio sulla nostra vita.

[Papa Francesco, Angelus 5 agosto 2018]

Giovedì, 01 Agosto 2024 09:55

Il segreto è avere Fede!

XVIII Domenica del Tempo Ordinario B (4 agosto 2024)

1. La manna “è il pane che il Signore vi ha dato”: così Mosè spiega al popolo il significato della manna che nella Bibbia riveste vari simboli. La scelta del racconto della manna nella prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, si lega al discorso “eucaristico” che Gesù tiene nella sinagoga di Cafarnao. Per ben 13 volte san Giovanni evoca la figura di Mosè e la manna è citata cinque volte come simbolo del “pane di vita”. Ma che cos’è la manna? Una mattina gli ebrei erranti nel deserto svegliandosi scoprirono accanto ai loro accampamenti “una cosa fine e granulosa, minuta come la brina sulla terra” piovuta miracolosamente tra cielo e terra; continuarono a trovarla ogni mattina durante l’esodo nel deserto. La raccoglievano tutti i giorni eccetto il sabato e impastata ne facevano focacce da cuocere dal vago sapore della pasta all’olio. La raccolta cessò, come leggiamo nel libro di Giosuè, proprio all’ingresso nella terra promessa (Gs 5, 11-12). Vari significati ha la manna nella Bibbia: in primo luogo è “il pane” con cui Dio nutre il suo popolo e lo mette alla prova quando nel deserto recrimina e mormora contro di lui. Si tratta di una duplice prova: anzitutto occorre che Israele impari la lezione della riconoscenza verso Colui che tutto provvede; inoltre essendo gente dura di cervice non contenta mai di nulla, deve imparare a restare fedele agli ordini e ai comandamenti del Signore che chiede di raccogliere la manna sufficiente solo per ogni singolo giorno perché il surplus marcisce. In altri termini Dio educa anche così il popolo che si è scelto come sua proprietà.  In altri libri dell’Antico Testamento, soprattutto nei salmi, la manna assume il simbolo della parola di Dio e dell’amore divino che continua a diffondesi sull’umanità e infine, specialmente nella tradizione giudaica, la manna diventa il “cibo dell’epoca messianica”.  In definitiva la manna nel deserto diventa anche per noi cristiani il segno della fedeltà di Dio e della nostra fatica nel fidarci di lui e nel credere alle sue promesse mentre avanziamo verso il Cielo, nostra patria definitiva.

2. Il salmo 77/78 di cui oggi proclamiamo soltanto qualche breve passaggio come salmo responsoriale riprende il tema della fedeltà di Dio e della fatica degli uomini a fidarsi di lui.  Il Signore “fece piovere su di loro la manna per cibo e diede loro pane del cielo. L’uomo mangiò il pane dei forti, diede loro cibo in abbondanza” (v.v. 23-24).  Anche se qui emerge la gratitudine per un dono così misterioso, il salmo 77/78 nel suo insieme racconta la vera storia d’Israele che si snoda tra la fedeltà di Dio e l’incostanza del popolo pur sempre cosciente dell’importanza di dover conservare la memoria delle opere compiute da Dio. Perché la fede continui ad essere diffusa occorrono tre condizioni: la testimonianza di chi possa dire che Dio è intervenuto nella sua vita; il coraggio di condividere questa esperienza personale e trasmetterla fedelmente, infine ci vuole la disponibilità di una comunità a conservare la fede tramandata dagli antenati come irrinunciabile eredità. Israele sa che la fede non è un bagaglio di nozioni intellettuali, ma la viva esperienza dei doni e della misericordia di Dio. Ecco il tessuto spirituale di questo salmo dove in ben settantadue versetti si canta la fede d’Israele fondata nella memoria della liberazione dalla schiavitù e sul ricordo del lungo travagliato pellegrinare dall’Egitto al Sinai segnato da infedeltà e incostanza: nonostante tutto la fede si tramanda di generazione in generazione. Il rischio più forte per la fede è l’idolatria come denunciano tutti i profeti, rischio attuale in ogni tempo, oggi facile da riconoscere nei segni e gesti compiuti e ostentati come vanto di emancipata libertà. Il salmista denuncia questa idolatria come causa della sventura dell’umanità. Finché l’uomo non scoprirà il vero volto di Dio, non come lo immagina ma come egli è in verità, troverà sbarrata la strada della felicità perché ogni tipo di idolo blocca il nostro cammino verso la libertà responsabile. Superstizione, feticismo, stregoneria, sete del denaro, fame di potere e di piacere, culto della persona e delle ideologie ci costringono a vivere nel regime della paura impedendo di conoscere il vero volto del Dio vivo. Al versetto 8 del salmo (77/78) che non troviamo oggi nella liturgia, il salmista indica l’infedeltà con l’immagine dell’arciere valoroso che fallisce e viene meno alla sua missione: “I figli di Efraim, arcieri valorosi, voltarono le spalle nei giorni della battaglia”. Se la “cancel culture” oggi vuol far dimenticare che tutto è dono nella vita, si cade in una tristezza piena d’ingratitudine giungendo a mormorare con rabbia: “Dio non esiste e se esiste non mi ama, anzi non mi ha mai amato”. Ne consegue che le oscure nuvole dell’ingratitudine e della rabbia intristiscono la vita e soltanto l’esperienza liberante della fede le dissipa e le disperde perché ci fa riscoprire che Dio c’è, ama e perdona: il suo nome è Misericordia!

3. Per non cedere alla tentazione dell’idolatria, oggi moda woke, Dio ci offre un duplice nutrimento: il cibo materiale e quello spirituale espresso nel “segno” della moltiplicazione dei pani e dei pesci con cui Gesù sfama una folla immensa. Nella sinagoga di Cafarnao Gesù prende questo miracolo come punto di partenza del lungo discorso sul “pane di vita” che è l’Eucaristia. Discorso che proseguirà nelle prossime domeniche, e ha un incipit a prima vista sorprendete. Alla gente che gli rivolge una semplice domanda: “Rabbi, quando sei venuto qui?” non risponde direttamente, ma parte con una formula solenne: “In verità, in verità io vi dico”, simile a quella dei profeti nell’Antico testamento: “Oracolo del Signore”.  Attira l’attenzione su qualcosa d’importante e difficile da capire, che sta per dire e per tre volte gli ascoltatori lo interrompono con delle obiezioni. Con abilità educativa e provocatoria, utilizzando un linguaggio metaforico e simbolico, Gesù conduce anche noi, passo dopo passo, alla rivelazione del mistero centrale della fede: il mistero del “Verbo che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” offrendo la vita sulla croce per la salvezza dell’umanità. Nell’intero discorso sul “pane di vita” sentiremo risuonare l’insuperabile meditazione del prologo del quarto vangelo: Gesù è il Verbo del Padre venuto nel mondo per dare, a coloro che lo accolgono, il potere di diventare figli di Dio, “a quelli che credono nel suo nome e sono stati generati da Dio” (cf. Gv 1,12). E per essere chiaro dice subito che del miracolo la gente non ha afferrato il segno: “Mi avete cercato non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”.  Come dire, siete contenti per quel che avete mangiato, ma non avete colto l’essenziale: io non sono venuto per soddisfare la fame di cibo materiale, ma questo pane è il segno di qualcosa più importante. Anzi non sono stato io ad agire, ma ha agito il Padre celeste che mi ha inviato per donarvi un cibo diverso che vi conserva per la vita eterna.  In realtà, la distinzione fra cibo materiale e cibo spirituale era un tema caro alla religione ebraica come ben si comprende già nel Deuteronomio: Dio “ti ha nutrito di manna che tu non conoscevi… per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,3) e nel libro della Sapienza: “Sfamasti il tuo popolo con un cibo degli angeli, dal cielo offristi loro un pane già pronto senza fatica, capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto.  Questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza verso i tuoi figli; esso si adattava al gusto di chi l'inghiottiva e si trasformava in ciò che ognuno desiderava… non le diverse specie di frutti nutrono l'uomo, ma la tua parola conserva coloro che credono in te” (Sap.16,20-28). Gli ascoltatori capiscono a cosa Gesù si riferisce e chiedono: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”.  Gesù allora si presenta come il Messia atteso: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”. E perché crederti? Mosè fece il miracolo della manna e in quel tempo grande era l’attesa per la manna promessa come cibo dell’era messianica. Si comprende quindi la terza domanda: “Quale opera tu compi perché crediamo?” e Gesù risponde: “il Padre mio vi da il pane del cielo, quello vero”. L’incomprensione non lo ferma nella sua autorivelazione e Il testo evangelico oggi si chiude con l’annuncio dell’Eucaristia: “Io sono il pane di vita. Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà mai sete”. Il segreto dunque è aver Fede! 

Buona domenica a tutti + Giovanni D’Ercole

 

P.S. Aggiungo oggi, memoria del santo curato d’Ars Giovani Maria Vianney, questo suo pensiero sulla fede e l’Eucaristia: “Quale gioia per un cristiano che ha la fede, che, alzandosi dalla santa Mensa, se ne va con tutto il cielo nel suo cuore!... Ah, felice la casa nella quale abitano tali cristiani!... quale rispetto bisogna avere per essi, durante la giornata. Avere, in casa, un secondo tabernacolo dove il buon Dio ha dimorato veramente in corpo e anima!”

Giovedì, 01 Agosto 2024 06:24

La lotta per la Liberazione dai corrotti

Profezia, Rivelazione

(Mt 14,1-12)

 

Chi è ammantato di lustro e potere diventa ambizioso, sfrontato e disposto ad ogni violenza per un falso punto d’onore.

Il coraggioso che denuncia soprusi viene stroncato, ma la voce del suo martirio non tacerà più. Per questo l’episodio non induce Gesù a maggiore prudenza.

I tiranni si fanno beffe dell’isolato, scomodo e indifeso, ma capi e potenti sono anche vigliacchi: non intendono alienarsi la fama popolare.

Oltre che smidollato, qui Erode Antipa appare superstizioso, addirittura influenzato da credenze ellenistiche sulla riapparizione dei morti.

In aggiunta, egli pensava gli uomini di Dio come facitori di miracoli - termine ambiguo, che la nuova traduzione CEI evita (cf. v.2).

Gesù non ha mai frequentato la nuova capitale erodiana, Tiberiade, la città dei palazzi di corte, costruita in diplomatico omaggio all’imperatore romano - dopo Sefforis, dove anche Gesù ha lavorato.

 

La religiosità generica e confusionaria può adattarsi a ogni stagione ed esser fatta propria anche da chi pensa che la vita altrui non valga nulla, ma un Profeta non si assesta al capriccio di sistemi corrotti.

Nei villaggi palestinesi la vita della gente era vessata da balzelli e abusi di latifondisti [che neppure risiedevano in loco] e controllata dal perfetto connubio d’interessi fra potere civile e religioso.

I leaders della fede popolare, ortodossa, subalterna e confacente, erano a guinzaglio delle autorità sul territorio, le quali si consideravano definitive e trovavano forza nella coalizione.

Sembrava assurdo che in quella società qualcuno osasse infrangere il muro omertoso che garantiva ai facinorosi - alle guide, ai prepotenti persino d’infimo livello - di considerarsi intoccabili.

Di fronte al ricatto (senza troppi complimenti) dei privilegiati che avevano il controllo d’ogni ceto sociale e culturale, pareva impossibile iniziare un nuovo cammino, o dire e fare qualsiasi cosa non allineata.

 

La domanda su «Gesù, Chi è?» cresce lungo tutti i Vangeli.

Il bilancio delle opinioni della gente (es: Mt 14,1-2; Mc 6,14-16; Lc 9,7-9) lascia intendere che anche attorno alle prime assemblee di credenti si tentava di capire Cristo a partire da quanto si sapeva già [dai criteri delle Scritture e della tradizione, dalle credenze e suggestioni antiche - persino superstiziose].

Ma l’uomo di Dio non è semplice purificatore del Tempio, né un rabberciatore della religiosità conformista. Egli capovolge le speranze popolaresche, emotive o standard.

In tal guisa, ogni Profeta inquieta tutti i personaggi “di rango”, che detengono l’esclusiva.

 

Giovanni e Gesù sfidano e attraggono su di sé le vendette di coloro che tentano di perpetuare le prerogative del cosmo antiquato, e le rabbie di quanti vengono smascherati nelle loro ipocrisie.

È la difficoltà reale che incontra l’Annuncio del nuovo Regno nel mondo. 

Il suo rifiuto sprezzante e ogni tentativo di omicidio saranno una cartina al tornasole della nostra singolare e rinnovata testimonianza, la cui rivelazione correrà parallela ai Due.

 

 

[Sabato 17.a sett. T.O.   3 agosto 2024]

Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio, dalla preghiera, che è il filo conduttore di tutta la sua esistenza. Giovanni è il dono divino lungamente invocato dai suoi genitori, Zaccaria ed Elisabetta (cfr Lc 1,13); un dono grande, umanamente insperabile, perché entrambi erano avanti negli anni ed Elisabetta era sterile (cfr Lc 1,7); ma nulla è impossibile a Dio (cfr Lc 1,36). L’annuncio di questa nascita avviene proprio nel luogo della preghiera, al tempio di Gerusalemme, anzi avviene quando a Zaccaria tocca il grande privilegio di entrare nel luogo più sacro del tempio per fare l’offerta dell’incenso al Signore (cfr Lc 1,8-20). Anche la nascita del Battista è segnata dalla preghiera: il canto di gioia, di lode e di ringraziamento che Zaccaria eleva al Signore e che recitiamo ogni mattina nelle Lodi, il «Benedictus», esalta l’azione di Dio nella storia e indica profeticamente la missione del figlio Giovanni: precedere il Figlio di Dio fattosi carne per preparargli le strade (cfr Lc 1,67-79). L’esistenza intera del Precursore di Gesù è alimentata dal rapporto con Dio, in particolare il periodo trascorso in regioni deserte (cfr Lc 1,80); le regioni deserte che sono luogo della tentazione, ma anche luogo in cui l’uomo sente la propria povertà perché privo di appoggi e sicurezze materiali, e comprende come l’unico punto di riferimento solido rimane Dio stesso. Ma Giovanni Battista non è solo uomo di preghiera, del contatto permanente con Dio, ma anche una guida a questo rapporto. L’Evangelista Luca riportando la preghiera che Gesù insegna ai discepoli, il «Padre nostro», annota che la richiesta viene formulata dai discepoli con queste parole: «Signore insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (cfr Lc 11,1).

Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio. La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche, ma è esattamente il contrario: solo se se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio. San Giovanni Battista interceda per noi, affinché sappiamo conservare sempre il primato di Dio nella nostra vita.

[Papa Benedetto, Udienza Generale 29 agosto 2012]

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Still today Jesus repeats these comforting words to those in pain: "Do not weep". He shows solidarity to each one of us and asks us if we want to be his disciples, to bear witness to his love for anyone who gets into difficulty (Pope Benedict)
Gesù ripete ancor oggi a chi è nel dolore queste parole consolatrici: "Non piangere"! Egli è solidale con ognuno di noi e ci chiede, se vogliamo essere suoi discepoli, di testimoniare il suo amore per chiunque si trova in difficoltà (Papa Benedetto))
Faith: the obeying and cooperating form with the Omnipotence of God revealing himself
Fede: forma dell’obbedire e cooperare con l’Onnipotenza che si svela
Jesus did not come to teach us philosophy but to show us a way, indeed the way that leads to life [Pope Benedict]
Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia, ma a mostrarci una via, anzi, la via che conduce alla vita [Papa Benedetto]
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole  lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)
The first constitutive element of the group of Twelve is therefore an absolute attachment to Christ: they are people called to "be with him", that is, to follow him leaving everything. The second element is the missionary one, expressed on the model of the very mission of Jesus (Pope John Paul II)
Il primo elemento costitutivo del gruppo dei Dodici è dunque un attaccamento assoluto a Cristo: si tratta di persone chiamate a “essere con lui”, cioè a seguirlo lasciando tutto. Il secondo elemento è quello missionario, espresso sul modello della missione stessa di Gesù (Papa Giovanni Paolo II)

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