don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Martedì, 18 Marzo 2025 06:59

Legge e Spirito

Felicità non scadente

(Mt 5,17-19)

 

Nelle prime comunità alcuni fedeli ritenevano che le norme del Primo Testamento non dovessero più essere considerate, in quanto siamo salvi per Fede e non per opere di Legge.

Altri accettavano Gesù come Messia, ma non sopportavano l’eccesso di libertà con la quale alcuni fratelli di chiesa vivevano la sua Presenza in Spirito. 

Ancora legati a un’estrazione ideale etnica, ritenevano che l’osservanza antica fosse obbligante.

Proprio con la scusa della “vita nello Spirito”, non mancavano credenti rapiti da un eccesso di fantasie (personali o di gruppo), ritenute “ispirate”.

Alcuni dalla mentalità facilona, incline a compromessi col potere, rinnegavano le Scritture ebraiche e si ritenevano sciolti dalla storia: non guardavano più la vicenda di Gesù.

 

Mt cerca un equilibrio fra emancipazione compromissoria e chiusura nelle osservanze, ritenendo che l’esperienza comunitaria potesse raggiungere un’armonia fra diverse sensibilità.

Egli scrive il suo Vangelo appunto per sostenere i convertiti alla Fede in Cristo nelle comunità di Galilea e Siria, accusati dai fratelli giudaizzanti di essere infedeli alla Torah.

L’evangelista chiarisce che Gesù stesso era stato accusato di gravi trasgressioni alla Legge di Mosè.

La freccia della Torah è stata scoccata nella giusta direzione, ma solo nello Spirito delle Beatitudini un’assemblea viva può ottenere slancio per raggiungere l’obbiettivo ideale: la Comunione.

 

Mt si preoccupa di sottolineare che le Scritture antiche, la vicenda storica di Gesù, e la vita nello Spirito, debbano essere valutati aspetti inseparabili di un unico disegno di salvezza.

Vissuti in sinergia, essi conducono alla coesistenza fruttuosa, e convivialità delle differenze.

Il Dio dei patriarchi si rende presente nella relazione d’amore delle comunità, per la Fede in Cristo che nei cuori dilata la sua stessa vita.

Il Vivente trasmette lo Spirito che sprona ogni creatività, supera le chiusure scostanti; apre, e invita.

Insomma, in noi Gesù di Nazaret diventa Corpo vivo - e il gusto di fare Lo manifesta (a partire dall’anima) in Persona e Fedeltà piena.

Il porgersi ai fratelli e l’andare a Dio diventa così per tutti agile, spontaneo, ricco e personalissimo: la Forza viene da dentro, non da idee comuni, retaggi, seduzioni, manierismi, o spinte esterne.

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

La legge su pietra è rimasta in te cosa rigida, oppure senti un impulso di Alleanza nuova?

Intuisci dentro un desiderio attualizzato e irresistibile di bene, che delle Scritture riscopre tutto, e dinamizza la Parola nei vari gusti del fare?

 

 

Demolire o Compiere

 

Di fronte ai precetti della Legge si manifestano atteggiamenti distanti.

Da un lato c’è chi dimostra attaccamento al senso materiale di quanto stabilito; dall’altro, omissione o disprezzo delle norme.

Gesù porgeva un insegnamento così nuovo e radicale da dare l’impressione di noncuranza e rifiuto della Legge. Ma in effetti, più che alle divergenze con la stessa, Egli era attento allo spirito e al senso profondo delle direttive biblico-giudaiche.

Non intendeva «demolire» (v.17) la Torah, ma certo evitava ancor più di lasciarsi minimizzare nelle casistiche della morale.

Tale ossessione eticista - ancora viva nelle fraternità primitive - parcellizzava e sgretolava il significato delle scelte di fondo, e le rendeva tutte esteriori, senza fulcro.

In tal guisa, si produceva di fatto una sclerotizzazione legalista, la quale tendeva facilmente a equiparare i codici… con Dio.

Ma per il credente, il suo “obbligo” è insieme vicenda, spirito della Parola, e Persona: sequela globale in quei medesimi incomparabili appuntamenti.

 

I fedeli delle comunità di Galilea e Siria subivano le critiche dei giudei all’antica.

Tali osservanti accusavano i correligionari convertiti alla nuova Fede personale, creativa, di essere trasgressori e contrari alla profondità della comune Tradizione.

Così alcuni sottolineavano la salvezza per sola fede nel Cristo e non per opere di legge. Altri non accettavano la Libertà che si manifestava crescente proprio in coloro che iniziavano a credere in Gesù Messia.

Nuove correnti più radicali desideravano già prescindere dalla sua storia e dalla sua Persona, per sbarazzarsene e rifugiarsi in una generica “avanguardia” o “libertà di spirito” - senza spina dorsale, né peripezie o congiunzioni.

 

Mt aiuta a capire il dissidio: la direzione della Freccia scoccata dalle Scritture giudaiche è quella giusta, ma non ha uno spunto concorde e totalmente chiaro, né la forza per giungere a Bersaglio.

L’evangelista armonizza le tensioni, sottolineando che l’osservanza autentica non è fedeltà formale [obbedienza della “lettera”].

Lo spirito di adempimento fondamentale non consente di mettere fra parentesi il Cristo totale e le sue traversie, magari restando poi neutrali o sognatori indifferenti.

Senza riduzioni in forza dell’elezione, né «abbattere» (v.17) i modi di essere, antichi e identificati o particolari - Egli è presente nelle sfaccettature delle più diverse correnti di pensiero.

Parole nuove, Parole antiche, e Spirito che rinnova la faccia della terra, fanno parte di un unico Disegno.

Solo nel fascino totale del Risorto il nostro raccolto approda alla vita completa - obbiettivo pieno della Legge - diventando per sempre.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come valuti Pentateuco, Salmi e Profeti?

Come affronti le situazioni in armonia con la Voce del Signore e nel suo Spirito?

"Rimanete saldi nella fede!". Abbiamo sentito poc'anzi le parole di Gesù: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre e Egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre - lo Spirito di Verità" (Gv 14, 15-17a). In queste parole Gesù rivela il profondo legame che esiste tra la fede e la professione della Verità Divina, tra la fede e la dedizione a Gesù Cristo nell'amore, tra la fede e la pratica della vita ispirata ai comandamenti. Tutte e tre le dimensioni della fede sono frutto dell'azione dello Spirito Santo. Tale azione si manifesta come forza interiore che armonizza i cuori dei discepoli col Cuore di Cristo e rende capaci di amare i fratelli come Lui li ha amati. Così la fede è un dono, ma nello stesso tempo è un compito.

"Egli vi darà un altro Consolatore - lo Spirito di Verità". La fede, come conoscenza e professione della verità su Dio e sull'uomo, "dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo", dice san Paolo (Rm 10, 17). Lungo la storia della Chiesa gli Apostoli hanno predicato la parola di Cristo preoccupandosi di consegnarla intatta ai loro successori, i quali a loro volta l'hanno trasmessa alle successive generazioni, fino ai nostri giorni. Tanti predicatori del Vangelo hanno dato la vita proprio a causa della fedeltà alla verità della parola di Cristo. E così, dalla premura per la verità è nata la Tradizione della Chiesa. Come nei secoli passati così anche oggi ci sono persone o ambienti che, trascurando questa Tradizione di secoli, vorrebbero falsificare la parola di Cristo e togliere dal Vangelo le verità, secondo loro, troppo scomode per l'uomo moderno. Si cerca di creare l'impressione che tutto sia relativo: anche le verità della fede dipenderebbero dalla situazione storica e dalla valutazione umana. Però la Chiesa non può far tacere lo Spirito di Verità. I successori degli Apostoli, insieme con il Papa, sono responsabili per la verità del Vangelo, ed anche tutti i cristiani sono chiamati a condividere questa responsabilità accettandone le indicazioni autorevoli. Ogni cristiano è tenuto a confrontare continuamente le proprie convinzioni con i dettami del Vangelo e della Tradizione della Chiesa nell'impegno di rimanere fedele alla parola di Cristo, anche quando essa è esigente e umanamente difficile da comprendere. Non dobbiamo cadere nella tentazione del relativismo o dell'interpretazione soggettivistica e selettiva delle Sacre Scritture. Solo la verità integra ci può aprire all'adesione a Cristo morto e risorto per la nostra salvezza.

Cristo dice infatti: "Se mi amate...". La fede non significa soltanto accettare un certo numero di verità astratte circa i misteri di Dio, dell'uomo, della vita e della morte, delle realtà future. La fede consiste in un intimo rapporto con Cristo, un rapporto basato sull'amore di Colui che ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4, 11), fino all'offerta totale di se stesso. "Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rm 5, 8). Quale altra risposta possiamo dare ad un amore così grande, se non quella di un cuore aperto e pronto ad amare? Ma che vuol dire amare Cristo? Vuol dire fidarsi di Lui anche nell'ora della prova, seguirLo fedelmente anche sulla Via Crucis, nella speranza che presto verrà il mattino della risurrezione. Affidandoci a Cristo non perdiamo niente, ma acquistiamo tutto. Nelle sue mani la nostra vita acquista il suo vero senso. L'amore per Cristo si esprime nella volontà di sintonizzare la propria vita con i pensieri e i sentimenti del suo Cuore. Questo si realizza mediante l'unione interiore basata sulla grazia dei Sacramenti, rafforzata con la continua preghiera, la lode, il ringraziamento e la penitenza. Non può mancare un attento ascolto delle ispirazioni che Egli suscita mediante la sua Parola, le persone che incontriamo, le situazioni di vita quotidiana. AmarLo significa restare in dialogo con Lui, per conoscere la sua volontà e realizzarla prontamente.

Ma vivere la propria fede come rapporto d'amore con Cristo significa anche essere pronti a rinunciare a tutto ciò che costituisce la negazione del suo amore. Ecco perché Gesù ha detto agli Apostoli: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti". Ma quali sono i comandamenti di Cristo? Quando il Signore Gesù insegnava alle folle, non mancò di confermare la legge che il Creatore aveva iscritto nel cuore dell'uomo ed aveva poi formulato sulle tavole del Decalogo. "Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti; non sono venuto ad abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure uno iota o un segno, senza che tutto si sia compiuto" (Mt 5, 17-18). Gesù però ci ha mostrato con una nuova chiarezza il centro unificante delle leggi divine rivelate sul Sinai, cioè l'amore di Dio e del prossimo: "Amare [Dio] con tutto il cuore e con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stessi vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici" (Mc 12, 33). Anzi, Gesù nella sua vita e nel suo mistero pasquale ha portato a compimento tutta la legge. Unendosi con noi mediante il dono dello Spirito Santo, porta con noi e in noi il "giogo" della legge, che così diventa un "carico leggero" (Mt 11, 30). In questo spirito Gesù formulò il suo elenco degli atteggiamenti interiori di coloro che cercano di vivere profondamente la fede: Beati i poveri in spirito, quelli che piangono, i miti, quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati a causa della giustizia... (cfr Mt 5, 3-12).

[Papa Benedetto, omelia Varsavia 26 maggio 2006]

Martedì, 18 Marzo 2025 06:45

Anche il modo

1. “Maestro che devo fare di buono per ottenere la vita eterna?. Osserva i comandamenti” (Mt 19, 16-17).

Questa domanda e questa risposta ci tornano alla memoria quando ascoltiamo con attenzione le letture della liturgia odierna.

Il tema principale di queste letture è infatti quello dei comandamenti di Dio, la Legge del Signore.

2. Di essa canta oggi la Chiesa nel salmo responsoriale:

Beato l’uomo di integra condotta, / che cammina nella legge del Signore. / Tu hai dato i tuoi precetti / perché siano osservati fedelmente. / Siano diritte le mie vie, / nel custodire i tuoi decreti . . . / Apri gli occhi perché io veda / le meraviglie della tua legge . . .”.

Ed ancora:

“Indicami Signore, la via dei tuoi precetti / e la seguirò sino alla fine. / Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge / e la custodisca con tutto il cuore” (Sal 119, 1-34).

L’idea racchiusa nei versetti di questo salmo è così trasparente, che non richiede alcun commento.

3. Invece conviene aggiungere un breve commento alle parole del libro del Siracide, nella prima lettura:

Se vuoi, osserverai i comandamenti: l’essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere. Egli ti ha posto davanti il fuoco e l’acqua; là dove vuoi stenderai la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà” (Sir 15, 16-17).

Il Siracide mette in evidenza lo stretto legame che esiste tra comandamento e libera volontà dell’uomo: “Se vuoi . . .”. E allo stesso tempo manifesta che dalla scelta e dalla decisione dell’uomo dipende il bene o il male, la vita o la morte, s’intende nel significato spirituale.

L’osservanza dei comandamenti è la via del bene, la via della vita.

La loro trasgressione è la via del male, la via della morte.

4. Ora passiamo al discorso della montagna nel Vangelo di oggi, secondo san Matteo.

Cristo dice prima:

“Non pensate che io sia venuto per abolire la Legge (o i Profeti); non sono venuto per abolire, ma per dare compimento”.(Mt 5, 17).

Chi trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. (Ivi, 5, 19)

Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli”. (Ivi)

E Cristo aggiunge:

“Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5, 17-20).

Dunque sono importanti la Legge, i Comandamenti, le Norme non solo in se stessi, ma anche il modo di comprenderli, di insegnarli, di osservarli. Ciò dev’essere davanti agli occhi di tutti coloro che spiegano la legge di Dio e che interpretano i principi della morale cristiana, in ogni epoca e anche nell’epoca contemporanea.

5. E Cristo dà tre esempi del comandamento e della sua interpretazione nello spirito della Nuova Alleanza.

“Non uccidere” (Mt 5, 21).

“Non commettere adulterio” (Mt 5, 27).

“Non spergiurare” (Mt 5, 33).

Non uccidere”: vuol dire non solo non togliere la vita ad altri, ma anche non vivere nell’odio e nell’ira verso gli altri. “Non commettere adulterio”: vuol dire non solo non prendere la moglie d’altri, ma anche non desiderarla, non commettere adulterio nel cuore.

Non spergiurare . . .”, “ma io vi dico: non giurate affatto” (Mt 5, 34), ma sia il vostro parlare vero: “sì, sì; no, no” (Mt 5, 37).

6. Che cosa è il Vangelo? Che cosa è il discorso della montagna?

È forse soltanto un “codice di morale?”.

Certamente sì. È un codice della morale cristiana. Indica le principali esigenze etiche. Ma è di più: indica anche la via della perfezione. Questa via corrisponde alla natura della libertà umana: alla libera volontà. L’uomo infatti, con la sua libera volontà, può scegliere non soltanto tra il bene e il male, ma anche tra “il bene” “il meglio” e il “più” nell’ambito della morale, anche per non discendere verso “il meno bene” o addirittura verso il “male”.

Infatti, come continua il libro del Siracide:

“Grande infatti è la sapienza del Signore, egli è onnipotente e vede tutto. I suoi occhi su coloro che lo temono, egli conosce ogni azione degli uomini. Egli non ha comandato a nessuno di essere empio e non ha dato a nessuno il permesso di peccare” (Sir 15, 18-20).

E san Paolo va oltre, quando nella prima lettera ai Corinzi scrive:

“Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza . . .; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla” (1 Cor 2, 6-8).

Quelle cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano “a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio” (1 Cor 2, 10).

7. Cari parrocchiani della comunità romana dedicata a sant’Ippolito! Le notizie sicure sulla vita e l’opera del vostro patrono, come saprete, purtroppo scarseggiano, e tuttavia conosciamo con certezza quel fatto che, da solo, basta già a provare la grandezza della sua vita e della sua santità: il martirio insieme con il papa Ponziano.

Quale che sia stata la vita precedente di Ippolito, egli ha saputo giungere alla vetta della santità esemplare con quel gesto supremo d’amore a Cristo e al suo vicario in terra. Il suo esempio è quindi motivo di incoraggiamento e di speranza anche per voi.

Voglio salutare per ora tutti i presenti: il cardinale vicario, il vescovo del settore, monsignor Alessandro Plotti, il parroco, padre Maurilio Beltramo, la comunità dei frati Cappuccini, le suore Sacramentine, gli altri sacerdoti e religiosi, che collaborano all’attività parrocchiale, tutti i gruppi, e il popolo di Dio di questa porzione di Chiesa, anzi di questa piccola Chiesa che è la parrocchia, immagine e segno della Chiesa universale sparsa in tutto il mondo.

La parrocchia è il tramite normale e concreto attraverso il quale gli uomini possono conoscere la grande e misteriosa realtà della Chiesa universale. Da qui la perenne necessità, da parte della parrocchia, di presentare, con la sua stessa esistenza, al mondo, un’immagine la più fedele possibile alla Chiesa universale, contribuendo attivamente e responsabilmente alla sua costruzione e al suo sviluppo.

So che la vostra popolazione parrocchiale è molto numerosa e composita dal punto di vista dei ceti sociali e delle professioni. La messe è dunque abbondante per gli operai del Vangelo.

So anche che tra voi le iniziative, i gruppi, le attività non mancano. Raccomando che questo vostro pluralismo vivace e rigoglioso sappia sempre estrinsecarsi sulla base di una indiscussa fedeltà agli autentici principi di unità nella fede e nella carità, in comunione con i vostri pastori. Tali principi infatti fondano la vera efficacia delle molteplici e diverse attività.

8. “Beato l’uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore”.

Che queste parole, prese dalla liturgia odierna, rimangano in voi, cari fratelli e sorelle, come espressione dei fervidi auguri che vi fa il Vescovo di Roma in occasione della visita odierna.

Cercate Dio, seguite le strade della verità e dell’amore: seguitele secondo i principi della morale cristiana, secondo la luce dell’eterna sapienza di Dio.

E che i vostri cuori non cessino di essere sempre aperti all’azione dello Spirito Santo che “scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio”.

Amen.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia 12 febbraio 1984]

Martedì, 18 Marzo 2025 06:31

Come compiere la Legge

Il Vangelo di oggi (cfr Mt 5,17-37) è tratto dal “discorso della montagna” e affronta l’argomento dell’adempimento della Legge: come io devo compiere la Legge, come fare. Gesù vuole aiutare i suoi ascoltatori ad avere un approccio giusto alle prescrizioni dei Comandamenti dati a Mosè, esortando ad essere disponibili a Dio che ci educa alla vera libertà e responsabilità mediante la Legge. Si tratta di viverla come uno strumento di libertà. Non dimentichiamo questo: vivere la Legge come uno strumento di libertà, che mi aiuta ad essere più libero, che mi aiuta a non essere schiavo delle passioni e del peccato. Pensiamo alle guerre, pensiamo alle conseguenze delle guerre, pensiamo a quella bambina morta di freddo in Siria l’altro ieri. Tante calamità, tante. Questo è frutto delle passioni e la gente che fa la guerra non sa dominare le proprie passioni. Gli manca di adempiere la Legge. Quando si cede alle tentazioni e alle passioni, non si è signori e protagonisti della propria vita, ma si diventa incapaci di gestirla con volontà e responsabilità.

Il discorso di Gesù è strutturato in quattro antitesi, espresse con la formula «Avete inteso che fu detto … ma io vi dico».  Queste antitesi fanno riferimento ad altrettante situazioni della vita quotidiana: l’omicidio, l’adulterio, il divorzio e i giuramenti. Gesù non abolisce le prescrizioni che riguardano queste problematiche, ma ne spiega il significato pieno e indica lo spirito con cui occorre osservarle. Egli incoraggia a passare da un’osservanza formale della Legge a un’osservanza sostanziale, accogliendo la Legge nel cuore, che è il centro delle intenzioni, delle decisioni, delle parole e dei gesti di ciascuno di noi. Dal cuore partono le azioni buone e quelle cattive.

Accogliendo la Legge di Dio nel cuore si capisce che, quando non si ama il prossimo, si uccide in qualche misura sé stessi e gli altri, perché l’odio, la rivalità e la divisione uccidono la carità fraterna che è alla base dei rapporti interpersonali. E questo vale per quello che ho detto delle guerre e anche per le chiacchiere, perché la lingua uccide. Accogliendo la Legge di Dio nel cuore si capisce che i desideri vanno guidati, perché non tutto ciò che si desidera si può avere, e non è bene cedere ai sentimenti egoistici e possessivi. Quando si accoglie la Legge di Dio nel cuore si capisce che bisogna abbandonare uno stile di vita fatto di promesse non mantenute, come anche passare dal divieto di giurare il falso alla decisione di non giurare affatto, assumendo l’atteggiamento di piena sincerità con tutti.

E Gesù è consapevole che non è facile vivere i Comandamenti in questo modo così totalizzante. Per questo ci offre il soccorso del suo amore: Egli è venuto nel mondo non solo per dare compimento alla Legge, ma anche per donarci la sua Grazia, così che possiamo fare la volontà di Dio, amando Lui e i fratelli. Tutto, tutto possiamo fare con la Grazia di Dio! Anzi, la santità non è altra cosa che custodire questa gratuità che ci ha dato Dio, questa Grazia. Si tratta di fidarsi e affidarsi a Lui, alla sua Grazia, a quella gratuità che ci ha dato e accogliere la mano che Egli ci tende costantemente, affinché i nostri sforzi e il nostro necessario impegno possano essere sostenuti dal suo aiuto, ricolmo di bontà e di misericordia.

Gesù oggi ci chiede di progredire sulla via dell’amore che Lui ci ha indicato e che parte dal cuore. Questa è la strada da seguire per vivere da cristiani. La Vergine Maria ci aiuti a seguire la via tracciata dal suo Figlio, per raggiungere la gioia vera e diffondere dappertutto la giustizia e la pace.

[Papa Francesco, Angelus 16 febbraio 2020]

Lunedì, 17 Marzo 2025 23:36

3a Domenica di Quaresima (C)

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga!

3a Domenica di Quaresima (anno C)  [23 Marzo 2025]

 

*Prima Lettura dal libro dell’Esodo (3, 1-8a.10.13-15)

Questo testo ha un’importanza fondamentale per la fede di Israele e anche per noi perché per la prima volta l’umanità scopre di essere amata da Dio, un Dio che vede, sente e conosce le nostre sofferenze. Mai l’uomo avrebbe potuto giungere a tanto se Dio stesso non avesse deciso di rivelarsi e, proprio a partire dalla sua autonoma rivelazione, è nata la fede d’Israele e, di conseguenza, anche la nostra. Dobbiamo cogliere la forza di questo testo biblico che purtroppo la traduzione liturgica rende debolmente. Quando leggiamo: “ho osservato la miseria del mio popolo”, il testo ebraico è molto più insistente per cui sarebbe più corretto tradurre così, sentendo la voce Dio: “davvero ho visto, sì, ho visto” la miseria del mio popolo in Egitto. Una miseria reale come si evince dalla storia del popolo ebreo emigrato secoli prima a causa di una carestia, e, mentre all’inizio le cose andavano bene, poi essendo cresciuto il loro numero, proprio quando nacque Mosè gli Egiziani cominciarono a preoccuparsi. Trattennero gli Ebrei come manodopera a basso costo, ma vollero impedirne la crescita demografica facendo uccidere ogni neonato maschio dalle levatrici. Mosè si salvò perché adottato dalla figlia del Faraone e crebbe alla sua corte non potendo però dimenticare le sue origini, continuamente diviso tra la sua famiglia adottiva e i suoi fratelli di sangue, ridotti all’impotenza e alla rivolta. Finché un giorno uccise un egiziano che usava violenza verso un ebreo, ma il giorno dopo, intervenendo tra due ebrei che litigavano gli dissero di non intromettersi e questo voleva dire che non gli riconoscevano la responsabilità di guidare una ribellione contro il Faraone mentre il Faraone aveva deciso di punirlo per l’omicidio dell’egiziano. Mosè si vide costretto, per evitare la vendetta, a fuggire nel deserto del Sinai, dove prese come sposa una madianita, Sippora, figlia di Ietro e l’odierno testo parte da qui. Mentre pascolava il gregge del suocero, un giorno arrivò oltre il deserto al monte di Dio, l’Oreb dove incontrò Dio che gli affidò la grande missione. Attenzione! Mosè sentiva la miseria dei suoi fratelli e aveva rischiato la vita per loro uccidendo un egiziano, ma dovette riconoscere la sua impotenza per cui era fuggito emarginato dai suoi fratelli di sangue che non riconoscevano a lui nessuna autorità. E’ dunque un uomo umanamente fallito che si avvicina a uno strano roveto ardente e da qui la sua storia cambia totalmente. Chiudo con due riflessioni. La prima: Mosè incontra il Dio trascendente e al tempo stesso il Dio vicino. Trascendente perché ci si può avvicinare solo con timore e rispetto, ma anche il Dio vicino, che vede la miseria del suo popolo e suscita un liberatore. Cogliamo la santità di Dio e il profondo rispetto dell’uomo di fronte alla sua presenza in queste espressioni: “l'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto”. Per indicare la presenza di Dio si usa la perifrasi: “l’Angelo del Signore” che è un modo rispettoso di parlare di Dio, come pure le parole: “Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo”; e infine “Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio”. Dio però si rivela come il Dio vicino all’uomo, colui che si china sulla sua sofferenza. La seconda riflessione concerne il modo come Dio interviene: vede la sofferenza degli uomini, agisce e invia Mosè. Dio chiama un collaboratore, ma perché la liberazione si compia, colui che viene chiamato deve accettare di rispondere, e colui che soffre deve accettare di essere salvato. -

 

*Salmo responsoriale (102 (103), 1-2, 3-4, 6-7, 8.11)

Nella prima lettura, racconto del roveto ardente tratto dal libro dell’Esodo capitolo 3, Dio rivela il suo Nome: “Io sono” … cioè “con voi” nel profondo delle vostre sofferenze. Quasi facendo eco, il salmo responsoriale proclama: “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore”. Le due formulazioni del Mistero di Dio: “Io sono” e “Misericordioso e pietoso” si completano reciprocamente. Nell’episodio del roveto ardente l’espressione “Io sono” o “Io sono colui che sono” non va presa come la definizione di un concetto filosofico. La ripetizione del verbo “sono” è una forma idiomatica della lingua ebraica che serve a esprimere intensità e Dio comincia richiamando la lunga storia dell’Alleanza con i Padri: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe” per esprimere la sua fedeltà con il suo popolo attraverso i secoli. Poi volle manifestare la sua compassione per Israele umiliato, ridotto in schiavitù in Egitto e solo allora rivela il suo Nome “Io sono”. La prima scoperta di Mosè sul Sinai fu proprio l’intensa presenza di Dio nel cuore della disperazione degli uomini: “Ho visto – diceva Dio – sì, ho visto la miseria del mio popolo in Egitto, e ho udito i suoi gridi sotto le percosse dei sorveglianti. Sì, conosco le sue sofferenze. Sono disceso per liberarlo…” Mosè conservò in maniera profonda tale memoria da trarne l’incredibile energia che lo trasformò da uomo solo, esiliato e rifiutato da tutti, nel condottiero instancabile e liberatore del suo popolo. Quando però Israele ricorda questa inedita avventura, sa benissimo che il suo primo liberatore è Dio, mentre Mosè ne è soltanto lo strumento. L’“Eccomi” di Mosè (come quello di Abramo, e di tanti altri in seguito) è la risposta che permette a Dio di realizzare la liberazione dell’umanità. E, d’ora in poi, quando si dice “”Il Signore” – traduzione delle quattro lettere (YHVH) del nome di Dio – si evoca la presenza liberatrice di Dio. Per meglio comprendere il mistero della presenza di Dio occorre tornare al racconto del roveto ardente: il roveto ardeva per il fuoco, ma non si consumava (cf Es 3,2). Dio si rivela in due modi: attraverso questa visione come attraverso la parola che proclama il suo Nome. Di fronte alla fiamma che arde un roveto senza consumarlo, Mosè è invitato a comprendere che Dio, paragonabile a un fuoco, è nel mezzo del suo popolo (il roveto) come presenza che non si consuma e non distrugge il popolo; Mosè si velò il volto e comprese che non bisogna aver paura. Così avvenne la vocazione d’Israele, luogo scelto dal Signore per manifestare la sua presenza e, da allora in poi, il popolo eletto testimonierà che Dio è tra gli uomini e non c’è nulla da temere.  Lo proclama il salmo responsoriale: “Misericordioso e pietoso è il Signore”, cioè tenerezza e pietà riprendendo un’altra rivelazione di Dio a Mosè (Es 34,6) e le due si fondono in un’unica verità. Il salmo continua: “Il Signore compie cose giuste, difende i diritti di tutti gli oppressi. Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie, le sue opere ai figli d'Israele”. Dio è lo stesso da sempre a per sempre: è in mezzo a noi, fiamma, fuoco di tenerezza e pietà e Israele è chiamato a testimoniare questo nel mondo che ha bisogno di tale messaggio perché soffre se non vi arde tale fuoco. Da qui nasce la predicazione dei profeti che sempre pongono in luce due aspetti della vocazione di Israele: Proclamare la propria fede rivelando la verità di cui si è portatori ed agire a immagine del proprio Signore, operando cioè nella giustizia a difesa degli oppressi. Tutti i profeti lottarono contro l’idolatria perché un popolo che ha sperimentato la presenza del Dio che vede le sue sofferenze non può riporre fiducia in idoli di legno o di pietra e al tempo stesso deve difendere i diritti degli oppressi, come dice Isaia: “Il digiuno che mi piace…è condividere il tuo pane con chi ha fame, accogliere in casa i poveri senzatetto, vestire chi trovi nudo, non voltare le spalle al tuo simile” (Is 58,6-7). 

 

*Seconda lettura dalla Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi (10, 1-6.10-12)

Per mettere in guardia la comunità di Corinto, essendo importante quanto sta per dire, Paolo inizia così: “Non voglio che ignoriate, fratelli”, ricorda poi ciò che è accaduto durante l’uscita dall’Egitto e termina con “quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”, cioè non sopravvalutatevi dato che nessuno è al riparo dalla tentazione. Nei primi capitoli della lettera l’Apostolo ha posto in guardia i cristiani di Corinto dai tanti rischi di corruzione e immoralità esistenti, invitando ad essere umili. Propone loro una rilettura dell’intera storia del popolo d’Israele durante l’Esodo: storia dove non sono mancati i doni di Dio, ma emerge sempre la volubilità dell’uomo. Dio promise a Mosè di essere il Dio fedele, presente al suo popolo nel difficile cammino verso la libertà, attraverso il deserto del Sinai, ma in cambio in molte occasioni il popolo ha tradito la sua Alleanza. L’Apostolo ripercorre le tappe narrate nel libro dell’Esodo, fin dalla partenza dall’Egitto prima ancora del passaggio del Mar Rosso, quando il Signore stesso aveva preso in mano la guida delle operazioni marciando alla loro testa di giorno in una colonna di nube, per indicar loro la via e di notte con una colonna di fuoco (cf Es 13,21-22). Fin dal primo accampamento, però, il popolo vedendo gli Egiziani alle spalle ebbe paura e si ribellò contro Mosè: “Forse perché in Egitto non c’erano tombe, ci hai portati a morire nel deserto? Che cosa ci hai fatto, facendoci uscire dall’Egitto? … Lasciaci stare, vogliamo servire gli Egiziani. Per noi è meglio servire gli Egiziani che morire nel deserto!”» (cf Es 14,10-11). E questo si ripeterà a ogni difficoltà perché il cammino della libertà è pieno di ostacoli e costante la tentazione di ricadere nella vecchia schiavitù. Paolo trasmette ai Corinzi questo messaggio: Cristo vi ha liberati, spesso però siete tentati di ricadere nei vecchi errori e non vi rendete conto che questi comportamenti vi rendono schiavi. Il cammino di Cristo vi sembra difficile, ma fidatevi di lui: solo lui è il vero liberatore. Anche nel passaggio del Mar Rosso, in una situazione umanamente disperata, Dio intervenne (cf Es 14,19) e il popolo poté attraversarlo perché le acque si aprirono per lasciarlo passare: «Il Signore durante tutta la notte sospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero» (Es 14,21). Le prove continueranno e, in molte occasioni, gli Israeliti torneranno a rimpiangere la sicurezza della schiavitù in Egitto. Si lamentano e a ribellarno invece di avere fiducia pur sapendo che Dio intervene sempre. L’episodio che meglio evidenzia questa crisi è quando nel deserto il popolo iniziò a soffrire realmente la sete e cominciò a protestare accusando Mosè e, attraverso di lui, Dio stesso: “Perché ci hai fatti salire dall’Egitto? Per farci morire di sete, noi, i nostri figli e il nostro bestiame?” (Es 17,3). Fu allora che Mosè colpì la Roccia e ne sgorgò acqua e diede a quel luogo il nome di Massa e Meriba, che significa “Prova e Contesa”, perché  i figli d’Israele avevano contestato il Signore (Es 17,7). I problemi dei Corinzi, ovviamente, non sono gli stessi, ma esistono altre “Egitto” e altre forme schiavitù: per questi nuovi cristiani ci sono delle scelte da compiere in nome del loro battesimo, ci sono comportamenti che non si possono più mantenere. E queste scelte diventano talora dolorose. Pensiamo alle esigenze del catecumenato che comportavano vere rinunce a certi comportamenti, a certe relazioni e talvolta persino a un mestiere; rinunce che si possono accettare soltanto quando si pone tutta la fiducia in Gesù Cristo. Nella società mista e particolarmente permissiva di Corinto, mantenere un comportamento cristiano richiedeva coraggio, ma sottolinea Paolo, ciò che sembra follia agli uomini è vera saggezza agli occhi di Dio. Non è un caso che, durante la Quaresima, la Chiesa c’invita a meditare questo testo di Paolo, che ricorda quando dobbiamo essere esigenti con noi stessi per non cadere nelle vecchie schiavitù, e invece quanta rinnovata fiducia va posta in Dio sempre e in ogni occasione.

 

*Dal Vangelo secondo san Luca (13, 1-9)

 Nel vangelo di questa domenica troviamo il racconto di due fatti di cronaca nera, il commento di Gesù con la parabola del fico e il loro accostamento sorprende, anche se sicuramente l’evangelista ce lo propone intenzionalmente. Pertanto è proprio la parabola a poterci aiutare a comprendere il senso di che cosa Gesù vuol dire sui due fatti di cronaca.

Il primo concerne un massacro di pellegrini galilei venuti a Gerusalemme per offrire nel Tempio un sacrificio. Sono eventi che all’epoca non erano inusuali dato che era nota la crudeltà di Pilato e spesso i pellegrini erano accusati di essere oppositori del potere romano.  In verità la maggioranza del popolo ebreo mal tollerava l’occupazione dei romani e proprio dalla Galilea, all’epoca della nascita di Gesù, era partita la rivolta di Giuda il Galileo. Il secondo fatto di cronaca, il crollo della torre di Siloe con 18 vittime, era una tragedia come tante. Dalle parole di Gesù possiamo intuire la domanda che i discepoli avevano sulle labbra e che spesso sentiamo ripetere anche oggi: “Che hanno fatto di male per meritare questo castigo divino? È la grande domanda sulla sofferenza che fino ad a oggi è un problema irrisolto. Nella Bibbia, il libro di Giobbe pone il problema nel modo più drammatico e i tre amici – Elifaz, Bildad e Zofar – cercano di spiegare la sua sofferenza attraverso il principio della giustizia retributiva, secondo cui la sofferenza è una punizione per il peccato e quindi Giobbe deve aver commesso qualche colpa nascosta che giustifica le sue afflizioni.  Tuttavia, Giobbe si dichiara innocente e rifiuta queste spiegazioni. Alla fine del libro, Dio interviene e rimprovera gli amici di Giobbe per aver parlato in modo scorretto di Lui, rapprovando invece la sincerità di Giobbe nella sua ricerca di risposte. Complesso è il tema della sofferenza e Dio, che pur riconosce inefficaci tutti i tentativi umani d’interpretare il dolore perché il controllo degli eventi sfugge all’intelligenza dell’uomo, invita l’uomo a mantenere la fiducia in Dio in ogni difficoltà anche la più drammatica. Di fronte all’orrore del massacro dei Galilei e del crollo della torre di Siloe, Gesù è categorico: non c’è legame diretto tra la sofferenza e il peccato per cui quei galilei non erano più peccatori degli altri e né le diciotto persone schiacciate dalla torre di Siloe erano più colpevoli degli altri abitanti di Gerusalemme. Poi però, partendo da questi due eventi, invita i discepoli a una vera conversione, anzi insiste sull’urgenza di convertirsi, facendo eco agli appelli dei profeti come Amos, Isaia e tanti altri. Segue la parabola del fico, che attenua la durezza apparente delle sue parole perché mostra che i pensieri di Dio sono molto diversi da quelli degli uomini e ci mostra il volto di un Dio paziente e misericordioso. Per noi un fico sterile che sfrutta inutilmente il terreno va tagliato, cioè qualcuno che fa del male va punito subito e persino eliminato, ma non così pensa il nostro Dio che anzi afferma: “Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio – non provo piacere nella morte del malvagio, ma nella sua conversione, affinché viva” (Ez 33,11).  Gesù non ci chiede in primo luogo di cambiare i nostri comportamenti, ma di cambiare con urgenza l’immagine di un Dio che punisce. Anzi, proprio di fronte al male il Signore è “misericordioso e pietoso”, come dice il Salmo di questa domenica: misericordioso, cioè chinato sulle nostre miserie e la conversione che attende da noi è affidarci alla sua infinita e paziente misericordia. Insomma, riprendendo le conclusioni del libro di Giobbe, Gesù invita a non cercare di spiegare la sofferenza con il peccato e con altre teorie essendo un mistero, ma a conservare nonostante tutto la fiducia in Dio. E quando dice: “se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” vuole significare che l’umanità va verso la rovina quando perde la fiducia in Dio. Come Israele nel deserto, di cui Paolo ricorda l’avventura nella seconda lettura, anche noi siamo provocati a scegliere sempre se fidarci o nutrire il sospetto verso Dio. Dobbiamo però sapere che il suo disegno è sempre a nostro favore e se cambia il nostro cuore (è la conversione), cambierà anche il volto del mondo.

+Giovanni D’Ercole

Dalla religione alla Fede, da sterile ad Amata

(Lc 1,26-38)

 

La solennità del momento che restituisce l’anima al Mistero, invita a un passaggio onda su onda: dalla religione del Tempio alla Fede domestica e personale.

Dall’esterno a dentro noi stessi. Dai modelli, alla profezia d’innato. Promessa Unica, condizione più sottile.

Fede-resa - quella di Madre - che mostra la libertà e bellezza dei nuovi orientamenti, nel progredire delle immagini-guida interiori.

Alleanza non più per ciò che è già conosciuto.

Il suo Patto sta tutto nell’Apertura all’Inesplicabile che ci abita. Intimo Eterno, che può ora concretizzare la speranza e il cammino dei popoli. Una svolta di autenticità, crescente.

Se i vergini di cuore non frappongono pretese, la Chiamata per Nome (dalle nostre stesse fibre) dischiude l’animo incapace e sterile.

 

Ad coeli Reginam: Eco silente… tale nucleo-Vocazione invisibile fa trasalire. E con virtù spontanea introduce lo spirito nella sinergia feconda di Dio stesso.

Fiducia sponsale che riannoda i fili della storia di Salvezza: e si contrappone alla strada larga delle alleanze con gente “che conta”.

 

Nell’intreccio fra Iniziativa che feconda e nostro accogliere in seno, l’Ancella è icona dell’attesa e del cammino di ciascuno - dove ciò che resta determinante non è il desiderio consueto, prevedibile.

Appello vibrante che si prolunga nella storia, in una sorta d’Incarnazione dispiegata e continua, grazie alla collaborazione di lontani, malfermi e insignificanti servitori, come Maria.

 

Anche nostra, malgrado ancora colmi di aspettative normali.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quali Parole ci aprono alla vita nello Spirito e mettono in discussione la strada prevista?

Qual è la nostra zona ancora intermedia, senza Incontro?

 

 

 

Come realizzare il Seme invisibile

 

Dice il Tao Tê Ching (LXI): «Il gran regno che si tiene in basso, è la confluenza del mondo; è la femmina del mondo. La femmina sempre vince il maschio con la quiete, poiché chetamente se ne sta sottomessa. Per questo, il gran regno che si pone al disotto del piccol regno, attrae il piccol regno; il piccol regno che sta al disotto del gran regno, attrae il gran regno: l’un s’abbassa per attrarre, l’altro attrae perché sta in basso. Il gran regno non ecceda, per la brama di pascere e unire gli altri; il piccol regno non ecceda, per la brama d’esser accetto e servire gli altri. Affinché ciascuno ottenga ciò che brama, al grande conviene tenersi in basso».

 

 

[Annunciazione del Signore, 25 marzo]

Maria, l’Arte della Percezione che rompe gli schemi

(Lc 2,19) (Lc 1,26-38)

 

Per una vita dall’Io autentico al Culmine sconosciuto

 

«Ora, Maria conservava e custodiva tutte - proprio tutte - queste parole-evento, mettendole insieme e comparandole nel suo cuore» [senso del testo greco].

Cosa ne era di lei, del Figlio e di tutti gli altri?

Voleva capire le affinità essenziali - con l'anima e altrove: il senso degli strani e semplici accadimenti. Regola d’oro anche per noi.

Nel ritratto di Gesù che allattava, il suo silenzio non permaneva collocato - e non si lasciava demotivare: scavando.

Per questo conosceva ben più cose espressive di tante menti - sublimi eppure incapaci di uscire dagli automatismi, già allagate di dottrine e tradizioni ragguardevoli.

Siamo volentieri anche noi lì, con Maria; in una cultura che c’invade i sensi e inquina l'anima di opinioni rumorose, di modelli apparentemente eloquenti ma che mettono in ginocchio: stressanti e futili.

Tutte riproduzioni enfatiche, d’impatto - ma esterne.

Eppure debordano nell’intimo, e malgrado le apparenze scintillanti, chiudono la personalità in uno spazio ristretto, di abitudini malsane, solo da esibire.

Ci costringiamo infatti a correre da una parte all’altra, spesso a recitare prototipi. Appunto, intrigati a forza da piani, organigrammi e pensieri, anche devoti, i quali divengono però forme di banalizzazione personale e sociale.

Ci stiamo abituando alla paura del nostro lato discreto, riservato, non pettegolo, appartato, nascosto, tutto nostro e vicino alla Fonte: in una parola, custode della Chiamata per Nome - che vuol fare pausa per tornare all’Ascolto antico del nuovo.

Un lato che ancora non conosciamo: esso non ha mai lo stesso tono di sempre. È tutto nostro, ma allude agli incontri veri.

Affinando la visione interiore, cogliamo la nostra scaturigine e il senso della storia; e le sue pieghe - così possiamo partorire ancora il mondo prezioso dentro e fuori di noi.

Lo facciamo a partire dall’impalpabile che fa da perno dell’essenza. E custodisce il Fuoco dentro.

 

Per un tratto - sempre più breve - gli opinionisti ufficiali c’illudono di stare al centro del mondo.

Vogliono inocularci il falso senso di protagonismo e permanenza che rapidamente svanisce; in realtà, ci travolgono.

Sentiamo il bisogno di una riscoperta dell’essere e dell’essenza, non dissolti nel regno della notte e dell’illusione [avere potere apparire, trattenere salire dominare]. Senza fughe, né ritmi che non ci appartengono.

Cerchiamo un coinvolgimento, e una distanza.

Vogliamo ‘percepire’ come Maria e come i pastori - sconclusionati da opinioni religiose altrui - per divenire e rinascere, e divenire ancora. Recuperando le frenesie, le sorprese, le ferite; senza disperdere il Centro.

 

“Rifugiarsi” in uno spazio segreto non era per Lei un ritrovare la se stessa attesa da tutti, stereotipa e adeguata come sempre.

Esprimeva piuttosto il suo essere - in fuga dai modi convenzionali.

Per vivere intensamente non desiderava entrare nella nomenclatura - poi essere normale, e asservita - piuttosto allontanarsi, ma stando lì. Perciò non escludeva nulla.

Si è riconosciuta pure in quei vagabondi.

Mai si sarebbe immaginata protagonista (recitante) d’una tradizione che l’ha collocata su piedistalli, forme, attributi solenni, e costrizioni - proprio quelle che l’avrebbero resa dolcemente ma decisamente ribelle.

Non si rivisitava per crogiolarsi, bensì per verificare e riattivare il suo ‘modo’ - che non voleva perdere: poteva essere travolto da pareri esterni e seppellito da circostanze [impellenti ma senza orizzonte].

Non voleva smarrire il proprio Indirizzo dentro mete comuni, omologate, perdendo di vista ciò che era davvero, e la introduceva nel cielo del senza tempo - né bramava assomigliare alla maggioranza, o starle sopra.

Quella che le abbiamo costruito noi, non è casa sua.

Maria non si affacciava sulla realtà e oggi dentro di noi [per aiutarci a guardare il “nostro” Mistero] col viso conforme; edulcorato e artefatto, o intimista, paludoso.

 

La sua anima era sempre in viaggio. Per conoscere l’inconoscibile, mai si sarebbe fermata - anche senza sapere in anticipo dove andare.

Il suo carattere non voleva le certezze della sistemazione. Senza tentennare, anche in sé preferiva intuire e vivere la Passione d’amore.

Si lasciava guidare e salvare, ma a partire dal suo stesso centro sacro, santuario del Dio-Con. Colui che sblocca, c’incammina, e libera.

Non poteva consentire che la sua Vocazione venisse coperta da idoli, né da alcuna trama, che pur si stava svolgendo.

Nel ‘qui e ora’ ritrovava la sua affinità proprio dal suo stesso essere viandante, che avanzando poneva i disagi alle spalle.

Sviluppando l’occhio interiore, trasmutava anche il suo interno per ritrovare il passo dell’Annunciazione nascosta nei disadattati, che ancora la conduceva.

Solo questo le durava negli anni - non il lato funzionale.

Non sognava di fare una vita tranquilla, bensì di capire la personale missione.

 

Senza ingenuità s’interrogava sul significato delle chiamate intime, degli accadimenti, delle vie traverse, e dei suoi moti - estranea solo all’ansia di piacere a tutti.

Desiderava comprendere come inserirsi al meglio, procedendo verso la nuova terra promessa [cf. Lc 1,29: «Ma fu molto turbata per la Parola e si domandava che saluto fosse questo»; Lc 1,34: «Come sarà questo?»].

La quiete dentro non era uniforme, bensì colma delle vicissitudini e di ‘notizie’ imprevedibili.

Mai avrebbe voluto diventare modello: un documento d’identità scaduto - ingessato, dogmatico. Mai icona di privilegi, e sfarzosa - come una donna che spegne la sua consapevolezza, e si rende identificata, vuota, vetusta, disgiunta.

In mezzo agli altri - persino lazzaroni, poco delicati, indiscreti - Maria lasciava fare, percependo i suoni inudibili del silenzio dell’anima.

Note che producevano la sua figura e - ancor meglio - la sua evoluzione e Destinazione, senza disturbarla con ostinazioni separate.

Togliendo lo sguardo dall’intenzione conformista.

 

Per esistere davvero, intensamente, cambiava o faceva breccia; recuperava la storia ma ascoltava l’interno di sé.

Cogliendo i propri strati profondi, percependosi nelle voci più intime, prendeva coscienza del senso della sua vita, e della storia che si svolgeva. 

Negl’intervalli di pensiero, riattivava l’energia dello ‘sguardo’.

E senza mortificazioni portava l’attenzione su un’altra dimensione, entrando gradualmente nel Vento che incessantemente la disinnestava.

In tal guisa, imparava a non aspettarsi qualcosa di allineato ai propositi e previsioni normali, né alla graduatoria sociale e culturale: doveva introdursi nelle vicende, e staccarsi (per contemplarne l’importanza e profondità).

Misteriosamente - così scrutando senza troppo fare - leggeva le ‘note’, sceglieva i registri giusti; interpretava lo spartito.

Epifania di Dio in una creatura del tutto priva di stile ieratico o cortese; piuttosto, delicato e gitano.

Non si è precipitata a mettere a posto le cose: intuiva «dentro» la vita sommaria, invece che condurla e organizzarla, o disporla.

Attendeva che il suo Sé eminente facesse da guida allo strano percorso non dirigista né volontarista che si stava dispiegando, davvero tutto eccentrico e poco esemplare.

 

Non si attivava per compiacere.

Impariamo in Lei anche noi: a vedere accadere il Dio domestico, le ‘visite’ che non aspetteremmo; l'intensità delle cromie differenti.

Esse che poi ci portano a un diverso sguardo anche nell’anima; coinvolta e distaccata.

Al pari della realtà circostante, Maria non era sempre uguale.

Non aveva in mente un campione da inseguire sino in fondo, per poi trovarsi cronicizzata nell’esemplarità altrui - sradicata, esteriore, dissipata e scarica.

Situazioni ed emozioni avevano valore, non solo né anzitutto sulla base del registro a paradigmi - ormai inutile - con cui venivano interpretate.

Nella speranza delle cose presenti e nel loro sensibile Ascolto, veniva acquisendo fluidità.

In tal guisa, passando senza forzature dalla religione dei padri alla Fede, al rischio d’amicizia nell’imprevedibile proposta dell’unico Padre.

Ritirata nella Dimora dello Spirito, dentro una Speranza che si svelava onda su onda, imparava a comprendere le relazioni e le energie interiori, non impacchettate.

Una volta ascoltate e assunte, esse potevano deviare, e prendere proprio la strada inattesa.

 

Passo dopo passo, l’occhio, l’orecchio e il cuore attenti introducono anche noi - come Maria - in un territorio di sospensione delle intenzioni chiuse. Dove abita l’amore e il destino della Novità di Dio.

Espandeva la Visione non a partire unicamente dattorno.

Dispiegando il suo perdersi nel Noi, non selettivo, ma solo dal proprio centro sacro, anche l’orizzonte dilatava nella sensazione d’infinito in azione.

Nella contemplazione degli eventi, rendeva più corposa e persino reinventava la figura del cuore che l’aveva guidata fin lì.

Reinterpretava ancora l’immagine espressiva della sua Vocazione. E cambiava il suo destino - non dando peso alle angolazioni unilaterali.

Niente obblighi e propositi cesellati - controcorrente ma naturale, senza la lacerazione degli sforzi titanici.

Così perfino i disagi l’avvicinavano alla sua Missione di Madre della nuova umanità, nel Figlio.

 

E ciascuno egualmente ritrova l’energia della suggestione primordiale che lo conduce, affinché nella Meditazione riabbracci il Richiamo della Chiamata che vuole ancora strapparlo dalla palude.

Eco dell’Appello primigenio che s’intesse agli accadimenti ed è già la Destinazione.

Testimonianza ogni istante da riscoprire nel “vuoto intimo e colmo” da fare dentro, per attendere qualcosa che non sappiamo prima cosa sia.

Maria si faceva tracciare nel tempo dall’Amore senza brevetto.

Tali i Sogni delle creature totalmente immerse nelle passioni vere, che colgono, anticipano e attualizzano il senza-tempo nel tempo.

Non rinunciava a chiedersi cosa - dai molteplici aspetti - la stava abitando e silenziosamente guidava.

 

La immaginiamo ancora (v.19) ‘come ad occhi chiusi’: situazione che la nostra cultura spesso ignora.

Non pensava le cause efficienti: era per riscoprire altrimenti il suo aprire la porta ai visitatori, e a ogni novità da stupore.

Stava già allattando, non solo il Figlio; al contempo alimentava se stessa.

Non per vano intimismo riscopriva il Mistero sottile annidato nel diverso - e nel cangiante e crudo - imprevedibile dentro e fuori.

Senza rendersi conto, già nutriva il mondo, custodendosi.

Vera, giunge sino a noi e in noi, accudendo il nido dell’essenza e della storia... senz’apparenza alcuna di stendardi e vetrine - rispettando solo ciò che capita.

Similmente la sua intera Famiglia diventa la vera signora feconda di una Festa dell’Annuncio impossibile attorno - che non si capisce da dove sia nata (Lc 1,20).

Sicuramente da nulla di esteriore. Perciò decisivo.

Totalmente aderente alle circostanze e presente in sé, diveniva completamente - nei moti nitidi e spontanei, anche altrui.

 

Certo non aveva attorno gente che potesse vantare paraventi. Solo strani individui, ma che incessantemente lasciavano emergere l’istinto vitale.

Anche loro non si dicevano prima dove bisognasse andare. Per questo si ritrovavano in un’incessante gravidanza.

Avevano in serbo solo l’esperienza delle distanze; spesso gelo e rifiuto. 

Mai conosciuta una figura che li aiutasse a riconoscersi completamente, e a guardare le cose dal punto di vista della soavità intramontabile scoperta.

Persino capaci di tendere al globale più largo e comprensivo [noi diremmo, all’eternità servizievole della condizione angelica].

Eccoli invece incendiati dalla Fiamma perenne - quella del mondo intero (passato, presente e futuro) che sa recuperare e stare nascostamente, a parte ma nel cosmo - come aurora e giorno del Signore.

Nella cultura del tempo, condizione degli spiriti del servizio al trono celeste, che glorificavano e lodavano Dio (v.20) «per tutto quello che avevano udito e avevano visto».

 

Di fronte alla Famiglia Chiesa domestica, in Maria e Gesù i pastori fanno un’esperienza decisiva.

Non più di carenza e giudizio unilaterali, ma di rinascita nella stima; di un altro mondo, disponibile e inclusivo - d’un altro regno, unisono senza uniformità.

La Madre di Dio è una possibilità di tendere all’eterno presente, non più esclusivo: ma come una danza, dove il tutto che cambia mette perfettamente a proprio agio - senza già le tracce da ricalcare.

Gli stravaganti della società, pellegrini e cani della prateria raccogliticci, abili solo nelle transumanze, forse mai avevano avuto la capacità di riconoscere l’estasi dello stare bene e intensamente nel sommario.

Forse mai avevano avuto l’esperienza di riconoscere in una creatura accurata il loro stesso lato sensibile, tenero e femminile.

Aspetto che nella Donna Chiesa autentica si fa custode e diversamente banditore [nei malfermi] dello scrigno della Vita.

Dal tepore di Maria e della Culla, fra i loro labirinti, ormai portavano nel proprio luogo appartato una benedizione entusiasmante, e il lato intimo indistruttibile; anche altrove.

Per mettere in discussione anche noi.

 

Cerchiamo un’anima silenziosa, per un’arte della rinascita.

Ecco Maria: ella aveva notato, mentre meditava, che di riflesso anche gli altri lo facevano.

Quando si ritagliava energie preparatorie, anche attorno ci si disponeva in modo più equilibrato, pieno all’Annuncio.

Camminava nella vita per custodire e alimentare nuovi padri e madri di umanizzazione. 

Non per commentare, ma per intuire e sciogliere; per non spegnere il lato sognante con la parte “all’altezza”, vecchia.

Il suo regno della verecondia che cura l’io e il Tu era il cielo e la terra delle nuove potenze.

Virtù affidabili perché scaturite dal Silenzio della Via che la stava rinnovando completamente - amando le contraddizioni. 

Perché tutto ora può accadere, rigenerare; e ogni giorno recare la sua marea (dell’inedito) nella presenza di Spirito, senza routine.

Un’anima genuina, priva di finzioni... lo può fare.

Per un’avventura che spinge via la continuità, ricolma di Eros fondante; per un’esplorazione diretta al Culmine sconosciuto.

 

 

Maria: Rallentando un po’, si Nasce

 

Chi non segue intuizioni innate, un richiamo più radicale del sé, o annunci sbalorditivi [Lc 1,26-38. 2,8-15] non sviluppa il suo destino, non si muove; non rimette le cose a posto.

I proclami comuni finiscono per incenerire le personalità.

È vero che i pastori non trovano nulla di straordinario e prodigioso, se non una famiglia ridotta in una condizione ordinaria, che conoscono.

Ma è quel semplice focolare a coinvolgerli nel nuovo Progetto, e nell’annuncio della sua scandalosa Misericordia senza condizioni - che non li ha fulminati per impurità.

La religione arcaica li aveva bollati per sempre: esseri persi, spregevoli, senza rimedio. Ora sono liberi dall’identificazione.

Hanno un altro occhio - come quello della prima volta. Sguardo che li porterà al cento per cento.

Esodati che si trovano davanti un’immagine di Dio indifeso, essi non si preoccupano d’impegnarsi in una disciplina etica: li avrebbe sgretolati.

Piuttosto, godono lo stupore d’una realtà semplicemente umana - in una misteriosa relazione di reciproco riconoscimento.

 

Un bimbo in una mangiatoia, luogo impuro dove si trastullavano le bestie.

Strano che il modesto segno li convinca, che faccia loro recuperare la stima, e li renda evangelizzatori - forse neanche assidui.

Al pari del Calvario (cui rimanda), la Manifestazione risolutiva dell’Eterno è un paradosso.

Ma la geografia affettiva di questa Betlemme priva di circuiti conformisti resta intatta, perché spontaneamente radicata in noi.

C’è un senso d’immediatezza, senza particolari intrecci o cerimonie.

Il Bambino neppure viene adorato dagli sguardi ora “puri” dei piccoli, vilipesi cani della prateria e delle transumanze - come viceversa faranno i Magi (Mt 2,11).

Loro neanche sapevano cosa significasse, riflettere cerimoniali di corte orientali - come il bacio delle pantofole rosse.

[Per questo motivo Papa Francesco le ha rifiutate, insieme all’ermellino - dopo che Paolo VI aveva avuto il coraggio di deporre il segno pluridirigista delle tiare, con le sue tre corone sovrapposte; un pochino più intricata è stata la vicenda dell’anacronistica sedia gestatoria].

I miserabili della terra e i lontani dei greggi sono coloro che ascoltano l’Annuncio, verificano prontamente, e fondano la nuova stirpe divina.

Gente non tormentata dal giudizio statico - uomini in mezzo a tutti; non più ad alta quota.

 

Intanto Maria ricercava il senso delle sorprese e così rigenerava, per un nuovo modo di capire e ‘stare’ insieme - per dare alla luce anche il mondo interno di tutto un diverso popolo della pienezza.

Ella metteva insieme fatti e Parola, per scoprirne il filo conduttore.

E rimanere ricettiva; non farsi condizionare dalle convinzioni dei recinti devoti - targati e inflessibili, che non le avrebbero dato scampo.

La Madre stessa, pur colta di sorpresa, si preparava all’eccentricità di Dio, senza allontanarsi dal tempo e dalla sua condizione reale.

 

La sua figura e quella dei pastori c’interpellano, chiedono il coraggio di una risposta - ma dopo aver lasciato fluire lo stesso genere di Presenze interiori: visitatrici degne, cui è concesso esprimersi.

 

Anche Lei ha dovuto come noi passare dalle credenze dei padri alla Fede nel Padre.

Dall’idea dell’amore come premio a quella del ‘dono’.

Dalla pratica dei culti e delle chiusure che non rendono affatto intimi all’Eterno, all’apertura della mente e degli usci.

Non lo ha realizzato senza fatica, bensì sopportando le resistenze del suo ambiente arido.

Gesù è stato infatti circonciso - inutile rito che secondo l’abitudine pretendeva mutare il Figlio di Dio in figlio di Abramo.

 

La Buona Novella proclama un capovolgimento: ciò che la religione aveva considerato lontano dall’Altissimo... è vicinissimo a Lui; anzi, gli corrisponde appieno.

Mai accaduto prima, immaginarselo.

Nelle Annunciazioni dei Vangeli è spalancata l’avventura della Fede.

E il nuovo Bimbo ha un Nome ch’esprime l’inaudita essenza di Salvatore, non giustiziere.

Tutta la sua vicenda sarà appunto pienamente istruttiva anche sotto il profilo di come interiorizzare incertezze e disagi: questi “momenti no” e le precarietà che c’insegnano a vivere.

Infatti, anche noi come Maria «andiamo riconoscendo» la presenza di Dio negli enigmi della Scrittura, nel Piccolo ‘avvolto in bende’ - persino nell’eco ancestrale dei nostri mondi interni.

E ci lasciamo andare - non sappiamo bene dove. Ma così è l’Infinito,  l’immenso Segreto, l’inesplicabile Respiro, nelle sue pieghe.

 

Il saggio Sogno che abita l’umano sa di humus antico, ma il suo eco rinasce ogni giorno, nella marea dell’essere che orienta a ‘guardare’ davvero, senza veli.

Un contegno conformista di “vedere le cose” non risolverebbe il problema.

Talora, per non farsi condizionare bisogna riedificarsi nel silenzio, come la Vergine; costruirsi una sorta di isola ermeneutica che schiuda porte differenti, che introduca altre luci.

Entro il suo circuito sacro anche la Madre di Dio valorizzava le innate energie trasformative, proprio radicandole sugli interrogativi…

Così tornando al suo essere primordiale e al senso del Neonato - immagine intrisa di senso primigenio e onda vitale, cara a molte culture.

 

Maria entrava in un Altrove e non usciva dal campo del reale.

Era ‘dentro’ il suo Centro, senza fretta - ricercando il Sole annegato nel suo essere e che tornava, emergeva, risorgeva; dall’intimo, la faceva esistere oltre.

Così non si lasciava assorbire energie dalle idee conformiste altrui o da situazioni [esterne] che pure volevano rompere l’equilibrio.

Nella sua vereconda solitudine - colma di Grazia - quell’io superiore e celato nell’essenza veniva sempre più a Lei. Si faceva nuova Alba e guida.

Non voleva vivere dentro pensieri, saperi e ragionamenti dintorno - nessuno capace di amplificare la vita - tutti in mano alle droghe delle procedure, disumanizzanti l’Incanto.

La magia felice di quel Frugolo di carne portava la sua Pace.

I Sogni sostenevano e veicolavano il suo nido e intimo fulcro - facendo scorrere una vita nuova dal nucleo della sua Persona, e la giovinezza del mondo.

 

«Ora Maria conservava tutte Parole-evento confrontandole nel suo cuore»

Lunedì, 17 Marzo 2025 05:32

Libertà, obbedendo

Di generazione in generazione resta vivo lo stupore per questo ineffabile mistero. Sant’Agostino, immaginando di rivolgersi all’Angelo dell’Annunciazione, domanda: "Dimmi, o Angelo, perché è avvenuto questo in Maria?". La risposta, dice il Messaggero, è contenuta nelle parole stesse del saluto: "Ave, o piena di grazia" (cfr Sermo 291,6). Di fatto, l’Angelo, "entrando da Lei", non la chiama con il nome terreno, Maria, ma col suo nome divino, così come Dio da sempre la vede e la qualifica: "Piena di grazia – gratia plena", che nell’originale greco è κεχαριτωµενη, "piena di grazia", e la grazia è nient'altro che l'amore di Dio, così potremmo alla fine tradurre questa parola: "amata" da Dio (cfr Lc 1,28). Origene osserva che mai un simile titolo fu rivolto ad essere umano, e che esso non trova riscontro in tutta la Sacra Scrittura (cfr In Lucam 6,7). E’ un titolo espresso in forma passiva, ma questa "passività" di Maria, che da sempre e per sempre è l’"amata" dal Signore, implica il suo libero consenso, la sua personale e originale risposta: nell’essere amata, nel ricevere il dono di Dio, Maria è pienamente attiva, perché accoglie con personale disponibilità l’onda dell’amore di Dio che si riversa in lei. Anche in questo Ella è discepola perfetta del suo Figlio, che nell’obbedienza al Padre realizza interamente la propria libertà e proprio così esercita la libertà, obbedendo. Nella seconda Lettura abbiamo ascoltato la stupenda pagina in cui l’Autore della Lettera agli Ebrei interpreta il Salmo 39 proprio alla luce dell’Incarnazione di Cristo: "Entrando nel mondo Cristo dice: … Ecco, io vengo per compiere, o Dio, la tua volontà" (Eb 10,5-7). Di fronte al mistero di questi due "Eccomi", l' "Eccomi" del Figlio e l' "Eccomi" della Madre, che si rispecchiano l’uno nell’altro e formano un unico Amen alla volontà d’amore di Dio, noi rimaniamo attoniti e, pieni di riconoscenza, adoriamo.

Che grande dono, Fratelli, poter tenere questa suggestiva celebrazione nella solennità dell’Annunciazione del Signore! Quanta luce possiamo attingere da questo mistero per la nostra vita di ministri della Chiesa. In particolare voi, cari nuovi Cardinali, quale sostegno potrete avere per la vostra missione di eminente "Senato" del Successore di Pietro! Questa provvidenziale coincidenza ci aiuta a considerare l’evento odierno, in cui risalta in modo particolare il principio petrino della Chiesa, alla luce dell’altro principio, quello mariano, che è ancora più originario e fondamentale. L’importanza del principio mariano nella Chiesa è stata particolarmente evidenziata, dopo il Concilio, dal mio amato Predecessore Papa Giovanni Paolo II, coerentemente col suo motto Totus tuus. Nella sua impostazione spirituale e nel suo instancabile ministero si è resa manifesta agli occhi di tutti la presenza di Maria quale Madre e Regina della Chiesa. Più che mai questa presenza materna fu da lui avvertita nell’attentato del 13 maggio 1981 qui in Piazza San Pietro. A ricordo di quel tragico evento egli volle che un mosaico raffigurante la Vergine dominasse, dall’alto del Palazzo Apostolico, su Piazza San Pietro, per accompagnare i momenti culminanti e la trama ordinaria del suo lungo pontificato, che proprio un anno fa entrava nell’ultima fase, dolorosa e insieme trionfale, veramente pasquale. L’icona dell’Annunciazione, meglio di qualunque altra, ci fa percepire con chiarezza come tutto nella Chiesa risalga lì, a quel mistero di accoglienza del Verbo divino, dove, per opera dello Spirito Santo, l’Alleanza tra Dio e l’umanità è stata suggellata in modo perfetto. Tutto nella Chiesa, ogni istituzione e ministero, anche quello di Pietro e dei suoi successori, è "compreso" sotto il manto della Vergine, nello spazio pieno di grazia del suo "sì" alla volontà di Dio. Si tratta di un legame che in tutti noi ha naturalmente una forte risonanza affettiva, ma che ha prima di tutto una valenza oggettiva. Tra Maria e la Chiesa vi è infatti una connaturalità che il Concilio Vaticano II ha fortemente sottolineato con la felice scelta di porre la trattazione sulla Beata Vergine a conclusione della Costituzione sulla Chiesa, la Lumen gentium.

Il tema del rapporto tra il principio petrino e quello mariano lo possiamo ritrovare anche nel simbolo dell’anello, che tra poco vi consegnerò. L’anello è sempre un segno nuziale. Quasi tutti voi lo avete già ricevuto nel giorno della vostra Ordinazione episcopale, quale espressione di fedeltà e d’impegno a custodire la santa Chiesa, sposa di Cristo (cfr Rito dell’Ordinazione dei Vescovi). L’anello che oggi vi conferisco, proprio della dignità cardinalizia, intende confermare e rafforzare tale impegno, a partire ancora una volta da un dono nuziale, che vi ricorda il vostro essere prima di tutto intimamente uniti a Cristo, per compiere la missione di sposi della Chiesa. Ricevere l’anello sia dunque per voi come rinnovare il vostro "sì", il vostro "eccomi", rivolto al tempo stesso al Signore Gesù, che vi ha scelti e costituiti, e alla sua santa Chiesa, che siete chiamati a servire con amore sponsale. Le due dimensioni della Chiesa, mariana e petrina, si incontrano dunque in quello che costituisce il compimento di entrambe, cioè nel valore supremo della carità, il carisma "più grande", la "via migliore di tutte", come scrive l’apostolo Paolo (1 Cor 12,31; 13,13).

Tutto passa in questo mondo. Nell’eternità solo l’Amore rimane. Per questo, Fratelli, profittando del tempo propizio della Quaresima, impegniamoci a verificare che ogni cosa nella nostra vita personale, come pure nell’attività ecclesiale in cui siamo inseriti, sia mossa dalla carità e tenda alla carità. Anche per questo ci illumina il mistero che oggi celebriamo. Infatti, il primo atto che Maria compì dopo aver accolto il messaggio dell’Angelo, fu di recarsi "in fretta" a casa della cugina Elisabetta per prestarle il suo servizio (cfr Lc 1,39). Quella della Vergine fu un’iniziativa di autentica carità, umile e coraggiosa, mossa dalla fede nella Parola di Dio e dalla spinta interiore dello Spirito Santo. Chi ama dimentica se stesso e si mette al servizio del prossimo. Ecco l’immagine e il modello della Chiesa! Ogni Comunità ecclesiale, come la Madre di Cristo, è chiamata ad accogliere con piena disponibilità il mistero di Dio che viene ad abitare in essa e la spinge sulle vie dell’amore. E’ questa la strada su cui ho voluto avviare il mio pontificato invitando tutti, con la prima Enciclica, a edificare la Chiesa nella carità, quale "comunità d’amore" (cfr Enc. Deus caritas est, Seconda parte). Nel perseguire tale finalità, venerati Fratelli Cardinali, la vostra vicinanza, spirituale e fattiva, mi è di grande sostegno e conforto. E per questo vi ringrazio, mentre invito voi tutti, sacerdoti, diaconi, religiosi e laici, ad unirvi nell’invocazione dello Spirito Santo, affinché il Collegio dei Cardinali sia sempre più ardente di carità pastorale, per aiutare tutta la Chiesa a irradiare nel mondo l’amore di Cristo, a lode e gloria della Santissima Trinità. Amen!

[Papa Benedetto, omelia coi nuovi cardinali 25 marzo 2006]

Lunedì, 17 Marzo 2025 05:25

Mai accaduto prima

1. 25 marzo 2000, solennità dell'Annunciazione nell'Anno del Grande Giubileo: oggi gli occhi di tutta la Chiesa sono rivolti a Nazareth. Ho desiderato tornare nella città di Gesù, per sentire ancora una volta, a contatto con questo luogo, la presenza della donna della quale sant'Agostino ha scritto: «Egli scelse la madre che aveva creato; creò la madre che aveva scelto» (cfr Sermo 69, 3, 4). Qui è particolarmente facile comprendere perché tutte le generazioni chiamino Maria beata (cfr Lc 2, 48)[…]

2. Siamo qui riuniti per celebrare il grande mistero che si è compiuto qui duemila anni fa. L'evangelista Luca colloca chiaramente l'evento nel tempo e nello spazio: «Nel sesto mese, l'Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc 1, 26-27). Per comprendere però ciò che accadde a Nazareth duemila anni fa, dobbiamo ritornare alla lettura tratta dalla Lettera agli Ebrei. Questo testo ci permette di ascoltare una conversazione tra il Padre e il Figlio sul disegno di Dio da tutta l'eternità. «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo ... per fare, o Dio, la tua volontà» (10, 5-7). La Lettera agli Ebrei ci dice che, obbedendo alla volontà de Padre, il Verbo Eterno viene tra noi per offrire il sacrificio che supera tutti i sacrifici offerti nella precedente Alleanza. Il suo è il sacrificio eterno e perfetto che redime il mondo.

Il disegno divino è rivelato gradualmente nell'Antico Testamento, in particolare nelle parole del profeta Isaia, che abbiamo appena ascoltato: «Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (7, 14). Emmanuele: Dio con noi. Con queste parole viene preannunciato l'evento unico che si sarebbe compiuto a Nazareth nella pienezza dei tempi, ed è questo evento che celebriamo oggi con gioia e felicità intense.

3. Il nostro pellegrinaggio giubilare è stato un viaggio nello spirito, iniziato sulle orme di Abramo, «nostro padre nella fede» (Canone Romano; cfr Rm 4, 11-12). Questo viaggio ci ha condotti oggi a Nazareth, dove incontriamo Maria, la più autentica figlia di Abramo. È Maria, più di chiunque altro, che può insegnarci cosa significa vivere la fede di «nostro padre». Maria è in molti modi chiaramente diversa da Abramo; ma in maniera più profonda «l'amico di Dio» (cfr Is 41, 8) e la giovane donna di Nazareth sono molto simili.

Entrambi ricevono una meravigliosa promessa da Dio. Abramo sarebbe diventato padre di un figlio, dal quale sarebbe nata una grande nazione. Maria sarebbe divenuta Madre di un Figlio che sarebbe stato il Messia, l'Unto del Signore. Dice Gabriele «Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce ... il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre ... e il suo regno non avrà fine» (Lc 1, 31-33).

Sia per Abramo sia per Maria la promessa giunge del tutto inaspettata. Dio cambia il corso quotidiano della loro vita, sconvolgendone i ritmi consolidati e le normali aspettative. Sia ad Abramo sia a Maria la promessa appare impossibile. La moglie di Abramo, Sara, era sterile e Maria non è ancora sposata: «Come è possibile?», chiede all'angelo. «Non conosco uomo» (Lc 1, 34).

4. Come ad Abramo, anche a Maria viene chiesto di rispondere «sì» a qualcosa che non è mai accaduto prima. Sara è la prima delle donne sterili della Bibbia che a concepire per potenza di Dio, proprio come Elisabetta sarà l'ultima. Gabriele parla di Elisabetta per rassicurare Maria: «Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio» (Lc 1, 36).

Come Abramo, anche Maria deve camminare al buio, affidandosi a Colui che l'ha chiamata. Tuttavia, anche la sua domanda «come è possibile?» suggerisce che Maria è pronta a rispondere «sì», nonostante le paure e le incertezze. Maria non chiede se la promessa sia realizzabile, ma solo come si realizzerà. Non sorprende, pertanto, che  infine pronunci il suo fiat: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1, 38). Con queste parole Maria si dimostra vera figlia di Abramo e diviene la Madre di Cristo e Madre di tutti i credenti.

5. Per penetrare ancora più profondamente questo mistero, ritorniamo al momento del viaggio di Abramo quando ricevette la promessa. Fu quando accolse nella propria casa tre ospiti misteriosi (cfr Gn 18, 1-15) offrendo loro l'adorazione dovuta a Dio: tres vidit et unum adoravit. Quell’incontro misterioso prefigura l'Annunciazione, quando Maria viene potentemente trascinata nella comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Attraverso il fiat pronunciato da Maria a Nazareth, l'Incarnazione è diventata il meraviglioso compimento dell'incontro di Abramo con Dio. Seguendo le orme di Abramo, quindi, siamo giunti a Nazareth per cantare le lodi della donna «che reca nel mondo la luce» (inno Ave Regina Caelorum).

6. Siamo però venuti qui anche per supplicarla. Cosa chiediamo noi pellegrini, in viaggio nel Terzo Millennio Cristiano, alla Madre di Dio? Qui, nella città che Papa Paolo VI, quando visitò Nazareth, definì «La scuola del Vangelo. Qui s'impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare nel senso, tanto profondo e misterioso, di quella semplicissima, umilissima, bellissima apparizione» (Allocuzione a Nazareth, 5 gennaio 1964) prego innanzitutto per un grande rinnovamento della fede di tutti i figli della Chiesa. Un profondo rinnovamento di fede: non solo un atteggiamento generale di vita, ma una professione consapevole e coraggiosa del Credo: «Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est».

A Nazareth, dove Gesù «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2, 52), chiedo alla Santa Famiglia di ispirare tutti i cristiani a difendere la famiglia contro le numerose minacce che attualmente incombono sulla sua natura, la sua stabilità e la sua missione. Alla Santa Famiglia affido gli sforzi dei cristiani e di tutte le persone di buona volontà a difendere la vita e a promuovere il rispetto per la dignità di ogni essere umano.

A Maria, la Theotókos, la grande Madre di Dio, consacro le famiglie della Terra Santa, le famiglie del mondo.

A Nazareth, dove Gesù ha iniziato il suo ministero pubblico, chiedo a Maria di aiutare la Chiesa ovunque a predicare la «buona novella» ai poveri, proprio come ha fatto Lui (cfr Lc 4, 18). In questo «anno di grazia del Signore», chiedo a Lei di insegnarci la via dell’umile e gioiosa obbedienza al Vangelo nel servizio dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, senza preferenze e senza pregiudizi.

«O Madre del Verbo Incarnato, non disprezzare la mia preghiera, ma benigna ascoltami ed esaudiscimi. Amen» (Memorare).

[Papa Giovanni Paolo II, omelia Basilica dell’Annunciazione 25 marzo 2000]

Lunedì, 17 Marzo 2025 04:51

Salvezza: Dono

La salvezza «non si compra e non si vende» perché «è un regalo totalmente gratuito». Ma per riceverla Dio ci chiede di avere «un cuore umile, docile, obbediente». Lo ha detto Papa Francesco, nella messa celebrata martedì mattina 25 marzo nella cappella della Casa Santa Marta, invitando «a fare festa e a rendere grazie a Dio» perché «oggi commemoriamo una tappa definitiva nel cammino» verso la salvezza «che l’uomo ha fatto dal giorno che è uscito dal paradiso».

Proprio «per questo oggi facciamo festa: la festa di questo cammino da una madre a un’altra madre, da un padre a un altro padre», ha spiegato il Pontefice. E ha invitato a contemplare «l’icona di Eva e Adamo, l’icona di Maria e Gesù», e a guardare il corso della storia con Dio che cammina sempre insieme al suo popolo. Così, ha proseguito, «oggi possiamo abbracciare il Padre che, grazie al sangue del suo Figlio, si è fatto come uno di noi, e ci salva: questo Padre che ci aspetta tutti i giorni». Da qui l’invito a dire «grazie: grazie, Signore, perché oggi tu dici a noi che ci hai regalato la salvezza».

Nella sua riflessione il Pontefice ha preso le mosse dal mandato affidato ad Adamo ed Eva: l’impegno a lavorare e dominare la terra, e a essere fecondi. «È la promessa della redenzione — ha spiegato — e con questo comandamento, con questa promessa, hanno cominciato a camminare, a fare strada». Una «strada lunga», fatta di «tanti secoli», ma cominciata «con una disobbedienza». Adamo ed Eva infatti «sono stati ingannati, sono stati sedotti. Hanno avuto la seduzione di satana: sarete come Dio!». In loro hanno prevalso «l’orgoglio e la superbia», tanto che «sono caduti nella tentazione: prendere il posto di Dio, con la superbia sufficiente». È proprio «quell’atteggiamento che soltanto satana ha totalmente in sé».

Adamo ed Eva «hanno fatto un popolo». E «questo cammino non lo hanno fatto da soli: con loro c’era il Signore», che ha accompagnato l’umanità lungo un itinerario «iniziato con una disobbedienza e finito con una obbedienza». Per spiegarlo, ha ricordato Papa Francesco, «il concilio Vaticano II prende una bella frase di sant’Ireneo di Lione che dice: il nodo che ha fatto Eva con la sua disobbedienza lo ha sciolto Maria con la sua obbedienza». Inoltre, ha aggiunto, la Chiesa spiega questo cammino anche con una preghiera che recita: «Signore, tu che hai creato meravigliosamente l’umanità e l’hai restaurata, ristabilita più meravigliosamente...». Si tratta perciò di «un cammino dove le meraviglie di Dio si moltiplicano, sono di più!».

Dio dunque resta sempre «con il suo popolo in cammino: invia i profeti e invia le persone che spiegano la legge». Ma «perché — si è chiesto il Pontefice — il Signore camminava con il suo popolo con tanta tenerezza? Per ammorbidire il nostro cuore» è la risposta. E infatti la Scrittura lo ricorda esplicitamente: io farò del tuo cuore di pietra un cuore di carne.

In sostanza il Signore vuole «ammorbidire il nostro cuore» perché possa ricevere «quella promessa che lui aveva fatto nel paradiso: per un uomo è entrato il peccato, per un altro Uomo viene la salvezza». E proprio questo «cammino tanto lungo» ha aiutato «tutti noi ad avere un cuore più umano, più vicino a Dio; non tanto superbo, non tanto sufficiente».

«Oggi — ha spiegato il Papa — la liturgia ci parla di questo cammino di restaurazione, di questa tappa nel cammino di restaurazione. E ci parla di obbedienza, di docilità alla parola di Dio». Un pensiero, ha fatto notare il Pontefice, che «è molto chiaro» nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Ebrei (10, 4-10): «Fratelli, è impossibile che il sangue di tori e di capri elimini i peccati».

Ecco dunque l’affermazione che «la salvezza non si compra, non si vende. Si regala, è gratuita». E poiché «noi non possiamo salvarci da noi stessi, la salvezza è un regalo, totalmente gratuita». Come scrive san Paolo, non si compra con «il sangue di tori e di capri». E se «non si può comprare», per «entrare in noi questa salvezza chiede un cuore umile, un cuore docile, un cuore obbediente, come quello di Maria». Così «il modello di questo cammino di salvezza è lo stesso Dio, suo Figlio, che non stimò un bene irrinunciabile essere uguale a Dio — lo dice Paolo — ma annientò se stesso e obbedì fino alla morte e alla morte di croce».

Cosa significa allora «il cammino dell’umiltà, dell’umiliazione»? Significa semplicemente, ha concluso Papa Francesco, «dire: io sono uomo, io sono donna e tu sei Dio! E andare davanti, in presenza di Dio, come uomo, come donna nell’obbedienza e nella docilità del cuore».

[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 26/03/2014]

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Because of this unique understanding, Jesus can present himself as the One who reveals the Father with a knowledge that is the fruit of an intimate and mysterious reciprocity (John Paul II)
In forza di questa singolare intesa, Gesù può presentarsi come il rivelatore del Padre, con una conoscenza che è frutto di un'intima e misteriosa reciprocità (Giovanni Paolo II)
Yes, all the "miracles, wonders and signs" of Christ are in function of the revelation of him as Messiah, of him as the Son of God: of him who alone has the power to free man from sin and death. Of him who is truly the Savior of the world (John Paul II)
Sì, tutti i “miracoli, prodigi e segni” di Cristo sono in funzione della rivelazione di lui come Messia, di lui come Figlio di Dio: di lui che, solo, ha il potere di liberare l’uomo dal peccato e dalla morte. Di lui che veramente è il Salvatore del mondo (Giovanni Paolo II)
It is known that faith is man's response to the word of divine revelation. The miracle takes place in organic connection with this revealing word of God. It is a "sign" of his presence and of his work, a particularly intense sign (John Paul II)
È noto che la fede è una risposta dell’uomo alla parola della rivelazione divina. Il miracolo avviene in legame organico con questa parola di Dio rivelante. È un “segno” della sua presenza e del suo operare, un segno, si può dire, particolarmente intenso (Giovanni Paolo II)
That was not the only time the father ran. His joy would not be complete without the presence of his other son. He then sets out to find him and invites him to join in the festivities (cf. v. 28). But the older son appeared upset by the homecoming celebration. He found his father’s joy hard to take; he did not acknowledge the return of his brother: “that son of yours”, he calls him (v. 30). For him, his brother was still lost, because he had already lost him in his heart (Pope Francis)
Ma quello non è stato l’unico momento in cui il Padre si è messo a correre. La sua gioia sarebbe incompleta senza la presenza dell’altro figlio. Per questo esce anche incontro a lui per invitarlo a partecipare alla festa (cfr v. 28). Però, sembra proprio che al figlio maggiore non piacessero le feste di benvenuto; non riesce a sopportare la gioia del padre e non riconosce il ritorno di suo fratello: «quel tuo figlio», dice (v. 30). Per lui suo fratello continua ad essere perduto, perché lo aveva ormai perduto nel suo cuore (Papa Francesco)
Doing a good deed almost instinctively gives rise to the desire to be esteemed and admired for the good action, in other words to gain a reward. And on the one hand this closes us in on ourselves and on the other, it brings us out of ourselves because we live oriented to what others think of us or admire in us (Pope Benedict)
Quando si compie qualcosa di buono, quasi istintivamente nasce il desiderio di essere stimati e ammirati per la buona azione, di avere cioè una soddisfazione. E questo, da una parte rinchiude in se stessi, dall’altra porta fuori da se stessi, perché si vive proiettati verso quello che gli altri pensano di noi e ammirano in noi (Papa Benedetto)
Since God has first loved us (cf. 1 Jn 4:10), love is now no longer a mere “command”; it is the response to the gift of love with which God draws near to us [Pope Benedict]
Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4, 10), l'amore adesso non è più solo un « comandamento », ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro [Papa Benedetto]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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