don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Domenica, 29 Dicembre 2024 18:23

Maria Ss.ma Madre di Dio

1 gennaio 2025 nell’ottava di Natale - Maria SS Madre di Dio 

 

Prima Lettura dal Libro dei Numeri (6,22-27)

*Ti benedica il Signore

Per aprire il nuovo anno solare che segue il calendario civile gregoriano, in uso in quasi tutto il mondo, è stata scelta la bellissima benedizione, che in Israele i sacerdoti, a partire da Aronne e i suoi figli, utilizzavano per benedire il popolo durante le cerimonie liturgiche nel Tempio di Gerusalemme. Si tratta di una formula che fa ormai parte anche del patrimonio cristiano: tratta dal Libro dei Numeri è infatti inclusa tra le benedizioni solenni proposte per la conclusione della messa. Da notare come si chiude questa benedizione: “Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò”(v.27). A ben vedere si tratta di un modo di esprimersi, poiché, in realtà, il nome di Dio non viene mai pronunciato per rispetto nei suoi confronti. Il nome rappresenta la persona stessa e pronunciarne il nome è un atto giuridico che implica una presa di possesso, ma anche un impegno di protezione. Ad esempio, quando un guerriero conquista una città, si dice che pronuncia il suo nome su di essa; allo stesso modo, nel giorno del matrimonio ebraico, viene pronunciato il nome del marito sulla moglie anche se lei non porta il nome del marito, e ciò implica appartenenza e promessa di vigilanza.  Quando Dio rivela il suo nome si rende accessibile alla preghiera del suo popolo e invocare il nome di Dio costituisce normalmente una garanzia di benedizione. C’è un legame così forte fra Dio e il suo popolo che le offese rivolte al popolo di Dio costituiscono una blasfemia contro il suo nome, sono un insulto personale. Per questo comprendiamo meglio le parole di Gesù: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Con questa benedizione vogliamo allora dire quest’oggi che su tutte le persone che incontreremo durante tutto l’anno che inizia, Dio ha posto il suo nome su di loro e, in ragione di tale benedizione, siamo invitati a guardarle con occhi nuovi. 

In merito poi alla benedizione del Libro dei Numeri, ecco alcuni spunti di riflessione: 

1. Questa formula di benedizione è al singolare: “Ti benedica il Signore” e non “Vi benedica il Signore”. In realtà, si riferisce all’intero popolo d’Israele ed è quindi un singolare collettivo e, con il tempo, Israele comprese che questa protezione di Dio non era riservata solo a lui, ma all’intera umanità.

2. “Ti benedica il Signore” (v. 24) è al congiuntivo come pure “il Signore faccia risplendere per te il suo volto … Il Signore rivolga a te il suo volto”(v.25,26)). Auspichiamo di essere benedetti ma possiamo chiederci: è mai possibile che il Signore non ci benedica, lui che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni, cioè su tutti gli uomini e che ci chiede di amare anche i nostri nemici…? Ovviamente, sappiamo bene che Dio ci benedice continuamente, che ci accompagna e che è con noi in ogni circostanza. Eppure, questo congiuntivo, come tutti i congiuntivi, esprime un desiderio che concerne noi e non lui. Dio ci benedice continuamente, ma siamo liberi di non accogliere la sua benedizione… come il sole che splende anche quando cerchiamo l’ombra e siamo liberi di cercare l’ombra… Allo stesso modo, siamo liberi di sottrarci all’azione benefica di Dio… Chi si mette al riparo dal sole, perde ogni possibilità di beneficiarne della luce e del calore e non per colpa del sole! Quindi, la formula “Ti benedica Dio” è un augurio che ci invita a metterci sotto la sua benedizione. In altri termini, Dio ci offre la sua benedizione, ma sta a noi accoglierla e questo congiuntivo serve a manifestare la nostra libera adesione.

3.In che cosa consiste la benedizione di Dio? Benedire è un termine latino che significa dire bene, quindi Dio dice bene di noi. Non dobbiamo sorprenderci che Dio dica bene di noi perché ci ama e per questo pensa e dice bene di noi. Anzi in noi si ferma a vedere solo ciò che è buono. La sua Parola però è anche azione: “Disse e tutto fu” (Gn 1). Quindi, quando Dio dice bene di noi, egli agisce in noi con la sua parola, ci trasforma, ci fa del bene.E quindi, quando chiediamo la sua benedizione, ci offriamo all’azione trasformante di Dio

4. Attenzione! Questa benedizione non è qualcosa di magico.  Essere benedetti significa scegliere di vivere nella grazia di Dio, in armonia con Lui e nella sua alleanza, senza che questo ci risparmi le difficoltà e le prove. Chi vive nella benedizione di Dio attraverserà la fatica della vita sentendo sempre dire Dio a me, come scrive Isaia, “Ti sostengo con la destra vittoriosa”…“ti tengo per la destra e ti dico: Non temere, io ti vengo in aiuto” (Is.41,10-13).  

5. Mosè promette al popolo: “Sarai benedetto più di tutti i popoli” (Dt 7,14).  Israele quindi è benedetto, ma questo non gli ha impedito di attraversare periodi terribili; tuttavia, in mezzo alle prove, il credente sa che Dio non lo abbandona e anzi lo accompagna con perseverante pazienza. Nell’odierna festa di Maria, Madre di Dio, tutto ciò assume un significato particolare. L’angelo Gabriele, inviato per annunciarle la nascita di Gesù, le disse:“Ti saluto, piena di grazia” (Lc 1,28). Maria è per eccellenza colei sulla quale è stato pronunciato il nome di Dio e rimane sotto la sua dolcissima protezione. Ben a ragione dunque Elisabetta proclamerà: “Benedetta tu fra le donne” (Lc 1,42).

5. Purtroppo, il testo italiano non riesce a rendere tutta la ricchezza della formula originale in ebraico per due ragioni. Innanzitutto, il nome di Dio, YHWH, trascritto qui come “il Signore”, è il nome che Dio ha rivelato a Mosè e di per sé rappresenta una promessa di presenza protettiva, la stessa che ha sempre accompagnato i figli d’Israele dalla loro uscita dall’Egitto. In secondo luogo, tradurre i verbi ebraici con un congiuntivo in italiano è un inevitabile impoverimento. Dato che il sistema verbale ebraico è molto diverso da quello italiano, per maggiore precisione gli esperti suggeriscono di tradurre così: “Ti benedice il Signore e ti custodisce” , cioè, Dio ti benedice e ti custodisce ora e ti benedirà e ti custodirà per sempre». infondo questa è la nostra fede!

 

Salmo responsoriale 66 (67)

*Il nostro Dio ci benedice 

Il Salmo 66 risuona come un’eco alla prima lettura, dove il Libro dei Numeri ci ha offerto la ben nota e splendida formula di benedizione: ”Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto, e ti faccia grazia! Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace!”. Anche qui, ecco solo qualche considerazione:

1 Iniziamo dal significato stesso del termine benedizione. Il profeta Zaccaria dice: “In quei giorni, dieci uomini di ogni lingua e nazione afferreranno un Giudeo per il lembo del suo mantello e gli diranno: “Vogliamo venire con voi, perché abbiamo udito che Dio è con voi” (Zc 8,23). Questa è una interessante definizione di benedizione: dire che Dio ci benedice significa affermare che Dio è con noi, che ci accompagna. Questo, d’altronde, è il significato del Nome stesso di Dio rivelato al Sinai: YHWH, Nome impronunciabile che noi traduciamo con il Signore. Sebbene non sia traducibile alla lettera, gli ebrei lo comprendono come una promessa di presenza costante da parte di Dio accanto al suo popolo.

2. Qui è il popolo a invocare su di sé la benedizione di Dio: “Dio abbia pietà di noi e ci benedica”. A proposito della formula sacerdotale riportata nel Libro dei Numeri, siamo continuamente certi della benedizione di Dio, ma siamo liberi di non accoglierla. Quando il sacerdote dice “Il Signore vi benedica”, non esprime il desiderio che Dio scelga di benedirci perché non potrebbe non benedirci, ma augura che apriamo il cuore alla sua benedizione, affinché possa trasformarci e agire in noi. Il Salmo lo dice chiaramente: “Dio abbia pietà di noi e ci benedica… Dio, il nostro Dio, ci benedice”. Queste due frasi non sono contraddittorie: Dio ci benedice costantemente, questa è una certezza (“Dio, il nostro Dio, ci benedice”, v. 7), ma per accogliere la sua azione, basta che lo desideriamo (“Dio abbia pietà di noi e ci benedica”, v. 2).

3. La certezza di essere esauditi ancor prima di formulare una richiesta è caratteristica della preghiera in Israele. Il credente sa di vivere costantemente immerso nella benedizione, nella presenza benefica di Dio. Gesù stesso dice: «Io sapevo che mi dai sempre ascolto» (Gv 11,42).

4. Il popolo d’Israele non chiede questa benedizione solo per sé e la benedizione pronunciata su Israele si riversa sugli altri popoli: “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra” disse Dio ad Abramo (Gn 12,3). In questo Salmo ritroviamo, intrecciati come sempre, i due grandi temi: da una parte l’elezione di Israele, dall’altra l’universalità del progetto di Dio. L’opera di salvezza dell’umanità si compie attraverso l’elezione di Israele. L’elezione di Israele è evidente nell’espressione “Dio, il nostro Dio”, che richiama l’Alleanza stipulata da Dio con il popolo che ha scelto. Ma è altrettanto chiaro l’universalismo del progetto divino: “Sulla terra si conosca la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti”, oppure: “Che le nazioni esultino di gioia”. Inoltre, in questo Salmo il ritornello che si ripete due volte prefigura il giorno in cui tutti i popoli accoglieranno la benedizione di Dio: “Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti”. Israele sa di essere scelto per essere il popolo testimone: la luce che splende su di lui è il riflesso di Colui che Israele deve far conoscere al mondo. Questa comprensione dell’elezione di Israele come vocazione non fu immediata per gli uomini della Bibbia ed è comprensibile: all’inizio della storia biblica, ogni popolo immaginava che le divinità regnassero su territori specifici: c’erano le divinità di Babilonia, quelle dell’Egitto e di ogni altro paese. Solo intorno al VI secolo il popolo d’Israele capì che il Dio con cui aveva stipulato l’Alleanza al Sinai era il Dio dell’intero universo; l’elezione di Israele non veniva annullata, ma acquisiva un significato nuovo come ben mostra il profeta Zaccaria, citato sopra (Zc 8,23). Anche noi siamo un popolo testimone: quando riceviamo la benedizione di Dio, siamo chiamati a diventare il riflesso della  luce divina nel mondo ed è questo l’augurio che possiamo farci reciprocamente all’inizio di questo nuovo anno: essere portatori della luce di Dio per tutti coloro che incontreremo

5. ”La terra ha dato il suo frutto; Dio, il nostro Dio, ci benedice”. Poiché la Parola di Dio è azione, essa produce frutto. Dio aveva promesso una terra fertile, dove scorrono latte e miele e ha mantenuto fede a quanto promesso facendo giungere Israele nella terra promessa. A maggior ragione, i cristiani possono leggere questo salmo pensando alla nascita del Salvatore: quando giunse la pienezza dei tempi, la terra portò il suo frutto. Scrive san Giovanni della Croce: “Poiché Egli (Dio) ci ha dato il suo Figlio, che è la sua unica e definitiva Parola, in questa Parola ha detto tutto e non ha più nulla da rivelare” (Salita del Monte Carmelo. Libro II, cap.22, par.3)

 

Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati ( 4, 4-7)

*“Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio”. 

In questo breve testo ritroviamo un tema molto caro a san Paolo: il compimento del progetto di Dio. Per i credenti, sia ebrei sia cristiani, questo è un elemento fondamentale della fede: la storia non è un eterno ricominciare, ma un cammino progressivo dell’umanità verso il suo compimento, verso la realizzazione del progetto di amore misericordioso di Dio. Questo tema è centrale nelle lettere di San Paolo e rappresenta una chiave di lettura non solo per comprenderle, ma pure per leggere l’intera Bibbia, a partire dall’Antico Testamento.  Nel Nuovo Testamento viene continuamente sottolineato che la vita, la passione, la morte e la risurrezione di Gesù di Nazareth compiono le Scritture. Paolo afferma davanti ai suoi giudici: “Io non ho detto nulla al di fuori di ciò che Mosè e i profeti avevano predetto” (At 26,22). E l’evangelista Matteo ama ripetere: “Tutto questo avvenne affinché si compisse ciò che era stato detto dal profeta”. Si deve allora pensare che tutto era già scritto in anticipo? Per meglio capire, occorre notare che “affinché” in italiano è una congiunzione subordinante finale con due diversi significati: uno di finalità e uno di conseguenza. Se intendiamo finalità, allora gli eventi si sarebbero verificati secondo un piano predefinito, prestabilito fin dall’eternità. Ma se l’intendiamo come conseguenza, significa che gli eventi si svolgono in un determinato modo e, a posteriori, noi riconosciamo come, attraverso di essi, Dio abbia realizzato il suo progetto. Il progetto di Dio, quindi, non è un programma rigido in cui il ruolo di ciascuno è predeterminato. Dio si assume il rischio della nostra libertà e, nel corso dei secoli, gli uomini hanno spesso ostacolato il suo piano. Per questo i profeti si sono lamentati, ma non hanno mai perso la speranza. Anzi, hanno continuamente promesso che Dio non si sarebbe stancato. Isaia, per esempio, annuncia da parte di Dio: “Io dico: il mio progetto si compirà, e realizzerò tutto ciò che desidero” (Is 46,10). E Geremia aggiunge: “Io conosco i progetti che ho fatto per voi, oracolo del Signore: progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza” (Ger 29,11).

Nel Nuovo Testamento viene sempre contemplato in Gesù il compimento delle promesse di Dio. “Dio mandò il suo Figlio: nato da donna, nato sotto la Legge”. Con poche parole, Paolo racchiude tutto il mistero della persona di Gesù: Figlio di Dio, uomo come gli altri, ebreo come gli altri ebrei. L’espressione “nato da donna”, anzitutto, è comune nella Bibbia e significa semplicemente “un uomo come gli altri”. Per esempio, per evitare ripetizioni del termine uomo in una stessa frase, si utilizza l’espressione “figlio della donna” (cfr. Sir 10,18; Gb 15,14; Gb 25,4). Gesù stesso usa questa espressione parlando di Giovanni Battista: “In verità vi dico: tra i nati da donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista” (Mt 11,11).

L’affermazione “nato sotto la Legge” indica che Gesù ha accettato la condizione degli uomini del suo popolo. Paolo prosegue: “Per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli”. S’incontra spesso nella Bibbia il termine “riscattare”, che significa liberare, affrancare. Nell’Antico Testamento, il redentore era colui che liberava lo schiavo. Essere sotto la Legge, quindi, non è la stessa cosa che essere nella condizione di figli: c’è perciò un passaggio da compiere. Colui che vive sotto la Legge si comporta da servo, sottomettendosi agli ordini. Il figlio, invece, vive nell’amore e nella fiducia: può obbedire al padre – cioè ascoltare la sua parola – perché si fida di lui e sa che ogni sua parola è dettata dall’amore. Questo significa passare dalla dominazione della Legge all’obbedienza dei figli. Il passaggio verso un atteggiamento filiale e fiducioso è possibile perché “Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abba, Padre”. Questo grido, che chiama il Padre, è l’unico che ci salva in ogni circostanza perché è come  il grido disperato e fiducioso del bambino che si fida del papà. Qualunque cosa accada, sappiamo che Dio ci è Padre  e che ha solo tenerezza d’amore nei nostri confronti. Questa è l’attitudine filiale che Cristo è venuto a vivere in mezzo a noi, a nostro nome. Paolo conclude: “Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede”. Il termine erede è da intendersi  in senso pieno: ciò che appartiene a Dio ci è promesso, ma  bisogna avere il coraggio di crederlo. Ed è proprio questo il nostro problema. Quando Gesù ci definisce “gente di poca fede”, forse si riferisce proprio a questo: non osiamo credere che lo Spirito di Dio sia in noi, che la sua forza ci appartenga, che tutto ciò che è suo sia nostro, inclusa la sua capacità di amare. E tutto questo non è per nostro merito! Se siamo eredi, è solo per grazia di Dio. Ecco perché possiamo dire, malgrado la nostra umana fragilità, con santa Teresa del Bambino Gesù:  “Tutto è grazia, tutto è dono: tutto ciò che Dio fa è per il nostro bene”( Manoscritto C, 4r della Storia di un’anima)

 

Vangelo secondo Luca (2,16-21)

Siamo in presenza di un racconto all’apparenza secondario, eppure è in realtà profondamente teologico, il che significa che ogni dettaglio ha il suo peso e per questo vale la pena ripercorrerlo insieme:

1.I pastori, innanzitutto: erano poco considerati, anzi marginali per via del loro lavoro che impediva di frequentare le sinagoghe e di osservare il sabato. Eppure, sono proprio loro i primi ad essere informati dell’evento che cambia la storia dell’umanità: la nascita del Messia atteso. I pastori diventano così i primi apostoli e i primi testimoni: raccontano, vengono ascoltati e suscitano meraviglia. Parlano dell’annuncio straordinario ricevuto nel cuore della notte dagli angeli e il miracolo è che vengono creduti come  racconta l’evangelista Luca (Lc 2,8-14). Raccontano tutto ciò che hanno visto e udito con le loro parole e questo richiama alla mente un’espressione di Gesù che spesso viene citata: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Lc 10,21; Mt 11,25). Non sono i dotti e i sapienti coloro che Dio sceglie come suoi messaggeri. 

2. Tutto l’evento che Luca racconta si svolge a Betlemme. Si sapeva, all’epoca, che il Messia sarebbe nato nella discendenza di Davide proprio lì, eppure l’interesse della gente era per altri eventi e per l’arrivo del Messia, atteso da millenni, nessuno aveva preparato una casa. Giuseppe e Maria trovano rifugio fuori del centro abitato ed è in una povera grotta o una stalla: l’unico dettaglio in merito che il vangelo precisa è questo: “Mentre (Giuseppe e Maria) si trovavano in quel luogo…Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (lc 2,6-7) . Betlemme significa letteralmente “la casa del pane” e il neonato adagiato in una mangiatoia è un’immagine suggestiva di colui che si darà come nutrimento all’umanità. Il legame tra il Natale e l’Eucaristia è evidente.

3.“Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore…, conservava questi fatti e li meditava nel suo cuore” (Lc 2,19). Mentre i pastori, resi loquaci dall’evento, raccontano, Maria contempla e medita nel suo cuore. Luca qui potrebbe voler richiamare un passaggio della visione del Figlio dell’uomo in Daniele, dove si legge: “Io custodii questi pensieri nel mio cuore” (Dn 7,28). Per Luca, sarebbe un modo di delineare già il destino grandioso di quel bambino.

4.”Gli fu messo nome Gesù” ( Lc2,21).  Il nome “Gesù” svela il mistero: significa “Dio salva”. Sebbene Luca non ne specifichi l’etimologia come Matteo, pochi versetti prima riporta l’annuncio dell’angelo: “Oggi è nato per voi un Salvatore” (Lc 2,11). Al contempo, Gesù vive in piena solidarietà con il suo popolo: come ogni bambino ebreo, è circonciso l’ottavo giorno. Paolo dirà ai Galati: “Nato da donna, nato sotto laLegge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge” (Gal 4,4). Gli altri Vangeli non menzionano la circoncisione, ma era un atto talmente comune che non c’era bisogno di sottolinearlo. Tuttavia, Luca insiste per mostrare come Maria e Giuseppe rispettino pienamente la Legge mosaica. Non solo: racconta anche la presentazione al Tempio. “Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore” (Lc 2,22). Qui emerge l’intera solidarietà di Gesù con il suo popolo: un tema che culmina nelle sue stesse parole nell’ultima cena: “Bisogna che si compia in me questa parola della Scrittura: ‘Egli è stato annoverato tra gli empi” (Lc 22,37).

5.Un’ultima osservazione: colpisce la discrezione della figura di Maria, nonostante questa festa liturgica sia dedicata a lei come “Maria, Madre di Dio”. Luca si limita a dire: “Maria, da parte sua custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore “.  Forse, il suo silenzio è già un messaggio per noi: la gloria di Maria sta nell’aver accettato di essere madre di Dio, mettendosi umilmente al servizio del progetto di salvezza. Non è lei il centro del progetto, ma Gesù, colui il cui nome significa “Dio salva”.

+Giovanni D’Ercole 

Domenica, 29 Dicembre 2024 16:34

Epifania: serve più avventura

Domenica, 22 Dicembre 2024 13:51

Natale: Pasqua. Respiro per me

Le complessità dell’esistenza.

La vita non è sempre facile e le contrarietà dell’esistenza sono sempre esistite; ci accompagnano lungo il percorso del nostro vivere quotidiano.

Nei tempi passati spesso era il medico di famiglia che le ascoltava e le associava come connesse con la salute dei suoi pazienti e dava loro consigli.

Quando invece le difficoltà erano di ordine etico, le persone si rivolgevano al sacerdote che attraverso l’accompagnamento e la confessione dava suggerimenti sul modo di redimersi. 

In seguito con la scoperta della psicologia nelle sue varie forme, ci si è occupati delle problematiche dell’uomo. La figura  dello psicologo in senso lato o dello psichiatra si sono aggiunte alle figure precedenti. Per quanto riguardata più specificamente il campo dello psichiatra, le problematicità non sono malattie visibili.   

Le persone che sono afflitte da complicazione della vita non sono dei pazienti intesi in senso usuale. Possono essere delle persone normali e produttive - per quanto lo si possa essere nella nostra collettività.

Generalmente queste contrarietà quotidiane possono riguardare i rapporti interpersonali, il modo  di lavorare, le questioni legate al rendimento… ma anche il tema del vivere onestamente, in linea con i propri principi e col il credo personale. Ci sono poi  le contrarietà della vita pratica, che spesso possono accentuare le altre.

Molto dipende anche dai nostri comportamenti tipici con i quali ci difendiamo o costruiamo il nostro modo di vivere, e che si sono formati in un periodo precoce - imitando inconsapevolmente le persone che hanno avuto significato nella nostra vita (il cosiddetto carattere, molto succintamente).

Jung sostiene che l’inconscio del bambino dipende dall’inconscio genitoriale.

Quasi sempre nella mia lunga pratica professionale ho incontrato questo costrutto, e ho dovuto faticare per far comprendere che erano proprio i genitori a innescare i comportamenti.

Spesso quando incontravo genitori che non volevano accettare certe responsabilità, quest’ultimi ricorrevano a scuse che non reggevano in nessun modo.

Nei rapporti fra gli individui la problematica più fastidiosa riguarda come viviamo i nostri  affetti.

Ci sono persone aggressive che cercano persone da dominare. C’è chi sfrutta l’altro (lo sprovveduto); e cosi via.

Nelle relazioni amorose si deve far caso a come ognuno si pone nei confronti dell’altro. Facciamo alcuni esempi.

Una donna che soffre a causa del coniuge che ostacola ogni suo sviluppo (o viceversa) deve capire o farsi aiutare a comprendere che in qualche modo ha cercato questa situazione, e che solo trovando fiducia nelle proprie possibilità e nella capacità di gestirsi che troverà sollievo alle sue pene.

In caso contrario, ossia se non scopre le proprie potenzialità, neanche separandosi risolverà il suoi problemi - perché inconsapevolmente andrà alla ricerca dello stesso tipo di coniuge.

Solo le persone in grado di rispettare i bisogni e gli interessi dell’altro sono capaci di un amore adulto. Spesso infatti confondiamo il nostro desiderio con quello dell’altro.

Quante volte nelle consulenze con le coppie ho incontrato questo.

Nelle difficoltà lavorative troviamo sovente persone che passano da un lavoro all’altro perché non sono soddisfatte dei mancati riconoscimenti. Può ad es. trattarsi di un individuo con idee grandiose sulle sue attitudini e che deve cercare ammirazione nell’ambiente lavorativo . 

Vi sono poi persone che fanno un lavoro creativo e che pensano di non produrre come vorrebbero. Qui siamo spesso davanti a un perfezionismo inattuabile. Spesso tali soggetti non riescono ad ammettere di avere dei limiti, e trovarsi di fronte alle loro reali capacità.

Succede poi che molte persone si rivolgono ad un analista poiché pur non presentando una forma di depressione, non sono contenti di sé.

Nella sua Psicoanalisi della società contemporanea, Erich Fromm sostiene che il consumismo ci indirizza ad una “alienazione da se stessi”. Con ‘alienazione’ si intende ciò che in principio appartiene all’uomo e gli diventa poi estraneo - finendo per dominarci.

Dobbiamo essere come gli altri ci vogliono.

La pubblicità e la stessa moda influiscono anche coscientemente, e in tal guisa se non ci conformiamo possiamo sentirci arretrati.

Spesso si entra nel conflitto tra i nostri convincimenti e il bisogno di “piacere” alla gente.

Certo non dobbiamo essere degli isolati, ma anche qui un giusto equilibrio ci “salva” poiché ripudiare alcuni cardini fondamentali del nostro modo di essere, danneggia parecchio. 

Che il Natale ormai prossimo ci illumini, ci indichi la via. Non di rado anche qui ci uguagliamo alle tendenze attuali della popolazione, e sovente dimentichiamo il suo vero significato.

 

Francesco Giovannozzi   Psicologo-psicoterapeuta

Lunedì, 16 Dicembre 2024 09:31

L’Anima diversa di Maria, in Visitazione

Martedì, 10 Dicembre 2024 14:03

Cosa fare? Gaudete in Domino

Martedì, 26 Novembre 2024 12:38

Avvento: ma che tipo di Venuta è?

Martedì, 19 Novembre 2024 11:50

Gesù e Pilato: Verità sul Re e sull’uomo

Pagina 33 di 38
Christians are a priestly people for the world. Christians should make the living God visible to the world, they should bear witness to him and lead people towards him. When we speak of this task in which we share by virtue of our baptism, it is no reason to boast (Pope Benedict)
I cristiani sono popolo sacerdotale per il mondo. I cristiani dovrebbero rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarLo e condurre a Lui. Quando parliamo di questo nostro comune incarico, in quanto siamo battezzati, ciò non è una ragione per farne un vanto (Papa Benedetto)
Because of this unique understanding, Jesus can present himself as the One who reveals the Father with a knowledge that is the fruit of an intimate and mysterious reciprocity (John Paul II)
In forza di questa singolare intesa, Gesù può presentarsi come il rivelatore del Padre, con una conoscenza che è frutto di un'intima e misteriosa reciprocità (Giovanni Paolo II)
Yes, all the "miracles, wonders and signs" of Christ are in function of the revelation of him as Messiah, of him as the Son of God: of him who alone has the power to free man from sin and death. Of him who is truly the Savior of the world (John Paul II)
Sì, tutti i “miracoli, prodigi e segni” di Cristo sono in funzione della rivelazione di lui come Messia, di lui come Figlio di Dio: di lui che, solo, ha il potere di liberare l’uomo dal peccato e dalla morte. Di lui che veramente è il Salvatore del mondo (Giovanni Paolo II)
It is known that faith is man's response to the word of divine revelation. The miracle takes place in organic connection with this revealing word of God. It is a "sign" of his presence and of his work, a particularly intense sign (John Paul II)
È noto che la fede è una risposta dell’uomo alla parola della rivelazione divina. Il miracolo avviene in legame organico con questa parola di Dio rivelante. È un “segno” della sua presenza e del suo operare, un segno, si può dire, particolarmente intenso (Giovanni Paolo II)
That was not the only time the father ran. His joy would not be complete without the presence of his other son. He then sets out to find him and invites him to join in the festivities (cf. v. 28). But the older son appeared upset by the homecoming celebration. He found his father’s joy hard to take; he did not acknowledge the return of his brother: “that son of yours”, he calls him (v. 30). For him, his brother was still lost, because he had already lost him in his heart (Pope Francis)
Ma quello non è stato l’unico momento in cui il Padre si è messo a correre. La sua gioia sarebbe incompleta senza la presenza dell’altro figlio. Per questo esce anche incontro a lui per invitarlo a partecipare alla festa (cfr v. 28). Però, sembra proprio che al figlio maggiore non piacessero le feste di benvenuto; non riesce a sopportare la gioia del padre e non riconosce il ritorno di suo fratello: «quel tuo figlio», dice (v. 30). Per lui suo fratello continua ad essere perduto, perché lo aveva ormai perduto nel suo cuore (Papa Francesco)
Doing a good deed almost instinctively gives rise to the desire to be esteemed and admired for the good action, in other words to gain a reward. And on the one hand this closes us in on ourselves and on the other, it brings us out of ourselves because we live oriented to what others think of us or admire in us (Pope Benedict)
Quando si compie qualcosa di buono, quasi istintivamente nasce il desiderio di essere stimati e ammirati per la buona azione, di avere cioè una soddisfazione. E questo, da una parte rinchiude in se stessi, dall’altra porta fuori da se stessi, perché si vive proiettati verso quello che gli altri pensano di noi e ammirano in noi (Papa Benedetto)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

duevie.art

don Giuseppe Nespeca

Tel. 333-1329741


Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.