Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Sobrietà soddisfatta: nuova Profondità
(Lc 9,1-6)
Al tempo di Gesù non mancavano diversi movimenti di rinnovamento che cercavano di rinverdire la vita di comunità, insidiata dal collasso economico e sociale, e dal servilismo politico e religioso.
Esseni, Farisei e Zeloti avevano i loro missionari, che sebbene inviati proprio da coloro che più radicalmente desideravano un nuovo modo di convivere, erano totalmente prevenuti nei confronti di altri interlocutori.
Non si fidavano della gente, né delle consuetudini o del cibo altrui, anch’esso considerato legalmente impuro.
Invece gli Apostoli devono imparare ad accettare l’ospitalità, confidare nelle persone, e immaginare di essere accolti persino da coloro che la devozione comune considera contaminati.
L’uomo di Fede si distingue dal credente religioso fondamentalista, perché ha un criterio di fraternità e coesistenza opposto: denuncia le leggi di esclusione rituale, culturale e sociale.
Ha una nuova profondità.
L’accesso alla ‘purezza’ è nel rapporto intimo e personale con Dio, e nella qualità di relazioni aperte; non altrove. E la Chiesa è realtà eccentrica; non vive per sé, per i vantaggi, per vincere.
Essa ha solo il compito di tenere vivo il Messaggio che guida tutti alla Felicità piena.
Ciascuno, e la Comunità stessa, puntano sull’Annuncio [reale, con la vita] che ha forza trasformante. Assolutamente la Chiesa non è costituita per imporre idee e trionfare, tutt’altro.
Così il figlio di Dio in itinere non può trascorrere il suo tempo a migliorare l’alloggio, come fosse un segno di rango sociale e spirituale - magari passando da una prima sistemazione di fortuna a forme sempre più agiate e appariscenti sul territorio (v.4).
Il testimone autentico ha in cuore ben altra Promessa.
Lc insiste sul fatto che la Missione debba svolgersi nella più assoluta povertà - condizione per continuare l’assunto di Gesù - e toglie al fedele in Cristo persino l’inerme penuria del bastone da viaggio che invece Mc (6,8) gli lascia.
Il rapporto con gli eventi, le relazioni con le persone e le forze cieche del potere, e degl’imprevisti naturali, devono in noi diventare Incontro.
Sbalordimento di Empatia nuova che in se stessa annuncia sapienza, cura, guarigione, e vittoria sull’infermità (vv.1-2) - introducendo anche i lontani e disperati alla incisività della Fede.
Questo Viaggio di ritrovamento della propria e altrui vita nelle mani del Padre non è ancora terminato.
La Verità del Risorto è aperta a una Speranza aggiornata e di prospettiva, non inquadrata - da tenere viva. L’esigenza di opere trasmutanti il mondo antico acquista un’attualità sempre rinvigorita.
Continua ai nostri giorni, ma con esigenze, motivi, orizzonti e offerte di redenzione in forme “divine” sorprendenti - anche a motivo di poliedrici contesti culturali [o perfino d’interferenze interne, coi loro immutati tentativi di offuscamento perbenista rigido e devoto - o modaiolo - dello spirito umano].
Ciò che conta non sono i mezzi, diversi secondo ambiente o più o meno miseri, ma l’Annuncio della Verità che si ‘fa’, non che si ‘ha’.
In sé l’indigenza materiale è una cattedra, ma pure una vetrina. In altre religioni, ci sono forme di povertà ed esproprio individuale [confrontate alle nostre] eroiche e sorprendenti, forse però inaccessibili e di cerchia, nel loro incredibile atletismo - e spersonalizzazione.
La Chiesa dev’essere libera, disponibile, tutta dedita, inerme.
Il suo peso specifico - vera garanzia di credibilità - resta da discernere in ordine a una vita universale e perfetta ‘da salvati’ [recuperati per Grazia], non da fenomeni asettici e cesellati nei minimi dettagli.
Lo vediamo oggi, nel tempo della crisi globale: bisogna reinventarsi per rinascere, anche dal punto di vista dei criteri di sacralità.
Insomma: smettere di sabotare le nostre risorse naturali spontanee, e diventare ciò che siamo a partire dalle reali fragilità - in modo più genuino [e al contempo, più profondo].
Talora bisognerà far leva proprio sugli aspetti che un tempo erano considerati cagionevolezza di carattere... appunto da escludere, in un mondo tutto esteriore, falsamente estroverso, manierista, supponente di sé.
Al fine di costruire una sola Famiglia e un solo Popolo di Dio, liberato da pastoie che umiliano la gioia, tutti i ‘fatti’ credibili e i ‘mezzi’ conformi - fragranti e spontanei, o anche culturalmente affinati - possono essere accolti, presi in considerazione, reinventati.
Opzione assoluta e non negoziabile è il bene della donna e dell’uomo concreti, non un convincimento di purità, o di adeguatezza “culturale”.
Ciò che conta è la sollecitudine per il nostro rapporto con Dio nella relazione di Comunione coi fratelli e sorelle, alla pari, per una convivialità delle differenze che ci arricchisce, personalmente e insieme.
La qualità d’intesa basta a tutto, e marca una saggia differenza nei confronti di aspetti idolatrici… quali rivalse materiali, controllo delle coscienze deboli, ed espansione sul territorio - cifre così importanti per le ideologie e purtroppo anche per alcune forme impositive del nostro credo [rigide o di soppiatto].
Se viceversa ci radichiamo in una disposizione di coesistenza, esclusivamente conviviale e di spirito largo, informeremo tutto il nostro modo di vivere. Ciò, nella soddisfatta sobrietà di chi già possiede il Tesoro autentico, dentro e fuori di sé: il Cristo universale, risuscitato a favore delle «moltitudini»; Fonte e Culmine del Regno da edificare.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come annunzi il Regno di Dio?
Porti ciò che per primo hai vissuto, o preferisci idee, atteggiamenti artificiosi, schemi, pensieri, organigrammi e “nomi” altrui?
Cosa ritieni possa complicare l’Annuncio oggi?
[Mercoledì 25.a sett. T.O. 25 settembre 2024]
Cari amici, con la vostra preziosa opera di animazione e cooperazione missionaria richiamate al Popolo di Dio “la necessità per il nostro tempo di un impegno deciso nella missio ad gentes” (Esort. ap. Verbum Domini, 95), per annunciare la “grande Speranza”, “quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme” (Enc. Spe salvi, 31). Nuovi problemi e nuove schiavitù, infatti, emergono nel nostro tempo, sia nel cosiddetto primo mondo, benestante e ricco ma incerto circa il suo futuro, sia nei Paesi emergenti, dove, anche a causa di una globalizzazione caratterizzata spesso dal profitto, finiscono per aumentare le masse dei poveri, degli emigranti, degli oppressi, in cui si affievolisce la luce della speranza. La Chiesa deve rinnovare costantemente il suo impegno di portare Cristo, di prolungare la sua missione messianica per l’avvento del Regno di Dio, Regno di giustizia, di pace, di libertà, di amore. Trasformare il mondo secondo il progetto di Dio con la forza rinnovatrice del Vangelo, “perché Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,28) è compito dell’intero Popolo di Dio. E’ necessario pertanto continuare con rinnovato entusiasmo l’opera di evangelizzazione, l’annuncio gioioso del Regno di Dio, venuto in Cristo nella potenza dello Spirito Santo, per condurre gli uomini alla vera libertà dei figli di Dio contro ogni forma di schiavitù. E’ necessario gettare le reti del Vangelo nel mare della storia per portare gli uomini verso la terra di Dio.
“La missione di annunciare la Parola di Dio è compito di tutti i discepoli di Cristo, come conseguenza del loro battesimo” (Esort. ap. Verbum Domini, 94). Ma perché vi sia un deciso impegno nell’evangelizzazione, è necessario che i singoli cristiani come le comunità credano veramente che “la Parola di Dio è la verità salvifica di cui ogni uomo in ogni tempo ha bisogno” (ibid., 95). Se questa convinzione di fede non è profondamente radicata nella nostra vita, non potremo sentire la passione e la bellezza di annunciarla. In realtà, ogni cristiano dovrebbe fare propria l’urgenza di lavorare per l’edificazione del Regno di Dio. Tutto nella Chiesa è al servizio dell’evangelizzazione: ogni settore della sua attività e anche ogni persona, nei vari compiti che è chiamata a svolgere. Tutti devono essere coinvolti nella missio ad gentes: Vescovi, presbiteri, religiosi e religiose, laici. “Nessun credente in Cristo può sentirsi estraneo a questa responsabilità che proviene dall’appartenere sacramentalmente al Corpo di Cristo” (ibid., 94). Occorre, pertanto, prestare particolare cura affinché tutti i settori della pastorale, della catechesi, della carità siano caratterizzati dalla dimensione missionaria: la Chiesa è missione.
Condizione fondamentale per l’annuncio è lasciarsi afferrare completamente da Cristo, Parola di Dio incarnata, perché solo chi è in attento ascolto del Verbo incarnato, chi è intimamente unito a Lui, può diventarne annunciatore (cfr ibid., 51; 91). Il messaggero del Vangelo deve rimanere sotto il dominio della Parola e deve alimentarsi dei Sacramenti: è da questa linfa vitale che dipendono la sua esistenza e il suo ministero missionario. Solo radicati profondamente in Cristo e nella sua Parola si è capaci di non cedere alla tentazione di ridurre l’evangelizzazione ad un progetto solo umano, sociale, nascondendo o tacendo la dimensione trascendente della salvezza offerta da Dio in Cristo. E’ una Parola che deve essere testimoniata e proclamata esplicitamente, perché senza una testimonianza coerente essa risulta meno comprensibile e credibile. Anche se spesso ci sentiamo inadeguati, poveri, incapaci, conserviamo sempre la certezza nella potenza di Dio, che mette il suo tesoro “in vasi di creta” proprio perché appaia che è Lui ad agire per mezzo nostro.
Il ministero dell’evangelizzazione è affascinante ed esigente: richiede amore per l’annuncio e la testimonianza, un amore così totale che può essere segnato anche dal martirio. La Chiesa non può venire meno alla sua missione di portare la luce di Cristo, di proclamare il lieto annuncio del Vangelo, anche se ciò comporta la persecuzione (cfr Esort. ap. Verbum Domini, 95). E’ parte della sua stessa vita, come lo è stato per Gesù. I cristiani non devono avere timore, anche se “sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2011, 1). San Paolo afferma che “né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,38-39).
[Papa Benedetto, discorso all’assemblea generale Pontificie Opere Missionarie 14 maggio 2011]
2. L'odierno incontro avviene nel tempo e nello spirito del Grande Giubileo, che la Chiesa universale sta vivendo con grande fervore. Questo è un singolare Anno di grazia, nel quale la comunità cristiana sta facendo una più viva esperienza della bontà di Dio, manifestatasi nell'incarnazione del Figlio e annunciata con gratitudine dalla Chiesa a tutte le genti. Risuonano nel nostro spirito le parole dell'Apostolo: "Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!" (2 Cor 6, 2b).
La celebrazione del Grande Giubileo appare, quindi, un'occasione quanto mai opportuna per riflettere sulla misericordia che Dio Padre, mediante l'opera dello Spirito Santo, ha offerto in Cristo a tutta l'umanità. Il Grande Giubileo è "annuncio di salvezza", che va fatto risuonare in ogni angolo della terra, affinché chi l'ha udito ne divenga a sua volta testimone e se ne faccia strumento per la salvezza di ogni persona. Siamo tutti chiamati ad aprire gli occhi dinanzi alle necessità delle numerose pecore senza pastore (cfr Mc 6, 34), per metterci al loro servizio, al fine di far conoscere loro il nome del Signore, perché, confessandolo, anch'esse abbiano parte alla salvezza (cfr Rm 10,9).
3. Voglio qui ricordare in modo particolare quanti, uomini e donne, dedicandosi "ad vitam" alla missione "ad gentes", hanno fatto di questa attività la ragion d'essere della propria esistenza. Essi sono un esempio incomparabile di dedizione alla causa della diffusione del Vangelo. Ringrazio e benedico di cuore coloro che, in forme tanto discrete quanto efficaci, si impegnano nel lavoro dell'animazione e della cooperazione missionaria. Sono in tanti. Ai sacerdoti, alle consacrate ed ai consacrati si uniscono numerosi laici, individualmente o come famiglia, desiderosi di dedicare alla missione alcuni anni della loro vita o, addirittura, l'intera loro esistenza. Non poche volte essi proclamano la Buona Novella e manifestano la loro fede in ambienti ostili o indifferenti. Portate loro, carissimi Fratelli e Sorelle, la mia riconoscenza ed il mio incoraggiamento a continuare generosamente questo vigoroso impegno missionario. Dio, che non si lascia vincere in generosità, li saprà ricompensare.
La recente commemorazione dei Testimoni della Fede del ventesimo secolo, celebrata la scorsa Domenica nel Colosseo, ci ricorda che non di rado, per la missione, la prova suprema è il dono della vita fino alla morte. "Come sempre nella storia cristiana, i «martiri», cioè i testimoni, sono numerosi e indispensabili al cammino del Vangelo. Anche nella nostra epoca ce ne sono tanti: vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici, a volte eroi sconosciuti che danno la vita per testimoniare la fede. Sono essi gli annunciatori ed i testimoni per eccellenza" (Lett. enc. Redemptoris missio, 45).
Nel rendere grazie a Dio per questi nostri fratelli e sorelle nella fede, preghiamo perché il lavoro missionario della Chiesa sia sempre animato da grande generosità.
[Papa Giovanni Paolo II, discorso all’assemblea delle Pontificie Opere Missionarie 11 maggio 2000]
Rinnovarsi richiede conversione, richiede di vivere la missione come opportunità permanente di annunciare Cristo, di farlo incontrare testimoniando e rendendo gli altri partecipi del nostro incontro personale con Lui. Auspico che la vostra assistenza spirituale e materiale alle Chiese le renda sempre più fondate sul Vangelo e sul coinvolgimento battesimale di tutti i fedeli, laici e chierici, nell’unica missione della Chiesa: renda l’amore di Dio prossimo ad ogni uomo, specialmente ai più bisognosi della sua misericordia. Il Mese straordinario di preghiera e riflessione sulla missione come prima evangelizzazione servirà a questo rinnovamento della fede ecclesiale, affinché al suo cuore stia e operi sempre la Pasqua di Gesù Cristo, unico Salvatore, Signore e Sposo della sua Chiesa.
La preparazione di questo tempo straordinario dedicato al primo annuncio del Vangelo ci aiuti ad essere sempre più Chiesa in missione, secondo le parole del Beato Paolo VI, nella sua Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi, magna carta dell’impegno missionario post-conciliare. Scriveva Papa Montini: «Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare sé stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità di amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore. Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli, essa ha sempre bisogno di sentir proclamare le grandi opere di Dio (cfr At 2,11; 1 Pt 2,9), che l’hanno convertita al Signore, e d’essere nuovamente convocata e riunita da Lui. Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno di essere evangelizzata, se vuol conservare la freschezza, lo slancio e la forza, per annunziare il Vangelo» (n. 15).
[Papa Francesco, discorso all’assemblea delle Pontificie Opere Missionarie 3 giugno 2017]
Il Signore vuole nuova gente, che Ascolta
(Lc 8,19-21)
Nella vita di chi è interpellato dalla relazione di Fede, per diventare consanguinei del Padre secondo lo Spirito è fondamentale Percepire [nel senso profondo di Ascoltare - non tanto materialmente ‘vedere’].
Neppur vale lo «stare fuori», o voler direttamente ‘parlare’, per ‘convincere’ il Signore (vv.19-21).
È necessario intuire e cogliere: un cammino per incontrare i propri strati profondi dell’essere, la verità delle inclinazioni, e della vita.
Decisivo è accogliere una Parola saziante, che si fa linguaggio e cultura, che ha forza creatrice: data alle orecchie e scoperta dentro. Colta nella storia personale e nella realtà, e trasmessa di nuovo.
Allontanarsi da tale Verbo ed Eros fondante significa distaccarsi da se stessi, disperdersi in rivoli che non ci appartengono, precipitare nel vuoto [“vuoto” non inteso come stato energetico profondo, che prepara i nuovi sviluppi].
Paradossalmente, sia la nostra Libertà che la Salvezza del mondo sono frutto di una Obbedienza - ma non esteriore, o altrui.
È piuttosto sintonizzarsi sulla parte del Logos in noi che sta fiorendo; davvero “perfetta”. Nessun modello condizionante.
Nessuna correzione a priori, né forzatura secondo pregiudizio: piuttosto, un’eterna Metamorfosi - accompagnata dal Verbo, che misteriosamente guida di Esodo in Esodo.
Nessuna aspettativa culturale configurata congiungerebbe alla piena comunione con la grande scintilla e pienezza divina in ciascuno e tutti.
Realizzazione del Regno e di ogni giorno - anche fuori dal tempo.
Per conoscere Cristo da vicino non basta guardarlo e farsi prendere dalla simpatia o dalla commozione religiosa.
È l’Ascolto che allaccia e instaura legami intimi, che non si spengono - di coinvolgente sintonia col Maestro.
Attorno a Gesù la Parola di Dio crea Famiglia nuova, con vincoli di parentela spirituale più stretti di ciò che offriva il legame di clan.
Il Signore vuole altra gente, che nasca appunto dalla Percezione-presentimento.
Il connubio non è più riservato ed esclusivo; diventa accessibile a chiunque e in qualsiasi condizione si trovi - anche fosse “cieco” esteriore, incapace di scorgere quel che è a portata di mano.
Ciascuno è Chiesa, Casa del Padre, e così può realizzare il Sogno di Dio di abitare con gli uomini e passeggiare affianco.
Egli dimora in mezzo a noi e in noi. Nel suo Verbo, senza più ‘distanze’.
In tal guisa, tutte le nostre azioni devono tendere a questo scopo: formare il Tempio di Dio, la sua casata, il Corpo del Cristo vivente.
Per giungere a tale meta compiuta, mezzo essenziale è ospitare la Vocazione che ci trasforma, fondamento assai più profondo di qualsiasi legame o emozione.
Indispensabile non è un’esperienza (iniziale) di entusiasmo, bensì la custodia della Chiamata che interpreta la vita e diventa mentalità, dinamismo dentro che guida [e sfocia in percorsi di periferia].
C’è ben altro Tempio da edificare.
[Martedì 25.a sett. T.O. 24 settembre 2024]
Il Signore vuole nuova gente, che ascolta
(Lc 8,19-21)
Nella vita di chi è interpellato dalla relazione di Fede, per diventare consanguinei del Padre secondo lo Spirito è fondamentale Percepire [nel senso profondo di Ascoltare - non tanto materialmente ‘vedere’ in modo diretto].
Neppur vale lo «stare fuori», o voler direttamente ‘parlare’, per ‘convincere’ il Signore (vv.19-21).
È necessario intuire e cogliere: un cammino per incontrare i propri strati profondi dell’essere, la verità delle inclinazioni, e della vita (vv.20-21).
Decisivo è accogliere una Parola saziante, che si fa linguaggio e cultura, che ha forza creatrice: data alle orecchie e scoperta dentro. Colta nella storia personale e nella realtà, e trasmessa di nuovo.
Allontanarsi da tale Verbo ed Eros fondante significa distaccarsi da se stessi, disperdersi in rivoli che non ci appartengono, precipitare nel vuoto [“vuoto” non inteso come stato energetico profondo, che prepara i nuovi sviluppi].
Paradossalmente, sia la nostra Libertà che la Salvezza del mondo sono frutto di una Obbedienza - ma non esteriore, o altrui.
È piuttosto sintonizzarsi sulla parte del Logos in noi che sta fiorendo; davvero “perfetta”. Nessun modello condizionante.
Nessuna correzione a priori, né forzatura secondo pregiudizio: piuttosto, un’eterna Metamorfosi - accompagnata dal Verbo, che misteriosamente guida di Esodo in Esodo.
Nessuna aspettativa culturale configurata congiungerebbe alla piena comunione con la grande scintilla e pienezza divina in ciascuno e tutti.
Realizzazione del Regno e di ogni giorno - anche fuori dal tempo.
Per conoscere Cristo da vicino non basta guardarlo e farsi prendere dalla simpatia o dalla commozione religiosa.
È l’Ascolto che allaccia e instaura legami intimi, che non si spengono - di coinvolgente sintonia col Maestro.
Attorno a Gesù la Parola di Dio crea Famiglia nuova, con vincoli di parentela spirituale più stretti di ciò che offriva il legame di clan.
Il Signore vuole altra gente, che nasca appunto dalla Percezione-presentimento.
Il connubio non è più riservato ed esclusivo; diventa accessibile a chiunque e in qualsiasi condizione si trovi - anche fosse “cieco” esteriore, incapace di scorgere quel che è a portata di mano.
Ciascuno è Chiesa, Casa del Padre, e così può realizzare il Sogno di Dio di abitare con gli uomini e passeggiare affianco.
Egli dimora in mezzo a noi e in noi. Nel suo Verbo, senza più ‘distanze’.
In tal guisa, tutte le nostre azioni devono tendere a questo scopo: formare il Tempio di Dio, la sua casata, il Corpo del Cristo vivente.
Per giungere a tale meta compiuta, mezzo essenziale è ospitare la Vocazione che ci trasforma, fondamento assai più profondo di qualsiasi legame o emozione.
Indispensabile non è un’esperienza (iniziale) di entusiasmo, bensì la custodia della Chiamata che interpreta la vita e diventa mentalità, dinamismo dentro che guida e sfocia in percorsi di periferia.
Nell’antico Israele la base della convivenza sociale era la grande famiglia. Clan e comunità erano garanzia di protezione sia dei focolari particolari che delle persone.
Quel legame di solidarietà reale assicurava il possesso della terra - che dava senso di libertà - e si faceva veicolo della trasmissione culturale, del modo di sentirsi popolo, e della spiritualità stessa.
Difendere la convivenza che garantiva l'identità globale era lo stesso che difendere la Prima Alleanza.
Ma in Palestina al tempo di Gesù la vita del clan e quella comunitaria - più ampia - stavano subendo un declino.
L’eccesso di tasse da pagare ai governi collaborazionisti e al Tempio, l’inevitabile aumento dei ceti che dovevano vendersi come schiavi per debito, forse la mentalità più individualista del mondo ellenista, le minacce imperiali e l’obbligo di accogliere, foraggiare e ospitare le truppe romane [che spesso approfittavano anche dei suoi componenti più deboli], accentuavano i problemi di sopravvivenza.
Oltre a ciò, la severità delle norme di purità era un ulteriore fattore di emarginazione, accanto all’idea crescente - tipica delle religioni - che ci fosse un legame tra maledizione celeste e condizione di miseria.
Le preoccupazioni materiali e di tutela della singola famiglia accentuava il distacco dai momenti collettivi.
Gesù voleva allargare di nuovo i limiti stretti della piccola fraternità del focolare, e allargarli alla grande casata del Regno di Dio.
Dal confronto con i brani paralleli dell’episodio, risulta che Gesù ebbe problemi coi suoi congiunti naturali.
Essi tendevano a riassorbirlo nei parametri della tradizione, per timore di ritorsioni e perché lo consideravano estremista (forse squilibrato).
Il Risorto allarga l’idea di Famiglia e contesta i vincoli che allontanano dalla nostra identità-carattere, e missione - si tratti degli impedimenti posti dai suoi, da Pietro, dai discepoli, da potenti, o leaders della religione ufficiale.
Come accennato sopra, in un momento di soggezione politica e di rigida ideologia religiosa legalista, i valori centrali del clan e della comunità si andavano indebolendo a causa della situazione di collasso sociale ed economico.
La situazione di controllo estrinseco - schiavitù sociale e delle coscienze - impediva alle persone di unirsi e condividere, costringendole a limitarsi ai problemi individuali, e di dinastia esclusiva.
[Situazione del tempo di Gesù, eppure non sono aspetti a noi del tutto estranei, anche dal punto di vista di alcuni “carismi” configurati troppo in dettaglio, e delle realtà già affermate sul territorio].
Affinché il nuovo Regno potesse manifestarsi era necessario che l’idea di convivenza superasse gli stretti limiti del singolo e del minuscolo focolare domestico - anche dal punto di vista culturale.
C’era bisogno di uno stimolo che aprisse alla vita comunitaria - intesa secondo lo spirito delle Beatitudini, per una convivialità delle differenze; anche nella coabitazione reale, perfino cruda.
Ancora oggi nel tempo della crisi globale, la meta è un’esistenza non più sfigurata da ripiegamenti, né pregiudicata da necessità immediate, fantasie disincarnate, o schemi radicati.
Sorge impellente il bisogno d’una nuova idea di Famiglia universale, che superi la sorte delle micro-relazioni abituali [appunto, del gruppo, del movimento o persino della denominazione].
Il mondo che prepariamo non renderà più così difficile la libera partecipazione, lo scambio indulgente e concreto, nonché il sorpasso delle domesticazioni.
Una nuova idea di Parentela universale, che favorisca lo scambio e il superamento.
C’è ben altro Tempio da edificare.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
La tua famiglia e il tuo gruppo ecclesiale favoriscono l’ascolto luminoso del Vangelo e il ‘fare la Parola’, o ti concedono solo pillole già pronte e confezionate?
Ti aiutano o chiudono nell’apertura al confronto d’idee, all’accorgersi di te stesso, dei lontani e alla dovizia delle risorse in essere, tue o altrui?
16. È significativo che Dio abbia permesso che il secondo Sinodo per l’Africa fosse celebrato subito dopo quello che è stato dedicato alla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Quel Sinodo ha richiamato l’imperativo dovere del discepolo di comprendere Cristo che chiama attraverso la sua Parola. Per mezzo di essa, i fedeli imparano ad ascoltare Cristo e a lasciarsi orientare dallo Spirito Santo che ci rivela il senso di tutte le cose (cfr Gv 16,13). Infatti, « la lettura e la meditazione della Parola di Dio ci radicano più profondamente in Cristo e orientano il nostro ministero di servitori della riconciliazione, della giustizia e della pace ».[19] Come ricordava quel Sinodo, « per diventare suoi fratelli e sue sorelle bisogna essere “coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). L’ascoltare autentico è obbedire e operare; è far sbocciare nella vita la giustizia e l’amore, è offrire nell’esistenza e nella società una testimonianza nella linea dell’appello dei profeti, che costantemente univa Parola di Dio e vita, fede e rettitudine, culto e impegno sociale ».[20] Ascoltare e meditare la Parola di Dio significa desiderare che essa penetri e formi la nostra vita per riconciliarci con Dio, per permettere a Dio di condurci ad una riconciliazione con il prossimo, via necessaria per la costruzione di una comunità di persone e di popoli. Sui nostri volti e nelle nostre vite, la Parola di Dio prenda veramente carne!
[Papa Benedetto, Africae munus]
La Chiesa ha costantemente riconosciuto Maria santa ed immune da ogni peccato o imperfezione morale. Il Concilio di Trento esprime tale convinzione affermando che nessuno "può evitare, nella sua vita intera, ogni peccato anche veniale, se non in virtù di un privilegio speciale, come la Chiesa ritiene nei riguardi della beata Vergine" (DS 1573). La possibilità di peccare non risparmia neppure il cristiano trasformato e rinnovato dalla grazia. Questa infatti non preserva da ogni peccato per tutta la vita, a meno che, come afferma il Concilio tridentino, uno speciale privilegio assicuri tale immunità dal peccato. È quanto è avvenuto in Maria.
Il Concilio tridentino non ha voluto definire questo privilegio, ha però dichiarato che la Chiesa lo afferma con vigore: "Tenet", cioè lo ritiene fermamente. Si tratta di una scelta che, lungi dal relegare tale verità tra le pie credenze o le opinioni devozionali, ne conferma il carattere di solida dottrina, ben presente nella fede del Popolo di Dio. Del resto, tale convinzione si fonda sulla grazia attribuita a Maria dall’angelo, al momento dell’Annunciazione. Chiamandola "piena di grazia", kecharitoméne, l’angelo riconosce in lei la donna dotata di una perfezione permanente e di una pienezza di santità, senza ombra di colpa, né d’imperfezione d’ordine morale o spirituale.
Alcuni Padri della Chiesa dei primi secoli, non avendo ancora acquisito la convinzione della sua perfetta santità hanno attribuito a Maria delle imperfezioni o dei difetti morali. Anche qualche recente autore ha fatto propria tale posizione. Ma i testi evangelici citati per giustificare queste opinioni non permettono in nessun caso di fondare l’attribuzione di un peccato, o anche solo di una imperfezione morale, alla Madre del Redentore.
La risposta di Gesù a sua madre, all’età di 12 anni: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2, 49), è stata, talvolta, interpretata come un velato rimprovero. Un’attenta lettura dell’episodio fa invece capire che Gesù non ha rimproverato sua madre e Giuseppe di cercarlo, dal momento che avevano la responsabilità di vegliare su di lui.
Incontrando Gesù dopo una sofferta ricerca, Maria si limita a chiedergli soltanto il "perché" del suo comportamento: "Figlio, perché ci hai fatto così?" (Lc 2, 48). E Gesù risponde con un altro "perché", astenendosi da ogni rimprovero e riferendosi al mistero della propria filiazione divina.
Neppure le parole pronunciate a Cana: "Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora" (Gv 2, 4), possono essere interpretate come un rimprovero. Di fronte al probabile disagio che avrebbe provocato agli sposi la mancanza di vino, Maria si rivolge a Gesù con semplicità, affidandogli il problema. Gesù, pur cosciente di essere il Messia tenuto ad obbedire solo al volere del Padre, accede alla richiesta implicita della Madre. Soprattutto, risponde alla fede della Vergine e dà in tal modo inizio ai miracoli, manifestando la sua gloria.
Alcuni poi hanno interpretato in senso negativo la dichiarazione fatta da Gesù, quando, all’inizio della vita pubblica, Maria e i parenti chiedono di vederlo. Riferendoci la risposta di Gesù a chi gli diceva: "Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti", l’evangelista Luca ci offre la chiave di lettura del racconto, che va compreso a partire dalle disposizioni intime di Maria, ben diverse da quelle dei "fratelli" (cf. Gv 7, 5 ). Gesù rispose: "Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica" ( Lc 8, 21 ). Nel racconto dell’Annunciazione, infatti, Luca ha mostrato come Maria è stata il modello dell’ascolto della Parola di Dio e della generosa docilità. Interpretato secondo tale prospettiva, l’episodio propone un grande elogio di Maria, che ha compiuto perfettamente nella propria vita il disegno divino. Le parole di Gesù, mentre si oppongono al tentativo dei fratelli, esaltano la fedeltà di Maria alla volontà di Dio e la grandezza della sua maternità, da lei vissuta non solo fisicamente ma anche spiritualmente.
Nel tessere questa lode indiretta, Gesù usa un metodo particolare: evidenzia la nobiltà del comportamento di Maria, alla luce di affermazioni di portata più generale, e mostra meglio la solidarietà e la vicinanza della Vergine all’umanità nel difficile cammino della santità.
Infine, le parole: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano!" ( Lc 11, 28 ), pronunciate da Gesù per rispondere alla donna che dichiarava beata sua Madre, lungi dal mettere in dubbio la perfezione personale di Maria, mettono in risalto il suo adempimento fedele della Parola di Dio: così le ha intese la Chiesa, inserendo tale espressione nelle celebrazioni liturgiche in onore di Maria.
Il testo evangelico, infatti, suggerisce che con questa dichiarazione Gesù ha voluto rivelare proprio nell’intima unione con Dio, e nell’adesione perfetta alla Parola divina, il motivo più alto della beatitudine di sua Madre.
Lo speciale privilegio concesso da Dio alla "tutta santa", ci conduce ad ammirare le meraviglie operate dalla grazia nella sua vita. Ci ricorda inoltre che Maria è stata sempre e tutta del Signore, e che nessuna imperfezione ha incrinato la perfetta armonia tra Lei e Dio.
La sua vicenda terrena, pertanto, è caratterizzata dallo sviluppo costante e sublime della fede, della speranza e della carità. Per questo, Maria è per i credenti il segno luminoso della Misericordia divina e la guida sicura verso le alte vette della perfezione evangelica e della santità.
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 19 giugno 1996]
La Parola di Dio non è «un fumetto» da leggere, ma un insegnamento che va ascoltato con il cuore e messo in pratica nella vita quotidiana. Un impegno accessibile a tutti, perché sebbene «noi l’abbiamo fatta un po’ difficile», la vita cristiana è «semplice, semplice»: infatti «ascoltare la parola di Dio e metterla in pratica» sono le uniche due «condizioni» poste da Gesù a chi vuole seguirlo.
È questo in sintesi, per Papa Francesco, il significato delle letture proposte dalla liturgia […]. Celebrando la messa a Santa Marta, il Pontefice si è soffermato in particolare sul brano del Vangelo […] in cui si racconta della madre e dei fratelli di Gesù che non riescono ad «avvicinarlo a causa della folla». Partendo dalla constatazione che egli trascorreva la maggior parte del suo tempo «sulla strada, con la gente», il vescovo di Roma ha notato come tra i tanti che lo seguivano ci fossero persone che sentivano «in lui un’autorità nuova, un modo di parlare nuovo», sentivano «la forza della salvezza» da lui offerta. «Era lo Spirito Santo — ha commentato in proposito — che toccava il loro cuore per questo».
Ma, ha fatto notare il Papa, mischiata tra la folla c’era anche gente che seguiva Gesù con secondi fini. Alcuni «per convenienza», altri forse per la «voglia di essere più buoni». Un po’ «come noi», ha detto attualizzando il discorso, che «tante volte andiamo da Gesù perché abbiamo bisogno di qualcosa e poi lo dimentichiamo lì, solo». Una storia che si ripete, visto che già allora Gesù a volte rimproverava chi lo seguiva. È quello che capita, per esempio, dopo la moltiplicazione dei pani, quando dice alla gente: «Voi venite da me non per ascoltare la parola di Dio, ma perché l’altro giorno vi ho dato da mangiare»; o con i dieci lebbrosi, dei quali soltanto uno torna a ringraziarlo, mentre «gli altri nove erano felici con la loro salute e si dimenticarono di Gesù».
Nonostante tutto, ha affermato il Papa, «Gesù continuava a parlare alla gente» e ad amarla, al punto da definire «quella folla immensa “la mia madre e i miei fratelli”». I familiari di Gesù sono dunque «coloro che ascoltano la parola di Dio» e «la mettono in pratica». Questa — ha rilevato — «è la vita cristiana: niente di più. Semplice, semplice. Forse noi l’abbiamo fatta un po’ difficile, con tante spiegazioni che nessuno capisce, ma la vita cristiana è così: ascoltare la parola di Dio e praticarla. Per questo abbiamo pregato nel salmo: “Guidami Signore sul sentiero dei tuoi comandi”, della tua parola, dei tuoi comandamenti, per praticare».
Da qui l’invito ad «ascoltare la parola, veramente, nella Bibbia, nel Vangelo», meditando le Scritture per metterne in pratica i contenuti nella vita quotidiana. Ma, ha chiarito il Pontefice, se scorriamo il Vangelo superficialmente, allora «questo non è ascoltare la parola di Dio: questo è leggere la parola di Dio, come si può leggere un fumetto». Mentre ascoltare la parola di Dio «è leggere» e chiedersi: «Ma questo che dice al mio cuore? Dio cosa mi sta dicendo con questa parola?». Solo così, infatti, «la nostra vita cambia». E questo avviene «ogni volta che apriamo il Vangelo e leggiamo un passo e ci domandiamo: “Con questo Dio mi parla, dice qualcosa a me? E se dice qualcosa, cosa mi dice?”».
Questo significa «ascoltare la parola di Dio, ascoltarla con le orecchie e ascoltarla con il cuore, aprire il cuore alla parola di Dio». Al contrario, «i nemici di Gesù ascoltavano la parola di Gesù ma gli erano vicini per cercare di trovare uno sbaglio, per farlo scivolare» e fargli perdere «autorità. Ma mai si domandavano: “Cosa dice Dio per me in questa parola?”».
Inoltre, ha aggiunto il Pontefice, «Dio non parla solo a tutti, ma parla a ognuno di noi. Il Vangelo è stato scritto per ognuno di noi. E quando io prendo la Bibbia, prendo il Vangelo e leggo, devo chiedermi cosa dice il Signore a me». Del resto, «questo è quello che Gesù dice che fanno i suoi veri parenti, i suoi veri fratelli: ascoltare la parola di Dio col cuore. E poi, dice, “la mettono in pratica”».
Certo, ha riconosciuto Francesco, «è più facile vivere tranquillamente senza preoccuparsi delle esigenze della parola di Dio». Però «anche questo lavoro lo ha fatto il Padre per noi». Infatti, i comandamenti sono proprio «un modo di mettere in pratica» la parola del Signore. E lo stesso vale per le beatitudini. In quel brano del Vangelo di Matteo, ha osservato il Papa, «ci sono tutte le cose che noi dobbiamo fare, per mettere in pratica la parola di Dio». Infine «ci sono le opere di misericordia», anch’esse indicate nel Vangelo di Matteo, al capitolo 25. Insomma, questi sono esempi «di quello che vuole Gesù quando ci chiede di “mettere in pratica” la parola».
In conclusione il Pontefice ha ricapitolato la sua riflessione ricordando che «tanta gente seguiva Gesù»: qualcuno «per la novità», qualcun altro «perché aveva bisogno di sentire una buona parola»; ma in realtà non erano tanti quelli che poi effettivamente mettevano «in pratica la parola di Dio». Eppure «il Signore faceva la sua opera, perché lui è misericordioso e perdona tutti, richiama tutti, aspetta tutti, perché è paziente».
Anche oggi, ha sottolineato il Papa, «tanta gente va in chiesa per sentire la parola di Dio, ma forse non capisce il predicatore quando predica un po’ difficile, o non vuol capire. Perché anche questo è vero: il nostro cuore tante volte non vuol capire». Però Gesù continua ad accogliere tutti, «anche quelli che vanno a sentire la parola di Dio e poi lo tradiscono», come Giuda che lo chiama «amico». Il Signore, ha ribadito Francesco, «sempre semina la sua parola» e in cambio «chiede soltanto un cuore aperto per ascoltarla e buona volontà per metterla in pratica. Per questo allora la preghiera di oggi sia quella del salmo: “Guidami Signore sul sentiero dei tuoi comandi”, cioè sul sentiero della tua parola, e perché io impari con la tua guida a metterla in pratica».
[Papa Francesco, omelia s. Marta, 23 settembre 2014; https://messadelpapa.com/omelia-del-21-novembre-2018-vangelo-e-parola-del-giorno/]
Gesù ha formato una nuova famiglia, non più basata sui legami naturali, ma sulla fede in Lui, sul suo amore che ci accoglie e ci unisce tra noi, nello Spirito Santo. Tutti coloro che accolgono la parola di Gesù sono figli di Dio e fratelli tra di loro. Accogliere la parola di Gesù ci fa fratelli tra noi, ci rende la famiglia di Gesù. Sparlare degli altri, distruggere la fama degli altri, ci rende la famiglia del diavolo. Quella risposta di Gesù non è una mancanza di rispetto verso sua madre e i suoi familiari. Anzi, per Maria è il più grande riconoscimento, perché proprio lei è la perfetta discepola che ha obbedito in tutto alla volontà di Dio.
[Papa Francesco, Angelus 10 giugno 2018]
«Whoever tries to preserve his life will lose it; but he who loses will keep it alive» (Lk 17:33)
«Chi cercherà di conservare la sua vita, la perderà; ma chi perderà, la manterrà vivente» (Lc 17,33)
«And therefore, it is rightly stated that he [st Francis of Assisi] is symbolized in the figure of the angel who rises from the east and bears within him the seal of the living God» (FS 1022)
«E perciò, si afferma, a buon diritto, che egli [s. Francesco d’Assisi] viene simboleggiato nella figura dell’angelo che sale dall’oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo» (FF 1022)
This is where the challenge for your life lies! It is here that you can manifest your faith, your hope and your love! [John Paul II at the Tala Leprosarium, Manila]
È qui la sfida per la vostra vita! È qui che potete manifestare la vostra fede, la vostra speranza e il vostro amore! [Giovanni Paolo II al Lebbrosario di Tala, Manila]
The more we do for others, the more we understand and can appropriate the words of Christ: “We are useless servants” (Lk 17:10). We recognize that we are not acting on the basis of any superiority or greater personal efficiency, but because the Lord has graciously enabled us to do so [Pope Benedict, Deus Caritas est n.35]
Quanto più uno s'adopera per gli altri, tanto più capirà e farà sua la parola di Cristo: « Siamo servi inutili » (Lc 17, 10). Egli riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono [Papa Benedetto, Deus Caritas est n.35]
A mustard seed is tiny, yet Jesus says that faith this size, small but true and sincere, suffices to achieve what is humanly impossible, unthinkable (Pope Francis)
Il seme della senape è piccolissimo, però Gesù dice che basta avere una fede così, piccola, ma vera, sincera, per fare cose umanamente impossibili, impensabili (Papa Francesco)
Hypocrisy: indeed, while they display great piety they are exploiting the poor, imposing obligations that they themselves do not observe (Pope Benedict)
Ipocrisia: essi, infatti, mentre ostentano grande religiosità, sfruttano la povera gente imponendo obblighi che loro stessi non osservano (Papa Benedetto)
Each time we celebrate the dedication of a church, an essential truth is recalled: the physical temple made of brick and mortar is a sign of the living Church serving in history (Pope Francis)
Ogni volta che celebriamo la dedicazione di una chiesa, ci viene richiamata una verità essenziale: il tempio materiale fatto di mattoni è segno della Chiesa viva e operante nella storia (Papa Francesco)
As St. Ambrose put it: You are not making a gift of what is yours to the poor man, but you are giving him back what is his (Pope Paul VI, Populorum Progressio n.23)
Non è del tuo avere, afferma sant’Ambrogio, che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene (Papa Paolo VI, Populorum Progressio n.23)
Here is the entire Gospel! Here! The whole Gospel, all of Christianity, is here! But make sure that it is not sentiment, it is not being a “do-gooder”! (Pope Francis))
Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è “buonismo”! (Papa Francesco)
Christianity cannot be, cannot be exempt from the cross; the Christian life cannot even suppose itself without the strong and great weight of duty [Pope Paul VI]
Il Cristianesimo non può essere, non può essere esonerato dalla croce; la vita cristiana non può nemmeno supporsi senza il peso forte e grande del dovere [Papa Paolo VI]
don Giuseppe Nespeca
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