Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Il passo evangelico di oggi parla di persecuzione e odio verso i testimoni di Gesù.
Il Povero d’Assisi, conosciuto Cristo, ben sapeva che seguire le orme di Lui avrebbe comportato anche insulti e persecuzioni, a partire dai suoi familiari.
Infatti gli assisani e suo padre, astuto mercante, non sopportavano il suo radicale cambiamento, e lo stimavano pazzo.
Ma Francesco, Araldo di Cristo, non si lasciava intimorire, guidato dalla Sapienza divina, che a quanti l’accolgono suggerisce ogni risposta adeguata al momento.
Le Fonti Francescane, luogo di speciale palestra evangelica, narrano:
“Un giorno, infuocato di entusiasmo, il Santo lasciò la caverna e si mise in cammino verso Assisi, vivace, lesto e gaio.
Armato di fiducia in Cristo e acceso di amore celeste, rinfacciava a se stesso la codardia e la vana trepidazione, e con audacia decise di esporsi alle mani e ai colpi dei persecutori.
Al primo vederlo, quelli che lo conoscevano com’era prima, presero a insultarlo, gridando ch’era un pazzo e un insensato, gettandogli fango e sassi.
Vedendolo così mutato, sfinito dalle penitenze, attribuivano ad esaurimento e demenza il suo cambiamento.
Ma il cavaliere di Cristo passava in mezzo a quella tempesta senza farci caso, non lasciandosi colpire e agitare dalle ingiurie, rendendo invece grazie a Dio.
Si diffuse per le piazze e le vie della città la notizia di quanto succedeva, finché venne agli orecchi del padre.
Sentito come lo maltrattavano, egli uscì immediatamente a prenderlo, con l’intenzione non di liberarlo, ma di finirla.
Fuori di sé, gli si avventò contro come un lupo sulla pecora, e fissandolo con occhio torvo e con la faccia contratta dal furore, lo afferrò e trascinò fino a casa.
Qui lo rinchiuse in un bugigattolo oscuro per più giorni, facendo di tutto, a parole e a botte, per ricondurlo alla vanità mondana” (FF 1417).
Ma “Francesco non si lasciò smuovere né dalle parole, né dalle catene, né dalle percosse. Sopportava tutto con pazienza, diventando anzi più agile e forte nel seguire il suo ideale” (FF 1418).
«Ora prima di tutte queste cose vi metteranno addosso le loro mani e perseguiteranno consegnando alle sinagoghe e prigioni» (Lc 21,12).
«E sarete odiati da tutti a causa del mio nome» (Lc 21,17).
Mercoledì 34.a sett. T.O. (Lc 21,12-19)
Nel Vangelo di oggi, mentre alcuni pensavano alle belle pietre del tempio, Gesù annuncia che di quanto ammirato non sarebbe rimasto nulla.
Francesco e Chiara d’Assisi, con percorsi diversi, vissero avendo sempre dinanzi l’orizzonte conclusivo della vita.
Per divina rivelazione e per indiscussa intuizione avevano compreso che i luccichii di questo mondo sarebbero stati i primi detrattori delle anime.
Sapevano che di tutto ciò che vedevano, alla fine dei giorni non sarebbe rimasto nulla.
E ogni giorno, fin dalle prime luci dell’alba, tale pensiero li guidava nell’opera di testimonianza.
Le Fonti, vena senza fondo delle vicende evangeliche vissute da questi Giganti del Vangelo, proclamano a cominciare dal Cantico di frate Sole:
«Laudato si’, mi Signore, per Sora nostra Morte corporale/ da la quale nullu homo vivente po’ skappare/ guai a quelli che morranno ne le peccata mortali; / beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,/ ka la morte seconda no ‘l farrà male»(FF 263).
Nondimeno Chiara richiamava le sorelle al fine ultimo della vita:
«Beati però quelli a cui è concesso di camminare per questa via e di perseverarvi fino alla fine» (FF 2850).
Ancora in una delle sue lettere ad Agnese di Boemia, ella ricorda:
«Come si ingannano, molte volte, al riguardo, re e regine di questo mondo!
Quand’anche elevassero la loro superbia fino al cielo e toccassero quasi col capo le nubi, alla fine saranno dissolti nel nulla, come spazzatura» (FF 2894).
Loro hanno lanciato sempre il cuore oltre l’ostacolo, fidandosi di Dio.
Come annuncia Gesù nel Vangelo: «Queste cose che osservate, verranno giorni nei quali non sarà lasciata pietra su pietra, che non sarà distrutta» (Lc 21,6).
Martedì 34.a sett. T.O. (Lc 21,5-11)
Nel Vangelo odierno Gesù sottolinea la misura di dono di una povera vedova: «tutta la sua vita» (Lc 21,4b).
Un uomo di pensiero come P. Claudel ebbe a dire: «A che serve la vita se non ad essere donata?».
Francesco d’Assisi che di francese condivise la nascita per parte materna [Monna Pica, raffinata donna di Francia] aveva fatto del totale dono di sé a Dio e ai fratelli il senso evangelico del suo vivere.
Lo aveva incastonato in un verbo a lui molto caro: «restituire» - ridare a Dio quanto gli aveva elargito a piene mani.
E questo i «poveri in spirito» lo intendono meglio di ogni altro.
Nelle Fonti leggiamo:
“A chi voleva entrare nell’Ordine il Santo insegnava a ripudiare anzitutto il mondo, offrendo a Dio prima i beni esterni, poi a fare il dono interiore di se stessi.
Non ammetteva all’Ordine se non chi si era spogliato di ogni avere, senza ritenere nulla assolutamente, sia per la parola del santo Vangelo, sia perché non fosse di scandalo il peculio personale” (FF 667).
E ancora:
“Nella povertà trovavano grande letizia: non concupivano le ricchezze, disprezzavano anzi ogni bene effimero, bramato dagli amatori di questo mondo.
Soprattutto avversavano il denaro, calpestandolo come la polvere della strada: Francesco aveva insegnato loro che il denaro non valeva più dello sterco d’asino.
Erano felici nel Signore, sempre non avendo dentro di sé o tra loro nulla che potesse in qualche modo contristarli.
Quanto più erano separati dal mondo, tanto più si tenevano avvinti a Dio. Avanzavano sulla via della croce e sui sentieri della giustizia” (FF 1454).
Avevano ben compreso cosa intende il Vangelo quando proclama la Beatitudine di chi dona tutto di sé per Cristo e in Cristo.
«In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti» (Lc 21,3).
Lunedì 34.a sett. T.O. (Lc 21,1-4)
Francesco si considerava «l’araldo del Gran Re».
Assalito dai briganti che gli chiedono chi fosse, lui risponde in modo impavido: «Sono l’araldo del gran Re; vi interessa questo?» (FF 346).
E quando doveva assidersi a mense sontuose di grandi personaggi, Francesco ripeteva:
«Il Signore si compiace della povertà e soprattutto di quella che consiste nel farsi mendicanti volontari per Cristo. E io, questa dignità regale che il Signore ha assunto per noi, facendosi povero per arricchirci della sua miseria e costituire eredi e re del Regno dei cieli i veri poveri di spirito non voglio scambiarla col feudo delle false ricchezze, a voi concesse per un momento» (FF 1127).
E quando allestì a Greccio il primo presepe, Francesco stava davanti alla mangiatoia ricolmo di pietà:
“Predica al popolo la nascita del Re povero, e nel nominarlo, lo chiama per Tenerezza d’amore, il «bimbo di Bethlehem» (FF 1186).
E Chiara gli fa eco nella Leggenda, dicendo:
«Se infatti il Re dei re dona se stesso a chi lo ama ardentemente, che cosa mai vi può essere che non conceda, se è cosa conveniente, a chi lo prega con devozione?» (FF 3208).
Nelle Lodi di Dio Altissimo leggiamo:
«Tu sei Santo, Signore, solo Dio, che operi cose meravigliose.
Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei Altissimo, Tu sei re onnipotente, Tu, Padre santo, re del Cielo e della terra…» (FF 261).
Cristo Re (B) (Gv 18,33b-37)
Gesù ci ricorda che coloro che sono considerati degni della vita futura non prendono moglie né marito.
Al riguardo le Fonti hanno un episodio molto significativo che fa riflettere.
“Nell’eremo dei frati di Sarteano, il maligno che sempre invidia il progresso spirituale dei figli di Dio, ebbe addirittura questa presunzione.
Vedendo che il Santo attendeva continuamente alla sua santificazione, e non tralasciava il guadagno di oggi soddisfatto di quello del giorno precedente, una notte, mentre pregava nella sua celletta, lo chiamò per tre volte: “Francesco, Francesco, Francesco”.
«Cosa vuoi?».
E quello: “Nel mondo non vi è nessun peccatore, che non ottenga la misericordia di Dio, se pentito. Ma chiunque causa la propria morte con una penitenza rigorosa non troverà misericordia in eterno”.
Il Santo riconobbe subito, per rivelazione, l’astuzia del nemico, come cercava di indurlo alla tiepidezza […]
Vedendo che in tal modo non era riuscito a nascondere il laccio, ne prepara un altro, cioè uno stimolo carnale […]
Appena il Padre nota (tale tentazione), si spoglia della veste e si flagella con estrema durezza con un pezzo di corda.
«Orsù frate asino - esclama - così tu devi sottostare, così subire il flagello! La tonaca è dell’Ordine, non è lecito appropriarsene indebitamente […]».
Ma poiché vedeva che con i colpi della disciplina la tentazione non se ne andava […] uscito nell’orto si immerse nudo nella neve alta.
Prendendo poi la neve a piene mani la stringe e ne fa sette mucchi a forma di manichini, si colloca poi dinanzi ad essi e comincia a parlare così al corpo:
«Ecco , questa più grande è tua moglie, questi quattro, due sono i figli e due le tue figlie; gli altri due sono il servo e la domestica, necessari al servizio».
«Fa’ presto, occorre vestirli tutti perché muoiono dal freddo. Se poi questa molteplice preoccupazione ti è di peso, servi con diligenza il Signore».
“[…] e il Santo tornò nella sua cella glorificando Dio” (FF 703).
«Ma quelli che saranno giudicati degni di aver parte a quell’altro mondo e alla risurrezione dei morti, né prendono moglie né prendono marito» (Lc 20,35).
Sabato 33.a sett. T.O. (Lc 20,27-40)
Francesco, uomo di Dio, amava la preghiera in modo speciale, come luogo dell’incontro con lo Sposo, custodendola gelosamente da ogni frastuono.
Leggiamo nella Vita seconda del suo noto biografo, Celano:
“Cercava sempre un luogo appartato, dove potersi unire non solo con lo Spirito, ma con le singole membra, al suo Dio.
Quando invece pregava nelle selve e in luoghi solitari, riempiva i boschi di gemiti, bagnava la terra di lacrime.
Dialogava spesso ad alta voce col suo Signore: rendeva conto al Giudice, supplicava il Padre, parlava all’Amico, scherzava amabilmente con lo Sposo.
E in realtà, per offrire a Dio in molteplice olocausto tutte le fibre del cuore, considerava sotto diversi aspetti Colui che è sommamente Uno.
Spesso senza muovere le labbra, meditava a lungo dentro di sé, e concentrando all’interno le potenze esteriori, si alzava con lo Spirito al cielo.
Non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente” (FF 681-682).
«Sta scritto: la mia casa sarà casa di preghiera» (Lc 19,46).
Venerdì 33.a sett. T.O. (Lc 19,45-48)
Gesù versa lacrime su Gerusalemme per la sua ingrata scelta del potere, nel tempo in cui era stata visitata.
Anche Francesco, discepolo del Signore, sulle orme della Parola fatta carne, appena terminate le commissioni (anzi le troncava in un baleno, per non distrarsi dalle cose di Dio!) si ritirava, come Gesù, tutto solo, a pregare, pure di notte.
Tommaso da Celano, uno dei suoi più eloquenti biografi, presente nelle Fonti, così parla a riguardo della Relazione di Francesco con Cristo.
Tale unione intima rafforzava la sua fede, rendendolo capace di andare a Dio anche sulle grandi acque della vita, fra i marosi del mondo.
“Trascorreva tutto il suo tempo in santo raccoglimento, per imprimere nel cuore la sapienza; temeva di tornare indietro se non progrediva sempre.
E se a volte urgevano visite di secolari o altre faccende, le troncava più che terminarle, per rifugiarsi di nuovo nella contemplazione” (FF 681).
“Quando invece pregava nelle selve e in luoghi solitari, riempiva i boschi di gemiti, bagnava la terra di lacrime, si batteva con la mano il petto; e lì, quasi approfittando di un luogo più intimo e riservato, dialogava spesso ad alta voce col suo Signore” (FF 682).
Ma pure Chiara, pianticella del Serafico padre Francesco, era nutrita dall’orazione assidua e dalla contemplazione solitaria per comprendere il volere di Dio e abbandonandosi a una fede solida.
Ne è testimone quanto scriveva nella terza lettera alla sua figlia spirituale, Agnese di Boemia. Parole cariche di ‘relazione cristiana’ autentica.
«Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza, e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nella immagine della divinità di Lui» (FF 2888).
I Poveri assisani hanno fatto dello “stare con Dio” la condizione per non temere le avversità incontrate nel loro cammino; camminando, per Grazia, sulle “grandi acque”.
Così, grazie all’esempio eloquente, molte anime abbandonavano lo spirito di confronto e sopraffazione, volgendosi a una vita conciliata e di Pace fraterna.
«Se avessi conosciuto in questo giorno anche tu quel che è per la pace! Ma adesso è stato nascosto ai tuoi occhi» (Lc 19,42).
Giovedì 33.a sett. T.O. (Lc 19,41-44)
Il brano del Vangelo di oggi mette in evidenza l’intelligenza spirituale di chi, come Francesco, pone al servizio del Regno tutto ciò che L’Altissimo ha depositato nella sua nuda esistenza.
A chi dispone le mine (moneta greca / talenti) ricevute a servizio del Vangelo le ritroverà maggiorate dalla longanimità del Signore.
Francesco, che si definiva «simplex et idiota», dopo aver incontrato Cristo, cambia pelle - e tutto ciò cui prima anelava finisce col detestarlo - e ogni cosa che prima aborriva diventa per lui dolcezza dell’anima.
Passeggiando tra le Fonti francescane, cesello di eventi e della vocazione profonda e solida del Santo, leggiamo:
“Molti, nobili e plebei, chierici e laici, docili alla divina ispirazione, si recavano dal Santo, bramosi di schierarsi per sempre con lui e sotto la sua guida.
E a tutti egli, come ricca sorgente di grazia celeste, dona le acque vivificanti che fanno sbocciare le virtù nel giardino del cuore.
Artista e maestro di vita evangelica veramente glorioso: mediante il suo esempio, la sua Regola e il suo insegnamento, si rinnova la Chiesa di Cristo nei suoi fedeli, uomini e donne, e trionfa la triplice milizia degli eletti” (FF 384).
Inoltre apprendiamo che “divenne araldo del Vangelo. Incominciò, infatti, a percorre città e villaggi e ad annunziarvi il regno di Dio, non basandosi sui discorsi persuasivi della sapienza umana, ma sulla dimostrazione di spirito e di potenza […] da allora la vigna di Cristo incominciò a produrre germogli profumati del buon odore del Signore, e frutti abbondanti con fiori soavi di grazia e di santità” (FF 1072).
Il Povero d’Assisi aveva saputo ‘trafficare’ le sue mine, ricevute per raggiungere più anime possibili mediante la potenza dello Spirito di Dio e far conoscere il valore salvifico della Parola fatta carne.
«Vi dico che a ognuno che ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Lc 19,26).
Mercoledì 33.a sett. T.O. (Lc 19,11–28)
L’inizio del capitolo diciannove di Luca narra la conversione di Zaccheo. Un cambiamento di rotta che lo aveva indotto a restituire quattro volte di quanto rubato ai poveri.
Così, ricevendo il Signore, la salvezza aveva trovato dimora nella sua casa.
Anche Francesco, al pari di Zaccheo, era di piccola statura e voleva vedere Gesù.
Era salito sul sicomoro delle sue false sicurezze e Gesù gli dice di scendere dal mondo dei tornaconti e di salire sul colle della libertà evangelica, donando quanto aveva ai poveri.
Nel momento in cui incontra Cristo, si accorge che nella sua casa interiore era entrata la salvezza, la chiarità del vivere.
Le Fonti documentano queste vicende storiche interessanti:
“Siccome però, come dice tutta la Scrittura: «Quando un uomo ha finito, allora comincia, e quando sarà consumato, opererà» - si vide il suo spirito farsi più pronto nella carne inferma.
Tanto vivo era il suo amore per la salvezza delle anime, e la sete di conquistarle a Dio, che, non avendo più la forza di camminare, se ne andava per le contrade in groppa a un asinello.
Spesso i confratelli con dolce insistenza lo invitavano a ristorare un poco il suo corpo infermo e troppo debole, con cure mediche, ma egli, che aveva lo spirito continuamente rivolto al cielo, declinava ogni volta l’invito, poiché desiderava soltanto sciogliersi dal corpo per essere con Cristo” (FF 490).
E ancora: “Diceva infatti che niente è più importante della salvezza delle anime, e lo provava molto spesso col fatto che l’Unigenito di Dio si è degnato di essere appeso alla croce per le anime […]
Non si riteneva Amico di Cristo, se non amava le anime che Egli ha amato” (FF 758).
Salvato, cercava di salvare; guarito, voleva guarire!
«Zaccheo, affrettandoti scendi, perché oggi devo rimanere nella tua casa» (Lc 19,5b)
Martedì 33.a sett. T.O. (Lc 19,1-10)
Our shortages make us attentive, and unique. They should not be despised, but assumed and dynamized in communion - with recoveries that renew relationships. Falls are therefore also a precious signal: perhaps we are not using and investing our resources in the best possible way. So the collapses can quickly turn into (different) climbs even for those who have no self-esteem
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte e dinamizzate in comunione - con recuperi che rinnovano i rapporti. Anche le cadute sono dunque un segnale prezioso: forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse. Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti) anche per chi non ha stima di sé
God is Relationship simple: He demythologizes the idol of greatness. The Eternal is no longer the master of creation - He who manifested himself strong and peremptory; in his action, again in the Old Covenant illustrated through nature’s irrepressible powers
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza. L’Eterno non è più il padrone del creato - Colui che si manifestava forte e perentorio; nella sua azione, ancora nel Patto antico illustrato attraverso le potenze incontenibili della natura
Starting from his simple experience, the centurion understands the "remote" value of the Word and the magnet effect of personal Faith. The divine Face is already within things, and the Beatitudes do not create exclusions: they advocate a deeper adhesion, and (at the same time) a less strong manifestation
Partendo dalla sua semplice esperienza, il centurione comprende il valore “a distanza” della Parola e l’effetto-calamita della Fede personale. Il Cospetto divino è già dentro le cose, e le Beatitudini non creano esclusioni: caldeggiano un’adesione più profonda, e (insieme) una manifestazione meno forte
What kind of Coming is it? A shortcut or an act of power to equalize our stormy waves? The missionaries are animated by this certainty: the best stability is instability: that "roar of the sea and the waves" Coming, where no wave resembles the others.
Che tipo di Venuta è? Una scorciatoia o un atto di potenza che pareggi le nostre onde in tempesta? I missionari sono animati da questa certezza: la migliore stabilità è l’instabilità: quel «fragore del mare e dei flutti» che Viene, dove nessuna onda somiglia alle altre.
The words of his call are entrusted to our apostolic ministry and we must make them heard, like the other words of the Gospel, "to the end of the earth" (Acts 1:8). It is Christ's will that we would make them heard. The People of God have a right to hear them from us [Pope John Paul II]
Queste parole di chiamata sono affidate al nostro ministero apostolico e noi dobbiamo farle ascoltare, come le altre parole del Vangelo, «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). E' volontà di Cristo che le facciamo ascoltare. Il Popolo di Dio ha diritto di ascoltarle da noi [Papa Giovanni Paolo II]
"In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet". This refers to the solidity of the Word. It is solid, it is the true reality on which one must base one's life (Pope Benedict)
«In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet». Si parla della solidità della Parola. Essa è solida, è la vera realtà sulla quale basare la propria vita (Papa Benedetto)
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