Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Nelle Beatitudini Gesù proclama l’amore di Dio per ogni uomo, in specie per il povero, oggetto della sua predilezione.
Francesco guardava le Beatitudini come il ritratto di Cristo che le ha vissute in pienezza e le seguiva in quanto innamorato di Lui.
Grande venerazione aveva non solo per la Vergine Maria, ma pure per tutti i Santi.
Infatti fra i suoi scritti vi è un’antifona recitata ogni ora:
«Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te, nata nel mondo, tra le donne, figlia e ancella dell’Altissimo sommo Re il Padre celeste, madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo; prega per noi con san Michele arcangelo e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i santi, presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro. Gloria al Padre. Come era.» (FF 281).
Le Fonti sottolineano che “i santi e il loro ricordo eran per lui come carboni ardenti, che ravvivavano in lui l’incendio deificante” (FF 1167).
Nelle Ammonizioni di Francesco:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli.
Ci sono molti che applicandosi insistentemente a preghiere e occupazioni, fanno molte astinenze e mortificazioni corporali, ma per una sola parola che sembri ingiuria verso la loro persona, o per qualche cosa che venga loro tolta, scandalizzati, tosto si irritano.
Questi non sono poveri in spirito, poiché chi è veramente povero in spirito odia se stesso e ama quelli che li percuotono nella guancia» (FF 163).
«Beati i pacifici, poiché saranno chiamati figli di Dio.
«Sono veri pacifici coloro che in tutte le contrarietà che sopportano in questo mondo, per l’amore del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell’anima e nel corpo» (FF 164).
E nello stesso Cantico di Frate Sole, quand’era ormai molto malato aggiunse la famosa strofa del perdono:
«Laudato si, mi Segnore/ per quilli ke perdonano per lo tuo amore/ e sustengu enfirmitate et tribulacione./
Beati quilgli kel sosteranno in pace,/ ka da te, Altissimo, sirano coronati» (FF 1593).
Nondimeno Chiara d’Assisi, nella sua stupenda Benedizione alle sorelle, volge lo sguardo a tutta l’assemblea dei Santi in cielo e in terra:
«Prego il Signore nostro Gesù Cristo per la sua misericordia e per l’Intercessione della sua santissima Madre Maria, del beato arcangelo Michele e di tutti i santi Angeli di Dio, [del beato Padre nostro Francesco] e di tutti i santi e le sante di Dio, perché lo stesso Padre celeste vi doni e vi confermi questa santissima benedizione in cielo e in terra: in terra, moltiplicandovi, con la sua Grazia e le sue virtù, fra i suoi servi e le sue serve nella sua Chiesa militante; in cielo, esaltandovi e glorificandosi nella sua Chiesa trionfante fra i suoi santi e le sue sante» (FF 2855).
Bellezza evidente di una comunione vissuta a tutto tondo con i santi che ancora camminano sulla terra e con quelli che agitano le loro palme davanti al trono dell’Agnello nella Gerusalemme celeste.
«Beati i poveri [per Amore], perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3).
Tutti i Santi (Mt 5,1-12a)
In questo brano evangelico di Luca, in cui è preannunciata la fine di Gesù e il compimento della sua opera, assistiamo al pianto di Lui su Gerusalemme, città proverbiale, che lapida e uccide i profeti.
Guardando nelle Fonti riportiamo un episodio particolare del Poverello.
Una notte Francesco fece un sogno che quasi richiamava il lamento di Gesù su Gerusalemme.
Cristo aveva pianto sulla città santa, mandante dell’uccisione di profeti (e di avere lapidato quanti sono ad essa inviati) il cui prezzo sarebbe stata una casa lasciata deserta.
L’Unità tradita e vilipesa avrebbe generato squallore e abbandono.
Il Santo dunque "Vide una gallina piccola e nera, simile ad una colomba domestica, con zampe e piedi rivestiti di piume.
Aveva moltissimi pulcini, che per quanto si aggirassero attorno a lei, non riuscivano a raccogliersi tutti sotto le sue ali.
Quando si svegliò, l’uomo di Dio riprese i suoi pensieri, spiegò personalmente la visione.
«La gallina, commentò, sono io, piccolo di statura e di carnagione scura, e debbo unire alla innocenza della vita una semplicità di colomba: virtù, che quanto più rara nel mondo, tanto più speditamente si alza al cielo.
I pulcini sono i frati, cresciuti in numero e grazia, che la forza di Francesco non riesce a proteggere dal turbamento degli uomini e dagli attacchi delle lingue maligne»" (FF 610).
Per questo motivo Il Minimo pose l’Ordine sotto la protezione della Chiesa, poiché per lui seguire Cristo significava camminare sulle tracce della Sposa del Signore.
Il Poverello ebbe sollecitudine speciale per i suoi fratelli, studiandosi di mantenerli nel vincolo dell’unità, per la quale Cristo si fece Agnello sacrificale, immolato per la salvezza di tutto il popolo.
Infatti, nella Lettera ai Fedeli, così si esprime:
«La volontà di suo Padre fu questa, che il suo figlio benedetto e glorioso, che egli ci ha donato ed è nato per noi, offrisse se stesso, mediante il proprio sangue, come sacrificio e vittima sull’altare della croce, non per sé, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, ma in espiazione dei nostri peccati, lasciando a noi l’esempio perché ne seguiamo le orme» (FF 184).
Innamorato di Cristo in tutto, pure nelle infermità che lo colpivano Francesco volle seguire la povertà e l’esempio del Signore.
"Tanto vivo era il suo amore per la salvezza delle anime, e la sete di conquistarle a Dio, che, non avendo più la forza di camminare, se ne andava per le contrade in groppa a un asinello.
Spesso i confratelli con dolce insistenza lo invitavano a ristorare un poco il suo corpo infermo e troppo debole, con cure mediche, ma egli, che aveva lo spirito continuamente rivolto al cielo, declinava ogni volta l’invito, poiché desiderava soltanto sciogliersi dal corpo per essere con Cristo" (FF 490).
Così si serviva di «fratello asino», preso in prestito per il viaggio alla Verna e il suo ritorno attraverso Borgo San Sepolcro, uniti nella mitezza che li accomunava.
Giovedì 30.a sett. T.O. (Lc 13,31-35)
Gesù invita a sforzarsi di entrare per la porta stretta, sapendo che le opere parlano da sole e che gli ultimi saranno primi.
Questi temi sono presenti in modo assiduo nelle Fonti francescane.
Dopo la conversione, il Figlio di Pietro Bernardone pone molta cura allo «sforzatevi di entrare per la porta stretta» raccomandato da Gesù.
Infatti, in quelli che denominiamo «Scritti di Francesco» [per lo più dettati a qualche frate che si faceva suo segretario] emerge con chiarezza la sua ferma adesione al Vangelo.
Nella Regola non bollata (1221) leggiamo tra le esortazioni rivolte ai suoi frati:
«E si sforzino di entrare per la porta stretta, poiché dice il Signore: Angusta è la porta e stretta la via che conduce alla vita; e sono pochi quelli che la trovano» (FF 37).
E ben consapevole dell’esigenza evangelica dell’umiltà e della minorità, così rispondeva ai suoi in merito a chi deve essere ritenuto un vero frate minore:
«Prendi un corpo morto - disse - e mettilo dove ti pare e piace. E vedrai che, se lo muovi, non si oppone: se lo lasci cadere, non protesta.
Se lo metti in cattedra, non guarderà in alto, ma in basso.
Se gli metti un vestito di porpora, sembrerà doppiamente pallido.
Questo è il vero obbediente: chi non giudica il perché lo spostano; non si cura del luogo a cui viene destinato; non insiste per essere trasferito; eletto in un ufficio, mantiene la solita umiltà; quanto più viene onorato, tanto più si ritiene indegno» (FF 1107).
E Chiara non era da meno!
Nel Testamento lasciato alle sorelle:
«Ma poiché stretta è la via e il sentiero, ed angusta la porta per la quale ci si incammina e si entra nella vita, pochi sono quelli che la percorrono e vi entrano; e se pure vi sono quelli che per un poco di tempo vi camminano, pochissimi perseverano in essa.
Beati però quelli cui è concesso di camminare per questa via e di perseverarvi fino alla fine» (FF 2850).
E nella Leggenda:
“Da allora non respinse più alcuna incombenza servile, al punto che, per lo più, era lei a versare l’acqua sulle mani delle sorelle, se ne stava in piedi per assisterle, mentre esse sedevano e le serviva a tavola mentre mangiavano” (FF 3180).
Già, quanti nella vita sono stati considerati ultimi o si sono fatti minimi per il Vangelo saranno i primi nel Regno di Dio!
«Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e sono primi che saranno ultimi» (Lc 13,30).
Mercoledì 30.a sett. T.O. (Lc 13,22-30)
Le due parabole illustrate nel brano di Luca mettono in rilievo le caratteristiche del Regno di Dio: nascondimento e piccolezza, in grado di far lievitare la Buona Novella.
Francesco aveva compreso che Gesù nel Vangelo chiama a divenire uomini e donne capaci di far regnare nella propria vita e in quella degli altri la Parola.
Il nascondimento è tema portante dell’odierno Vangelo e i due Poveri d’Assisi avevano intuito che la grandezza di Dio è contenere nel piccolo e nell’insignificante l’incontenibile che è Dio stesso.
Nelle Fonti ci sono descrizioni che mettono in evidenza tutto questo.
Ad esempio nella Bolla papale di canonizzazione di S. Chiara leggiamo:
«Invero questa luce si teneva chiusa nel nascondimento della vita claustrale, e fuori irradiava bagliori luminosi […]
Si custodiva dentro: e si diffondeva fuori.
Chiara, infatti si nascondeva: ma la sua vita era nota a tutti.
Chiara taceva: ma la sua fama gridava.
Si teneva nascosta nella sua cella: eppure nelle città si predicava di lei» (FF 3284).
«Questo fu l’albero alto, proteso verso il cielo, dai rami dilatati […] e alla cui ombra piacevole e amena molte seguaci accorsero da ogni parte, e tuttora accorrono per gustarne i frutti» (FF 3294).
Lo stesso Francesco rifuggiva quando poteva dalla compagnia degli uomini, trovando dimora negli eremi, ben sapendo che nella solitudine e sepoltura il seme gettato produce germogli copiosi.
Le Fonti c’informano:
“Mentre Francesco, rifuggendo come era sua abitudine dalla vista e dalla compagnia degli uomini si trovava in un eremo, un falco che aveva lì il suo nido strinse con lui un solenne patto di amicizia” (FF 754).
In realtà il Regno dei cieli s’annida laddove risplende l’apparente piccolezza, dando sapore ad ogni cosa.
«A che cosa paragonerò il Regno di Dio? È simile a del lievito, che una donna avendo preso nascose in tre staia di farina, finché tutta fu lievitata» (Lc 13,20-21).
Martedì 30.a sett. T.O. (Lc 13,18-21)
Il Vangelo di oggi ci presenta Gesù in preghiera per l’intera notte, prima di chiamare a sé i suoi discepoli.
La Relazione con il Padre anticipa ogni scelta importante nella vita di Cristo.
Francesco, sull’esempio di Gesù, passava intere notti a pregare in luoghi solitari e prima di assumere decisioni importanti.
Nella Vita seconda del suo biografo Celano si legge:
“Il Santo giunse una volta con il compagno ad una chiesa*, lontano dall’abitato.
Desiderando pregare tutto solo, avvisò il compagno:
«Fratello, vorrei rimanere qui da solo questa notte. Tu va’ all’ospedale* e torna da me per tempo domattina».
Rimasto tutto solo, rivolse a Dio lunghe e devotissime preghiere […]” (FF 707).
Questo intenso rapporto con Dio fece sì che in breve tempo accorressero a lui, stimolati dalla sua testimonianza, molti discepoli pronti a vivere il Vangelo allo stesso modo.
“Durante questo tempo si aggregarono a loro e si fecero discepoli di Francesco altri quattro uomini degni e virtuosi.
Perciò l’interesse per il movimento e la fama dell’uomo di Dio crescevano sempre più tra il popolo.
E veramente in quel tempo Francesco e i suoi compagni provavano una immensa allegrezza e una gioia inesplicabile quando qualcuno dei fedeli, chiunque e di qualunque condizione fosse, ricco, povero, nobile, popolano, spregevole, onorato […] guidato dallo Spirito di Dio veniva a prendere l’abito della loro Santa religione […]” (FF 371).
La sua santità era talmente evidente che tutti erano felici di poter toccare la sua povera tonaca e riceverne benefici.
Infatti tutti coloro che erano malati o posseduti, avvicinati dal Povero venivano guariti.
Ad esempio “a Città di Castello una donna era posseduta da uno spirito maligno e furioso: appena il Santo glielo ebbe ingiunto per obbedienza, il demonio fuggì pieno di sdegno, lasciando libera nell’anima e nel corpo la povera ossessa” (FF 1219).
L’umile discepolo di Gesù era divenuto, per Grazia, “Alter Christus”.
«Egli uscì verso il monte per pregare e passò la notte nella preghiera a Dio» (Lc 6,12).
• FF 707= il frate che lo accompagnava era frate Pacifico.
• La Chiesa presso cui si fermano a pregare è San Pietro in Bovara, presso le Fonti del Clitunno.
• L’ospedale a cui Francesco indirizza il suo compagno era un lebbrosario a pochi chilometri dalla chiesa.
Ss. Simone e Giuda (Lc 6,12-19)
Francesco d’Assisi fu sempre molto sensibile al tema della fede che dà luce alla cecità interiore.
Lui stesso soffrì molto per via della sua malattia agli occhi e non per niente il Cantico delle Creature è capolavoro di quel tempo di sofferenza.
“Spesso, alzandosi dall’orazione, aveva gli occhi che parevano pieni di sangue, tanto erano arrossati a forza di piangere” (FF 1413).
Ebbe sempre tanta predilezione verso chi cieco anelava a vedere di nuovo.
Ci sono episodi delle Fonti che raccontano questa realtà.
“Una donna […] abitante di Narni, colpita da cecità, riacquistò il dono della vista mediante il segno della croce che il beato Francesco tracciò sui suoi occhi (FF 438).
Inoltre “il figlio di un nobile, nato cieco, ricevette, per i meriti di S. Francesco, la vista tanto desiderata e, a ricordo dell’evento, ricevette il nome di Illuminato.
Riconoscente per il beneficio ricevuto, all’età adatta entrò nell’Ordine di S. Francesco e fece grande progresso nella luce della Grazia e della virtù, mostrando di essere figlio della luce vera” (FF 1304).
Il Povero assisano, sulle orme di Cristo, sanò molti che credettero o nutrirono una maggiore fede in Dio perché guariti nel cuore.
Nelle Fonti leggiamo:
“Nel convento dei frati minori di Napoli vi era un frate, di nome Roberto, cieco da molti anni.
Ad un certo punto sopra gli occhi gli si formò un’escrescenza carnosa, che gli impediva di muovere e sollevare le palpebre.
Un giorno si radunarono in quel convento molti frati forestieri, diretti in diverse parti del mondo.
Ebbene, il beato padre nostro Francesco, specchio di santa obbedienza, quasi per incuorarli al viaggio con la novità di un miracolo, volle guarire quel frate, alla loro presenza, nel modo che segue.
Questo frate Roberto era ammalato a morte, tanto che ormai gli era stata raccomandata l’anima; quand’ecco gli si presentò il beato Padre, in compagnia di tre frati, modelli d’ogni santità: sant’Antonio, frate Agostino e frate Giacomo d’Assisi, che ora, dopo la morte, lo accompagnavano premurosamente, così come lo avevano seguito perfettamente durante la vita.
Prendendo un coltello, San Francesco gli tagliò via la carne superflua, restituendogli la vista e strappandolo alle fauci della morte; poi gli disse:
«O figlio Roberto, la grazia che ti ho fatto è un segno per i frati che partono per lontane genti: è il segno che io li precederò e guiderò nel loro cammino. Partano con gioia e adempiano con animo pronto l’obbedienza ricevuta!» (FF 1299).
Il Cantico scritto da S. Francesco [Cantico di frate Sole] è un inno alla vita e alla luce nel momento in cui aveva perso la vista ed era stato guarito nel cuore.
Francesco, dopo la conversione, tornò a vederci di nuovo e divenne luce per tutti, faro nella notte dei tempi.
Cristo ridonava la vista attraverso di lui.
«E Gesù gli disse: Va’, la tua fede ti ha salvato» (Mc 10,52).
30.a Domenica T.O. B (Mc 10,46-52)
Gesù richiama alla conversione: «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,5) è espressione ricorrente.
Francesco, umile di cuore e semplice, al riguardo offre un episodio che chiama a riflessione.
“Diceva che sono da compiangere i predicatori, che vendono spesso il loro ministero per un soldo di vanagloria. E cercava a volte di guarire il loro gonfiore con questo rimedio:
«Perché vi gloriate della conversione degli uomini, quando li hanno convertiti con le loro preghiere i miei frati semplici?».
Ed anzi commentava così il passo che dice: «perfino la sterile ha partorito numerosi figli»:
«La sterile è il mio frate poverello, che non ha il compito di generare figli nella Chiesa. Ma nel giudizio ne avrà dato alla luce moltissimi, perché in quel giorno il giudice ascriverà a sua gloria quelli, che ora converte con le sue preghiere personali»” (FF 749).
E ancora:
«Ci sono molti frati che […] annunziando il Vangelo a qualche persona e al popolo, nel vedere o nel sentire che alcuni ne sono rimasti edificati o convertiti a penitenza, diventano tronfi e montano in superbia per risultati ottenuti da fatica altrui.
Invero, coloro che essi si illudono d’aver edificato o convertito a penitenza con i loro discorsi, è il Signore che li edifica e converte grazie alle orazioni dei frati santi, anche se questi ultimi lo ignorano: è la volontà di Dio, questa, che non se ne accorgano per non insuperbire.
Questi frati sono i miei cavalieri della tavola rotonda, che si nascondono in luoghi appartati e disabitati, per impegnarsi con più fervore nella preghiera e nella meditazione, piangendo i peccati propri e altrui» (FF 1624).
L’umile e quotidiana conversione del Minimo e dei suoi frati ha, nel tempo, rivoluzionato ogni modo di pensare borioso, grazie alla Parola di Cristo.
Sabato della 29.a sett. T.O. (Lc 13,1-9)
Gesù pone l’attenzione sul riconoscimento dei segni del tempo, chiamando al discernimento.
Francesco, uomo di Dio, ha saputo comprendere i segni incontrati nel suo cammino di fede.
Ad esempio, quando rinunciò all’eredità paterna, in presenza del vescovo e, spogliandosi completamente, restituì al padre terreno anche gli abiti che aveva indosso, gli fu offerto in seguito il mantello povero di un contadino.
L’acume di Francesco è evidente. Le Fonti narrano:
”Egli ricevendolo con gratitudine, di propria mano gli tracciò sopra il segno della croce, con un mattone che gli capitò sottomano e formò con esso una veste adatta a ricoprire un uomo crocifisso e seminudo.
Così, dunque, il servitore del Re altissimo, fu lasciato nudo perché seguisse il nudo Signore crocifisso, oggetto del suo amore; così fu munito di una croce, perché affidasse la sua anima al legno della salvezza, salvandosi con la croce dal naufragio del mondo” (FF 1043).
E Francesco stesso divenne segno per l’umanità intera, di cui Dio volle servirsi per ricondurre a Lui molte anime.
Infatti “Resta […] dimostrato che egli è stato inviato fra noi con lo spirito e la potenza di Elia” (FF 1021).
E “viene simboleggiato nella figura dell’angelo che sale dall’Oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo” (FF 1022).
Da uomo nuovo, all’inizio della Lettera ai Custodi così esordisce:
«A tutti i custodi dei frati minori ai quali giungerà questa lettera, frate Francesco, vostro servo e piccolo nel Signore Iddio, augura salute con nuovi segni del cielo e della terra, segni che sono grandi e straordinari presso il Signore e sono invece ritenuti in nessun conto da molti religiosi e da altri uomini […]» (FF 240).
Ma Francesco è la creatura segnata con il Tau, quale testimone di Dio:
“Godendo della compagnia del Padre, frate Pacifico cominciò ad esperimentare dolcezze, che non aveva ancora provate.
Infatti poté un’altra volta vedere ciò che rimaneva nascosto agli altri: poco dopo, scorse sulla fronte di Francesco un grande segno di Thau*, che ornato di cerchietto multicolori, presentava la bellezza del pavone” (FF 694).
Siamo chiamati, pensando al Povero d’Assisi, a riflettere sul segno dei tempi che il Santo rappresenta.
* Tau è l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico. Chi porta tale segno sulla fronte ha già sottomesso le proprie azioni al potere della croce.
La lettera Tau si trova anche come firma di Francesco in calce alla sua lettera a frate Leone.
«Teatranti! L’aspetto della terra e del cielo sapete discernere, ma questo tempo come non sapete discernere?» (Lc 12,56).
Venerdì 29.a sett. T.O. (Lc 12,54-59)
Gesù nel suo Vangelo parla di un Fuoco che è venuto a portare sulla terra, spartiacque di sequela e non.
Francesco, il Fuoco che intendeva il Signore, lo conosceva bene: lo Spirito Santo.
Maestro e Ministro dell’Ordine dei Minori, lo Spirito di Dio guidava il Poverello in ogni suo passo.
Se andiamo a consultare le Fonti ce ne rendiamo conto.
“E così, per disposizione della bontà divina e per i meriti e la virtù del Santo, avvenne, misericordiosamente e mirabilmente, che l’amico di Cristo cercasse con tutte le forze di morire per Lui e non potesse assolutamente riuscirvi [...]
Da una parte non gli mancò il merito del martirio desiderato e, dall’altra, egli venne risparmiato per essere più tardi insignito di un privilegio straordinario.
Quel Fuoco divino che gli bruciava nel cuore, diventava intanto più ardente e perfetto, perché in seguito riverberasse più luminoso nella sua carne.
O uomo veramente beato, che non viene straziato dal ferro del tiranno, eppure non viene privato della Gloria di assomigliare all’Agnello immolato!” (FF 1175).
Infatti “lo Spirito del Signore, che lo aveva unto e inviato assisteva il suo servo Francesco, ovunque si dirigesse […]
Era, la sua parola, come fuoco ardente, che penetrava l’intimo del cuore e ricolmava d’ammirazione le menti” (FF 1210).
Inoltre i Fioretti (volgarizzati nell’ultimo quarto del Trecento da un ignoto toscano) ci narrano del desiderio di Chiara d’Assisi di desinare una volta con Francesco.
Questi, che aveva sempre tenuto lontano la cosa, fu convinto dai suoi frati a lasciare tale rigidità al riguardo e di accontentarla.
Così Chiara venne a S. Maria degli Angeli e qui Francesco fece apparecchiare la mensa, per terra, insieme ad un fratello del Santo e ad una sorella che accompagnava Chiara.
“E per la prima vivanda Santo Francesco cominciò a parlare di Dio sì soavemente, sì altamente, sì meravigliosamente, che discendendo sopra di loro l’abbondanza della divina grazia, tutti furono in Dio ratti.
E stando così ratti con gli occhi e con le mani levate in cielo, gli uomini da Sciesi e da Bettona e que’ della contrada dintorno, vedeano che Santa Maria degli Agnoli e tutto il luogo e la selva […] ardeano fortemente, e parea che fosse un fuoco grande che occupava la chiesa e ‘l luogo e la selva insieme” (FF1844).
Tanto che gli abitanti dei dintorni corsero, preoccupati, a spegnere il fuoco che vedevano.
Ma sul posto trovarono solo Francesco e Chiara e i loro compagni rapiti in Dio, comprendendo che quello era stato Fuoco divino e non materiale, attestazione dello Spirito di Dio che infiammava quelle anime sante.
Già, beneficiare di quel Santo Spirito guadagnato dal battesimo di Cristo!
«Sono venuto a gettare un fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già divampato!» (Lc 12,49).
Giovedì 29.a sett. T.O. (Lc 12,49-53).
Our shortages make us attentive, and unique. They should not be despised, but assumed and dynamized in communion - with recoveries that renew relationships. Falls are therefore also a precious signal: perhaps we are not using and investing our resources in the best possible way. So the collapses can quickly turn into (different) climbs even for those who have no self-esteem
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte e dinamizzate in comunione - con recuperi che rinnovano i rapporti. Anche le cadute sono dunque un segnale prezioso: forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse. Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti) anche per chi non ha stima di sé
God is Relationship simple: He demythologizes the idol of greatness. The Eternal is no longer the master of creation - He who manifested himself strong and peremptory; in his action, again in the Old Covenant illustrated through nature’s irrepressible powers
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza. L’Eterno non è più il padrone del creato - Colui che si manifestava forte e perentorio; nella sua azione, ancora nel Patto antico illustrato attraverso le potenze incontenibili della natura
Starting from his simple experience, the centurion understands the "remote" value of the Word and the magnet effect of personal Faith. The divine Face is already within things, and the Beatitudes do not create exclusions: they advocate a deeper adhesion, and (at the same time) a less strong manifestation
Partendo dalla sua semplice esperienza, il centurione comprende il valore “a distanza” della Parola e l’effetto-calamita della Fede personale. Il Cospetto divino è già dentro le cose, e le Beatitudini non creano esclusioni: caldeggiano un’adesione più profonda, e (insieme) una manifestazione meno forte
What kind of Coming is it? A shortcut or an act of power to equalize our stormy waves? The missionaries are animated by this certainty: the best stability is instability: that "roar of the sea and the waves" Coming, where no wave resembles the others.
Che tipo di Venuta è? Una scorciatoia o un atto di potenza che pareggi le nostre onde in tempesta? I missionari sono animati da questa certezza: la migliore stabilità è l’instabilità: quel «fragore del mare e dei flutti» che Viene, dove nessuna onda somiglia alle altre.
The words of his call are entrusted to our apostolic ministry and we must make them heard, like the other words of the Gospel, "to the end of the earth" (Acts 1:8). It is Christ's will that we would make them heard. The People of God have a right to hear them from us [Pope John Paul II]
Queste parole di chiamata sono affidate al nostro ministero apostolico e noi dobbiamo farle ascoltare, come le altre parole del Vangelo, «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). E' volontà di Cristo che le facciamo ascoltare. Il Popolo di Dio ha diritto di ascoltarle da noi [Papa Giovanni Paolo II]
"In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet". This refers to the solidity of the Word. It is solid, it is the true reality on which one must base one's life (Pope Benedict)
«In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet». Si parla della solidità della Parola. Essa è solida, è la vera realtà sulla quale basare la propria vita (Papa Benedetto)
don Giuseppe Nespeca
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