don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Giovedì, 07 Agosto 2025 15:55

ASSUNTA, GUIDA SPIRITUALE

L’itinerario della creatura (e della Chiesa) che realizza in sé la vittoria della Vita sulla morte

 

Maria è Icona di come trovare la strada giusta, da cui le vicende della vita possono allontanarci o portar via.

Emblema di chi è sul proprio e conforme percorso di persona, Gemma di paragone per non tradire la nostra identità-carattere vocazionale e disposizione innata.

Come Lei però abbandonandosi; tuttavia mutando. E così realizzando la nostra vera natura, nel pellegrinaggio verso il Nucleo dell’essere - perché presenti alle cose, nei diversi modi di stare al mondo, nitidamente.

La sua anima possedeva una freschezza giovane, una capacità di avvicinarsi a se stessa senza tuttavia smarrire la portata dei riscontri: nell’accorgersi, vivendo d’ogni Dono.

Chi ne ricalca lo stile abbraccia e adora l’inatteso, e quando d’improvviso irrompe la Novità dello Spirito, immediatamente gli sa fare posto.

L’attitudine della sua anima non volgeva alla banale ripetitività: meravigliata da una Parola, sbalordita dall’Imprevisto, sorpresa da una Ferita.

Itinerante, insegnava ad aprire il cuore e la mente a nuovi percorsi che non solo schivavano ma addirittura sorvolavano il preponderante dei condizionamenti.

Ella spontaneamente attivava flussi di possibilità che si ponevano alle spalle tante abitudini, senza neppure combatterle.

Maria disponeva se stessa a cogliere le varianti, le sfumature dell’anima; anche i sentimenti non abituali che magari ripudiamo di attribuirgli e che invece provava. Talora anche perdendosi nei labirinti di una spaventosa lotta epocale col «drago», l’ideologia del potere.

Una vita piena, da mamma di famiglia, non da creatura incorporea che si ritrae, e solo vereconda.

 

Nulla d'ingenuo e asservito. Donna libera, Maria parte senza chiedere l'autorizzazione della società attardata, gerarchica e ancora patriarcale.

E non si associa a carovane rassicuranti, perché non è persona di branco ma di novità.

Non si è incamminata lungo il Giordano, che era la strada più battuta e sicura. Ma perché rischiare la vita in terra ostile? Perché l'amore non conosce ostacolo.

E l’esuberanza non ripete conformismi. Vita che scorre dalla Galilea alla Giudea, ossia dalla periferia al centro religioso ufficiale, mai viceversa.

 

Non di rado, per il devoto d'un territorio osservante ogni annuncio di vita e qualsiasi novità sono percepiti con estrema diffidenza [attentato alle proprie sicurezze e offesa personale, invece che servizio].

Ecco perché giunta nella casa dell'uomo del culto neanche lo “saluta”. Elisabetta (sembra anche lei una dimenticata) coltivava la promessa [«Elì-shébet» il Signore Mio-Personale ha giurato; come dire «Dio Mi è fedele»].

Lui Zaccaria [«Zachar-Ja» il Signore sì ma non mio bensì d'Israele «ricorda»; ok, Dio non soffre amnesia ma è stato, è stato... e chissà quando ‘Viene’]. Non riusciva a passare dalla religiosità alla Fede.

Cliché usuale, non capacità innata:

Nelle religioni antiche il sacerdote è l’anziano dalle grandi reminiscenze. Egli fa memoria devota - d'accordo - ma come ancora in un museo, che quasi imbalsama il decadimento temporale.

L’uomo del culto è parte d'un ceto che ama frequentare i posti che contano; refrattario a uno Spirito che insiste e fa appello, che butta all’aria la vita [anche degli istituti] facendo breccia e infiammando le coscienze, per smuovere situazioni.

Ecco invece la povera donna. Lei profetizza - come le prime comunità di evangelizzazione che vi sono rappresentate in filigrana.

Non era persona giuridica in quella cultura, piuttosto una non-persona, che doveva perfino chiedere permesso al figlio maschio, su tutto.

Il contrario dell'autorità e dell'ufficialità (dentro e fuori Casa), che permaneva incapace di comunicare alcunché: non «beato» ma infelice; «muto» perché non aveva più nulla da dire a chi era in attesa fuori del Tempio.

Niente di vitale e nessuna benedizione reale da trasmettere alla gente; zero con cui colmare l'esistenza del prossimo.

Quindi l’Anima Sposa ragazza è colei che sembra ignorare l’immobile professionista del sacro e del rito!

Neanche gli rivolge parola - perché destinata alla «gloria celeste», non a lasciarsi trascinare nelle minuzie dei ragionamenti e di una razionalità che fa impallidire l’amore.

 

Creatura e comunità autentica che riflette Gesù.

Insegna invece a fare la nostra parte, proprio tentando di lasciar coesistere le cose che piacciono e le difformità che si affacciano.

Tutto ciò, senza inibizioni - cercando il Senso delle contraddizioni invece di domarle a prescindere; perché l’unilateralità l’avrebbe resa fragile, arida, incompleta.

Così ha accettato di far coabitare in sé e rendere compresenti le situazioni variegate con le sfaccettature dei molti appelli, l’afflato della premura e lo spirito di decisione - da Donna emancipata.

Come recita la Liturgia di oggi, l’Assunta ha accettato il Deserto ma ha trovato un Rifugio, «dimenticando il suo popolo e la casa di suo padre».

Solidarietà, Sobrietà, Silenzio: l’esperienza dell’Esodo. Novità, Fraternità e Orizzonte di Persona che consentono la riscoperta del proprio seme - e il senso della Chiesa.

 

Maria è insegna dell’esistenza paradossale del credente, che conosce la sua bassezza e l’Imprevedibile di Dio: nella sua vicenda riconosciamo il tracciato ideale del nostro cammino.

Non possiamo ignorare che nel mondo talora la forza prevale sulla debolezza, il bisogno fa impallidire l’amore, il declino sembra ridicolizzare la vita…

Ma nella dialettica del perdere se stessi per ritrovarsi, introduciamo nuove energie; acquisiamo come Lei una capacità di vedere spalancate le tombe, scorgendo vita anche in luoghi di morte.

In tal guisa, Lc è l’evangelista che celebra i ribaltamenti di situazione [fariseo e pubblicano, primo e ultimo posto, figlio scapestrato e primogenito; così via].

In detti rovesci la Vita nello Spirito non si palesa come replica che rassicura o che sacralizza posizioni, ma come attitudine a un guadagno nella perdita; una fioritura nell’amarezza della croce.

Un saper scovare occasioni di crescita persino nell’apparente degrado del mondo corrotto [anche pio e perbene].

E in noi? La ridefinizione di ciò che è “affare o umiliazione” può diventare storia redenta, l’autentica forza dirompente nel corso degli eventi, e di qualsiasi vicenda.

Negli inermi e incapaci di miracolo si cela infatti la percezione di una potenza che sa recuperare tutto l’essere. Virtù che ricompone l’armonia dell’onda vitale.

Progetto che vuole innalzare il povero dalle immondizie, per trasformarci in capolavori - a partire dalla verità di pitocche radici [dove siamo noi stessi].

La sfida della Fede è aperta.

Giovedì, 07 Agosto 2025 15:47

Mistero di Speranza e di Gioia

Cari fratelli e sorelle,

Nel cuore del mese di agosto i Cristiani d’Oriente e d’Occidente celebrano congiuntamente la Festa dell’Assunzione di Maria Santissima al Cielo. Nella Chiesa Cattolica, il dogma dell’Assunzione – come è noto – fu proclamato durante l’Anno Santo del 1950 dal mio venerato predecessore il Servo di Dio Papa Pio XII. Tale memoria, però, affonda le sue radici nella fede dei primi secoli della Chiesa.

In Oriente, viene chiamata ancora oggi “Dormizione della Vergine”. In un antico mosaico della Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma, che si ispira proprio all’icona orientale della “Dormitio”, sono raffigurati gli Apostoli che, avvertiti dagli Angeli della fine terrena della Madre di Gesù, sono raccolti attorno al letto della Vergine. Al centro c’è Gesù che tiene fra le braccia una bambina: è Maria, divenuta “piccola” per il Regno, e condotta dal Signore al Cielo.

Nella pagina del Vangelo di San Luca della liturgia odierna, abbiamo letto che Maria “in quei giorni si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda” (Lc 1,39). In quei giorni Maria si affrettava dalla Galilea verso una cittadina vicino a Gerusalemme, per andare a trovare la parente Elisabetta. Oggi la contempliamo salire verso la montagna di Dio ed entrare nella Gerusalemme celeste, “vestita di sole, con la luna sotto i piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle” (Ap 12,1).

La pagina biblica dell’Apocalisse, che leggiamo nella liturgia di questa Solennità, parla di una lotta tra la donna e il drago, tra il bene e il male. San Giovanni sembra riproporci le primissime pagine del libro della Genesi, che narrano la vicenda tenebrosa e drammatica del peccato di Adamo ed Eva. I nostri progenitori furono sconfitti dal maligno; nella pienezza dei tempi, Gesù, nuovo Adamo, e Maria, nuova Eva, vincono definitivamente il nemico, e questa è la gioia di questo giorno! Con la vittoria di Gesù sul male, anche la morte interiore e fisica sono sconfitte. Maria è stata la prima a prendere in braccio il Figlio di Dio, Gesù, divenuto bambino, ora è la prima ad essere accanto a Lui nella Gloria del Cielo.

E’ un mistero grande quello che oggi celebriamo, è soprattutto un mistero di speranza e di gioia per tutti noi: in Maria vediamo la meta verso cui camminano tutti il coloro che sanno legare la propria vita a quella di Gesù, che lo sanno seguire come ha fatto Maria. Questa festa parla allora del nostro futuro, ci dice che anche noi saremo accanto a Gesù nella gioia di Dio e ci invita ad avere coraggio, a credere che la potenza della Risurrezione di Cristo può operare anche in noi e renderci uomini e donne che ogni giorno cercano di vivere da risorti, portando nell’oscurità del male che c’è nel mondo, la luce del bene.

[Papa Benedetto, Angelus 15 agosto 2011]

Giovedì, 07 Agosto 2025 15:41

Assunta: continuazione della Pasqua

2. Veramente, sarebbe difficile trovare un momento in cui Maria avrebbe potuto pronunciare con maggiore trasporto le parole pronunciate una volta dopo l’annunciazione, quando, diventata Madre verginale del Figlio di Dio, ella visitò la casa di Zaccaria, per aver cura di Elisabetta;

“L’anima mia magnifica il Signore...

Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome” (Lc 1,46.49).

Se queste parole ebbero la loro motivazione piena e sovrabbondante sulla bocca di Maria quando lei, immacolata, diventò la madre del Verbo eterno, esse raggiungono oggi il culmine definitivo.

Maria che, grazie alla sua fede (così esaltata da Elisabetta) in quel momento ancora sotto il velo del mistero, entrò nel tabernacolo della santissima Trinità, oggi entra nella dimora eterna, in piena intimità col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo, nella visione beatifica “a faccia a faccia”. E questa visione, come inesauribile sorgente dell’amore perfetto, colma tutto il suo essere con la pienezza della gloria e della felicità. Così dunque l’assunzione è, al tempo stesso, il “coronamento” di tutta la vita di Maria, della sua vocazione unica, fra tutti i membri dell’umanità, ad essere la Madre di Dio. È il “coronamento” della fede che essa, “piena di grazia”, ha dimostrato durante l’annunciazione e che Elisabetta, sua parente, ha così sottolineato ed esaltato durante la visitazione.

Veramente possiamo ripetere oggi, seguendo l’Apocalisse: “Si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve nel santuario l’arca dell’alleanza... Allora udii una gran voce nel cielo che diceva: “Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo”” (Ap 11,19; 12,1O).

Il regno di Dio in colei che sempre ha desiderato di essere soltanto “la serva del Signore”. La potenza del suo Unto, cioè di Cristo, la potenza dell’amore che egli ha portato sulla terra come un fuoco (cf. Lc 12,49); la potenza rivelata nella glorificazione di colei che mediante il suo “fiat” gli ha reso possibile di venire su questa terra, di diventare uomo; la potenza rivelata nella glorificazione dell’Immacolata, nella glorificazione della sua propria madre.

3. “...Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché, se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la resurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo” (1Cor 15,20-23).

L’assunzione di Maria è un particolare dono del Risorto alla madre sua. Se, infatti, “quelli che sono di Cristo” “riceveranno la vita” “alla sua venuta”, allora è giusto e comprensibile che questa partecipazione alla vittoria sulla morte, la provi per prima proprio lei, la Madre; lei che è “di Cristo” in maniera più piena: infatti anche lui appartiene ad essa come il figlio alla Madre. Ed essa appartiene a lui: è, in modo particolare, “di Cristo”, perché è stata amata e redenta in modo del tutto singolare. Colei che nel suo stesso concepimento umano fu immacolata - cioè libera dal peccato, la cui conseguenza è la morte, - per lo stesso fatto, non doveva forse essere libera dalla morte, che è la conseguenza del peccato? Quella “venuta” di Cristo, di cui parla l’apostolo nella seconda lettura di oggi, non “doveva” forse compiersi, in questo unico caso in modo eccezionale, per così dire, “subito”, cioè nel momento della conclusione della vita terrestre? Per lei, ripeto, nella quale si era compiuta la sua prima “venuta”, a Nazaret e nella notte di Betlemme? Perciò quel termine della vita che per tutti gli uomini è la morte, nel caso di Maria la tradizione giustamente lo chiama piuttosto dormizione.

“Assumpta est Maria in caelum, gaudent Angeli! Et gaudet Ecclesia!”

4. Per noi l’odierna solennità è quasi una continuazione della pasqua: della risurrezione e della ascensione del Signore. Ed è, contemporaneamente, il segno e la sorgente della speranza della vita eterna e della futura risurrezione. Di questo segno leggiamo nell’Apocalisse di Giovanni: “Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle” (Ap 12,1).

E benché la nostra vita sulla terra si svolga, costantemente, nella tensione di quella lotta tra il drago e la donna, di cui parla lo stesso libro della santa Scrittura; benché noi siamo quotidianamente sottoposti alla lotta tra il bene e il male, alla quale l’uomo partecipa sin dal peccato originale - dal tempo, cioè in cui ha mangiato “dell’albero della conoscenza del bene e del male”, come leggiamo nel libro della Genesi (Gen 2,17; 3,12): benché questa lotta assuma talvolta forme pericolose e spaventose, tuttavia quel segno della speranza permane e si rinnova costantemente nella fede della Chiesa -.

E l’odierna festività ci permette di guardare questo segno, il grande segno dell’economia divina della salvezza, con fiducia e con gioia tanto più grande.

Ci permette di aspettare da questo segno di vincere, di non soccombere, in definitiva, al male e al peccato, in attesa del giorno in cui sarà tutto compiuto da colui, il quale ha riportato la vittoria sulla morte: il Figlio di Maria; allora egli “consegnerà” il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza” (1Cor 15,24) e porrà tutti i nemici sotto i suoi piedi ed annienterà, ultimo nemico, la morte (cf. 1Cor 15,25).

Cari fratelli e sorelle, partecipiamo con gioia all’eucaristia di oggi! Riceviamo con fiducia il corpo di Cristo, memori delle sue parole: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54).

E veneriamo oggi colei che ha dato a Cristo il nostro corpo umano: l’Immacolata e l’Assunta, che è la sposa dello Spirito Santo e la nostra madre!

[Papa Giovanni Paolo II, omelia 15 agosto 1980]

Giovedì, 07 Agosto 2025 15:30

Magnifica ed Esulta, Porta del Cielo

Nel Vangelo di oggi, solennità dell’Assunzione di Maria Santissima, la Vergine Santa prega dicendo: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1,46-47). Guardiamo ai verbi di questa preghiera: magnifica ed esulta. Due verbi: “magnifica” ed “esulta”. Si esulta quando accade una cosa così bella che non basta gioire dentro, nell’animo, ma si vuole esprimere la felicità con tutto il corpo: allora si esulta. Maria esulta a motivo di Dio. Chissà se anche a noi è capitato di esultare per il Signore: esultiamo per un risultato ottenuto, per una bella notizia, ma oggi Maria ci insegna a esultare in Dio. Perché? Perché Lui - Dio - fa «grandi cose» (cfr v. 49).

Le grandi cose sono richiamate dall’altro verbo: magnificare. “L’anima mia magnifica”. Magnificare. Infatti magnificare significa esaltare una realtà per la sua grandezza, per la sua bellezza… Maria esalta la grandezza del Signore, lo loda dicendo che Lui è davvero grande. Nella vita è importante cercare cose grandi, altrimenti ci si perde dietro a tante piccolezze. Maria ci dimostra che, se vogliamo che la nostra vita sia felice, al primo posto va messo Dio, perché Lui solo è grande. Quante volte, invece, viviamo inseguendo cose di poco conto: pregiudizi, rancori, rivalità, invidie, illusioni, beni materiali superflui… Quante meschinità nella vita! Lo sappiamo. Maria oggi invita ad alzare lo sguardo alle «grandi cose» che il Signore ha compiuto in lei. Anche in noi, in ognuno di noi, il Signore fa tante grandi cose. Bisogna riconoscerle ed esultare, magnificare Dio, per queste grandi cose.

Sono le «grandi cose» che festeggiamo oggi. Maria è assunta in cielo: piccola e umile, riceve per prima la gloria più alta. Lei, che è una creatura umana, una di noi, raggiunge l’eternità in anima e corpo. E lì ci aspetta, come una madre aspetta che i figli tornino a casa. Infatti il popolo di Dio la invoca come “porta del cielo”. Noi siamo in cammino, pellegrini verso la casa di lassù. Oggi guardiamo a Maria e vediamo il traguardo. Vediamo che una creatura è stata assunta alla gloria di Gesù Cristo risorto, e quella creatura non poteva essere che lei, la Madre del Redentore. Vediamo che nel paradiso, insieme a Cristo, il Nuovo Adamo, c’è anche lei, Maria, la nuova Eva, e questo ci dà conforto e speranza nel nostro pellegrinaggio quaggiù.

La festa dell’Assunzione di Maria è un richiamo per tutti noi, specialmente per quanti sono afflitti da dubbi e tristezze, e vivono con lo sguardo rivolto in basso, non riescono ad alzare lo sguardo. Guardiamo in alto, il cielo è aperto; non incute timore, non è più distante, perché sulla soglia del cielo c’è una madre che ci attende ed è nostra madre. Ci ama, ci sorride e ci soccorre con premura. Come ogni madre vuole il meglio per i suoi figli e ci dice: “Voi siete preziosi agli occhi di Dio; non siete fatti per i piccoli appagamenti del mondo, ma per le grandi gioie del cielo”. Sì, perché Dio è gioia, non noia. Dio è gioia. Lasciamoci prendere per mano dalla Madonna. Ogni volta che prendiamo in mano il Rosario e la preghiamo facciamo un passo avanti verso la grande meta della vita.

Lasciamoci attirare dalla bellezza vera, non facciamoci risucchiare dalle piccolezze della vita, ma scegliamo la grandezza del cielo. La Vergine Santa, Porta del cielo, ci aiuti a guardare ogni giorno con fiducia e gioia là, dove è la nostra vera casa, dove è lei, che come madre ci aspetta.

[Papa Francesco, Angelus 15 agosto 2019]

Giovedì, 07 Agosto 2025 04:48

Il Perdono nel balzo illimitato della Fede

(Mt 18,21-19,1)

 

In tutto il medio Oriente antico la rappresaglia non sproporzionata uno a uno [non crudele] era legge sacra.

Perdonare era un atteggiamento umiliante e assurdo, principio incomprensibile per chiunque vivesse una qualsiasi ingiustizia.

Viceversa, nella dinamica della Fede, perdonare diventa un potere, che non solo rende l’aria respirabile, ma attiva il nostro destino personale.

Pietro invece vuole sapere i limiti del perdono (v.21).

Storicamente, al termine del primo secolo si riaffaccia nei credenti lo stile schizzinoso, severo, della sinagoga e dell’Impero [«divide et impera»]. 

Nasce la domanda: bisognerà fermarsi nell’accogliere?

In aggiunta, nelle stesse chiese si ricomincia a pensare che qualcuno abbia peccato di lesa maestà verso chi - ormai duro e senza cuore - è abituato a farsi riverire.

Veterani che ne combinano più di altri e poi fanno i puntigliosi su minuzie altrui (i fratelli deboli, considerati sottoposti e destinati al rigore fiscale dei moralismi, nonché delle penitenze).

 

Mentre la pratica religiosa esaspera i difetti minuti, l’esperienza stessa della sproporzione tra il perdono ricevuto dal Padre e quello che siamo in grado di offrire ai fratelli, fa capire la necessità della tolleranza.

La Chiesa dovrebbe essere questo spazio dell’esperienza di Dio che restituisce vita, luogo alternativo di fraternità.

 

La società imperiale era dura e senza compassione, priva di spazio per i piccoli e malfermi, i quali senza troppe pretese cercavano un qualsiasi rifugio per il cuore - ma nessuna Religione dava loro risposta.

Anche le sinagoghe identificavano benedizioni materiali e spirituali. Ammantate di esigenze, norme di purità e adempimenti, non offrivano il tepore d’un luogo accogliente per i deboli.

Il guaio era che nelle stesse prime comunità cristiane alcuni puntavano i piedi sul rigore delle norme, consuetudini e gerarchie, pretendendo convivenze improntate secondo il modello giudaizzante.

Inoltre, come testimonia la lettera di Giacomo, verso la fine del primo secolo già iniziavano a manifestarsi nelle chiese di Cristo le identiche divisioni della società, tra indigenti e benestanti!

Lo spazio di accoglienza delle comunità che nello Spirito avevano avuto il compito dal Signore d’illuminare il mondo con il loro germe di vita quali ‘case di tutti’ e di relazioni alternative, correva il rischio di ridiventare luogo di conflitti, giudizio, castigo, condanna.

«Così anche il Padre mio celeste farà a voi, se non condonerete ciascuno al proprio fratello dal vostro cuore» (v.35).

 

Il Perdono divino diventa efficace e palese solo nella testimonianza della Chiesa dove sorelle e fratelli - invece che mostrarsi pignoli, si colgono sospinti e si lasciano guidare da una Visione di nuovi cieli e nuova terra.

Per questo - senza sforzo alcuno, anzi benedicendo le necessità altrui come territori di energie preparatorie - essi vivono la comunione delle risorse e condonano i debiti anche materiali, che poi sono una miseria.

In caso contrario, dovremmo sempre vivere nell’incombenza di un Dio indulgente forse, ma a tempo, che ritratta il fare misericordia.

Sarebbe una vita senza sviluppi da stupore, tutta appesantita nella palude dei pochi spiccioli.

È invece l’energia attiva della Fede quella che non ci condanna ad arrancare.

 

La magnanimità che esce dagli automatismi sposta il nostro sguardo e ci porta un’Onda ineffabile e crescente, molto più avanti di quanto possiamo immaginare.

I nostri cedimenti stanno preparando nuovi sviluppi - quelli che contano, senza limitazioni.

 

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne.

 

 

[Giovedì 19.a sett. T.O. 14 agosto 2025]

Giovedì, 07 Agosto 2025 04:44

Il Perdono nel balzo illimitato della Fede

(Mt 18,21-19,1)

 

In tutto il medio Oriente antico la rappresaglia non sproporzionata (uno a uno, non crudele) era legge sacra.

Perdonare era un atteggiamento umiliante e assurdo, principio incomprensibile per chiunque vivesse una qualsiasi ingiustizia o un dramma.

Viceversa, nella dinamica della Fede, perdonare diventa un potere, che non solo rende l’aria respirabile, ma attiva il nostro destino personale.

Il Vangelo secondo Mt dedica massima attenzione al tema del perdono e la necessità di ricomporre le frizioni interne alla chiesa, dove ciascuno sembra voler schiacciare l’altro - anche solo per invidia spirituale.

Ci si chiede: c’è una differente contropartita al principio pagano della giustizia retributiva [uncuique jus suum] che andando sino agli estremi finisce per accentuare le divisioni?

Qual è il comportamento più ragionevole per chi è stato accolto da Dio, e condonato anche in modo esorbitante?

Non è sufficiente contrapporre un valore bonario pur nobile, anzi eccelso - ma per questo motivo, fuori scala - se escludesse il tempo d’un cammino, l’orizzonte dello sviluppo che infine soppianta [e non semplicemente sorvoli: cosiddetto “essere positivi”].

Unica soluzione priva di vendette sopite è avere il senso dell’incommensurabile, del gratuito preveniente - ricevuto senza merito né condizioni; in vista di percorsi nuovi.

Bisogna anzitutto rendersi conto che l’elemento decisivo per vincere gli ostacoli non sono le nostre forze o un volontarismo indotto, che straziano sia noi stessi che i fratelli, e l’atmosfera di convivialità.

Solo un’emozione da capogiro può integrare le pulsioni e tutti gli affetti, e far affiorare i germi delle passioni che danno le vertigini.

Estasi personali o esterne; sconosciute e trascurate o inespresse, cui non abbiamo ancora concesso spazio.

Infatti, nel sommario di tutti i giorni ci pare normale opporre reazioni immediate e violare le situazioni con sfrontatezza, poi allestire il finimondo per lievi inosservanze altrui - con la pretesa pure di soffocare i responsabili dei nonnulla.

Ovviamente, anche subito dopo che nel rito abbiamo supplicato e promesso.

 

Mt propone sfumature anche paradossali sul perdono - sempre collocando le sue catechesi su un piano d’impagabile, nell’ottica della Fede sponsale e creativa.

E v’insiste in diversi passi, perché le comunità cui si rivolge sono ben misere; ancora radicate nella grettezza della religiosità antica.

Come capita non solo nei gruppi legati al bagaglio della tradizione dei “padri” - non del Padre - i membri delle comunità di Galilea e Siria vivevano come affronto la normalità degli screzi, delle opinioni diverse e tutti i conflitti.

Sembra incredibile, ma chi si sente in possesso d’una patente d’immunità [legata a miti futuribili o sacre inibizioni, freni vetusti e osservanze o progetti cosmici di sovvertimento astratto] fa più difficoltà a introdursi nella logica minuta della coesistenza, del confronto - della sproporzione, del senza-confine, del Dono che favorisce la stessa convivenza.

 

Pietro vuole sapere i limiti del perdono (v.21).

Storicamente, al termine del primo secolo si era riaffacciato nei credenti lo stile schizzinoso, severo, della sinagoga e dell’Impero [«divide et impera»].

Nasceva e si riproponeva la domanda: bisognerà fermarsi nell’accogliere?

In aggiunta, nelle stesse chiese si ricominciava a pensare che qualcuno avesse peccato di lesa maestà verso chi - ormai duro e senza cuore - era abituato a farsi riverire.

Veterani che ne combinavano più di altri e poi facevano i puntigliosi su minuzie altrui (i fratelli deboli, considerati sottoposti, e destinati al rigore fiscale dei moralismi nonché delle penitenze).

 

Il debitore insolvibile del Vangelo se la prende con chi gli deve pochi spiccioli?

Il Perdono eccessivo del Dio vivo e vero si può manifestare al mondo solo attraverso una comunità che innalza rancori e rapporti su un nuovo piano - semplicemente più normale.

Dice il Tao Tê Ching (x): «Fa’ vivere le creature e nutrile, falle vivere e non tenerle come tue; opera e non aspettarti nulla, falle crescere e non governarle. Questa è la misteriosa virtù».

A commento, scrive il maestro Wang Pi: «Il Tao in eterno non agisce, le creature da sé si trasformano. Non ostruire la loro sorgente, non ostacolare la loro natura. Le creature da sé s’accrescono e si soddisfano».

Aggiunge il maestro Ho-shang Kung: «Il Tao fa crescere e nutre le diecimila creature, ma non le danneggia governandole come se fossero strumenti. L’attuazione della virtù da parte del Tao è misteriosa e oscura, né può essere scrutata. Vuole indurre gli uomini a essere come il Tao».

 

Ancora oggi, la pratica legalista esaspera i difetti minuti, ma l’esperienza stessa della sproporzione tra il perdono ricevuto dal Padre e quello che siamo in grado di offrire ai fratelli, fa capire la necessità dell’indulgenza.

Tolleranza vissuta, in situazione; non solo in linea di principio.

Ancor più nel tempo della crisi globale, la Chiesa dovrebbe essere questo spazio dell’esperienza di Dio che restituisce vita. Luogo alternativo di fraternità meno dozzinale, meno sofisticata.

 

La società imperiale era dura e senza compassione, priva di spazio per i piccoli e malfermi, che senza troppe pretese cercavano un qualsiasi rifugio per il cuore - ma nessuna religione dava risposta al loro bisogno di comprensione.

Anche le sinagoghe identificavano benedizioni materiali e spirituali. Ammantate di esigenze previe, norme di purità e adempimenti, esse non offrivano il tepore d’un luogo accogliente per i deboli.

Il guaio era che nelle stesse prime comunità cristiane alcuni puntavano i piedi sul rigore delle norme.

Consuetudini e gerarchie cui erano abituati, pretendendo convivenze improntate al modello giudaizzante - o secondo durezza di principi schematici, disincarnati, privi di presa.

Inoltre, come testimonia la lettera di Giacomo, verso la fine del primo secolo già iniziavano a manifestarsi nelle chiese di Cristo le identiche divisioni della società attorno, fra indigenti e benestanti!

Lo spazio di accoglienza delle comunità che nello Spirito avevano avuto il compito dal Signore d’illuminare il mondo con il loro germe di vita quali Case di tutti, di relazioni alternative, correva il rischio di ridiventare luogo di conflitti, giudizio, castigo, condanna.

Come al solito: nessuna Buona Novella per i minimi, ovunque sfiancati. 

E questo clima inqualificabile seminava morte anche per gli altri, persino più fortunati - ma intrappolati nella dura realtà.

Cosa fare?

Funzione educativa fondamentale della Chiesa è tuttora includere; far comprendere che l’iniziativa può essere solo del creditore (vv.21-22.27.33): anch’egli uno “smarrito” (v.25).

Unicamente per opera intima di consapevolezza nella Fede, si valica la spietatezza delle competizioni, della giustizia retributiva.

Non c’è saggezza nel fare i pretenziosi inclementi, pur di sentirsi qualcuno (vv.28-30).

 

I nostri cedimenti stanno preparando nuovi sviluppi - quelli che contano, senza limitazioni.

«Così anche il Padre mio celeste farà a voi, se non condonerete ciascuno al proprio fratello dal vostro cuore» (v.35).

Il Perdono divino diventa efficace e palese nella testimonianza della Chiesa dove sorelle e fratelli, invece che mostrarsi puntigliosi, si colgono sospinti.

Si lasciano guidare da una Visione di nuovi cieli e nuova terra.

Per questo - senza sforzo alcuno, anzi benedicendo le necessità altrui come territori di energie preparatorie - essi vivono la comunione delle risorse e condonano i debiti anche materiali, che poi sono una miseria.

In caso contrario, dovremmo sempre vivere nell’incombenza di un Dio del contraccambio.

E in tal guisa lo riveleremmo: indulgente forse, ma a tempo; che ritratta il «misericordiare» - direbbe Papa Francesco.

Quindi: a vita sotto la sferza degli aguzzini, propugnatori anche dell’esistenza a modo, ma artificiosa. Fatta di scambi senza fantasia.

Un inferno di meschinità anticipato, che sottostima e ridicolizza la Misura dell’Evangelo. Lieta Novella che va insieme con le differenze.

 

Anche il pareggio delle remissioni non ci salverebbe dall’offesa (questa sì enorme) della stasi che livella le essenze - quindi dalla rovina.

È bello e fruttuoso vivere nello squilibrio della gratuità, piuttosto che nel dare e avere. Succede anche con Dio.

Mediante il perdono, non solo miglioriamo l’atmosfera ossessiva e attestiamo di credere - ad es. nella Croce - bensì costruiamo un’esperienza duttile e plasmabile, con pienezza di recuperi e di essere. 

Da stupore; apertura, flessibilità, sproporzione.

Il resto permane solo commento.

Eco d’un soggetto che si propone banalmente di ratificare il “contratto”.

Traccia d’un ambiente che permane lì dov’è - sino a quando non lascerà subentrare forze inedite.

Sarebbe una vita senza sviluppi meravigliosi, tutta appesantita nel «do ut des» e nella palude dei pochi spiccioli.

È invece l’energia attiva della Fede, quella che supera i patti definiti. E non ci condanna ad arrancare.

La magnanimità sempre in aumento che esce dagli automatismi sposta lo sguardo dei piccoli tagli.

Porta un’Onda ineffabile e crescente. Molto più avanti di quanto possiamo immaginare.

 

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Sai vivere nello squilibrio della gratuità?

Acceleri e giudichi, o percepisci e attendi?

Costitutivo della tua vita di Fede è il dare e avere tipico della religione banale, o la consapevolezza che sei tenuto a riversare l’eco di ciò che il Padre ti ha già stra-donato?

Qual è lo spazio di conciliazione della tua realtà?

Cosa intendi in concreto per Vangelo?

 

 

Perdono e Fede: Incontro vivo

 

Gratis eccentrico, in avanti: Sacramento dell’umanità come tale

(Lc 17,1-6)

 

La conoscenza di Dio non è un bene di confisca o una scienza acquisita e già pignorata: muove da un’azione e un’altra, incessantemente; si realizza in un Incontro sempre vivo, che non ci blocca né dissolve.

Tipica, l’esperienza dei «piccoli» [mikròi v.2]. Sin dalle prime comunità di fede, essi sono stati coloro cui mancavano sicurezze ed energie; instabili e senz’appoggio.

Da sempre, «Piccoli» sono gli incipienti; i nuovi, che hanno sentito parlare di fraternità cristiana, ma che talora sono costretti a mettersi in fila, da parte, o rinunciare al cammino.

Ma il criterio di accoglienza, tolleranza, comunione anche di beni materiali, è stato il primo e principale catalizzatore della crescita delle assemblee.

Addirittura la scaturigine e il senso di tutte le formule e segni della liturgia.

Il centro esistenziale e ideale cui convergere. Per una Fede proattiva e in se stessa trasformativa.

 

Nello Spirito del Maestro, anche per noi la conciliazione degli attriti non si configura come semplice opera di magnanimità.

È inizio del mondo futuro. Principio di un’avventura imprevedibile e indicibile. E noi con esso d’improvviso rinati: venuti a un franco contatto nel Cristo. Colui che non ci spegne affatto.

Di qui il Perdono cristiano dei figli, che non è… “guardare positivo”, e “chiudere un occhio”: piuttosto, Novità di Dio che crea un ambiente di Grazia, propulsivo, con possibilità enormi.

Forza che irrompe e lascia incontrare paradossalmente i poli oscuri, invece di scuoterli di dosso. Eliminando in modo genuino paragoni, parole e zavorre inutili, che bloccano l’Esodo trasparente.

Dinamica che guida all’indispensabile e imprescindibile: onde spostare lo sguardo. Insegnando ad accorgersi dei propri isterismi, conoscersi, affrontare l’ansia, il suo motivo; a gestire situazioni e momenti di crisi.

Virtù plasmabile che pone in ascolto intimo dell’essenza personale.

Quindi Empatia solida, larga, che introduce nuove energie; fa incontrare i propri stati profondi, perfino la vita standard… suscitando altri saperi, diverse prospettive, relazioni inattese.

Così senza troppa lotta ci rinnova, e argina la perdita di veracità [tipica, quella in favore delle maniere di circostanza]. Accentua capacità e gli orizzonti della Pace - sgretolando primati, equilibri paludosi.

La scoperta di nuovi versanti dell’essere che siamo, trasmette un senso di migliore completezza, quindi spontaneamente argina influssi esterni, scioglie pregiudizi, non fa agire su base emotiva, impulsiva.

Colloca piuttosto nella posizione che mette in grado di rivelare il senso nascosto e sbalorditivo dell’essere. Dispiegando l’orizzonte cruciale.

 

Attivare «Perdono» è gratuitamente una restituzione in sovraggiunta del proprio ventaglio caratteriale, di tutta la dignità perduta, e ben oltre.

Deponendo le sentenze, l’arte della tolleranza dilata lo sguardo [anche intimo]. Migliora e potenzia i lati spenti; quelli che noi stessi avevamo detestato.

In tal guisa eccentrica trasforma i considerati lontani o mediocri [mikroi] in battistrada, e geniali inventori. Perché ciò che ieri era impensato, domani sarà di chiarificazione e traino.

Le confusioni acquisteranno un senso - proprio grazie al pensiero delle menti in crisi, e per l’azione dei disprezzati, intrusi, fuori d’ogni giro e prevedibilità.

Vita di pura Fede nello Spirito: ossia, la fantasia dei “fiacchi”… al potere.

Perché è il meccanismo paradossale che fa valutare i crocevia della storia, attiva le passioni, crea condivisione, risolve i veri problemi.

E dunque soppianta in avanti i momenti difficili (riportandoci al vero percorso) orientando la realtà al bene concreto.

Facendola volare verso se stessa.

 

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne. È in tale “vuoto” e Silenzio che Dio si fa strada.

Mistero della Presenza, che trabocca. Nuova Alleanza.

Le parole pronunciate da Gesù, dopo l'invocazione «Padre», riprendono un'espressione del Salmo 31: «Alle tue mani affido il mio spirito» (Sal 31,6). Queste parole, però, non sono una semplice citazione, ma piuttosto manifestano una decisione ferma: Gesù si «consegna» al Padre in un atto di totale abbandono. Queste parole sono una preghiera di «affidamento», piena di fiducia nell’amore di Dio. La preghiera di Gesù di fronte alla morte è drammatica come lo è per ogni uomo, ma, allo stesso tempo, è pervasa da quella calma profonda che nasce dalla fiducia nel Padre e dalla volontà di consegnarsi totalmente a Lui. Nel Getsemani, quando era entrato nella lotta finale e nella preghiera più intensa e stava per essere «consegnato nelle mani degli uomini» (Lc 9,44), il suo sudore era diventato «come gocce di sangue che cadono a terra» (Lc 22,44). Ma il suo cuore era pienamente obbediente alla volontà del Padre, e per questo «un angelo dal cielo» era venuto a confortarlo (cfr Lc 22,42-43). Ora, negli ultimi istanti, Gesù si rivolge al Padre dicendo quali sono realmente le mani a cui Egli consegna tutta la sua esistenza. Prima della partenza per il viaggio verso Gerusalemme, Gesù aveva insistito con i suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini» (Lc 9,44). Adesso, che la vita sta per lasciarlo, Egli sigilla nella preghiera la sua ultima decisione: Gesù si è lasciato consegnare «nelle mani degli uomini», ma è nelle mani del Padre che Egli pone il suo spirito; così – come afferma l’Evangelista Giovanni – tutto è compiuto, il supremo atto di amore è portato sino alla fine, al limite e al di là del limite.

Cari fratelli e sorelle, le parole di Gesù sulla croce negli ultimi istanti della sua vita terrena offrono indicazioni impegnative alla nostra preghiera, ma la aprono anche ad una serena fiducia e ad una ferma speranza. Gesù che chiede al Padre di perdonare coloro che lo stanno crocifiggendo, ci invita al difficile gesto di pregare anche per coloro che ci fanno torto, ci hanno danneggiato, sapendo perdonare sempre, affinché la luce di Dio possa illuminare il loro cuore; e ci invita a vivere, nella nostra preghiera, lo stesso atteggiamento di misericordia e di amore che Dio ha nei nostri confronti: «rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori», diciamo quotidianamente nel «Padre nostro». Allo stesso tempo, Gesù, che nel momento estremo della morte si affida totalmente nelle mani di Dio Padre, ci comunica la certezza che, per quanto dure siano le prove, difficili i problemi, pesante la sofferenza, non cadremo mai fuori delle mani di Dio, quelle mani che ci hanno creato, ci sostengono e ci accompagnano nel cammino dell’esistenza, perché guidate da un amore infinito e fedele. Grazie.

[Papa Benedetto, Udienza Generale 15 febbraio 2012]

Giovedì, 07 Agosto 2025 04:25

Spazio che si apre davanti

2. Il perdono! Cristo ci ha insegnato a perdonare. Molte volte e in vari modi Egli ha parlato di perdono. Quando Pietro gli chiese quante volte avrebbe dovuto perdonare al suo prossimo, "fino a sette volte?", Gesù rispose che doveva perdonare "fino a settanta volte sette" (Mt 18,21s). Ciò vuol dire, in pratica, sempre: infatti il numero "settanta" per "sette" è simbolico, e significa, più che una quantità determinata, una quantità incalcolabile, infinita. Rispondendo alla domanda su come bisogna pregare, Cristo pronunciò quelle magnifiche parole indirizzate al Padre: "Padre nostro che sei nei cieli"; e tra le richieste che compongono questa preghiera, l’ultima parla del perdono: "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo" a coloro che sono colpevoli nei nostri riguardi (= "ai nostri debitori"). Infine Cristo stesso confermò la verità di queste parole sulla Croce, quando, volgendosi al Padre, supplicò: "Perdonali!", "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34).

"Perdono" è una parola pronunciata dalle labbra di un uomo, al quale è stato fatto del male. Anzi, essa è la parola del cuore umano. In questa parola del cuore ognuno di noi si sforza di superare la frontiera dell’inimicizia, che può separarlo dall’altro, cerca di ricostruire l’interiore spazio d'intesa, di contatto, di legame. Cristo ci ha insegnato con la parola del Vangelo, e soprattutto col proprio esempio, che questo spazio si apre non solo davanti all’altro uomo, ma in pari tempo davanti a Dio stesso. Il Padre, che è Dio di perdono e di misericordia, desidera agire proprio in questo spazio del perdono umano, desidera perdonare coloro, che sono reciprocamente capaci di perdonare, coloro che cercano di mettere in pratica quelle parole: "Rimetti a noi... come noi rimettiamo".

Il perdono è una grazia, alla quale si deve pensare con umiltà e gratitudine profonde. Esso è un mistero del cuore umano, sul quale è difficile diffondersi.

5. Cristo ci ha insegnato a perdonare. Il perdono è indispensabile anche perché Dio possa porre alla coscienza umana degli interrogativi, ai quali attende risposta in tutta la verità interiore.

In questo tempo, in cui tanti uomini innocenti periscono per le mani di altri uomini, pare imporsi uno speciale bisogno di avvicinarsi a ciascuno di coloro che uccidono, avvicinarsi col perdono nel cuore ed insieme con la stessa domanda che Dio, Creatore e Signore della vita umana, pose al primo uomo che aveva attentato alla vita del fratello e gliel aveva tolta – aveva tolto ciò che è proprietà solo del Creatore e del Signore della vita.

Cristo ci ha insegnato a perdonare. Ha insegnato a Pietro a perdonare "fino a settanta volte sette" ( Mt 18,22). Dio stesso perdona quando l’uomo risponde alla domanda rivolta alla sua coscienza e al suo cuore con tutta linteriore verità della conversione.

Lasciando a Dio stesso il giudizio e la sentenza nella sua dimensione definitiva, non cessiamo di chiedere: "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori".

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 21 ottobre 1981]

Giovedì, 07 Agosto 2025 04:06

L’uomo è sempre più grande del male

Il brano evangelico […] (cfr Mt 18,21-35) ci offre un insegnamento sul perdono, che non nega il torto subito ma riconosce che l’essere umano, creato ad immagine di Dio, è sempre più grande del male che commette. San Pietro domanda a Gesù: «Se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» (v. 21). A Pietro sembra già il massimo perdonare sette volte a una stessa persona; e forse a noi sembra già molto farlo due volte. Ma Gesù risponde: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (v. 22), vale a dire sempre: tu devi perdonare sempre. E lo conferma raccontando la parabola del re misericordioso e del servo spietato, nella quale mostra l’incoerenza di colui che prima è stato perdonato e poi si rifiuta di perdonare.

Il re della parabola è un uomo generoso che, preso da compassione, condona un debito enorme – “diecimila talenti”: enorme – a un servo che lo supplica. Ma quello stesso servo, appena incontra un altro servo come lui che gli deve cento denari – cioè molto meno –, si comporta in modo spietato, facendolo gettare in prigione. L’atteggiamento incoerente di questo servo è anche il nostro quando rifiutiamo il perdono ai nostri fratelli. Mentre il re della parabola è l’immagine di Dio che ci ama di un amore così ricco di misericordia da accoglierci, e amarci e perdonarci continuamente.

Fin dal nostro Battesimo Dio ci ha perdonati, condonandoci un debito insolvibile: il peccato originale. Ma, quella è la prima volta. Poi, con una misericordia senza limiti, Egli ci perdona tutte le colpe non appena mostriamo anche solo un piccolo segno di pentimento. Dio è così: misericordioso. Quando siamo tentati di chiudere il nostro cuore a chi ci ha offeso e ci chiede scusa, ricordiamoci delle parole del Padre celeste al servo spietato: «Io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (vv. 32-33). Chiunque abbia sperimentato la gioia, la pace e la libertà interiore che viene dall’essere perdonato può aprirsi alla possibilità di perdonare a sua volta.

Nella preghiera del Padre Nostro, Gesù ha voluto inserire lo stesso insegnamento di questa parabola. Ha messo in relazione diretta il perdono che chiediamo a Dio con il perdono che dobbiamo concedere ai nostri fratelli: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). Il perdono di Dio è il segno del suo straripante amore per ciascuno di noi; è l’amore che ci lascia liberi di allontanarci, come il figlio prodigo, ma che attende ogni giorno il nostro ritorno; è l’amore intraprendente del pastore per la pecora perduta; è la tenerezza che accoglie ogni peccatore che bussa alla sua porta. Il Padre celeste – nostro Padre – è pieno, è pieno di amore e vuole offrircelo, ma non lo può fare se chiudiamo il nostro cuore all’amore per gli altri.

La Vergine Maria ci aiuti ad essere sempre più consapevoli della gratuità e della grandezza del perdono ricevuto da Dio, per diventare misericordiosi come Lui, Padre buono, lento all’ira e grande nell’amore.

[Papa Francesco, Angelus 17 settembre 2017]

In mezzo ai riconciliati: il cambiamento di rotta e di sorte nel Regno

(Mt 18,15-20)

 

«Il verbo che l'evangelista usa per "si accorderanno" è synphōnēsōsin: c'è il riferimento ad una "sinfonia" dei cuori» [Papa Benedetto].

Questa nuova energia plasmabile ha una misteriosa presa sul cuore della realtà - che sempre è più forte di noi; svolge la trama e propone, ma qui viceversa ci accoglie.

Ovvero ci disturba con un disagio… che però è già la terapia. Perché ogni lacrima guida verso gli strati profondi del nostro essere primordiale, del nostro seme e del suo mondo di relazioni proprie.

E allora l’anima si scioglie, diventa meno tortuosa, segue un’indicazione che non pensava; ritrova la strada inebriante delle sintonie profonde, abbandona il sentiero scadente.

Predilige la Via che le corrisponde, più delle identificazioni: tutti gli idoli che prima avevano il sopravvento, i quali - malgrado le apparenze - battagliavano con la nostra destinazione essenziale.

E senza fuggire da se stessi, ma solo dalle convenzioni esterne, ‘insieme’ si può passare dall’unilateralità alla completezza, dalla banalità alla pienezza; al motivo per cui siamo al mondo; al destino dell’essere che siamo.

Forse non riuscivamo prima a percepirlo, perché l’occhio rimbalzava tra le pareti della solita domesticazione.

E il pensiero effimero, assuefatto, non distruggeva l’idea [senza percezione] di noi stessi; idea senz’ascolto, che non svaniva.

 

La correzione fraterna ci stringe alla gola, ma è quell’amarezza che riporta l’essenziale; è quell’ansia (se accolta) che ci cura davvero.

 

Mt suggerisce il dialogo, che tenta di capire i motivi dell’altro.

In effetti, nelle prime realtà giudeo cristiane il clima era forse eccessivamente scrupoloso.

Quindi era previsto pure il distacco dalla comunità, ma permaneva la consapevolezza che il peccatore non era comunque un separato da Dio, anche ‘fuori’ della chiesa particolare: «Dove sono due o tre riuniti nel mio Nome» (v.20).

È il centro della nuova concezione pedagogica - non più “religiosa” e di massa, ma di Fede viva e personale.

L’espressione «nel mio Nome» sta a indicare che Gesù stesso ha avuto il suo bel daffare coi giudicanti del suo tempo.

Tutto reale. Anche una esclusione può unire a Lui e farlo rivivere concretamente, altroché.

Se il Cristo vero - non vago - resta il perno della fraternità, il Padre concederà il ritorno del fratello che si è escluso.

Ovviamente, ciò può avvenire solo se l’allontanato sperimenta che per primi i responsabili di comunità cercano il confronto umano - ricalcando la stessa posizione del Maestro: «in mezzo».

Equidistanti da tutti, e ogni tanto con un bel ricambio di mansioni.

Chi ancora oggi ci fa vedere Gesù vivo non sta al di “sopra” degli altri; non si fa capofila, né si colloca “davanti” [in modo che qualcuno sia vicino e altri sempre lontani].

Gente fra la gente. Siamo chiamati a ritrovare la saldatura tra onore a Dio e amore per le sorelle e i fratelli.

L’amore chiama amore, il perdono attira spontaneamente perdono - non per sforzo, non per buone maniere o dovere, bensì come canale per far entrare nel mondo nuove energie preparatorie e colpi di scena.

 

Fragrante segno della Chiesa è il rovesciamento dei ruoli e delle sorti.

 

 

[Mercoledì 19.a sett. T.O.  13 agosto 2025]

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«And they were certainly inspired by God those who, in ancient times, called Porziuncola the place that fell to those who absolutely did not want to own anything on this earth» (FF 604)
«E furono di certo ispirati da Dio quelli che, anticamente, chiamarono Porziuncola il luogo che toccò in sorte a coloro che non volevano assolutamente possedere nulla su questa terra» (FF 604)
It is a huge message of hope for each of us, for you whose days are always the same, tiring and often difficult. Mary reminds you today that God calls you too to this glorious destiny (Pope Francis)
È un grande messaggio di speranza per ognuno noi; per te, che vivi giornate uguali, faticose e spesso difficili. Maria ti ricorda oggi che Dio chiama anche te a questo destino di gloria (Papa Francesco)
In the divine attitude justice is pervaded with mercy, whereas the human attitude is limited to justice. Jesus exhorts us to open ourselves with courage to the strength of forgiveness, because in life not everything can be resolved with justice. We know this (Pope Francis)
Nell’atteggiamento divino la giustizia è pervasa dalla misericordia, mentre l’atteggiamento umano si limita alla giustizia. Gesù ci esorta ad aprirci con coraggio alla forza del perdono, perché nella vita non tutto si risolve con la giustizia; lo sappiamo (Papa Francesco)
The Second Vatican Council's Constitution on the Sacred Liturgy refers precisely to this Gospel passage to indicate one of the ways that Christ is present:  "He is present when the Church prays and sings, for he has promised "where two or three are gathered together in my name there am I in the midst of them' (Mt 18: 20)" [Sacrosanctum Concilium, n. 7]
La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II si riferisce proprio a questo passo del Vangelo per indicare uno dei modi della presenza di Cristo: "Quando la Chiesa prega e canta i Salmi, è presente Lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io  sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20)" [Sacrosanctum Concilium, 7]
This was well known to the primitive Christian community, which considered itself "alien" here below and called its populated nucleuses in the cities "parishes", which means, precisely, colonies of foreigners [in Greek, pároikoi] (cf. I Pt 2: 11). In this way, the first Christians expressed the most important characteristic of the Church, which is precisely the tension of living in this life in light of Heaven (Pope Benedict)
Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo (Papa Benedetto)
A few days before her deportation, the woman religious had dismissed the question about a possible rescue: “Do not do it! Why should I be spared? Is it not right that I should gain no advantage from my Baptism? If I cannot share the lot of my brothers and sisters, my life, in a certain sense, is destroyed” (Pope John Paul II)
Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: "Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta" (Papa Giovanni Paolo II)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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