don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Venerdì, 22 Agosto 2025 06:14

Ogni Talento è una Chiamata a superarsi

Talenti - Doni del nuovo Regno

(Mt 25,14-30)

 

Come può una comunità rivelare la presenza di Dio? Valorizzando e accentuando le sfaccettature della vita, difendendole, promuovendole e rallegrandole.

Perché c’è chi cresce e chi no? Per quale motivo chi avanza meno degli altri, proprio nel cammino “religioso” rischia di rovinare?

Tutti noi abbiamo punti di forza, pallini, qualità e inclinazioni esclusive. Ciascuno riceve doni da battistrada (fosse anche uno solo) e può inserirsi in servizi ecclesiali.

Ognuno - anche il normalmente escluso [come Zaccheo, nel passo parallelo di Lc 19, 1-10.11-28] - ha un bagaglio di risorse impareggiabili che può trasmettere, per l’arricchimento della comunità.

Mt narra questa parabola perché alcuni giudei convertiti delle sue comunità hanno difficoltà a sbloccarsi ed evolvere. E qualcuno proprio non fiorisce, appiccicandosi a ruoli e devozioni.

A dirla tutta e in modo chiaro, fra di essi nasce una competizione che concerne l’importanza degli incarichi ecclesiali [è il vero senso evangelico dei «talenti secondo capacità»: v.15].

Mansioni insidiate anche dall’arrembaggio dei provenienti dal paganesimo, meno intimiditi e più sciolti dei fedeli giudaizzzanti (un po’ da museo).

Il conseguente puntiglio irrigidisce l’atmosfera interna, accentua difficoltà di collaborare, e scambiarsi doti e risorse - arricchendo gli uni gli altri.

Situazioni vanitose e competitive che conosciamo.

 

Tutti riceviamo qualche accento del Regno, “beni” da moltiplicare trasmettendo, ad esempio (qui) la Parola di Dio.

Dono unico, ma non raro: prosperità immensa e dalle virtù propulsive di vita straordinarie... per ciascuno e tutti.

Così lo spirito di servizio e condivisione; l’attitudine al discernimento e valorizzazione delle unicità irripetibili, e tanto altro.

Beninteso, la comunità cresce non se produce, colloca in vetrina e “rende”. Essa è composta di membri tutti preziosi e già “adulti”, che sanno spontaneamente dove e come collocarsi!

Donne e uomini di Fede non cercano meriti, non trattengono per sé; si relazionano con Dio e il prossimo in modo sapiente, anche quando non in termini e formule “corretti” (secondo libretto d’istruzione).

Purtroppo, per convincere a rispettare personaggi e configurazione, e ricalcare il costume, non di rado i veterani hanno fatto leva sul timore.

Per quanto concerne il timore “sociale”, in particolare, sull’inclinazione popolare a non mettersi nei guai (ciò che paralizzava la vita anche interiore).

Dai tempi di Gesù, non sono mancate paure e desiderio di evitare ricatti [diceva sbalordita mia madre dei leaders disonesti: “Usano la religione come un’arma!”].

L’idea stessa del Dio antico come legislatore e giudice (vv.24-25) induceva i credenti a non crescere né trasmettere, anzi a rinchiudersi e allontanarsi dal progetto del Padre.

Pena l’esclusione sociale, era fatto divieto accogliere nuove esperienze di Dio, incontrare autenticamente se stessi, aprire spazi personali (persino radicalmente identitari), tracciare nuovi cammini.

Così per secoli.

Per comprendere il senso del passo parallelo di Lc 19,11-28 [v.22 dove nella traduzione CEI il Re sembrerebbe ribadire l’idea meschina del lavativo diseducato], basta inserire un punto interrogativo [i codici originali in greco non avevano punteggiatura]:

«Gli dice: Dalla tua stessa bocca ti giudico, servo malvagio! Sapevi che io sono un uomo severo, che prendo quello che non ho depositato e che mieto quello che non ho seminato?».

Lo stesso in Mt 25, 26:

«Ma rispondendo il suo Signore gli disse: Servo malvagio e poltrone [...] Sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso?».

Come dire: «Ma chi te lo ha insegnato?!».

Il Signore ribadisce con forza che quel concetto deforme del Cielo a punti può incidere in modo negativo sulle linee portanti della personalità, e rovinare l’esistenza delle persone. In specie se la Libertà e il rischio dell’Amore vengono percepite come fossero una colpa - comunque un pericolo di peccato che potrebbe condurre allo stato spirituale deleterio di non essere più considerati (dalla religiosità tradizionale) “in grazia di Dio”.

 

Le religioni antiche avevano bisogno di seguaci anche immaturi e ottusi, senza nerbo - i quali si accontentano poi di evitare pericoli, e s’attaccavano alle piccine sicurezze del tran tran d’ogni giorno.

Invece, il Padre desidera cuori dilatati, che intraprendono e rischiano per amore, e per l’amore.

Se il Dio della pietà popolare necessita di greggi talora ottuse e servili, Cristo ha bisogno di amici, famigliari e collaboratori temerari, capaci di camminare sulle loro gambe, che non disumanizzano (anche gli altri).

In tal guisa, oggi, la pastorale del consenso [io ti dò ciò che tu vuoi] presuppone masse ubbidienti e devote, deprivate di personalità e sogni.

Invece il Signore vuole Famiglia, dove nessuno è allarmato, tenuto a freno, bloccato, messo in buca. Magari per timore di perdere la quiete famigliare, il posticino che ha, le finte sicurezze che si è ritagliato o preso in elemosina.

Papa Francesco ad es. non vuole che le conquiste ci spaventino e trattengano, ma che da consanguinei del nostro lato eterno, siamo i primi a vibrare d'ideali profetici. E speronare le false convinzioni che non inquietano - anzi, ci mettono in letargo - per stimolare ambiti ideali più grandiosi per qualità d’umanizzazione.

Anche il poco che ciascuno ha in dote può essere investito - attraverso un contributo da porgere, a disposizione di tutti.

Ciò è quel che avviene nella comunità che ci valorizza: la Chiesa ministeriale [«banca» del v.27] che proietta e dilata all’infinito le risorse, il Pane spezzato, i “beni” del Regno di Dio.

Ciò che promuove le persone e rivela la Presenza di Dio è personale e unico, tuttavia non deve permanere come raro.

Ciascuno ha un’occasione di apostolato, la sua attitudine d’amicizia e sue competenze… sono territori ed energie da esplorare senza limiti, affinché vengano condivise, rese sapienziali e propulsive.

Come ha dichiarato il Pontefice:

«L'incapacità degli esperti di vedere i segni dei tempi è dovuta al fatto che sono chiusi nel loro sistema; sanno cosa si può e non si può fare, e stanno sicuri lì. Interroghiamoci: sono aperto solo alle mie cose e alle mie idee, oppure sono aperto al Dio delle sorprese?».

Chiunque si aggiorna, si confronta, s’interessa e dà un contributo - senza farsi travolgere dalla routine, dal timore, dalla fatica - vede la propria ricchezza umana e spirituale crescere e fiorire.

Viceversa, nessuno si sorprenderà che le situazioni di retroguardia o astratte e disincarnate - estenuanti, benché in sé fiacche, esaurite, prive di spina dorsale e solo noiose ovvero fantasiose - subiscano ulteriori flessioni e infine periscano senza lasciare rimpianti (vv.27-30).

 

In queste catechesi del capitolo 25 l’evangelista Mt cerca di far comprendere, aiutare e fare da molla alle sue comunità, ricordando che Gesù stesso non era sotto scorta, ma una figura coinvolta, volenterosa.

Non lasciava correre, ma entrava dentro, in merito alle questioni - né diceva: ma che figura ci faccio?

Neppure ha voluto limitarsi a lottare per un cambiamento giuridico apprezzabile e necessario - ma standosene a distanza di sicurezza.

Ha invece incarnato il dono di sé, tracciando la Via della scelta sociale in prima persona, con arduità d’intraprenderla; senza nulla collocare in cassaforte, per timore.

Parafrasando l’enciclica Fratelli Tutti (n.262) diremmo: sapeva che neppure le norme erano sufficienti «se si pensa che la soluzione ai problemi consista nel dissuadere mediante la paura».

Il Signore infatti frequentava i fuori del giro e le figure intermedie; si teneva alla larga dagli ambienti invidiosi e con la puzza sotto il naso. Agiva in modo laborioso, “artigianale” (FT n.217) e mettendoci la faccia; non predicava agli altri ex cathedra.

 

Aveva alternative?

Certo: non muoversi, non custodire i minimi, non proteggerli, limitarsi, tenere la bocca chiusa; eventualmente aprirla, ma solo per adulare i potenti, gli affermati e ben introdotti.

Rinunciando a lottare e intraprendere vie tortuose, non avrebbe avuto problemi.

E se alla mediocrità comune delle guide spirituali del tempo avesse aggiunto l'omertà, avrebbe potuto benissimo fare carriera.

Ma anche per noi: il gioco al ribasso e sul sicuro atrofizza la vita personale e sociale, non fa crescere un nuovo Regno - lo perde.

 

 

 

In tutti, qualcosa di uguale e disuguale

 

Il Vangelo […] è la parabola dei talenti, tratta da san Matteo (25,14-30). Racconta di un uomo che, prima di partire per un viaggio, convoca i servitori e affida loro il suo patrimonio in talenti, monete antiche di grandissimo valore. Quel padrone affida al primo servitore cinque talenti, al secondo due, al terzo uno. Durante l’assenza del padrone, i tre servitori devono far fruttare questo patrimonio. Il primo e il secondo servitore raddoppiano ciascuno il capitale di partenza; il terzo, invece, per paura di perdere tutto, seppellisce il talento ricevuto in una buca. Al ritorno del padrone, i primi due ricevono la lode e la ricompensa, mentre il terzo, che restituisce soltanto la moneta ricevuta, viene rimproverato e punito.

E’ chiaro il significato di questo. L’uomo della parabola rappresenta Gesù, i servitori siamo noi e i talenti sono il patrimonio che il Signore affida a noi. Qual è il patrimonio? La sua Parola, l’Eucaristia, la fede nel Padre celeste, il suo perdono… insomma, tante cose, i suoi beni più preziosi. Questo è il patrimonio che Lui ci affida. Non solo da custodire, ma da far crescere! Mentre nell’uso comune il termine “talento” indica una spiccata qualità individuale – ad esempio talento nella musica, nello sport, eccetera –, nella parabola i talenti rappresentano i beni del Signore, che Lui ci affida perché li facciamo fruttare. La buca scavata nel terreno dal «servo malvagio e pigro» (v. 26) indica la paura del rischio che blocca la creatività e la fecondità dell’amore. Perché la paura dei rischi dell’amore ci blocca. Gesù non ci chiede di  conservare la sua grazia in cassaforte! Non ci chiede questo Gesù, ma vuole che la usiamo a vantaggio degli altri. Tutti i beni che noi abbiamo ricevuto sono per darli agli altri, e così crescono. È come se ci dicesse: “Eccoti la mia misericordia, la mia tenerezza, il mio perdono: prendili e fanne largo uso”. E noi che cosa ne abbiamo fatto? Chi abbiamo “contagiato” con la nostra fede? Quante persone abbiamo incoraggiato con la nostra speranza? Quanto amore abbiamo condiviso col nostro prossimo? Sono domande che ci farà bene farci. Qualunque ambiente, anche il più lontano e impraticabile, può diventare luogo dove far fruttificare i talenti. Non ci sono situazioni o luoghi preclusi alla presenza e alla testimonianza cristiana. La testimonianza che Gesù ci chiede non è chiusa, è aperta, dipende da noi.

Questa parabola ci sprona a non nascondere la nostra fede e la nostra appartenenza a Cristo, a non seppellire la Parola del Vangelo, ma a farla circolare nella nostra vita, nelle relazioni, nelle situazioni concrete, come forza che mette in crisi, che purifica, che rinnova. Così pure il perdono, che il Signore ci dona specialmente nel Sacramento della Riconciliazione: non teniamolo chiuso in noi stessi, ma lasciamo che sprigioni la sua forza, che faccia cadere muri che il nostro egoismo ha innalzato, che ci faccia fare il primo passo nei rapporti bloccati, riprendere il dialogo dove non c’è più comunicazione… E così via. Fare che questi talenti, questi regali, questi doni che il Signore ci ha dato, vengano per gli altri, crescano, diano frutto, con la nostra testimonianza.

Credo che oggi sarebbe un bel gesto che ognuno di voi prendesse il Vangelo a casa, il Vangelo di San Matteo, capitolo 25, versetti dal 14 al 30, Matteo 25, 14-30, e leggere questo, e meditare un po’: “I talenti, le ricchezze, tutto quello che Dio mi ha dato di spirituale, di bontà, la Parola di Dio, come faccio che crescano negli altri? O soltanto li custodisco in cassaforte?”.

E inoltre Il Signore non dà a tutti le stesse cose e nello stesso modo: ci conosce personalmente e ci affida quello che è giusto per noi; ma in tutti, in tutti c’è qualcosa di uguale: la stessa, immensa fiducia. Dio si fida di noi, Dio ha speranza in noi! E questo è lo stesso per tutti. Non deludiamolo! Non lasciamoci ingannare dalla paura, ma ricambiamo fiducia con fiducia! La Vergine Maria incarna questo atteggiamento nel modo più bello e più pieno. Ella ha ricevuto e accolto il dono più sublime, Gesù in persona, e a sua volta lo ha offerto all’umanità con cuore generoso. A Lei chiediamo di aiutarci ad essere “servi buoni e fedeli”, per partecipare “alla gioia del nostro Signore”.

(Papa Francesco, Angelus 16 novembre 2014)

Venerdì, 22 Agosto 2025 06:10

A nessuno fa mancare il dono dell’amore

Nella celebre parabola dei talenti – riportata dall’evangelista Matteo (cfr 25,14-30) – Gesù racconta di tre servi ai quali il padrone, al momento di partire per un lungo viaggio, affida le proprie sostanze. Due di loro si comportano bene, perché fanno fruttare del doppio i beni ricevuti. Il terzo, invece, nasconde il denaro ricevuto in una buca. Tornato a casa, il padrone chiede conto ai servitori di quanto aveva loro affidato e, mentre si compiace dei primi due, rimane deluso del terzo. Quel servo, infatti, che ha tenuto nascosto il talento senza valorizzarlo, ha fatto male i suoi conti: si è comportato come se il suo padrone non dovesse più tornare, come se non ci fosse un giorno in cui gli avrebbe chiesto conto del suo operato. Con questa parabola, Gesù vuole insegnare ai discepoli ad usare bene i suoi doni: Dio chiama ogni uomo alla vita e gli consegna dei talenti, affidandogli nel contempo una missione da compiere. Sarebbe da stolti pensare che questi doni siano dovuti, così come rinunciare ad impiegarli sarebbe un venir meno allo scopo della propria esistenza. Commentando questa pagina evangelica, san Gregorio Magno nota che a nessuno il Signore fa mancare il dono della sua carità, dell’amore. Egli scrive: “È perciò necessario, fratelli miei, che poniate ogni cura nella custodia della carità, in ogni azione che dovete compiere” (Omelie sui Vangeli 9,6). E dopo aver precisato che la vera carità consiste nell’amare tanto gli amici quanto i nemici, aggiunge: “se uno manca di questa virtù, perde ogni bene che ha, è privato del talento ricevuto e viene buttato fuori, nelle tenebre” (ibidem).

Cari fratelli, accogliamo l’invito alla vigilanza, a cui più volte ci richiamano le Scritture! Essa è l’atteggiamento di chi sa che il Signore ritornerà e vorrà vedere in noi i frutti del suo amore. La carità è il bene fondamentale che nessuno può mancare di mettere a frutto e senza il quale ogni altro dono è vano (cfr 1 Cor 13,3). Se Gesù ci ha amato al punto da dare la sua vita per noi (cfr 1 Gv 3,16), come potremmo non amare Dio con tutto noi stessi e amarci di vero cuore gli uni gli altri? (cfr 1 Gv 4,11) Solo praticando la carità, anche noi potremo prendere parte alla gioia del nostro Signore. La Vergine Maria ci sia maestra di operosa e gioiosa vigilanza nel cammino verso l’incontro con Dio.

[Papa Benedetto, Angelus 13 novembre 2011]

Venerdì, 22 Agosto 2025 06:04

Doti e Doni

1. “Bene, servo buono e fedele, sei rimasto fedele nel poco, ti darò autorità su molto, prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25, 23).

Avvicinandosi il termine dell’anno liturgico, la Chiesa ci fa ascoltare le parole del Signore che ci invitano a vegliare nell’attesa della parusia. Ad essa dobbiamo prepararci con una risposta semplice, ma decisa, all’appello di conversione, che Gesù ci rivolge chiamandoci a vivere il Vangelo come tensione, speranza, attesa.

Oggi, nell’odierna liturgia, il Redentore ci parla con la parabola dei talenti, per mostrarci come chi aderisce a lui nella fede e vive operosamente nell’attesa del suo ritorno, è paragonabile al “servo buono e fedele”, che in modo intelligente, alacre e fruttuoso cura l’amministrazione del padrone lontano.

Che cosa significa talento? In senso letterale indica una moneta di grande valore usata ai tempi di Gesù. In senso traslato vuol dire “le doti”, che sono partecipate a ogni uomo concreto: il complesso delle qualità, di cui un soggetto personale, nella sua interezza psicofisica, viene dotato “dalla natura”.

Tuttavia la parabola mette in evidenza che queste capacità sono al tempo stesso un dono del Creatore “dato”, trasmesso ad ogni uomo.

Queste “doti” sono diverse e multiformi. Ce lo conferma l’osservazione della vita umana, in cui si vede la molteplicità e la ricchezza dei talenti che sono negli uomini.

Il racconto di Gesù sottolinea con fermezza che ogni “talento” è una chiamata e un obbligo ad un lavoro determinato, inteso nel duplice significato di lavoro su se stessi e di lavoro per gli altri. Afferma, cioè, la necessità di un’ascesi personale unita all’operosità in favore del fratello.

4. Frequentemente i doni che Dio pone nel nostro essere sono talenti difficili, ma non possono essere sprecati né per disistima, né per disobbedienza, né tantomeno perché sono faticosi. La croce per Cristo non fu motivo di obiezione alla volontà del Padre, ma la condizione, il talento supremo, con il quale “morendo ha distrutto la morte e risorgendo ci ha ridonato la vita” (Prefazio pasquale). Perciò io chiedo a tutti voi, e in particolare ai malati, ai sofferenti, ai portatori di handicap, di rendere fruttuoso, mediante la preghiera e l’offerta, il difficile talento, l’impegnativo talento ricevuto.

Tenete sempre presente che l’invocazione, le preghiere e la libera accettazione delle fatiche e delle pene della vita, vi permettono di raggiungere tutti gli uomini e di contribuire alla salvezza di tutto il mondo.

5. Questo lavoro su di sé, che porta frutto a tutti gli uomini, ha la sua radice nel Battesimo, il quale ha dato inizio in ciascuno di voi alla vita nuova, mediante il dono soprannaturale della grazia e la liberazione dal peccato originale. Con tale sacramento, che vi ha resi figli di Dio, avete ricevuto quelle “doti”, che costituiscono un’autentica ricchezza interiore della vita in Cristo.

Incorporati a Gesù, conformati a lui, siete chiamati come membra vive a contribuire con tutte le vostre forze e attitudini all’incremento della vostra parrocchia, che è la porta della Chiesa romana-universale.

I talenti ricevuti con il Battesimo sono pure una chiamata alla cooperazione con la grazia, che implica un dinamismo inerente alla vita cristiana e una crescita graduale e costante in quella maturità, che viene formata dalla fede, dalla speranza, dalla carità e dai doni dello Spirito Santo.

Tale collaborazione si compie soprattutto in quel centro di comunione che è la parrocchia, comunità di uomini e donne, che mettono le loro varie capacità a servizio della crescita personale e dei fratelli vicini e lontani.

La parrocchia è Chiesa: comunità di uomini che devono sviluppare in se stessi “i talenti del Battesimo”. Tutta la sua struttura, favorendo e garantendo un apostolato comunitario, soprattutto attraverso la liturgia, la catechesi e la carità, fonde insieme le molteplici differenze umane che vi si trovano e permette che ognuno, secondo le capacità che possiede, dia fraternamente il suo contributo a ogni iniziativa missionaria della sua famiglia ecclesiale (cf. Apostolicam Actuositatem, 10).

6. La parabola dell’odierno Vangelo parla pure di un talento “nascosto sottoterra”, non utilizzato.

“Colui che aveva ricevuto un solo talento disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso, per paura andai a nascondere il tuo talento sottoterra; ecco qui il tuo talento” (Mt 25, 24-25). Quest’ultimo servo che ha ricevuto un solo talento mostra come si comporta l’uomo quando non vive un’operosa fedeltà nei confronti di Dio. Prevale la paura, la stima di sé, l’affermazione dell’egoismo, che cerca di giustificare il proprio comportamento con la pretesa ingiusta del padrone, che miete dove non ha seminato.

Questo atteggiamento implica da parte del Signore una punizione, perché quell’uomo è venuto meno alla responsabilità che gli era stata chiesta, e, così facendo, non ha portato a compimento ciò che la volontà di Dio esigeva, con la conseguenza sia di non realizzare se stesso, sia di non essere di utilità a nessuno.

Invece il lavoro su di sé e per il mondo è qualcosa che deve impegnare concretamente il vero discepolo di Cristo. Nelle varie e specifiche situazioni in cui il cristiano è posto, egli deve saper discernere ciò che Dio vuole da lui ed eseguirlo con quella gioia, che poi Gesù rende piena ed eterna.

7. Carissimi fratelli e sorelle, vi esorto ad unirvi con tutto il vostro spirito al sacrificio di Cristo, alla liturgia eucaristica, che rappresenta ogni volta la presenza del Salvatore nella vostra comunità.

Perseverate nell’essere e nel diventare sempre più un cuor solo e un’anima sola, per accogliere ogni giorno tra voi Cristo. Che egli entri in voi, e rimanga in voi, per portarvi la sua pienezza.

Che la Madre di Dio, Santa Maria del Popolo, introduca Gesù nella vostra comunità e l’aiuti a rimanere con il suo Figlio, per portare molto frutto.

Ecco la sintesi dell’insegnamento racchiuso nella parabola dei talenti, che insieme abbiamo ascoltato e meditato: per avere la pienezza della vita e portare frutto occorre, con appassionata vigilanza, compiere la volontà di Dio e rimanere in Cristo, con preghiera supplice e adorante.

Rimaniamo in lui! Rimaniamo in Gesù Cristo!

Rimaniamo mediante tutti i talenti della nostra anima e del nostro corpo!

Mediante i talenti della grazia santificante e operante!

Mediante tutti i talenti che comporta la partecipazione alla parola di Dio e ai sacramenti, soprattutto nell’Eucaristia!

Rimaniamo!

Rimaniamo per dare molto frutto!

[Papa Giovanni Paolo II, omelia 18 novembre 1984]

Il Vangelo ci presenta la parabola dei talenti (cfr Mt 25,14-30). Un uomo, prima di partire per un viaggio, consegna ai suoi servi dei talenti, che a quel tempo erano monete di notevole valore: a un servo cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno. Il servo che ha ricevuto cinque talenti è intraprendente e li fa fruttare guadagnandone altri cinque. Allo stesso modo si comporta il servo che ne ha ricevuti due, e ne procura altri due. Invece il servo che ne ha ricevuto uno, scava una buca nel terreno e vi nasconde la moneta del suo padrone.

È questo stesso servo che spiega al padrone, al suo ritorno, il motivo del suo gesto, dicendo: «Signore, io so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra» (vv. 24-25). Questo servo non ha col suo padrone un rapporto di fiducia, ma ha paura di lui, e questa lo blocca. La paura immobilizza sempre e spesso fa compiere scelte sbagliate. La paura scoraggia dal prendere iniziative, induce a rifugiarsi in soluzioni sicure e garantite, e così si finisce per non realizzare niente di buono. Per andare avanti e crescere nel cammino della vita, non bisogna avere paura, bisogna avere fiducia.

Questa parabola ci fa capire quanto è importante avere un’idea vera di Dio. Non dobbiamo pensare che Egli sia un padrone cattivo, duro e severo che vuole punirci. Se dentro di noi c’è questa immagine sbagliata di Dio, allora la nostra vita non potrà essere feconda, perché vivremo nella paura e questa non ci condurrà a nulla di costruttivo, anzi, la paura ci paralizza, ci autodistrugge. Siamo chiamati a riflettere per scoprire quale sia veramente la nostra idea di Dio. Già nell’Antico Testamento Egli si è rivelato come «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6). E Gesù ci ha sempre mostrato che Dio non è un padrone severo e intollerante, ma un padre pieno di amore, di tenerezza, un padre pieno di bontà. Pertanto possiamo e dobbiamo avere un’immensa fiducia in Lui.

Gesù ci mostra la generosità e la premura del Padre in tanti modi: con la sua parola, con i suoi gesti, con la sua accoglienza verso tutti, specialmente verso i peccatori, i piccoli e i poveri – come oggi ci ricorda la 1ª Giornata Mondiale dei Poveri –; ma anche con i suoi ammonimenti, che rivelano il suo interesse perché noi non sprechiamo inutilmente la nostra vita. È segno infatti che Dio ha grande stima di noi: questa consapevolezza ci aiuta ad essere persone responsabili in ogni nostra azione. Pertanto, la parabola dei talenti ci richiama a una responsabilità personale e a una fedeltà che diventa anche capacità di rimetterci continuamente in cammino su strade nuove, senza “sotterrare il talento”, cioè i doni che Dio ci ha affidato, e di cui ci chiederà conto.

La Vergine Santa interceda per noi, affinché restiamo fedeli alla volontà di Dio facendo fruttificare i talenti di cui ci ha dotato. Così saremo utili agli altri e, nell’ultimo giorno, saremo accolti dal Signore, che ci inviterà a prendere parte alla sua gioia.

[Papa Francesco, Angelus 19 novembre 2017]

(Mc 6,17-29)

 

La domanda «Gesù, Chi è?» cresce lungo tutto il Vangelo di Mc, sino alla risposta del centurione sotto la Croce (Mc 15,39).

Il bilancio sulle opinioni della gente (vv.14-16) lascia intendere che anche attorno alle prime assemblee di credenti qualcuno tentava di comprendere Cristo a partire da quanto si sapeva già.

Non pochi desideravano capire la sua Persona sulla base di criteri tratti dalle Scritture o dalla Tradizione anche orale del popolo eletto; dalle credenze e suggestioni antiche - persino superstiziose [come nel caso di Erode].

Ma l’Araldo di Dio non è stato un purificatore del Tempio, né semplice rabberciatore della religiosità datata, d’idee culturali addomesticate. Neppure uno dei tanti “riformatori”… tutto sommato conformisti.

Egli capovolge le speranze del popolo, così inquieta qualsiasi scuola di pensiero; in particolare, coloro che detengono l’esclusiva.

 

Quando avverte un pericolo, chi è avvolto di lustro e potere diventa sfrontato e disposto a ogni violenza, anche per un falso punto d’onore.

I tiranni si fanno sempre beffe dell’isolato, scomodo e indifeso.

Ma capi e potenti sono anche vigliacchi: non intendono perdere la faccia davanti agli alleati del loro ambiente smodato e senza controllo, ammantato di esenzioni.

Giuseppe Flavio riferisce che Giovanni era in prigione per timore del sovrano di una sommossa popolare - e stava valutando che fosse bene per lui agire in anticipo.

La trama dell’assassinio è stata occasionale.

 

Il coraggioso che denuncia soprusi viene stroncato, ma la Voce del suo martirio non tace più.

Per questo motivo l’episodio non induce Gesù a maggiore prudenza. Ucciso un inviato, subentra un altro maggiore e più incisivo: all’ultimo dei Profeti, il Figlio di Dio.

Sembrava assurdo che in quella società qualcuno osasse infrangere il muro omertoso che garantiva ai facinorosi di considerarsi intoccabili.

Di fronte al ricatto [senza troppi complimenti] dei privilegiati che avevano il controllo d’ogni ceto sociale e culturale, pareva impossibile iniziare un nuovo cammino, o dire e fare qualsiasi cosa non allineata.

Giovanni e Gesù sfidano lo status quo e attraggono su di sé le vendette di coloro che tentano di perpetuare le prerogative del cosmo gerarchico antico, e le rabbie di quanti vengono smascherati nelle loro ipocrisie.

È la difficoltà reale che incontra l’Annuncio del nuovo Regno nel mondo. Il suo rifiuto sprezzante e ogni tentativo di omicidio saranno una cartina al tornasole d’una nostra nobile franchezza critica, la cui ‘rivelazione’ correrà parallela ai Due.

 

Il Maestro si è eretto in difesa della coscienza e della stessa legge divina, contro le autorità opportuniste, che ha sfidato a viso aperto.

Anche oggi chiede coraggio di non piegarsi di fronte alla corruzione, al male, alla mentalità corrente; di essere diversi nel modo di pensare, di parlare, di scegliere e agire.

Non ascoltati, derisi, osteggiati da molti cortigiani, i figli di Dio rendono testimonianza alla Verità, pagando di persona: perfetta Letizia.

Autentica Pienezza.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Chi è Gesù secondo te e gli altri?

 

 

[Martirio di s. Giovanni Battista, 29 agosto]

(Mc 6,17-29)

 

La domanda «Gesù, Chi è?» cresce lungo tutto il Vangelo di Mc, sino alla risposta del centurione sotto la Croce (Mc 15,39).

Il bilancio delle opinioni della gente (Mt 14,1-2; Mc 6,14-16; Lc 9,7-9) lascia intendere che anche attorno alle prime assemblee di credenti si tentava di capire Cristo a partire da quanto si sapeva già [dai criteri delle Scritture e della tradizione, dalle credenze e suggestioni antiche - persino superstiziose].

Ma l’uomo di Dio non è semplice purificatore del Tempio, né un rabberciatore della religiosità conformista. Egli capovolge le speranze popolaresche, emotive o standard.

In tal guisa, ogni Profeta inquieta tutti coloro che detengono l’esclusiva.

 

Quando avverte un pericolo, chi è ammantato di lustro e potere diventa sfrontato e disposto a ogni violenza, anche per un falso punto d’onore.

I tiranni si fanno sempre beffe dell’isolato, scomodo e indifeso, ma capi e potenti sono anche vigliacchi: non intendono perdere la faccia davanti agli alleati del loro ambiente smodato e senza controllo, ammantato di esenzioni.

Durante più di 40 anni di regno, Erode Antipa aveva creato una classe di funzionari e un sistema di privilegiati che avevano in pugno il governo,  il fisco, l’economia, la giustizia, ogni aspetto della vita civile e di polizia, e il suo comando copriva capillarmente il territorio.

In ogni villaggio il sovrano poteva contare sull’appoggio di tutte le cricche e dei vari leaders locali, interessati al controllo delle coscienze - insieme a scribi e farisei compromessi, legati alla sua politica.

Oltre che fantoccio di Roma - cui garantiva il controllo del territorio e il flusso delle imposte - Erode era un depravato e superstizioso: pensava che perfino il giuramento leggero a una ballerina andasse mantenuto.

Giuseppe Flavio riferisce invece che Giovanni era in prigione per il timore del sovrano di una sommossa popolare - e stava valutando che fosse bene per lui agire in anticipo. La trama dell’assassinio è stata probabilmente occasionale.

 

Il coraggioso che denuncia soprusi viene stroncato, ma la voce del suo martirio non tacerà più.

Per questo motivo l’episodio non induce Gesù a maggiore prudenza. Ucciso un profeta, subentra un altro maggiore e più incisivo: all’ultimo dei Profeti, il Figlio di Dio.

I delinquenti non devono illudersi che la Provvidenza non sappia equipaggiare anche le alte sfere (e più smidollate) del contraltare di persone coerenti e valide.

Sia Giovanni che il Signore non hanno mai frequentato la nuova capitale erodiana, Tiberiade, la città dei palazzi di corte, costruita - dopo Sefforis, dove anche Gesù ha lavorato - in diplomatico omaggio all’imperatore romano.

La religiosità generica e confusionaria può adattarsi a ogni stagione ed esser fatta propria anche da chi pensa che la vita altrui non valga nulla, ma un Profeta non si arresta di fronte al capriccio del sistema corrotto.

 

Nei villaggi palestinesi la vita della gente era vessata di tasse e abusi di latifondisti [che neppure risiedevano in loco]; controllata dal perfetto connubio d’interessi fra potere civile e religioso - che in modo astuto tentavano d’imporre il loro stile di vita e trasmettere alle folle un sapere (inutile) ormai consolidato.

I leaders della fede popolare, ortodossa e confacente - come spesso capita - erano a guinzaglio delle autorità sul territorio, le quali si consideravano definitive e trovavano forza nella coalizione.

Sembrava assurdo che in quella società qualcuno osasse infrangere il muro omertoso il quale garantiva ai facinorosi, alle autorità “spirituali” e ai prepotenti persino d’infimo livello di considerarsi intoccabili.

Di fronte al ricatto [senza troppi complimenti] dei privilegiati che avevano il controllo d’ogni ceto sociale e culturale, pareva impossibile iniziare un nuovo cammino, o dire e fare qualsiasi cosa non allineata.

Giovanni e Gesù sfidano lo status quo e attraggono su di sé le vendette di coloro che tentano di perpetuare le prerogative del cosmo gerarchico antico, e le rabbie di quanti vengono smascherati nelle loro ipocrisie.

È la difficoltà reale che incontra l’Annuncio del nuovo Regno nel mondo. Il suo rifiuto sprezzante e ogni tentativo di omicidio saranno una cartina al tornasole della profezia critica, la cui rivelazione correrà parallela ai Due.

 

Il Battezzatore è stato un intrepido denunciatore del vizio, della superficialità, del malcostume, delle perversioni dei potenti.

Papa Francesco avrebbe parlato di buone maniere (nella ricerca di alleanze di cordata) e pessime abitudini - nella vita privata irresponsabile e insulsa, e nella violenza con cui si perpetua il dominio sui piccoli.

Anche Gesù ha puntato i piedi, invece di fare carriera interna. Malgrado il presagio di Giovanni, ha rifiutato la strada delle astuzie soppesate, della finzione, della diplomazia e delle piroette di circostanza.

Il Maestro si è eretto in difesa della coscienza e della stessa legge divina, contro le autorità religiose e politiche opportuniste, che ha sfidato a viso aperto.

 

Il Signore chiede il coraggio di non piegarsi di fronte alla corruzione, al male, alla mentalità corrente; di essere diversi nel modo di pensare, di parlare (mellifluo), di scegliere e agire.

Non ascoltati, derisi, osteggiati da signori, luminari e cortigiani, i figli di Dio rendono testimonianza alla Verità, pagando di persona: perfetta Letizia.

Autentica Pienezza.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Conosci vittime di autoritarismo, corruzione, dominio di potenti, eccesso e strafottenza di potere? Anche nella Chiesa?

Come mai ancora capita questo (e tutto prima o poi vien messo a tacere)?

Chi è Gesù secondo te e gli altri? E che direbbe?

Giovedì, 21 Agosto 2025 04:35

Il martirio di San Giovanni Battista

Cari fratelli e sorelle,

[…] ricorre la memoria liturgica del martirio di san Giovanni Battista, il precursore di Gesù. Nel Calendario Romano, è l’unico Santo del quale si celebra sia la nascita, il 24 giugno, sia la morte avvenuta attraverso il martirio. Quella odierna è una memoria che risale alla dedicazione di una cripta di Sebaste, in Samaria, dove, già a metà del secolo IV, si venerava il suo capo. Il culto si estese poi a Gerusalemme, nelle Chiese d’Oriente e a Roma, col titolo di Decollazione di san Giovanni Battista. Nel Martirologio Romano, si fa riferimento ad un secondo ritrovamento della preziosa reliquia, trasportata, per l’occasione, nella chiesa di S. Silvestro a Campo Marzio, in Roma.

Questi piccoli riferimenti storici ci aiutano a capire quanto antica e profonda sia la venerazione di san Giovanni Battista. Nei Vangeli risalta molto bene il suo ruolo in riferimento a Gesù. In particolare, san Luca ne racconta la nascita, la vita nel deserto, la predicazione, e san Marco ci parla della sua drammatica morte nel Vangelo di oggi. Giovanni Battista inizia la sua predicazione sotto l’imperatore Tiberio, nel 27-28 d.C., e il chiaro invito che rivolge alla gente accorsa per ascoltarlo, è quello a preparare la via per accogliere il Signore, a raddrizzare le strade storte della propria vita attraverso una radicale conversione del cuore (cfr Lc 3, 4). Però il Battista non si limita a predicare la penitenza, la conversione, ma, riconoscendo Gesù come «l’Agnello di Dio» venuto a togliere il peccato del mondo (Gv 1, 29), ha la profonda umiltà di mostrare in Gesù il vero Inviato di Dio, facendosi da parte perché Cristo possa crescere, essere ascoltato e seguito. Come ultimo atto, il Battista testimonia con il sangue la sua fedeltà ai comandamenti di Dio, senza cedere o indietreggiare, compiendo fino in fondo la sua missione. San Beda, monaco del IX secolo, nelle sue Omelie dice così: San Giovanni Per [Cristo] diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, gli fu ingiunto solo di tacere la verità. (cfr Om. 23: CCL 122, 354). E non taceva la verità e così morì per Cristo che è la Verità. Proprio per l’amore alla verità, non scese a compromessi e non ebbe timore di rivolgere parole forti a chi aveva smarrito la strada di Dio.

Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio, dalla preghiera, che è il filo conduttore di tutta la sua esistenza. Giovanni è il dono divino lungamente invocato dai suoi genitori, Zaccaria ed Elisabetta (cfr Lc 1,13); un dono grande, umanamente insperabile, perché entrambi erano avanti negli anni ed Elisabetta era sterile (cfr Lc 1,7); ma nulla è impossibile a Dio (cfr Lc 1,36). L’annuncio di questa nascita avviene proprio nel luogo della preghiera, al tempio di Gerusalemme, anzi avviene quando a Zaccaria tocca il grande privilegio di entrare nel luogo più sacro del tempio per fare l’offerta dell’incenso al Signore (cfr Lc 1,8-20). Anche la nascita del Battista è segnata dalla preghiera: il canto di gioia, di lode e di ringraziamento che Zaccaria eleva al Signore e che recitiamo ogni mattina nelle Lodi, il «Benedictus», esalta l’azione di Dio nella storia e indica profeticamente la missione del figlio Giovanni: precedere il Figlio di Dio fattosi carne per preparargli le strade (cfr Lc 1,67-79). L’esistenza intera del Precursore di Gesù è alimentata dal rapporto con Dio, in particolare il periodo trascorso in regioni deserte (cfr Lc 1,80); le regioni deserte che sono luogo della tentazione, ma anche luogo in cui l’uomo sente la propria povertà perché privo di appoggi e sicurezze materiali, e comprende come l’unico punto di riferimento solido rimane Dio stesso. Ma Giovanni Battista non è solo uomo di preghiera, del contatto permanente con Dio, ma anche una guida a questo rapporto. L’Evangelista Luca riportando la preghiera che Gesù insegna ai discepoli, il «Padre nostro», annota che la richiesta viene formulata dai discepoli con queste parole: «Signore insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (cfr Lc 11,1).

Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio. La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche, ma è esattamente il contrario: solo se se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio. San Giovanni Battista interceda per noi, affinché sappiamo conservare sempre il primato di Dio nella nostra vita. Grazie.

[Papa Benedetto, Udienza Generale 29 agosto 2012]

Giovedì, 21 Agosto 2025 04:29

Scorrere attraverso l’uomo interiore

Il primo e principale significato della penitenza è interiore, spirituale. Il principale sforzo della penitenza consiste “nell’entrare in se stesso”, nella propria entità più profonda, entrare in questa dimensione della propria umanità in cui, in un certo senso, ci attende Dio. L’uomo “esteriore” deve – direi – cedere, in ognuno di noi, all’uomo “interiore” e, in un certo senso, “lasciargli il posto”. Nella vita corrente l’uomo non vive abbastanza “interiormente”. Gesù Cristo indica chiaramente che anche gli atti di devozione e di penitenza (come digiuno, elemosina, preghiera) che per la loro finalità religiosa sono principalmente “interiori”, possono cedere all’“esteriorismo” corrente, e quindi possono essere falsificati. Invece la penitenza, come conversione a Dio, richiede soprattutto che l’uomo respinga le apparenze, sappia liberarsi dalla falsità e ritrovarsi in tutta la sua verità interiore. Anche uno sguardo rapido, sommario, nel divino fulgore è già un successo. Bisogna però abilmente consolidare questo successo mediante un lavoro sistematico su se stessi. Tale lavoro viene chiamato “ascesi” (così lo avevano già denominato i Greci dei tempi delle origini del cristianesimo). Ascesi vuol dire sforzo interiore per non lasciarsi rapire e spingere dalle diverse correnti “esteriori”, così da rimanere sempre se stessi e conservare la dignità della propria umanità.

Però il Signore Gesù ci chiama a far ancora qualcosa di più. Quando dice “entra nella tua camera e chiudi la porta”, indica uno sforzo ascetico dello spirito umano, che non deve terminare nell’uomo stesso. Quel chiudersi è, nello stesso tempo, la più profonda apertura del cuore umano. È indispensabile allo scopo di incontrarsi col Padre, e per questo deve essere intrapreso. “Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. Qui si tratta di riacquistare la semplicità del pensiero, della volontà e del cuore, che è indispensabile per incontrarsi nel proprio “io” interiore con Dio. E Dio attende ciò, per avvicinarsi all’uomo internamente raccolto e nel contempo aperto alla sua parola e al suo amore! Dio desidera comunicarsi all’anima così disposta. Desidera donarle la verità e l’amore, che hanno in lui la vera sorgente.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 28 febbraio 1979]

Giovedì, 21 Agosto 2025 04:15

Strade parallele

Un uomo, Giovanni, e una strada, che è quella di Gesù, indicata dal Battista, ma è anche la nostra, nella quale tutti siamo chiamati al momento della prova.

Parte dalla figura di Giovanni, «il grande Giovanni: al dire di Gesù “l’uomo più grande nato da donna”» la riflessione di Papa Francesco nella messa celebrata a Santa Marta venerdì 6 febbraio. Il vangelo di Marco (6, 14-29) racconta della prigionia e del martirio di quest’«uomo fedele alla sua missione; l’uomo che ha sofferto tante tentazioni» e che «mai, mai ha tradito la sua vocazione». Un uomo «fedele» e «di grande autorità, rispettato da tutti: il grande di quel tempo».

Papa Francesco si è soffermato ad analizzare la sua figura: «Quello che gli usciva dalla bocca era giusto. Il suo cuore era giusto». Era tanto grande che «Gesù dirà anche di lui che “è Elia che è tornato, per pulire la casa, per preparare il cammino”». E Giovanni «era cosciente che il suo dovere era soltanto annunziare: annunziare la prossimità del Messia. Lui era cosciente, come ci fa riflettere sant’Agostino, che lui era la voce soltanto, la Parola era un altro». Anche quando «è stato tentato di “rapinare” questa verità, lui è rimasto giusto: “Io non sono, dietro di me viene, ma io non sono: io sono il servo; io sono il servitore; io sono quello che apre le porte, perché lui venga».

A questo punto il Pontefice ha introdotto il concetto di strada, perché, ha ricordato: «Giovanni è il precursore: precursore non solo della entrata del Signore nella vita pubblica, ma di tutta la vita del Signore». Il Battista «va avanti nel cammino del Signore; dà testimonianza del Signore non soltanto mostrandolo — “È questo!”— ma anche portando la vita fino alla fine come l’ha portata il Signore». E finendo la vita «col martirio» è stato «precursore della vita e della morte di Gesù Cristo».

Il Papa ha continuato a riflettere su queste strade parallele lungo le quali «il grande» soffre «tante prove e diventa piccolo, piccolo, piccolo, piccolo fino al disprezzo». Giovanni, come Gesù, «si annienta, conosce la strada dell’annientamento. Giovanni con tutta quella autorità, pensando alla sua vita, comparandola con quella di Gesù, dice alla gente chi è lui, come sarà la sua vita: “Conviene che lui cresca, io invece debbo diminuire”». È questa, ha sottolineato il Papa, «la vita di Giovanni: diminuire davanti a Cristo, perché Cristo cresca». È «la vita del servo che fa posto, fa strada perché venga il Signore».

La vita di Giovanni «non è stata facile»: infatti, «quando Gesù ha incominciato la sua vita pubblica», egli era «vicino agli Esseni, cioè agli osservanti della legge, ma anche delle preghiere, delle penitenze». Così, a un certo punto, nel periodo in cui era in carcere, «ha sofferto la prova del buio, della notte nella sua anima». E quella scena, ha commentato Francesco, «commuove: il grande, il più grande manda da Gesù due discepoli per domandargli: “Ma Giovanni ti domanda: sei tu o ho sbagliato e dobbiamo aspettare un altro?”». Lungo la strada di Giovanni si è affacciato quindi «il buio dello sbaglio, il buio di una vita bruciata nell’errore. E questa per lui è stata una croce».

Alla domanda di Giovanni «Gesù risponde con le parole di Isaia»: il Battista «capisce, ma il suo cuore rimane nel buio». Ciò nonostante si presta alle richieste del re, «al quale piaceva sentirlo, al quale piaceva portare avanti una vita adultera», e «quasi diventava un predicatore di corte, di questo re perplesso». Ma «lui si umiliava» perché «pensava di convertire quest’uomo».

Infine, ha detto il Papa, «dopo questa purificazione, dopo questo calare continuo nell’annientamento, facendo strada all’annientamento di Gesù, finisce la sua vita». Quel re da perplesso «diventa capace di una decisione, ma non perché il suo cuore sia stato convertito»; piuttosto «perché il vino gli dà coraggio».

E così Giovanni finisce la sua vita «sotto l’autorità di un re mediocre, ubriaco e corrotto, per il capriccio di una ballerina e per l’odio vendicativo di un’adultera». Così «finisce il grande, l’uomo più grande nato da donna», ha commentato Francesco che ha confessato: «Quando io leggo questo brano, mi commuovo». E ha aggiunto una considerazione utile alla vita spirituale di ogni cristiano: «Penso a due cose: primo, penso ai nostri martiri, ai martiri dei nostri giorni, quegli uomini, donne, bambini che sono perseguitati, odiati, cacciati via dalle case, torturati, massacrati». E questa, ha sottolineato, «non è una cosa del passato: oggi succede questo. I nostri martiri, che finiscono la loro vita sotto l’autorità corrotta di gente che odia Gesù Cristo». Perciò «ci farà bene pensare ai nostri martiri. Oggi pensiamo a Paolo Miki, ma quello è successo nel 1600. Pensiamo a quelli di oggi, del 2015».

Il Pontefice ha proseguito aggiungendo che questo brano lo spinge anche a riflettere su se stesso: «Anche io finirò. Tutti noi finiremo. Nessuno ha la vita “comprata”. Anche noi, volendo o non volendo, andiamo sulla strada dell’annientamento esistenziale della vita». E ciò, ha detto, lo spinge «a pregare che questo annientamento assomigli il più possibile a Gesù Cristo, al suo annientamento».

Si chiude così il cerchio della meditazione di Francesco: «Giovanni, il grande, che diminuisce continuamente fino al nulla; i martiri, che diminuiscono oggi, nella nostra Chiesa di oggi, fino al nulla; e noi, che siamo su questa strada e andiamo verso la terra, dove tutti finiremo». In questo senso la preghiera finale del Papa: «Che il Signore ci illumini, ci faccia capire questa strada di Giovanni, il precursore della strada di Gesù; e la strada di Gesù, che ci insegna come deve essere la nostra».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 07.02.2015]

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Isn’t the family just what the world needs? Doesn’t it need the love of father and mother, the love between parents and children, between husband and wife? Don’t we need love for life, the joy of life? (Pope Benedict)
Non ha forse il mondo bisogno proprio della famiglia? Non ha forse bisogno dell’amore paterno e materno, dell’amore tra genitori e figli, tra uomo e donna? Non abbiamo noi bisogno dell’amore della vita, bisogno della gioia di vivere? (Papa Benedetto)
Thus in communion with Christ, in a faith that creates charity, the entire Law is fulfilled. We become just by entering into communion with Christ who is Love (Pope Benedict)
Così nella comunione con Cristo, nella fede che crea la carità, tutta la Legge è realizzata. Diventiamo giusti entrando in comunione con Cristo che è l'amore (Papa Benedetto)
From a human point of view, he thinks that there should be distance between the sinner and the Holy One. In truth, his very condition as a sinner requires that the Lord not distance Himself from him, in the same way that a doctor cannot distance himself from those who are sick (Pope Francis))
Da un punto di vista umano, pensa che ci debba essere distanza tra il peccatore e il Santo. In verità, proprio la sua condizione di peccatore richiede che il Signore non si allontani da lui, allo stesso modo in cui un medico non può allontanarsi da chi è malato (Papa Francesco)
The life of the Church in the Third Millennium will certainly not be lacking in new and surprising manifestations of "the feminine genius" (Pope John Paul II)
Il futuro della Chiesa nel terzo millennio non mancherà certo di registrare nuove e mirabili manifestazioni del « genio femminile » (Papa Giovanni Paolo II)
And it is not enough that you belong to the Son of God, but you must be in him, as the members are in their head. All that is in you must be incorporated into him and from him receive life and guidance (Jean Eudes)
E non basta che tu appartenga al Figlio di Dio, ma devi essere in lui, come le membra sono nel loro capo. Tutto ciò che è in te deve essere incorporato in lui e da lui ricevere vita e guida (Giovanni Eudes)
This transition from the 'old' to the 'new' characterises the entire teaching of the 'Prophet' of Nazareth [John Paul II]
Questo passaggio dal “vecchio” al “nuovo” caratterizza l’intero insegnamento del “Profeta” di Nazaret [Giovanni Paolo II]
The Lord does not intend to give a lesson on etiquette or on the hierarchy of the different authorities […] A deeper meaning of this parable also makes us think of the position of the human being in relation to God. The "lowest place" can in fact represent the condition of humanity (Pope Benedict)
Il Signore non intende dare una lezione sul galateo, né sulla gerarchia tra le diverse autorità […] Questa parabola, in un significato più profondo, fa anche pensare alla posizione dell’uomo in rapporto a Dio. L’"ultimo posto" può infatti rappresentare la condizione dell’umanità (Papa Benedetto)
We see this great figure, this force in the Passion, in resistance to the powerful. We wonder: what gave birth to this life, to this interiority so strong, so upright, so consistent, spent so totally for God in preparing the way for Jesus? The answer is simple: it was born from the relationship with God (Pope Benedict)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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