don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Sabato, 05 Luglio 2025 14:49

«E chi è a me Prossimo?»

Lunedì, 30 Giugno 2025 08:45

14a Domenica T.O. (anno C)

XIV Domenica Tempo Ordinario (anno C)  [6 luglio 2025]

Iddio ci benedica e la Vergine ci protegga! Anche se entriamo nel tempo delle vacanze continuerò a farvi avere i commenti ai testi biblici di ogni domenica

 

*Prima Lettura dal Libro del profeta Isaia (66, 10-14)

Quando un profeta parla tanto di consolazione, significa che le cose vanno molto male per cui avverte il bisogno di consolare e tener viva la speranza: questo testo è dunque stato scritto in un momento difficile. L’autore, il Terzo Isaia, è uno dei lontani discepoli del grande Isaia e sta predicando agli esuli tornati dall’esilio babilonese verso il 535 a.C. Il loro ritorno, tanto sognato, si è rivelato deludente sotto ogni aspetto perché dopo 50 anni tutto era cambiato. Gerusalemme portava le cicatrici della catastrofe del 587 quando fu distrutta da Nabucodonosor; il Tempio era in rovina come buona parte della città e gli esuli non avevano ricevuto l’accoglienza trionfale come speravano.  Il profeta parla di lutto e di consolazione, ma a fronte dello scoraggiamento dominante, non si accontenta di parole di conforto, ma osa persino un discorso quasi trionfale: “Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto” (v10). Da dove trarre quest’ottimismo? La risposta è semplice: dalla fede, o meglio dall’esperienza d’Israele che continua a sperare in ogni epoca perché ha certezza che Dio è sempre presente e, anche quando tutto sembra perduto, sa che nulla è impossibile a Dio. Già nei tempi di forte scoraggiamento durante l’Esodo si proclamava: “il braccio del Signore si è forse raccorciato?  (Nm 11,23), immagine  che ricorre più volte  nel libro di Isaia. Durante l’esilio, quando vacillava la speranza, il Secondo Isaia comunicava a nome di Dio: “È forse troppo corta la mia mano per liberare?» (Is 50,2) e dopo il ritorno, in un periodo di forte preoccupazione, il Terzo Isaia, che leggiamo oggi, riprende due volte la stessa immagine sia nel capitolo 59,1 sia nell’ultimo versetto dell’odierna lettura: “La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi” (v.14). Dio che ha liberato il suo popolo tante volte in passato, mai l’abbandonerà. Anche da solo il termine “mano” è un’allusione all’uscita dall’Egitto, quando Dio intervenne con mano potente e braccio teso. Il versetto 11 dell’odierno testo: “Sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni” richiama la terribile prova di fede che il popolo visse nel deserto quando ebbe fame e sete, e anche allora Dio gli assicurò ciò che era necessario.  Questo richiamo al libro dell’Esodo offre due lezioni: da una parte, Dio ci vuole liberi e sostiene tutti i nostri sforzi per instaurare la giustizia e la libertà; ma d’altra parte è importante e necessaria la nostra collaborazione. Il popolo è uscito dall’Egitto grazie all’intervento di Dio e questo Israele non lo dimentica mai, ma ha dovuto camminare verso la terra promessa a volte con grande fatica. Quando poi al versetto 13 Isaia promette da parte di Dio: “Io farò scorrere verso di essa come un fiume la pace” non significa che la pace si instaurerà magicamente. Il Signore è sempre fedele alle sue promesse: occorre continuare a credere che egli resta ed opera al nostro fianco in ogni situazione. Al tempo stesso è indispensabile che noi agiamo perché la pace, la giustizia, la felicità hanno bisogno del nostro apporto convinto e generoso. 

 

*Salmo responsoriale (65/66, 1-3a, 4-5, 6-7a, 16.20)

 Come spesso accade, l’ultimo versetto dà il senso di tutto il salmo: “Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia” (v.20). Il vocabolario impiegato mostra che questo salmo è un canto di ringraziamento: “Acclamate, cantate, dategli gloria… a te si prostri tutta la terra… narrerò quanto per me ha fatto” composto probabilmente per accompagnare i sacrifici nel Tempio di Gerusalemme e a parlare non è un individuo, bensì l’intero popolo che rende grazie a Dio. Israele ringrazia come sempre per la liberazione dall’Egitto con cenni molto chiari: “Egli cambiò il mare in terraferma… passarono a piedi il fiume”; oppure: “Venite e vedete le opere di Dio, terribile nel suo agire sugli uomini”. Anche l’espressione “le opere di Dio” nella Bibbia, indica sempre la liberazione dall’Egitto. Colpisce, del resto, la somiglianza tra questo salmo e il cantico di Mosè dopo il passaggio del Mar Rosso (Es 15), evento che illumina l’intera storia di Israele: l’opera di Dio per il suo popolo non ha altro scopo che liberarlo da ogni forma di schiavitù. Questo è il senso del capitolo 66 di  Isaia che leggiamo questa domenica nella prima lettura: in un’epoca molto buia della storia di Gerusalemme, dopo l’esilio babilonese, il messaggio è chiaro: Dio vi consolerà. Non si sa se questo salmo sia stato composto nella stessa epoca, in ogni caso il contesto è lo stesso perché è scritto per essere cantato nel Tempio di Gerusalemme e i fedeli che vi affluiscono per il pellegrinaggio prefigurano l’umanità intera che salirà a Gerusalemme alla fine dei tempi. E se il testo di Isaia annuncia la nuova Gerusalemme dove affluiranno tutte le nazioni, il salmo risponde: “Acclamate Dio, voi tutti tutta della terra… a te si prostri tutta la terra…a te canti inni al tuo nome”. La gioia promessa è il tema centrale di questi due testi: quando i tempi sono duri, occorre ricordarsi che Dio non vuole altro che la nostra felicità e un giorno la sua gioia riempirà tutta la terra, come scrive Isaia a cui il salmo risponde in eco: “Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio e narrerò quanto per me ha fatto” (vv16.20). I testi del profeta Isaia e del salmista sono immersi nella stessa atmosfera, ma non si trovano sullo stesso registro: il profeta esprime la rivelazione di Dio, mentre il salmo è la preghiera dell’uomo. Quando Dio parla si preoccupa della gloria e della felicità di Gerusalemme. Quando il popolo, attraverso la voce del salmista, parla rende a Dio la gloria che a lui solo spetta: “Acclamate Dio, voi tutti della terra, cantate la gloria del suo nome, dategli gloria con la lode” (vv1-3). Infine il salmo diventa voce di tutto Israele: “Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia” (v.20). Un modo meraviglioso per dire che sarà l’amore ad avere l’ultima parola

 

*Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo ai Galati (6, 14-18)

“Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce “. Il fatto che Paolo insiste sulla croce come unico vanto, lascia intuire che c’è un problema. In effetti la lettera ai Galati inizia con un forte rimprovero perché molto in fretta i credenti erano passati da Cristo a un altro vangelo e alcuni seminavano confusione volendo capovolgere il vangelo di Cristo. A seminare zizzania erano ebrei convertiti al cristianesimo (giudeo-cristiani) che volevano obbligare tutti a praticare tutte le prescrizioni della religione ebraica, compresa la circoncisione. Paolo allora li mette in guardia perché teme che dietro la discussione sul sì o no alla circoncisione  si nasconda una vera eresia dato che ci salva solo la fede in Cristo concretizzata dal Battesimo e  imporre la circoncisione equivarrebbe a negarlo, ritenendo la croce di Cristo non  sufficiente. Per questo ricorda ai Galati che il loro unico vanto è la croce di Cristo. Ma, per comprendere Paolo, bisogna precisare che per lui la croce è un evento e non si concentra solo sulle sofferenze di Gesù: per lui è l’evento centrale della storia del mondo. La croce –cioè  Cristo crocifisso e risorto - ha riconciliato Dio e l’umanità, e ha riconciliato gli uomini tra loro. Scrivendo che per mezzo della croce di Cristo, “il mondo per me è stato crocifisso” intende dire che a a partire dall’evento della croce il mondo è definitivamente trasformato e nulla sarà più come prima, come scrive anche nella lettera ai Colossesi (Col 1, 19-20). La prova che la croce è l’evento decisivo della storia è che la morte è stata vinta: Cristo è risorto. Per Paolo, croce e risurrezione sono inseparabili trattandosi di un solo medesimo evento. Dalla croce è nata la creazione nuova, contrapposta al mondo antico.  In tutta questa lettera, Paolo ha contrapposto il regime della Legge mosaica con il regime della fede; la vita secondo la carne e la vita secondo lo Spirito; l’antica schiavitù e la libertà che riceviamo da Gesù Cristo. Aderendo per fede a Cristo, diventiamo liberi di vivere secondo lo Spirito. Il mondo antico è in guerra e l’umanità non crede che Dio sia amore misericordioso e di conseguenza, disobbedendo ai suoi comandamenti, crea rivalità e guerre per il potere e per il denaro. La creazione nuova, al contrario, è l’obbedienza del Figlio, la sua fiducia totale, il perdono ai suoi carnefici, la sua guancia tesa a chi gli strappa la barba, come scrive Isaia. La Passione di Cristo è stata un culmine di odio e di ingiustizia perpetrati in nome di Dio; Cristo però ne ha fatto un culmine di non-violenza, di dolcezza, di perdono. E noi, a nostra volta, innestati nel Figlio, siamo resi capaci della stessa obbedienza e dello stesso amore. Questa conversione straordinaria, che è opera dello Spirito di Dio, ispira a Paolo una formula particolarmente incisiva: Per mezzo della croce, il mondo è crocifisso per me e io per il mondo che vuol dire: Il modo di vivere secondo il mondo è abolito, ormai viviamo secondo lo Spirito e questo diventa  motivo di vanto per i cristiani. Proclamare la croce di Cristo non è facile e quando dice: “io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo” allude alle persecuzioni che egli stesso ha subito per aver annunciato il vangelo. Un’annotazione finale: questo è l’unico scritto paolino che termina con la parola “fratelli”. Dopo aver dibattuto polemicamente con i Galati alla fine Paolo ritrova nella sua comunità la fraternità che lega evangelizzatori a evangelizzati e l’unica sorgente dell’amore ritrovato è “nella grazia del Signore nostro Gesù Cristo” (v.18). 

 

*Dal vangelo secondo Luca (10, 1- 20)

 Questa pagina del vangelo presenta Gesù mentre si dirige verso Gerusalemme. Dopo aver superato tutte le tentazioni e aver vinto il principe di questo mondo, gli resta da trasmettere il testimone ai suoi discepoli che a loro volta dovranno consegnarlo ai loro successori. La missione è troppo importante e preziosa e va condivisa. In primo luogo c’è l’invito a pregare “il signore della messe perché mandi operai nella sua messe” (v.2).  Dio conosce tutto ma c’invita a pregare perché ci lasciamo illuminare da Lui. La preghiera non mira mai a informare Dio: sarebbe ben presuntuoso da parte nostra, ma ci prepara a lasciarci trasformare da lui. Invia così il folto gruppo dei discepoli in missione fornendo loro tutti i consigli necessari per affrontare prove e ostacoli a lui ben noti. Quando saranno rifiutati, come Gesù ha sperimentato in Samaria, non dovranno scoraggiarsi ma partendo annunceranno a tutti: “E’ vicino a voi il Regno di Dio” (v.9).  E aggiungeranno: «Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi” (v.11).  Ecco inoltre alcune specifiche consegne per i discepoli. “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi” (v.3) e questo indica che occorre restare sempre miti come agnelli essendo la missione del discepolo recare la pace: “in qualsiasi casa entriate, dite prima: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui” (vv.5-6). Bisogna cioè credere a tutti i costi nel potere contagioso della pace perché quando auguriamo sinceramente la pace, realmente la pace cresce. E se qualcuno non vi accetta non lasciatevi appesantire dagli insuccessi e dai rifiuti. Ogni discepolo avrà vita difficile perché, se Gesù stesso non aveva dove posare il capo, questo toccherà pure ai suoi discepoli. E per questo dovranno imparare a vivere giorno per giorno senza preoccuparsi del domani, accontentandosi di mangiare e bere quello che sarà servito, come nel deserto il popolo di Dio poteva raccogliere la manna solo per il giorno stesso. Per evangelizzare porteranno con sé solo l’essenziale: “senza borsa, né sacca, né sandali” (v.4) e non passate di casa in casa.” (v.7). Ci saranno spesso scelte dolorose da compiere a causa dell’urgenza della missione e sarà importante resistere alla tentazione della vanità del successo:  ”Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (v.20). Da sempre il desiderio di notorietà insidia i discepoli, ma i veri apostoli non sono necessariamente i più famosi. Si può pensare che i settantadue discepoli abbiano superato bene la prova  perché al ritorno, Gesù potrà dire: “Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore” (v.18).  Intraprendendo la sua ultima marcia verso Gerusalemme, Gesù sente per questo un grande conforto; tanto che subito dopo Luca ci dice: “In quello stesso istante, esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.”

+Giovanni D’Ercole

Lunedì, 30 Giugno 2025 04:46

Attività ambulante, Vocazione, Preghiera

(Mt 9,32-38)

 

Nei Vangeli i recuperi dalle malattie descrivono e manifestano un’esperienza di Fede.

Le prime forme comunitarie [qui in Mt, di Galilea e Siria] sono cresciute per attività instancabile di riscatto e reinserimento delle persone, persino dal punto di vista ideale.

In un mondo brutalmente competitivo, spietato e sconfortante, la vita di comunione in Cristo consentiva un recupero da qualsiasi situazione di avvilimento personale e abbandono sociale.

All’origine della Missione c’è sia la Compassione di Gesù che l’orazione del discepolo (affinché superi le delusioni, liberamente stabilisca se stesso su una buona disposizione, e non cerchi altro).

La Preghiera non convince il Padre, bensì trasforma il discepolo. Suscita le coscienze a percepire, accorgersi, ascoltare, accogliere, e smuoversi - in qualsiasi condizione esterna.

La Preghiera consente ai figli di rinascere dal cuore - nel piccolo, nel malfermo, nel bambino, nell’adolescente, nell’adulto, nella natura, nella storia, in se stessi, e in Dio.

 

In una situazione di collasso sociale e sfruttamento economico, persino la religione ufficiale inculcava l’idea che le benedizioni materiali fossero un segno di rango spirituale, e viceversa.

La coscienza della gente era soffocata anche dal sentimento di esclusione (e castigo per colpa) che accentuava la disistima.

La novità incredibile delle prime realtà fraterne di Fede si distaccava da ogni “gara”: emergeva la capacità di ristabilire concretamente le persone scoraggiate, e ritessere sia la qualità di vita che le relazioni.

Le guide ufficiali, disinteressate alla vita reale della gente, difendevano con malizia le loro posizioni e tentavano di esorcizzare l’ammirazione del popolo nei confronti degli amici di Gesù - con le solite fandonie sul male.

Ecco scaturire la Preghiera, che veniva rivolta al Padre affinché aiutasse tutti i figli nella loro opera irradiante, di sostegno, per la nascita di una nuova e urgente consapevolezza vitale, e di legami - per bontà verso i bisognosi.

 

La pedagogia di Dio si trasmette nell’ascolto disponibile, nell’orazione contemplativa, eppure non è astratta.

L’idea e l’opera della Fede si distaccano dal mondo della spiritualità sofisticata, o vuota, omologante.

È quella del lievito che fermenta la massa: salva gli uomini per mezzo di uomini - a partire dallo sguardo dell’anima [lucida, che vince l’affanno].

Per una sapiente ricomposizione dell’essere, il Maestro invita proprio alla Preghiera (v.38) - prima forma d’impegno dei discepoli.

L’accesso a diverse sintonie nello Spirito c’insegna a stimolare lo sguardo dell’anima, a valorizzare e capire tutto e tutti.

Insomma, ci si riconosce e si diventa non ignari delle cose attraverso la Preghiera-presentimento, unitiva.

La Missione cresce a partire da una dimensione piccola ma sconfinata - quella della percezione intima, che si accorge delle necessità e del Mistero d’una Presenza favorevole.

Nuove configurazioni in spirito: scoperte appieno solo nell’orazione profonda (v.38). Incarnata.

 

 

[Martedì 14.a sett. T.O.  8 luglio 2025]

Lunedì, 30 Giugno 2025 04:43

Attività ambulante, Vocazione, Preghiera

In favore degli oppressi

(Mt 9,32-38)

 

 

Nei Vangeli i recuperi dalle malattie descrivono e manifestano un’esperienza di Fede.

Le prime forme comunitarie [qui in Mt, di Galilea e Siria] non sono cresciute per miracolo, bensì per attività instancabile di riscatto e reinserimento delle persone, persino dal punto di vista ideale.

In un mondo brutalmente competitivo, spietato e sconfortante, la vita di comunione in Cristo consentiva ai membri di chiesa un recupero da qualsiasi situazione di avvilimento personale e abbandono sociale.

All’origine della Missione c’è sia la Compassione di Gesù che l’orazione del discepolo (affinché superi le delusioni, liberamente stabilisca se stesso su una buona disposizione, e non cerchi altro).

La Preghiera non convince il Padre, bensì trasforma il discepolo. Suscita le coscienze a percepire, accorgersi, ascoltare, accogliere, e smuoversi - in qualsiasi condizione esterna.

La Preghiera consente ai figli di rinascere dal cuore - nel piccolo, nel malfermo, nel bambino, nell’adolescente, nell’adulto, nella natura, nella storia, in se stessi, e in Dio.

 

In una situazione di collasso sociale e sfruttamento economico, persino la religione ufficiale inculcava l’idea che le benedizioni materiali fossero un segno di rango spirituale, e viceversa.

La coscienza della gente era soffocata anche dal sentimento di esclusione (e castigo per colpa) che accentuava la disistima.

Facendo leva sul senso d’indegnità dei senza voce, i maestri di spirito non si lasciavano sfuggire occasione per plagiare le coscienze, tallonare i deboli, e approfittare delle loro vicende, monetizzando.

La novità incredibile delle prime realtà fraterne di Fede si distaccava dalla “gara” della religione antica: emergeva la capacità di ristabilire concretamente le persone scoraggiate e ritessere sia la qualità di vita che le relazioni.

Le guide ufficiali, irresponsabili e totalmente disinteressate alla vita reale della gente, difendevano con malizia le loro posizioni e tentavano di esorcizzare l’ammirazione del popolo nei confronti degli amici di Gesù - con le solite fandonie sul male.

Ecco scaturire la Preghiera degli intimi, che veniva rivolta al Padre affinché aiutasse tutti i figli nella loro opera irradiante, di sostegno; per la nascita di una nuova, urgente consapevolezza vitale, e di legami - per bontà verso i bisognosi.

Insomma, la pedagogia di Dio si trasmette nell’ascolto disponibile, nell’orazione contemplativa, eppure non è astratta.

L’idea e l’opera della Fede si distaccano dal mondo della spiritualità sofisticata, o vuota, omologante.

È quella del lievito che fermenta la massa: salva gli uomini per mezzo di uomini - a partire dallo sguardo dell’anima (lucida, che vince l’affanno).

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Di fronte alle emergenze umane e sociali, cosa attendi e come ti ristori dalla stanchezza e dalle opposizioni? Vince l’affanno o la lucidità?

 

 

 

«Il Buon Pastore “vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”, e disse: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai. Pregate, dunque, il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe!” (Mt 9,36-38).

L’arte di promuovere e di curare le vocazioni trova un luminoso punto di riferimento nelle pagine del Vangelo in cui Gesù chiama i suoi discepoli a seguirlo e li educa con amore e premura. Oggetto particolare della nostra attenzione è il modo in cui Gesù ha chiamato i suoi più stretti collaboratori ad annunciare il Regno di Dio (cfr Lc 10,9). Innanzitutto, appare chiaro che il primo atto è stata la preghiera per loro: prima di chiamarli, Gesù passò la notte da solo, in orazione ed in ascolto della volontà del Padre (cfr Lc 6,12), in un’ascesa interiore al di sopra delle cose di tutti i giorni. La vocazione dei discepoli nasce proprio nel colloquio intimo di Gesù con il Padre. Le vocazioni al ministero sacerdotale e alla vita consacrata sono primariamente frutto di un costante contatto con il Dio vivente e di un'insistente preghiera che si eleva al “Padrone della messe” sia nelle comunità parrocchiali, sia nelle famiglie cristiane, sia nei cenacoli vocazionali».

(Papa Benedetto, dal Messaggio per la 48.a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 15 maggio 2011)

 

 

 

Preghiera-presentimento, unitiva. Per non perdere la magia del Mistero

 

Gratuitamente: il Regno vicino e la Preghiera Incarnata

(Mt 9,35-10,1.6-8)

 

Gesù si distingue dai Rabbi del suo tempo, perché non attende che sia la gente spossata e prostrata (v.36) ad andare da lui: la cerca.

E il gruppo dei suoi dev’essere partecipe, sia nelle opere di guarigione che di liberazione - fraternità motivata da disinteresse luminoso.

Entra nelle assemblee di preghiera con ansia pastorale: per insegnare, non per disquisire. Non fa lezioni di analisi logica, ma lascia emergere Chi lo abita.

Proclama un Regno totalmente diverso da come veniva inculcato dai manipolatori delle coscienze (stracolmo di convinzioni dettagliate) - i quali non esercitavano certo in modo gratuito.

 

Le dottrine antiche e i suoi protagonisti smorzavano ogni dissonanza e producevano il peggio: intima coercizione, anonimato, solitudine, passività.

Inculcavano che fosse decisivo acquisire le loro piatte sicurezze, non certo aprirsi al Mistero personale, al carattere innato - fecondamente non conforme al contesto.

Di fatto, cercavano di disturbare i viaggi dell’anima, che talora vaga per ritrovarsi, e che al solito modo di vedere - paludoso, stagnante - preferisce nuovi scorci.

Non ammettevano che in ciascun fedele potesse dimorare una opzione fondamentale non omologata alla loro ideologia e maniera di scendere in campo.

Tutto della vita altrui doveva funzionare alla perfezione, secondo i loro obbiettivi. Quindi non predicavano turbamenti, ma staticità.

Nulla di nuovo doveva capitare, che potesse mettere in dubbio gli equilibri sociali, il loro influsso autoritario… e i loro proventi.

Nulla di diverso doveva esserci da esplorare e trovare.

Eppure, ieri come oggi, dentro ciascuna donna e uomo risiede un vulcano di energie potenziali - le quali secondo l’ideologia dominante dovevano solo essere soffocate e allineate.

 

Per tutto questo che ancora si trascina cerchiamo viceversa un Dio da sperimentare, amabile, non costruito “ad arte”… né invisibile o lontano dalla nostra condizione.

Vogliamo Colui che doni respiro, e ci comprenda.

Lo si coglie nitidamente: ciò che coviamo non è una misera illusione, da spegnere in favore di equilibri esterni.

Infatti l’Evangelo (v.35) annuncia Grazia: il volto del Padre - che non vuole nulla per sé, bensì dona tutto per trasmetterci la sua stessa Vita. E lo fa non per mortificare la nostra intima energia.

La Lieta Novella proclama un Amico che Viene, che non costringe a “salire” [in astratto] né imprigiona dentro sensi di colpa, sfiancando le creature già sottomesse - rendendole ancor più desolate di prima.

Qui si rivela un Cielo che fa sentire adeguati, non castiga e neppure impressiona, bensì promuove e mette tutti a proprio agio; un Misericordioso non solo buono: esclusivamente buono.

Il Padre prodigo accoglie le persone come fa il Figlio nei Vangeli - così come sono; non indagando. Piuttosto dilatando.

Anche la sua Parola-evento non solo riattiva: reintegra gli squilibri e li valorizza in prospettiva di percorsi da persona reale - senza giudicare o disperdere, né spezzare nulla.

 

Per una tale opera di sapiente ricomposizione dell’essere, il Maestro invita alla Preghiera (v.38) - prima forma d’impegno dei discepoli.

L’accesso a diverse sintonie nello Spirito c’insegna a stimolare lo sguardo dell’anima, a valorizzare e capire tutto e tutti.

Quindi - dopo averli resi meno ignari - Gesù invita i suoi a coinvolgersi nell’opera missionaria; non a fare i dotti o lezioni di morale.

Sarebbero sceneggiate senza premure, che fanno sentire i malfermi ancor più sperduti.

La Missione cresce a partire da una dimensione piccola ma sconfinata - quella della percezione intima, che si accorge delle necessità e del mistero d’una Presenza favorevole.

Nuove configurazioni d’intesa, in spirito: scoperte appieno solo nell’orazione profonda (v.38). Preghiera Incarnata.

Essa non vuole distoglierci dalla realizzazione interiore; al contrario, fa da guida, e ricolloca l’anima dispersa nelle tante pratiche comuni da svolgere, al proprio centro.

Ci fa provare lo struggimento del desiderio e del capire la condizione perfetta: il Padre non intende assorbire le nostre attitudini, bensì potenziarle. Perché ciascuno ha un intimo progetto, una Chiamata per Nome, un proprio posto nel mondo.

Sembra paradossale, ma la Chiesa in uscita - quella che non specula, né impegnata in proselitismi di massa per impressionare il mainstream - è anzitutto un problema di formazione e coscienza interna.

 

Insomma, ci si riconosce e si diventa non ignari delle cose attraverso la Preghiera-presentimento, unitiva.

In Cristo essa non è prestazione o espressione devota, bensì intesa e anzitutto Ascolto del Dio che in mille forme sottili si rivela e chiama.

L’impegno per sanare il mondo non si vince senza consapevolezze di vocazione, né lasciandosi plagiare e andando a casaccio.

Piuttosto, acuendo lo sguardo, e reinvestendo la virtù e il carattere anche dei nostri stessi lati ancora in ombra.

Né poi rimane essenziale valicare sempre ogni confine (Mt 10,5-6) con una logica di fuga.

Perché non di rado - purtroppo - solo chi ama la forza comincia dal troppo scostato da sé [dal tanto remoto e fuori mano].

Le “pecore” perdute e stanche di provare e riprovare - gli esclusi, i considerati persi, gli emarginati - non mancano. Sono a portata di mano, e non c’è urgenza di estraniarsi immediatamente. Quasi per volersi esonerare dai più prossimi.

L’orizzonte si espande da solo, se si è convinti e non si amano maschere o sotterfugi.

Il senso di prossimità a se stessi, agli altri e alla realtà è un portato autentico del Regno che si rivela: quello Vicino.

Intesa la natura delle creature e conformandovisi in modo crescente, tutti vengono ispirati a mutare e completarsi, arricchendo anche la sclerosi culturale, senza forzature alienanti.

Esercitando una pratica di bontà anche con se stessi.

 

Alcuni fra i più citati aforismi tratti dalla cultura del Tao recitano: “La via del fare è l’essere”; “chi conosce gli altri è sapiente, chi conosce se stesso è illuminato”; “un lungo viaggio di mille miglia inizia da un solo passo”; “il maestro osserva il mondo, ma si fida della sua visione interiore”; “se correggi la mente, il resto della tua vita andrà a posto”; “quando si accetta se stessi, il mondo intero ti accetta”.

 

Così nella lotta contro le infermità (Mt 9,35-10,1): ci si ristabilisce e si vince acuendo lo sguardo e reinvestendo l’energia e il carattere anche dei nostri stessi lati ancora offuscati.

Tutto il Gratis (Mt 10,8) che potrà scaturirne per edificare la vita in favore dei fratelli, sprizzerà non come puerile contraccambio [isterico] o ingaggio.

Sarà Dialogo d’Amore spontaneo, solido e allietante, perché privo di quegli squilibri che covano sotto la cenere dei condizionamenti di facciata.

 

Il senso di prossimità (v.7) a se stessi, agli altri e alla realtà sarà un portato autentico - non programmatico, né alienato - del Regno che si rivela: Accanto.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

La Preghiera in Cristo scuote la tua coscienza?

Quale consolazione attendi dal Dio che Viene?

Forse un compenso?

O una gratuità che innesca - qui e ora - il vero Amore-intesa, attento ai richiami di ogni Voce sottile?

 

 

 

La fiaccola della missione: Prossimità

 

Il nostro Dio è il Dio della vicinanza, è un Dio vicino, che cammina con il suo popolo. Quell’immagine nel deserto, nell’Esodo: la nube e la colonna di fuoco per proteggere il popolo: cammina con il suo popolo. Non è un Dio che lascia le prescrizioni scritte e dice: “Vai avanti”. Fa le prescrizioni, le scrive con le proprie mani sulla pietra, le dà a Mosè, le consegna a Mosè, ma non lascia le prescrizioni e se ne va: cammina, è vicino. “Quale nazione ha un Dio così vicino?”. È la vicinanza. Il nostro è un Dio della vicinanza.

E la prima risposta dell’uomo, nelle prime pagine della Bibbia, sono due atteggiamenti di non-vicinanza. La nostra risposta è sempre di allontanarci, ci allontaniamo da Dio. Lui si fa vicino e noi ci allontaniamo. Quelle due prime pagine. Il primo atteggiamento di Adamo con la moglie è nascondersi: si nascondono dalla vicinanza di Dio, hanno vergogna, perché hanno peccato, e il peccato ci porta a nascondersi, a non volere la vicinanza (cfr Gen 3,8-10). E tante volte, [porta] a fare una teologia pensata soltanto su un Dio giudice; e per questo mi nascondo, ho paura. Il secondo atteggiamento, umano, davanti alla proposta di questa vicinanza di Dio è uccidere. Uccidere il fratello. “Io non sono il custode di mio fratello” (cfr Gen 4,9).

Due atteggiamenti che cancellano ogni vicinanza. L’uomo rifiuta la vicinanza di Dio, lui vuole essere padrone dei rapporti e la vicinanza porta sempre con sé qualche debolezza. Il “Dio vicino” si fa debole, e quanto più vicino si fa, più debole sembra. Quando viene da noi, ad abitare con noi, si fa uomo, uno di noi: si fa debole e porta la debolezza fino alla morte e la morte più crudele, la morte degli assassini, la morte dei peccatori più grandi. La vicinanza umilia Dio. Lui si umilia per essere con noi, per camminare con noi, per aiutare noi.

Il “Dio vicino” ci parla di umiltà. Non è un “grande Dio”, no. È vicino. È di casa. E questo lo vediamo in Gesù, Dio fatto uomo, vicino fino alla morte. Con i suoi discepoli: li accompagna, insegna loro, li corregge con amore… Pensiamo, per esempio, alla vicinanza di Gesù ai discepoli angosciati di Emmaus: erano angosciati, erano sconfitti e Lui si avvicina lentamente, per far loro capire il messaggio di vita, di resurrezione (cfr Lc 24,13-32).

Il nostro Dio è vicino e chiede a noi di essere vicini, l’uno all’altro, di non allontanarci tra noi. E in questo momento di crisi per la pandemia che stiamo vivendo, questa vicinanza ci chiede di manifestarla di più, di farla vedere di più. Noi non possiamo, forse, avvicinarci fisicamente per la paura del contagio, ma possiamo risvegliare in noi un atteggiamento di vicinanza tra noi: con la preghiera, con l’aiuto, tanti modi di vicinanza. E perché noi dobbiamo essere vicini l’uno all’altro? Perché il nostro Dio è vicino, ha voluto accompagnarci nella vita. È il Dio della prossimità. Per questo, noi non siamo persone isolate: siamo prossimi, perché l’eredità che abbiamo ricevuto dal Signore è la prossimità, cioè il gesto della vicinanza.

Chiediamo al Signore la grazia di essere vicini, l’uno all’altro; non nascondersi l’uno all’altro; non lavarsi le mani, come ha fatto Caino, del problema altrui, no. Vicini. Prossimità. Vicinanza. «Infatti, quale grande nazione ha gli dei così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che Lo invochiamo?».

(Papa Francesco, omelia s. Marta 18 marzo 2020)

Lunedì, 30 Giugno 2025 04:40

Vocazioni

La XLVIII Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che sarà celebrata il 15 maggio 2011, quarta Domenica di Pasqua, ci invita a riflettere sul tema: “Proporre le vocazioni nella Chiesa locale”. Settant’anni fa, il Venerabile Pio XII istituì la Pontifìcia Opera per le Vocazioni Sacerdotali. In seguito, opere simili sono state fondate dai Vescovi in molte diocesi, animate da sacerdoti e da laici, in risposta all'invito del Buon Pastore, il quale, “vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”, e disse: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai. Pregate, dunque, il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe!” (Mt 9,36-38).

L’arte di promuovere e di curare le vocazioni trova un luminoso punto di riferimento nelle pagine del Vangelo in cui Gesù chiama i suoi discepoli a seguirlo e li educa con amore e premura. Oggetto particolare della nostra attenzione è il modo in cui Gesù ha chiamato i suoi più stretti collaboratori ad annunciare il Regno di Dio (cfr Lc 10,9). Innanzitutto, appare chiaro che il primo atto è stata la preghiera per loro: prima di chiamarli, Gesù passò la notte da solo, in orazione ed in ascolto della volontà del Padre (cfr Lc 6,12), in un’ascesa interiore al di sopra delle cose di tutti i giorni. La vocazione dei discepoli nasce proprio nel colloquio intimo di Gesù con il Padre. Le vocazioni al ministero sacerdotale e alla vita consacrata sono primariamente frutto di un costante contatto con il Dio vivente e di un'insistente preghiera che si eleva al “Padrone della messe” sia nelle comunità parrocchiali, sia nelle famiglie cristiane, sia nei cenacoli vocazionali.

Il Signore, all’inizio della sua vita pubblica, ha chiamato alcuni pescatori, intenti a lavorare sulle rive del lago di Galilea: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini” (Mt 4,19). Ha mostrato loro la sua missione messianica con numerosi “segni” che indicavano il suo amore per gli uomini e il dono della misericordia del Padre; li ha educati con la parola e con la vita affinché fossero pronti ad essere continuatori della sua opera di salvezza; infine, “sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre” (Gv 13,1), ha affidato loro il memoriale della sua morte e risurrezione, e prima di essere elevato al Cielo li ha inviati in tutto il mondo con il comando: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19).

È una proposta, impegnativa ed esaltante, quella che Gesù fa a coloro a cui dice “Seguimi!”: li invita ad entrare nella sua amicizia, ad ascoltare da vicino la sua Parola e a vivere con Lui; insegna loro la dedizione totale a Dio e alla diffusione del suo Regno secondo la legge del Vangelo: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24); li invita ad uscire dalla loro volontà chiusa, dalla loro idea di autorealizzazione, per immergersi in un’altra volontà, quella di Dio e lasciarsi guidare da essa; fa vivere loro una fraternità, che nasce da questa disponibilità totale a Dio (cfr Mt 12,49-50), e che diventa il tratto distintivo della comunità di Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).

Anche oggi, la sequela di Cristo è impegnativa; vuol dire imparare a tenere lo sguardo su Gesù, a conoscerlo intimamente, ad ascoltarlo nella Parola e a incontrarlo nei Sacramenti; vuol dire imparare a conformare la propria volontà alla Sua. Si tratta di una vera e propria scuola di formazione per quanti si preparano al ministero sacerdotale ed alla vita consacrata, sotto la guida delle competenti autorità ecclesiali. Il Signore non manca di chiamare, in tutte le stagioni della vita, a condividere la sua missione e a servire la Chiesa nel ministero ordinato e nella vita consacrata, e la Chiesa “è chiamata a custodire questo dono, a stimarlo e ad amarlo: essa è responsabile della nascita e della maturazione delle vocazioni sacerdotali” (Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 41). Specialmente in questo nostro tempo in cui la voce del Signore sembra soffocata da “altre voci” e la proposta di seguirlo donando la propria vita può apparire troppo difficile, ogni comunità cristiana, ogni fedele, dovrebbe assumere con consapevolezza l’impegno di promuovere le vocazioni. È importante incoraggiare e sostenere coloro che mostrano chiari segni della chiamata alla vita sacerdotale e alla consacrazione religiosa, perché sentano il calore dell’intera comunità nel dire il loro “sì” a Dio e alla Chiesa. Io stesso li incoraggio come ho fatto con coloro che si sono decisi ad entrare in Seminario e ai quali ho scritto: “Avete fatto bene a farlo. Perché gli uomini avranno sempre bisogno di Dio, anche nell’epoca del dominio tecnico del mondo e della globalizzazione: del Dio che ci si è mostrato in Gesù Cristo e che ci raduna nella Chiesa universale, per imparare con Lui e per mezzo di Lui la vera vita e per tenere presenti e rendere efficaci i criteri della vera umanità” (Lettera ai Seminaristi, 18 ottobre 2010).

Occorre che ogni Chiesa locale si renda sempre più sensibile e attenta alla pastorale vocazionale, educando ai vari livelli, familiare, parrocchiale, associativo, soprattutto i ragazzi, le ragazze e i giovani - come Gesù fece con i discepoli – a maturare una genuina e affettuosa amicizia con il Signore, coltivata nella preghiera personale e liturgica; ad imparare l’ascolto attento e fruttuoso della Parola di Dio, mediante una crescente familiarità con le Sacre Scritture; a comprendere che entrare nella volontà di Dio non annienta e non distrugge la persona, ma permette di scoprire e seguire la verità più profonda su se stessi; a vivere la gratuità e la fraternità nei rapporti con gli altri, perché è solo aprendosi all’amore di Dio che si trova la vera gioia e la piena realizzazione delle proprie aspirazioni. “Proporre le vocazioni nella Chiesa locale”, significa avere il coraggio di indicare, attraverso una pastorale vocazionale attenta e adeguata, questa via impegnativa della sequela di Cristo, che, in quanto ricca di senso, è capace di coinvolgere tutta la vita.

Mi rivolgo particolarmente a voi, cari Confratelli nell’Episcopato. Per dare continuità e diffusione alla vostra missione di salvezza in Cristo, è importante “incrementare il più che sia possibile le vocazioni sacerdotali e religiose, e in modo particolare quelle missionarie” (Decr. Christus Dominus, 15). Il Signore ha bisogno della vostra collaborazione perché le sue chiamate possano raggiungere i cuori di chi ha scelto. Abbiate cura nella scelta degli operatori per il Centro Diocesano Vocazioni, strumento prezioso di promozione e organizzazione della pastorale vocazionale e della preghiera che la sostiene e ne garantisce l’efficacia. Vorrei anche ricordarvi, cari Confratelli Vescovi, la sollecitudine della Chiesa universale per un’equa distribuzione dei sacerdoti nel mondo. La vostra disponibilità verso diocesi con scarsità di vocazioni, diventa una benedizione di Dio per le vostre comunità ed è per i fedeli la testimonianza di un servizio sacerdotale che si apre generosamente alle necessità dell’intera Chiesa.

Il Concilio Vaticano II ha ricordato esplicitamente che “il dovere di dare incremento alle vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità cristiana, che è tenuta ad assolvere questo compito anzitutto con una vita perfettamente cristiana” (Decr. Optatam totius, 2). Desidero indirizzare quindi un fraterno e speciale saluto ed incoraggiamento a quanti collaborano in vario modo nelle parrocchie con i sacerdoti. In particolare, mi rivolgo a coloro che possono offrire il proprio contributo alla pastorale delle vocazioni: i sacerdoti, le famiglie, i catechisti, gli animatori. Ai sacerdoti raccomando di essere capaci di dare una testimonianza di comunione con il Vescovo e con gli altri confratelli, per garantire l’humus vitale ai nuovi germogli di vocazioni sacerdotali. Le famiglie siano “animate da spirito di fede, di carità e di pietà” (ibid.), capaci di aiutare i figli e le fìglie ad accogliere con generosità la chiamata al sacerdozio ed alla vita consacrata. I catechisti e gli animatori delle associazioni cattoliche e dei movimenti ecclesiali, convinti della loro missione educativa, cerchino “di coltivare gli adolescenti a loro affidati in maniera di essere in grado di scoprire la vocazione divina e di seguirla di buon grado” (ibid.).

Cari fratelli e sorelle, il vostro impegno nella promozione e nella cura delle vocazioni acquista pienezza di senso e di efficacia pastorale quando si realizza nell’unità della Chiesa ed è indirizzato al servizio della comunione. È per questo che ogni momento della vita della comunità ecclesiale - la catechesi, gli incontri di formazione, la preghiera liturgica, i pellegrinaggi ai santuari - è una preziosa opportunità per suscitare nel Popolo di Dio, in particolare nei più piccoli e nei giovani, il senso di appartenenza alla Chiesa e la responsabilità della risposta alla chiamata al sacerdozio ed alla vita consacrata, compiuta con libera e consapevole scelta.

La capacità di coltivare le vocazioni è segno caratteristico della vitalità di una Chiesa locale. Invochiamo con fiducia ed insistenza l’aiuto della Vergine Maria, perché, con l’esempio della sua accoglienza del piano divino della salvezza e con la sua efficace intercessione, si possa diffondere all’interno di ogni comunità la disponibilità a dire “sì” al Signore, che chiama sempre nuovi operai per la sua messe. Con questo auspicio, imparto di cuore a tutti la mia Apostolica Benedizione.

Dal Vaticano, 15 novembre 2010

[Papa Benedetto, dal Messaggio per la 48.a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 15 maggio 2011]

Lunedì, 30 Giugno 2025 04:37

Prima di tutto, pregare

E' la prima volta che il nuovo Papa si rivolge a voi in occasione della celebrazione della Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni.

Innanzitutto il mio e vostro ricordo affettuoso, pieno di riconoscenza, vada al compianto Papa Paolo VI. Riconoscenza, perché egli, durante il Concilio, ha istituito questa Giornata di preghiera per tutte le vocazioni di speciale consacrazione a Dio e alla Chiesa. Riconoscenza, perché ogni anno, per quindici anni, egli ha illuminato questa Giornata con la sua parola di Maestro e ci ha incoraggiati con il suo cuore di Pastore.

Seguendo il suo esempio, ora mi rivolgo a voi in questa sedicesima Giornata Mondiale per confidarvi alcune cose che mi stanno molto a cuore, quasi tre parole d'ordine: pregare - chiamare - rispondere.

1. Prima di tutto, pregare.

E' certamente grande lo scopo per cui dobbiamo pregare, se Cristo stesso ci ha comandato di farlo: «Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe» (Mt 9, 38). Sia questa Giornata una pubblica testimonianza di fede e di obbedienza al comando del Signore. Celebratela dunque nelle vostre cattedrali: il Vescovo insieme al clero, i religiosi, le religiose, i missionari, gli aspiranti al sacerdozio e alla vita consacrata, il popolo, i giovani, molti giovani. Celebratela nelle parrocchie, nelle comunità, nei santuari, nei collegi e nei luoghi dove sono persone che soffrono. Si innalzi in ogni parte del mondo questo assalto al cielo, per chiedere al Padre ciò che Cristo ha voluto che noi domandiamo.

Sia una Giornata piena di speranza. Ci trovi riuniti, come in un cenacolo universale: «Perseveravano concordi nella preghiera . . . con Maria, la Madre di Gesù» (At 1, 14), nell'attesa fiduciosa dei doni dello Spirito Santo. Infatti, sull'altare del sacrificio eucaristico, attorno al quale ci stringiamo pregando, c'è lo stesso Cristo che prega con noi e per noi e ci assicura che otterremo ciò che chiediamo: «Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 19ss). Noi siamo molti riuniti nel suo nome e chiediamo soltanto ciò che lui vuole. Di fronte alla sua solenne promessa, com'è possibile non pregare con animo pieno di speranza?

Sia questa Giornata un centro di irradiazione spirituale. La nostra preghiera si diffonda e continui nelle chiese, nelle comunità, nelle famiglie, nei cuori credenti, come in un monastero invisibile, da cui salga al Signore una invocazione perenne.

[Papa Giovanni Paolo II, Messaggio per la 16.a Giornata Mondiale per le Vocazioni, 6 gennaio 1979]

Lunedì, 30 Giugno 2025 04:29

La fiaccola della missione: Prossimità

Il nostro Dio è il Dio della vicinanza, è un Dio vicino, che cammina con il suo popolo. Quell’immagine nel deserto, nell’Esodo: la nube e la colonna di fuoco per proteggere il popolo: cammina con il suo popolo. Non è un Dio che lascia le prescrizioni scritte e dice: “Vai avanti”. Fa le prescrizioni, le scrive con le proprie mani sulla pietra, le dà a Mosè, le consegna a Mosè, ma non lascia le prescrizioni e se ne va: cammina, è vicino. “Quale nazione ha un Dio così vicino?”. È la vicinanza. Il nostro è un Dio della vicinanza.

E la prima risposta dell’uomo, nelle prime pagine della Bibbia, sono due atteggiamenti di non-vicinanza. La nostra risposta è sempre di allontanarci, ci allontaniamo da Dio. Lui si fa vicino e noi ci allontaniamo. Quelle due prime pagine. Il primo atteggiamento di Adamo con la moglie è nascondersi: si nascondono dalla vicinanza di Dio, hanno vergogna, perché hanno peccato, e il peccato ci porta a nascondersi, a non volere la vicinanza (cfr Gen 3,8-10). E tante volte, [porta] a fare una teologia pensata soltanto su un Dio giudice; e per questo mi nascondo, ho paura. Il secondo atteggiamento, umano, davanti alla proposta di questa vicinanza di Dio è uccidere. Uccidere il fratello. “Io non sono il custode di mio fratello” (cfr Gen 4,9).

Due atteggiamenti che cancellano ogni vicinanza. L’uomo rifiuta la vicinanza di Dio, lui vuole essere padrone dei rapporti e la vicinanza porta sempre con sé qualche debolezza. Il “Dio vicino” si fa debole, e quanto più vicino si fa, più debole sembra. Quando viene da noi, ad abitare con noi, si fa uomo, uno di noi: si fa debole e porta la debolezza fino alla morte e la morte più crudele, la morte degli assassini, la morte dei peccatori più grandi. La vicinanza umilia Dio. Lui si umilia per essere con noi, per camminare con noi, per aiutare noi.

Il “Dio vicino” ci parla di umiltà. Non è un “grande Dio”, no. È vicino. È di casa. E questo lo vediamo in Gesù, Dio fatto uomo, vicino fino alla morte. Con i suoi discepoli: li accompagna, insegna loro, li corregge con amore… Pensiamo, per esempio, alla vicinanza di Gesù ai discepoli angosciati di Emmaus: erano angosciati, erano sconfitti e Lui si avvicina lentamente, per far loro capire il messaggio di vita, di resurrezione (cfr Lc 24,13-32).

Il nostro Dio è vicino e chiede a noi di essere vicini, l’uno all’altro, di non allontanarci tra noi. E in questo momento di crisi per la pandemia che stiamo vivendo, questa vicinanza ci chiede di manifestarla di più, di farla vedere di più. Noi non possiamo, forse, avvicinarci fisicamente per la paura del contagio, ma possiamo risvegliare in noi un atteggiamento di vicinanza tra noi: con la preghiera, con l’aiuto, tanti modi di vicinanza. E perché noi dobbiamo essere vicini l’uno all’altro? Perché il nostro Dio è vicino, ha voluto accompagnarci nella vita. È il Dio della prossimità. Per questo, noi non siamo persone isolate: siamo prossimi, perché l’eredità che abbiamo ricevuto dal Signore è la prossimità, cioè il gesto della vicinanza.

Chiediamo al Signore la grazia di essere vicini, l’uno all’altro; non nascondersi l’uno all’altro; non lavarsi le mani, come ha fatto Caino, del problema altrui, no. Vicini. Prossimità. Vicinanza. «Infatti, quale grande nazione ha gli dei così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che Lo invochiamo?».

[Papa Francesco, omelia s. Marta 18 marzo 2020]

Domenica, 29 Giugno 2025 04:00

Fede Calamita

La Guarigione nella Fede personale

(Mt 9,18-26)

 

Nelle comunità di Mt i giudei convertiti venivano accusati dai fautori della religione antica di essere spergiuri delle costumanze dei padri e della grande Tradizione di Mosè. Non più «figli del precetto».

D’altro canto, non mancavano predicatori fedeli che annunciavano loro di non essere degli «addormentati» della Legge (v.24), bensì le uniche persone sveglie, viventi dello Spirito di essa (vv.25-26). I veri adulti.

Nel passo di Vangelo le icone di tale insegnamento sono tratte da ciò che i credenti in Cristo sperimentavano sotto i loro occhi. In specie: come ci si contiene quando il “diverso” bussa alla porta di casa e delle assemblee?

Secondo le credenze dell’oriente antico, sangue e morte erano icone d’impurità e fattori d’esclusione sociale. L’allontanamento dalla comunità [sinagoga dei sani e puri] era un obbligo religioso.

E chi fosse stato ritenuto affetto da tare d’imperfezione anche fisica non poteva accostarsi alla soglia delle assemblee, delle famiglie perbene, o della vita civile - e neppure chi avesse una qualsiasi relazione con loro.

Ma come si comporta Dio con chi ha problemi? Antepone doveri, procedure, riti di purificazione prescritti? Umilia proprio il bisognoso di comprensione? E con tutta una lunga trafila di discipline, penitenze o pubbliche verifiche?

No, cura per mezzo della Fede personale. Così annienta il potere della morte e il controllo ossessivo degli anziani del Tempio - legalisti, in tutt’altri impegni e calcoli affaccendati.

Con la sua proposta sconvolgente Gesù cura la malattia mortale del popolo intero: sia la «figlia» spirituale dei capi [per questo, ‘nazione’ già perita in partenza] che i considerati immondi.

Tutti ancora se si vuole «adolescenti» della religiosità, ossia impossibilitati a una vita piena, o mai diventati autonomi, sebbene in procinto di poterlo essere.

Nel momento della ‘guarigione’ la «folla» e gli apostoli - se inefficaci e devianti - devono sparire: vale solo la Fede (v.22), ossia il tu-per-tu col Signore, che porta Dio fra gli uomini e noi nel cuore del Padre.

Per questo è lecito tralasciare prescrizioni e sorprenderlo per iniziativa personale (vv.20-21) - mentre secondo i maestri ufficiali Gesù dovrebbe guardare e dirigersi altrove (v.22).

Solo per Fede irripetibile - personale e senza tormenti - si diventa «figli» (v.22) ossia membri puri di Chiesa autentica che congiunge la creatura al Creatore - incessantemente facendo scoccare un successivo rinnovamento e ulteriori diverse Genesi, man mano potenziate.

Grazie alla Fede, relazione d’amicizia che ha Visione, i veri ‘adulti’ superano i pensieri appannati, i gesti sommari e stagnanti delle concatenazioni scontate. Lo fanno in modo immediato, ininterrotto, crescente.

Qui il nostro credere diventa Via non intorpidita e Rinascita. Immagine dentro, che coglie nel mondo e nella Persona del Cristo nuove possibilità.

Fiducia fresca e intensa, invece che delusione. Calamita di ciò che si spera.

 

 

[Lunedì 14.a sett. T.O.  7 luglio 2025]

Domenica, 29 Giugno 2025 03:56

La Guarigione nella Fede

Fede Calamita

(Mt 9,18-26)

 

Nelle comunità di Mt i giudei convertiti venivano accusati dai fautori della religione antica di essere spergiuri delle costumanze dei padri e della grande Tradizione di Mosè. Non più «figli del precetto».

D’altro canto, non mancavano predicatori fedeli che annunciavano loro di non essere degli «addormentati» della Legge (v.24), bensì le uniche persone sveglie, viventi dello Spirito di essa (vv.25-26). I veri adulti.

Nel passo di Vangelo le icone di tale insegnamento sono tratte da ciò che i credenti in Cristo sperimentavano sotto i loro occhi. In specie: come ci si contiene quando il “diverso” bussa alla porta di casa e delle assemblee?

Secondo le credenze dell’oriente antico, sangue e morte erano icone d’impurità e fattori d’esclusione sociale. L’allontanamento dalla comunità (sinagoga dei sani e puri) era un obbligo religioso.

E chi fosse stato ritenuto affetto da tare d’imperfezione anche fisica non poteva accostarsi alla soglia delle assemblee, delle famiglie perbene o della vita civile - e neppure chi avesse una qualsiasi relazione con loro.

Ma come si comporta Dio con chi ha problemi? Antepone doveri, procedure, riti di purificazione prescritti? Umilia proprio il bisognoso di comprensione? E con tutta una lunga trafila di discipline, penitenze o pubbliche verifiche?

No, cura per mezzo della Fede personale. Così annienta il potere della morte e il controllo ossessivo degli anziani del Tempio - legalisti, in tutt’altri impegni e calcoli affaccendati.

Con la sua proposta sconvolgente Gesù cura la malattia mortale del popolo intero: sia la «figlia» spirituale dei capi [per questo, “nazione” già perita in partenza] che i considerati immondi.

Tutti ancora se si vuole «adolescenti» della religiosità, ossia impossibilitati a una vita piena, o mai diventati autonomi, sebbene in procinto di poterlo essere.

[Nel linguaggio biblico le icone di donna che richiamano la vicenda del popolo o di una comunità, derivano dal fatto che in ebraico il termine Israele è di genere femminile].

Nel momento della “guarigione” la «folla» e gli apostoli - se inefficaci e devianti - devono sparire: vale solo la Fede (v.22), ossia il tu-per-tu col Signore, che porta Dio fra gli uomini e noi nel cuore del Padre.

Per questo è lecito tralasciare prescrizioni e sorprenderlo per iniziativa personale (vv.20-21) - mentre secondo i maestri ufficiali Gesù dovrebbe guardare e dirigersi altrove (v.22).

Farsi controllare e sequestrare da false guide interessate significa autocondannarsi a non avere un rapporto pieno, colmo di smalto, faccia a faccia, autentico ed efficace, diretto - come nell’amore.

Solo per Fede irripetibile - personale e senza tormenti - si diventa «figli» (v.22) ossia membri puri di Chiesa autentica, che congiunge la creatura al Creatore - incessantemente facendo scoccare un successivo rinnovamento e ulteriori diverse Genesi, man mano potenziate.

Grazie alla Fede, relazione d’amicizia che ha Visione, i veri “adulti” superano i pensieri appannati, i gesti sommari e stagnanti delle concatenazioni scontate. Lo fanno in modo immediato, ininterrotto, crescente.

Qui il nostro credere diventa Via non intorpidita e Rinascita. “Immagine” dentro, che coglie nel mondo e nella Persona del Cristo nuove possibilità.

Fiducia fresca e intensa, invece che delusione. Calamita di ciò che si spera [cf. Eb 11,1].

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ti senti giudicato ed emarginato? Come intrecci la tua vita con quella di Dio? Come risusciti dalla cappa di un mondo abitudinario e stagnante, assuefatto, pessimista e votato alla morte? Temi di essere un traditore?

 

 

Fonte del brano di Mt: l’episodio di Giairo e l’emorroissa (Mc 5)

 

La Fede è Azione, intraprendente; Forza di vita

 

Fede e Guarigione, o esclusione

(Mc 5,21-43)

 

A Roma, al tempo di Mc, la situazione di confusione generata dalla guerra civile sembrava potesse divenire letale per la sopravvivenza delle giovani comunità perseguitate, che alcuni deridevano (v.40).

I dodici anni di vita e di emorragia delle due donne si richiamano: nella cultura semitica la perdita di sangue indicava impurità [inizio di morte] e conseguente esclusione sociale.

Sangue e morte erano qua e là fattori di emarginazione persino nelle piccole fraternità, che in quel periodo segnato da un pensiero e costumi ancora giudaizzanti impedivano qualsiasi partecipazione, anche agli appuntamenti comuni.

Sotto la diseducazione ossessiva delle guide spirituali, in particolare sul senso di peccato e indegnità - in aggiunta, il terrore religioso dei demoni - tutto sembrava seminasse panico.

Le paure assorbivano gran parte delle risorse emotive. In tal guisa, peggiorando la situazione delle persone (v.26).

Come superare il cumulo di ostacoli, che sembrava non avesse vie d’uscita? Bisognava fare l’esatto contrario di quanto inculcavano le autorità religiose!

Tra l'altro, le donne, del tutto soggiogate, in coscienza non erano affatto d’accordo coi capi.

Esse trovavano persino nel tipo di folla maschile appiccicata a Cristo un impedimento al contatto personale col Signore...

Dunque sapevano che avrebbero dovuto inventarsi qualcosa. E ci provavano di soppiatto.

 

La “donna” si muove cogliendo il Maestro «da dietro» (v.27) - appunto, di nascosto! Ma il suo non è affatto un sacrilegio.

Gesù si accorge del tocco dei minimi, non solo della solita ressa misogina attorno.

Così, i seguaci che già immaginavano di averlo sequestrato, timorosi della sua sensibilità verso gli ultimi e le non persone - lo trattano da imbecille e scriteriato (v.31).

I discepoli [dirigisti e maschi] stanno sempre accanto al Figlio di Dio, ma non sono affatto d’accordo con Lui. Vogliono solo sequestrarlo per loro.

Caro Rabbi, come ti permetti di avere una reazione diversa da quella che ti dettiamo? E come ti viene in mente di fare attenzione a chi andrebbe solo avversato e condannato - per l’indecente iniziativa che si è messo in testa? Vuoi rovinarci? Ci siamo noi, tanto basta; agli altri, morte e inferno; se possibile, anticipati.

Per Gesù, invece, la qualità della vita e delle nostre attese in questo mondo è importante: non basta pensare all’aldilà [del genere: Qui abbozza, e alla fine meriterai...].

Non conta solo il Cielo.

Pertanto, la trasgressione dei (considerati) contaminati - i quali addirittura seguono la loro coscienza [a quel tempo una vergogna] - è colta dal Signore come espressione di Fede viva (v.34)!

«Figlia»: Cristo accoglie la donna nella sua Chiesa, e in Lei valorizza tutti coloro che gli habitué tengono a distanza di sicurezza.

Neppure pretende che vada al Tempio a offrire ai sacerdoti il sacrificio prescritto dalla Legge!

Solo dice: «La tua Fede ti ha salvata. Va’ in Pace».

Ossia: procedi pure verso la gioia di una vita piena, senza più sul groppone il giudizio d’inadeguatezza [e le solite tare ingannevoli].

 

In effetti, anche il capo della devozione antica non può che generare “figli” [ossia, tutto un popolo spirituale] già morti in partenza (v.35).

Ma dal momento in cui egli si volge all’autentico Maestro, inizia a compiere il passaggio dalla religiosità elementare alla Fede (v.36).

In tale relazione sponsale intima, senza più il timore del castigo, la fine prematura rigenera vita, giovinezza, felicità.

La lezione non è solo per la sinagoga tradizionale, bensì anche per i massimi esponenti della Chiesa nascente: gli orgogliosi Pietro, Giacomo e Giovanni (v.37).

Proprio perché autoritari, precipitosi e testardi - tutti gli altri fedeli di comunità è bene che stiano a distanza da un ambente che strepita disperato, perché ancora immagina la morte fisica quale steccato invalicabile (v.38).

E qui sorge una nuova trasgressione religiosa: il libro del Levitico proibiva di toccare un cadavere (v.41).

Con tale incredibile gesto Cristo ribadisce: chi osserva la legge che non umanizza produce egli stesso morte e va incontro alla morte.

 

Unico valore non negoziabile è il bene concreto della persona reale. Dio non guarda meriti [supposti, da osservanze inventate] ma i bisogni.

E la Fede personale è l’Oro divino che realizza la visione interiore.

Qualità di Relazione indistruttibile: tale Azione-compassione oltrepassa la morte che guasta tutto.

Appunto, attirando e compiendo ciò che lo stesso gesto crede (vv.23.28.34.36.39).

 

«Giovanetta, ti dico: Alzati!» (v.41).

San Girolamo commenta: «Fanciulla, alzati per me: non per merito tuo, ma per la mia grazia. Alzati dunque per me: il fatto di essere guarita non è dipeso dalle tue virtù» [Omelie sul Vangelo di Marco, 3].

Nei Vangeli i verbi Vivere, Salvare e Morire sono ambivalenti e descrivono sia salute e vita fisica che salvezza spirituale, del cuore (v.34).

La narrazione della Parola di oggi ci aiuta a superare la visione meccanicistica della vita: nel Mistero dell’Eros fondante che anima e rinnova l’onda vitale, c’è il modo di battere i problemi.

In Cristo la nostra redenzione totale è risposta divina a una Fiducia anche un poco primitiva - forse incipiente - ma appassionata, che guida a rigenerare.

 

Nella Bibbia ebraica non esiste il termine «immortalità».

La lentezza d’Israele nel credere alla vita senza fine è illuminante: fa comprendere che prima di credere nel mondo futuro, è necessario dare valore e amare l’esistenza in questo mondo.

E averne passione allo stesso modo del Padre.

Il contatto con il Figlio, le sue parole, e gli stessi cenni, trasmettono una potenza di guarigione e rinascita che rinnova sia la carne che lo spirito; sia le luci che l’ombra.

Neppure la morte si erge come barriera definitiva e conclusiva.

 

Ancora oggi la cura divina, la sua memoria e forza di consolazione sono resi attuali nei segni della Chiesa.

Ma non limitiamoci a essere spettatori che fanno ressa attorno, senza vero Contatto col Risorto.

Apriamo l’orecchio e rendiamoci conto che non siamo chiamati a ricalcare presenze ingombranti, estranee, altrui.

Parliamogli personalmente, e chiediamo in tutto che intervenga sulle nostre infermità, o cali momentanei.

Ed ecco sorgere il silenzio d’uno spazio nostro, irripetibile, fragrante, segreto; che sboccia da una Sintonia genuina.

Allora Egli ci trasformerà, si comunicherà a noi (v.43), ci farà simili a Lui e in grado di sostenere le sfide.

Infine capaci di sciogliere nodi di morte e aiutare le sospensioni degli altri.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Qual è il richiamo delle azioni di Gesù per te, per la tua famiglia e la comunità?

Pagina 1 di 38
Let our prayer spread out and continue in the churches, communities, families, the hearts of the faithful, as though in an invisible monastery from which an unbroken invocation rises to the Lord (John Paul II)
La nostra preghiera si diffonda e continui nelle chiese, nelle comunità, nelle famiglie, nei cuori credenti, come in un monastero invisibile, da cui salga al Signore una invocazione perenne (Giovanni Paolo II)
"The girl is not dead, but asleep". These words, deeply revealing, lead me to think of the mysterious presence of the Lord of life in a world that seems to succumb to the destructive impulse of hatred, violence and injustice; but no. This world, which is yours, is not dead, but sleeps (Pope John Paul II)
“La bambina non è morta, ma dorme”. Queste parole, profondamente rivelatrici, mi inducono a pensare alla misteriosa presenza del Signore della vita in un mondo che sembra soccombere all’impulso distruttore dell’odio, della violenza e dell’ingiustizia; ma no. Questo mondo, che è vostro, non è morto, ma dorme (Papa Giovanni Paolo II)
Today’s Gospel passage (cf. Lk 10:1-12, 17-20) presents Jesus who sends 72 disciples on mission, in addition to the 12 Apostles. The number 72 likely refers to all the nations. Indeed, in the Book of Genesis 72 different nations are mentioned (cf. 10:1-32) [Pope Francis]
L’odierna pagina evangelica (cfr Lc 10,1-12.17-20) presenta Gesù che invia in missione settantadue discepoli, in aggiunta ai dodici apostoli. Il numero settantadue indica probabilmente tutte le nazioni. Infatti nel libro della Genesi si menzionano settantadue nazioni diverse (cfr 10,1-32) [Papa Francesco]
Christ reveals his identity of Messiah, Israel's bridegroom, who came for the betrothal with his people. Those who recognize and welcome him are celebrating. However, he will have to be rejected and killed precisely by his own; at that moment, during his Passion and death, the hour of mourning and fasting will come (Pope Benedict)
Cristo rivela la sua identità di Messia, Sposo d'Israele, venuto per le nozze con il suo popolo. Quelli che lo riconoscono e lo accolgono con fede sono in festa. Egli però dovrà essere rifiutato e ucciso proprio dai suoi: in quel momento, durante la sua passione e la sua morte, verrà l'ora del lutto e del digiuno (Papa Benedetto)
Peter, Andrew, James and John are called while they are fishing, while Matthew, while he is collecting tithes. These are unimportant jobs, Chrysostom comments, "because there is nothing more despicable than the tax collector, and nothing more common than fishing" (In Matth. Hom.: PL 57, 363). Jesus' call, therefore, also reaches people of a low social class while they go about their ordinary work [Pope Benedict]
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo -  “poiché non c'è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario [Papa Benedetto]
The invitation given to Thomas is valid for us as well. We, where do we seek the Risen One? In some special event, in some spectacular or amazing religious manifestation, only in our emotions and feelings? [Pope Francis]
L’invito fatto a Tommaso è valido anche per noi. Noi, dove cerchiamo il Risorto? In qualche evento speciale, in qualche manifestazione religiosa spettacolare o eclatante, unicamente nelle nostre emozioni e sensazioni? [Papa Francesco]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

duevie.art

don Giuseppe Nespeca

Tel. 333-1329741


Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.