Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Gesù guarisce sulla strada di Gerico un cieco che crede in Lui e che, per la salvezza ricevuta, comincia a seguirLo glorificando Dio.
La cecità è tema rivisitato da Francesco in varie occasioni.
Il Minimo sapeva cosa fosse quella del corpo e dell’anima, avendola sperimentata spiritualmente e fisicamente.
Il Nome di Gesù sulle labbra del Poverello spesso aveva generato guarigioni, ridonando la vista.
Nelle Fonti troviamo:
“Nel convento dei frati minori di Napoli vi era un frate, di nome Roberto, cieco da molti anni.
Ad un certo punto sopra gli occhi gli si formò un’escrescenza carnosa, che gli impediva di muovere e sollevare le palpebre.
Un giorno si radunarono in quel convento molti frati forestieri, diretti in diverse parti del mondo.
Ebbene, il beato padre nostro Francesco, specchio di santa obbedienza, quasi per incuorarli al viaggio con la novità di un miracolo, volle guarire quel frate, alla loro presenza, nel modo che segue.
Questo frate Roberto era ammalato a morte, tanto che ormai gli era stata raccomandata l’anima; quand’ecco gli si presentò il beato Padre, in compagnia di tre frati, modelli d’ogni santità: sant’Antonio, frate Agostino e frate Giacomo d’Assisi, che ora, dopo la morte, lo accompagnavano premurosamente, così come lo avevano seguito perfettamente durante la vita.
Prendendo un coltello, San Francesco gli tagliò via la carne superflua, restituendogli la vista e strappandolo alle fauci della morte; poi gli disse:
«O figlio Roberto, la grazia che ti ho fatto è un segno per i frati che partono per lontane genti: è il segno che io li precederò e guiderò nel loro cammino. Partano con gioia e adempiano con animo pronto l’obbedienza ricevuta!» (FF 1299).
Il Cantico scritto da S. Francesco - Cantico di frate Sole - è un inno alla vita e alla luce nel momento in cui aveva perso la vista ed era stato guarito nel cuore.
Francesco, dopo la conversione, tornò a vederci di nuovo e divenne luce per tutti, faro nella notte dei tempi.
Cristo ridonava la vista attraverso di lui.
«E Gesù gli disse: "Solleva lo sguardo! La tua fede ti ha salvato"» (Lc 18,42).
Lunedì 33.a sett. T.O. (Lc 18,35-43)
Il Signore chiama a porre attenzione agli accadimenti. A non sprecare opportunità di vita.
Francesco d’Assisi era singolare profeta capace di leggere i segni incontrati nel cammino di fede.
Ma il grave errore poteva essere quello di non aver compreso che Francesco era lui un segno dei tempi, e che segno!
Donato dal Cielo per conquistare anime a Dio, sapendo che il tempo ormai s’e fatto breve.
Le Fonti, Maestre di francescanesimo, ci dicono perché Francesco era stato scelto come segno dei tempi.
In tal senso la Leggenda maggiore di S. Bonaventura si fa rivelazione:
“Su di lui veramente poverello e contrito di cuore, Dio posò il suo sguardo con grande accondiscendenza e bontà; non soltanto lo sollevò mendico dalla polvere della vita mondana, ma lo rese campione, guida e araldo della perfezione evangelica e lo scelse come luce per i credenti, affinché divenuto testimone della luce, preparasse per il Signore la via della luce e della pace nel cuore dei fedeli” (FF 1020).
Continua S. Bonaventura: ”Come la stella del mattino che appare in mezzo alle nubi, coi raggi fulgentissimi della sua vita e della sua dottrina attrasse verso la luce coloro che giacevano nell’ombra della morte; come arcobaleno, che brilla tra le nubi luminose, portando in se stesso il segno del patto con il Signore, annunziò agli uomini il Vangelo della Pace e della salvezza.
Angelo della vera pace, anch’egli, ad imitazione del Precursore, fu predestinato da Dio a preparargli la strada nel deserto dell’altissima povertà e a predicare la penitenza con l’esempio e con la parola […]
Fu ricolmo dello spirito profetico e, deputato all’ufficio degli Angeli, venne ricolmato dell’ardente amore dei serafini, finché, divenuto simile alle gerarchie angeliche, venne rapito in cielo da un carro di fuoco.
Resta così razionalmente dimostrato che egli è stato inviato fra noi con lo spirito e la potenza di Elia” (Fonti 1021).
“E perciò, si afferma, a buon diritto, che egli viene simboleggiato nella figura dell’angelo che sale dall’oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo” (Fonti 1022).
“Egli ebbe dal Cielo la missione di chiamare gli uomini a piangere, a lamentarsi, a radersi la testa e a cingere il sacco, e di imprimere, col segno della croce penitenziale e con un abito fatto in forma di croce; il Tau, sulla fronte di coloro che gemono e piangono” (Fonti 1022).
«Il cielo e la terra passeranno, ma le mie Parole non passeranno» (Mc 13,31)
33.a Domenica del T.O. (anno B) (Mc 13, 24-32)
Nel capitolo diociottesimo di Luca Gesù evidenzia l’importanza della preghiera continua, insistente e fatta con fede. Per essere più pratico racconta la parabola del giudice e della vedova importuna.
Chi conosce un poco il Povero di S. Maria della Porziuncola, sa bene che l’orazione continua per lui era come l’ossigeno per i polmoni.
Vari passi delle Fonti descrivono quanto Francesco l’amasse e cercasse luoghi in cui poter dare libero sfogo al suo grande cuore.
“Dialogava spesso ad alta voce col suo Signore: rendeva conto al Giudice, supplicava il Padre, parlava all’Amico, scherzava amabilmente con lo Sposo.
E in realtà, per offrire a Dio in molteplice olocausto tutte le fibre del cuore, considerava sotto diversi aspetti Colui che è sommamente Uno […] Dirigeva tutta la mente e l’affetto a quell’unica cosa che chiedeva a Dio: non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente” (FF 682).
E nella Leggenda maggiore troviamo, a conferma della sua fede in Dio:
«Io, piccolino e semplice, inesperto nel parlare ho ricevuto la Grazia dell’orazione, più che quella della predicazione.
Nell’orazione, inoltre o si acquistano o si accumulano le grazie; nella predicazione, invece, si distribuiscono i doni ricevuti dal cielo […] Nell’orazione parliamo a Dio, lo ascoltiamo, e ci tratteniamo in mezzo agli angeli» (FF 1204).
La sua fede era cresciuta giorno per giorno, perché intrisa di Relazione divina, certa di essere ascoltata per Grazia e non per merito; divenendo così un Gigante della Parola.
«Ma Dio non farà giustizia ai suoi eletti, che gridano a lui giorno e notte?» (Lc 18,7).
Sabato 32.a sett. T.O. (Lc 18,1-8)
Francesco aveva imparato dal Vangelo che lo stringere fra le mani la propria vita la fa perdere, ma chi si dispone a perderla per Cristo e con Cristo, in realtà la guadagna.
Quando incontrò i lebbrosi il Minimo era a un bivio: trattenere la propria vita o donarla?
Abbracciare gli emarginati o continuare a pensare alla propria esistenza?
Le Fonti attestano che scelta fece Francesco nel merito.
Il Signore gli aveva detto qualcosa di ben preciso:
«Francesco - gli disse Dio in spirito - preferisci
le cose amare alle dolci, disprezza te stesso, se vuoi conoscermi» (FF 591).
E ancora: “Fra tutti gli orrori della miseria umana, Francesco sentiva ripugnanza istintiva per i lebbrosi. Ma, ecco, un giorno né incontrò proprio proprio uno, mentre era a cavallo nei pressi di Assisi.
Ne provò grande fastidio e ribrezzo; ma per non venire meno alla fedeltà promessa, come trasgredendo un ordine ricevuto, balzò da cavallo e corse a baciarlo.
E il lebbroso, che gli aveva steso una mano, come per ricevere qualcosa, ne ebbe contemporaneamente denaro e un bacio. Subito risalì a cavallo, guardò qua e là - la campagna era tutta aperta e libera tutt’attorno da ostacoli - ma non vide più il lebbroso.
Pieno di gioia e di ammirazione, poco tempo dopo volle ripetere quel gesto: andò al lebbrosario e, dopo aver dato a ciascun malato del denaro, ne baciò la mano e la bocca.
Così preferiva le cose amare alle dolci, e si prestava virilmente a mantenere gli altri propositi” (FF 592).
In tal modo il Poverello d’Assisi fece dell’amare e curare i lebbrosi il discrimine del perdere la propria vita per ritrovarla.
«Chi cercherà di conservare la sua vita, la perderà; ma chi perderà, la manterrà vivente» (Lc 17,33).
Venerdì 32.a sett. T.O. (Lc 17,26-37)
Il Signore chiama a porre attenzione agli accadimenti. A non sprecare opportunità di vita.
Francesco d’Assisi era singolare profeta capace di leggere i segni incontrati nel cammino di fede.
Ma il grave errore poteva essere quello di non aver compreso che Francesco era lui un segno dei tempi, e che segno!
Donato dal Cielo per conquistare anime a Dio, sapendo che il tempo ormai s’e fatto breve.
Le Fonti, Maestre di francescanesimo, dicono perché il Santo era stato scelto come segno dei tempi.
In tal senso la Leggenda maggiore di S. Bonaventura si fa rivelazione:
“Su di lui veramente poverello e contrito di cuore, Dio posò il suo sguardo con grande accondiscendenza e bontà; non soltanto lo sollevò mendico dalla polvere della vita mondana, ma lo rese campione, guida e araldo della perfezione evangelica e lo scelse come luce per i credenti, affinché divenuto testimone della luce, preparasse per il Signore la via della luce e della pace nel cuore dei fedeli” (FF 1020).
Continua S. Bonaventura:
“Come la stella del mattino che appare in mezzo alle nubi, coi raggi fulgentissimi della sua vita e della sua dottrina attrasse verso la luce coloro che giacevano nell’ombra della morte; come arcobaleno, che brilla tra le nubi luminose, portando in se stesso il segno del patto con il Signore, annunziò agli uomini il Vangelo della Pace e della salvezza.
Angelo della vera pace, anch’egli, ad imitazione del Precursore, fu predestinato da Dio a preparargli la strada nel deserto dell’altissima povertà e a predicare la penitenza con l’esempio e con la parola […]
Fu ricolmo dello spirito profetico e, deputato all’ufficio degli Angeli, venne ricolmato dell’ardente amore dei serafini, finché, divenuto simile alle gerarchie angeliche, venne rapito in cielo da un carro di fuoco.
Resta così razionalmente dimostrato che egli è stato inviato fra noi con lo spirito e la potenza di Elia” (FF 1021).
“E perciò, si afferma, a buon diritto, che egli viene simboleggiato nella figura dell’angelo che sale dall’oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo” (FF 1022).
“Egli ebbe dal Cielo la missione di chiamare gli uomini a piangere, a lamentarsi, a radersi la testa e a cingere il sacco, e di imprimere, col segno della croce penitenziale e con un abito fatto in forma di croce; il Tau, sulla fronte di coloro che gemono e piangono” (FF 1022).
«Perché come la folgore, folgoreggiando da un capo del cielo risplende fino all’altro capo del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo [nel suo giorno]» (Lc 17,24).
Giovedì 32.a sett. T.O. (Lc 17,20-25)
La liturgia odierna ci visita con l’incontro di Gesù con i dieci lebbrosi. Vengono tutti guariti, ma uno solo torna da Lui per ringraziarlo, memore di quanto aveva ricevuto, e soprattutto per ‘dare gloria a Dio’ [riconoscendo Cristo, Signore].
Il Povero di Assisi, dopo la sua conversione, vide nell’incontro con i lebbrosi la strada maestra per trasformarsi in Parola incarnata.
Provava memoria grata verso il Signore per l’esperienza fatta tra questi.
E Gesù, per tutta risposta, lo usò per guarire anche i lebbrosi. Nelle Fonti leggiamo:
“A San Severino nella Marca d’Ancona, abitava un giovane di nome Atto. Era talmente coperto da ulcere che per giudizio dei medici era ritenuto da tutti un vero lebbroso. Le membra erano tutte tumefatte e ingrossate, a causa del rigonfiamento delle vene, tutto gli appariva deformato. Camminare gli era impossibile, e doveva starsene sempre inchiodato nel giaciglio del suo dolore, con disperata afflizione dei genitori. Specialmente il padre suo, straziato da quel diuturno eccessivo dolore, non sapeva più che cosa fare. Ma finalmente gli venne in mente di raccomandarlo e votarlo al beato Francesco, e gli fece questa proposta:
‘Figlio mio vuoi fare un voto al glorioso Francesco, che rifulge per molti miracoli, perché voglia liberarti dal tuo male?’. Rispose: ‘Sì babbo!’.
Il padre si fece subito portare un foglio di papiro, prese le misure dell’altezza e grossezza del figlio e poi gli disse:
‘Alzati, fai voto al beato Francesco che se guarirai, ogni anno e per tutta la tua vita, andrai pellegrino alla sua tomba, recandogli un cero alto come te’.
Il giovane obbedì alla richiesta paterna; si alzò come poté, e a mani giunte, incominciò a invocare la misericordia del Beato Francesco.
Presa la misura del papiro, si alzò appena finita la preghiera, ed era completamente guarito dalla lebbra. Cominciò a camminare, dando lode a Dio e al beato Francesco” (FF 563).
La memoria grata di quanto ricevuto rende testimonianza che a Dio piace che le sue creature non siano smemorate.
«Non sono stati mondati i dieci? Ma i nove dove [sono]? Non sono stati trovati che dessero gloria a Dio, se non questo straniero?» (Lc 17,17-18).
Mercoledì 32.a sett. T.O (Lc 17,-11-19)
Nel Vangelo di oggi Gesù insegna ai suoi discepoli l’umiltà e la grandezza del servire: fare semplicemente quanto ci è stato ordinato.
Grazie alla luce ricevuta dallo Spirito, Francesco e Chiara avevano imparato ad incarnare la Parola di Dio quotidianamente.
Destinatario del loro agire era il Cristo da riconoscere e servire nei frati o nelle sorelle, ma pure da soccorrere in quanti bussavano alla porta o incontravano lungo la strada.
I figli del Regno dei cieli non dominano, bensì servono umilmente il prossimo.
I discepoli di Gesù non ambiscono a posizioni di prestigio, ma a conformarsi all’identikit delineato dalle Beatitudini.
Da qui la comprensione attiva di quanto le Fonti propongono.
"Occupavano [i frati] la giornata nell’orazione e lavorando con le loro mani, in maniera da evitare risolutamente l’ozio, nemico dell’anima […]
Si amavano l’un l’altro con un affetto profondo, e a vicenda si servivano e procuravano il necessario, come farebbe una madre col suo unico figlio teneramente amato.
Tale era l’affetto che ardeva loro in cuore, che erano pronti a consegnarsi alla morte senza esitare, non solo per amore di Cristo, ma anche per salvare l’anima o il corpo dei fratelli" (FF 1446).
«Quando avete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite:
"Siamo servi di nessun conto. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare» (Lc 17,10).
E la stessa Chiara, chiusa fra le mura damianite, offriva in semplicità alle sorelle la testimonianza di un servizio a tutto campo.
"Da allora non respinse più alcuna incombenza servile, al punto che, per lo più, era lei a versare l’acqua sulle mani delle sorelle, se ne stava in piedi per assisterle mentre esse sedevano e le serviva a tavola mentre mangiavano.
Malvolentieri imparte appena qualche ordine: ma fa da sé spontaneamente, preferendo eseguire lei stessa piuttosto che comandare alle sorelle" (FF 3180).
Il Minimo e la Povera di San Damiano avevano ricevuto in dono un cuore puro, infiammato dalla Carità, al servizio del Regno.
Guardando Gesù, Autore e Perfezionatore della legge, avevano acquisito la Sua fisionomia di servitori fraterni, per riscattare le moltitudini.
Martedì 32.a sett. T.O. (Lc 17,7-10)
Gesù sottolinea il doveroso perdono da offrire al fratello che ha sbagliato.
Francesco aveva di speciale tante qualità, ma eccelleva in una: la stabile e solida memoria della Misericordia divina china su di lui, al punto di condonargli tutti gli errori della vita passata.
Aveva fatto esperienza della paternità e maternità di Dio, assorbito da quelle viscere di misericordia che lo avevano visitato e guarito interiormente.
Per lui compatire e perdonare - come pure riprendere, dove fosse necessario - erano atteggiamenti basilari nel cammino fraterno.
Ormai portava scolpita nel cuore la risposta di Gesù alla domanda di Pietro: quante volte concedere il perdono.
Il Signore gli risponde: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,22). Come a dire: "sempre".
Francesco d’Assisi al riguardo, in un passo della Lettera ad un Ministro, spiega bene la disponibilità continua a perdonare, e ricominciare senza stancarsi. Gli accenti sono commoventi.
«Io ti dico […] che quelle cose che ti sono di impedimento nell’amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo […] tutto questo devi ritenere come una grazia […] E ama coloro che agiscono con te in questo modo […]» (FF 234).
Ancora: «E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa maniera, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto più è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli» (FF 235).
La lettera, vero gioiello, fra quelle scritte dal Poverello, continua:
«Se qualcuno dei frati, per istigazione del nemico, avrà peccato mortalmente, sia tenuto per obbedienza a ricorrere al suo guardiano. E tutti frati, che fossero a conoscenza del peccato di lui, non gli facciano vergogna né dicano male di lui, ma ne abbiano grande misericordia e tengano assai segreto il peccato del loro fratello, perché non i sani hanno bisogno del medico, ma i malati» (FF 237).
«Se tuo fratello pecca, rimproveralo; e se si pentirà, perdonagli» (Lc 17,3).
Lunedì 32.a sett. T.O. (Lc 17,1-6)
Francesco, il Minore di Assisi, detestava l’apparire ed era convinto che dare tutto quanto si ha per vivere è restituire al Signore quanto è suo.
Nelle Fonti leggiamo:
“Gli chiesero, una volta, come potesse, con un vestito così leggero, difendersi dai rigori dell’inverno.
Pieno di fervore spirituale, rispose:
«Se il nostro cuore bruciasse per il desiderio della patria celeste, facilmente sopporteremmo questo freddo esteriore».
Aveva in orrore i vestiti morbidi, prediligeva quelli ruvidi e affermava che, proprio per i suoi vestiti ruvidi, Giovanni Battista era stato lodato dalla bocca stessa di Dio.
Se per caso gli davano una tonaca, che a lui pareva soffice, la intesseva all’interno con delle funicelle, dicendo: le vesti morbide, secondo la Parola della Verità, si devono cercare non nelle capanne dei poveri, ma nei palazzi dei principi.
Aveva imparato, per sicura esperienza, che i demoni vengono intimoriti dalle asprezze, mentre dalle mollezze e dalle delicatezze prendono animo per tentare più baldanzosamente (FF 1088).
E Chiara, pianticella del serafico padre, in una lettera alla sua amata figlia spirituale, Agnese di Praga, la sentiamo sostenere:
«Certamente voi sapete […] che il Regno dei cieli il Signore lo promette e dona solo ai poveri, perché quando si amano le cose temporali si perde il frutto della carità; e che non è possibile servire a Dio e a Mammona, perché o si ama l’uno e si ha in odio l’altro o si serve il secondo e si disprezza il primo […] Perciò voi avete gettato le vesti superflue, cioè le ricchezze terrene» (FF 2867).
Chiara, sull’esempio di Francesco, aveva gettato nel tesoro comune gli spiccioli della sua esistenza terrena al servizio del prossimo.
«E venuta una vedova povera, gettò due spiccioli […] il suo intero sostentamento» (Mc 12,42.44]
32.a Domenica B (Mc 12,38-44)
Our shortages make us attentive, and unique. They should not be despised, but assumed and dynamized in communion - with recoveries that renew relationships. Falls are therefore also a precious signal: perhaps we are not using and investing our resources in the best possible way. So the collapses can quickly turn into (different) climbs even for those who have no self-esteem
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte e dinamizzate in comunione - con recuperi che rinnovano i rapporti. Anche le cadute sono dunque un segnale prezioso: forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse. Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti) anche per chi non ha stima di sé
God is Relationship simple: He demythologizes the idol of greatness. The Eternal is no longer the master of creation - He who manifested himself strong and peremptory; in his action, again in the Old Covenant illustrated through nature’s irrepressible powers
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza. L’Eterno non è più il padrone del creato - Colui che si manifestava forte e perentorio; nella sua azione, ancora nel Patto antico illustrato attraverso le potenze incontenibili della natura
Starting from his simple experience, the centurion understands the "remote" value of the Word and the magnet effect of personal Faith. The divine Face is already within things, and the Beatitudes do not create exclusions: they advocate a deeper adhesion, and (at the same time) a less strong manifestation
Partendo dalla sua semplice esperienza, il centurione comprende il valore “a distanza” della Parola e l’effetto-calamita della Fede personale. Il Cospetto divino è già dentro le cose, e le Beatitudini non creano esclusioni: caldeggiano un’adesione più profonda, e (insieme) una manifestazione meno forte
What kind of Coming is it? A shortcut or an act of power to equalize our stormy waves? The missionaries are animated by this certainty: the best stability is instability: that "roar of the sea and the waves" Coming, where no wave resembles the others.
Che tipo di Venuta è? Una scorciatoia o un atto di potenza che pareggi le nostre onde in tempesta? I missionari sono animati da questa certezza: la migliore stabilità è l’instabilità: quel «fragore del mare e dei flutti» che Viene, dove nessuna onda somiglia alle altre.
The words of his call are entrusted to our apostolic ministry and we must make them heard, like the other words of the Gospel, "to the end of the earth" (Acts 1:8). It is Christ's will that we would make them heard. The People of God have a right to hear them from us [Pope John Paul II]
Queste parole di chiamata sono affidate al nostro ministero apostolico e noi dobbiamo farle ascoltare, come le altre parole del Vangelo, «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). E' volontà di Cristo che le facciamo ascoltare. Il Popolo di Dio ha diritto di ascoltarle da noi [Papa Giovanni Paolo II]
"In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet". This refers to the solidity of the Word. It is solid, it is the true reality on which one must base one's life (Pope Benedict)
«In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet». Si parla della solidità della Parola. Essa è solida, è la vera realtà sulla quale basare la propria vita (Papa Benedetto)
don Giuseppe Nespeca
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