Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Oggi, 8 marzo, vorrei anche dire qualcosa sul contributo insostituibile della donna nel costruire un mondo che sia casa per tutti. La donna è colei che fa bello il mondo, che lo custodisce e mantiene in vita. Vi porta la grazia che fa nuove le cose, l’abbraccio che include, il coraggio di donarsi. La pace è donna. Nasce e rinasce dalla tenerezza delle madri. Perciò il sogno della pace si realizza guardando alla donna. Non è un caso che nel racconto della Genesi la donna sia tratta dalla costola dell’uomo mentre questi dorme (cfr Gen 2,21). La donna, cioè, ha origine vicino al cuore e nel sonno, durante i sogni. Perciò porta nel mondo il sogno dell’amore. Se abbiamo a cuore l’avvenire, se sogniamo un futuro di pace, occorre dare spazio alla donna.
[Papa Francesco, discorso dell’8 marzo 2019]
E i Piedi di Gesù, baciati dall’ospite imprevista e censurata
(Lc 7,36-50)
È l’Amore quel cammino di perfezione desiderato da Dio per farci crescere, e a nostro favore - non un formalismo sterilizzato da severi censori.
Ciò che unisce sul serio nelle convinzioni viene da dentro, dal nostro Nucleo; non dipende dall’esterno.
L’Amore non si programma a tavolino o sulla base di modelli. Esprime il cuore con sincerità.
Non è una realtà che soggiace a distanze che ritengono gli altri dei ficcanaso.
Quindi l’empatia e l’amorevolezza non appaiono o scompaiono a comando, secondo codice o stagione.
Appartengono al lato profondo dell’essere donne e uomini d’ogni tempo.
È la passione che può condurre l’esistenza nello Spirito in modo pregevole, non un paesaggio rituale.
L’Amore con tutto il cuore scatta quando abbiamo bisogno di fare l’Incontro decisivo: quell’occasione che sentiamo ci farà aprire le porte a risorse, capacità, talenti, energie, altrimenti inespresse o soffocate.
Sciogliendosi i capelli in pubblico, la “peccatrice” sembra quasi figura della ‘barchetta minore’ che si porge e non offre resistenza ma solo supporto a quella protagonista (Lc 5,2.7.11).
Si tratta d’una comunità spuria e seconda, rispetto alla chiesa ufficiale degli apostoli sempre “vicini” - e di estrazione culturale frammista, a differenza della prima comunità ancora giudaizzante.
Essa si propone al Tu-per-tu con un gesto d’indipendenza: ha bisogno di un rapporto più spontaneo e personale col Signore, unico che la guarda in modo non superficiale.
Relazione impedita proprio da coloro che si assiepano attorno a Lui, ma non apprezzano il favore ricevuto, sebbene da molto tempo partecipino del banchetto [eucaristico].
La “sicurezza” dei meccanismi e delle idee condite di pregiudizio impedisce di sperimentare il Gratis. Ecco il legame lacrime-Perdono.
Chi allontana gli imprevedibili non fa scaturire nessuna forza interiore nuova. Teme qualsiasi sobbalzo che possa incrinare il suo mondo abitudinario e ingessato.
Gli habitué bloccano qualsivoglia emancipazione o scoperta. Non amano le persone che hanno bisogno di liberarsi dalle strettoie della vita.
Non sono adoratori del grande Cammino del Maestro [cf. il continuo riferimento ai suoi «Piedi»].
L’adesione intima totale viene prima di ogni cosa che possiamo adempiere o pensare.
Il trasporto tutto umano privo di cortine è quel che non ci renderebbe stracolmi di supponenza e incapaci di riconoscere i suoi Doni.
Chi è convinto di dare lui qualcosa a Dio, certo non lo ama.
E la scelta che ci riguarda è fra particolari trascurabili o entrare nel cuore dell’autentica Relazione.
Su questo piano, il padrone di Casa soffre subito vertigini.
Simone è impaurito dalla sola idea che il Maestro tenti di farlo entrare in una nuova logica: «Suppongo...» (v.43).
Il brano di Vangelo vuol farci riflettere su chi è più disposto a crescere e amare.
Chiediamoci: sono essi coloro che [come Simone] possono allestire paraventi perbenisti, oppure le piccole anime che spontaneamente si accostano alla propria ‘sorgente’ - prive di maschera sociale?
Insomma, la Redenzione è frutto d’immediatezza personale commossa, persino già ottenuta senza opere di legge
[Giovedì 24.a sett. T.O. 19 settembre 2024]
E i Piedi di Gesù, baciati dall’ospite imprevista e censurata
(Lc 7,36-50)
È l’Amore quel cammino di perfezione desiderato da Dio per farci crescere, e a nostro favore - non il formalismo sterilizzato e la potenza coattiva allestiti a Casa di Simone (in Chiesa, da Pietro e altri severi censori).
Ciò che unisce sul serio nelle convinzioni viene da dentro, dal nostro Nucleo; non dipende dall’esterno.
L’Amore non si programma a tavolino o sulla base di modelli sacrali, né sopporta binari cerebrali e moralisti. Esprime il cuore con sincerità.
Non è una realtà che soggiace a distanze sociali, di ceto - o cerchia più o meno disciplinata dal mestiere (dipendente dal “dietro le quinte”) che resiste all’obbligo di unirsi ai diversi, ritenuti inadeguati impuri ficcanaso.
Quindi l’empatia e l’amorevolezza non appaiono o scompaiono a comando, a progetto e secondo codice, disciplina, stagione.
Appartengono al lato profondo dell’essere donne e uomini d’ogni tempo.
Non è un perbenismo di facciata, né il paesaggio rituale, che possono condurre l’esistenza nello Spirito in modo pregevole, ma la passione.
Ecco il legame lacrime-Perdono.
I formalismi eterodiretti - con le loro formule poco festose e che non ci appartengono - annientano la nostra essenza e le emozioni più potenti.
Il patto sociale preteso dalla gerontocrazia è un riferimento sempre fuori di noi: e sarà il solito bene della tradizione, dell’opinione, dell’ambiente circostante, del calcolo in situazione, delle maniere e del “giro”; in ogni caso, di altri.
Siamo davvero vuoti a perdere, o destinati solo a dover sostenere i veterani, senza spazi per la testimonianza critica e un linguaggio attivo?
E sotto a imitare “padri”, modelli, codici già progettati (persino nei minimi dettagli) a uso dei sentimenti tradizionali di assemblee sempre più attempate?
L’Amore con tutto il cuore scatta quando abbiamo bisogno di fare l’Incontro decisivo: quell’occasione che sentiamo ci farà aprire le porte a risorse, capacità, talenti, energie, altrimenti inespresse o soffocate.
Sciogliendosi i capelli in pubblico, la “peccatrice” sembra quasi figura della “barchetta” minore, che si porge e non offre resistenza ma solo supporto a quella protagonista (Lc 5,2.7.11).
Si tratta d’una comunità spuria e seconda, rispetto alla chiesa ufficiale degli apostoli sempre “vicini” - e di estrazione culturale frammista, a differenza della prima comunità ancora giudaizzante.
Essa si propone al Tu-per-tu con un gesto d’indipendenza: ha bisogno d’un rapporto più spontaneo e personale col Signore, unico che la guarda in modo non superficiale.
Relazione impedita proprio da coloro che si assiepano attorno a Lui, ma per mettergli il bavaglio, e a cuccia.
Gli habitué - tutti prevedibili - non apprezzano il favore ricevuto, sebbene da molto tempo partecipino del banchetto (eucaristico), ma ormai solo da praticanti delle più ribadite litanie.
La “sicurezza” dei meccanismi e delle idee condite di pregiudizio impedisce di sperimentare il Gratis.
Invece di accogliere, le vecchie guide allontanavano; convivevano solo coi loro seguaci - servili e cortigiani - nel mondo degli incantesimi arcaici.
Non facevano scaturire nessuna forza interiore nuova. Temevano qualsiasi sobbalzo che potesse incrinare il loro piedistallo.
Bloccavano qualsivoglia emancipazione o scoperta. Non amavano le persone che avevano bisogno di liberarsi dalle strettoie della vita.
Non erano adoratori del grande Cammino del Maestro (cf. il continuo riferimento ai suoi «piedi») ma pedissequi mercanti di segni astratti - già consolidati o di contrabbando - e d’un Gesù ridotto a immobile sfinge (o icona devota, rituale e “culturale”).
L’adesione intima totale viene prima di ogni cosa che possiamo adempiere o pensare. Non si combina con l’opportunismo di posizione per Cristo.
Il trasporto tutto umano privo di cortine è quel che non ci renderebbe stracolmi di supponenza e incapaci di riconoscere i suoi Doni.
Chi è convinto di dare lui qualcosa a Dio, certo non lo ama. Tiene solo a se stesso: l’apparenza predatrice, ingannevole.
Ancora oggi la scelta che ci riguarda è fra particolari trascurabili o entrare nel cuore dell’autentica Relazione.
Su questo piano, il padrone di Casa soffriva vertigini subito, fin d’allora.
Simone è impaurito dalla sola idea che il Maestro tenti di farlo entrare in una nuova logica: «Suppongo...» (v.43).
Teme l’incombere di qualsiasi scossone alternativo, che possa incrinare il suo mondo abitudinario e ingessato.
Mentre il mondo reale segue i suoi cicli, gli arroccati pretendono stabilità - ma così bloccano la crescita.
Accettando invece gli imprevisti, scopriamo versanti inesplorati, che accostano potenzialità insite cui non avevamo concesso spazio.
I mutamenti continui sono semplicemente il sale della vita. E la stessa fine di un paradigma religioso-culturale è inevitabile.
Diventa fondamentale perciò assumere un atteggiamento genuino, e mettersi in gioco.
La Salvezza è frutto d’immediatezza personale commossa, e persino già ottenuta senza opere di legge: non rapporto di lavoro e ipocrisia [straordinari contro compenso] in ambienti asettici, con cuori invecchiati, assuefatti e pieni di muffa.
Insomma, il brano di Vangelo vuol farci riflettere su chi è più disposto ad amare: coloro che possono allestire paraventi dietro i quali consentirsi anche ciò che rinnegano in modo plateale… oppure le piccole anime che spontaneamente si accostano alla propria ‘sorgente’ - prive di maschera sociale?
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Guardando il nostro comportamento, gli emarginati dal giro perbenista avrebbero certezza di essere accolti spontaneamente e gratuitamente da noi oggi?
Simone, fariseo e ricco “notabile” della città, tiene in casa sua un banchetto in onore di Gesù. Inaspettatamente dal fondo della sala entra un’ospite non invitata né prevista: una nota prostituta. Comprensibile il disagio dei presenti, di cui tuttavia la donna non pare preoccuparsi. Essa avanza e, in modo piuttosto furtivo, si ferma ai piedi di Gesù. Le sono giunte all’orecchio le sue parole di perdono e di speranza per tutti, anche per le prostitute; è commossa e se ne sta lì silenziosa. Bagna con le lacrime i piedi di Gesù, li asciuga con i capelli, li bacia e li unge di un soave profumo. Così facendo la peccatrice vuole esprimere l’affetto e la riconoscenza che nutre verso il Signore con gesti a lei familiari, anche se socialmente censurati.
Di fronte all'imbarazzo generale, è proprio Gesù ad affrontare la situazione: “Simone, ho una cosa da dirti”. “Parla pure, Maestro”, gli risponde il padrone di casa. Conosciamo tutti la risposta di Gesù con una parabola che potremmo riassumere nelle seguenti parole che il Signore sostanzialmente dice a Simone: “Vedi? Questa donna sa di essere peccatrice e, mossa dall’amore, chiede comprensione e perdono. Tu, invece, presumi di essere giusto e sei forse convinto di non aver nulla di grave da farti perdonare”.
Eloquente il messaggio che traspare dal brano evangelico: a chi molto ama, Iddio tutto perdona. Chi confida in se stesso e nei propri meriti è come accecato dal suo io e il suo cuore si indurisce nel peccato. Chi invece si riconosce debole e peccatore si affida a Dio e da Lui ottiene grazia e perdono.
[Papa Benedetto, Udienza ai partecipanti al corso della Penitenzieria Apostolica, 7 marzo 2008]
2. Alla luce della Rivelazione, sappiamo però con certezza consolante che Dio comprende l’umana debolezza ed è pronto al perdono. Egli è Padre ricco di amore e di misericordia. Ce lo dimostra in maniera eloquente il racconto della “donna peccatrice” che, pentita e confidente, onora Gesù nella casa di Simone il fariseo.
A Simone Gesù dice, riferendosi alla donna peccatrice: “Le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato!”; ed alla donna: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!”. Gesù afferma con autorità divina il perdono dei peccati. Esige allo stesso tempo il pentimento e il cambiamento di vita.
3. Carissimi Fratelli e Sorelle! Manteniamo sempre vivo in noi il senso della fiducia nella bontà e nella misericordia di Dio. Non c’è peccato che Dio non voglia perdonare, quando si è pentiti e risoluti a non più peccare. Il pentimento della Maddalena e la parabola narrata da Gesù a Simone sono al riguardo molto ricchi di significato. Decisa, certo, deve essere la condanna del male, ma occorre comprensione e pazienza verso colui che pecca. La liturgia ci invita così ad essere messaggeri di verità e di misericordia, di perdono e di gioia.
Ci troviamo presso la Grotta della Vergine che richiama quella di Lourdes. Ricordiamo la definizione che santa Bernardetta dava del peccato: “Peccatore è colui che ama il peccato!”. Invitata a recarsi alla Grotta di Massabielle, per chiedere ed eventualmente ottenere dalla Madonna la guarigione dal suo male, Bernardetta rispose: “Lourdes non è per me! Lourdes è per i poveri peccatori!”.
Invochiamo Maria Santissima per la salvezza dei peccatori; preghiamo perché mai venga meno nei credenti la fiducia nel Signore che attende i suoi figli con amore e misericordia infinita.
“Beato l’uomo a cui e rimessa la colpa e perdonato il peccato!” (Sal 32)
[Papa Giovanni Paolo II, omelia 18 giugno 1995]
Oggi vogliamo soffermarci su un aspetto della misericordia ben rappresentato dal brano del Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato. Si tratta di un fatto accaduto a Gesù mentre era ospite di un fariseo di nome Simone. Questi aveva voluto invitare Gesù a casa sua perché aveva sentito parlare bene di Lui come di un grande profeta. E mentre si trovano seduti a pranzo, entra una donna conosciuta da tutti in città come una peccatrice. Questa, senza dire una parola, si mette ai piedi di Gesù e scoppia in pianto; le sue lacrime bagnano i piedi di Gesù e lei li asciuga con i suoi capelli, poi li bacia e li unge con un olio profumato che ha portato con sé.
Risalta il confronto tra le due figure: quella di Simone, lo zelante servitore della legge, e quella dell’anonima donna peccatrice. Mentre il primo giudica gli altri in base alle apparenze, la seconda con i suoi gesti esprime con sincerità il suo cuore. Simone, pur avendo invitato Gesù, non vuole compromettersi né coinvolgere la sua vita con il Maestro; la donna, al contrario, si affida pienamente a Lui con amore e con venerazione.
Il fariseo non concepisce che Gesù si lasci “contaminare” dai peccatori. Egli pensa che se fosse realmente un profeta dovrebbe riconoscerli e tenerli lontani per non esserne macchiato, come se fossero lebbrosi. Questo atteggiamento è tipico di un certo modo di intendere la religione, ed è motivato dal fatto che Dio e il peccato si oppongono radicalmente. Ma la Parola di Dio ci insegna a distinguere tra il peccato e il peccatore: con il peccato non bisogna scendere a compromessi, mentre i peccatori – cioè tutti noi! – siamo come dei malati, che vanno curati, e per curarli bisogna che il medico li avvicini, li visiti, li tocchi. E naturalmente il malato, per essere guarito, deve riconoscere di avere bisogno del medico!
Tra il fariseo e la donna peccatrice, Gesù si schiera con quest’ultima. Gesù, libero da pregiudizi che impediscono alla misericordia di esprimersi, la lascia fare. Lui, il Santo di Dio, si lascia toccare da lei senza temere di esserne contaminato. Gesù è libero, perché vicino a Dio che è Padre misericordioso. E questa vicinanza a Dio, Padre misericordioso, dà a Gesù la libertà. Anzi, entrando in relazione con la peccatrice, Gesù pone fine a quella condizione di isolamento a cui il giudizio impietoso del fariseo e dei suoi concittadini - i quali la sfruttavano - la condannava: «I tuoi peccati sono perdonati» (v. 48). La donna ora può dunque andare “in pace”. Il Signore ha visto la sincerità della sua fede e della sua conversione; perciò davanti a tutti proclama: «La tua fede ti ha salvata» (v. 50). Da una parte quell’ipocrisia del dottore della legge, dall’altra parte la sincerità, l’umiltà e la fede della donna. Tutti noi siamo peccatori, ma tante volte cadiamo nella tentazione dell’ipocrisia, di crederci migliori degli altri e diciamo: “Guarda il tuo peccato…”. Tutti noi dobbiamo invece guardare il nostro peccato, le nostre cadute, i nostri sbagli e guardare al Signore. Questa è la linea di salvezza: il rapporto tra “io” peccatore e il Signore. Se io mi sento giusto, questo rapporto di salvezza non si dà.
A questo punto, uno stupore ancora più grande assale tutti i commensali: «Chi è costui che perdona anche i peccati?» (v. 49). Gesù non dà una esplicita risposta, ma la conversione della peccatrice è davanti agli occhi di tutti e dimostra che in Lui risplende la potenza della misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori.
La donna peccatrice ci insegna il legame tra fede, amore e riconoscenza. Le sono stati perdonati «molti peccati» e per questo ama molto; «invece colui al quale si perdona poco, ama poco» (v. 47). Anche lo stesso Simone deve ammettere che ama di più colui al quale è stato condonato di più. Dio ha racchiuso tutti nello stesso mistero di misericordia; e da questo amore, che sempre ci precede, tutti noi impariamo ad amare. Come ricorda san Paolo: «In Cristo, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi» (Ef 1,7-8). In questo testo, il termine “grazia” è praticamente sinonimo di misericordia, e viene detta “abbondante”, cioè oltre ogni nostra attesa, perché attua il progetto salvifico di Dio per ognuno di noi.
Cari fratelli, siamo riconoscenti del dono della fede, ringraziamo il Signore per il suo amore così grande e immeritato! Lasciamo che l’amore di Cristo si riversi in noi: a questo amore il discepolo attinge e su di esso si fonda; di questo amore ognuno si può nutrire e alimentare. Così, nell’amore riconoscente che riversiamo a nostra volta sui nostri fratelli, nelle nostre case, in famiglia, nella società si comunica a tutti la misericordia del Signore.
[Papa Francesco, Udienza Generale 20 aprile 2016]
La cocciutaggine
(Lc 7,31-35)
I Vangeli si fanno largo, avanzano e liberano, facendo comprendere l’enorme differenza tra credo religioso comune, e Fede.
Ci emancipano ribaltando posizioni: chi si sentiva difeso e sicuro - o sulla cresta dell’onda [alla moda] - ora sembra non capire nulla dell’agire di Dio in noi.
Mentre si fa strada la ‘provvidenza’ del nuovo, coloro che sono legati a forme stagnanti o fantasiose cercano cocciutamente di riaggrapparsi ad esse per arginare le autenticità - che pur dilagano.
I nuovi dirigenti del popolo e i veterani si sentono smarriti, perché iniziano a misurare la vacuità della loro supponenza, la futilità del loro prestigio, l’infantile incoerenza dei loro patetici pretesti.
I bambini capricciosi reclamano sempre, quando non ottengono un posto di rilievo nei giochi, o quando altri non fanno quel che dicono loro.
Il Battista era un araldo eminente, chiamato alla realizzazione del piano di Dio [noto a motivo della sua figura particolare, forse più incline alla rinuncia].
Ma il preconcetto della mortificazione non andava bene: dunque, un rompiscatole da rigettare.
Cristo era più simpatico, espressivo e accogliente; non si faceva problemi di purità [quindi pure lui era un esagerato]: da ingiuriare e condannare.
L’austero e penitente veniva giudicato al pari d’un indemoniato; il giovane Rabbi che invitava alla gioia un lassista.
Per i beccamorti della città santa Giovanni era troppo esigente, Gesù troppo largo d’idee e comportamenti.
I ragazzini viziati non si accordano neppure nel gioco, e stanno caparbiamente fermi sulle loro posizioni.
I bimbi incontentabili rifiutano ogni proposta: hanno sempre da ridire.
Il modo austero del deserto sembrava irragionevole.
Il Signore invece viveva in mezzo alla gente, accettava inviti e non cercava di apparire diverso dagli altri - ma il suo stile affabile e semplice era considerato troppo ordinario e accessibile [per un inviato da Dio].
«Eppure la Sapienza è stata giustificata da tutti i suoi figli» (v.35 testo greco); ossia i piccoli leggono il segno dei tempi.
I ‘figli’ riconoscono la divina Sapienza, vedono il suo disegno.
Colgono il progetto di Salvezza nella predicazione del Battista e del Cristo.
Non hanno troppo ‘controllo’ sulle cose; ne sono amici spontanei.
Sono coscienti dei limiti e dei punti di forza; apprendono perfino da posizioni subalterne, e dai lati oscuri; imparano dagli stessi timori.
Vincono l’immobilismo spirituale dei grandi esperti, criticoni d’ogni brezza di cambiamento, o troppo astratti e sofisticati.
Entrambi i quali s’installano e signoreggiano - generando un’umanità radicalmente impoverita.
Costoro sono come figure puerili e incontentabili, ma che non si alzano né smuovono: «seduti» (v.32).
Essi calpestano, violano, inceppano tutto.
Ovunque, gli ‘eletti’ rimangono indifferenti o indispettiti, perché sono, colgono e comprendono “una cosa sola”.
Mai chiudono il loro ‘personaggio’ per aprirne un altro, o per esplorare diversi lati di sé e del mondo. Hanno l’anima inamidata.
Invece, chi non ha il cuore chiuso sta anticipando la Venuta d’un nuovo Regno, sta cogliendo il proprio volto eterno.
[Mercoledì 24.a sett. T.O. 18 settembre 2024]
Un solo “personaggio”, o il Figlio dell’uomo
(Lc 7,31-35)
I Vangeli si fanno largo, avanzano e liberano, facendo comprendere l’enorme differenza tra credo qualsiasi e Fede.
Ci emancipano ribaltando posizioni: chi si sentiva difeso e sicuro ora sembra un bambolotto che non capisce nulla dell’agire di Dio in noi.
D’altro canto, i “grandi” riformatori senza storia e senza spina dorsale elaborano straordinarie proiezioni disincarnate, e si trastullano in esse.
Pur cercando la gioia di vivere, si mettono sempre a distanza di sicurezza da ogni crudo coinvolgimento - che (con Papa Francesco) potremmo definire «artigianale».
Mentre si fa strada la provvidenza dei nuovi assetti, coloro che sono legati a forme stagnanti o eccessivamente fantasiose cercano cocciutamente di riaggrapparsi ad esse.
Entrambe le posizioni sembrano fatte apposta per non dare frutti, né crescere insieme. Esse arginano le autenticità, che pur qua e là fioriscono e dilagano.
I dirigenti del popolo e i veterani si sentono smarriti, perché iniziano a misurare la vacuità della loro supponenza, la futilità del loro prestigio, l’infantile incoerenza dei loro patetici pretesti.
In epigrafe al commento sul Tao Tê Ching (i) il maestro Ho-shang Kung scrive: «L’eterno Nome vuol essere come l’infante che ancora non ha parlato, come il pulcino che ancora non s’è sgusciato».
I bambini capricciosi invece reclamano sempre, quando non ottengono un posto di rilievo nei giochi, o quando altri non fanno quel che dicono loro.
Il Battista era un araldo eminente, chiamato alla realizzazione del piano di Dio [noto a motivo della sua figura particolare, forse più incline alla rinuncia].
Ma il preconcetto della mortificazione non andava bene: dunque, un rompiscatole da rigettare.
Cristo era più simpatico, espressivo e accogliente; non si faceva problemi di purità [quindi pure lui doveva essere un esagerato]: da ingiuriare e condannare.
L’austero e penitente veniva giudicato al pari d’un indemoniato; il giovane Rabbi che invitava alla gioia, un lassista.
Per i beccamorti della città santa Giovanni era troppo esigente, Gesù sembrava esageratamente largo d’idee e comportamenti.
I ragazzini viziati non si accordano neppure nel gioco, e stanno caparbiamente fermi sulle loro posizioni.
I bimbi incontentabili rifiutano ogni proposta: hanno sempre da ridire.
Ma la stessa Rivelazione va al di là di ogni Attesa [cf. Tertio Millennio Adveniente, n.6].
Certo, il modo austero del deserto sembrava irragionevole.
Il Signore invece viveva in mezzo alla gente, accettava inviti e non cercava di apparire diverso dagli altri - ma il suo stile affabile e semplice era considerato troppo ordinario e accessibile per un inviato da Dio.
«Eppure la Sapienza è stata giustificata da tutti i suoi figli» (v.35 testo greco) ossia i piccoli leggono il segno dei tempi.
I figli riconoscono la divina Sapienza, vedono il suo disegno.
Colgono il progetto di Salvezza nella predicazione del Battista e del Cristo.
Non hanno troppo “controllo” sulle cose; ne sono amici.
Sono coscienti dei limiti e dei punti di forza; apprendono perfino da posizioni subalterne e dai lati oscuri, imparano dagli stessi timori.
Vincono l’immobilismo spirituale dei grandi esperti, criticoni d’ogni brezza di cambiamento, o troppo astratti e sofisticati.
Entrambi i quali s’installano e signoreggiano - generando un’umanità radicalmente impoverita.
Costoro sono come figure puerili e incontentabili, ma che non si alzano né smuovono: «seduti» (v.32).
Essi calpestano, violano, inceppano tutto.
Ovunque, gli “eletti” rimangono indifferenti o indispettiti, perché sono, colgono e comprendono “una cosa sola”.
Mai chiudono il loro “personaggio” per aprirne un altro, o per esplorare diversi lati di sé e del mondo.
In una omelia a s. Marta [sul rifiuto del profeta Giona] Papa Francesco ha suggerito di «guardare come agisce il Signore», contrario dei «malati di rigidità» che hanno «l’anima inamidata».
I testardi infantili conoscono bene solo come disturbare donne e uomini franchi, i quali spontaneamente si esprimono in poliedriche fattezze perché non hanno un «piccolo cuore chiuso», ma lo «sanno allargare».
Proprio gli audaci che sono se stessi completamente - non patinati e glamour - invece di ribadire luoghi comuni isterici e sentenziare, accarezzano i fratelli diversi e dilatano la vita.
In tal guisa, stanno cogliendo il proprio volto eterno.
Gli autentici donne e uomini di Fede anticipano la Venuta d’un nuovo Regno.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Chi ti ha aiutato e chi ti ha frenato a comprendere il tuo desiderio profondo? Semplici, o dotti ben introdotti?
Amici che si smuovono e hanno cura, o dirigenti qualificati e specialisti che neanche si mettono d’accordo nei loro “giochi” - gente testarda, che s’installa, signoreggia, frena, inceppa gli altri?
Figlio dell’uomo
«Figlio dell’uomo» (v.34) designa già dall’AT il carattere d’una santità che supera la fiction antica dei dominatori, i quali si accavallavano uno sull’altro recitando lo stesso copione.
La massa permaneva a bocca asciutta: qualsiasi fosse il sovrano che s’impadroniva del potere, la folla minuta restava sottomessa e soffocata.
Identica norma vigeva nelle religioni, i cui capi elargivano al popolo una forte pulsione da orda e il contentino dei gregari.
Invece nel Regno di Gesù devono mancare i ranghi - per questo la sua proposta non collima con le ambizioni delle autorità religiose, e con le stesse aspettative degli Apostoli.
Anch’essi volevano “contare”. Ma appunto «Figlio dell’uomo» è la persona secondo un criterio di umanizzazione, non una belva che prevale perché più forte delle altre [cf. Dan 7].
Ciascun uomo col cuore di carne - non di bestia, né di pietra - è persona comprensiva, capace di ascolto, sempre attenta ai bisogni dell’altro, che mette se stessa a disposizione.
Allude alla dimensione larga della santità; trasmissibile a chiunque, ma creativa come l’amore, quindi tutta da scoprire! Ma questo fa problema, in specie (sembra assurdo) negli ambienti devoti.
Nei Vangeli il «Figlio dell’uomo» - lo sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità - non è ostacolato dai frequentatori dei luoghi di malaffare, ma dagli habitué dei recinti sacri.
La crescita e umanizzazione del popolo non è contrastata da peccatori, bensì proprio da coloro che avrebbero il ministero di far conoscere a tutti il Volto di Dio!
In Mc 9,36-37 (cf. Mt 18,2-5; Lc 9,47-48) Gesù abbraccia un ragazzino di 8-12 anni che a quel tempo non contava nulla - appunto, un valletto di casa, un inserviente di bottega [«paidìon»].
È l’unica identificazione che Gesù ama e desidera consegnarci: quella con colui che non può permettersi di non riconoscere le esigenze altrui.
Dimensione di santità senza aureole distintive: condivisibile, perché legata all’empatia, alla spontanea amicizia verso tutti - donna e uomo di ogni tempo.
Ovvio: non si tratta d’una proposta compromessa con la religione dottrina-e-disciplina che ricaccia indietro le eccentricità: assai più simpatica e amabile.
Quella del Figlio dell’uomo è quel tipo di Santità che ci rende unici, non che sta sempre ad aborrire ed esorcizzare il pericolo dell’inconsueto.
Aristotele affermava che - al di là di petizioni di principio artificiali o proclami apparenti - si ama davvero solo se stessi. Siamo dunque come ragazzini capricciosi? È un punto di domanda non da poco.
Ammesso e non concesso, la crescita, promozione e fioritura delle nostre qualità si colloca all’interno d’una Via sapiente, d’un sentiero che sa concedersi d’incontrare nuovi stati dell’essere.
L’amore genuino e maturo dilata i confini dell’ego amante del primato, della visibilità e del tornaconto, comprendendo il Tu nell’io.
Itinerario e Vettore che poi espande le capacità e la vita. Altrimenti in ogni circostanza e purtroppo a qualsiasi età rimarremo nel gioco puerile di chi sgomita sui gradini, per prevalere.
Come ha detto Papa Francesco circa i fenomeni mafiosi: «C’è bisogno di uomini e donne di Amore, non di onore!».
Leggiamo nel Tao Tê Ching (XL): «La debolezza è quel che adopra il Tao». E il maestro Wang Pi commenta: «L’alto ha per basamento il basso, il nobile ha per fondamento il vile».
Senza sforzi alienanti il personale sfocia nel plurale e globale, valicando e vincendo spontaneamente la frammentazione e dispersione:
«Questa prospettiva universalistica affiora, tra l’altro, dalla presentazione che Gesù fece di se stesso non solo come “Figlio di Davide”, ma come “figlio dell’uomo”. Il titolo di “Figlio dell’uomo”, nel linguaggio della letteratura apocalittica giudaica ispirata alla visione della storia nel Libro del profeta Daniele (cfr 7,13-14), richiama il personaggio che viene «con le nubi del cielo» (v. 13) ed è un’immagine che preannuncia un regno del tutto nuovo, un regno sorretto non da poteri umani, ma dal vero potere che proviene da Dio. Gesù si serve di questa espressione ricca e complessa e la riferisce a Se stesso per manifestare il vero carattere del suo messianismo, come missione destinata a tutto l’uomo e ad ogni uomo, superando ogni particolarismo etnico, nazionale e religioso. Ed è proprio nella sequela di Gesù, nel lasciarsi attrarre dentro la sua umanità e dunque nella comunione con Dio che si entra in questo nuovo regno, che la Chiesa annuncia e anticipa, e che vince frammentazione e dispersione»
[papa Benedetto, Concistoro 24 novembre 2012].
Ancora sul Figlio dell’uomo (Papa Giovanni Paolo II):
1. Gesù Cristo, Figlio dell’uomo e di Dio: è il tema culminante delle nostre catechesi sull’identità del Messia. È la verità fondamentale della rivelazione cristiana e della fede: l’umanità e la divinità di Cristo sulla quale dovremo riflettere in seguito in modo più completo. Per ora ci preme completare l’analisi dei titoli messianici già in qualche modo presenti nell’Antico Testamento e vedere in quale senso Gesù li attribuisce a sè.
Quanto al titolo di “Figlio dell’uomo”, è significativo che Gesù ne abbia fatto un uso frequente parlando di se stesso, mentre sono gli altri che lo chiamano “Figlio di Dio”, come vedremo nella prossima catechesi. Invece egli si autodefinisce “Figlio dell’uomo”, mentre nessun altro lo chiamava così, se si eccettuano il diacono Stefano prima della lapidazione (At 7, 56) e l’autore dell’Apocalisse in due testi (At 1, 13; 14, 14).
2. Il titolo “Figlio dell’uomo” proviene dall’Antico Testamento dal Libro del profeta Daniele. Ecco il testo che descrive una visione notturna del profeta: “Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto”(Dn 7, 13-14).
E quando il profeta chiede la spiegazione di questa visione, riceve la risposta seguente: “I santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per secoli e secoli . . . allora il regno, il potere e la grandezza di tutti i regni che sono sotto il cielo, saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo” (Dn 7, 18.27). Il testo di Daniele riguarda una persona singola e il popolo. Notiamo subito che ciò che si riferisce alla persona del Figlio dell’uomo si ritrova nelle parole dell’angelo nell’annunciazione a Maria: “regnerà per sempre . . . e il suo regno non avrà fine” (Lc 1, 33).
3. Quando Gesù chiama se stesso “Figlio dell’uomo” usa un’espressione proveniente dalla tradizione canonica dell’Antico Testamento e presente anche negli apocrifi giudaici. Occorre però notare che l’espressione “Figlio dell’uomo” (ben-adam) era diventata nell’aramaico dei tempi di Gesù un’espressione indicante semplicemente “uomo” (“bar-enas”). Gesù, perciò, chiamando se stesso “figlio dell’uomo”, riuscì quasi a nascondere dietro il velo del significato comune il significato messianico che la parola aveva nell’insegnamento profetico. Non a caso, tuttavia, se enunciazioni sul “Figlio dell’uomo” appaiono specialmente nel contesto della vita terrena e della passione di Cristo, non ne mancano anche in riferimento alla sua elevazione escatologica.
4. Nel contesto della vita terrena di Gesù di Nazaret troviamo testi quali: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8, 20); o anche: “È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11, 19). Altre volte la parola di Gesù assume un valore più fortemente indicativo del suo potere. Così quando dice: “Il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato” (Mc 2, 28). In occasione della guarigione del paralitico calato attraverso un’apertura praticata nel tetto egli afferma in tono quasi di sfida: “Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua” (Mc 2, 10-11). Altrove Gesù dichiara: “Poiché come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione” (Lc 11, 30). In altra occasione si tratta di una visione avvolta nel mistero: “Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete” (Lc 17, 22).
5. Alcuni teologi notano un parallelismo interessante tra la profezia di Ezechiele e le enunciazioni di Gesù. Scrive il profeta: “(Dio) Mi disse: “Figlio dell’uomo, io ti mando agli Israeliti . . . che si sono rivoltati contro di me . . . Tu dirai loro: Dice il Signore Dio”” (Ez 2, 3-4). “Figlio dell’uomo, tu abiti in mezzo a una genìa di ribelli, che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono . . .” (Ez 12, 2) “Tu, figlio dell’uomo . . . tieni fisso lo sguardo su di essa (Gerusalemme) che sarà assediata . . . e profeterai contro di essa” (Ez 4, 1-7). “Figlio dell’uomo, proponi un enigma che racconta una parabola agli Israeliti” (Ez 17, 2).
Facendo eco alle parole del profeta, Gesù insegna: “Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19, 10). “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45; cf. anche Mt 20, 28). Il “Figlio dell’uomo” . . . “quando verrà nella gloria del Padre”, si vergognerà di chi si vergognava di lui e delle sue parole davanti agli uomini (cf. Mc 8, 38).
6. L’identità del Figlio dell’uomo appare nel duplice aspetto di rappresentante di Dio, annunciatore del regno di Dio, profeta che richiama alla conversione. Dall’altra egli è “rappresentante” degli uomini, dei quali condivide la condizione terrena e le sofferenze per riscattarli e salvarli secondo il disegno del Padre. Come dice egli stesso nel colloquio con Nicodemo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo perché chiunque creda in lui abbia la vita eterna” (Gv 3, 14-15).
È un chiaro annuncio della passione, che Gesù ripete: “E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare” (Mc 8, 31). Per ben tre volte proviamo a fare preannuncio nel Vangelo di Marco (cf. Mc 9, 31; 10, 33-34) e in ciascuna di esse Gesù parla di se stesso come “Figlio dell’uomo”.
7. Con lo stesso appellativo Gesù si autodefinisce dinanzi al tribunale di Caifa, quando alla domanda: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?”, risponde: “Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo” (Mc 14, 62). In queste poche parole risuona l’eco della profezia di Daniele sul “Figlio dell’uomo che viene sulle nubi del cielo” (Dn 7, 13) e del salmo 110 che vede il Signore assiso alla destra di Dio (cf. Sal 110, 1).
8. Ripetutamente Gesù parla della elevazione del “Figlio dell’uomo”, ma non nasconde ai suoi ascoltatori che essa include l’umiliazione della croce. Alle obiezioni e alla incredulità della gente e dei discepoli, che ben comprendevano la magicità delle sue allusioni e che pure gli chiedevano: “Come dunque tu dici che il Figlio dell’uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell’uomo?” (Gv 12, 34), Gesù asserisce: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che io sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre” (Gv 8, 28). Gesù afferma che la sua “elevazione” per mezzo della croce costituirà la sua glorificazione. Poco dopo aggiungerà: “È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo” (Gv 12, 23). È significativo che alla partenza di Giuda dal Cenacolo, Gesù dica “ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui”(Gv 13, 31).
9. Ciò costituisce il contenuto di vita, di passione, di morte e di gloria di cui il profeta Daniele aveva offerto un pallido abbozzo. Gesù non esita ad applicare a sé anche il carattere di regno eterno e intramontabile che Daniele aveva assegnato all’opera del Figlio dell’uomo, quando nel mondo proclama: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria” (Mc 13,26; cf. Mt 24, 30). In questa prospettiva escatologica deve svolgersi l’opera di evangelizzazione della Chiesa. Egli avverte: “Non avrete finito di percorrere la città di Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo” (Mt 10, 23). E si chiede: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 8).
10. Se come “Figlio dell’uomo” Gesù ha realizzato con la sua vita, passione, morte e resurrezione, il piano messianico, delineato nell’Antico Testamento, nello stesso tempo egli assume con quello stesso nome il suo posto tra gli uomini come uomo vero, come figlio di una donna, Maria di Nazaret. Per mezzo di questa donna, sua Madre, lui, il “Figlio di Dio”, è contemporaneamente “Figlio dell’uomo”, uomo vero, come attesta la Lettera agli Ebrei: “Si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (Eb 4, 5; cf. Gaudium et Spes, 22).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 29 aprile 1987]
“Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto”.
Dio non esclude nessuno, né poveri né ricchi. Dio non si lascia condizionare dai nostri pregiudizi umani, ma vede in ognuno un’anima da salvare ed è attratto specialmente da quelle che sono giudicate perdute e che si considerano esse stesse tali. Gesù Cristo, incarnazione di Dio, ha dimostrato questa immensa misericordia, che non toglie nulla alla gravità del peccato, ma mira sempre a salvare il peccatore, ad offrirgli la possibilità di riscattarsi, di ricominciare da capo, di convertirsi […]
Preghiamo la Vergine Maria, modello perfetto di comunione con Gesù, affinché anche noi possiamo sperimentare la gioia di essere visitati dal Figlio di Dio, di essere rinnovati dal suo amore, e trasmettere agli altri la sua misericordia.
[Papa Benedetto, Angelus 31 ottobre 2010]
Le particolari circostanze della nascita di Giovanni ci sono state tramandate dall’evangelista Luca. Secondo un’antica tradizione, essa avvenne ad Ain-Karim, davanti alle porte di Gerusalemme. Le circostanze che accompagnarono questa nascita erano tanto inconsuete, che già a quell’epoca la gente si domandava: “Che sarà mai questo bambino?” (Lc 1, 66). Per i suoi genitori credenti, per i vicini e per i parenti era evidente, che la sua nascita fosse un segno di Dio. Essi vedevano chiaramente che la “mano del Signore” era su di lui. Lo dimostrava già l’annuncio della sua nascita al padre Zaccaria, mentre questi provvedeva al servizio sacerdotale nel tempio di Gerusalemme. La madre, Elisabetta, era già avanti negli anni e si riteneva fosse sterile. Anche il nome “Giovanni” che gli fu dato era inconsueto per il suo ambiente. Il padre stesso dovette dare ordine che fosse chiamato “Giovanni” e non, come tutti gli altri volevano,“Zaccaria” (cf. Lc 1, 59-63).
Il nome Giovanni significa, in lingua ebraica “Dio è misericordioso”. Così già nel nome si esprime il fatto che il neonato un giorno annuncerà il piano di salvezza di Dio.
Il futuro avrebbe pienamente confermato le predizioni e gli avvenimenti che circondarono la sua nascita: Giovanni, figlio di Zaccaria e di Elisabetta, divenne la “voce di uno che grida nel deserto” (Mt 3, 3), che sulle rive del Giordano chiamava la gente alla penitenza e preparava la via a Cristo.
Cristo stesso ha detto di Giovanni il Battista che “tra i nati di donna non è sorto uno più grande” (cf. Mt 11, 11). Per questo anche la Chiesa ha riservato a questo grande messaggero di Dio una venerazione particolare, fin dall’inizio. Espressione di questa venerazione è la festa odierna.
4. Cari fratelli e sorelle! Questa celebrazione, con i suoi testi liturgici, ci invita a riflettere sulla questione del divenire dell’uomo, delle sue origini e della sua destinazione. È vero, ci sembra di sapere già molto su questo argomento, sia per la lunga esperienza dell’umanità, sia per le sempre più approfondite ricerche biomediche. Ma è la parola di Dio che ristabilisce sempre di nuovo la dimensione essenziale della verità sull’uomo: l’uomo è creato da Dio e da Dio voluto a sua immagine e somiglianza. Nessuna scienza puramente umana può dimostrare questa verità. Al massimo essa può avvicinarsi a questa verità o supporre intuitivamente la verità su questo “essere sconosciuto” che è l’uomo fin dal momento del suo concepimento nel grembo materno.
Allo stesso tempo però ci troviamo ad essere testimoni di come, in nome di una presunta scienza, l’uomo venga “ridotto” in un drammatico processo e rappresentato in una triste semplificazione; e così accade che si adombrino anche quei diritti che si fondano sulla dignità della sua persona, che lo distingue da tutte le altre creature del mondo visibile. Quelle parole del libro della Genesi, che parlano dell’uomo come della creatura creata ad immagine e somiglianza di Dio, mettono in rilievo, in modo conciso e al tempo stesso profondo, la piena verità su di lui.
5. Questa verità sull’uomo possiamo apprenderla anche dalla liturgia odierna, in cui la Chiesa prega Dio, il creatore, con le parole del salmista:
“Signore, tu mi scruti e mi conosci . . .
Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre . . .
tu mi conosci fino in fondo.
Quando venivo formato nel segreto . . .
non ti erano nascoste le mie ossa . . .
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio” (Sal 139 [138], 1. 13-15).
L’uomo quindi è consapevole di ciò che è - di ciò che è fin dall’inizio, fin dal grembo materno. Egli sa di essere una creatura che Dio vuole incontrare e con la quale vuole dialogare. Di più: nell’uomo vorrebbe incontrare l’intero creato.
Per Dio, l’uomo è un “qualcuno”: unico ed irripetibile. Egli, come dice il Concilio Vaticano II, “in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa” (cf. Gaudium et Spes, 24).
“Il Signore dal seno materno mi ha chiamato; fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome” (Is 49, 1); come il nome del bambino che è nato in Ain-Karim: “Giovanni”. L’uomo è quell’essere, che Dio chiama per nome. Per Iddio egli è il “tu” creato, Tra tutte le creature egli è quell’“io” personale, che può rivolgersi a Dio e chiamarlo per nome. Dio vuole nell’uomo quel partner che si rivolga a lui come al proprio creatore e Padre: “Tu, mio Signore e mio Dio”. Al “tu” divino.
7. Dio ha chiamato Giovanni il Battista già “nel grembo materno” perché divenisse “la voce di uno che grida nel deserto” e preparasse quindi la via a suo Figlio. In modo molto simile, Dio ha “posto la sua mano” anche su ciascuno di noi. Per ciascuno di noi ha una chiamata particolare, a ciascuno di noi viene affidato un compito pensato da lui per noi.
In ciascuna chiamata, che può giungerci nel modo più diverso, si avverte quella voce divina, che allora parlò attraverso Giovanni: “Preparate la via del Signore!” (Mt 3, 3).
Ogni uomo dovrebbe domandarsi in che modo può contribuire nell’ambito del proprio lavoro e della propria posizione, ad aprire a Dio la via in questo mondo. Tutte le volte che ci apriamo alla chiamata di Dio, prepariamo, come Giovanni, la via del Signore tra gli uomini.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia Eisenstaedt 24 giugno 1988]
«Whoever tries to preserve his life will lose it; but he who loses will keep it alive» (Lk 17:33)
«Chi cercherà di conservare la sua vita, la perderà; ma chi perderà, la manterrà vivente» (Lc 17,33)
«And therefore, it is rightly stated that he [st Francis of Assisi] is symbolized in the figure of the angel who rises from the east and bears within him the seal of the living God» (FS 1022)
«E perciò, si afferma, a buon diritto, che egli [s. Francesco d’Assisi] viene simboleggiato nella figura dell’angelo che sale dall’oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo» (FF 1022)
This is where the challenge for your life lies! It is here that you can manifest your faith, your hope and your love! [John Paul II at the Tala Leprosarium, Manila]
È qui la sfida per la vostra vita! È qui che potete manifestare la vostra fede, la vostra speranza e il vostro amore! [Giovanni Paolo II al Lebbrosario di Tala, Manila]
The more we do for others, the more we understand and can appropriate the words of Christ: “We are useless servants” (Lk 17:10). We recognize that we are not acting on the basis of any superiority or greater personal efficiency, but because the Lord has graciously enabled us to do so [Pope Benedict, Deus Caritas est n.35]
Quanto più uno s'adopera per gli altri, tanto più capirà e farà sua la parola di Cristo: « Siamo servi inutili » (Lc 17, 10). Egli riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono [Papa Benedetto, Deus Caritas est n.35]
A mustard seed is tiny, yet Jesus says that faith this size, small but true and sincere, suffices to achieve what is humanly impossible, unthinkable (Pope Francis)
Il seme della senape è piccolissimo, però Gesù dice che basta avere una fede così, piccola, ma vera, sincera, per fare cose umanamente impossibili, impensabili (Papa Francesco)
Hypocrisy: indeed, while they display great piety they are exploiting the poor, imposing obligations that they themselves do not observe (Pope Benedict)
Ipocrisia: essi, infatti, mentre ostentano grande religiosità, sfruttano la povera gente imponendo obblighi che loro stessi non osservano (Papa Benedetto)
Each time we celebrate the dedication of a church, an essential truth is recalled: the physical temple made of brick and mortar is a sign of the living Church serving in history (Pope Francis)
Ogni volta che celebriamo la dedicazione di una chiesa, ci viene richiamata una verità essenziale: il tempio materiale fatto di mattoni è segno della Chiesa viva e operante nella storia (Papa Francesco)
As St. Ambrose put it: You are not making a gift of what is yours to the poor man, but you are giving him back what is his (Pope Paul VI, Populorum Progressio n.23)
Non è del tuo avere, afferma sant’Ambrogio, che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene (Papa Paolo VI, Populorum Progressio n.23)
Here is the entire Gospel! Here! The whole Gospel, all of Christianity, is here! But make sure that it is not sentiment, it is not being a “do-gooder”! (Pope Francis))
Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è “buonismo”! (Papa Francesco)
Christianity cannot be, cannot be exempt from the cross; the Christian life cannot even suppose itself without the strong and great weight of duty [Pope Paul VI]
Il Cristianesimo non può essere, non può essere esonerato dalla croce; la vita cristiana non può nemmeno supporsi senza il peso forte e grande del dovere [Papa Paolo VI]
don Giuseppe Nespeca
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