don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Domenica, 08 Giugno 2025 04:25

Rivoluzione senza strategie

Il Vangelo […] contiene una delle parole più tipiche e forti della predicazione di Gesù: "Amate i vostri nemici" (Lc 6,27). E’ tratta dal Vangelo di Luca, ma si trova anche in quello di Matteo (5,44), nel contesto del discorso programmatico che si apre con le famose "Beatitudini". Gesù lo pronunciò in Galilea, all’inizio della sua vita pubblica: quasi un "manifesto" presentato a tutti, sul quale Egli chiede l’adesione dei suoi discepoli, proponendo loro in termini radicali il suo modello di vita. Ma qual è il senso di questa sua parola? Perché Gesù chiede di amare i propri nemici, cioè un amore che eccede le capacità umane? In realtà, la proposta di Cristo è realistica, perché tiene conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo "di più" viene da Dio: è la sua misericordia, che si è fatta carne in Gesù e che sola può "sbilanciare" il mondo dal male verso il bene, a partire da quel piccolo e decisivo "mondo" che è il cuore dell’uomo.

Giustamente questa pagina evangelica viene considerata la magna charta della nonviolenza cristiana, che non consiste nell’arrendersi al male – secondo una falsa interpretazione del "porgere l’altra guancia" (cfr Lc 6,29) – ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia. Si comprende allora che la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore del nemico costituisce il nucleo della "rivoluzione cristiana", una rivoluzione non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico. La rivoluzione dell’amore, un amore che non poggia in definitiva sulle risorse umane, ma è dono di Dio che si ottiene confidando unicamente e senza riserve sulla sua bontà misericordiosa. Ecco la novità del Vangelo, che cambia il mondo senza far rumore. Ecco l’eroismo dei "piccoli", che credono nell’amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita.

Cari fratelli e sorelle, la Quaresima, che inizierà mercoledì prossimo con il rito delle Ceneri, è il tempo favorevole nel quale tutti i cristiani sono invitati a convertirsi sempre più profondamente all’amore di Cristo. Domandiamo alla Vergine Maria, docile discepola del Redentore, che ci aiuti a lasciarci conquistare senza riserve da quell’amore, ad imparare ad amare come Lui ci ha amato, per essere misericordiosi come è misericordioso il nostro Padre che è nei cieli (cfr Lc 6,36).

[Papa Benedetto, Angelus 18 febbraio 2007]

Domenica, 08 Giugno 2025 04:21

Saliamo su il Monte

1. Venite, saliamo sul monte...(Is 2,3; cf. Mi 4,2). Ascoltiamo oggi questo invito del profeta e lo rileggiamo come un imperativo interiore: l’imperativo della coscienza e l’imperativo del cuore. Il giorno 18 maggio ci obbliga moralmente a venire su questo monte; a fermarci con la preghiera sulle labbra davanti alle tombe dei soldati qui caduti; a guardare le mura del monastero che allora – trentacinque anni fa – fu ridotto in macerie; a ricordare quegli avvenimenti; a cercare, ancora una volta, di trarne un insegnamento per il futuro.

Camminiamo qui sulle tracce di una grande battaglia, una di quelle che hanno dato il colpo decisivo all’ultima guerra in Europa, alla seconda grande guerra mondiale. Questa guerra, negli anni 1939-1945, ha coinvolto quasi tutte le Nazioni e gli Stati del nostro continente, ha coinvolto nella sua orbita anche le potenze extra europee, ha manifestato i vertici dell’eroismo dei militari, ma ha svelato anche il pericoloso volto della crudeltà umana, ha lasciato dietro di sé le tracce dei campi di sterminio, ha tolto la vita a milioni di esseri umani, ha distrutto i frutti del lavoro di molte generazioni. È difficile enumerare tutte le calamità che con essa si abbatterono sull’uomo manifestandogli – al suo termine – anche la possibilità, attraverso i mezzi della più moderna tecnica degli armamenti, di un eventuale futuro annientamento di massa, di fronte al quale impallidiscono le distruzioni del passato.

2. Chi ha condotto questa guerra? Chi ha compiuto l’opera di distruzione? Gli uomini e le Nazioni. Questa era una guerra delle Nazioni europee pur legate fra di loro dalle tradizioni di una grande cultura: scienza ed arte profondamente radicate nel passato dell’Europa cristiana. Gli uomini e le Nazioni: questa era la loro guerra; e, come fu loro la vittoria e la sconfitta, così anche gli effetti di questo conflitto ad essi appartengono.

Perché hanno combattuto gli uni contro gli altri, uomini e nazioni? Sicuramente non li hanno spinti a questa terribile strage fratricida le verità del Vangelo e le tradizioni della grande cultura cristiana.

Sono stati coinvolti dalla guerra con la forza di un sistema che, in antitesi al Vangelo e alle tradizioni cristiane, era stato imposto ad alcuni popoli con spietata violenza come un programma, costringendo, al tempo stesso, gli altri ad opporre resistenza con le armi in pugno. In lotte gigantesche quel sistema subì una sconfitta definitiva. Il giorno 18 maggio è stato una delle tappe decisive di quella sconfitta.

Trovandoci a Montecassino nel XXXV anniversario di quel giorno, desideriamo, attraverso l’eloquente rievocazione di quella giornata, comprendere davanti a Dio, e alla storia, il significato di tutta la terribile esperienza della seconda guerra mondiale. Ciò non è facile; anzi, in un certo qual modo, diventa impossibile esprimere in brevi parole ciò che è stato oggetto di tante ricerche, di studi e di monografie, e certamente lo sarà ancora per lungo tempo. Tutta la nostra generazione è sopravvissuta a questa guerra, la quale ha gravato sulla sua maturazione e sul suo sviluppo, ma continua a vivere tuttora nell’orbita delle conseguenze di un tale conflitto. Non è dunque facile parlare di un problema che ha nella vita di noi tutti una dimensione tanto profonda. Di un problema ancora vivo e legato in un certo senso al sangue e al dolore di tanti cuori e di tante Nazioni.

3. Tuttavia, se ci sforziamo di comprendere tale problema dinanzi a Dio e alla storia, allora più che qualsiasi regolamento di conti col passato, prendono rilievo gli insegnamenti per il futuro. Questi si impongono con grande forza, dal momento che la storia non è soltanto il grande poligono degli avvenimenti, ma è anche soprattutto un libro aperto di quegli insegnamenti stessi; essa è fonte della sapienza della vita per gli uomini e per le Nazioni.

Quanto rileggiamo in questo libro, così dolorosamente aperto dinanzi a noi, ci conduce all’ardente preghiera, al fervente grido per la riconciliazione e per la pace. Siamo venuti qui, soprattutto, per pregare per questo, e per questo gridare a Dio e agli uomini. Poiché però la pace sulla terra dipende dalla buona volontà degli uomini, è difficile non riflettere, almeno brevemente, in quale direzione devono orientarsi tutti gli sforzi delle persone di buona volontà bisogna che tali siano tutti se vogliamo assicurare questo grande bene della pace e della riconciliazione per noi e per le generazioni future.

Il Vangelo di oggi contrappone due programmi. Uno basato sul principio dell’odio, della vendetta e della lotta. Un altro sulla legge dell’amore. Cristo dice: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5,44). È una grande esigenza.

Coloro che sono sopravvissuti alla guerra, come noi, che si sono incontrati con l’occupazione, con la crudeltà, con la violazione di tutti i diritti umani, la più brutale, sanno quanto grave e difficile sia questa esigenza. Eppure, dopo così terribili esperienze come l’ultima guerra, diventiamo ancor più consapevoli che sul principio che dice: “occhio per occhio e dente per dente” (Mt 5,38) e sul principio dell’odio, della vendetta, della lotta, non si può costruire la pace e la riconciliazione tra gli uomini e tra le Nazioni; essa soltanto si può costruire sul principio della giustizia e dell’amore reciproco. E perciò fu questa la conclusione che, dalle esperienze della seconda guerra mondiale, ha tratto l’Organizzazione delle Nazioni Unite, proclamando la “Carta dei diritti dell’uomo”. Soltanto sulla base del pieno rispetto dei diritti degli uomini e dei diritti delle Nazioni – del pieno rispetto! – può essere costruita, in futuro, la pace e la riconciliazione dell’Europa e del mondo.

4. Preghiamo, quindi, su questo luogo di grande battaglia per la libertà e per la giustizia, affinché le parole della liturgia odierna si incarnino nella vita.

Preghiamo Dio che è Padre degli uomini e dei popoli, così come prega oggi il profeta: “perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri... egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra...” (Is 2,3-4).

Preghiamo così, tenendo presente che non si tratta più di spade o di lance, ma delle armi nucleari; dei mezzi di distruzione, che sono capaci di ridurre al nulla la terra abitata dagli uomini.

Ricordiamo anche che a Montecassino, Papa Paolo VI ha proclamato, nel 1964, durante il Concilio Vaticano II, San Benedetto Patrono dell’Europa, facendo riferimento alle millenarie tradizioni benedettine di lavoro, di preghiera e di cultura frutto della pace e della riconciliazione.

Ricordiamo, infine, che il luogo sul quale ci troviamo è stato reso fertile dal sangue di tanti eroi: dinanzi alla loro morte per la grande causa della libertà e della pace siamo venuti a chinare, ancora una volta, il capo.

5. Cari Connazionali!

È insolito questo momento, in cui posso insieme con voi partecipare a questo grande anniversario. Trentacinque anni fa è terminata la battaglia di Monte Cassino, una di quelle che ha deciso le sorti dell’ultima guerra. Per noi, che allora, nel 1944, abbiamo vissuto la terribile oppressione dell’occupazione, per la Polonia, che si trovava alla vigilia dell’insurrezione di Varsavia, questa battaglia fu una nuova conferma di quella incrollabile volontà di vita, della tensione alla piena indipendenza della Patria, che non ci lasciarono mai nemmeno un istante. A Monte Cassino combatté il soldato polacco, qui morì, qui versò il suo sangue, col pensiero fisso alla Patria, che per noi è una Madre così amata, proprio perché l’amore ad essa esige così tanti sacrifici e rinunce.

Non è mio compito pronunciarmi sul tema del significato di questa battaglia, sul tema dei successi del soldato polacco qui, in questi rocciosi pendii. Gli abitanti di questo bel paese, l’Italia, ricordano che il soldato polacco ha portato alla loro patria la liberazione. Lo ricordano con stima e con amore. Noi sappiamo che questo soldato, per tornare in Polonia, ha percorso una strada lunga e tortuosa: “dalla terra italiana alla Polonia...” come un tempo le legioni di Dabrowski. Lo ha guidato la consapevolezza di una giusta causa. Proprio per tale giusta causa, sorse e non cessa di esistere il diritto della nazione all’esistenza, all’indipendenza, a una vita sociale che rispetti lo spirito delle proprie convinzioni, delle tradizioni nazionali e religiose, alla sovranità del proprio stato. Questo diritto della nazione, violato nel corso di più di cento anni di smembramenti, è stato brutalmente violato e minacciato di nuovo nel settembre del 1939. Ed ecco, durante questo tempo, dal 1 settembre fino a Monte Cassino, questo soldato ha percorso tante strade, con lo sguardo fisso nella Provvidenza di Dio e nella giustizia della storia, con l’immagine della Madre di Jasna Gora negli occhi... è venuto e di nuovo ha combattuto come la precedente generazione “per la libertà nostra e vostra”.

6. Oggi, stando qui in questo posto, a Monte Cassino, desidero essere servo e araldo di questo ordine della vita umana, sociale, internazionale, che si costruisce sulla giustizia e sull’amore: secondo le indicazioni del Vangelo di Cristo. E proprio per questo sento insieme a voi – soprattutto a voi tutti che avete combattuto qui 35 anni fa – l’eloquenza morale di questa lotta. La sento insieme a voi, cari Connazionali, e nello stesso tempo insieme a tutti coloro che qui riposano: i vostri compagni d’armi. Insieme a tutti, cominciando dal Comandante Supremo e dal Vescovo Militare. Tutti, fino al più giovane soldato semplice.

Molte volte sono venuto in questo cimitero. Ho letto le scritte sulle lapidi, che danno testimonianza a ciascuno di coloro che qui sono caduti, e indicano il giorno e il luogo della loro nascita. Queste iscrizioni hanno riverberato negli occhi della mia anima l’immagine della Patria, di quella in cui sono nato. Queste scritte, di tanti posti della terra polacca – da tutte le parti, dall’est all’ovest e dal sud al nord – non cessano di gridare qui, nel cuore stesso dell’Europa, ai piedi dell’abbazia che ricorda i tempi di San Benedetto, non cessano di gridare, così come hanno gridato i cuori dei soldati che qui combatterono: “O Dio, che hai protetto la Polonia, per così numerosi secoli...”.

Chiniamo la fronte davanti agli eroi.

Raccomandiamo le loro anime a Dio.

Raccomandiamo a Dio la Patria. La Polonia, l’Europa, i Mondo.

[Papa  Giovanni Paolo II, cimitero polacco di Montecassino 18 maggio 1979]

Domenica, 08 Giugno 2025 04:13

Rivoluzione cristiana

Nel Vangelo di questa domenica (Mt 5,38-48) – una di quelle pagine che meglio esprimono la “rivoluzione” cristiana – Gesù mostra la via della vera giustizia mediante la legge dell’amore che supera quella del taglione, cioè «occhio per occhio e dente per dente». Questa antica regola imponeva di infliggere ai trasgressori pene equivalenti ai danni arrecati: la morte a chi aveva ucciso, l’amputazione a chi aveva ferito qualcuno, e così via. Gesù non chiede ai suoi discepoli di subire il male, anzi, chiede di reagire, però non con un altro male, ma con il bene. Solo così si spezza la catena del male: un male porta un altro male, un altro porta un altro male… Si spezza questa catena di male, e cambiano veramente le cose. Il male infatti è un “vuoto”, un vuoto di bene, e un vuoto non si può riempire con un altro vuoto, ma solo con un “pieno”, cioè con il bene. La rappresaglia non porta mai alla risoluzione dei conflitti. ”Tu me l’hai fatta, io te la farò”: questo mai risolve un conflitto, e neppure è cristiano.

Per Gesù il rifiuto della violenza può comportare anche la rinuncia ad un legittimo diritto; e ne dà alcuni esempi: porgere l’altra guancia, cedere il proprio vestito o il proprio denaro, accettare altri sacrifici (cfr vv. 39-42). Ma questa rinuncia non vuol dire che le esigenze della giustizia vengano ignorate o contraddette; no, al contrario, l’amore cristiano, che si manifesta in modo speciale nella misericordia, rappresenta una realizzazione superiore della giustizia. Quello che Gesù ci vuole insegnare è la netta distinzione che dobbiamo fare tra la giustizia e la vendetta. Distinguere tra giustizia e vendetta. La vendetta non è mai giusta. Ci è consentito di chiedere giustizia; è nostro dovere praticare la giustizia. Ci è invece proibito vendicarci o fomentare in qualunque modo la vendetta, in quanto espressione dell’odio e della violenza.

Gesù non vuole proporre un nuovo ordinamento civile, ma piuttosto il comandamento dell’amore del prossimo, che comprende anche l’amore per i nemici: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (v. 44). E questo non è facile. Questa parola non va intesa come approvazione del male compiuto dal nemico, ma come invito a una prospettiva superiore, a una prospettiva magnanima, simile a quella del Padre celeste, il quale - dice Gesù - «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (v. 45). Anche il nemico, infatti, è una persona umana, creata come tale a immagine di Dio, sebbene al presente questa immagine sia offuscata da una condotta indegna.

Quando parliamo di “nemici” non dobbiamo pensare a chissà quali persone diverse e lontane da noi; parliamo anche di noi stessi, che possiamo entrare in conflitto con il nostro prossimo, a volte con i nostri familiari. Quante inimicizie nelle famiglie, quante! Pensiamo a questo. Nemici sono anche coloro che parlano male di noi, che ci calunniano e ci fanno dei torti. E non è facile digerire questo. A tutti costoro siamo chiamati a rispondere con il bene, che ha anch’esso le sue strategie, ispirate dall’amore.

La Vergine Maria ci aiuti a seguire Gesù su questa strada esigente, che davvero esalta la dignità umana e ci fa vivere da figli del nostro Padre che è nei cieli. Ci aiuti a praticare la pazienza, il dialogo, il perdono, e ad essere così artigiani di comunione, artigiani di fraternità nella nostra vita quotidiana, soprattutto nella nostra famiglia.

[Papa Francesco, Angelus 19 febbraio 2017]

Nella società odierna i fattori che procurano affanno e inquietudine sono molteplici e sovente le strategie per combatterle sono più difficili da trovare. 

Questo tempo caratterizza il  “barcollare” di valori fondamentali, di norme, di aspirazioni, che spingevano l’uomo verso la sua realizzazione, verso una sana relazione con gli altri.

Le attuali guerre nel mondo, il ricordo di esse per i meno giovani, le minacce atomiche, si aggiungono alla lista.

In un clima  così ostile l’isolamento dell’uomo si accentua.

Ogni persona  ha il proprio modo di reagire: quello più usuale è un senso di disagio, di ansietà, di sentirsi in pericolo senza sapere quale esso sia; di rovina, o altro.

Sovente ci sfugge la causa di tutto questo. La persona si sente disarmata, e se questa inquietudine è forte, può essere scaricata sul corpo.

Si noterà una rigidità muscolare, o possono essere presenti tremori, un sentirsi deboli, stanchi; anche la voce può tremare.

A livello cardio-circolatorio possono manifestarsi palpitazioni, svenimenti, aumento del battito cardiaco, aumento della pressione. 

Anche a  livello dell’intestino possono manifestarsi nausee, vomiti, mal di pancia - che non hanno origine organica. 

Vi possono essere anche altre manifestazioni tipiche della storia di ogni persona, e non c’è organo su cui non può essere scaricata la tensione interna.

Ricordo che nella mia attività  professionale ho incontrato soggetti con problematiche psicologiche “scaricate” in diverse parti del corpo; a volte, le più impensabili.

Mi sono ritrovato di fronte alopecie (perdita di capelli), arti bloccati, disturbi della vista, svenimenti, e negli ultimi tempi adolescenti che si tagliavano…

Se la persona si sente sopraffare da un’onda anomala di malessere interiore, può reagire in maniera inadeguata o addirittura pericolosa (alcol, droghe, corse in auto, gioco d’azzardo, ecc.).

La comprensione di queste agitazioni, preoccupazioni, ansie, è importante per stabilire quando esse sono nella norma o meno.

Gli stati di ansia non comuni si distinguono da una apprensione più o meno persistente, con crisi acute.

Questi stati sono da distinguersi dallo stato di preoccupazione diffusa che troviamo come usuale nella nostra vita quotidiana.

Ricordiamoci che per definire la nostra ansia, agitazione, dobbiamo convincerci che essa è qualcosa di normale quando l’individuo si sente minacciato.

L’agitazione va distinta dalla paura, dove il pericolo è reale: l’individuo può valutare la situazione e scegliere se affrontarla, o fuggire.

Quando parliamo di agitazione nella norma, vogliamo dire che è nella natura umana provarla di fronte ad un pericolo, a una malattia, etc.

Rappresenta il modo di vivere più profondo della nostra esistenza umana,

Ci fa trovare dinanzi ai nostri limiti, alle nostre debolezze, che non sono  manifestazioni del malessere interiore o di malattia, ma espressioni della natura umana. 

Più siamo coscienti dei nostri limiti, più riusciamo a vivere con le nostre ansie.

Per i nostri simili che si sentono onnipotenti l’agitazione, l’ansia, risultano insopportabili, poiché vengono alla coscienza i limiti che sono una ferita al proprio “sentirsi una creatura superiore”. 

Sperimentiamo una normale inquietudine anche quando lasciamo una “strada vecchia per una nuova”.

Sotto questo punto di vista essa ci accompagna nei nostri cambiamenti, nella nostra evoluzione, e nel trovare un significato nella nostra vita.

 

Dott Francesco Giovannozzi  psicologo-psicoterapeuta

Ss. Trinità

Pr 8,22-31; Rom 5,1-5; Gv 16,12-15 (anno C)

 

La Scrittura attesta che il Signore procede col suo popolo e si manifesta nella storia, ma non è legato a un territorio o alture particolari, bensì alla donna e all’uomo.

L’Eterno è «Dio di Abramo e di Isacco e di Giacobbe» (Mt 22,32; Mc 12,26; Lc 20,37; cf. Es 3,6).

Egli è «Colui che sarà» [Es 3,14 testo ebraico] ossia: nello svolgersi degli eventi le persone fanno esperienza essenziale del Vivente come Liberatore, e Sposo [cf. l’oscillante vicenda affettiva di Osea].

Ma nella pienezza del suo cuore, unicamente Gesù lo manifesta - ancora nella Prima Alleanza confuso con un legislatore arcigno, notaio, giudice che interviene per tagliare o distinguere, poi attende per la resa dei conti.

L’Onnipotente sogna di trasmettere vita e creare Famiglia, non dividere amici incontaminati da nemici impuri, o capaci e incapaci.

Tale diventa l’intima espressione della donna e dell’uomo autentici; cifra dell’identità della Chiesa che non si pronuncia al minimo.

Carta d’identità dei figli è la fede in un Dio che crea, fa Alleanza, è vicino, redime, consente la fioritura in qualsiasi accadimento o età.

 

La prima Lettura mette in luce il Progetto del Padre, il quale dispiega il suo essere mentre viene assistito dalla deliziosa figura della Sapienza.

La Creazione riflette il proponimento d’amore divino, che si manifesta nell’incanto d’un passeggiare gioioso con noi.

Egli desidera rimanere sulla terra, senza condizioni.

Sua Beatitudine? La stessa nostra; di ogni creatura, che ama fiorire malgrado i conflitti.

Ciò appunto - se il figlio pur malfermo  non si sente frutto del caso, anzi coglie gli attimi di confusione della vita come fossero quelli d’un cantiere [perché il Disegno sa dove andare].

Disordine, materiali accatastati, scompiglio, inediti a ogni pie’ sospinto; ma non ci si perde: dentro l'anima c’è l’immagine-prototipo di un ‘programma’ che consente tentativi ed errori, anzi fa leva su di essi.

È un Progetto che recupera tutte le energie sparse e i sentieri interrotti, creando varietà impensabili, quindi essenze svariate. Come farebbe un Genitore che si compiace della ricca prole, delle differenti opere dei suoi intimi nei più svariati campi, manifestate in mille sfaccettature.

 

Se il Progetto che guida è del Creatore, la vetta e l’Opera sono del Figlio.

La seconda Lettura fa comprendere che il Padre non ha considerato conclusa la sua attività concedendo il semplice input all’essere e alle essenze - abbandonando poi la realtà e gli uomini; e ritirandosi lassù.

Per Grazia, nella Fede siamo partecipi di Dio, abbiamo accesso diretto alla sua azione indipendente, a Lui stesso (Rm 5,2).

La Persona e vicenda di Gesù narrano di un Regno nel quale non si teme che la santità sia messa in pericolo dal contatto col mondo.

C’è un solo problema che taglia il Dialogo con l’Altissimo (v.3): credere che il nostro vanto sia di genere ovvio.

Di fronte ai nostri simili ci gloriamo di traguardi, ruoli, titoli e successi [capita anche nel cammino di perfezione religiosa]. Ma il Figlio annuncia che il Padre è solo Comprensione immeritata. 

Impariamo finalmente che l’ossessione di farsi ammirare dall’esterno - e il piacere dell’approvazione a ogni costo - non sono affatto “laVia.

Infatti la vera Scia - l’Opera genuina - è unicamente del Figlio, il quale avendo corrisposto sino in fondo all’iniziativa di Dio Padre, Giustifica.

L’Amico interiore poi non ci ‘rende giusti’ rivestendoci esteriormente e in modo puntuale, bensì in un processo esistenziale, che sposta gli equilibri (vv.3-4).

Il Signore opera nell’intimo tramite l’esperienza. Lo fa anche assediando “l’altro” noi-stessi che abbiamo messo da parte.

In tal guisa modificando il cuore rattrappito e migliorandoci con la sua Amicizia appassionata, riproposta in nuove opportunità di vita.

 

Il Vangelo fa appello al senso misterioso, incognito, del Dono totale di sé.

Non è semplice sostenerne il «peso» [Gv 16,12: allude alla Croce] né coglierne i risvolti e immaginarne la paradossale Fecondità.

Lo Sviluppo che ne sgorga è l’empatia, il portato, l’azione dello Spirito.

Gesto dispiegato che interiorizza questa proposta non solo stranissima, ma assurda: quella del trionfo nella perdita, e persino della Vita dalla morte.

Lo sperimentiamo in atto: nei recuperi inspiegabili che rendono gloria a Dio (v.14) [ossia rinnovano i rapporti] e rimettono in piedi persone che neppure hanno stima di sé.

Solo in questo modo si attua il Disegno di Salvezza.

Uscendo dall’ombra altrui, l’opportunista diventa giusto, il dubbioso più sicuro, l’infelice riprende a sperare; tutti possono vivere felicemente.

La Diversità accettata diventa impulso all’arricchimento e matrice di sviluppo.

L’identificazione sociale non c’entra più. In noi c’è altro.

 

Egli stesso è «Colui che sarà»: via le zavorre, il Meglio deve ancora Venire. Motivo per non scappare più dai grandi Desideri.

 

 

[Ss.Trinità, 15 giugno 2025]

Sabato, 07 Giugno 2025 06:49

Dal Mio

Gv 16,12-15 (5-20) [Gv 15,26-16,20]

 

Soluzioni soddisfacenti o Spirito della Verità

(Gv 15,26-16,4a)

 

La Fede nel Maestro è già vita eterna, o meglio Vita dell’Eterno (in atto qui e ora).

Egli stesso è Pane dell’esistere autentico e indistruttibile, sebbene ancora terreno.

Insomma, la vita intima di Dio ci raggiunge nel nostro tempo.

Primo passo è l’avventura di Fede che dona una Visione; irruzione dello Spirito che fa rinascere dall’alto.

Impulso che anima un’esistenza differente - non vuota.

Il segno di tale adesione è credere Gesù come Figlio: uomo che manifesta la condizione divina.

 

Cristo è Pane della vita anche perché la sua Parola è creatrice, e il cammino di sequela in Lui ci trasmette le qualità della Vita indistruttibile.

L’effusione dello Spirito suscita in noi il medesimo Cuore pulsante dell’Eterno.

Lo sperimentiamo nelle morti e risurrezioni del quotidiano e nella lunga trafila della Vocazione, ribadita di sentiero in sentiero.

Persino nella persecuzione, chi ‘vede’ il Figlio ha in sé la Vita dell’Eterno.

Vita che rigenera e dispone sempre nuove nascite, altre premesse e interrogativi, differenti percorsi, in forma ininterrotta; crescente.

La passione per l’Amico ci unisce a Lui, Pane: ossia Rivelatore della Verità che sazia gli uomini in viaggio verso se stessi e il mondo.

Anime che talora cambiano pelle, opinioni, stili di vita.

 

Nella Visione, siamo abilitati ad appropriarci direttamente, così attirando e realizzando la Novità di Dio - anche in anticipo, sapientemente.

Per mezzo di Lui ‘abbiamo parte’… nell’amore del Padre verso il Figlio che si manifesta Signore personale, nonché nella vita dilatata in uscita della Chiesa autentica.

Il Dio “nascosto” del Primo Testamento, ostacolo che sembrava insormontabile, si porge ora nello specifico della Fede, senza bisogno di fuochi fatui a sostegno.

Perché il mondo di Dio nell’anima è diverso.

Non si entra nel Mistero coi propositi normali e le aspettative perfette, tantomeno di successo e riconoscimenti.

 

In questo caso (nel passo di Vangelo) entra in scena l'incomprensione degli apostoli.

In effetti, persino a noi spesso non sembra decifrabile il modo di manifestarsi di Gesù.

Anche i giudei [in realtà: i giudaizzanti di ritorno nelle comunità di fine I secolo] attendevano di coglierlo in modo palese, magari in un’occasione di vita pubblica.

Invece, perfino in periodo di ‘glorificazione’ il Maestro sembra voler ricalcare l’inapparenza esteriore umile del suo ministero terreno.

Molti si attendevano fuochi d’artificio sensazionali in quel periodo che consideravano ‘finale’. Invece, nessun cedimento all’ideologia di potere o alla religione-spettacolo.

Dunque le cose non andavano secondo le attese: i dubbi non venivano dissipati; le ambiguità, neppure.

I titoli dell’antica gloria nazionalista e imperiale d’Israele non ricomparivano affatto, al contrario!

 

Ancora oggi, la scelta di Fede non è data in pasto agli apparati che ne garantirebbero visibilità: nessun paracadute, nessuno sconto.

Tutto allora sembra proceda come prima, nel sommario: faticare per vivere e comprare, viaggiare e non, ridere e piangere, ammalarsi e guarire, lavorare e fare festa… così via.

Spesso nel dolore apparentemente insensato; forse senza svolte decisive.

Ma nelle medesime cose di sempre c’è una Luce differente, piantata su una nuova, immediata Relazione dell’umanità bisognosa con il Padre che ci rigenera.

Egli stimola nuove Nascite, per riconnettere desideri, bisogni profondi, percorsi esterni; incrementare l’intensità di vita.

Ed è nella mutua conoscenza delle radici e dei solchi della realtà che sussiste in primis questo circolo d’amore tra Dio e i suoi figli.

 

Tutto ciò che ancora non è stato inteso verrà richiamato dall’azione dello Spirito. Unico impeto affidabile, che non punta su cose vane.

Un legame tra uomo e Cielo, in noi - non in alto.

Amicizia che non contempla anzitutto la rassegnazione, gli sforzi, le umiliazioni; bensì rielaborata nell’approfondimento.

Qui entra in gioco la vera portata dei nostri cuori - tanto limitati, eppure dotati di una misteriosa impronta - per la vita completa, e personale, di carattere.

 

Onde evitare intimidazioni, emarginazioni, seccature, alcuni membri di Chiesa propugnavano una sorta di alleanza fra Gesù e Impero.

Essi annunciavano un Cristo talmente vago e svincolato da non graffiare nessuno.

Alcuni ambiziosi, facinorosi della “vita nello spirito”, ritenevano che era ormai giunta l’ora di scrollarsi di dosso la vicenda terrena del figlio del falegname.

Figura che veniva considerata debole in sé, a breve termine, fuori luogo e tempo; già spenta.

Gv intende riequilibrare il tentativo d’Annuncio, diluito nei compromessi. 

L’evangelista sottolinea che il Risorto è Cifra e Motore che porta l’anima e ci genera nell’oggi.

È il medesimo Figlio di Dio che ha sostenuto una dura attività di denuncia e diverse battaglie con le autorità.

Agli opportunisti del suo tempo, il Maestro aveva osato toccare posizioni, vanità, e il sacchetto del commercio.

In tal guisa perseguitato, processato, vilipeso, condannato come sovversivo, e maledetto da Dio.

 

Insomma, lo Spirito Santo non va dietro le farfalle.

Azione dello Spirito [che interiorizza e attualizza] e memoria storica di Gesù devono essere sempre coniugate.

Solo in tale prospettiva franca è possibile cogliere in ogni tempo e circostanza la Verità dell’Eterno, e la Verità dell’uomo.

In aggiunta: il Padre è Creatore di ciascuna delle nostre inclinazioni profonde, cui appone una firma indelebile.

Essa si manifesta in un istinto innato, che vuole germinare, trovare spazio, esprimersi.

Abbiamo radicata nell’intimo una Vocazione e volti (plurali) unici, invincibili; ciascuno.

Non possiamo rinnegare noi stessi, le nostre Radici - anche laddove una testimonianza a viso aperto fosse poco appetibile.

La Verità su ogni ‘Persona’ è conseguente.

 

Per Grazia, siamo depositari d’una dignità sbalorditiva.

Anche nell’errore, o ciò che si considera tale, essa impartisce Desideri eccezionali. 

Verità che ripristina ancora Sogni: una speranza inedita, la quale attiva passioni coinvolgenti.

Invano avremmo quiete e felicità cercando il concordismo culturale e sociale, o recitando ruoli, personaggi, mansioni che non ci appartengono - sebbene acquietanti.

Diventeremmo esterni.

Verità: Fedeltà di Dio in Cristo. E franchezza in ogni scelta, col nostro carattere in relazione e situazione.

Il resto è calcolo - disturbo profondo, che ci lascerà dissociati e farà ammalare dentro.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Prendi posizione e affronti le conseguenze? Quando è in gioco la tua caratura vocazionale, fronteggi e ci metti la faccia o ti mimetizzi?

Fai il vago, valuti il contraccambio e cerchi tributi o protezione di ammanicati e sinagoghe soddisfacenti? Oppure desideri unire la tua vita a Cristo?

 

 

Paraclito, Peccato Giustizia Giudizio

(Gv 16,5-11)

 

Anticamente non esistevano gli avvocati, e ci si doveva difendere da soli, trovando testimoni.

L’imputato poteva essere ad es. colpevole ma degno di perdono, o innocente eppure non in grado di mostrare prove.

In tali casi l’assoluzione veniva assicurata da una persona stimata del pubblico, che si alzava dall’assemblea e si poneva silenziosamente a fianco dell’accusato, garantendo per lui e così giustificandolo.

È l’azione dello Spirito, in Gv denominato Paraclito: «chiamato accanto».

 

Gesù è stato condannato dagli espertissimi maestri della religione ufficiale come squilibrato, eretico e imperdonabile peccatore.

Normale attendersi che nel medesimo modo venga giudicato anche chi rinuncia alla simulazione e accoglie Cristo come Signore della propria vita: sentirà sul vivo e nel profondo la propria identità di destino con Lui.

 

Ma in noi c’è una forza silenziosa di convinzione che armonizza persino le accuse, che ci libera dalle tensioni indotte dall’esterno.

Corrispondenza che riannoda i fili della trama vocazionale, che riporta l’anima al concerto interiore, per la missione; e fa ripartire anche dopo le fatiche di vessazioni idiote.

Tale potenza intima e amica non è legata all’ostinazione, ma all’ascolto di se stessi - fuori d’ogni parametro locale; culturale, sociale o religioso condizionante.

Tutto per il compito che ci spetta, e senza farci esaurire l’energia nitida, negli scontri diretti.

 

C’è un mondo interiore di Presenza che apre le porte.

Esso ha un potere segreto d’autorità (privo di sentenze o imposizioni) che sgancia l'anima dalla lotta incessante verso le avversità che si contrappongono.

E volentieri ci si affida a tale virtù silenziosa: della vita indipendente che affiora e viene.

 

«Peccato» (vv.8-9) è infatti l’incapacità di accogliere la Chiamata a seguire il proprio Seme, il proprio Nucleo, la propria “voglia” che detesta il dirigismo altrui, gli sforzi, il chiasso.

Nocciolo che intreccia le sue radici nel terreno, e infallibilmente guida a realizzazione - nonché a corrispondere.

Così testimoniando l’irripetibile Chiamata personale, Perla senza neppure cumulo di pene e ostinazioni.

 

Per Via il discepolo autentico capirà che il Signore ha condonato il suo «peccato», ossia ha cancellato l’umiliazione delle distanze incolmabili [fra condizione creaturale e perfezione].

Attributo quest’ultimo predicato dalla religiosità comune; tanto adultoide, accomodato, ipocrita e installato da impedire di farci diventare umani.

I peccatucci in senso moralistico [non teologico] sono altro.

 

«Giustizia»: quella divina non è retributiva, perché distinguerebbe il mio dal tuo. E di divisione in divisione farebbe cadere nelle peggiori ingiustizie.

Il Padre agisce creando: fa Giustizia dov’essa non c’è; colloca in posizioni conformi, pone rapporti debiti dove non esistono ancora.

 

Insomma, l’Amore permane squilibrato: sta sul versante irregolare del Dono gratuito, che non si tiene a bada.

Piuttosto, riscrive l’intera storia. Con molto di eccessivo.

Non è il mercimonio dei meriti: il tanto-quanto («mereor» è infatti radice di “meretricio”).

 

«Di là verrà a giudicare» - recita il Credo Apostolico: di là da dove? Il Giudizio divino non è quello banale e soppesato delle costumanze intimiste.

«Giudizio» in senso evangelico è l’invito attivo, personale e intimo di Gesù, che si dona completamente, sino all’ultima goccia di sangue; che comunica il suo Spirito vitale (Gv 19,30) e annienta le accuse decretate dal «mondo» della convenienza.

 

Da dove? Dalla Croce.

Stesso punto dal quale chi è illuminato dallo Spirito che vince interessi e morte, cura e libera dalle pastoie del «ne quid nimis» [nulla di troppo].

Il vero credente sa stare con se stesso in modo diverso. Rigenerando la vita di tanti fratelli.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Conosci l’errore del «mondo»?

Ti difendi da solo coi tuoi criteri o ti lasci scagionare?

 

 

«Dal Mio»: il vissuto drammatico e felice delle origini

(Gv 16,12-15)

 

«Riceverà dal Mio e vi annunzierà [...] riceve dal Mio e vi annunzierà» (vv.14-15).

L’insegnamento impartito da Gesù con la sua vita non fu incompleto, ma un germe che tracciava opzioni fondamentali, linee guida.

L’insufficienza magisteriale nelle casistiche di dettaglio è significativa. Cristo non è un modello ingessato e morto, bensì un Motivo e Motore.

E Dio non è un predittore di futuro, né un rassicuratore - bensì Presenza vitale. Anche quando nelle vicende avverse sembra mancare l’aria.

Sebbene limitata nello spazio e nel tempo, la sua vicenda e Parola fa ancora germinare le linee portanti di un mondo alternativo, empatico persino nel dramma dei momenti no.

La Verità completa del Signore (compreso il senso della sua morte) non riguarda quantità - il numero di verità, le prescrizioni: è in fieri.

‘Verità’: essa stessa chiede di venire approfondita, intensificata, resa qualitativa, totalizzante.

 

Gli Scritti del Nuovo Testamento attestano l’azione dello Spirito, che a partire da situazioni comunitarie arcaiche (Mc) affina e svela in modo crescente il senso di quel che “deve venire” (v.13).

Nella sequela personale ed ecclesiale anche extra moenia - si tratta da parte nostra della possibilità d’un sempre più acuto intendimento.

Non siamo depositari di un’attitudine alla divinazione - beninteso - bensì al discernimento [ora in grado di valorizzare perfino le deviazioni].

Ci è trasmessa una facoltà di cogliere il genio del tempo, pure nello squilibrio e nello sradicamento.

Ciò in relazione alla capacità dei discepoli di corrispondere alla vocazione che accoglie il nuovo: una lenta glorificazione paradossale; anche per loro, ‘via d’innalzamento’.

La penetrazione del Mistero e della storia della salvezza che ha avuto il suo apice e fonte germinale in Gesù di Nazaret, acquista vieppiù chiarezza sorprendente; nuovi modi di essere.

Scopriamo nella Fede che la nostra vita può allargare l’orizzonte. Essa non è portata avanti in funzione di Dio, come nelle religioni arcaiche, che ingabbiano… bensì il viceversa.

 

Cristo parla non di nuove verità, bensì di ‘verità completa’: in particolare riguardante il volto del Cielo dentro; il profilo della donna e dell’uomo integrali e autentici; il carattere della nuova società.

Uno dei modi in cui i primi cristiani sperimentavano la presenza del Santo Spirito fu la profezia, resa feconda da fatti anche spiacevoli che obbligavano incessantemente all’esodo, al trasloco, a girare lo sguardo - così vincendo la paura di crescere.

Si doveva permanere… solo nella franchezza individuale o ecclesiale. 

Se qualcuno si doveva “isolare” dalla mentalità comune, era per ritrovare le radici profonde, interrompere i comportamenti artificiosi pronti al baratto dei valori.

Man mano i fratelli di comunità facevano esperienza della profondità e dimensione totale dell’insegnamento ricevuto.

Anche le persecuzioni e le “croci” non venivano debellate in modo precipitoso.

Nel giusto tempo, le crisi infatti si trasformavano nell’abbecedario dell’amore; in opportunità per vivere bisogni e relazioni in modo diverso - anche paradossale, per un cambiamento genuino; da dentro, naturale.

In tale ottica, ogni evento era sempre meglio compreso, interiorizzato, assimilato e fatto proprio come chiamata storica del Dio che si rivela.

Negli accadimenti dei primi tempi, ecco svelarsi tutte le situazioni in cui si troverà la Chiesa di sempre.

 

In tal guisa e in quello spirito i discepoli iniziarono un percorso di comprensione dei fatti della Pasqua.

Gli intimi del Signore scoprivano passo passo che la vicenda del Cristo avrebbe abbracciato tutti i segreti di Dio.

 

Insomma, le prime fraternità constatavano le cose “straordinarie” della sequela vivente e della ‘guida interiore’.

Vivendo l’insegnamento del Maestro nelle più svariate circostanze [favorevoli e gioiose, o tristi e in perdita] Egli si rendeva Vicino nell’anima; e si manifestava, prendendo il passo dei fratelli.

Una diversa Luce - non più neutra, omologata, qualsiasi - animava la vita dei fedeli e la loro convivenza.

Essi sperimentavano una nuova Nascita, come un’incessante Creazione.

Dal cuore dei credenti nel Figlio dell’uomo - anche quelli prima malmessi - sgorgava una Fonte inedita di conciliazione e armonia degli opposti. 

Affiorava una Sapienza delle cose sconosciuta al mondo dell’impero e altre credenze.

Lo Spirito del Risorto consentiva di comprendere la fecondità critica della Croce [«il peso»: v.12], così dilatava le soluzioni e gli orientamenti della vita convenzionale competitiva.

Ovvio che si registrassero cadute, per naturali condizioni di precarietà, e per il fatto che non era immediato capire la logica del Crocifisso.

Ma l’Azione dello Spirito della «Verità» [Fedeltà di Dio] illuminava, guidava e stimolava a interpretare più a fondo il Verbo del Signore: non un deposito di affermazioni cristallizzate.

I figli scoprivano che quel Richiamo era vivente, inesauribile nei suoi significati e nella possibilità d’intendere le cose.

 

Verità sull’Eterno e sull’umanità, gravida d’implicazioni esistenziali.

I rinati dall’acqua e dallo Spirito iniziavano a percepirla come forza di eventi, potenza reale e travolgente.

La sua intelligenza si arricchiva nella storia, attraverso vicende di assemblea, esperienze, dialoghi, riflessioni.

Lo Spirito del Cristo piagato e Vivo interiorizzava quell’Appello che rinnovava donne e uomini, e i loro rapporti.

Persone che neppure avevano stima di sé venivano rimesse in piedi. Il profittatore diventava giusto, il dubbioso più sicuro; l’infelice riprendeva a sperare.

Tutti nell’aiuto reciproco si rendevano conto di poter vivere felicemente.

L’assistenza dello Spirito divino totale e mistico, anche oggi guida nell’accesso e pienezza di sfaccettature della Verità; ed è stimolo a una comprensione innovativa, democratica, poliedrica, personale.

Bando all’insicurezza.

Possiamo essere ancora nella franchezza più acuta, energetica e contemplativa; in una fedeltà di lettura-interpretazione integrale dei Vangeli che rifugge da ogni accomodamento (vv.14-15).

 

 

«Un Attimo»: vissuto critico e recupero del tempo perduto

 

«Un tempo brevissimo»: non siamo in sala d’aspetto

(Gv 16,16-20)

 

La comunione umana dei primi discepoli col Maestro è stata suggestiva, non esauriente. Essa deve ora rinnovarsi.

Ciò avviene nel passaggio di Gesù dal mondo al Padre. Quindi nel cammino e dialogo fuori di ogni cerchia, cui gli apostoli stessi sono chiamati.

Il distacco terreno dal Signore è stato drammatico. Ma anche oggi siamo spinti a vivere e crescere nella ‘Chiesa in uscita’.

Spostamento che obbliga i fedeli in Cristo a transitare dai fratelli e sorelle di comunità a un rapporto totalizzante con la famiglia umana.

L’immediata percezione diventerebbe infrangibile: Gesù deve andare e lasciarci soli perché entriamo nel Mistero, in ricerca.

Ciò affinché sia il Risorto e il totalmente Altro a emergere in questo distacco, nella nebbia e notte dell’Esodo ribadito, tutto reale e tutto nuovo.

Anche per noi, la certezza si fa problema; la stabilità conosce le scosse. 

Non siamo dei protetti - come nella religione pagana, dove gli dèi scendevano nelle difficoltà e parteggiavano per gli amici.

 

C’è un distacco dalle rappresentazioni di Dio, persino dal nostro modo comune di pensare il Risorto.

Egli diventa eco dell’anima, che guida. E si fa ‘corpo’ ossia Chiesa; nonché “chiamata” alla frantumazione degl’idoli, alla testimonianza in uscita.

L'attività evangelizzatrice degli apostoli genuini va di pari passo con il Signore, e ne riflette le vicende, l’insegnamento, il tipo di confronti.

In tal guisa il Vivente si fa presente e operante in noi, senza soluzioni di continuità.

Certo, gli eventi che si avvicinano assumono una loro configurazione - ogni volta particolare.

Ma per Fede nella vittoria della vita sulla morte, capiamo: tutto si configura nelle modalità che consentono di esprimere il Nucleo profondo dell’essere, il nostro sentirci chiamati.

Gioia fontale, autentica.

In quanto discepoli, dispieghiamo il Risorto nella storia di ciascuno: morte risurrezione manifestazioni... personali, inedite anche nel segno dei travagli - per ogni credente.

In tale prospettiva tipicamente giovannea (e azione pratica) la morte-risurrezione, la glorificazione alla destra del Padre [Ascensione] e il Dono dello Spirito si rendono simultanei.

Come un ‘nuovo ordine’ di cose [cosiddetto Ritorno alla fine dei tempi].

 

Insomma, l’avvenimento integrale del Messia umanizzante concede al fedele di sentirsi in comunione con Dio, e unito al Figlio - senza cesura alcuna, né ritardi temporali.

La Fede-Visione coglie lo Spirito innovatore e creatore del Padre all’opera, per edificare il mondo definitivo.

Pertanto, il Giudizio dalla Croce è adesso, non si collocherà dopo un’attesa snervante, in un momento lontano.

Il Tempo della Chiesa non diventa così “intermedio”. Né può giustificare forme di spiritualità oscura e vuota.

L’impatto col divino sfida ed espone. Tuttavia possiede una sua densità, unica.

Le tribolazioni ci sarebbero state - anche tanto serie, ricolme d’imbarazzo e senza precedenti - ma avrebbero trascinato le coscienze ben oltre lo sconcerto e il repentino poco appagante.

Nell’esperienza degli inviati, posti faccia a faccia con la Missione, l’enigmatico «fra poco» non avrebbe avuto nulla d’impenetrabile.

Lo ‘rivediamo’ in Spirito, però non solo nel cuore.

È per un Annuncio insieme - senza intimismi. Libero rapporto con la realtà e il Vivente, “da” noi stessi.

 

Gv riflette una catechesi a domande e risposte rivolta a coloro che non riuscivano a comprendere il senso della morte del Maestro e chiedevano spiegazioni.

I padroni dell’antica religione del consenso gioivano per la scomparsa di quel sovversivo ed eretico che invece di tenersi quieto e fare carriera era stato una spina nel fianco del loro prestigio - e guadagni - finalmente fatto fuori e svergognato.

Ormai un fallito e rifiutato anche da Dio.

Ebbene: «un tempo brevissimo» o «entro breve tempo» sono espressioni che ribadiscono e marcano la continuità fra esperienza di vicinanza fisica con Gesù e ‘visione’ del Risorto.

Trasfigurato e Signore in-noi, è il medesimo Maestro che riconosciamo nella sua vicenda terrena, compresi gli aspetti meno felici. Ad es. di rifiuto, denuncia, rimprovero.

Proprio come di uno che non sa stare al mondo.

Sono momenti inestimabili: tempi di riscoperta della vicinanza cosmica e divina, ovviamente purificata da illusioni di gloria o conformismo sociale.

Malgrado l’ambiente ostile, la situazione interiore del discepolo non muta: è di unità permanente e non subisce interruzione, anzi diventa più incisiva e diretta al fine.

Fede è Relazione penetrante: anche oggi, non più legata al sentire, al vissuto rituale, o ai segni di una civitas christiana monopolista e consolidata - bensì all’acutezza e incisività dell’adesione personale.

 

Talora sembra dileguarsi? Subito dopo un dubbio che sorge, ogni cosa si capovolge.

La franchezza nell’aspro confronto con il potere consolidato o con le idee della devozione buona per le sagre e tutte le stagioni, Lo rende improvvisamente Presente.

Vivo e fastidioso, ma stupefacente.

È vero: quando tutto sa di tristezza e prova, in un istante la situazione si rovescia.

È il momento della Felicità profonda: della Visione dell’Amico invisibile che si manifesta nella sua Sapienza e forza reali.

Incarnazione che continua nei testimoni critici e nelle assemblee che si configurano quali Risveglio luminoso del Signore.

Esse affrontano la medesima Passione d’amore e non scansano i problemi: li fanno fiorire come Novità vitale di Dio.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

La tua testimonianza è cosa diluita e fa dormire, o è intensa, perspicace, pungente?

 

 

La Rivelazione operante nella Comunità

 

Afflizione e gioia nei dolori del parto

(Gv 16,20-23a)

 

Una credenza diffusa al tempo di Gesù era che il tempo ultimo sarebbe stato preceduto da un eccesso di tribolazioni e violenze.

Il gaudio dell'età d’oro futura sarebbe stato annunciato da un periodo di prove senza precedenti.

L’immagine della partoriente esprimeva il senso della storia intensamente dolorosa nel volgere dei tempi.

Tempi che ci si attendeva non eccessivamente durevoli - compensati da una liberazione la quale avrebbe fatto trasalire di gioia.

Lo spirito di autosufficienza e finta sicurezza del mondo circostante (anche della casta religiosa, preoccupata di salvaguardarsi) avrebbe condotto i membri di chiesa a una terrificante solitudine.

I fedeli contraddicevano il modo pio e imperiale di considerare la vita, fondato su false sicurezze e spirito di affermazione.

Il momento storico sembrava invaso da tristezza e insieme da un’aspettativa ineffabile, radicale, che paradossalmente sorgeva dalla medesima causa delle persecuzioni.

L’esclusione produceva senso di sconforto, ma era anche una molla che attivava sguardi incisivi, e l’azione, per un appagamento a rovescio - nell’esperienza viva della Presenza divina.

L’allontanamento sociale faceva scattare una situazione di Libertà: diventava Dono inatteso, proficuo, tangibile.

Tutto si mostrava utile a conciliare la molteplicità dei volti con la propria storia dispersa, i fratelli e sorelle, il futuro di Dio.

Fine delle incomprensioni.

Alla luce dell’esperienza reale della Visione-Fede operante, anche nei malesseri non vi sarebbero state questioni da avanzare: solo risposte.

Il mistero dell’esistenza di ciascuno veniva chiarito in modo eloquente, senza più interrogativi dispersivi: piuttosto, con guide interiori.

 

Nella figura di Gesù che “saluta” i suoi, Gv introduce il Dono del Paraclito. Spirito che reca la gioia della Presenza [silenziosa] del Maestro.

Ancora in mezzo - Egli stava facendo nascere il mondo nuovo.

Le allusioni frequenti alle sofferenze intime descrivono nel testo la realtà delle comunità giovannee dell’Asia Minore di fine primo secolo, tormentate da defezioni.

L’oppressione sotto Domiziano aumentava, e molti fratelli di comunità erano impazienti: avevano bisogno d’una chiave d’interpretazione profonda, e di una prospettiva.

Non ce l’avrebbero fatta da soli, a partire da se stessi.

Gv intende sostenere le pene dei credenti ed evitare fughe, incoraggiando tutti a vedere nelle persecuzioni un meccanismo generatore di vita nuova [doglie del parto: v.21].

Solo così chi aveva la morte davanti agli occhi non temeva di proseguire nella sua franchezza di testimone: doveva avere una Speranza forte.

Su tale raggio di luce e sulla scia di Dio nella storia, passo dopo passo tutto diventava chiaro.

Nella vita della donna e dell’uomo di Fede, malinconia e gioia andavano a braccetto - anzi, erano le prove assolute e laceranti che sprigionavano il flusso vitale.

La morte del Cristo e dei suoi rendeva possibile una nuova Nascita dell’umanità.

Mistero della vita, delle tribolazioni, e dell’essere in pienezza nuove creature, di genesi in genesi.

 

Nella Bibbia la Felicità è percezione di pienezza di vita, luogo della festa che trasporta la persona e la fraternità intera, dai malesseri del viaggio - è il grande segnale del Mondo nuovo.

Ma le comunità primitive facevano esperienza che la gioia intima nasceva dalle lacrime d’un parto doloroso: così doveva essere anche per il mondo avvenire; di conquista inedita e libertà.

Dalle doglie sorgeva appunto una vita differente, primordiale, colma di un’esultanza altra: dissonante da vecchi moduli, nomenclature, e propositi, persino per chi partoriva.

Insomma, la sofferenza non negava l’irradiazione dello Spirito: era una legge della nascita [non forza negativa] che poteva sì annientare, ma solo coloro che avevano lo sguardo ripiegato.

Così era anche per il Regno: la sua instaurazione accadeva all’interno di una lotta, mai innocua - che pur feriva fuori e dentro anche la sostanza umana, nel riposto del cuore e delle relazioni.

Ma essa poi riarmonizzava e più, nel brivido delle scoperte, nelle suggestioni che palpitavano - dalle quali scaturiva una nuova creazione.

Alle note ufficiali della vera Chiesa [una santa cattolica apostolica] bisognava forse aggiungere: vessata, flagellata, inchiodata. In tal guisa, rafforzata da una Parola-Persona che risuonava dentro.

Da tutto ciò è derivato sin dai primi tempi un “gusto” senza impedimenti, che subito incorre nell’ostilità mondana. Nulla a che vedere con l’impero e la sua logica piramidale-feudale.

Proprio nel travaglio, ogni prova produceva nei figli di Dio la gioia d’una ritrovata Presenza, nel tempo lungo dell’evangelizzazione - sempre in pericolo di smarrire e nella tentazione di cedere.

Bisogna ricordarsi di questo ritmo: mestizia del congedo e cuore nuovo, gioia e tristezza…

Paradossale sinergia che può far crescere la nostra unione coinvolgente col Risorto, riconosciuto Signore.

 

 

Spe Salvi

 

Desideriamo in qualche modo la vita stessa, quella vera, che non venga poi toccata neppure dalla morte; ma allo stesso tempo non conosciamo ciò verso cui ci sentiamo spinti. Non possiamo cessare di protenderci verso di esso e tuttavia sappiamo che tutto ciò che possiamo sperimentare o realizzare non è ciò che bramiamo. Questa « cosa » ignota è la vera « speranza » che ci spinge e il suo essere ignota è, al contempo, la causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l'autentico uomo. La parola « vita eterna » cerca di dare un nome a questa sconosciuta realtà conosciuta. Necessariamente è una parola insufficiente che crea confusione. « Eterno », infatti, suscita in noi l'idea dell'interminabile, e questo ci fa paura; « vita » ci fa pensare alla vita da noi conosciuta, che amiamo e non vogliamo perdere e che, tuttavia, è spesso allo stesso tempo più fatica che appagamento, cosicché mentre per un verso la desideriamo, per l'altro non la vogliamo. Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche modo presagire che l'eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell'immergersi nell'oceano dell'infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell'essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia. Così lo esprime Gesù nel Vangelo di Giovanni: « Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia » (16,22). Dobbiamo pensare in questa direzione, se vogliamo capire a che cosa mira la speranza cristiana, che cosa aspettiamo dalla fede, dal nostro essere con Cristo.

[Papa Benedetto, Spe Salvi n.12]

Sabato, 07 Giugno 2025 06:44

Io-Sono Con-voi

(Mt 28,16-20)

 

Mt non descrive l’Ascensione, ma propone il medesimo messaggio di At 1,1-11 (usando immagini diverse): il passaggio di consegne.

A differenza di Lc e Gv, Mt colloca l’incontro col Risorto in Galilea - non a Gerusalemme, centro sacro. L’ambientazione ha un peso teologico.

Egli non si rende presente e visibile nella città santa, bensì in periferia, e gli apostoli sono invitati a ricalcare le orme del Maestro a partire da dove la sua missione ha avuto inizio.

I componenti delle comunità di Galilea e Siria cui Mt si rivolge provenivano dal giudaismo, ma subivano il disprezzo dei giudei osservanti, che li consideravano doppiamente traditori della loro cultura.

A motivo delle invasioni da nord e dall’est, la popolazione di quelle terre era eterogenea, e gli ortodossi guardavano con sospetto tale mescolanza. In più, con l’adesione a Cristo avevano messo in dubbio consuetudini e autorità degli insegnamenti identificativi tradizionali.

È proprio a queste persone poco stimate che viceversa si rivolge il Vangelo del Signore, e a partire dall’esperienza de «il Monte» (v.16).

Nella cultura biblica e semitica in genere, Monte è il luogo dell’esperienza speciale dell’Eterno, delle sue manifestazioni.

In Mt il termine allude allo scenario delle Beatitudini: luogo della nuova opera di salvezza di Dio che supera la Legge.

Gerusalemme non doveva più essere il centro del culto e della religiosità. Il velo del Tempio è squarciato (Mt 27,51): l’accesso al Padre non più circoscritto a un luogo.

Ogni credente in Cristo, di qualsiasi estrazione, che decideva di soppiantare i princìpi della “pianura” (modo di pensare e agire competitivo e comune) con quelle de «il Monte» era abilitato a divenire un santuario vivente.

L'evangelista colloca appunto Gesù su «il Monte» quando intende sottolineare un richiamo o un gesto fondamentale (alternativo all’immaginario fideista).

È “luogo” nel senso dei momenti forti dello Spirito, delle coincidenze fra natura divina e umana: dove sperimentiamo Cristo manifestare la sua “autorità” esistenziale su tutto l’arco della vita.

Vetta che rende palesi i criteri della Missione - col simbolismo della Rivelazione divina e alludendo alla sua stessa condizione post-pasquale (una situazione alta, “celeste”).

E solo chi ha assimilato l’insegnamento de «il Monte» - unicamente chi ha fatto esperienza del Risorto - può svolgere tale Missione.

Infatti il mandato e l’invio dei discepoli è fatto decisivo. Introduce un cambiamento radicale nella relazione coi discepoli, che in Lui scoprono il divino (v.17a) e al contempo restano con le loro perplessità (v.17b).

Mt è consapevole dei dubbi che serpeggiano. Ma proprio l’incertezza e il comportamento scandaloso dei primi seguaci diretti gli consente di incoraggiare i fratelli di comunità (anche se nella sua redazione si nota la tendenza a presentare gli apostoli come modelli piuttosto integri).

Le “chiese” non sono composte di figli perfetti. Anzi, ricorda (in tal modo) un aspetto inedito che Gesù aveva introdotto nei criteri del discernimento e della vita reale: la compresenza dei volti.

Mentre l’esistenza religiosa veniva concepita in termini di procedure, cesellatura dei sentimenti, “evidenza” e progresso ascendente, il Maestro aveva insegnato l’integrazione delle etnie, degli affetti, delle misture emotive e perfino dei lati opposti.

Secondo il nuovo Rabbi, la vita nello Spirito porta Gioia perché scopre tesori nascosti proprio nei lati in ombra delle persone malferme e delle situazioni traballanti. Lo stesso dubbio di Giuseppe è stato fecondo (cf Mt 1,18ss).

È un bene credere in Gesù e - al contempo - avere punti interrogativi: è la differenza tra Fede e religiosità comune.

Solo a Cristo è data ogni «Ex-ousìa» (v.18): autorità non imposta, che sprigiona dal Mistero senza forzature, quindi accettata liberamente (ovvero una sorta di autorevolezza a partire dall’essere stesso).

Il momento è decisivo, per tracciare i criteri dell’azione ecclesiale che rende presente Gesù. Egli ci affida un compito, conferisce i suoi stessi “poteri”, introduce nella comunione di vita.

 

Sembra paradossale, ma è su una piattaforma di mescolanze (base solida e oscillante) che la Chiesa si fa capace dei recuperi inspiegabili - e che gli apostoli vengono inviati (vv.19-20).

È lo sfondo di energie competitive e plasmabili, assunte e assimilate, che cambia la vita e prepara il futuro di Dio - non la castrazione o sterilizzazione di massa.

Fede ed evidenza religiosa ora si scontrano, fanno scintille.

Per questo - su terreno insicuro - c’è l’apertura al mondo intero (v.19), mentre in un passo precedente Mt aveva limitato la missione alle pecore perdute della casa d’Israele (Mt 10,5-6).

L’esperienza viva nella convivialità delle differenze ha consentito di comprendere la vitalità del caos che fa spostare lo sguardo, lo amplia, obbliga a superare l’unilateralità.

Confusione e rivolgimento che - come ben sanno i missionari - risolvono i veri problemi, aprendo orizzonti imprevisti dal valore incalcolabile.

 

L’imperfezione è stata feconda di esiti inopinati e ha spalancato un’era: la novità dell’ecclesiologia dilatata.

Ora la Luce accesa sul popolo immerso nelle tenebre quando Gesù si era stabilito da Nazaret a Cafarnao (Mt 4,13-) deve dispiegarsi ovunque, attraverso un discepolato esteso ai popoli (pagani: v.19 testo greco) «tutti i giorni e sino alla consumazione del secolo» (v.20).

Il particolarismo prima riconosciuto (forse nel rispetto della qualità comunitaria e dei limiti spazio-temporali) cede il passo alla nuova Inaugurazione.

Ora i confini decadono, per un totale universalismo - senza frontiera alcuna.

L’immersione (v.19: senso greco del termine Battesimo) nella meraviglia che avvolge la Persona del Signore, impregna il discepolo di Cristo fin nelle midolla - senza più bisogno di procedure e norme vincolanti, assodate ma esterne.

Luce animata dalla promessa del Risorto che, richiamando l’Emmanuele - Dio-Con - chiude il Vangelo di Mt così com’era iniziato e annunciato dai Profeti (cf. Mt 1,22-23).

 

L’Ascensione non è taglio, separazione e partenza, bensì Comunione. La profezia è divenuta permanente realtà.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come entri nell’Alleanza Nuova? Sei attento alla dialettica tra Fede e dubbio? Lo consideri un fatto propulsivo o meno, sia per una nuova contemplazione che per la fioritura di nuove energie?

Come trascorre in te l’autorivelazione di Gesù? Quale forza ti ha trasmesso? Che peso hanno l’esperienza e il vigore de «il Monte»?

Gv 3,16-18(7-21)

 

Sollevare la Croce va ben oltre la capacità di resilienza.

 

Andare su e andare giù, andare oltre o retrocedere

(Vangelo dell’Esaltazione della santa Croce: Gv 3,13-17)

 

Niente da fare, malgrado due millenni di simboli, formule e riti cristiani, soprattutto in Italia restiamo al solito palo: guelfi contro ghibellini; persino mentre incombe un destino traballante.

Come mai una fede così ripiegata e incapace di liberare da puntigli occasionali? Perché - pur incamminati verso una montagna di debiti - continuiamo a comportarci come coloro che non smettono di papparsi a vicenda?

Abbiamo bisogno di una bella Conversione, con le piramidi rovesciate del “primato” e della gloria: arroganti, aggressivi, intransigenti e aitanti che divengono umili, miti, benevoli e deboli.

Non aver mai bisogno? Avere un gran bisogno! Motivo in più per aggrapparci al Crocifisso.

Del resto, uno dei primi compagni di Francesco - fra’ Egidio - diceva: «La via per andare in su è andare in giù». Ci chiediamo: qual è il senso di tale paradosso?

 

La festa di oggi ha il titolo di Esaltazione (o Invenzione - derivante dal latino: ritrovamento). Il Vangelo parla invece di «Innalzamento».

Certo, sinonimo di farsi vedere e notare, ma sotto una «specie contraria». Dunque, come elevare la vita fissando Gesù crocifisso? Il passo di Nicodemo suggerisce una risposta.

Il dottore della Legge, fariseo e membro del Sinedrio è «nella notte»perché diseducato all’idea normale di uomo riuscito: se Dio è “qualcuno”, anche il seguace… gli deve somigliare negli attributi di possesso, potenza e gloria.

Tuttavia giunge il momento in cui anche il costume popolare o teologico e l’antiquato modo di vedere le cose viene scosso dal dubbio, dall’alternativa di Cristo.

Davvero la persona ch’evolve è quella che s’impone? Sul serio l’uomo riuscito è quello che sale sugli altri - trattati a sgabello - o non sarà per caso colui che ha la libertà di scendere per farci respirare?

Tutto con spontaneità e fluidità, non sforzo: imporsi scalate di rinuncia e dolore non è terapeutico e non estrae da noi il meglio. Anzi ci separa da quella plasticità e semplicità che producono nel mondo le cose migliori.

La Croce non è una disciplina di purificazioni standard, del tipo: voler cambiare vita, mettere a posto i rapporti soffocando le incoerenze che ci appartengono, mettersi in testa di centrare traguardi e farcela (anche spiritualmente) a tutti i costi...

Questi sono i soliti programmi di miglioramento a cliché che spesso non ci rendono naturali, bensì pieni d’artifizio - e non consentono di stare a viso aperto con noi stessi, quindi neppure con gli altri.

In Cristo la Croce apre orizzonti intatti, perché non dà più nulla per scontato. È un nuovo Giudizio, globale e di merito.

Affiorano altre possibilità, le quali ci fanno incontrare il cambiamento che risolve i veri problemi - proprio nell’incedere di vacillamenti sregolati.

Se vissuta nella Fede, la mescolanza pencolante è una realtà profondamente energetica, plasmabile ed evolutiva.

Porta sì in una situazione di caos, disordine nel quale però emerge un migliore rapporto con le azioni e il nostro destino, persino recuperando tutto quanto pensavamo irrealizzabile.

Ciò avviene nell’indeterminazione che ci accosta alla nostra essenza - nei giorni in cui le vicende si fanno serie, e invochiamo risorse, aria pura, relazioni più solide.

Abbiamo allora necessità di un balzo, non di retrocedere [stare lì e ripiegarci (centrando su di sé) per individuare problemi e difetti, quindi correggerli in modo precipitoso e innaturale...].

Sarebbe un dispendio assurdo di virtù e occasioni di crescita nella ricerca del nostro territorio.

Anche nel cammino spirituale, infatti, tutto facciamo per ottenere vita completa, realizzazione totale, libertà forte. Non per essere visti perfetti.

Il passaggio nel clima del disprezzo sociale sarà inevitabile.

Il Crocifisso non dice “come dovremmo essere e ancora non siamo” (in modo convenzionale): perché ci accostiamo alla nostra Vocazione solo se sorprendiamo noi stessi e gli altri - proprio quando l’opinione comune e conformista ci giudica incoerenti.

Non significa che stiamo rifiutando il patibolo.

Le situazioni di condanna possono diventare creative, così la forca che ci appartiene in quella situazione - sebbene comprometta la reputazione - non deve poi tormentare l’anima oltre misura.

Disavventure, sconvolgimenti, contrarietà, contesti amari… riplasmano l’anima e il punto di vista, mettendo in discussione l’idea (che ci siamo già fatti) di noi stessi.

Aprono anzi spalancano sbalorditivi nuovi percorsi repentini - realizzazioni altrimenti soffocate in partenza, per convincimenti esterni.

Ecco perché nella proposta di Gesù c’è qualcosa di paradossale e assurdo: per crescere, raggiungere pienezza e completarsi bisogna perdere; non fare l’opportunista, non essere svelto, non approfittarsi. Tutti atteggiamenti insulsi e puerili che non rigenerano, che ci riportano agli attriti, ai conformismi inattendibili, e li accentuano.

Logica sconcertante quella della Croce: su due piedi sembra umiliarci. Viceversa pone al riparo dal veleno d’una religiosità vana, di belle maniere e pessime abitudini.

Spiritualità vuota, consolatoria o solo teatrale, la quale produce ambienti conflittuali ma inerti [fanno cadere le braccia: inutili e infestanti].

 

Tutti sanno che bisogna imparare ad accettare le inevitabili contrarietà dell’esistenza. Ma non è questo il senso della Croce.

Dio non redime per dolore, ma con Amore - quello che non ripiega e accartoccia, bensì dilata la vita e le capacità inespresse.

La Croce provvidenziale non viene data da Dio, ma presa attivamente, e accolta dal discepolo. Nei Vangeli sta a significare l’accettazione dell’inevitabile onta che comporta la sequela di Gesù - anche in un panorama comicamente vanitoso, sebbene di cartapesta.

Per chi sceglie di essere se stesso nel mondo del “sembrare” e della nomea, la sorte (esteriore) di persecuzione, incomprensione, beffa e calunnia, mancanza di credito e allori - come fossimo dei falliti - è segnata.

Ma nel Giudizio del Crocifisso è questa la giusta posizione per divenire figli che trovano completezza umana, stanno saldi nelle scelte di peso specifico - e partoriscono frutti corrispondenti: spesso il miglior tempo della propria storia.

Dono gratuito, per una Vita da Salvati, la Croce redime dalle attrattive dell’apprezzamento in società che volentieri sul versante del banale e dell’estrinseco elargisce ampi crediti, i quali però spengono la nostra crescita personale completa.

Essa ci salva dai pericoli di piedistalli che sgretolano, sui quali non vale la pena continuare a salire per farsi notare e inutilmente - astutamente - compiacere. Come farebbe un qualsiasi manipolatore che ama la poderosità; anche pio, colmo d’attributi di vigore, ma inesorabilmente vecchio e votato alla morte - impantanato e sterile - incapace di generare creature nuove e far rinascere se stesso.

Le occasioni migliori per uno sviluppo, la realizzazione e il completamento emergono da lati di noi stessi e situazioni che non vogliamo. Appunto; persino da ferite profonde, che investono tutto un modo di essere, fare e apparire.

Non è la fine del mondo. Oggi la crisi globale ha già annientato il nostro aspetto potente, eppure sta facendo trapelare la virtù del lato fragile; prima messo in ombra per esigenze di passerella sociale.

Ecco il Crocifisso, che sanguina non solo per guarire, ingentilire e togliere zavorre, ma per rovesciare, sostituire orizzonti e soppiantare l’intero sistema di conformismi assuefatti; e “punti” anche sedicenti alternativi, modi di pensare che sembravano chissà cosa.

Tutto ciò, per Fede. Non con tensione e disegno identificato, ma per attitudine battesimale alla nuova integrità che Viene: donata, accolta, riconosciuta.

Così la Croce abbracciata ci salva.

Essa sembra un sabotaggio al nostro lato “infallibile”, invece è l’Antidoto alla città assopita sui medesimi sentieri di prima - nei soliti modi di essere e scendere in campo (ormai senza futuro).

Sollevare la Croce va ben oltre la capacità di resilienza.

 

 

«Di là verrà a giudicare»: Genesi Rinascita Giudizio

Gv 3,16-21(7-21)

 

Ogni uomo posto di fronte al Mistero non comprende bene ciò che sente, fino a quando non accetta la scommessa e s’introduce in una nuova esistenza.

La vecchia vita presenta solo conti da pagare, che sempre riemergono; viceversa, la nuova Chiamata soppianta le categorie di giudizio e le scelte normalizzate.

Si passa come attraverso uno svuotamento del cuore.

Dice infatti il Tao [Via] Tê Ching (xxi):

«Il contenere di chi ha la virtù del vuoto, solo al Tao s’adegua. Per le creature il Tao è indistinto e indeterminato [...] nel suo seno racchiude le immagini [...] nel suo seno racchiude gli archetipi [...] nel suo seno racchiude l’essenza dell’essere! Questa essenza è assai genuina [...] e così acconsente a tutti gli inizi».

Fuori della Via cosmica e personale l’esistenza dell’uomo non ha un senso generativo.

Anche la vicenda spirituale dell’esperto e ben inserito ristagna fino a non poter più tacitare le grandi domande di senso, la sua fiction, o l’accidia.

La vita nello Spirito procede per nuove Nascite e spira dove vuole.

Non secondo un progresso scandito da meccanismi, maniere, perbenismi, abilità, o libretti d’istruzione: in modo sconcertante - ma porta diverso refrigerio, e Pace anche repentina.

È una realtà presente e operante, sebbene inesplicabile - che però arricchisce, lasciandoci penetrare o piombare in un’altra configurazione della realtà.

Altro regno, che nel «Figlio dell’uomo» unisce i due mondi.

 

Nicodemo era maestro del solo Testamento Antico. Egli controllava ogni stagnazione o progresso comparandoli alla sapienza delle cose di Dio su una base di attese più che conosciute.

Ma non di rado la nostra crescita procede a visioni e balzi - neppure secondo “intelligenza” naturale. Figuriamoci per la vita spirituale.

Non basta esercitarsi e andare d’accordo con le idee dei padri o ielle alla moda, né rimanere concordi a propositi normali.

Assimilare saperi altrui e acquisire perizie già attese è non di rado cianfrusaglia che blocca i veri sviluppi - quelli che ci appartengono.

Purtroppo, nella vita religiosa si procede spesso in modo meccanico, e sembra non vi sia bisogno alcuno di lasciarsi salvare o sorprendere dagli accadimenti.

Al massimo ci si espone a qualche venticello, schiavo di linguaggi terrestri, limitato alla dimensione di “fenomeni” tutti rasoterra - che escludono e liquidano Cristo.

Nell’avventura di Fede battistrada, che disorienta, il Progetto divino e l’Opera radicale del Figlio non si dispiegano in modo ragionevole, bensì per Amore senza misura.

Livello di Eternità che immette chi l’accoglie nel tu-per-tu unico col Padre e la sua Vita esuberante.

L’unità di misura dello Spirito è differente da quella delle consuetudini concordi. Il suo impeto è Vento inafferrabile, “visibile” solo negli effetti ecclesiali e personali.

Il Segreto è «dall’Alto» (v.7), fuori scala. Si annida nella imprevedibilità di crocevia, eccedenze, e nuove creazioni.

La Beatitudine non procede per argomenti alla noia: sporge o impallidisce.

In tal guisa, si può avere spesso in mano l’Eucaristia o le Scritture e non comprendere che la strada già battuta può dare solo illusioni di dottorato spirituale.

 

«Di là verrà a giudicare» è un articolo del Credo Apostolico.

Riuscita o fallimento della vita saranno valutate «dalla Croce», ossia con il criterio della nuova percezione, Dono di sé e Rinnovo sino in fondo.

Rovesciamento di prospettive; capovolgimento di visuale.

Fonte di Speranza e nuovo scatto in avanti: dove l’umiliazione si tramuta in Nascita autentica e trionfo della Vita indistruttibile.

Questa la Beatitudine che scopre fioriture, tesori nascosti e perle preziose, dietro i nostri lati oscuri.

Qui perfino le persecuzioni dei nemici e dei beffardi diventano vettori che introducono difformi energie, ci obbligano a migliorare.

E s’immaginava che la vita divina appartenesse solo alla sfera celeste; invece giunge paradossalmente alla nostra portata.

 

Nicodemo sapeva: nel deserto molti erano caduti vittime d’insidie, ma Gesù fa capire che gli israeliti non erano stati risanati gratuitamente da un’effigie di bronzo, bensì dall’aver ‘elevato lo sguardo’.

Il Signore si rifà a tale episodio e lo interpreta come scenario del proprio insegnamento; simbolo della sua vicenda estrema.

Chi lo contemplerà ha già in sé il senso pieno, acuto e totale delle Scritture, e la stessa Vita dell’Eterno.

In tal senso è necessario «nascere dall’alto», spostare la percezione contemplativa, riconoscersi, e tenere gli occhi puntati sull’amore vero.

È per una nuova Genesi del proprio essere e dei criteri per cui ci si gioca la vita, che il Crocifisso diventa punto di riferimento di ogni nostra scelta.

Non per masochismo dolorista e finta consolazione. Non per usarlo come monile, e imbellettarsene.

Non amuleto; né emblema posto a forza sulle alture, che indicherebbe la conquista di territori.

Neppure la sacralizzazione d’un ambiente, o una figura “culturale”.

 

Secondo lo stile rabbinico, Mt 25 ricorre all’immagine del Giudizio universale per richiamare l’importanza e le conseguenze delle scelte che facciamo.

In Gv il tema del Giudizio sembra rovesciato: è come se fossimo noi a “giudicare” Dio - nel senso che al suo cospetto siamo e ci troveremo disarmati, riconoscendo che il suo Cuore è ben maggiore del nostro.

Così pure nell’esperienza della vita di Fede, che attira e apre il futuro impossibile.

Il quarto Vangelo infatti esclude che il Padre giudichi i figli. Gv parla di un Giudizio che si attua nel Presente, che è solo redenzione - a nostro esclusivo favore: per una vita da salvati.

“Quando” Dio agisce crea. Egli Giustifica: fa qualcosa di nuovo, globale, impareggiabile.

Non ripete. Fa nascere altre eccedenze, in solchi variegati, nella trama della storia, “imponendo” giuste posizioni - anzitutto dove giustizia non c’è.

Secondo una Sapienza che fa udire non pochi pareri inattesi.

 

Pur impiegando sfondi e linguaggio differenti, sia Mt che Gv si ritrovano nella medesima «verità» (v.21).

Il Giudizio viene pronunciato dalla Croce - secondo criteri difformi da quelli mondani, sempre precipitosi o manierati (e banalissimi).

Il Signore fa udire e vedere le sue opinioni, di fronte a qualsiasi accadimento e scelta - mettendo in guardia dalle opzioni di morte autentica.

L’opera di coloro che gestiscono assai male e sprecano la vita «finirà bruciata, e quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco» (1Cor 3,15).

Le difformità si commisurano sin d’ora sulla Persona del Figlio. Il Giudizio è già cominciato.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quali ritieni siano state le tue Nascite? E le tue scelte autentiche?

Sei ancora nella direzione del venticello dei padri antichi o delle mode attorno?

Dispieghi le vele secondo la direzione del Vento dello Spirito, che butta all’aria le tue sicurezze, anche di gruppo o denominazionali?

Cosa ammiri, e cosa hai collocato “in alto” nella tua vita? È forse paglia già finita e bruciata?

Cosa finora ti ha esaltato, e pensavi invece potesse elevarti?

 

 

Ha tanto amato, e ha dato

 

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16). Qui c’è il cuore del Vangelo, qui c’è il fondamento della nostra gioia. Il contenuto del Vangelo, infatti, non è un’idea o una dottrina, ma è Gesù, il Figlio che il Padre ci ha donato perché noi avessimo la vita. Gesù è il fondamento della nostra gioia: non è una bella teoria su come essere felici, ma è sperimentare di essere accompagnati e amati nel cammino della vita. “Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio”. Soffermiamoci, fratelli e sorelle, un momento su questi due aspetti: “ha tanto amato” e “ha dato”.

Prima di tutto, Dio ha tanto amato. Queste parole, che Gesù rivolge a Nicodemo – un anziano giudeo che voleva conoscere il Maestro – ci aiutano a scorgere il vero volto di Dio. Egli da sempre ci ha guardati con amore e per amore è venuto in mezzo a noi nella carne del Figlio suo. In Lui ci è venuto a cercare nei luoghi in cui ci siamo smarriti; in Lui è venuto a rialzarci dalle nostre cadute; in Lui ha pianto le nostre lacrime e guarito le nostre piaghe; in Lui ha benedetto per sempre la nostra vita. Chiunque crede in Lui, dice il Vangelo, non va perduto (ibid.). In Gesù, Dio ha pronunciato la parola definitiva sulla nostra vita: tu non sei perduto, tu sei amato. Sempre amato.

Se l’ascolto del Vangelo e la pratica della nostra fede non ci allargano il cuore per farci cogliere la grandezza di questo amore, e magari scivoliamo in una religiosità seriosa, triste, chiusa, allora è segno che dobbiamo fermarci un po’ e ascoltare di nuovo l’annuncio della buona notizia: Dio ti ama così tanto da darti tutta la sua vita. Non è un dio che ci guarda indifferente dall’alto, ma è un Padre, un Padre innamorato che si coinvolge nella nostra storia; non è un dio che si compiace della morte del peccatore, ma un Padre preoccupato che nessuno vada perduto; non è un dio che condanna, ma un Padre che ci salva con l’abbraccio benedicente del suo amore.

E veniamo alla seconda parola: Dio “ha dato” il suo Figlio. Proprio perché ci ama così tanto, Dio dona sé stesso e ci offre la sua vita. Chi ama esce sempre da sé stesso – non dimenticatevi di questo: chi ama esce sempre da sé stesso. L’amore sempre si offre, si dona, si spende. La forza dell’amore è proprio questa: frantuma il guscio dell’egoismo, rompe gli argini delle sicurezze umane troppo calcolate, abbatte i muri e vince le paure, per farsi dono. Questa è la dinamica dell’amore: è farsi dono, darsi. Chi ama è così: preferisce rischiare nel donarsi piuttosto che atrofizzarsi trattenendosi per sé. Per questo Dio esce da sé stesso, perché “ha tanto amato”. Il suo amore è così grande che non può fare a meno di donarsi a noi. Quando il popolo in cammino nel deserto fu attaccato dai serpenti velenosi, Dio fece fare a Mosè il serpente di bronzo; in Gesù, però, innalzato sulla croce, Lui stesso è venuto a guarirci dal veleno che dà la morte, si è fatto peccato per salvarci dal peccato. Non ci ama a parole Dio: ci dona suo Figlio perché chiunque lo guarda e crede in Lui sia salvato (cfr Gv 3,14-15).

Più si ama e più si diventa capaci di donare. Questa è anche la chiave per comprendere la nostra vita. È bello incontrare persone che si amano, che si vogliono bene e condividono la vita; di loro si può dire come di Dio: si amano così tanto da dare la loro vita. Non conta solo ciò che possiamo produrre o guadagnare, conta soprattutto l’amore che sappiamo donare.

E questa è la sorgente della gioia! Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Da qui prende senso l’invito che la Chiesa rivolge in questa domenica: «Rallegrati [...]. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione» (Antifona d’ingresso; cfr Is 66,10-11). Ripenso a ciò che abbiamo vissuto una settimana fa in Iraq: un popolo martoriato ha esultato di gioia; grazie a Dio, alla sua misericordia.

A volte cerchiamo la gioia dove non c’è, la cerchiamo nelle illusioni che svaniscono, nei sogni di grandezza del nostro io, nell’apparente sicurezza delle cose materiali, nel culto della nostra immagine, e tante cose... Ma l’esperienza della vita ci insegna che la vera gioia è sentirci amati gratuitamente, sentirci accompagnati, avere qualcuno che condivide i nostri sogni e che, quando facciamo naufragio, viene a soccorrerci e a condurci in un porto sicuro.

[Papa Francesco, omelia in occasione dei 500 anni dell’evangelizzazione delle Filippine, 14 marzo 2021]

Ss. Trinità

Pr 8,22-31; Rom 5,1-5; Gv 16,12-15 (anno C)

 

Carta d’identità dei figli è la fede in un Dio che crea, fa Alleanza, è vicino, redime, consente la fioritura in qualsiasi accadimento o età.

Così nel cammino intrapreso non ci affidiamo più all’esterno, e smettiamo di sottovalutarci.

Infatti la Scrittura attesta che il Signore procede col suo popolo e si manifesta nella storia, ma non è legato a un territorio o alture particolari, bensì alla donna e all’uomo.

L’Eterno è «Dio di Abramo e di Isacco e di Giacobbe» (Mt 22,32; Mc 12,26; Lc 20,37; cf. Es 3,6).

Egli è «Colui che sarà» [Es 3,14 testo ebraico] ossia: nello svolgersi degli eventi le persone fanno esperienza essenziale del Vivente come Liberatore, e Sposo [cf. l’oscillante vicenda affettiva di Osea].

Ma nella pienezza del suo cuore, unicamente Gesù lo manifesta - ancora nella Prima Alleanza confuso con un legislatore arcigno, notaio, giudice che interviene per tagliare o distinguere, poi attende per la resa dei conti.

L’Onnipotente sogna di trasmettere vita e creare Famiglia, non dividere amici incontaminati da nemici impuri, o capaci e incapaci.

Tale diventa l’intima espressione della donna e dell’uomo autentici; cifra dell’identità della Chiesa che non si pronuncia al minimo.

Insomma, specifico dei figli è l’adesione ad un Vivente che trasmette e rallegra la vita, si compromette e salva, consente ogni crescita, recupera - crea un dinamismo armonico di opposti.

 

La prima Lettura mette in luce il Progetto del Padre, il quale dispiega il suo essere mentre viene assistito dalla deliziosa figura della Sapienza.

La Creazione riflette il proponimento d’amore divino, che si manifesta nell’incanto d’un passeggiare gioioso con noi. Egli desidera rimanere sulla terra, senza condizioni.

Il gaudio del Padre Creatore è solo questo: dilettarsi come un Artista che esplode di letizia per la sua opera. Egli è felice di stare sul globo terrestre, in specie tra i figli dell’uomo (vv. 30-31).

Sua Beatitudine? La stessa nostra; di ogni creatura, che ama fiorire malgrado i conflitti.

Ciò appunto - se il figlio pur malfermo  non si sente frutto del caso, anzi coglie gli attimi di confusione della vita come fossero quelli d’un cantiere [perché il Disegno sa dove andare].

Disordine, materiali accatastati, scompiglio, inediti a ogni pie’ sospinto; ma non ci si perde: dentro l'anima permane un’immagine guida, il Sogno e prototipo di una sintonia intima e cosmica che si svolge.

Essa evolve nel nostro vagare. Consente tentativi ed errori, anzi fa leva su di essi.

È un Progetto che recupera tutte le cose sparse e i sentieri interrotti, creando intese, varietà impensabili; quindi essenze svariate.

Non solo con abilità, bensì per Sapienza ideale. E insieme Novità incomparabile: di chi non ripete, bensì pone in essere.

È il miracolo della vita, sempre nuova - appunto, cavalcando i nostri tentativi ed errori!

Il Padre è esuberante, non un totem che non accetta energie scomposte. Non si esprime emanando leggi come un sovrano.

Egli crea policromie sinfoniche inedite, altre essenze - poliedriche - come farebbe un genitore che si compiace della ricca prole, delle differenti opere dei suoi intimi (nei più svariati campi) manifestate in mille sfaccettature.

 

La chiave di tutto - l’Orizzonte che accompagna, correlando tappe e ridefinendosi - è del Creatore. Suo il Progetto che guida.

La vetta ‘unica’ e l’Azione esemplare - l’Opera - sono un evento storicamente configurato: la Parola-evento e Persona del Figlio.

La seconda Lettura fa comprendere che l’Eterno Padre non ha considerato conclusa la sua attività, concedendo il semplice input all’essere e alle essenze - abbandonando poi la realtà e gli uomini, e ritirandosi lassù in cielo.

Per Grazia, nella Fede siamo partecipi di Dio, abbiamo accesso diretto alla sua azione indipendente, a Lui stesso (Rm 5,2).

Neppure la nostra radicale incompletezza è motivo di astio, per Chi non ci ha creato angelici - ma sognanti, sì.

Né riusciremmo a scalfirlo e renderlo impuro, come fosse qualcuno a portata di mano e che possiamo inquinare raggiungendolo di nostro - tirandoci su col nostro genio, a forza di muscoli o con una impalcatura.

La Persona, Verbo e vicenda di Gesù narrano di un Regno nel quale non si teme che la santità sia messa in pericolo dall’incompiutezza delle creature e dal contatto col mondo.

C’è un solo problema che taglia il Dialogo con l’Altissimo (v.3): credere [devotamente] che il nostro vanto sia di genere “ovvio”.

Di fronte ai nostri simili ci gloriamo di traguardi, ruoli, titoli e successi. Capita anche nel cammino di perfezione religiosa.

Ma il Signore non è come un preparatore atletico che si compiace del più svelto dei suoi giocatori - mentre agl’inabili e gregari infligge umiliazioni, travagli, panchina e castighi.

Il Figlio annuncia il Volto autentico del Padre: solo Comprensione senza riserve - immeritata, perché l’Opera perfetta è unicamente del Cristo uomo; nostro ‘complice’.

Egli toglie così il disonore e il senso d’inadeguatezza.

In tal guisa, esclusivo spicco della donna e dell’uomo, e motore della crescita solida, è il suo Amore senza riserve. Unica realtà affidabile - non ambigua di doppiezze o dissociazioni isteriche.

 

Spesso di fronte società dello show anche alcuni religiosi si compiacciono di obbiettivi raggiunti.

Essi al cospetto dell’Eterno palesano meriti propri - come un commerciante in difficoltà, che in vetrina allestisce tutto il meglio.

La Fede-Speranza (Eb 11,1; Rm 5,4) invece ricolloca nella giusta posizione presso i fratelli, e davanti al Signore. Senza alibi.

Impariamo in trasparenza e finalmente che l’ossessione di farsi ammirare dall’esterno - e il piacere dell’approvazione a ogni costo - non sono affatto “laVia.

Infatti la vera Scia - l’Opera genuina - è unicamente del Figlio, il quale avendo corrisposto sino in fondo all’iniziativa di Dio Padre, Giustifica.

Nulla può intaccarci.

Il mondo che non vediamo ha capacità trasmutative.

Beninteso, l’Amico interiore non ci ‘rende giusti’ rivestendoci esteriormente e in modo puntuale, bensì in un processo esistenziale, che sposta gli equilibri (vv.3-4).

Il Signore opera nell’intimo tramite l’esperienza. Lo fa anche assediando “l’altro” noi-stessi che abbiamo messo da parte.

Così modificando il cuore rattrappito e migliorandoci con la sua Amicizia appassionata, riproposta in nuove opportunità di vita.

Come testimoniato da Paolo, la Salvezza non è un meccanismo vicario e datato.

Il Mistero dimora, c’incontra e attraversa da protagonisti, e malgrado i nostri capricci si esprime in una vita da salvati.

Fede in Dio Figlio è avere consapevolezza che l’Amore può registrare insuccessi parziali, non sconfitta e annientamento definitivo.

Ovvio che ci siano cadute - sia per condizione di precarietà, sia per il fatto che non è immediato comprendere la logica del Crocifisso: ecco l’Azione dello Spirito.

 

Il Vangelo di oggi fa appello al senso misterioso, incognito, del Dono totale di sé. 

Si rinasce cedendo: non è semplice portare quel «peso» [Gv 16,12 allude alla Croce] né coglierne i risvolti e immaginarne la paradossale Fecondità.

Lo Sviluppo che sgorga dalla sovrabbondanza e intensità di relazione Padre-Figlio è l’empatia, il portato, l’azione dello Spirito.

Impulso e gesto che erompe dentro e appunto fa intuire la fertilità della Gratuità.

È lo Spirito che interiorizza questa proposta non solo stranissima, ma assurda: quella del trionfo nella perdita, e persino della Vita dalla morte.

Lo sperimentiamo in atto: nei momenti in cui il suo impeto produce recuperi inspiegabili che “rendono gloria a Dio” (v.14) - ossia rinnovano i rapporti e rimettono in piedi persone che neppure hanno stima di sé.

Ma cui lo Spirito ha suggerito che l’anima si riattiva accogliendo, più che combattendo ansie, paure, indecisioni, amarezze, timori di crescere.

Solo in questo modo si attua il Disegno di Salvezza.

Uscendo dall’ombra altrui, l’opportunista diventa giusto, il dubbioso più sicuro, l’infelice riprende a sperare; tutti possono vivere felicemente.

Le vecchie idee e antiche costruzioni scricchiolano? È forse l’ora di andare oltre le mode o il passato di propositi e orizzonti artificiosi - i quali generano solo idee comuni, preoccupazioni, e modelli.

 

A differenza dell’ascolto-e-trasalire suscitati dallo Svelamento senza steccati della Fede, le credenze refrattarie all’Esodo hanno bisogno di compattezza dottrinale: codici, consuetudini, collocazioni culturali e sociali fisse - altrimenti sgretolano.

Ma il loro costrutto si accontenta di schemi adeguati. Che ci snaturano di vie apprezzate o confortevoli.

Nelle dinamiche dell’avventura di Fede, ossia nella Rivelazione dell’Amore eccentrico accolto, tenero e inclusivo, la Diversità accettata diventa impulso all’arricchimento e matrice di sviluppo.

L’Amore che non tradisce e non abbandona - unico vanto (non produzione propria) - rende praticabile la Novità di Dio, il Sogno impossibile che nessuna filosofia potrà domare.

L’identificazione sociale non c’entra più. In noi c’è altro.

 

Egli stesso è «Colui che sarà»: via le zavorre, il Meglio deve ancora Venire. Motivo per non scappare più dai grandi Desideri.

Sabato, 07 Giugno 2025 06:30

Ricapitola la Rivelazione

Cari fratelli e sorelle!

Dopo il tempo pasquale, concluso domenica scorsa con la Pentecoste, la Liturgia è ritornata al “tempo ordinario”. Ciò non vuol dire però che l’impegno dei cristiani debba diminuire, anzi, entrati nella vita divina mediante i Sacramenti, siamo chiamati quotidianamente ad essere aperti all’azione della Grazia, per progredire nell’amore verso Dio e il prossimo. L’odierna domenica della Santissima Trinità, in un certo senso, ricapitola la rivelazione di Dio avvenuta nei misteri pasquali: morte e risurrezione di Cristo, sua ascensione alla destra del Padre ed effusione dello Spirito Santo. La mente e il linguaggio umani sono inadeguati a spiegare la relazione esistente tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e tuttavia i Padri della Chiesa hanno cercato di illustrare il mistero di Dio Uno e Trino vivendolo nella propria esistenza con profonda fede.

La Trinità divina, infatti, prende dimora in noi nel giorno del Battesimo: “Io ti battezzo – dice il ministro – nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Il nome di Dio, nel quale siamo stati battezzati, noi lo ricordiamo ogni volta che tracciamo su noi stessi il segno della croce. Il teologo Romano Guardini, a proposito del segno della croce, osserva: “lo facciamo prima della preghiera, affinché … ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera, affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato … Esso abbraccia tutto l’essere, corpo e anima, … e tutto diviene consacrato nel nome del Dio uno e trino” (Lo spirito della liturgia. I santi segni, Brescia 2000, 125-126).

Nel segno della croce e nel nome del Dio vivente è, perciò, contenuto l’annuncio che genera la fede e ispira la preghiera. E, come nel vangelo Gesù promette agli Apostoli che “quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16,13), così avviene nella liturgia domenicale, quando i sacerdoti dispensano, di settimana in settimana, il pane della Parola e dell’Eucaristia. Anche il santo Curato d’Ars lo ricordava ai suoi fedeli: “Chi ha accolto la vostra anima – diceva – al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? … sempre il sacerdote” (Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale).

Cari amici, facciamo nostra la preghiera di sant’Ilario di Poitiers: “Conserva incontaminata questa fede retta che è in me e, fino al mio ultimo respiro, dammi ugualmente questa voce della mia coscienza, affinché io resti sempre fedele a ciò che ho professato nella mia rigenerazione, quando sono stato battezzato nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo” (De Trinitate, XII, 57, CCL 62/A, 627). Invocando la Beata Vergine Maria, prima creatura pienamente inabitata dalla Santissima Trinità, domandiamo la sua protezione per proseguire bene il nostro pellegrinaggio terreno.

[Papa Benedetto, Angelus 30 maggio 2010]

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“Love is an excellent thing”, we read in the book the Imitation of Christ. “It makes every difficulty easy, and bears all wrongs with equanimity…. Love tends upward; it will not be held down by anything low… love is born of God and cannot rest except in God” (III, V, 3) [Pope Benedict]
«Grande cosa è l’amore – leggiamo nel libro dell’Imitazione di Cristo –, un bene che rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile. L’amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Nasce da Dio e soltanto in Dio può trovare riposo» (III, V, 3) [Papa Benedetto]
For Christians, non-violence is not merely tactical behaviour but a person's way of being (Pope Benedict)
La nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere (Papa Benedetto)
But the mystery of the Trinity also speaks to us of ourselves, of our relationship with the Father, the Son and the Holy Spirit (Pope Francis)
Ma il mistero della Trinità ci parla anche di noi, del nostro rapporto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (Papa Francesco)
Jesus contrasts the ancient prohibition of perjury with that of not swearing at all (Matthew 5: 33-38), and the reason that emerges quite clearly is still founded in love: one must not be incredulous or distrustful of one's neighbour when he is habitually frank and loyal, and rather one must on the one hand and on the other follow this fundamental law of speech and action: "Let your language be yes if it is yes; no if it is no. The more is from the evil one" (Mt 5:37) [John Paul II]
Gesù contrappone all’antico divieto di spergiurare, quello di non giurare affatto (Mt 5, 33-38), e la ragione che emerge abbastanza chiaramente è ancora fondata nell’amore: non si deve essere increduli o diffidenti col prossimo, quando è abitualmente schietto e leale, e piuttosto occorre da una parte e dall’altra seguire questa legge fondamentale del parlare e dell’agire: “Il vostro linguaggio sia sì, se è sì; no, se è no. Il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37) [Giovanni Paolo II]
And one thing is the woman before Jesus, another thing is the woman after Jesus. Jesus dignifies the woman and puts her on the same level as the man because he takes that first word of the Creator, both are “God’s image and likeness”, both; not first the man and then a little lower the woman, no, both. And the man without the woman next to him - both as mother, as sister, as bride, as work partner, as friend - that man alone is not the image of God (Pope Francis)
E una cosa è la donna prima di Gesù, un’altra cosa è la donna dopo Gesù. Gesù dignifica la donna e la mette allo stesso livello dell’uomo perché prende quella prima parola del Creatore, tutti e due sono “immagine e somiglianza di Dio”, tutti e due; non prima l’uomo e poi un pochino più in basso la donna, no, tutti e due. E l’uomo senza la donna accanto – sia come mamma, come sorella, come sposa, come compagna di lavoro, come amica – quell’uomo solo non è immagine di Dio (Papa Francesco)
Only one creature has already scaled the mountain peak: the Virgin Mary. Through her union with Jesus, her righteousness was perfect: for this reason we invoke her as Speculum iustitiae. Let us entrust ourselves to her so that she may guide our steps in fidelity to Christ’s Law (Pope Benedict)
Una sola creatura è già arrivata alla cima della montagna: la Vergine Maria. Grazie all’unione con Gesù, la sua giustizia è stata perfetta: per questo la invochiamo Speculum iustitiae. Affidiamoci a lei, perché guidi anche i nostri passi nella fedeltà alla Legge di Cristo (Papa Benedetto)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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