Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Nel capitolo sedici del Vangelo di Giovanni, ormai vicino al suo ritorno al Padre, Gesù dice ai suoi discepoli:
«Voi vi rattristerete, ma la vostra tristezza diverrà gioia» (Gv 16,20).
Francesco aveva una geniale capacità ispirata dall’alto, nel trasformare ogni tristezza in gioia, in attesa della beata speranza.
Aveva insegnato, ad esempio, a frate Leone, pecorella di Dio, a trovare perfetta letizia nell’essere respinti e non riconosciuti dagli altri.
Trovava gioia nelle sofferenze al solo pensiero che Gesù le aveva vissute per primo e che quello era un nobile modo di unirsi a Lui.
Provava tristezza per le cattive testimonianze fra i suoi, ma veniva scosso da Dio stesso dinanzi a questo tipo di amarezza, poiché il Signore gli ricordava che tutto era in mano sua.
Le varie malinconie del cammino erano trasformate dal Poverello, per la forza dello Spirito, in opportunità di grazia - pensando al ritorno di Gesù e alla beata unione.
Nelle Fonti, gioiello di testimonianze originali, scopriamo la bellezza di tali dinamiche che la fede in Dio e l’efficacia della Parola elaboravano nel Minimo.
"Un giorno vide un suo compagno con una faccia triste e melanconica. Sopportando la cosa a malincuore, gli disse:
«Il servo di Dio non deve mostrarsi agli altri triste e rabbuiato, ma sempre sereno.
Ai tuoi peccati, riflettici nella tua stanza e alla presenza di Dio piangi e gemi. Ma quando ritorni tra i frati, lascia la tristezza e conformati agli altri».
E, poco dopo:
«Gli avversari della salvezza umana hanno molta invidia di me e, siccome non riescono a turbarmi direttamente, tentano sempre di farlo attraverso i miei compagni».
Amava poi tanto l’uomo pieno di letizia spirituale, che per ammonimento generale fece scrivere in un capitolo queste parole:
«Si guardino i frati di non mostrarsi tristi di fuori e rannuvolati come degli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore, ilari e convenientemente graziosi» " (FF 712).
E ancora, nella Vita seconda del Celano, troviamo Francesco che istruisce su come comportarsi nei turbamenti:
«Il servo di Dio - spiegava - quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito per pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza. Perché se permane nella tristezza, crescerà quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una ruggine indelebile, se non verrà tolta con le lacrime» (FF 709).
Francesco, esperto di vita nello Spirito, era solito dire ai suoi:
«I demoni non possono recare danno al servo di Cristo, quando lo vedono santamente giocondo. Se invece l’animo è malinconico, desolato e piangente, con tutta facilità o viene sopraffatto dalla tristezza o è trasportato alle gioie frivole» (FF 709).
In attesa di ricongiungersi al suo Signore, egli voleva vivere ogni cosa in unità di Spirito con Lui, che aveva donato tutto di Sé per ogni creatura.
Giovedì 6.a sett. di Pasqua (Gv 16,16-20)
Gesù dice ai suoi che lo Spirito della Verità inviato li condurrà alla verità tutta intera, annunciando ciò che avrà udito.
Francesco, povero e semplice, era un uomo in continuo ascolto del sussurro dello Spirito.
Ed era proprio questo atteggiamento costante che gli faceva cogliere quanto agli altri talora sfuggiva.
Le primizie raccolte nelle Fonti illustrano come lo Spirito della verità lo istruiva e conduceva ogni giorno.
"In realtà, pur essendo egli perfettissimo tra i perfetti, non ammettendolo, si stimava il più imperfetto di tutti.
Aveva infatti gustato e provato personalmente quanto è dolce, soave e buono il Dio d’Israele per i retti di cuore, che lo cercano sempre con semplicità pura e con purezza vera.
La dolcezza e soavità, che egli sentiva infusa dall’alto nella sua anima, dono rarissimo concesso a pochissimi, lo spingeva a dimenticare totalmente se stesso, e allora, riboccante di tale gaudio, bramava con tutte le forze ascendere alla vita immortale degli spiriti eletti, dove, uscendo da se stesso, in parte si era già elevato.
Ripieno dello spirito di Dio, era pronto ad affrontare qualsiasi angustia di spirito, qualsiasi tormento nel corpo, a patto che gli fosse concesso quanto bramava: che si compisse in lui totalmente la misericordiosa volontà del Padre celeste" (FF 481).
Inoltre, Francesco ormai molto malato e vicino alla morte, a frate Elia che chiedeva come riuscisse ad esprimere tanta letizia in mezzo a così tanti dolori, in un impeto di fervore ebbe a dire:
«Fratello, lascia che io goda nel Signore e nelle sue Laudi in mezzo ai miei dolori, poiché, con la grazia dello Spirito Santo, sono così strettamente unito al mio Signore che, per sua misericordia, posso ben esultare nell’Altissimo» (FF 1614).
Aveva imparato che la presenza dello Spirito conduce alla verità tutta intera e che si offre a quanti lo invocano con tanta maggiore familiarità, nella solitudine e nelle sofferenze.
«Ma quando verrà Lui, lo Spirito della verità, vi guiderà alla verità tutta, perché non parlerà da se stesso, ma dirà quanto avrà udito, e vi annuncerà le cose che verranno» (Gv 16,13)
Mercoledì della 6.a sett. di Pasqua (Gv 16,12-15)
Nel capitolo sedici di Giovanni, rivolto ai suoi discepoli, Gesù fa presente che è bene che Lui torni al Padre, altrimenti non giungerà loro il Paraclito: lo Spirito che rende testimonianza alla Verità.
Francesco, nell’orazione continua, lo considerava il Tesoro più grande della sua esistenza.
Senza lo Spirito Santo non sapeva parlare né agire secondo Dio.
Infatti, nella Leggenda maggiore, troviamo un episodio che conferma tutto questo:
"Una volta, che doveva predicare davanti al Papa e ai cardinali, per suggerimento del cardinale di Ostia aveva mandato a memoria un discorso stilato con ogni cura.
Se non che, quando si trovò là in mezzo, al momento di pronunciare quelle parole edificanti, dimenticò tutto e non riuscì a spiccicare nemmeno una frase.
Allora, dopo aver esposto con umiltà e sincerità il suo imbarazzo, si mise a invocare la Grazia dello Spirito Santo.
Immediatamente le parole incominciarono ad affluire così abbondanti, così efficaci nel commuovere e piegare il cuore di quegli illustri personaggi, da far vedere chiaramente che non era lui a parlare, ma lo Spirito del Signore" (FF 1211).
E ancora:
"Lo Spirito del Signore, che lo aveva unto e inviato assisteva il suo servo Francesco, ovunque si dirigesse; lo assisteva Cristo stesso, potenza e sapienza di Dio.
Per questo le sue parole sovrabbondavano di sana dottrina e i suoi miracoli erano così splendidi ed efficaci.
Era, la sua parola, come un fuoco ardente, che penetrava l’intimo del cuore e ricolmava d’ammirazione le menti; non sfoggiava l’eleganza della retorica, ma aveva il profumo e l’afflato della rivelazione divina" (FF 1210).
La vocazione di Francesco e la sua missione furono davvero una Epifania dello Spirito, che dimorava presso di lui e la sua fraternità. Manifestazione che ancora oggi attesta la santa operazione avvenuta nel suo percorso di fede sorprendente, incoraggiando ogni creatura nel suo cammino.
«Se non vado, il Paraclito non verrà a voi; se invece parto, lo manderò a voi» (Gv 16,7)
Martedì 6.a sett. di Pasqua (Gv 16,5-11)
Francesco e Chiara d’Assisi avevano una speciale devozione per lo Spirito del Signore e la sua Santa operazione.
Nelle Fonti sono innumerevoli i passi che lo attestano.
Nella Vita prima del Celano, a riguardo della vita fraterna condotta dai frati, leggiamo:
"Poiché camminavano con semplicità davanti a Dio e con coraggio davanti agli uomini, in quel tempo meritarono i santi frati la grazia di una rivelazione soprannaturale.
Animati dal fuoco dello Spirito Santo, pregavano cantando il «Pater noster» su una melodia religiosa, non solo nei momenti prescritti, ma ad ogni ora, perché non erano preoccupati dalle cure materiali" (FF 404).
Lo stesso Francesco, avvinto dallo Spirito, andò a Roma per fare una richiesta a Papa Onorio. Questi, insieme ai suoi Cardinali, lo accolsero con grande devozione.
"[…] predicò davanti al Papa e ai Cardinali con animo franco e pieno di ardore, attingendo dalla pienezza del cuore, come gli suggeriva lo Spirito.
Alla sua Parola si commossero quelle altezze e, traendo profondi sospiri dall’intimo, lavarono con lacrime l’uomo interiore.
Terminato il discorso e dopo qualche istante di cordiale colloquio col Papa, alla fine così espose la sua richiesta:
«Non è facile, Signore, come sapete, per gente povera e umile avere accesso a così grande maestà.
Avete nelle mani il mondo, e gli impegni molto importanti non permettono di dedicarsi alle minuzie.
Per questo, Signore, - continuò - chiedo al tenerissimo affetto di vostra Santità di concederci come papa il Signore d’Ostia, qui presente; così, rimanendo sempre intatta la dignità della vostra preminenza, i frati potranno rivolgersi a lui in tempo di necessità, ed essere, con vantaggio, difesi e governati».
Il Papa gradì una richiesta tanto santa, e subito prepose all’Ordine, secondo la domanda dell’uomo di Dio, il Signor Ugolino, allora vescovo d’Ostia.
Il santo cardinale accettò con amore il gregge, che gli era stato affidato, lo allevò premurosamente, e ne fu insieme pastore ed alunno sino alla beata fine" (FF 612).
Anche Chiara, sposa dello Spirito Santo sulle orme di Maria, la Madre di Gesù, così si rivolgeva ad Agnese di Praga, sua fedele discepola:
«E non credere, e non lasciarti sedurre da nessuno che tentasse sviarti da questo proposito o metterti degli ostacoli su questa via, per impedirti di riportare all’Altissimo le tue promesse con quella perfezione alla quale ti invitò lo Spirito del Signore» (FF 2876).
Lo Spirito di Dio aveva fecondato la vita di Francesco e di Chiara e quella delle loro rispettive fraternità, rendendone l’agire una testimonianza eloquente del Vangelo.
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della Verità che procede dal Padre, egli testimonierà di me. Ma anche voi testimonierete, perché fin da principio siete con me» (Gv 15,26-27)
Lunedì della 6.a sett. di Pasqua (Gv 15,26-16,4a)
In questa domenica il Vangelo evidenzia la risposta data da Gesù ai discepoli:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui e faremo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Francesco, innamorato di Cristo, desiderava essere abitato in pienezza dal Signore, custodendo una Relazione d’amore profonda.
Desiderava ardentemente essere dimora di Dio e lo chiedeva nella preghiera per i suoi fratelli.
Nelle Fonti, luogo di primizie, troviamo:
«E tutti quelli e quelle che si diporteranno in questo modo, fino a quando faranno tali cose e persevereranno in esse sino alla fine, riposerà su di essi lo Spirito del Signore, ed egli ne farà sua abitazione e dimora. E saranno figli del Padre celeste, di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo […]» (FF 200 - Lettera ai fedeli).
Ancora, nella Vita prima del Celano:
"Passando un giorno per quelle contrade con grande pompa e clamore l’imperatore Ottone*, che si recava a ricevere «la corona della terra», il santissimo padre non volle neppure uscire dal suo tugurio, che era vicino alla via di transito, né permise che i suoi vi andassero, eccetto uno il quale doveva annunciare con fermezza all’imperatore che quella sua gloria sarebbe durata ben poco.
Siccome il glorioso Santo aveva la sua dimora nell’intimo del cuore, dove preparava una degna abitazione a Dio, il mondo esteriore con il suo strepito non poteva mai distrarlo, né alcuna voce interrompere la grande opera a cui era intento. Si sentiva investito dall’autorità apostolica, e perciò ricusava fermamente di adulare re e principi" (FF 396).
Il Povero si considerava l’Araldo del Gran Re, l’unico vero Re: Gesù, che non inseguiva certo la corona umana.
Dimorare in Dio per Francesco significava vivere in pienezza la sua Parola, avere i sentimenti di Cristo, compiere la propria missione ricevuta, con la forza dello Spirito.
E Chiara, altresì, nella terza lettera ad Agnese di Praga, ricorda:
«È ormai chiaro che l’anima dell’uomo fedele, che è la più degna tra tutte le creature, è resa dalla Grazia di Dio più grande del cielo.
Mentre, infatti, i cieli con tutte le altre cose create non possono contenere il Creatore, l’anima fedele invece, ed essa sola, è sua dimora e soggiorno, e ciò soltanto a motivo della carità, di cui gli empi sono privi. È la stessa Verità che lo afferma:
«Colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio, e io pure l’amerò; noi verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora» (FF 2892).
La comunità di Santa Maria della Porziuncola e quella di San Damiano furono davvero due luoghi dove la Trinità si specchiò e rifulse.
* Ottone IV transitò per il Ducato di Spoleto alla fine del settembre 1209.
* Incoronato a Roma il 4 ottobre e destituito dallo stesso Papa Innocenzo III un anno dopo. Ma la notizia potrebbe riferirsi pure ad un successivo passaggio dell’imperatore avvenuto nel 1210.
Domenica 6.a di Pasqua C (Gv 14,23-29)
Gesù ci ricorda che l’odio del mondo per i suoi discepoli rivela l’odio verso di Lui.
E aggiunge che se hanno perseguitato il Figlio di Dio, i suoi non saranno trattati meglio.
Francesco era convinto che solo l’amore e la cortesia spengono l’odio e davanti alla persecuzione per Cristo conta perseverare nella chiamata ricevuta.
Nella Leggenda dei tre compagni si legge:
"Mentre prolungava il soggiorno in quel luogo, suo padre, preoccupato, andava cercando dove mai fosse finito il figlio.
Venne così a sapere che, completamente trasformato, abitava presso San Damiano.
L’uomo ne fu profondamente addolorato e, sconvolto da quell’incredibile voltafaccia del figlio, chiamò amici e vicini e in tutta furia si precipitò a San Damiano.
Francesco, divenuto ormai cavaliere di Cristo, com’ebbe appreso che i suoi lo minacciavano, presentendone l’irruzione, per schivare la violenta ira paterna, andò a rifugiarsi in una caverna segreta, che aveva appositamente preparato, e vi restò nascosto un mese intero.
La caverna era conosciuta da un solo membro della famiglia.
Costui portava di quando in quando al sequestrato volontario del cibo, che consumava senza farsi vedere.
E pregava con abbondanti lacrime che il Signore lo liberasse da quella persecuzione e amorevolmente lo aiutasse a realizzare le sue aspirazioni" (FF 1416).
E ancora:
"Un giorno, infuocato di entusiasmo, lasciò la caverna e si mise in cammino verso Assisi, vivace, lesto e gaio. Armato di fiducia in Cristo e acceso di amore celeste, rinfacciava a se stesso la codardia e la vana trepidazione, e con audacia decise di esporsi alle mani e ai colpi dei persecutori.
Al primo vederlo, quelli che lo conoscevano com’era prima, presero ad insultarlo, gridando ch’era un pazzo e un insensato, gettandogli fango e sassi.
Vedendolo così mutato, sfinito dalle penitenze, attribuivano ad esaurimento e demenza il suo cambiamento.
Ma il cavaliere di Cristo passava in mezzo a quella tempesta senza farci caso, non lasciandosi colpire e agitare dalle ingiurie, rendendo invece grazie a Dio" (FF 1417).
L’esser chiamati da Dio per il suo Regno, comporta vivere sulle orme di Cristo: quanto vissuto dal Signore.
Il servo non è superiore al suo padrone e certamente viene messo alla prova come lui.
Forte di questo, Francesco visse in unità con Gesù la persecuzione di chi non considerava né viveva la Parola di Dio.
«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me» (Gv 15,18)
Sabato della 5.a sett. di Pasqua (Gv 15,18-21)
Nei versetti del Vangelo di oggi Gesù chiama ad amarsi scambievolmente, come Lui ci ha amati, sino in fondo.
Nella vita di Francesco questo comandamento brillò particolarmente.
Amava i suoi con predilezione e aveva cura dei poveri e di quei lebbrosi un tempo aborriti.
Le Fonti c’informano con passi significativi.
"Da allora si rivestì dello spirito di povertà, di un intimo sentimento d’umiltà e di pietà profonda.
Mentre prima aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano, ora, a causa di Cristo crocifisso, che, secondo le parole del profeta, ha assunto l’aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con umiltà e gentilezza, nell’intento di raggiungere il pieno disprezzo di se stesso.
Visitava spesso le case dei lebbrosi; elargiva loro generosamente l’elemosina e con grande compassione ed affetto baciava loro le mani e il volto.
Anche per i poveri mendicanti bramava spendere non solo i suoi beni, ma perfino se stesso.
Talvolta, per loro si spogliava dei vestiti, talvolta li faceva a pezzi, quando non aveva altro da donare.
Soccorreva pure, con riverenza e pietà, i sacerdoti poveri, provvedendo specialmente alla suppellettile dell’altare, per diventare, così, partecipe del culto divino, mentre sopperiva al bisogno dei ministri del culto" (FF 1036).
Per il Poverello dare la vita per i suoi amici era pane quotidiano e gioia del cuore.
Aveva insegnato ai frati a soccorrere il proprio fratello nelle necessità e nei pericoli, pronti a dare la vita perché l’altro fosse.
Nella Leggenda dei tre compagni:
"Un giorno che due frati camminavano insieme, si imbatterono in un pazzo, che si mise a lanciare delle pietre contro di loro.
Uno di essi, vedendo che le pietre erano dirette contro il compagno, subito gli si mise davanti, preferendo essere colpito lui a posto del fratello.
Tale era l’amore reciproco che li infiammava, e così sinceramente erano pronti a dare la vita l’uno per l’altro" (FF 1447).
E ancora:
"A chi voleva entrare nell’Ordine il Santo insegnava a ripudiare anzitutto il mondo, offrendo a Dio prima i beni esterni, poi a fare il dono interiore di se stessi" (FF 667).
L’amore vicendevole era suo ideale fisso, pensando a quanto il Salvatore aveva patito perché noi fossimo Uno.
«Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri, come ho amato voi» (Gv 15,12).
Venerdì della 5.a sett. di Pasqua (Gv 15,12-17)
Nel capitolo quindici di Giovanni, Gesù annuncia che la sua Gioia in noi, piena, viene dal rimanere nel suo amore.
Guardando più da vicino la vita dei due Poveri di Assisi, ci accorgiamo che nell’ascolto assiduo della Parola di Dio, tradotta in vita, ivi era la loro autentica gioia. Gaudio libero da ogni genere di orpelli, di bazzecole miranti a ritardare il loro andare a Cristo.
Nelle Fonti, custodia di primizie esperienziali, troviamo passi che profumano di bellezza nuda, di povertà beata, di gioia che trova la sua ragion d’essere nell’Unione con Dio.
Già nelle sue Ammonizioni Francesco spiega dove abita la vera gioia.
«Beato quel religioso, che non ha giocondità e letizia se non nelle santissime parole e opere del Signore e, mediante queste, conduce gli uomini all’amore di Dio con gaudio e letizia.
Guai a quel religioso che si diletta in parole oziose e frivole e con esse conduce gli uomini al riso» (FF 170).
E nella Vita seconda del Celano:
"Quando la dolcissima melodia dello spirito gli ferveva nel petto, si manifestava all’esterno con parole francesi, e la vena dell’ispirazione divina, che il suo orecchio percepiva furtivamente, traboccava in giubilo alla maniera giullaresca.
Talora - come ho visto con i miei occhi - raccoglieva un legno da terra, e mentre lo teneva sul braccio sinistro, con la destra prendeva un archetto tenuto curvo da un filo e ve lo passava sopra accompagnandosi con movimenti adatti, come fosse una viella*, e cantava in francese le lodi del Signore.
Bene spesso tutta questa esultanza terminava in lacrime ed il giubilo si stemperava in compianto della passione del Signore.
Poi il Santo, in preda a continui e prolungati sospiri ed a rinnovati gemiti, dimentico di ciò che aveva in mano, rimaneva proteso verso il cielo" (FF 711).
E nella Leggenda Perugina:
"Dal momento della conversione al giorno della morte, Francesco fu molto duro, sempre, con il suo corpo. Ma il suo più alto e appassionato impegno fu quello di possedere e conservare in se stesso la gioia spirituale.
Affermava: «Se il servo di Dio si preoccuperà di avere e conservare abitualmente la gioia interiore ed esteriore, gioia che sgorga da un cuore puro, in nulla gli possono nuocere i demoni, che diranno:
«Dato che questo servo di Dio si mantiene lieto nella tribolazione come nella prosperità, non troviamo una breccia per entrare in lui e fargli danno» ” (FF 1653).
E Chiara, nelle lettere rivolte ad Agnese di Praga, sua figlia spirituale, fa comprendere in cosa consiste la gioia che nessuno può togliere agli amici di Gesù.
Alle lettere, soprattutto, è consegnato il segreto di Chiara, «Donna rinchiusa» nel mistero di Dio.
Il suo messaggio è tanto semplice da apparire quasi una rivelazione: preghiera, povertà, gioia.
«Te veramente felice! Ti è concesso di godere di questo sacro convito, per poter aderire con tutte le fibre del tuo cuore a Colui, la cui bellezza è l’ammirazione instancabile delle beate schiere del cielo.
L’amore di Lui rende felici, la contemplazione ristora, la benignità ricolma.
La soavità di lui pervade tutta l’anima, il ricordo brilla dolce nella memoria.
Al suo profumo i morti risorgono e la gloriosa visione di lui formerà la felicità dei cittadini della Gerusalemme celeste» (FF 2901 - terza lettera).
*Strumento a cinque corde proprio dei trovatori, simile alla viola.
Giovedì della 5.a sett. di Pasqua (Gv 15,9-11)
This is to say that Jesus has put himself on the level of Peter, rather than Peter on Jesus' level! It is exactly this divine conformity that gives hope to the Disciple, who experienced the pain of infidelity. From here is born the trust that makes him able to follow [Christ] to the end: «This he said to show by what death he was to glorify God. And after this he said to him, "Follow me"» (Pope Benedict)
Verrebbe da dire che Gesù si è adeguato a Pietro, piuttosto che Pietro a Gesù! E’ proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. Da qui nasce la fiducia che lo rende capace della sequela fino alla fine: «Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi”» (Papa Benedetto)
Unity is not made with glue [...] The great prayer of Jesus is to «resemble» the Father (Pope Francis)
L’Unità non si fa con la colla […] La grande preghiera di Gesù» è quella di «assomigliare» al Padre (Papa Francesco)
Divisions among Christians, while they wound the Church, wound Christ; and divided, we cause a wound to Christ: the Church is indeed the body of which Christ is the Head (Pope Francis)
Le divisioni tra i cristiani, mentre feriscono la Chiesa, feriscono Cristo, e noi divisi provochiamo una ferita a Cristo: la Chiesa infatti è il corpo di cui Cristo è capo (Papa Francesco)
The glorification that Jesus asks for himself as High Priest, is the entry into full obedience to the Father, an obedience that leads to his fullest filial condition [Pope Benedict]
La glorificazione che Gesù chiede per se stesso, quale Sommo Sacerdote, è l'ingresso nella piena obbedienza al Padre, un'obbedienza che lo conduce alla sua più piena condizione filiale [Papa Benedetto]
All this helps us not to let our guard down before the depths of iniquity, before the mockery of the wicked. In these situations of weariness, the Lord says to us: “Have courage! I have overcome the world!” (Jn 16:33). The word of God gives us strength [Pope Francis]
Tutto questo aiuta a non farsi cadere le braccia davanti allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi. La parola del Signore per queste situazioni di stanchezza è: «Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). E questa parola ci darà forza [Papa Francesco]
The Ascension does not point to Jesus’ absence, but tells us that he is alive in our midst in a new way. He is no longer in a specific place in the world as he was before the Ascension. He is now in the lordship of God, present in every space and time, close to each one of us. In our life we are never alone (Pope Francis)
L’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi. Nella nostra vita non siamo mai soli (Papa Francesco)
The Magnificat is the hymn of praise which rises from humanity redeemed by divine mercy, it rises from all the People of God; at the same time, it is a hymn that denounces the illusion of those who think they are lords of history and masters of their own destiny (Pope Benedict)
Il Magnificat è il canto di lode che sale dall’umanità redenta dalla divina misericordia, sale da tutto il popolo di Dio; in pari tempo è l’inno che denuncia l’illusione di coloro che si credono signori della storia e arbitri del loro destino (Papa Benedetto)
don Giuseppe Nespeca
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