don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Sabato, 28 Giugno 2025 03:11

Nel campo di Dio c’è lavoro per tutti

Cari fratelli e sorelle,

oggi il Vangelo (cfr Lc 10, 1-12.17-20) presenta Gesù che invia settantadue discepoli nei villaggi dove sta per recarsi, affinché predispongano l'ambiente. È questa una particolarità dell'evangelista Luca, il quale sottolinea che la missione non è riservata ai dodici Apostoli, ma estesa anche ad altri discepoli. Infatti - dice Gesù - "la messe è molta, ma gli operai sono pochi" (Lc 10, 2). C'è lavoro per tutti nel campo di Dio. Ma Cristo non si limita ad inviare: Egli dà anche ai missionari chiare e precise regole di comportamento. Anzitutto li invia "a due a due", perché si aiutino a vicenda e diano testimonianza di amore fraterno. Li avverte che saranno "come agnelli in mezzo a lupi": dovranno cioè essere pacifici nonostante tutto e recare in ogni situazione un messaggio di pace; non porteranno con sé né vestiti né denaro, per vivere di ciò che la Provvidenza offrirà loro; si prenderanno cura dei malati, come segno della misericordia di Dio; dove saranno rifiutati, se ne andranno, limitandosi a mettere in guardia circa la responsabilità di respingere il Regno di Dio. San Luca mette in risalto l'entusiasmo dei discepoli per i buoni frutti della missione, e registra questa bella espressione di Gesù: "Non rallegratevi perché i demòni si sottomettono a voi: rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Lc 10, 20). Questo Vangelo risvegli in tutti i battezzati la consapevolezza di essere missionari di Cristo, chiamati a preparargli la strada con le parole e con la testimonianza della vita […]

[Papa Benedetto, Angelus 8 luglio 2007]

1. La missione di Cristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento. Al termine del secondo millennio dalla sua venuta uno sguardo d'insieme all'umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio. È lo Spirito che spinge ad annunziare le grandi opere di Dio: «Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9,16).

A nome di tutta la Chiesa, sento imperioso il dovere di ripetere questo grido di san Paolo. Già dall'inizio del mio pontificato ho scelto di viaggiare fino agli estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine missionaria, e proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancor più convinto dell'urgenza di tale attività, a cui dedico la presente Enciclica.

Il Concilio Vaticano II ha inteso rinnovare la vita e l'attività della Chiesa secondo le necessità del mondo contemporaneo: ne ha sottolineato la «missionarietà» fondandola dinamicamente sulla stessa missione trinitaria. L'impulso missionario, quindi, appartiene all'intima natura della vita cristiana e ispira anche l'ecumenismo: «Che tutti siano una cosa sola...., perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21).

2. Molti sono già stati i frutti missionari del Concilio: si sono moltiplicate le chiese locali fornite di propri Vescovi, clero e personale apostolico; si verifica un più profondo inserimento delle Comunità cristiane nella vita dei popoli; la comunione fra le Chiese porta a un vivace scambio di beni spirituali e di doni; l'impegno evangelizzatore dei laici sta cambiando la vita ecclesiale; le Chiese particolari si aprono all'incontro, al dialogo e alla collaborazione con i membri di altre chiese cristiane e religioni. Soprattutto si sta affermando una coscienza nuova: cioè che la missione riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e parrocchie, le istituzioni e associazioni ecclesiali.

Tuttavia, in questa «nuova primavera» del cristianesimo non si può nascondere una tendenza negativa, che questo Documento vuol contribuire a superare: la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento, non certo in linea con le indicazioni del Concilio e del Magistero successivo. Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della Chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di fede.

A venticinque anni dalla conclusione del Concilio e dalla pubblicazione del Decreto sull'attività missionaria Ad gentes, a quindici anni dall'Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del pontefice Paolo VI di v.m., desidero invitare la chiesa a un rinnovato impegno missionario, continuando il Magistero dei miei predecessori a tale riguardo. Il presente documento ha una finalità interna: il rinnovamento della fede e della vita cristiana. La missione, infatti, rinnova la chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell'impegno per la missione universale.

Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità nel mondo odierno, il quale conosce stupende conquiste, ma sembra avere smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza. «Cristo redentore - ho scritto nella prima Enciclica - rivela pienamente l'uomo a se stesso... L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo... deve avvicinarsi a Cristo... La redenzione, avvenuta per mezzo della croce, ha ridato definitivamente all'uomo la dignità e il senso della sua esistenza nel mondo».

[Papa Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio]

Sabato, 28 Giugno 2025 02:53

Subito li allena alla Missione

Il Vangelo di questa domenica (Lc 10,1-12.17-20) ci parla proprio di questo: del fatto che Gesù non è un missionario isolato, non vuole compiere da solo la sua missione, ma coinvolge i suoi discepoli. E oggi vediamo che, oltre ai Dodici apostoli, chiama altri settantadue, e li manda nei villaggi, a due a due, ad annunciare che il Regno di Dio è vicino. Questo è molto bello! Gesù non vuole agire da solo, è venuto a portare nel mondo l’amore di Dio e vuole diffonderlo con lo stile della comunione, con lo stile della fraternità. Per questo forma subito una comunità di discepoli, che è una comunità missionaria. Subito li allena alla missione, ad andare.

Ma attenzione: lo scopo non è socializzare, passare il tempo insieme, no, lo scopo è annunciare il Regno di Dio, e questo è urgente!, e anche oggi è urgente! Non c’è tempo da perdere in chiacchiere, non bisogna aspettare il consenso di tutti, bisogna andare e annunciare. A tutti si porta la pace di Cristo, e se non la accolgono, si va avanti uguale. Ai malati si porta la guarigione, perché Dio vuole guarire l’uomo da ogni male. Quanti missionari fanno questo! Seminano vita, salute, conforto alle periferie del mondo. Che bello è questo! Non vivere per se stesso, non vivere per se stessa, ma vive per andare a fare il bene! Ci sono tanti giovani oggi in Piazza : pensate a questo, domandatevi: Gesù mi chiama a andare, a uscire da me per fare il bene? A voi, giovani, a voi ragazzi e ragazze vi domando: voi, siete coraggiosi per questo, avete il coraggio di sentir e la voce di Gesù? E’ bello essere missionari!... Ah, siete bravi! Mi piace questo!

Questi settantadue discepoli, che Gesù manda davanti a sé, chi sono? Chi rappresentano? Se i Dodici sono gli Apostoli, e quindi rappresentano anche i Vescovi, loro successori, questi settantadue possono rappresentare gli altri ministri ordinati, presbiteri e diaconi; ma in senso più largo possiamo pensare agli altri ministeri nella Chiesa, ai catechisti, ai fedeli laici che si impegnano nelle missioni parrocchiali, a chi lavora con gli ammalati, con le diverse forme di disagio e di emarginazione; ma sempre come missionari del Vangelo, con l’urgenza del Regno che è vicino. Tutti devono essere missionari, tutti possono sentire quella chiamata di Gesù e andare avanti e annunciare il Regno!

Dice il Vangelo che quei settantadue tornarono dalla loro missione pieni di gioia, perché avevano sperimentato la potenza del Nome di Cristo contro il male. Gesù lo conferma: a questi discepoli Lui dà la forza di sconfiggere il maligno. Ma aggiunge: «Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20). Non dobbiamo vantarci come se fossimo noi i protagonisti: protagonista è uno solo, è il Signore! Protagonista è la grazia del Signore! Lui è l’unico protagonista! E la nostra gioia è solo questa: essere suoi discepoli, suoi amici. Ci aiuti la Madonna ed essere buoni operai del Vangelo.

Cari amici, la gioia! Non abbiate paura di essere gioiosi! Non abbiate paura della gioia! Quella gioia che ci dà il Signore quando lo lasciamo entrare nella nostra vita, lasciamo che Lui entri nella nostra vita e ci inviti ad andare fuori noi alle periferie della vita e annunciare il Vangelo. Non abbiate paura della gioia. Gioia e coraggio!

[Papa Francesco, Angelus 7 luglio 2013]

 

Consapevoli della realtà ostile

L’odierna pagina evangelica, tratta dal capitolo decimo del Vangelo di Luca (vv. 1-12.17-20), ci fa capire quanto è necessario invocare Dio, «il signore della messe, perché mandi operai per la sua messe» (v. 2). Gli “operai” di cui parla Gesù sono i missionari del Regno di Dio, che Egli stesso chiamava e inviava «a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi (v. 1). Loro compito è annunciare un messaggio di salvezza rivolto a tutti. I missionari annunziano sempre un messaggio di salvezza a tutti; non solo i missionari che vanno lontano, anche noi, missionari cristiani che diciamo una buona parola di salvezza. E questo è il dono che ci dà Gesù con lo Spirito Santo. Questo annuncio è dire: «E’ vicino a voi il Regno di Dio» (v. 9), perché Gesù ha “avvicinato” Dio a noi; Dio si è fatto uno di noi; in Gesù, Dio regna in mezzo a noi, il suo amore misericordioso vince il peccato e la miseria umana.

E questa è la Buona Notizia che gli “operai” devono portare a tutti: un messaggio di speranza e di consolazione, di pace e di carità. Gesù, quando manda i discepoli davanti a sé nei villaggi, raccomanda loro: «Prima dite: “Pace a questa casa!”. […] Guarite i malati che vi si trovano» (vv. 5.9). Tutto questo significa che il Regno di Dio si costruisce giorno per giorno e offre già su questa terra i suoi frutti di conversione, di purificazione, di amore e di consolazione tra gli uomini. È una cosa bella! Costruire giorno per giorno questo Regno di Dio che si va facendo. Non distruggere, costruire!

Con quale spirito il discepolo di Gesù dovrà svolgere questa missione? Anzitutto dovrà essere consapevole della realtà difficile e talvolta ostile che lo attende. Gesù non risparmia parole su questo! Gesù dice: «Vi mando come agnelli in mezzo a lupi» (v. 3). Chiarissimo. L’ostilità è sempre all’inizio delle persecuzioni dei cristiani; perché Gesù sa che la missione è ostacolata dall’opera del maligno. Per questo, l’operaio del Vangelo si sforzerà di essere libero da condizionamenti umani di ogni genere, non portando borsa, né sacca, né sandali (cfr v. 4), come ha raccomandato Gesù, per fare affidamento soltanto sulla potenza della Croce di Cristo. Questo significa abbandonare ogni motivo di vanto personale, di carrierismo o fame di potere, e farsi umilmente strumenti della salvezza operata dal sacrificio di Gesù.

Quella del cristiano nel mondo è una missione stupenda, è una missione destinata a tutti, è una missione di servizio, nessuno escluso; essa richiede tanta generosità e soprattutto lo sguardo e il cuore rivolti in alto, per invocare l’aiuto del Signore. C’è tanto bisogno di cristiani che testimoniano con gioia il Vangelo nella vita di ogni giorno. I discepoli, inviati da Gesù, «tornarono pieni di gioia» (v. 17). Quando noi facciamo questo, il cuore si riempie di gioia. E questa espressione mi fa pensare a quanto la Chiesa gioisce, si rallegra quando i suoi figli ricevono la Buona Notizia grazie alla dedizione di tanti uomini e donne che quotidianamente annunciano il Vangelo: sacerdoti - quei bravi parroci che tutti conosciamo -, suore, consacrate, missionarie, missionari… E mi domando - sentite la domanda -: quanti di voi giovani che adesso siete presenti oggi nella piazza, sentono la chiamata del Signore a seguirlo? Non abbiate paura! Siate coraggiosi e portare agli altri questa fiaccola dello zelo apostolico che ci è stata data da questi esemplari discepoli.

Preghiamo il Signore, per intercessione della Vergine Maria, perché non manchino mai alla Chiesa cuori generosi, che lavorino per portare a tutti l’amore e la tenerezza del Padre celeste.

[Papa Francesco, Angelus 3 luglio 2016]

Venerdì, 27 Giugno 2025 04:46

Digiuno: Apertura

Otri nuovi e Libertà vocazionale

(Mt 9,14-17)

 

Il digiuno è un principio di rigenerazione che ha un potere curativo unico, sia disintossicante che essenziale. Esso attiva le energie della propria umanità e nel contempo della propria diversità.

Tale pratica silenziosa si rivolge agli strati profondi, alla dimensione interna, che diventa la guida e rischiamo d’ignorare.

 

Il digiuno era segno di religiosità profonda, perciò i discepoli di Gesù - che non digiunavano, anzi la loro vita aveva un carattere festivo - erano assimilati più o meno a dei peccatori.

Sebbene non esistessero prescrizioni formali, presso i circoli osservanti si trattava di pie pratiche diventate consuetudini [legate a giorni precisamente scanditi].

Nelle credenze semitiche il digiuno era in specie espressivo dell’imbarazzo e dell’afflizione dell’uomo devoto nell’aspettativa dei tempi messianici, che tardavano.

Per questo Gesù associa il digiuno al lutto - che non ha più senso nella vita come festa di Nozze senza remore che Egli inaugura.

Il digiuno rimane come segno di attesa del compimento, ma ora la mestizia non ha più significato.

Nel tempo della Chiesa che rende presente il Risorto, la rinuncia a ingozzare non è forma di penitenza ma di speranza (v.15).

E serve a tener sgombro il cuore degli amici dello Sposo dalle vanità, con una forma d’identificazione coi poveri.

Nelle comunità di Galilea e Siria cui Mt si rivolge, i giudaizzanti tentavano di ridurre la Fede pura - fondamento e partecipazione entusiasta - a credenze e praticucce qualsiasi.

Disposizioni che non facevano sentire tutti liberi.

Gran parte dei giudei convertiti a Cristo propendeva infatti per nostalgie che risultavano di freno e impedimento. 

Mt incoraggia i convertiti delle sue fraternità, provenienti da credenze miste e non regolari - fronteggiando l’opinione delle tradizioni religiose più severe.

 

Ancora oggi la proposta del Signore si distingue - perché non pretende di preparare il Regno, bensì lo accoglie e lo ascolta.

Sarà unicamente il Cristo-in-noi ad alimentarci in modo ininterrotto e crescente, nell’impegno per ripartire nel compito di ritrovarci ed emancipare il mondo - ma in un clima di austerità tranquilla.

Il Richiamo dei Vangeli permane al contempo equilibrato, concreto e fortemente profetico, perché suscita attenzione alle persone, alla realtà, e alla nostra gioia - assai più che a norme di perfezionamento non richieste, o altri rattoppi (v.16).

Non soverchiando né imponendo carichi artificiosi ai credenti, la vita di Fede mette in gioco la libertà [e così ce la fa conoscere] affinché ne prendiamo coscienza e la assumiamo per poterla investire come Grazia, carica e risorsa di novità.

I meccanismi rinunciatari e mortificanti di affinamento individualista sono estranei in partenza - a meno che non siano pensati per la condivisione dei beni.

Gesù non viene per farsi un gruppetto di seguaci seduti sulla cattedra dell’austerità, ma per comunicare che il rapporto con Dio è una festa.

Il digiuno gradito al Padre sta nell’esperienza lucida della propria irripetibile eccentricità e Chiamata, nel liberarsi dall’egoismo dell’arraffare per sé, e nel recare sollievo al prossimo.

Per questo motivo la Chiesa ha abolito quasi del tutto il precetto del digiuno esteriore, mentre intende impegnarsi maggiormente per forme di limitazione in favore dei malfermi, umili e bisognosi.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Tieni al digiuno? Da cosa? E per quale scopo?

 

 

[Sabato 13.a sett. T.O.  5 luglio 2025]

Venerdì, 27 Giugno 2025 04:42

Otri nuovi e Libertà vocazionale

Digiuno: Apertura

(Mt 9,14-17)

 

Il digiuno ha percorso tutte le tradizioni religiose e mistiche, perché inteso ad avvicinare la donna e l’uomo alla propria essenza profonda - a un ascolto di sé, dei codici del sacro, del cosmo interiore, della propria vocazione, delle sacre Pagine - nell’attesa di trasformazioni.

Ci si affida a una diversa saggezza - meno rumorosa - che può attivare processi di metamorfosi, proprio facendo un vuoto dalle intrusioni del pensiero omologato, dalle abitudini o conformismi esterni che tendono a sopraffare la personalità.

Staccandosi, svaniranno i tormenti, sostituiti da altri interessi e sogni lucidi; suscitati dalla nuova breccia verso il nostro lato eterno, e da quell’affidarsi al nocciolo dell’essere che ancora ci sta creando.

L'unità psico-fisica e sovrannaturale sono un organismo prodigioso, che può diradare le nebbie ed esaltare le sue capacità con diverse forme di sospensione e pulizia anche mentale - la quale ci porterà dove dobbiamo andare.

Ma nello specifico dei figli di Dio, tutto ciò mira ad affinare lo sguardo nel senso della conoscenza, scoperta, sorpresa di capacità e qualità singolari e missionarie insospettabili. Quelle che sgorgano dal rinvenimento del Sé eminente, dalla propria Relazione fondante - per divenire unicità di rapporto eccezionale con gli altri, nell’Esodo che ci corrisponde.

Il digiuno è un principio di rigenerazione che ha un potere curativo unico, sia disintossicante che essenziale. Esso attiva le energie della propria umanità e nel contempo della propria diversità.

Tale pratica silenziosa si rivolge agli strati profondi, alla dimensione interna, che diventano la guida (e rischiamo di ignorare).

Ma qui capire le dissomiglianze resta indispensabile. Per noi è un gesto di apertura!

Altro genere di diete o atletismi sono non di rado devianti: il loro stesso nonsenso recherà tristezza e persino depressione.

Il digiuno rimane segno di attesa del compimento, ma ora la mestizia non ha più significato.

Nel tempo della Chiesa che rende presente il Risorto, la rinuncia a ingozzare non è forma di penitenza ma di speranza (v.20).

E serve a tener sgombro il cuore degli amici dello Sposo dalle vanità, con una forma d’identificazione coi poveri.

Ma Gesù non viene per farsi un gruppetto di seguaci seduti sulla cattedra dell’austerità, bensì per comunicare che il rapporto con Dio è una festa!

Insomma, il digiuno gradito al Padre sta nell’esperienza lucida della propria irripetibile eccentricità e Chiamata, nel liberarsi dall’egoismo dell’arraffare per sé, e recare sollievo al prossimo.

Clima che crea vita, non la decurta.

 

Il digiuno era segno di religiosità profonda, perciò i discepoli di Gesù - che non digiunavano, anzi la loro esistenza aveva un carattere festivo - erano assimilati più o meno a dei peccatori.

Sebbene non esistessero prescrizioni formali, si trattava di pie pratiche diventate consuetudini, presso i circoli osservanti [qui la seriosità era tutto] legate a giorni precisamente scanditi.

Nelle credenze semitiche il digiuno era in specie espressivo dell’imbarazzo e dell’afflizione dell’uomo devoto nell’aspettativa fremente dei tempi messianici, che tardavano.

Per questo Gesù associa il digiuno al lutto - che non ha più senso nella vita come festa di Nozze senza remore che Egli inaugura.

Dove appunto non c’è bisogno di aggiunte, né controlli o impronte, marchi e caratteri distintivi.

La Nuova Alleanza non è neppure ammodernamento di pratiche morali o prescrizioni pie che forniscano un lasciapassare religioso esterno.

Tutto è in rapporto alla presenza reale dello Sposo, che non punisce la vita.

Certo, colui che procede nel cammino dell’emancipazione e non si accontenta di un Gesù-Sposo parziale, già conosce in sé cosa lo attende…

Poi (v.15) nel confronto stridente con i capi religiosi - aggrappati al prestigio - ecco mestizie e umiliazioni a non finire. Altro che digiuno dai cibi.

Tuttavia, chi ha deciso di continuare il suo cammino di Libertà vocazionale sa che deve rivivere le medesime vicende di palese conflitto che ha contrapposto il Maestro alla mentalità e alle autorità del suo tempo; infine, in tale Incontro reale con Lui, sperimentare il dono totale della vita (v.15).

Sarà unicamente il Cristo-in-noi anche centellinato e non definitivo ad alimentare anima e corpo in modo ininterrotto e crescente.

Ciò con l’impegno per ripartire nella missione di trovarci e dare respiro al mondo.

In un clima di austerità tranquilla; senza freni artificiosi.

 

Nelle comunità di estrazione giudaizzante cui Mt si rivolge, c’era un forte bisogno di liberare il Risorto da pastoie [fissazioni disciplinari, orari, calendario].

I credenti Lo percepivano vivo - complice del nuovo carattere umanizzante che sperimentavano giorno per giorno.

 

L’evangelista ha voluto orientare le sue assemblee di Galilea e Siria [forse di metà anni 70] a non attaccarsi a finte sicurezze.

Bisognava prendere una posizione del tutto alternativa e non finire come i “padri” o i gruppi attorno, di estrazione religiosa antica e settaria.

Ma anche i giudaizzanti tentavano di ridurre la Fede pura - fondamento e partecipazione entusiasta - a rigide credenze e praticucce qualsiasi.

Circoli viziosi che finivano per ritrasmettere vecchi sensi di colpa, invece che insoliti spunti relazionali.

 

Gran parte dei giudei convertiti propendeva infatti per nostalgie che risultavano di freno e impedimento.

Proprio tali veterani faticavano a fare proprio in modo entusiasta il nuovo habitus di libertà, e lo spumeggiare completo del Vangelo.

Ancora oggi la Proposta del Signore si distingue da tutte le dottrine esclusiviste, colme di prescrizioni e adempimenti.

La sua Presenza traspare in spirito. E i suoi intimi non pretendono preparare il Regno, bensì lo accolgono e ascoltano - con fiducia nella vita.

Così avviene nel tempo della crisi, che sta disponendo a un digiuno meno esteriore, più globale - considerevole ma sapiente.

Travaglio che può condurre l'umanità alla percezione sensibile, al senso di comunione, al silenzio e all’abbraccio; a un minore impeto egocentrico e dirigista. Ad un approfondimento - e completezza.

 

Scrive il Tao Tê Ching (v): «Lo spazio tra Cielo e Terra, come somiglia a un mantice!».

Commenta il maestro Wang Pi: «Se il mantice avesse una sua volontà nell’emettere il soffio, non potrebbe attuare l’intento di chi lo fa soffiare».

E il maestro Ho-shang Kung aggiunge: «Le molte imprese nuocciono allo spirito».

 

Insomma, Cristo fa tesoro della sapienza naturale e non ci riduce a misura di religione qualsiasi: non confina i credenti in “trattative” mediante piccole procedure di atletismo e perfezione individuale.

Non insiste su mortificazioni eroiche, rinunce straordinarie, osservanza puntigliosa di leggi sterili - unilaterali - a meno che non siano pensate in ordine al ritrovarsi, all’umanizzazione, alla condivisione dei beni.

Il Richiamo dei Vangeli permane al contempo equilibrato, concreto e fortemente profetico.

Appello che suscita attenzione alle persone, alla realtà, alla nostra gioia - assai più che a norme di levigatura asettica non richieste, o altri rattoppi (v.16).

 

Non soverchiando né imponendo carichi artificiosi ai credenti, la vita di Fede mette in gioco l’autodeterminazione.

Così ce la fa conoscere - affinché ne prendiamo coscienza e la assumiamo per poterla investire come Grazia, carica (non diminuzione): risorsa di novità.

I meccanismi ascetici di affinamento individualista sono estranei in partenza: l’obbiettivo è creare Famiglia, non ritagliarsi una cerchia di duri e puri tutti esterni e fieri di sé, che si distacchino da fratelli più deboli.

Poi, autocompiaciuti, divenire sleali, usurpatori, intriganti: una storia di pecche, trame equivoche e ritardi pastorali, dietro una facciata impeccabile di dottrine cerebrali, discipline (a modo) e commemorazioni eclatanti sul corpo del “povero defunto”.

Per questo motivo la Chiesa ha abolito quasi del tutto il precetto del digiuno esteriore, mentre intende impegnarsi maggiormente per forme di limitazione in favore dei malfermi, emarginati, umili e bisognosi.

 

La scelta vuol continuare a essere nitida: la libertà non ha prezzo.

E non c’è amore se qualcuno - fosse anche Dio - tagliasse o sovrastasse l’altro, imponendo gioghi artificiosi, troppo uguali a sempre; insopportabili, strampalati, infecondi.

Così i vecchi contenitori non vanno più accoppiati al nuovo fermento. La pratica dei rappezzi danneggia sia le usanze che la Novità di Dio.

Certo, il vino vecchio e le talari hanno un’attrattiva fascinosa per i sensi e l’immaginario epidermico vintage

Per questo continuano a piacere [Lc 5,39: «Il vecchio è eccellente!»]. Non pochi vogliono combinarlo con il Signore (Mt 9,17; Mc 2,22; Lc 5,37-38).

 

Il Maestro non era per sé avversario dello spirito dell’antico, ma combatteva le sue scorze irremovibili. Già allora gusci vuoti, i quali impedivano di fatto la manifestazione d’un inedito Volto dell’Eterno Vivente, e d’una più genuina idea di uomo riuscito - germe di società alternativa, fraterna.

Realtà ben separate da quelle intimiste o autoreferenziali tipiche dei culti ufficiali o fai-da-te. Tutte innovazioni che dovevano manifestarsi. 

Il gusto e i retrogusti del vino vecchio ammantavano i riti devoti e le usanze stagionate con arte, leziosità e fascino evocativo, ma si piantavano lì e non graffiavano la vita.

Ricordavano ricordavano, ma non facevano memoriale - ossia non riattualizzavano per il popolo minuto.

Nella pratica dei molti culti, nelle sue imprese di catechesi senza nerbo pastorale, anche oggi in provincia notiamo [da decenni] un rigurgito pre-conciliare meccanico, che si ferma alle grandi icone.

Meraviglie e memorie della Storia della Salvezza... tutto lì.

Ai responsabili locali è sembrato più facile tornare alle usanze e catechismi abbreviati che affrontare il rischio educativo che lo stesso Magistero imporrebbe.

Il risultato immediato è stato valutato appetibile e redditizio, per il settore [sotto sotto] fondamentalista o glamour, e astuto - volentieri soppiantando l’effervescenza sconosciuta del vino novello.

Infatti, da parte di coloro che sanno “come si sta al mondo”, bisogna ancora subire tutta una superficialità di ripieghi e accomodature abitudinarie, le quali non riscattano nessuno e non recano gioia, perché non entrano nelle vicende umane personali.

Accontentandosi poi del menu di pesce il venerdì. Autentico superfluo.

Ma chi si ferma al passato di mortificazioni e cartapesta non potrà mai comprendere la Riforma che lo Spirito propone per edificare ogni anima nell’appagamento autentico, che ci stringe meglio gli uni gli altri.

Così, nella coesistenza e convivialità delle differenze, i vecchi contenitori non vanno più accoppiati al nuovo fermento.

 

La pratica delle rappezzature può da un lato danneggiare le usanze, perché esse hanno un loro gusto rifinito e spiccato (pertinente in sé) - dall’altro distogliere e attenuare la vita del mutamento, nell’Esodo che non ci spegne.

 

Insomma, il Signore non pensa per noi una pratica di rammendi e delimitazioni che rinchiudono: piuttosto, vuol rompere le gabbie.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Tieni al digiuno? Da cosa? E per quale scopo? Rompe le gabbie? È o no in ordine al conoscersi, ritrovarsi, e ascoltare, curare, condividere, abbracciarsi, stringersi meglio gli uni gli altri?

Quali conflitti interiori sperimenti attorno a pratiche religiose che ritieni rechino ancora sofferenza alle persone e non sono espressione sponsale o motivo di emancipazione per la donna e l’uomo?

Quale immagine di Dio e dell’umanità credente soggiace a preconcetti e proibizioni? Come dimostri il primato di Gesù in ogni settore della vita?

Venerdì, 27 Giugno 2025 04:38

Autorivelazione, Festa, lutto

Mentre Gesù si trova a tavola in casa di Levi, il pubblicano, i farisei e i seguaci di Giovanni Battista gli domandano perché i suoi discepoli non stanno digiunando come loro. Gesù risponde che gli invitati a nozze non possono digiunare mentre lo sposo è con loro; digiuneranno quando lo sposo sarà loro tolto (cfr Mc 2, 18-20). Così dicendo, Cristo rivela la sua identità di Messia, Sposo d'Israele, venuto per le nozze con il suo popolo. Quelli che lo riconoscono e lo accolgono con fede sono in festa. Egli però dovrà essere rifiutato e ucciso proprio dai suoi: in quel momento, durante la sua passione e la sua morte, verrà l'ora del lutto e del digiuno.

Come dicevo, l'episodio evangelico anticipa il significato della Quaresima. Questa, infatti, nel suo insieme costituisce un grande memoriale della passione del Signore, in preparazione alla Pasqua di Risurrezione. Durante questo periodo ci si astiene dal cantare l'alleluia e si è invitati a praticare forme opportune di rinuncia penitenziale. Il tempo di Quaresima non va affrontato con spirito "vecchio", quasi fosse un'incombenza pesante e fastidiosa, ma con lo spirito nuovo di chi ha trovato in Gesù e nel suo mistero pasquale il senso della vita, e avverte che tutto ormai deve riferirsi a Lui. Era questo l'atteggiamento dell'apostolo Paolo, che affermava di essersi lasciato tutto alle spalle per poter conoscere Cristo, "la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti" (Fil 3, 10-11).

Nell'itinerario quaresimale ci sia guida e maestra Maria Santissima, che, quando Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme per subirvi la Passione, lo seguì con fede totale. Come "anfora nuova", ricevette il "vino nuovo" portato dal Figlio per le nozze messianiche (cfr Mc 2, 22). E così, quella grazia che lei stessa, con istinto di Madre, aveva sollecitato per gli sposi di Cana, la ricevette per prima sotto la Croce, versata dal Cuore trafitto del Figlio, incarnazione dell'amore di Dio per l'umanità (cfr Deus caritas est, 13-15).

[Papa Benedetto, Angelus 26 febbraio 2006]

Venerdì, 27 Giugno 2025 04:35

Why to the fasting? Why fasting?

1. "Sanctify a fast!" (Joel 1:14). They are the words that we listened to in the first reading on Ash Wednesday. They were written by the Prophet Joel, and the Church establishes the practice of Lent in conformity with them, ordering fasting. Today the practice of Lent, defined by Paul VI in the Constitution "Poenitemini ", is considerably reduced as compared with practices of the past. In this matter the Pope left a great deal to the decision of the Episcopal Conferences of the individual countries. They, therefore, have the task of adapting the requirements of fasting according to the circumstances that prevail in their respective societies. He also recalled that the essence of Lenten repentance consists not only of fasting, but also of prayer and almsdeeds (works of mercy). So it is necessary to decide according to circumstances, since fasting itself can be "replaced" by works of mercy and prayer. The aim of this particular period in the life of the Church is always and everywhere repentance, that is, conversion to God. Repentance, in fact, understood as conversion, that is "metanoia", forms a whole, which the tradition of the People of God already in the old Covenant and then Christ himself linked, in a certain way, with prayer, almsdeeds and fasting.

Why fasting?

At this moment there perhaps come into our minds the words with which Jesus answered the disciples of John the Baptist when they asked him: "Why do your disciples not fast?" Jesus answered: "Can the wedding guests mourn as long as the bridegroom is with them? The days will come, when the bridegroom is taken away from them, and then they will fast" (Mt 9:15). In fact the time of Lent reminds us that the bridegroom has been taken away from us. Taken away, arrested, imprisoned, slapped, scourged, crowned with thorns, crucified... Fasting in the time of Lent is the expression of our solidarity with Christ. Such was the meaning of Lent throughout the centuries and such it remains today.

"My love has been crucified and there is no longer in me the flame that desires material things", as the Bishop of Antioch, Ignatius, writes in the letter to the Romans (Ign. Antioch,. Ad Romanos VII, 2).

2. Why fasting?

It is necessary to give this question a wider and deeper answer, in order to clarify the relationship between fasting and "metanoia", that is, that spiritual change which brings man closer to God. We will try therefore to concentrate not only on the practice of abstention from food or from drink

that, in fact, is the meaning of "fasting" in the common sense but on the deeper meaning of this practice which, moreover, can and must sometimes be "replaced" by another one. Food and drink are indispensable for man to live, he uses them and must use them, but he may not abuse them in any way. The traditional abstention from food and drink has as its purpose to introduce into man's existence not only the necessary balance, but also detachment from what might be defined a "consumer attitude". In our times this attitude has become one of the characteristics of civilization and in particular of Western civilization. The consumer attitude!

Man geared to material goods, multiple material goods, very often abuses them. It is not a question here lust of food and drink. When man is geared exclusively to possession and use of material goods

that is, of things then also the whole civilization is measured according to the quantity and the quality of the things with which it is in a position to supply man, and is not measured with the yardstick suitable for man. This civilization, in fact, supplies material goods not just in order that they may serve man to carry out creative and useful activities, but more and more... to satisfy the senses, the excitement he derives from them, momentary pleasure, an ever greater multiplicity of sensations.

 

We sometimes hear it said that the excessive increase of audiovisual media in the rich countries is not always useful for the development of intelligence, particularly in children; on the contrary, it sometimes contributes to checking its development. The child lives only on sensations, he looks for ever-new sensations... And thus he becomes, without realizing it, a slave of this modern passion. Satiating himself with sensations, he often remains passive intellectually; the intellect does not open to search of truth; the will remains bound by habit which it is unable to oppose.

It is seen from this that modern man must fast, that is, abstain not only from food or drink, but from many other means of consumption, stimulation, satisfaction of the senses. To fast means to abstain, to renounce something.

3. Why renounce something? Why deprive oneself of it? We have already partly answered this question. However the answer will not be complete, if we do not realize that man is himself also because he succeeds in depriving himself of something, because he is capable of saying "no" to himself. Man is a being composed of body and soul. Some modern writers present this composite structure of man in the form of layers, and they speak, for example, of exterior layers on the surface of our personality, contrasting them with the layers in depth. Our life seems to be divided into such layers and takes place through them. While the superficial layers are bound up with our sensuality, the deep layers are an expression, on the contrary, of man's spirituality, that is, of conscious will, reflection, conscience, the capacity of living superior values.

This image of the structure of the human personality can serve to understand the meaning of fasting for man. It is not a question here only of the religious meaning, but of a meaning that is expressed through the so-called "organization" of man as a subject-person. Man develops regularly when the deeper layers of his personality find sufficient expression, when the sphere of his interests and aspirations is not limited just to the exterior and superficial layers, connected with human sensuality. To facilitate such a development, we must sometimes deliberately detach ourselves from what serves to satisfy sensuality, that is, from those exterior, superficial layers. Therefore we must renounce every thing that "nourishes" them.

This, in short, is the interpretation of fasting nowadays.

Renunciation of sensations, stimuli, pleasures and even food or drink, is not an end in itself. It must only, so to speak, prepare the way for deeper contents by which the interior man "is nourished". This renunciation, this mortification must serve to create in man the conditions to be able to live the superior values, for which he, in his own way, hungers.

This is the "full" meaning of fasting in the language of today. However, when we read the Christian authors of antiquity or the Fathers of the Church, we find in them the same truth, often expressed in a surprisingly "modern" language. St Peter Chrysologus, for example, says.. "Fasting is peace of the body, strength of minds, vigour of souls" (Sermo VII: de jejunio 3); and again: "Fasting is the helm of human life and governs the whole ship of our body." (Sermo VII: de jejunio 1.)

And St Ambrose replies as follows to possible objections to fasting: "The flesh, because of its mortal condition, has some specific lusts: With regard to them you are granted the right to curb them. Your flesh is under you...: do not follow the promptings of the flesh to unlawful things, but curb them somewhat even as regards lawful ones. In fact he who does not abstain from any of the lawful things, is also very close to unlawful things." (Sermo de utilitate jejunii III.V.VII). Also writers not belonging to Christianity declare the same truth. This truth is of universal significance. It is part of the universal wisdom of life.

4. It is now certainly easier for us to understand why Christ the Lord and the Church unite the call to fasting with repentance, that is, with conversion. To be converted to God, it is necessary to discover in ourselves that which makes us sensitive to what belongs to God; therefore, the spiritual contents, the superior values which speak to our intellect, to our conscience, to our "heart" (according to biblical language). To open up to these spiritual contents, to these values, it is necessary to detach oneself from what serves only the consumer spirit, satisfaction of the senses. In the opening of our human personality to God, fasting

understood both in the "traditional" way and in the "modern" way must go hand in hand with prayer because it is addressed directly to him.

Furthermore, fasting, that is, the mortification of the senses, mastery of the  body, confer on prayer a greater efficacy, which man discovers in himself. He discovers, in fact, that he is "different", that he is more "master of himself", that he has become interiorly free. And he realizes this in as much as conversion and the meeting with God, through prayer, bear fruit in him.

It is clear from these our reflections today that fasting is not only a "vestige" of a religious practice of past centuries, but that it is also indispensable for the man of today, for Christians of our time.

[Pope John Paul II, General Audience 21 March 1979]

Il «fantasma dell’ipocrisia» ci fa dimenticare come si accarezza un malato, un bambino o un anziano. E non ci fa guardare negli occhi la persona a cui diamo frettolosamente l’elemosina ritraendo subito la mano per non sporcarci. È un monito a «non vergognarsi» mai della «carne del fratello» quello rivolto da Papa Francesco durante la messa celebrata nella mattina del 7 marzo nella cappella della Casa Santa Marta.

Nel giorno del venerdì dopo le ceneri la Chiesa, ha spiegato il Pontefice, propone una meditazione sul vero significato del digiuno. E lo fa attraverso due letture incisive, tratte dal libro del profeta Isaia (58, 1-9a) e dal Vangelo di Matteo (9, 14-15). «Dietro le letture di oggi — ha subito affermato il Pontefice — c’è il fantasma dell’ipocrisia, della formalità nel compiere i comandamenti, in questo caso il digiuno». Dunque «Gesù torna sul tema dell’ipocrisia tante volte quando vede che i dottori della legge pensano di essere perfetti: compiono tutto quello che è nei comandamenti come se fosse una formalità».

E qui, ha avvertito il Papa, c’è «un problema di memoria», che riguarda «questa doppia faccia nell’andare sulla strada della vita». Gli ipocriti infatti «hanno dimenticato che loro sono stati eletti da Dio in un popolo, non da soli. Hanno dimenticato la storia del loro popolo, quella storia di salvezza, di elezione, di alleanza, di promessa» che viene direttamente dal Signore.

E così facendo, ha proseguito, «hanno ridotto questa storia a un’etica. La vita religiosa per loro era un’etica». Così «si spiega che al tempo di Gesù, dicono i teologi, c’erano trecento comandamenti più o meno» da osservare. Ma «ricevere dal Signore l’amore di un padre, ricevere dal Signore l’identità di un popolo e poi trasformarla in un’etica» significa «rifiutare quel dono di amore». Del resto, ha precisato, gli ipocriti «sono persone buone, fanno tutto quello che si deve fare, sembrano buone». Ma «sono eticisti, eticisti senza bontà, perché hanno perso il senso di appartenenza a un popolo».

«La salvezza — ha spiegato il Pontefice — il Signore la dà dentro un popolo, nell’appartenenza a un popolo». E «così si capisce come il profeta Isaia ci parla oggi del digiuno, della penitenza: qual è il digiuno che vuole il Signore? Il digiuno che ha un rapporto con il popolo, popolo al quale noi apparteniamo: il nostro popolo, nel quale noi siamo chiamati, nel quale noi siamo inseriti».

Papa Francesco ha riletto, in particolare, questo passo del libro di Isaia: «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?».

Ecco, dunque, il senso del vero «digiuno che — ha ribadito il vescovo di Roma — si preoccupa della vita del fratello, che non si vergogna della carne del fratello, come dice Isaia stesso». Infatti «la nostra perfezione, la nostra santità va avanti con il nostro popolo, nel quale noi siamo eletti e inseriti». E «il nostro atto di santità più grande è proprio nella carne del fratello e nella carne di Gesù Cristo».

Così, ha sottolineato, anche «l’atto di santità di oggi — noi qui nell’altare — non è un digiuno ipocrita. È non vergognarsi delle carne di Cristo che viene oggi qui: è il mistero del corpo e del sangue di Cristo. È andare a dividere il pane con l’affamato, a curare gli ammalati, gli anziani, quelli che non possono darci niente in contraccambio: quello è non vergognarsi della carne».

«La salvezza di Dio — ha ribadito il Pontefice — è in un popolo. Un popolo che va avanti, un popolo di fratelli che non si vergognano uno dell’altro». Ma proprio questo, ha avvertito, «è il digiuno più difficile: il digiuno della bontà. La bontà ci porta a questo». E «forse — ha spiegato citando il Vangelo — il sacerdote che passò vicino a quell’uomo ferito ha pensato» riferendosi ai comandamenti del tempo: «Ma se io tocco quel sangue, quella carne ferita, rimango impuro e non posso celebrare il sabato! E si è vergognato della carne di quell’uomo. Questa è ipocrisia!». Invece, ha fatto notare il Santo Padre, «quel peccatore è passato e lo ha visto: ha visto la carne del suo fratello, la carne di un uomo del suo popolo, figlio di Dio come lui. E non si è vergognato».

«La proposta della Chiesa oggi» suggerisce perciò un vero e proprio esame di coscienza attraverso una serie di domande che il Papa ha posto ai presenti: «Io mi vergogno della carne del mio fratello, della mia sorella? Quando io do elemosina, lascio cadere la moneta senza toccare la mano? E se per caso la tocco, faccio così subito?» ha chiesto mimando il gesto di chi si ripulisce la mano. E ancora: «Quando io do l’elemosina, guardo gli occhi di mio fratello, di mia sorella? Quando io so che una persona è ammalata vado a trovarla? La saluto con tenerezza?».

Per completare questo esame di coscienza, ha precisato il Papa, «c’è un segno che forse ci aiuterà». Si tratta di «una domanda: so accarezzare gli ammalati, gli anziani, i bambini? O ho perso il senso della carezza?». Gli ipocriti, ha proseguito, non sanno più accarezzare, si sono dimenticati come si fa. Ecco allora la raccomandazione di «non vergognarsi della carne del nostro fratello: è la nostra carne». E «saremo giudicati», ha concluso il Pontefice, proprio sul nostro comportamento verso «questo fratello, questa sorella» e non certamente «sul digiuno ipocrita».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 08/03/2014]

Ma può partecipare al rito? Seduto e con l’occhio sui registri, solo poi ricco - anzi, ‘signore’

(Mt 9,9-13)

 

In alcune assemblee di credenti sorgevano attriti, perché alcuni membri di chiesa ritenevano ancora profano avere contatti o accettare stranieri, non ancora adeguatisi alla mentalità delle consuetudini.

Anche i giudeo-cristiani di Galilea e Siria cui Mt si rivolge avevano bisogno d’imparare a infrangere l’isolamento delle norme di purità antiche. Non dovevano tenersi in disparte.

L’attrito delle opinioni si rendeva particolarmente acuto nel dibattito [tipico di terza generazione] sul genere di partecipazione ammissibile alle riunioni e allo Spezzare il Pane.

La proibizione dev’essere sostituita dall’amicizia.

Il Padre è Presenza amica. La sua iniziativa di vita salvata è per tutti, anche per chi non sa far altro che badare ai suoi registri.

I fedeli in Cristo condividono il Pasto sacro con pagani e peccatori, senza prima pretendere una disciplina dell’arcano, né pratiche che celebrino distanze (come le abluzioni che precedevano il pasto). 

Matathiah significa “uomo di Dio”, “dato da Dio”; precisamente «Dono di Dio» [Matath-Yah].

Insomma, secondo l’insegnamento di Gesù, l’unica impurità è quella di non dare spazio a chi lo chiede perché non ne ha.

Le sette osservanti del giudaismo trattavano i pubblicani alla stregua di esseri immondi, da tenere a distanza.

Il germe di società alternativa dei credenti in Cristo li accetta e ne coglie le risorse, il bene per la comunità.

L’ansia di contaminazione nasceva da un’idea falsa, preconcetta ed esclusivista di ciò che non solo in Palestina ma persino in Diaspora era identificato per totale strabismo con «Volontà di Yahweh» - fattore di separazione in mezzo agli altri popoli.

Illusione che non aveva stimolato un atteggiamento di simpatia verso la realtà variegata, né di cordialità verso il prossimo, esterno a cordate di cerchia.

Il Signore vuole condivisione coi trasgressori, non a motivo d’una banalità ideologica: è l’invito a riconoscersi.

Non per sottometterci a una qualche forma di paternalismo umiliante, ma perché sapersi incompleti è una risorsa.

«E avvenne che mentre Egli era steso a mensa nella Casa, ecco molti pubblicani e peccatori venuti erano stesi a mensa con Gesù e i suoi discepoli» [v.10 testo greco].

«Erano stesi»: secondo il modo di celebrare i banchetti solenni, da parte degli uomini liberi - ormai tutti liberi. Che meraviglia, un ‘ostensorio’ del genere!

Un Corpo vivo del Cristo che profuma di Condivisione: autentico Culto!

È questa tutta empatica e regale la bella consapevolezza che spiana e rende credibile il contenuto dell’Annuncio [vv.12-13].

Cristo chiama, accoglie e redime anche il Matteo in noi, ossia il lato più logoro della nostra personalità. Lo farà addirittura fiorire: diventerà un aspetto irrinunciabile e vincente della futura testimonianza.

Dice il Tao Tê Ching [XLV]: «La grande dirittura è come sinuosità, la grande abilità è come inettitudine, la grande eloquenza è come balbettio».

Fra i discepoli è probabile che ci fossero non pochi membri della resistenza palestinese: guerriglieri che lottavano contro gli occupanti romani.

Per contro, qui Gesù chiama un collaborazionista che si lasciava guidare dal vantaggio.

Come dire: la Comunità nuova dei figli e fratelli non coltiva privilegi, separazioni, oppressioni, odi.

Il Maestro si è sempre tenuto al di sopra degli urti politici, delle distinzioni ideologiche e delle dispute corrive del suo tempo.

Nella sua Chiesa c’è un segno forte di discontinuità.

Egli non invita alla sequela i migliori o i peggiori, ma gli opposti - anche della nostra personalità. Vuole disporci «a conversione» (Lk 5,32): farci cambiare punto di vista, mentalità, princìpi, modo di essere.

In tale avventura non siamo chiamati a forme di dissociazione. Si parte da se stessi.

In tal guisa Gesù inaugura un nuovo tipo di relazioni, anche dentro di noi. Un’Alleanza Nuova, di feconde divergenze.

Non è la ‘perfezione’ o il narcisismo che ci fanno amare l’Esodo.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Qual è il tuo punto di forza spirituale? Come si è generato?

 

 

[Venerdì 13.a sett. T.O.  4 luglio 2025]

Ma può partecipare al rito? Seduto e con l’occhio sui registri, solo poi ricco - anzi, ‘signore’

(Mt 9,9-13)

 

«Gesù non esclude nessuno dalla propria amicizia. Il buon annuncio del Vangelo consiste proprio in questo: nell’offerta della grazia di Dio al peccatore! Nella figura di Matteo, dunque, i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza» [Papa Benedetto, Udienza Generale 30 agosto 2006].

 

In alcune assemblee di credenti sorgevano attriti, perché alcuni membri di chiesa ritenevano ancora profano avere contatti o accettare stranieri, non ancora adeguatisi alla mentalità identitaria delle consuetudini.

Anche i giudeo-cristiani di Galilea e Siria cui Mt si rivolge avevano bisogno d’imparare a infrangere l’isolamento delle norme di purità antiche. Non dovevano tenersi in disparte.

L’attrito delle opinioni si rendeva particolarmente acuto nel dibattito [tipico di terza generazione] sul genere di partecipazione ammissibile alle riunioni e sullo Spezzare il Pane.

Conflitto che metteva di fronte uno contro l’altro il gruppo dei convertiti provenienti dal paganesimo (sempre più cospicuo) e quello giudaizzante.

Questi ultimi non gradivano i contatti abituali coi lontani dalla loro mentalità, bensì la distinzione.

Sia nelle assemblee che nella qualità di vita fraterna di tutti i giorni sorgevano situazioni sgradevoli e dubbi di coscienza [sull’ospitare o meno pagani pur convertiti a Gesù Messia, tanto più condividere la Mensa coi (ritenuti) contaminati].

Diversi fratelli di chiesa erano abituati a valutare ancora sacralmente profano l’avere una contiguità qualsiasi con chiunque, o addirittura accettare i giudicati infetti.

La concezione devota delle ripartizioni morali portava a credere che bisognasse tenere i nuovi a distanza, per non essersi adeguati alla mentalità non ancora demitizzata delle tradizioni semitiche.

Così l'evangelista vuole descrivere come Gesù stesso abbia affrontato il medesimo conflitto: senz’alcuna attenzione rituale o sacrale, se non all’uomo.

Perché? Secondo gli insegnamenti del Maestro, il rapporto coi lontani e diversi, e i nostri stessi disagi o abissi reconditi hanno qualcosa da dirci.

 

Mt intendeva aiutare i fedeli giudeo-cristiani a comprendere un’apertura discriminante: il balzo dalla religiosità comune - fatta di credenze assurde, separazioni e atteggiamenti schizzinosi - alla Fede in itinere.

Apertura discriminante è la speranza nella vita stessa che viene, e chiama a cedere posizioni artificiose; quindi ecco la possibilità d’inserimento sociale e rituale.

Tale l’insegnamento, la vicenda, la Persona del Cristo.

Egli ci guida all’affidamento esistenziale, alla fiducia globale; a credere propria la vicenda del pubblico peccatore, che è ciascuno.

Per procedere su tale Via si parte appunto dalle energie inespresse dei propri stessi stati primordiali, riconosciuti, assunti, resi fecondi personalmente; dilatati nei fratelli, senza distinzioni.

Il passo di Vangelo sottolinea infatti che a suo tempo gli apostoli (v.10) non erano stati affatto chiamati dal Signore alla medesima e rigorosa prassi di segregazione, tipica delle credenze etnico-puriste, la quale pur vigeva attorno a loro.

Dunque, i credenti degli anni 70-80 non dovevano tenersi in disparte: avevano piuttosto bisogno d’imparare a infrangere l’isolamento delle norme di conformismo sociale e cultuale.

Il Padre è Presenza amica.

 

La Lieta Notizia di Mt è questa: la vita di Comunione non è una gratificazione, né un riconoscimento.

L’Eucaristia non è premio per i meriti, né un discrimine a favore di emarginazioni sacrali - o di casistiche adultoidi.

Dio non ci complica l’esistenza, caricandola di troppi obblighi e doveri che appesantiscono le nostre giornate e tutta la vita; anzi, li spazza via.

Per questo motivo, la figura del nuovo Rabbi toccava il cuore della gente, senza confini.

La proibizione dev’essere sostituita dall’amicizia. L’intransigenza soppiantata dall’indulgenza; la durezza dalla condiscendenza.

In tale avventura non siamo chiamati a forme di dissociazione: si parte da se stessi.

Così si giunge senza isterismi alle microrelazioni e [senza cariche ideologiche] alla mentalità corrente - anche devota.

Mai più mète fasulle, obbiettivi superficiali, ossessioni e ragionamenti inutili, né abitudini meccaniche, antiche o moderne; altrui [mai rielaborate in sé].

 

Con a monte tale esperienza di scavo e immedesimazione interiore, donne e uomini di Fede devono condividere la vita con chiunque - persino noti trasgressori come il figlio di Alfeo; rivedendosi in loro.

E deponendo gli artifici: senza prima pretendere alcuna patente.

I fedeli in Cristo sono chiamati a condividere lo spezzare del pane con pagani e peccatori.

In tal guisa, senza prima pretendere una disciplina dell’arcano, e pratiche che celebrino distanze, come le abluzioni che precedevano il pasto. 

Matathiah significa infatti «uomo di Dio», «dato da Dio»; precisamente «Dono di Dio» (Matath-Yah) [«Dono» malgrado la rabbia delle autorità ufficiali].

 

Le sette osservanti del giudaismo trattavano i pubblicani alla stregua di esseri immondi, da tenere a distanza.

Il germe di società alternativa dei credenti in Cristo li accetta e ne coglie le risorse, il bene per la comunità.

L’ansia di contaminazione nasceva da un’idea falsa, preconcetta ed esclusivista di ciò che non solo in Palestina ma persino in Diaspora era identificato per totale strabismo con «Volontà di Yahweh» - fattore di separazione in mezzo agli altri popoli.

Illusione che non aveva stimolato un atteggiamento di simpatia verso la realtà variegata, né di cordialità verso il prossimo esterno alla ‘cerchia’.

Secondo il monito diretto dello stesso Gesù - persino nei confronti di uno degli apostoli - l’unica impurità che Dio non sopporta è quella di non dare spazio a chi lo chiede perché non ne ha.

A volte siamo infatti come le “comari”; anime prigioniere d’un mondo chiuso entro steccati che transennano lo sguardo [anche su grandiose contabilità e registri di club: minuscole certezze]. E una vita devota di piccolo cabotaggio.

Il Signore vuole comunione integrale coi trasgressori, non a motivo d’una banalità ideologica: è l’invito a riconoscersi, confessare, convenire, convivere.

Facendo così respirare l’anima costretta nelle angustie.

Non per sottomettere i suoi intimi a una qualche forma di paternalismo umiliante: sapersi incompleti e lasciarsi trasformare da poveri - o ricchi - in ìsignori’, è una risorsa.

 

«E avvenne che mentre Egli era steso a mensa nella Casa, ecco molti pubblicani e peccatori venuti erano stesi a mensa con Gesù e i suoi discepoli» (v.10 testo greco).

«Erano stesi»: secondo il modo di celebrare i banchetti solenni, da parte degli uomini liberi - ormai tutti liberi.

Che meraviglia, un ostensorio del genere!

Un Corpo vivo del Cristo che profuma di Condivisione: autentico Culto!

È questa tutta empatica e regale la bella consapevolezza che spiana, rende credibile, il contenuto dell’Annuncio (vv.12-13). Sebbene urti la suscettibilità dei maestri ufficiali.

D’ora in poi, la ripartizione fra credenti o meno sarà assai più umanizzante che fra ‘rinati’ e non, o puri e impuri.

Tutta un’altra caratura - principio di una vita da salvati, che si dispiega e straripa oltre le cordate di club.

 

Fra i discepoli è probabile che ci fossero non pochi membri della resistenza palestinese, che avversavano gli occupanti romani.

Per contro, qui Gesù chiama un collaborazionista, e che si lasciava guidare dal vantaggio.

Come dire: la Comunità nuova dei figli e fratelli non coltiva privilegi, separazioni, oppressioni, odi.

Il Maestro si è sempre tenuto al di sopra degli urti politici, delle distinzioni ideologiche e delle dispute corrive del suo tempo.

Nella sua Chiesa c’è un segno forte di discontinuità con le religioni: la proibizione dev’essere sostituita dall’amicizia.

Gli stessi apostoli non furono chiamati alla medesima e rigorosa prassi di segregazione e divisione tipica delle credenze etnico-puriste, che vigeva attorno a loro [e si credeva rispecchiasse l’ordine stabilito da Dio sulla terra].

Ancora oggi il Signore non invita alla sequela i migliori o i peggiori, ma gli opposti. Principio che vale anche per la vita intima.

Il recupero di lati contrapposti anche della nostra personalità, ci dispone «a conversione» (Lc 5,32): non a riassestare il mondo del Tempio, ma a farci cambiare punto di vista, mentalità, princìpi, modo di essere.

 

Cristo chiama, accoglie e redime anche il pubblicano in noi, ossia il lato più rubricista - o logoro - della nostra personalità.

Anche il nostro carattere insopportabile o giustamente odiato: quello rigido e quello - altrettanto nostro - da gabelliere.

Reintegrando appunto gli opposti, li farà addirittura fiorire: diverranno aspetti inclusivi, irrinunciabili, alleati e intimamente vincenti della futura testimonianza, potenziata d’amore genuino.

Essere considerati forti, capaci di comandare, osservanti, eccellenti, incontaminati, magnifici, performanti, straordinari, gloriosi… danneggia le persone.

Ci mette una maschera, rende unilaterali; toglie la comprensione. Fa galleggiare il personaggio in cui siamo seduti, al di sopra della realtà.

 

Per la crescita e fioritura di ciascuno, più importante di vincere sempre è imparare ad accogliere, cedere fino a capitolare; farsi considerare manchevoli, inadeguati.

Dice il Tao Tê Ching [XLV]: «La grande dirittura è come sinuosità, la grande abilità è come inettitudine, la grande eloquenza è come balbettio».

La norma artificiosa (purtroppo, talora anche la guida poco accorta) ci fa vivere in funzione del successo e della gloria esterna, ottenuta attraverso compartimenti.

Gesù inaugura un nuovo tipo di relazioni, e “patti” di feconde divergenze - anche dentro noi.

E Crea tutto la sola Parola «Segui Me» (v.9) [non altri].

 

La Sapienza del Maestro e l’arte poliedrica della Natura [esemplificata nella saggezza cristallina del Tao] conducono tutti a essere umani.

 

Non è la ‘perfezione’ o il narcisismo che ci fanno amare l’Esodo.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Qual è il tuo punto di forza spirituale e umana? Come si è generato?

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"The girl is not dead, but asleep". These words, deeply revealing, lead me to think of the mysterious presence of the Lord of life in a world that seems to succumb to the destructive impulse of hatred, violence and injustice; but no. This world, which is yours, is not dead, but sleeps (Pope John Paul II)
“La bambina non è morta, ma dorme”. Queste parole, profondamente rivelatrici, mi inducono a pensare alla misteriosa presenza del Signore della vita in un mondo che sembra soccombere all’impulso distruttore dell’odio, della violenza e dell’ingiustizia; ma no. Questo mondo, che è vostro, non è morto, ma dorme (Papa Giovanni Paolo II)
Today’s Gospel passage (cf. Lk 10:1-12, 17-20) presents Jesus who sends 72 disciples on mission, in addition to the 12 Apostles. The number 72 likely refers to all the nations. Indeed, in the Book of Genesis 72 different nations are mentioned (cf. 10:1-32) [Pope Francis]
L’odierna pagina evangelica (cfr Lc 10,1-12.17-20) presenta Gesù che invia in missione settantadue discepoli, in aggiunta ai dodici apostoli. Il numero settantadue indica probabilmente tutte le nazioni. Infatti nel libro della Genesi si menzionano settantadue nazioni diverse (cfr 10,1-32) [Papa Francesco]
Christ reveals his identity of Messiah, Israel's bridegroom, who came for the betrothal with his people. Those who recognize and welcome him are celebrating. However, he will have to be rejected and killed precisely by his own; at that moment, during his Passion and death, the hour of mourning and fasting will come (Pope Benedict)
Cristo rivela la sua identità di Messia, Sposo d'Israele, venuto per le nozze con il suo popolo. Quelli che lo riconoscono e lo accolgono con fede sono in festa. Egli però dovrà essere rifiutato e ucciso proprio dai suoi: in quel momento, durante la sua passione e la sua morte, verrà l'ora del lutto e del digiuno (Papa Benedetto)
Peter, Andrew, James and John are called while they are fishing, while Matthew, while he is collecting tithes. These are unimportant jobs, Chrysostom comments, "because there is nothing more despicable than the tax collector, and nothing more common than fishing" (In Matth. Hom.: PL 57, 363). Jesus' call, therefore, also reaches people of a low social class while they go about their ordinary work [Pope Benedict]
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo -  “poiché non c'è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario [Papa Benedetto]
The invitation given to Thomas is valid for us as well. We, where do we seek the Risen One? In some special event, in some spectacular or amazing religious manifestation, only in our emotions and feelings? [Pope Francis]
L’invito fatto a Tommaso è valido anche per noi. Noi, dove cerchiamo il Risorto? In qualche evento speciale, in qualche manifestazione religiosa spettacolare o eclatante, unicamente nelle nostre emozioni e sensazioni? [Papa Francesco]
A life without love and without truth would not be life. The Kingdom of God is precisely the presence of truth and love and thus is healing in the depths of our being. One therefore understands why his preaching and the cures he works always go together: in fact, they form one message of hope and salvation (Pope Benedict)
Una vita senza amore e senza verità non sarebbe vita. Il Regno di Dio è proprio la presenza della verità e dell’amore e così è guarigione nella profondità del nostro essere (Papa Benedetto)

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