Ago 16, 2025 Scritto da 

20a Domenica T.O. (anno C)

XX Domenica Tempo Ordinario (anno C) [17 agosto 2025]

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. Ecco il commento ai testi biblici di domenica prossima.

 

*Prima Lettura dal Libro del profeta Geremia (38,4-6.8-10)

 Il nome di Geremia ha dato origine al termine “geremiade”. Ma sarebbe un errore pensare che questo profeta abbia passato il suo tempo a lamentarsi e a piangersi addosso. È vero, invece, che fu spesso portato a gridare misericordia sotto il peso delle prove. E Dio sa quante ne ha vissute! Al punto che il proverbio “Nessuno è profeta in patria” si applica particolarmente a lui. A volte, dalla sua penna emergono espressioni di scoraggiamento assoluto (cf.Ger 15,10.18; 20,14). Di fronte ai ripetuti fallimenti della sua missione e ai mali di cui è vittima, Geremia si pone domande inquietanti, arrivando persino a chiedere conto a Dio, la cui condotta gli appare sorprendente, se non addirittura ingiusta: “Tu sei giusto, Signore! Ma io voglio discutere con te. Perché riescono i malvagi? Perché sono tranquilli tutti i traditori?” (Ger 12,1-2). Leggendo il libro di Geremia ci si rende conto che aveva buone ragioni per porsi queste domande e lamentarsi:capitolo dopo capitolo, emergono i complotti dei suoi avversari, gli inganni, le minacce poi messe crudelmente in atto (cf. Ger 20,10; 18,18; 11,21;12,6). Nel brano che la liturgia propone questa domenica, ci troviamo davanti a una delle tante sue sventure, un episodio tipico della sua vita in cui compaiono tutti gli argomenti e la cattiveria dei suoi avversari: “Si metta a morte Geremia, appunto perché egli scoraggia  i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia il popolo dicendo loro simili parole, perché quest’uomo non cerca il benessere del popol, ma il male” (v.4). Lo prendono e lo gettano nella cisterna del principe Melchia, dove non c’era acqua ma fango e affondò nel fango per cui più realistica di così non si potrebbe descrivere la persecuzione che subì. Dio però non abbandona il suo profeta, mantiene la promessa fatta il giorno della sua vocazione, quella di sostenerlo contro ogni avversità e fu davvero un’alleanza tra Dio e lui (Ger 1,4-5.17-19); infatti, in un giorno in cui era particolarmente scoraggiato, Dio gli aveva rinnovato la missione e la promessa (Ger 15,21) e ora lo strumento della liberazione sarà uno straniero, un etiope chiamato Ebed-Melech. Non è la prima volta che la Bibbia ci presenta degli stranieri rispettosi di Dio e dei suoi profeti più del popolo eletto. Quest’etiope ha il coraggio di intervenire presso e il re, che concede il permesso di salvare Geremia. Quando più tardi Gesù racconterà la parabola del Buon Samaritano, forse pensava anche a questo etiope che salvò il profeta perché molti sono i punti in comune tra il buon samaritano e l’etiope. Nel seguito del racconto, versetti non riportati nel testo liturgico, emergono molti dettagli della delicatezza del pagano che salva il profeta, con mille precauzioni per non ferirlo durante la risalita (28, 11-13). Perché nessuno è profeta nella propria patria? Domanda ricorrente: probabilmente ciò avviene perché l’annuncio dell’amore di Dio per gli uomini comporta l’esigenza di amarci, a nostra volta e quando si vive insieme  si è più facili a vedere il negativo che il positivo: “Nessuno è grande agli occhi del proprio vicino”. Le lamentele di Giobbe (al capitolo 3) sono simili a quelle di Geremia e si pensa che l’autore del libro di Giobbe si sia ispirato ai lamenti di Geremia, considerato esempio per eccellenza del giusto perseguitato.

 

Salmo responsoriale (39/40,2,3,4,18)

“Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato”. Il salmo parla in prima persona singolare, ma in realtà è il popolo d’Israele che canta la sua riconoscenza perché ha attraversato terribili prove e Dio lo ha liberato. Questo salmo è dunque un salmo di ringraziamento, composto per essere cantato nel Tempio al momento dell’offerta di un sacrificio di ringraziamento, sacrifici di animali celebrati fino alla distruzione definitiva del Tempio, nel 70 d.C. Il popolo intero esplode di gioia al ritorno dall’esilio babilonese come dopo il passaggio del Mar Rosso. L’esilio è stato come una caduta mortale in un pozzo senza fondo, un abisso da cui sembrava impossibile rialzarsi e il salmo parla  del “terrore dell’abisso”. Durante quel lungo periodo di prova, il popolo, sostenuto da sacerdoti e profeti, ha mantenuto la speranza e la forza di invocare aiuto: “Tu sei mio aiuto e mio liberatore: mio Dio, non tardare!” (v. 18) e  Dio lo ha salvato: “Il Signore…ha dato ascolto al mio grido”(v.2). Al suo rientro il popolo sembra resuscitato e ringrazia: “Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo…Molti vedranno e avranno timore e confideranno nel Signore…Ma io sono povero e bisognoso: di me ha cura il Signore” (vv4, 18). Prima dell’esilio Israele viveva nella sicurezza ma i profeti non erano riusciti a svegliarlo dalla sua indifferenza. Durante l’esilio ha meditato sulle cause del disastro chiedendosi se la causa non fosse questa sua superficialità. Questo salmo suona come un avvertimento per il futuro, o meglio come una risoluzione perché, per non ricadere nello stesso errore, Israele deve vivere fedelmente l’Alleanza. In questo spirito, il salmo sviluppa una riflessione su ciò che piace veramente a Dio: “sacrifici e offerta non gradisci… non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo”.(vv 7,8,9). Per esprimere l’esperienza del ritorno alla terra promessa, come un ritorno alla vita, il salmista utilizza la parabola di un uomo gettato in un pozzo dai nemici, ispirandosi forse all’esperienza del profeta Geremia, di cui la prima lettura racconta le disavventure: gettato in un pozzo è liberato da Ebed-Melek, uno straniero. Geremia sapeva che, dietro alla generosità sorprendente di quell’uomo, c’era Dio stesso:”Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose, dal fango della palude; ha stabilito i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi.”(v.3). Liberato, esplode di gioia: Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio. Molti vedranno e confideranno nel Signore.”(v.4). Chi è stato salvato canta la lode di Dio ed altri, vedendo che Dio salva, desidereranno rivolgersi a Lui. Il salmo non si ferma qui perché il versetto finale proclama: Tu sei mio aiuto e mio liberatore: mio Dio, non tardare!” (v.18). Poiché l’umanità non ha ancora raggiunto il pieno compimento del disegno di Dio, il salmista suggerisce due atteggiamenti di preghiera: La lode per le salvezze già avvenute, perché altri si aprano al Dio salvatore; la supplica per la salvezza che ancora attendiamo, perché lo Spirito ci ispiri le azioni da compiere. Non siamo noi a salvare il mondo come il salmo dice: ”Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio.Molti vedranno e confideranno nel Signore.”(v.4) Dio troverà sempre un piccolo resto da salvare. Amos dice: ”Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe” (5,15); Anche Isaia ripete cose simili come poi approfondiranno Michea, Sofonia, Zaccaria i quali annunciano  che il “Resto” d’Israele non sarà solo salvato, ma diventerà strumento di salvezza per tutti gli altri. Dio si servirà di loro per salvare l’umanità intera come afferma Michea: “Il resto di Giacobbe sarà, in mezzo a molti popoli, come una rugiada venuta dal Signore” (5,6).

 

Seconda Lettura dalla Lettera agli Ebrei (12,1-4)

Ai cristiani perseguitati, l’autore della Lettera rivolge parole di incoraggiamento. Ha dedicato il capitolo 11 a presentare i grandi modelli di fede dell’Antico Testamento e domenica scorsa si parlava di Abramo e Sara. Qui, all’inizio del capitolo 12, afferma che tutti icredenti dell’Antico Testamento sono come una “nube di testimoni” che ci circonda: una nube di protettori. L’autore non si accontenta di raccomandare ai cristiani di imitare la fiducia e la costanza dei grandi personaggi del passato, ma li invita a «tenere fisso lo sguardo su Gesù», il testimone sempre presente, colui che ha detto: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20), origine alla fede e suo compimento. Una traduzione più letterale sarebbe: Gesù è il “pioniere della fede” e il termine greco utilizzato ρχηγός archēgós tradotto con “pioniere” indica capo, condottiero, pioniere, iniziatore, fondatore, colui che apre la via e guida in avanti, una guida perfetta di cui ci si può fidare perché  conduce al pieno compimento. Infatti, egli stesso ha attraversato la prova della perseveranza, nella quale anche i cristiani sono ora impegnati. Molto più dura la sua prova: venuto come lo Sposo, per la gioia di una festa di nozze, aveva detto parlando di sé che non si può far digiunare gli invitati finché lo sposo è con loro (cf. Mc 2,19), ma lo Sposo non fu riconosciuto ed  anzi, rinunciando alla gioia che gli era posta innanzi, sopportò la croce disprezzando l’infamia di quel supplizio. San Paolo lo dice in altro modo scrivendo ai Filippesi: “Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo… umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e a una morte di croce” (Fil 2,6-8). Un tale contrasto è persino inimmaginabile: venuto a salvare l’umanità dal peccato, il Cristo ha ricevuto un drammatico rifiuto,  ucciso a causa del peccato degli uomini: “Pensate attentamente colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori”(v.3) . Sia la Lettera agli Ebrei sia quella ai Filippesi sottolineano che Gesù è nostro modello e sostegno non per la quantità delle sue sofferenze, ma per la sua “obbedienza” fino alla morte, e a una morte di croce, come scrive Paolo mentre nella Lettera agli Ebrei si legge che pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì (cf. 5,8). Obbedire – dal latino ob-audire – significa letteralmente “porre l’orecchio davanti alla Parola” che è l’attitudine della fiducia assoluta. Gesù nella situazione più estrema mantiene totale fiducia nel Padre, che sempre presente e attento al suo Figlio amato, condivide la sua sofferenza e le sue angosce: “rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2 Tm 2,13). Segue il trionfo dell’Amore di Dio e Cristo siede alla destra di Dio, regna con lui. Questo stesso trionfo viene promesso a coloro che sopportano la persecuzione come Cristo. L’autore non esita a usare la parola “lotta” per descrivere questo coraggio: i cristiani a cui scrive rischiano visibilmente la vita per restare fedeli a Gesù che così aveva avvertito: “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi… Ma con la vostra perseveranza salverete la vostra vita” (Lc 21,12 - 19). In tutto il mondo, alcuni cristiani sono direttamente coinvolti da questa sorte perché stanno vivendo persecuzioni aperte o nascoste. A noi, che almeno per il momento non conosciamo la persecuzione diretta, è chiesto di essere testimoni parlando con coraggio di Dio e difendendo la sua verità.

 

Dal Vangelo secondo Luca (12,49-53)

Gesù paragona la sua missione a un fuoco: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!” Fin dal fuoco della Pentecoste, questo annuncio fu come una fiamma diffusasi rapidamente: nel popolo ebraico appariva come distruttore di tutto l’edificio religioso, nel mondo pagano era considerato come una contagiosa follia. San Paolo scrive ai Corinzi: “Noi predichiamo un Messia crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani.” (1 Cor 1,23). Questo fuoco lascia tracce indelebili: coloro che si lasciano ardere dal Vangelo e coloro che lo rifiutano diventano irrimediabilmente antagonisti, anche se uniti da legami familiari per cui si realizza ciò che descriveva con desolazione il profeta Michea nel suo tempo di angoscia: “Il figlio insulta il padre, la figlia si ribella contro la madre, la nuora contro la suocera; i nemici di ciascuno sono i suoi familiari.” (Mi 7,6). Quando Gesù annuncia queste lacerazioni, non si tratta di un semplice presentimento: parla per esperienza come avvenne a Nazaret dove, dopo un primo entusiasmo, i suoi amici d’infanzia e i suoi familiari si rivoltano contro di lui, perché aveva appena detto che la sua missione superava i confini d’Israele (Lc 4,28-29). E non è l’unica volta in cui Gesù si scontra con l’incomprensione, persino l’opposizione dei suoi: san Giovanni scrive che nemmeno i suoi fratelli credevano in lui (cf. Gv 7,5). Del resto, Gesù non esita a dire ai suoi discepoli che una delle condizioni per annunciare il Regno di Dio è accettare possibili separazioni dolorose. Se infatti lo si vuole seguire, ma non lo si ama più delle persone più care e perfino più della  propria vita, mai si diventa suoi discepoli. (cf. Lc 14,26) per cui il fuoco che egli ha acceso conduce a scelte radicali. Israele attendeva un Messia che portasse la pace al mondo, essendo ben note le profezie di Isaia (Is 2;11), Gesù invece annuncia divisioni: “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione.” La pace di Gesù esige la conversione radicale del cuore, ma a questa conversione molti si opporranno con tutte le forze. Il suo annuncio di pace incontrerà il favore di alcuni, ma l’opposizione di molti: venuto tra noi per annunciare l’amore e la salvezza, ha  subìto sofferenza e  morte, come egli stesso aveva predetto: “È necessario che il Figlio dell’uomo soffra molto, sia rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venga ucciso e il terzo giorno risorga.” (Lc 9,22). E ancora: sarà consegnato ai pagani, deriso, insultato, sputato, flagellato e ucciso, ma risorgerà il terzo giorno (cf Lc 18,32). La sua risurrezione ci infonde coraggio: vivificati dal suo Spirito effuso su di noi, non abbiamo paura di incendiare il mondo con il fuoco della sua carità.

+ Giovanni D’Ercole

7 Ultima modifica il Sabato, 16 Agosto 2025 08:52
don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Email Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
«And they were certainly inspired by God those who, in ancient times, called Porziuncola the place that fell to those who absolutely did not want to own anything on this earth» (FF 604)
«E furono di certo ispirati da Dio quelli che, anticamente, chiamarono Porziuncola il luogo che toccò in sorte a coloro che non volevano assolutamente possedere nulla su questa terra» (FF 604)
It is a huge message of hope for each of us, for you whose days are always the same, tiring and often difficult. Mary reminds you today that God calls you too to this glorious destiny (Pope Francis)
È un grande messaggio di speranza per ognuno noi; per te, che vivi giornate uguali, faticose e spesso difficili. Maria ti ricorda oggi che Dio chiama anche te a questo destino di gloria (Papa Francesco)
In the divine attitude justice is pervaded with mercy, whereas the human attitude is limited to justice. Jesus exhorts us to open ourselves with courage to the strength of forgiveness, because in life not everything can be resolved with justice. We know this (Pope Francis)
Nell’atteggiamento divino la giustizia è pervasa dalla misericordia, mentre l’atteggiamento umano si limita alla giustizia. Gesù ci esorta ad aprirci con coraggio alla forza del perdono, perché nella vita non tutto si risolve con la giustizia; lo sappiamo (Papa Francesco)
The Second Vatican Council's Constitution on the Sacred Liturgy refers precisely to this Gospel passage to indicate one of the ways that Christ is present:  "He is present when the Church prays and sings, for he has promised "where two or three are gathered together in my name there am I in the midst of them' (Mt 18: 20)" [Sacrosanctum Concilium, n. 7]
La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II si riferisce proprio a questo passo del Vangelo per indicare uno dei modi della presenza di Cristo: "Quando la Chiesa prega e canta i Salmi, è presente Lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io  sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20)" [Sacrosanctum Concilium, 7]
This was well known to the primitive Christian community, which considered itself "alien" here below and called its populated nucleuses in the cities "parishes", which means, precisely, colonies of foreigners [in Greek, pároikoi] (cf. I Pt 2: 11). In this way, the first Christians expressed the most important characteristic of the Church, which is precisely the tension of living in this life in light of Heaven (Pope Benedict)
Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo (Papa Benedetto)
A few days before her deportation, the woman religious had dismissed the question about a possible rescue: “Do not do it! Why should I be spared? Is it not right that I should gain no advantage from my Baptism? If I cannot share the lot of my brothers and sisters, my life, in a certain sense, is destroyed” (Pope John Paul II)
Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: "Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta" (Papa Giovanni Paolo II)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

duevie.art

don Giuseppe Nespeca

Tel. 333-1329741


Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.