Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
6. Le pesche miracolose sono per gli apostoli e per la chiesa i “segni” della fecondità della loro missione se si manterranno profondamente uniti alla potenza salvifica di Cristo (cf. Lc 5, 4-10; Gv 21, 3-6). Difatti Luca inserisce nella narrazione il fatto di Simon Pietro che si getta alle ginocchia di Gesù esclamando: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc 5, 8), e la risposta di Gesù: “Non temere: d’ora in poi sarai pescatore di uomini”(Lc 5, 10). Giovanni a sua volta fa seguire alla narrazione della pesca dopo la risurrezione, il mandato di Cristo a Pietro. “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle” (cf. Gv 21, 15-17). È un accostamento significativo.
7. Si può dunque dire che i miracoli di Cristo, manifestazione della onnipotenza divina nei riguardi della creazione, che si rivela nel suo potere messianico su uomini e cose, sono nello stesso tempo i “segni” mediante i quali si rivela l’opera divina della salvezza, l’economia salvifica che con Cristo viene introdotta e si attua in modo definitivo nella storia dell’uomo e viene così inscritta in questo mondo visibile, che è pure sempre opera divina. La gente che - così come gli apostoli sul lago - vedendo i “miracoli” di Cristo s’interroga: “Chi è . . . costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?” (Mc 4, 41), mediante questi “segni” viene preparata ad accogliere la salvezza offerta all’uomo da Dio nel suo Figlio.
Questo è lo scopo essenziale di tutti i miracoli e segni fatti da Cristo agli occhi dei suoi contemporanei, e di quei miracoli che nel corso della storia saranno compiuti dai suoi apostoli e discepoli in riferimento alla potenza salvifica del suo nome: “Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” (At 3, 6).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 2 dicembre 1987]
Il Vangelo di questa domenica racconta – nella redazione di san Luca – la chiamata dei primi discepoli di Gesù (Lc 5,1-11). Il fatto avviene in un contesto di vita quotidiana: ci sono alcuni pescatori sulla sponda del lago di Galilea, i quali, dopo una notte di lavoro passata senza pescare nulla, stanno lavando e sistemando le reti. Gesù sale sulla barca di uno di loro, quella di Simone, detto Pietro, e gli chiede di staccarsi un poco da riva e si mette a predicare la Parola di Dio alla gente che si era radunata numerosa. Quando ha finito di parlare, gli dice di prendere il largo e di gettare le reti. Simone aveva già conosciuto Gesù e sperimentato la potenza prodigiosa della sua parola, perciò gli risponde: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti» (v. 5). E questa sua fede non viene delusa: infatti le reti si riempirono di una tale quantità di pesci che quasi si rompevano (cfr v. 6).
Di fronte a questo evento straordinario, i pescatori sono presi da grande stupore. Simon Pietro si getta ai piedi di Gesù dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore» (v. 8). Quel segno prodigioso lo ha convinto che Gesù non è solo un formidabile maestro, la cui parola è vera e potente, ma che Egli è il Signore, è la manifestazione di Dio. E tale presenza ravvicinata suscita in Pietro un forte senso della propria meschinità e indegnità. Da un punto di vista umano, pensa che ci debba essere distanza tra il peccatore e il Santo. In verità, proprio la sua condizione di peccatore richiede che il Signore non si allontani da lui, allo stesso modo in cui un medico non può allontanarsi da chi è malato.
La risposta di Gesù a Simon Pietro è rassicurante e decisa: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (v. 10). E di nuovo il pescatore di Galilea, ponendo la sua fiducia in questa parola, lascia tutto e segue Colui che è diventato il suo Maestro e Signore. E così fecero anche Giacomo e Giovanni, soci di lavoro di Simone. Questa è la logica che guida la missione di Gesù e la missione della Chiesa: andare in cerca, “pescare” gli uomini e le donne, non per fare proselitismo, ma per restituire a tutti la piena dignità e libertà, mediante il perdono dei peccati. Questo è l’essenziale del cristianesimo: diffondere l’amore rigenerante e gratuito di Dio, con atteggiamento di accoglienza e di misericordia verso tutti, perché ognuno possa incontrare la tenerezza di Dio e avere pienezza di vita. E qui, in maniera particolare, penso ai confessori: sono i primi a dover dare la misericordia del Padre seguendo l’esempio di Gesù, come hanno fatto anche i due Frati santi, padre Leopoldo e padre Pio.
Il Vangelo di oggi ci interpella: sappiamo fidarci veramente della parola del Signore? Oppure ci lasciamo scoraggiare dai nostri fallimenti? In questo Anno Santo della Misericordia siamo chiamati a confortare quanti si sentono peccatori e indegni di fronte al Signore e abbattuti per i propri errori, dicendo loro le stesse parole di Gesù: “Non temere”. “E’ più grande la misericordia del Padre dei tuoi peccati! E’ più grande, non temere!”. Ci aiuti la Vergine Maria a comprendere sempre più che essere discepoli significa mettere i nostri piedi sulle orme lasciate dal Maestro: sono le orme della grazia divina che rigenera vita per tutti.
[Papa Francesco, Angelus 7 febbraio 2016]
(Mc 6,30-34)
«Venite voi stessi in disparte, in un luogo deserto»: il richiamo esplicito al «deserto» è quello dell’Esodo - che ricorda il tempo del primo Amore.
Esperienza dei grandi Ideali che il cammino della Libertà poteva ancora infondere nel Popolo nuovo.
Stirpe generata nel silenzio, lontano dal trambusto degli idoli: in guisa di riflessione e attenzione, sobrietà di vita, accoglienza, condivisione reale.
Gesù si allontana in modo sempre più deciso dal suo ambiente, e non vuole attorno a sé un orizzonte di eletti supponenti, attratti dalla visibilità improvvisamente esplosa - finendo per ritenersi indispensabili.
Infatti qui inseguono le molte cose da fare, ma restano poco attenti. Sollevano un gran polverone, ma stanno nell’abitudine.
Allora il Signore non chiama «in disparte» per un “ritiro spirituale”. Gli apostoli - che si danno aria di ‘maestri’ (v.30) - ricevono il solo compito di «annunciare», non di sovrintendere, presiedere, coordinare gli altri.
Ancora dopo il suo fallimento persino a Nazareth (vv.1-6) - i suoi banditori hanno volentieri confuso il Servo che li stava educando, col Messia vincitore, sospirato, rispettato, glorioso.
Per questo motivo, di fronte a masse bisognose di tutto, per prima cosa il Signore «cominciò a insegnare» (v.34).
Insomma, il giovane Rabbi deve ricominciare daccapo, onde correggere le facilonerie illusorie trasmesse dai seguaci. Magari solo per lasciare una traccia, farsi riconoscere e avere successo - con la gente smarrita!
I più stretti collaboratori di Gesù non avevano ancora capito che esiste un altro Mondo, evolutivo e capovolto - però ignorato.
Per questo hanno una fortuna tutta loro, ma producono una pessima evangelizzazione; senza energia creatrice.
Le folle che si accalcano attorno al Signore erano infatti ancora rimaste esattamente tali e quali a prima: «come pecore che non hanno pastore» (v.34). Intrise di sgomento.
Malgrado l’affermazione di cerchia dei discepoli che avevano puntato sul modello della sudditanza e del prestigio, l'umanità continuava a gridare.
La loro ‘stabilità’ rendeva ancor più insicuri gli altri.
Mancava tutta l’amicizia che nutre più del cibo, una percezione di adeguatezza che soddisfa più della salute; l’adesione che trasmette vita.
E il senso del proprio nascere e cercare. L’Incontro che fa spostare lo sguardo; l’unione intimamente riconosciuta con la Verità.
Apostoli o non apostoli, senza la Persona stessa del Cristo, quel popolo che cercava le sue radici non sarebbe fiorito - tantomeno a partire dalle proprie sfumature grigie, fragili, poco brillanti.
Le esigenze profonde dei malfermi erano assolutamente intatte, malgrado il gran daffare dei leaders - un’intensa occupazione attorno… purtroppo artificiosa e disattenta, ancora ambigua e immatura, dirigista e superficiale.
Questa invece la vera vacanza, l’autentico Appuntamento decisivo: rimanere con la Persona giusta; quella che non snerva coi suoi ritmi esterni, né aggiunge confusione a confusione.
Insomma, nel riferimento [assodato o alla moda] nessuna persona viene cullata nella sua novità, o bilanciata e rigenerata.
Basta dunque con i tanti ‘modelli’ senz’anima né profezia, che ci rimproverano - e i luoghi comuni che anestetizzano.
Infatti in ciascuno di noi, ogni espediente o artificio fa scattare il viceversa: una perdita di capacità.
«Come pecore che non hanno pastore» (v.34).
Preparandoci alla metamorfosi che ci appartiene, l’Amico del Viaggio non intende sempre analizzare e controllare.
Così non spegne le piccole energie, il carattere, le sporgenze uniche, le azioni silenziose, e l’Incanto.
Lasciandoci respirare, solo il Pastore autentico raccoglie il nostro ‘nocciolo’ dalla dispersione, il nostro Seme dalla frammentarietà; il nostro Fiore, dalla vita senza scopo intimo.
[Sabato 4.a sett. T.O. 8 febbraio 2025]
In disparte, e la vera vacanza che preserva la forza vitale
(Mc 6,30-34)
Spia e chiave interpretativa del brano di Vangelo è l’espressione «in disparte» (v.31), che nei Vangeli sta ovunque a indicare i momenti critici dell’incomprensione o persino opposizione aperta fra il Signore e gli Apostoli.
«Venite voi stessi in disparte, in un luogo deserto»: il richiamo esplicito al «deserto» è quello dell’Esodo - che ricorda il tempo del primo Amore.
Esperienza dei grandi Ideali che il cammino della Libertà poteva ancora infondere nel Popolo nuovo.
Stirpe generata nel silenzio, lontano dal trambusto degli idoli: in guisa di riflessione e attenzione, sobrietà di vita, accoglienza, condivisione reale.
Gesù si allontana in modo sempre più deciso dal suo ambiente, e non vuole attorno a sé un orizzonte di eletti supponenti, attratti dalla visibilità improvvisamente esplosa - finendo per ritenersi indispensabili.
Essi risulterebbero sovraccarichi di luoghi comuni trionfalistici e monopolisti - poco attenti ai contenuti, al loro nesso con le forme di attuazione… e i risvolti sociali, come il superamento dei divari.
Infatti qui inseguono le molte cose da fare - anche per renderle positivamente più agili, certo - ma vanno a casaccio e a prescindere. Malgrado il tanto agitarsi e gli osanna, non fanno Percorsi sensati.
Sono sempre lì, anche se dovrebbero andare altrove; o viceversa.
Tutto ciò forse proprio per consolidare ascese e posizioni già dai primi tempi, a mo’ di certe cariche vitalizie [ancora oggi mai messe in discussione] o tappe di carriere non mutabili.
Condizioni che fanno diventare artificiali, e non creano realizzazione intima, né altrui. Sollevano un gran polverone, ma stanno nell’abitudine.
Il problema che hanno in mente è sbagliato, e malgrado gli eventuali sudori e lo scarso tempo libero (o per sé) non dimostrano un’energia autenticamente creatrice.
Lo vediamo.
Allora il Signore non chiama «in disparte» per un “ritiro spirituale” - per tutelare la stabilità di gerarchie sfiancate, o per un attimo di evasione che eviti la calca e il suo stress. Ma perché qualcosa di profondamente sostanziale non quadra.
Bisogna farsi una bella autocritica.
In tutti i quattro Vangeli, unicamente Gesù è colui che «insegna» [passim, testo greco].
Gli apostoli - che si danno aria di maestri (v.30) - ricevono il solo compito di «annunciare», non di sovrintendere, presiedere, coordinare gli altri.
Non hanno titolo alcuno per approcciare persone pensando di dover trasmettere una vita su misura dei loro programmi, e una mente tarata sul risultato [o l’appartenenza a stendardi].
Dopo averli chiamati a sé - perché ancora lontani - e mandati a proclamare la propria esperienza di libertà e la Buona Notizia a nostro favore (vv.7-13) il Maestro non sembra molto contento di quello che gli apostoli hanno predicato.
Quindi impone loro una verifica (così diremmo) di catechismo base, proprio per i suoi intimi.
Ancora dopo il suo fallimento persino a Nazareth (vv.1-6) - i suoi banditori hanno volentieri confuso il Servo che li stava educando col Messia vincitore, sospirato, rispettato, glorioso.
Per questo motivo, di fronte a masse bisognose di tutto, per prima cosa il Signore «cominciò a insegnare» (v.34).
Insomma, il giovane Rabbi deve ricominciare daccapo, onde correggere le facilonerie illusorie trasmesse dintorno dai seguaci. Magari solo per lasciare una traccia, farsi riconoscere e avere successo - con la gente smarrita!
Scrive il Tao Tê Ching (xxvii):
«Chi ben viaggia non lascia solchi né impronte [...] chi ben chiude non usa sbarre né paletti».
Il maestro Ho-shang Kung commenta:
«Chi ben procede nella Via cerca in se stesso, senza scendere dalla sala né uscire dalla porta. Per questo non lascia solchi né impronte».
E aggiunge:
«Chi ben chiude le sue brame per mezzo del Tao, preserva la forza vitale».
Il maestro Wang-Pi precisa:
«Procede conformemente alla spontaneità, senza essere causa né principio: perciò le creature raggiungono il loro più alto grado, senza che egli lasci solchi di carri né impronte di piedi [...] si conforma alla spontaneità delle creature e non istituisce né conferisce».
I più stretti collaboratori di Gesù non avevano ancora capito che esiste un altro Mondo, evolutivo e capovolto - però ignorato.
Per questo hanno una fortuna tutta loro, ma producono una pessima evangelizzazione.
Le folle che si accalcano attorno al Signore erano infatti ancora rimaste esattamente tali e quali a prima: «come pecore che non hanno pastore» (v.34). Intrise di sgomento.
Malgrado l’affermazione di cerchia dei discepoli che avevano puntato sul modello della sudditanza e del prestigio, l'umanità continuava a gridare.
La loro stabilità rendeva ancor più insicuri gli altri.
[Anche noi vogliamo scoprire la personale ricchezza, non solo quella degli “allievi” noti, i sempre vicini, o dei fondatori, dei prìncipi, dei responsabili].
Mancava tutta l’amicizia che nutre più del cibo, una percezione di adeguatezza che soddisfa più della salute; l’adesione che trasmette vita.
E il senso del proprio nascere e cercare. L’Incontro che fa spostare lo sguardo; l’unione intimamente riconosciuta con la Verità.
Apostoli o non apostoli, senza la Persona stessa del Cristo, quel popolo che cercava le sue radici non sarebbe fiorito - tantomeno a partire dalle proprie sfumature grigie, fragili, poco brillanti.
Le esigenze profonde dei malfermi erano assolutamente intatte, malgrado il gran daffare dei leaders - un’intensa occupazione attorno… purtroppo artificiosa e disattenta, ancora ambigua e immatura, dirigista e superficiale.
Esteriorità che perfino al giorno d’oggi non consentono alle persone disorientate di giungere al più alto grado del loro essere, perché ogni espediente pastorale fa scattare il viceversa: una perdita di capacità.
I festival astutamente oppiacei e artefatti propugnati dalle guide o da agenzie approssimative sono espressione del normale risvolto religioso della civiltà dell’esterno.
Stare col Signore nuovamente… rimette le idee a posto.
Egli solo spalanca gli usci della comprensione e crea altre opzioni che ci corrispondono, nella quintessenza e nella speranza - generando risposte nuove a domande nuove, sorvolando le compattezze forzate.
Questa la vera vacanza, l’autentico Appuntamento decisivo: rimanere con la Persona giusta; quella che non snerva coi suoi ritmi sbagliati, né aggiunge confusione a confusione.
Cristo raccoglie il nostro nocciolo dalla dispersione, il nostro seme dalla frammentarietà [che si cela dietro le maschere della finta perizia]; il nostro fiore, dalla vita senza scopo intimo.
Per cercare se stessi bisogna raccogliersi insieme a Lui - e verificarsi nella potenza creatrice della sua Parola, interpretata ben lontano dai luoghi comuni che anestetizzano.
La calca e i rumori della folla pur ingenua, confondono le idee; inculcano le trame volgari del regno terreno: non lo stile della vita divina, la quale ci affida alle nostre stesse risorse inespresse.
Basta con i modelli. Abbiamo bisogno di un Testimone reale, che corrisponde, e si fa compagno di viaggio.
Sentiamo incessante desiderio di essere bilanciati nell’identità del bene concreto. Esso sta oltre i tratti fatui, varianti ma subito succulenti di riconoscimento.
Qui, nessuna persona rigenera.
Solo intorno al nostro Amico interiore diventiamo Corpo in colloquio serio, amabile e profondo; persino nel quotidiano rumoroso e confuso.
Dopo una giornata di preoccupazioni, invece di anestesie televisive e prima che in cose epidermiche, ritempriamoci a partire da questo Contatto che introduce nel Banchetto della vita (vv.35-44).
Saremo recuperati invece che condannati alla pia futilità - e mai soli. Dentro abbiamo un Amico.
Insomma, nel riferimento [assodato o alla moda] nessuna persona viene cullata nella sua novità, o bilanciata e rigenerata.
Basta dunque con i tanti ‘modelli’ senz’anima né profezia, che ci rimproverano - e i luoghi comuni che anestetizzano.
Infatti in ciascuno di noi, ogni espediente o artificio fa scattare il viceversa: una perdita di capacità.
«Come pecore che non hanno pastore» (v.34).
Preparandoci alla metamorfosi che ci appartiene, l’Amico del Viaggio non intende sempre analizzare e controllare.
Così non spegne le piccole energie, il carattere, le sporgenze uniche, le azioni silenziose, e l’Incanto.
Lasciandoci respirare, solo il Pastore autentico raccoglie il nostro ‘nocciolo’ dalla dispersione, il nostro Seme dalla frammentarietà; il nostro Fiore, dalla vita senza scopo intimo.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come evangelizzi? Parla Gesù in te o parli solo tu?
Il Contatto autentico
Venite a vedere
[cf. Gv 1,35-42]
«Ora decima» (v.39): nella mentalità semitica, tramonto del vecchio e inizio del nuovo Giorno. Esso viene affrontato in modo dialogico, cuore a cuore; non secondo l’ordinamento antico prescritto.
La Vocazione è scoperta del motivo per il quale siamo nati, di ciò per cui siam fatti e corrisponde immediatamente - in modo inedito, non stucchevole - nella realtà di una strada percorsa come a piedi.
Su di essa, l’appello del focolare della Parola aiuta via via a capire la nostra persona e a definirne l’eccezionale missione.
Dio è Colui che chiama, affinché senza troppo commentare ci vediamo dentro, intuiamo le spinte, sviluppiamo un nuovo sguardo sulle cose, le cogliamo come Incontro, e ci lasciamo andare.
Dice il Tao Tê Ching (LVII): «Da che so che è così? Dal presente» - e il maestro Ho-shang Kung commenta: «Lao-tzu dice: Come so che l’intenzione del Cielo è questa? Lo so da quel che vedo oggigiorno».
Tale scenario fa scattare nell’anima una passione che affonda nel mistero, un’energia che sviluppa su questo Incontro e convegno significativo con la realtà e relazioni nuove pur stravaganti, senza esasperazioni.
Il modo di scrutare il mondo ancorato a piccole certezze di costume o di pensiero ci farà essere e fare sempre cose comuni, dettate dall’abitudine, da pregiudizi, da speranze condizionate (che non ci appartengono).
Se così, mai sposteremo l’occhio interiore su processi e territori sconosciuti. Se intrapresi, essi introdurranno il cuore in una sorta di isola ermeneutica, a tu per tu con l’Amico invisibile che ci fa sentire a casa.
Tali percorsi insieme non ci daranno a priori la certezza di stare “nel giusto”, ma di essere coinvolti nel medesimo spirito del Nazareno - ribelli alle costrizioni in cui forse ci stiamo già mettendo.
Esse aggrovigliano di lacciuoli la sua Voce superiore, o l’icona innata da rimirare intimamente, figura della nostra Vocazione.
Le inquietudini dell’Attesa, le sue frenesie fantastiche, quei mormorii che paiono campati per aria, sono forse espressione di un inedito fiabizzante che non sappiamo cos’è - ma il nostro fratello affascinante sì.
Saremo viceversa sulla strada segnata da sempre o da altri, fin quando la sua visione alternativa non ci lancia a imboccare una via ancora buia invece che ben illustrata (dove tutto è sotto controllo).
Col riscontro mentale eccessivo non arriveremmo più in là dei circoli viziosi, o di personaggi già adottati e ruoli definiti - corazze umilianti lo Spirito, che non ama le sfingi impermeabili alla rugiada della marea che viene.
L’eccesso di filtri e l’ipergestione non ci condurrà ad apprezzare il valore del mondo interiore e le sue presenze, né ci aiuta a percepire il senso degli incontri, l’apertura d’orizzonte delle proposte che la vita ci porta per smontare l’imprinting che ci trasciniamo.
Unica terapia per saltare oltre il solito modo di vedere le cose sarà spostare la prospettiva, affinché renda dissimmetrici e consenta di scendere in campo più ricchi e variegati, fuori del perimetro tracciato dalle convenzioni.
Con Gesù imboccheremo una via piena di insidie, eppure magica, perché non scontata. Con Lui realizzeremo noi stessi, la vocazione e i nostri stessi codici - ma nella pienezza del poliedro che è personale essenza.
Nessuno è senza modulazioni da scoprire e attivare; tarato, anonimo e povero davanti al Signore e agli altri. Quindi nessuno è destinato a fare l’operaietto o il funzionario di arcaici carrozzoni - privi di figure viventi e d’inventiva fantastica, magica, da stupore.
Lo dice persino il tono trasognato di questa narrazione.
In rapporto di assiduità con Cristo, sono i suoi e nostri ideali fuori dalle direttive a caratterizzare l’esistenza, che si fa rovente a partire dall’anima... senza prima normalizzarla secondo regolamento altrui.
Attenzione dunque a non costruirsi un destino conformista di penultima mano, che incaglia tutta la vita perché scelto fra quant’è comune, esterno, assuefatto e quieto, o viceversa delirante: criteri destinati al crollo.
La Chiamata non diventa neppure proiezione di ambizioni, suggerite dalla vanità. Né un premio per fedeltà precedenti o dietro prestazione.
Anzitutto, una lettura di sé, un ascolto vivo degli eventi (più intimi che conformisti e al contorno) nonché interpretazione partecipata della realtà, della Parola - e rielaborazione elastica di momenti, consigli e relazioni.
«Venite a vedere» (v.39 senso del sottofondo semitico): la percezione, lo sguardo che si accorge, è essenziale per capire chi siamo.
Niente d’intimistico, ma nulla di esteriore - neppure per gli accadimenti fuori di noi: siamo coloro che sviluppano immagini innate e Sogni.
Dio non ci ha creati per restare rasoterra, ma per spiccare il volo. Infatti il Battista si era fermato (v.35 testo greco): «di nuovo stava (là)».
Gesù invece procede, si muove sempre; inizia Egli stesso un nuovo cammino.
Il paragone è crudo. Le antiche aspettative si arenano - non hanno più forza in sé. Per questo i primi discepoli di Gesù provengono dalla scuola di Giovanni - dove appunto si erano conosciuti.
Dopo essere stato allievo del più grande leader dei suoi tempi, il nuovo e giovane Rabbi si mette in proprio, e si sposta.
Lo fa non per spiccare sugli altri, ma per proclamare il cuore autentico del Padre, nella sua cifra: Verbo-evento di Figlio ormai formato, ma che ha assimilato solo gradualmente i segreti del percorso umano e spirituale.
È una sorprendente identità, quella dell’Agnello di Dio: la sua Persona, vicenda e Sangue raffigurano l’Azione dello Spirito creatore, il quale toglie alle forze del male la capacità di nuocere - non grazie a scorciatoie immediate e prodigiose.
Gli scopi troppo prossimi non uniscono l’uomo e il mondo a Dio. Non confermano la giustezza e conformità del grande Fine e Sorgente: continua Presenza che accompagna la nostra attività particolare.
Ogni anima ha una fisionomia originale: è in modo speciale, ha un suo posto e un suo senso.
La Chiamata personale è costitutiva di tale essenza irripetibile - che apre al compito dell’unicità - grammatica del nostro linguaggio (persino con noi stessi) e l’interagire nel mondo; nell’anima, dell’ascolto di Dio.
La Vocazione irripetibile è unico sentiero da percorrere per leggere e incontrare il genio del tempo prima dei problemi, e una sorta d’impulso; volontà e fattore di riconoscimento che accompagna e orienta in essi.
Nella vita ci può essere un giorno e un’ora indimenticabili, ma il rapporto di consuetudine è essenziale.
Non basta un incontro furtivo col Cristo in movimento inarrestabile, per «guardare dentro» e capire ogni peso determinante. E per diventare - come Simone - pietra da costruzione che compagina e viene compaginata.
Qui, anche in situazioni apparentemente irrilevanti, siamo noi stessi: siamo intenzione cosmica e divina; siamo smisuratamente importanti.
Commentando il medesimo passo del Tao (LVII) sopra citato, il maestro Wang Pi sottolinea: «Chi governa il mondo con la Via, esalta la radice per far crescere i rami».
Come una vena artistica.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa attendi da Gesù? O cedi e lasci che ti conduca? Come pensi ti chiamerebbe?
Cari fratelli e sorelle,
al centro di questa mia visita a Brindisi celebriamo, nel Giorno del Signore, il mistero che è fonte e culmine di tutta la vita della Chiesa. Celebriamo Cristo nell’Eucaristia, il dono più grande scaturito dal suo Cuore divino e umano, il Pane della vita spezzato e condiviso, per farci diventare una cosa sola con Lui e tra di noi. Saluto con affetto tutti voi, convenuti in questo luogo così simbolico, il porto, che evoca i viaggi missionari di Pietro e di Paolo. Vedo con gioia tanti giovani, che hanno animato la veglia questa notte, preparandosi alla Celebrazione eucaristica. E saluto anche voi, che partecipate spiritualmente mediante la radio e la televisione. Rivolgo in particolare il mio saluto al Pastore di quest’amata Chiesa, Mons. Rocco Talucci, ringraziandolo per le parole pronunciate all’inizio della santa Messa. Saluto pure gli altri Vescovi della Puglia, che hanno voluto essere qui con noi in fraterna comunione di sentimenti. Sono particolarmente lieto della presenza del Metropolita Gennadios, al quale porgo il mio saluto cordiale estendendolo a tutti i fratelli Ortodossi e delle altre Confessioni, da questa Chiesa di Brindisi che per la sua vocazione ecumenica ci invita a pregare e impegnarci per la piena unità di tutti i cristiani. Saluto con riconoscenza le Autorità civili e militari che partecipano a questa liturgia, augurando ogni bene per il loro servizio. Il mio pensiero affettuoso va quindi ai presbiteri e ai diaconi, alle religiose e ai religiosi e a tutti i fedeli. Un saluto speciale indirizzo ai malati dell’Ospedale e ai detenuti del Carcere, ai quali assicuro il ricordo nella preghiera. Grazia e pace da parte del Signore ad ognuno e a tutta la città di Brindisi!
I testi biblici, che abbiamo ascoltato in questa undicesima Domenica del tempo ordinario, ci aiutano a comprendere la realtà della Chiesa: la prima Lettura (cfr Es 19,2-6a) rievoca l’alleanza stretta presso il monte Sinai, durante l’esodo dall’Egitto; il Vangelo (cfr Mt 9,36–10,8) è costituito dal racconto della chiamata e della missione dei dodici Apostoli. Troviamo qui presentata la “costituzione” della Chiesa: come non avvertire l’implicito invito rivolto ad ogni Comunità a rinnovarsi nella propria vocazione e nel proprio slancio missionario? Nella prima Lettura, l’autore sacro narra il patto di Dio con Mosè e con Israele al Sinai. È una delle grandi tappe della storia della salvezza, uno di quei momenti che trascendono la storia stessa, nei quali il confine tra Antico e Nuovo Testamento scompare e si manifesta il perenne disegno del Dio dell’Alleanza: il disegno di salvare tutti gli uomini mediante la santificazione di un popolo, a cui Dio propone di diventare “la sua proprietà tra tutti i popoli” (Es 19,5). In questa prospettiva il popolo è chiamato a diventare una “nazione santa”, non solo in senso morale, ma prima ancora e soprattutto nella sua stessa realtà ontologica, nel suo essere di popolo. In che modo si debba intendere l’identità di questo popolo si è manifestato via via nel corso degli eventi salvifici già nell’Antico Testamento; si è pienamente rivelato poi con la venuta di Gesù Cristo. Il Vangelo odierno ci presenta un momento decisivo per questa rivelazione. Quando infatti Gesù chiamò i Dodici voleva riferirsi simbolicamente alle tribù d’Israele, risalenti ai dodici figli di Giacobbe. Perciò, ponendo al centro della sua nuova comunità i Dodici, Egli fa capire di essere venuto a portare a compimento il disegno del Padre celeste, anche se solo a Pentecoste apparirà il volto nuovo della Chiesa: quando i Dodici, “pieni di Spirito Santo”, proclameranno il Vangelo parlando tutte le lingue (At 2,3-4). Si manifesterà allora la Chiesa universale, raccolta in un unico Corpo di cui Cristo risorto è il Capo e, al tempo stesso, inviata da Lui a tutte le nazioni, fino agli estremi confini della terra (cfr Mt 28,20).
Lo stile di Gesù è inconfondibile: è lo stile caratteristico di Dio, che ama compiere le cose più grandi in modo povero e umile. La solennità dei racconti di alleanza del Libro dell’Esodo lascia nei Vangeli il posto a gesti umili e discreti, che però contengono un’enorme potenzialità di rinnovamento. E’ la logica del Regno di Dio, non a caso rappresentata dal piccolo seme che diventa un grande albero (cfr Mt 13,31-32). Il patto del Sinai è accompagnato da segni cosmici che atterriscono gli Israeliti; gli inizi della Chiesa in Galilea sono invece privi di queste manifestazioni, riflettono la mitezza e la compassione del cuore di Cristo, ma preannunciano un’altra lotta, un altro sconvolgimento che è quello suscitato dalle potenze del male. Ai Dodici – l’abbiamo sentito – Egli “diede il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità” (Mt 10,1). I Dodici dovranno cooperare con Gesù nell’instaurare il Regno di Dio, cioè la sua signoria benefica, portatrice di vita, e di vita in abbondanza per l’intera umanità. In sostanza, la Chiesa, come Cristo e insieme con Lui, è chiamata e inviata a instaurare il Regno della vita e a scacciare il dominio della morte, perché trionfi nel mondo la vita di Dio. Trionfi Dio che è Amore. Quest’opera di Cristo è sempre silenziosa, non è spettacolare; proprio nell’umiltà dell’essere Chiesa, del vivere ogni giorno il Vangelo, cresce il grande albero della vera vita. Proprio con questi inizi umili il Signore ci incoraggia perché, anche nell’umiltà della Chiesa di oggi, nella povertà della nostra vita cristiana, possiamo vedere la sua presenza e avere così il coraggio di andare incontro a Lui e di rendere presente su questa terra il suo amore, questa forza di pace e di vita vera.
Questo è, quindi, il disegno di Dio: diffondere sull’umanità e sul cosmo intero il suo amore generatore di vita. Non è un processo spettacolare; è un processo umile, che tuttavia porta con sé la vera forza del futuro e della storia. Un progetto, quindi, che il Signore vuole attuare nel rispetto della nostra libertà, perché l’amore di sua natura non si può imporre. La Chiesa è allora, in Cristo, lo spazio di accoglienza e di mediazione dell’amore di Dio. In questa prospettiva appare chiaramente come la santità e la missionarietà della Chiesa costituiscano due facce della stessa medaglia: solo in quanto santa, cioè colma dell’amore divino, la Chiesa può adempiere la sua missione, ed è proprio in funzione di tale compito che Dio l’ha scelta e santificata quale sua proprietà. Quindi il nostro primo dovere, proprio per sanare questo mondo, è quello di essere santi, conformi a Dio; in questo modo viene da noi una forza santificante e trasformante che agisce anche sugli altri, sulla storia. Sul binomio “santità-missione” - la santità è sempre forza che trasforma gli altri - la vostra Comunità ecclesiale, cari fratelli e sorelle, si sta misurando in questo momento, impegnata com’è nel Sinodo diocesano. Al riguardo, è utile riflettere che i dodici Apostoli non erano uomini perfetti, scelti per la loro irreprensibilità morale e religiosa. Erano credenti, sì, pieni di entusiasmo e di zelo, ma segnati nello stesso tempo dai loro limiti umani, talora anche gravi. Dunque, Gesù non li chiamò perché erano già santi, completi, perfetti, ma affinché lo diventassero, affinché fossero trasformati per trasformare così anche la storia. Tutto come per noi. Come per tutti i cristiani. Nella seconda Lettura abbiamo ascoltato la sintesi dell’apostolo Paolo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8). La Chiesa è la comunità dei peccatori che credono all’amore di Dio e si lasciano trasformare da Lui, e così diventano santi, santificano il mondo.
Nella luce di questa provvidenziale Parola di Dio, ho la gioia quest’oggi di confermare il cammino della vostra Chiesa. E’ un cammino di santità e di missione, sul quale il vostro Arcivescovo vi ha invitato a riflettere nella sua recente Lettera pastorale; è un cammino che egli ha ampiamente verificato nel corso della visita pastorale e che ora intende promuovere mediante il Sinodo diocesano. Il Vangelo di oggi ci suggerisce lo stile della missione, cioè l’atteggiamento interiore che si traduce in vita vissuta. Non può che essere quello di Gesù: lo stile della “compassione”. L’evangelista lo evidenzia attirando l’attenzione sullo sguardo di Cristo verso le folle: “Vedendole – egli scrive – ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9,36). E, dopo la chiamata dei Dodici, ritorna questo atteggiamento nel comando che Egli dà loro di rivolgersi “alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 10,6). In queste espressioni si sente l’amore di Cristo per la sua gente, specialmente per i piccoli e i poveri. La compassione cristiana non ha niente a che vedere col pietismo, con l’assistenzialismo. Piuttosto, è sinonimo di solidarietà e di condivisione, ed è animata dalla speranza. Non nasce forse dalla speranza la parola che Gesù dice agli apostoli: “Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino” (Mt 10,7)? E’ speranza, questa, che si fonda sulla venuta di Cristo, e che in ultima analisi coincide con la sua Persona e col suo mistero di salvezza – dov’è Lui è il Regno di Dio, è la novità del mondo -, come bene ricordava nel titolo il quarto Convegno ecclesiale italiano, celebrato a Verona: Cristo risorto è la “speranza del mondo”.
Animati dalla speranza nella quale siete stati salvati, anche voi, fratelli e sorelle di questa antica Chiesa di Brindisi, siate segni e strumenti della compassione, della misericordia di Cristo. Al Vescovo e ai presbiteri ripeto con fervore le parole del Maestro divino: “Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Questo mandato è rivolto ancora oggi in primo luogo a voi. Lo Spirito che agiva in Cristo e nei Dodici, è lo stesso che opera in voi e che vi permette di compiere tra la vostra gente, in questo territorio, i segni del Regno di amore, di giustizia e di pace che viene, anzi, che è già nel mondo. Ma la missione di Gesù si partecipa in diversi modi a tutti i membri del Popolo di Dio, per la grazia del Battesimo e della Confermazione. Penso alle persone consacrate che professano i voti di povertà, verginità e obbedienza; penso ai coniugi cristiani e a voi, fedeli laici, impegnati nella comunità ecclesiale e nella società sia personalmente che in forma associata. Cari fratelli e sorelle, tutti siete destinatari del desiderio di Gesù di moltiplicare gli operai nella messe del Signore (cfr Mt 9,38). Questo desiderio, che chiede di farsi preghiera, ci fa pensare in primo luogo ai seminaristi e al nuovo Seminario di questa Arcidiocesi; ci fa considerare che la Chiesa è, in senso lato, un grande “seminario”, incominciando dalla famiglia, fino alle comunità parrocchiali, alle associazioni e ai movimenti di impegno apostolico. Tutti, nella varietà dei carismi e dei ministeri, siamo chiamati a lavorare nella vigna del Signore.
Cari fratelli e sorelle di Brindisi, proseguite il cammino intrapreso con questo spirito. Veglino su di voi i vostri Patroni, san Leucio e sant’Oronzo, giunti entrambi nel secondo secolo dall’Oriente per irrigare questa terra con l’acqua viva della Parola di Dio. Le reliquie di san Teodoro d’Amasea, venerate nella Cattedrale di Brindisi, vi ricordino che dare la vita per Cristo è la predica più efficace. San Lorenzo, figlio di questa Città, divenuto, sulle orme di san Francesco d’Assisi, apostolo di pace in un’Europa lacerata da guerre e discordie, vi ottenga il dono di un’autentica fraternità. Tutti vi affido alla protezione della Beata Vergine Maria, Madre della speranza e Stella dell’evangelizzazione. Vi aiuti la Vergine Santa a rimanere nell’amore di Cristo, perché possiate portare frutti abbondanti a gloria di Dio Padre e per la salvezza del mondo. Amen.
[Papa Benedetto, omelia porto di Brindisi 15 giugno 2008]
Care sorelle,
1. Durante i miei viaggi apostolici, sperimento una felicità profonda e sempre nuova quando incontro le religiose, la cui esistenza consacrata mediante i tre voti evangelici “appartiene inseparabilmente alla vita e alla santità della Chiesa” (Lumen Gentium, 44). Benediciamo insieme il Signore che ha permesso questo incontro! Benediciamolo per i frutti che ne deriveranno nella vostra vita personale, nelle vostre congregazioni, nel Popolo di Dio! Grazie di essere venute così numerose da tutti i quartieri di Parigi e della regione parigina, e perfino dalla provincia! Sono felice di esprimere a voi che siete qui, come a tutte le religiose di Francia, la mia stima, il mio affetto, il mio incoraggiamento.
Questo raduno, quasi campestre, mi fa pensare a quei momenti di pausa e di respiro che Gesù Cristo riservava ai suoi primi discepoli al ritorno da certi viaggi apostolici. Anche voi mie care sorelle giungete dalle vostre sedi e dai vostri compiti di evangelizzazione: dispensari o ospedali, scuole o collegi, centri di catechesi o di assistenza ai giovani, servizi parrocchiali o inserimento negli ambienti poveri. Sono lieto di ripetervi le parole del Signore: “Venite in disparte... e riposatevi un po’” (cf. Mc 6,31). Insieme mediteremo sul mistero e il tesoro evangelico della vostra vocazione.
2. La vita religiosa non è vostra proprietà, così come non è proprietà di un istituto. Essa è il “dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e con la sua grazia sempre conserva fedelmente” (Lumen Gentium, 43). Insomma la vita religiosa è un’eredità, una realtà vissuta nella Chiesa da secoli, da una moltitudine di uomini e di donne. E l’esperienza profonda che essi ne hanno fatto trascende le differenze socio-culturali che possono esistere da un paese all’altro, supera anche le descrizioni che essi ne hanno lasciato e si situa al di là della diversità delle realizzazioni e delle ricerche del nostro tempo. È importante rispettare ed amare questo ricco patrimonio spirituale. È importante ascoltare ed imitare quelli e quelle che hanno meglio incarnato l’ideale della perfezione evangelica e che così numerosi hanno santificato e nobilitato la terra di Francia.
Fino al tramonto della vostra vita conservatevi nello stupore e nella gratitudine per la chiamata misteriosa che risuonò un giorno nel profondo del vostro cuore: “Seguimi” (cf. Mt 9,9; Gv 1,43), “Vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi” (Mt 19,21). Voi avete dapprima portato questo appello come un segreto, poi l’avete sottoposto al discernimento della Chiesa. In effetti è un rischio ben grande quello di lasciare tutto per seguire Cristo. Ma voi già sentivate - e poi l’avete sperimentato - che egli era capace di colmare il vostro cuore. La vita religiosa è un’amicizia, un’intimità di ordine mistico con Cristo. Il vostro itinerario personale deve essere quasi una riedizione del celebre poema del Cantico dei Cantici. Care suore, nel “cuore a cuore” della preghiera, assolutamente vitale per ciascuna di voi, come pure in occasione dei vostri diversi appuntamenti apostolici, ascoltate il Signore mormorarvi il medesimo invito: “Seguimi”. L’ardore della vostra risposta vi manterrà nella freschezza della vostra prima oblazione. Camminerete così di fedeltà in fedeltà!
3. Seguire Cristo è ben altra cosa che non la semplice ammirazione di un modello, anche se avete buona conoscenza delle sante scritture e della teologia. Seguire Cristo è qualcosa di esistenziale. È volerlo imitare al punto di lasciarsi configurare a lui, assimilare a lui, al punto di essergli - secondo le parole di suor Elisabetta della Trinità - “un’umanità supplementare”. E questo nel proprio mistero di castità, di povertà e di obbedienza. Un tale ideale supera la comprensione, supera le forze umane!
Non è realizzabile se non grazie a tempi forti di contemplazione silenziosa e ardente del Signore Gesù. Le religiose cosiddette “attive” devono essere in certe ore delle “contemplative”, sull’esempio delle monache alle quali mi rivolgerò a Lisieux.
La castità religiosa, mie sorelle, è veramente un voler essere come Cristo; tutte le altre ragioni che si possono avanzare svaniscono davanti a questa ragione essenziale: Gesù era casto. Questo stato di Cristo era non soltanto il superamento della sessualità umana, tale da prefigurare il mondo futuro, ma anche una manifestazione, un’“epifania” dell’universalità della sua oblazione redentrice. Il Vangelo non cessa di mostrare come Gesù ha vissuto la castità. Nelle sue relazioni umane, singolarmente ampie in rapporto alle tradizioni del suo ambiente e della sua epoca, egli raggiunge perfettamente la personalità profonda dell’altro. La sua semplicità, il suo rispetto, la sua bontà, la sua arte di suscitare il meglio nel cuore delle persone incontrate, sconvolgono la samaritana, la donna adultera e tante altre persone. Possa il vostro voto di verginità consacrata - approfondito e vissuto nel mistero della castità di Cristo - e che già trasfigura le vostre persone, possa spingervi a raggiungere davvero i vostri fratelli e sorelle nella loro umanità, nelle situazioni concrete proprie di ciascuno! Tanta gente nel nostro mondo è come sviata, schiacciata, disperata! Nella fedeltà alle regole della prudenza, fatele sentire che voi l’amate alla maniera di Cristo, attingendo al suo cuore la tenerezza umana e divina che egli le riserva.
Voi avete anche promesso a Cristo di essere povere con lui e come lui. Certo la società produttrice e consumistica pone problemi complessi alla pratica della povertà evangelica. Non è questo il luogo e il tempo di parlarne. Mi sembra che ogni congregazione debba vedere in questo fenomeno economico un invito provvidenziale a dare una risposta, nel contempo tradizionale e tutta nuova, al Cristo povero. Contemplandolo spesso e a lungo nella sua vita radicalmente povera, frequentando assiduamente gli umili e i poveri che sono anche il suo volto, voi sarete capaci di donare tutto ciò che siete e tutto ciò che avete. La Chiesa ha bisogno di essere come coinvolta dalla vostra testimonianza. Misurate la vostra responsabilità.
Quanto all’obbedienza di Gesù, essa occupa un posto centrale nella sua opera redentrice. Voi avete spesso meditato le pagine in cui san Paolo parla della disobbedienza iniziale, che fu come la porta di entrata del peccato e della morte nel mondo e parla del mistero dell’obbedienza di Cristo che innesca la risalita dell’umanità verso Dio. La spoliazione di se stessi, l’umiltà, sono più difficili alla nostra generazione solleticata dall’autonomia e pure dalla fantasia. Tuttavia non si può immaginare una vita religiosa senza obbedienza alle superiore che sono custodi della fedeltà all’ideale dell’istituto. San Paolo sottolinea il legame di causa e di effetto tra l’obbedienza di Cristo fino alla morte di croce (cf. Fil 2,6-11) e la sua gloria di risorto e di signore dell’universo. Nello stesso modo l’obbedienza di ogni religiosa - che è sempre un sacrificio della volontà fatto per amore - porta abbondanti frutti di salvezza per il mondo intero.
4. Voi avete dunque accettato di seguire Cristo e di imitarlo da vicino, per manifestare il suo vero volto a coloro che lo conoscono già come a quelli che non lo conoscono. E ciò mediante tutte le attività apostoliche alle quali facevo allusione all’inizio di questo incontro. Sul piano degli impegni da assumere, fatta salva la spiritualità particolare del vostro istituto, io vi esorto vivamente ad integrarvi nell’immenso reticolo dei compiti pastorali della Chiesa universale e delle diocesi (cf. Perfectae Caritatis, 20). So che certe congregazioni, per mancanza di soggetti, non possono rispondere a tutti gli appelli che giungono loro dai Vescovi e dai sacerdoti. Fate tuttavia il possibile al fine di assicurare i servizi vitali delle parrocchie e delle diocesi. Quante religiose, debitamente preparate, collaborano alla pastorale delle realtà nuove che sono numerose! In una parola, investite al massimo i vostri talenti naturali e soprannaturali nell’evangelizzazione contemporanea. Siate sempre e dovunque presenti al mondo senza essere del mondo (cf. Gv 17,15-16). Non temete mai di lasciar chiaramente riconoscere la vostra identità di donne consacrate al Signore. I cristiani e quelli che non lo sono hanno il diritto di sapere chi voi siete. Cristo, maestro di noi tutti, ha fatto della sua vita una manifestazione coraggiosa della sua identità (cf. Lc 9,26).
Coraggio e fiducia mie care sorelle! So che da anni andate riflettendo parecchio sulla vita religiosa, sulle vostre costituzioni. È giunto il tempo di vivere nella fedeltà al Signore e ai vostri compiti apostolici. Prego di tutto cuore che la testimonianza della vostra vita consacrata e il volto delle vostre congregazioni religiose sveglino nel cuore di tante giovani il progetto di seguire Cristo come voi. Io benedico voi e tutte le religiose di Francia che operano sul suolo della patria o in altri continenti. E benedico anche tutti coloro che portate nel vostro cuore e nella vostra preghiera.
[Papa Giovanni Paolo II, alle Religiose, Rue de Bac 31 maggio 1980]
L’atteggiamento di Gesù, che osserviamo nel Vangelo della Liturgia odierna (Mc 6,30-34), ci aiuta a cogliere due aspetti importanti della vita. Il primo è il riposo. Agli Apostoli, che tornano dalle fatiche della missione e con entusiasmo si mettono a raccontare tutto quello che hanno fatto, Gesù rivolge con tenerezza un invito: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (v. 31). Invita al riposo.
Così facendo, Gesù ci dà un insegnamento prezioso. Anche se gioisce nel vedere i suoi discepoli felici per i prodigi della predicazione, non si dilunga in complimenti e domande, ma si preoccupa della loro stanchezza fisica e interiore. E perché fa questo? Perché li vuole mettere in guardia da un pericolo, che è sempre in agguato anche per noi: il pericolo di lasciarsi prendere dalla frenesia del fare, cadere nella trappola dell’attivismo, dove la cosa più importante sono i risultati che otteniamo e il sentirci protagonisti assoluti. Quante volte accade anche nella Chiesa: siamo indaffarati, corriamo, pensiamo che tutto dipenda da noi e, alla fine, rischiamo di trascurare Gesù e torniamo sempre noi al centro. Per questo Egli invita i suoi a riposare un po’ in disparte, con Lui. Non è solo riposo fisico, è anche riposo del cuore. Perché non basta “staccare la spina”, occorre riposare davvero. E come si fa questo? Per farlo, bisogna ritornare al cuore delle cose: fermarsi, stare in silenzio, pregare, per non passare dalle corse del lavoro alle corse delle ferie. Gesù non si sottraeva ai bisogni della folla, ma ogni giorno, prima di ogni cosa, si ritirava in preghiera, in silenzio, nell’intimità con il Padre. Il suo tenero invito – riposatevi un po’ – dovrebbe accompagnarci: guardiamoci, fratelli e sorelle, dall’efficientismo, fermiamo la corsa frenetica che detta le nostre agende. Impariamo a sostare, a spegnere il telefonino, a contemplare la natura, a rigenerarci nel dialogo con Dio.
Tuttavia, il Vangelo narra che Gesù e i discepoli non possono riposare come vorrebbero. La gente li trova e accorre da ogni parte. A quel punto il Signore si muove a compassione. Ecco il secondo aspetto: la compassione, che è lo stile di Dio. Lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Quante volte nel Vangelo, nella Bibbia, troviamo questa frase: “Ebbe compassione”. Commosso, Gesù si dedica alla gente e riprende a insegnare (cfr vv. 33-34). Sembra una contraddizione, ma in realtà non lo è. Infatti, solo il cuore che non si fa rapire dalla fretta è capace di commuoversi, cioè di non lasciarsi prendere da sé stesso e dalle cose da fare e di accorgersi degli altri, delle loro ferite, dei loro bisogni. La compassione nasce dalla contemplazione. Se impariamo a riposare davvero, diventiamo capaci di compassione vera; se coltiviamo uno sguardo contemplativo, porteremo avanti le nostre attività senza l’atteggiamento rapace di chi vuole possedere e consumare tutto; se restiamo in contatto con il Signore e non anestetizziamo la parte più profonda di noi, le cose da fare non avranno il potere di toglierci il fiato e di divorarci. Abbiamo bisogno – sentite questo –, abbiamo bisogno di una “ecologia del cuore”, che si compone di riposo, contemplazione e compassione. Approfittiamo del tempo estivo per questo!
E ora, preghiamo la Madonna, che ha coltivato il silenzio, la preghiera e la contemplazione, e si muove sempre a tenera compassione per noi suoi figli.
[Papa Francesco, Angelus 18 luglio 2021]
(Mc 6,14-29)
La domanda «Chi è Gesù?» cresce lungo tutto il Vangelo di Mc, sino alla risposta del centurione sotto la Croce (Mc 15,39).
Il bilancio sulle opinioni della gente (vv.14-16) lascia intendere che anche attorno alle prime assemblee di credenti qualcuno tentava di comprendere Cristo a partire da quanto si sapeva già.
Non pochi desideravano capire la sua Persona sulla base di criteri tratti dalle Scritture o dalla Tradizione anche orale del popolo eletto; dalle credenze e suggestioni antiche - persino superstiziose [come nel caso di Erode].
Ma l’Araldo di Dio non è stato un purificatore del Tempio, né semplice rabberciatore della religiosità datata, d’idee culturali addomesticate. Neppure uno dei tanti “riformatori”… tutto sommato conformisti.
Egli capovolge le speranze del popolo, così inquieta qualsiasi scuola di pensiero; in particolare, coloro che detengono l’esclusiva.
Quando avverte un pericolo, chi è avvolto di lustro e potere diventa sfrontato e disposto a ogni violenza, anche per un falso punto d’onore.
I tiranni si fanno sempre beffe dell’isolato, scomodo e indifeso.
Ma capi e potenti sono anche vigliacchi: non intendono perdere la faccia davanti agli alleati del loro ambiente smodato e senza controllo, ammantato di esenzioni.
Durante più di 40 anni di regno, Erode Antipa aveva creato una classe di funzionari e un sistema di privilegiati che avevano in pugno il governo, il fisco, l’economia, la giustizia, ogni aspetto della vita civile e di polizia.
Il suo comando copriva capillarmente il territorio.
In ogni villaggio il sovrano poteva contare sull’appoggio di tutte le cricche e dei vari leaders locali, interessati al controllo delle coscienze - insieme a scribi e farisei compromessi, legati alla sua politica.
Oltre che fantoccio di Roma - cui garantiva il controllo del territorio e il flusso delle imposte - Erode era un depravato e (appunto) superstizioso. Pensava che perfino il giuramento leggero a una ballerina andasse mantenuto.
Giuseppe Flavio riferisce invece che Giovanni era in prigione per timore del sovrano di una sommossa popolare - e stava valutando che fosse bene per lui agire in anticipo.
La trama dell’assassinio è stata probabilmente occasionale.
Il coraggioso che denuncia soprusi viene stroncato, ma la Voce del suo martirio non tace più.
Per questo motivo l’episodio non induce Gesù a maggiore prudenza. Ucciso un inviato, subentra un altro maggiore e più incisivo: all’ultimo dei Profeti, il Figlio di Dio.
I delinquenti non devono illudersi che la Provvidenza non sappia equipaggiare anche le alte sfere più smidollate, del contraltare di persone coerenti e valide.
La religiosità generica e confusionaria può adattarsi a ogni stagione ed esser fatta propria anche da chi pensa che la vita altrui non valga nulla - ma un Profeta non si arresta di fronte al capriccio del sistema corrotto.
Sia Giovanni che il Signore non hanno mai frequentato la nuova capitale erodiana, Tiberiade, la città dei palazzi di corte. Costruita - dopo Sefforis, dove anche Gesù ha lavorato - in diplomatico omaggio all’imperatore romano.
Nei villaggi palestinesi la vita della gente era vessata di tasse e abusi di latifondisti, che neppure risiedevano in loco; controllata dal perfetto connubio d’interessi fra potere civile e religioso.
Complicità che in modo scaltro i dirigenti tentavano d’imporre, secondo il loro stile di vita. Anche trasmettendo alle folle molte narrazioni calibrate, e inculcando un sapere (inutile) ormai consolidato.
I leaders della fede popolare, ortodossa e confacente - come spesso capita - erano a guinzaglio delle autorità sul territorio, le quali si consideravano definitive e trovavano forza nella coalizione.
Sembrava assurdo che in quella società qualcuno osasse infrangere il muro omertoso il quale garantiva ai facinorosi, alle autorità “spirituali” e ai prepotenti persino d’infimo livello di considerarsi intoccabili.
Di fronte al ricatto (senza troppi complimenti) dei privilegiati che avevano il controllo d’ogni ceto sociale e culturale, pareva impossibile iniziare un nuovo cammino, o dire e fare qualsiasi cosa non allineata.
Giovanni e Gesù sfidano lo status quo e attraggono su di sé le vendette di coloro che tentano di perpetuare le prerogative del cosmo gerarchico antico, e le rabbie di quanti vengono smascherati nelle loro ipocrisie.
È la difficoltà reale che incontra l’Annuncio del nuovo Regno nel mondo. Il suo rifiuto sprezzante e ogni tentativo di omicidio saranno una cartina al tornasole d’una nostra nobile franchezza critica, la cui rivelazione correrà parallela ai Due.
Il Battezzatore è stato intrepido denunciatore del vizio, della superficialità, del malcostume, delle perversioni dei potenti.
Di costoro, Papa Francesco avrebbe parlato di buone maniere [nella ricerca di alleanze di cordata] e di pessime abitudini [nella vita privata irresponsabile e insulsa, e nella violenza con cui si perpetua il dominio sui piccoli].
Anche Gesù ha puntato i piedi, invece di fare carriera interna. Malgrado il presagio di Giovanni, ha rifiutato la strada delle malizie soppesate, della finzione, della diplomazia, delle piroette di circostanza.
Il Maestro si è eretto in difesa della coscienza e della stessa legge divina, contro le autorità religiose e politiche opportuniste, che ha sfidato a viso aperto.
Anche oggi il Signore chiede coraggio di non piegarsi di fronte alla corruzione, al male, alla mentalità corrente; di essere diversi nel modo di pensare, di parlare [mellifluo].
Chiede di scegliere e agire.
Non ascoltati, derisi, osteggiati da molti signori, luminari e cortigiani, i figli di Dio rendono testimonianza alla Verità, pagando di persona: perfetta Letizia.
Autentica Pienezza.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Conosci vittime di autoritarismo, corruzione, dominio di potenti, eccesso e strafottenza di potere? Anche nella Chiesa?
Come mai ancora capita questo - e tutto prima o poi vien messo a tacere?
Chi è Gesù secondo te e gli altri? E che direbbe?
(Mc 6,14-29)
La domanda «Gesù, Chi è?» cresce lungo tutto il Vangelo di Mc, sino alla risposta del centurione sotto la Croce (Mc 15,39).
Il bilancio sulle opinioni della gente (vv.14-16) lascia intendere che anche attorno alle prime assemblee di credenti qualcuno tentava di comprendere Cristo a partire da quanto si sapeva già.
Non pochi desideravano capire la sua Persona sulla base di criteri tratti dalle Scritture o dalla Tradizione anche orale del popolo eletto; dalle credenze e suggestioni antiche - persino superstiziose [come nel caso di Erode].
Ma l’Araldo di Dio non è stato un purificatore del Tempio, né semplice rabberciatore della religiosità datata, d’idee culturali addomesticate. Neppure uno dei tanti “riformatori”… tutto sommato conformisti.
Egli capovolge le speranze del popolo, così inquieta qualsiasi scuola di pensiero; in particolare, coloro che detengono l’esclusiva.
Quando avverte un pericolo, chi è avvolto di lustro e potere diventa sfrontato e disposto a ogni violenza, anche per un falso punto d’onore.
I tiranni si fanno sempre beffe dell’isolato, scomodo e indifeso.
Ma capi e potenti sono anche vigliacchi: non intendono perdere la faccia davanti agli alleati del loro ambiente smodato e senza controllo, ammantato di esenzioni.
Giuseppe Flavio riferisce che Giovanni era in prigione per timore del sovrano di una sommossa popolare - e stava valutando che fosse bene per lui agire in anticipo.
La trama dell’assassinio è stata occasionale.
Il coraggioso che denuncia soprusi viene stroncato, ma la Voce del suo martirio non tace più.
Per questo motivo l’episodio non induce Gesù a maggiore prudenza. Ucciso un inviato, subentra un altro maggiore e più incisivo: all’ultimo dei Profeti, il Figlio di Dio.
Sembrava assurdo che in quella società qualcuno osasse infrangere il muro omertoso che garantiva ai facinorosi di considerarsi intoccabili.
Di fronte al ricatto [senza troppi complimenti] dei privilegiati che avevano il controllo d’ogni ceto sociale e culturale, pareva impossibile iniziare un nuovo cammino, o dire e fare qualsiasi cosa non allineata.
Giovanni e Gesù sfidano lo status quo e attraggono su di sé le vendette di coloro che tentano di perpetuare le prerogative del cosmo gerarchico antico, e le rabbie di quanti vengono smascherati nelle loro ipocrisie.
È la difficoltà reale che incontra l’Annuncio del nuovo Regno nel mondo. Il suo rifiuto sprezzante e ogni tentativo di omicidio saranno una cartina al tornasole d’una nostra nobile franchezza critica, la cui ‘rivelazione’ correrà parallela ai Due.
Il Maestro si è eretto in difesa della coscienza e della stessa legge divina, contro le autorità opportuniste, che ha sfidato a viso aperto.
Anche oggi chiede coraggio di non piegarsi di fronte alla corruzione, al male, alla mentalità corrente; di essere diversi nel modo di pensare, di parlare, di scegliere e agire.
Non ascoltati, derisi, osteggiati da molti cortigiani, i figli di Dio rendono testimonianza alla Verità, pagando di persona: perfetta Letizia.
Autentica Pienezza.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Chi è Gesù secondo te e gli altri?
[Venerdì 4.a sett. T.O. 7 febbraio 2025]
Da autentico profeta, Giovanni rese testimonianza alla verità senza compromessi. Denunciò le trasgressioni dei comandamenti di Dio, anche quando protagonisti ne erano i potenti. Così, quando accusò di adulterio Erode ed Erodiade, pagò con la vita, sigillando col martirio il suo servizio a Cristo, che è la Verità in persona. Invochiamo la sua intercessione, insieme con quella di Maria Santissima, perché anche ai nostri giorni la Chiesa sappia mantenersi sempre fedele a Cristo e testimoniare con coraggio la sua verità e il suo amore per tutti.
[Papa Benedetto, Angelus 24 giugno 2007]
Because of this unique understanding, Jesus can present himself as the One who reveals the Father with a knowledge that is the fruit of an intimate and mysterious reciprocity (John Paul II)
In forza di questa singolare intesa, Gesù può presentarsi come il rivelatore del Padre, con una conoscenza che è frutto di un'intima e misteriosa reciprocità (Giovanni Paolo II)
Yes, all the "miracles, wonders and signs" of Christ are in function of the revelation of him as Messiah, of him as the Son of God: of him who alone has the power to free man from sin and death. Of him who is truly the Savior of the world (John Paul II)
Sì, tutti i “miracoli, prodigi e segni” di Cristo sono in funzione della rivelazione di lui come Messia, di lui come Figlio di Dio: di lui che, solo, ha il potere di liberare l’uomo dal peccato e dalla morte. Di lui che veramente è il Salvatore del mondo (Giovanni Paolo II)
It is known that faith is man's response to the word of divine revelation. The miracle takes place in organic connection with this revealing word of God. It is a "sign" of his presence and of his work, a particularly intense sign (John Paul II)
È noto che la fede è una risposta dell’uomo alla parola della rivelazione divina. Il miracolo avviene in legame organico con questa parola di Dio rivelante. È un “segno” della sua presenza e del suo operare, un segno, si può dire, particolarmente intenso (Giovanni Paolo II)
That was not the only time the father ran. His joy would not be complete without the presence of his other son. He then sets out to find him and invites him to join in the festivities (cf. v. 28). But the older son appeared upset by the homecoming celebration. He found his father’s joy hard to take; he did not acknowledge the return of his brother: “that son of yours”, he calls him (v. 30). For him, his brother was still lost, because he had already lost him in his heart (Pope Francis)
Ma quello non è stato l’unico momento in cui il Padre si è messo a correre. La sua gioia sarebbe incompleta senza la presenza dell’altro figlio. Per questo esce anche incontro a lui per invitarlo a partecipare alla festa (cfr v. 28). Però, sembra proprio che al figlio maggiore non piacessero le feste di benvenuto; non riesce a sopportare la gioia del padre e non riconosce il ritorno di suo fratello: «quel tuo figlio», dice (v. 30). Per lui suo fratello continua ad essere perduto, perché lo aveva ormai perduto nel suo cuore (Papa Francesco)
Doing a good deed almost instinctively gives rise to the desire to be esteemed and admired for the good action, in other words to gain a reward. And on the one hand this closes us in on ourselves and on the other, it brings us out of ourselves because we live oriented to what others think of us or admire in us (Pope Benedict)
Quando si compie qualcosa di buono, quasi istintivamente nasce il desiderio di essere stimati e ammirati per la buona azione, di avere cioè una soddisfazione. E questo, da una parte rinchiude in se stessi, dall’altra porta fuori da se stessi, perché si vive proiettati verso quello che gli altri pensano di noi e ammirano in noi (Papa Benedetto)
Since God has first loved us (cf. 1 Jn 4:10), love is now no longer a mere “command”; it is the response to the gift of love with which God draws near to us [Pope Benedict]
Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4, 10), l'amore adesso non è più solo un « comandamento », ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro [Papa Benedetto]
don Giuseppe Nespeca
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