Argentino Quintavalle

Argentino Quintavalle

Argentino Quintavalle è studioso biblico ed esperto in Protestantesimo e Giudaismo. Autore del libro “Apocalisse - commento esegetico” (disponibile su Amazon) e specializzato in catechesi per protestanti che desiderano tornare nella Chiesa Cattolica.

Aug 26, 2023

XXII Domenica T.O. (anno A)

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Mt 16,21-27

Matteo 16:21 Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno.

Matteo 16:22 Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai».

Matteo 16:23 Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

 

Gesù “doveva” andare a Gerusalemme. È un dovere, fa parte della volontà di Dio. A Gerusalemme gli anziani, i sommi sacerdoti e gli scribi lo faranno soffrire e anche uccidere. I rappresentanti di Dio non solo non lo accoglieranno, ma lo uccideranno. Ma il viaggio di Gesù nella città santa non termina con la morte. La morte è solo una porta per la sua gloriosa risurrezione che avverrà il terzo giorno.

L'impatto di un Messia crocifisso e sconfitto dagli uomini avrebbe costituito un serio problema per tutti. Perciò Gesù affronta il tema dello scandalo della croce, che può impedire di credere nella sua messianicità. Può un crocifisso essere il Messia di Dio?

Pietro è la manifestazione palese ed evidente della differenza che regna tra i pensieri di Dio e i pensieri degli uomini. Per Pietro Gesù ha un'idea falsa di se stesso. Per Pietro Gesù non sa che cosa è chiamato a fare il vero Messia. Dio deve intervenire. Deve liberare Gesù da una simile folle idea. Se non lo farà Dio, ci penserà Pietro a far sì che questo non accada mai a Gesù. Se Gesù è il Messia non può essere un condannato a morte. Se è condannato a morte, allora non è il Messia. Poiché Gesù è il vero Messia, allora è vera la prima ipotesi: lui mai dovrà essere condannato a morte. Pietro è bene intenzionato a che questo non accada. Questi sono i pensieri che frullano per la sua testa. Così come frullano, così li rivela a Gesù, traendolo in disparte e protestando energicamente, da uomo che sa ciò che dice e ciò che è chiamato a fare.

Il testo CEI traduce “Ma Pietro lo trasse in disparte”. In realtà, il verbo greco proslabómenos porta con sé il carattere di un atto di ostilità verso Gesù, una sorta di tentativo di costringerlo a cambiare idea. Il verbo, infatti, è un composto dalla particella “pros”, che significa verso, contro; e il verbo “lambánō” che significa prendere, afferrare. Il verbo significa: cerco di attirare a me, di conquistare, di impadronirmi. Il verbo, quindi, delinea un atteggiamento ostile di Pietro nei confronti della rivelazione che Gesù ha fatto.

Prosegue, infatti, Matteo dicendo che “Pietro cominciò a protestare”. Va rilevato subito il movimento parallelo tra il “cominciò a dire apertamente” di Gesù (v. 21) e il “cominciò a protestare” di Pietro (v. 22), creando in tal modo un rapporto di contrapposizione tra i due. Al cominciare di Gesù si contrappone, dunque, quello di Pietro: l'uno rivela, l'altro rifiuta. Il rimprovero di Pietro, poi, è espresso in greco con il verbo “epitimân”, il cui significato è, sì, rimproverare, ma anche “ingiungere, fare divieto, dare ordine di”, “rincarare”. C'è, dunque, tra i due una contrapposizione dura e decisa, che si esprime anche nel loro dire: quello che Pietro dice a Gesù, infatti, è l'esatto contrario di quanto Gesù ha detto di sé. Egli ha annunciato per se stesso persecuzione, passione e morte; Pietro, invece, gli augura ogni prosperità e bene, affermando categoricamente che quanto egli ha detto non accadrà mai.

Perché tanta animosità? Perché la partita che si sta giocando concerne la messa in discussione della scelta che i discepoli hanno operato a favore del loro Maestro. In ultima analisi, la questione verte sul modo di intendere il messianismo di Gesù e, pertanto, il ruolo che i discepoli devono giocare all'interno di tale messianismo.

Nella loro plurisecolare tradizione gli ebrei erano in attesa del messia, dell'Unto di Yahweh, il cui compito era quello di riportare Israele agli antichi splendori dell'invincibile regno davidico. In questo contesto storico-culturale è facilmente comprensibile lo choc che i discepoli dovevano aver provato nel sentirsi dire dal loro Messia, dal loro eroe, che egli sarebbe stato uno sconfitto e nel modo peggiore. Fine dei loro sogni di gloria! Si erano illusi di potersi coprire di gloria e di onore, seguendo quell'uomo. Per questo Matteo rileva come da un lato “Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli”, mentre dall'altro, “Pietro lo trasse da parte e cominciò a protestare” cercando di dissuaderlo dai suoi folli progetti (“questo non ti accadrà mai”). Ne andava delle loro vite e dei loro progetti.

La drastica risposta di Gesù: “Ma egli, voltandosi, disse a Pietro”. Seguendo il racconto alla lettera, sembra che qui Gesù stia camminando in avanti, e Pietro, dietro di lui, gli sta parlando, per cui Gesù, sentendo le sollecitazioni di Pietro, si gira e lo richiama all'ordine. In realtà, la scena è ben diversa, come diverso è il significato e il senso del “voltarsi” di Gesù. Pietro, infatti, aveva preso Gesù vicino a sé e, quasi in un tu per tu confidenziale, gli aveva confidato i suoi timori, prospettandogli un futuro migliore da quello da lui annunciato. La posizione fisica di Gesù, dunque, è faccia a faccia con Pietro, l'uno di fronte all'altro.

Perché, allora, Gesù si volta? E verso chi si volta? Perché infatti Matteo non dice verso chi si volta Gesù. Quale, dunque, il significato di quel “voltarsi” di Gesù? Il verbo greco è “strapheìs”, che significa, sì, voltarsi, ma anche rivolgersi verso, nel senso di puntare verso un'altra direzione, rovesciare, capovolgere, volgersi indietro, allontanarsi da una certa posizione. Quel voltarsi di Gesù, dunque, sottolinea la sua diversa e contrapposta posizione nei confronti di Pietro, forse voltando le spalle a Pietro per manifestare la sua indignazione. 

“Va’ dietro di me, Satana” (hípaghe opísō mou, Satana). Abbiamo, innanzitutto, un richiamo al racconto delle tentazioni di Gesù (4,1-11). L'aggancio alle tentazioni è duplice: tematico e letterario; il primo è dato dalle sollecitazioni di Pietro ad abbracciare un messianismo trionfalistico, così come suggeriva Satana in quel racconto; il secondo è dato dall'espressione “vattene” (“hípaghe… Satanâ)”, che si ripete identico in Mt 4,10 - a conclusione delle tentazioni subite.

Vi è quindi una sorta di parallelismo tra il comportamento di Pietro e quello di Satana, suggerito anche dall'appellativo con cui viene apostrofato l'apostolo. Quel voltarsi di Gesù, inoltre, non sembra solo evidenziare la sua contrapposizione alle pretese di Pietro, ma pare anche un suggerimento, che Matteo dà ai cristiani, quello di voltarsi indietro anche loro e di andarsi a rivedere proprio quel racconto delle tentazioni che egli, qui, palesemente richiama.

Un secondo messaggio, è racchiuso in quel “opísō mou”. La CEI traduce con “Lungi da me, Satana”; una traduzione che forse non rende pienamente giustizia a ciò Gesù intendeva dire. Innanzitutto il verbo “hípaghe” letteralmente significa “andare sotto, sottomettersi, condurre sotto, attirare a sé, procedere”. L'imperativo, quindi, più che un ordine di allontanarsi è un comando a sottomettersi al disegno di Dio.

Quanto all'espressione “opísō mou” letteralmente significa “dietro di me”. L'espressione ha un valore non di rifiuto nei confronti di Pietro, ma di un invito a Pietro a sottomettersi al volere divino, riprendendo a seguire Gesù, camminando “dietro” a lui, rivelatosi, ora, un Messia sofferente, in netta rotta di collisione con quanto ritenevano, invece, i discepoli. 

 

 

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Aug 16, 2023

XXI Domenica T.O. (Anno A)

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Mt 16,13-20

Matteo 16:13 Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?».

Matteo 16:14 Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».

Matteo 16:15 Disse loro: «Voi chi dite che io sia?».

Matteo 16:16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

Matteo 16:17 E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli.

Matteo 16:18 E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.

Matteo 16:19 A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Matteo 16:20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo

 

In questo brano viene riportata in modo solenne ed elaborato - per bocca di Pietro - la confessione di Gesù come Messia e Figlio di Dio. Tuttavia, questo brano è anche uno dei più discussi e contestati nell'ambito della storia del cristianesimo dalla Riforma protestante in poi, per le parole che Gesù proferì a Pietro e che gli conferirono un'incredibile autorità. Vi è, dunque, da una parte, il mondo cattolico, che vede in essa il fondamento teologico e divino del papato; dall'altra, il mondo protestante che cerca di sminuirne la portata, arrampicandosi spesso sugli specchi. Ma per ragioni di spazio e tempo questo è un argomento che non tratteremo.

Gesù inizia con una domanda in apparenza semplice che sembra buttata lì. Egli chiede ai suoi discepoli cosa la gente dice del Figlio dell’uomo, cioè di lui, Gesù. I primi versi riportano le voci che ricorrevano sulla sua persona, una sorta di indagine statistica. Siamo nel cuore della questione cristologica matteana che vede a confronto due gruppi di persone: gli uomini estranei al gruppo dei discepoli, e i discepoli stessi. I primi propongono delle soluzioni secondo lo schema veterotestamentario; i secondi indicano una nuova prospettiva circa la persona di Gesù. Un confronto, quindi, che si svolge tra un gruppo che fonda la sua comprensione di Gesù sull'Antico Testamento e, quindi, tende a spiegare Gesù secondo gli schemi del passato, da cui provengono e in cui hanno deciso di rimanere; e un gruppo, che staccandosi e contrapponendosi al primo indica in Gesù il nuovo evento salvifico del Padre. Un confronto che avviene a Cesarea di Filippo, in zona pagana.

«La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo»? Il v. 14 riporta la risposta proveniente dalla gente che si pone al di fuori del gruppo dei discepoli. La loro comprensione rientra nei canoni delle attese escatologiche proprie del giudaismo: Giovanni Battista, Elia, Geremia, uno dei profeti. Gesù è un uomo del passato. Se è un uomo del passato di certo compirà le stesse opere che hanno compiuto in passato tutti questi servi del Signore. Il popolo, dominato dalla falsa idea che il Messia doveva essere un grande conquistatore politico, non voleva riconoscere Gesù per Messia; ma vedendo i miracoli che faceva, pensava che fosse solo un precursore, uno cioè di quei personaggi straordinari che dovevano preparare il popolo alla sua venuta. È gente che non riesce a leggere la realtà se non attraverso il filtro della Legge mosaica.

Disse loro: «Voi chi dite che io sia?» (v. 15). In questo verso abbiamo un giro di boa: non ci si chiede più chi è Gesù, bensì è lo stesso Gesù che chiede a ciascuno di noi: Chi sono io per te? Ed è molto diverso: un conto è quando io metto in questione una persona e altro conto quando accetto di mettermi in questione io e di rispondere. Tutto ruota su quel “Ma voi”. A Gesù non interessa cosa pensa la gente. A Gesù interessa che i suoi discepoli sappiano chi lui sia, perché ogni falsità da loro introdotta nella sua Persona e nella sua missione avrà conseguenze per tutta l’umanità. La salvezza dell’umanità è legata alla verità su Gesù.

Pietro dà una risposta immediata: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Questo è il punto culminante e il vertice della fede cristologica: Gesù non è il Battista risuscitato dai morti, non è Elia, Geremia o uno degli antichi profeti, visione che tende a ricondurre l'evento Gesù all'interno della più comprensibile e tranquilla fede giudaica, ma egli è “il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Per Pietro Gesù non è un uomo del passato. Gesù ha una identità sua propria. In Cristo c’è un mistero che va ben oltre tutto il passato di Israele. In Cristo c’è una novità assoluta. Gesù non è solo il Messia di Israele. È il Messia di Israele perché è il Figlio del Dio vivente.

L'espressione “Figlio di Dio” non era una novità per gli israeliti, ma tale termine era inteso sempre in senso metaforico e mai, in nessun caso, in senso reale. Qui e in tutto il Nuovo Testamento, invece, il titolo viene attribuito a Gesù in senso proprio e autentico, indicando in lui una vera e propria filiazione divina diretta e unica, quale generato direttamente da Dio stesso e in quanto tale Dio lui stesso. Gesù è il Figlio generato dal Padre prima di tutti i secoli. È questo il vero mistero di Gesù Cristo: la sua eternità, la sua divinità, la sua divina figliolanza. L'articolo infatti che nel testo greco precede la parola Figlio, «ho huios», mostra ed evidenzia che non si tratta di un figlio adottivo qualunque, ma del Figlio unico di Dio, cioè della seconda persona della SS. Trinità.

D'altra parte Pietro, opponendo Gesù a Giovanni Battista, a Elia, a Geremia, i quali furono figli di Dio adottivi, lascia chiaramente vedere che non intende parlare di una filiazione adottiva ma di una filiazione naturale. E ciò è reso ancora più manifesto dalla risposta di Gesù, il quale non avrebbe avuto alcun motivo di chiamare Pietro beato e di attribuire la sua confessione a una speciale rivelazione del Padre, se Pietro l'avesse semplicemente confessato figlio adottivo di Dio.

Una visione nuova, dirompente, scandalosa, ma proprio per questo rivoluzionaria, che apre il credente a nuove comprensioni del progetto salvifico di Dio, realizzato in Gesù, confessato Cristo e Figlio di Dio, che fa compiere una riqualificazione al termine stesso di Messia, in cui si riconosce non semplicemente un uomo inviato da Dio, ma Dio stesso, che si fa incarnazione in Gesù e del quale se ne riconosce la natura divina.

Legare insieme i due titoli cristologici - Cristo e Figlio di Dio - costituisce il vertice della fede cristologica, poiché significa far convergere le attese messianiche nella novità sconvolgente della figliolanza divina dell'uomo Gesù, che in tal modo viene anche confessato Dio. Significa attribuire al Messia, concepito sempre come un uomo, la divinità stessa di Yahweh. Per arrivare a tanto bisognava fare violenza a se stessi, al proprio modo di pensare, era necessaria una rivelazione: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli».

 

 

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Aug 1, 2023

XX Domenica T.O. (anno A)

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Mt 15,21-28

Matteo 15:21 Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone.

Matteo 15:22 Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio».

Matteo 15:23 Ma egli non le rivolse neppure una parola.

Allora i discepoli gli si accostarono implorando: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro».

Matteo 15:24 Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele».

Matteo 15:25 Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!».

Matteo 15:26 Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini».

Matteo 15:27 «È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».

Matteo 15:28 Allora Gesù le replicò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell'istante sua figlia fu guarita.

 

Gesù va verso i territori pagani di Tiro e Sidone, ma senza raggiungerli; la donna Cananea esce dalla sua terra pagana ed entra nel territorio d'Israele, andando incontro a Gesù. Tutti e due si allontanano da qualcosa per creare un nuovo punto d'incontro.

Abbiano a che fare con un episodio dei più difficili del vangelo di Matteo. Notiamo come la Cananea dapprima invoca su di sé la misericordia del Signore (v. 22), riconoscendo in Gesù il Salvatore che viene dalla casa di Davide, poi chiede la liberazione dal demonio per sua figlia. Ma Gesù, dinanzi a questa richiesta, rimane muto. Non una sola parola di risposta. È come se la donna non gli avesse rivolto neppure la parola. Il silenzio mette alla prova. Dal silenzio di Gesù impariamo che non basta chiedere con forza e veemenza, bisogna anche perseverare nella supplica, senza scoraggiarsi e senza demordere. Viene premiata non solo l’intensità della preghiera, ma anche la sua insistenza e persistenza.

La CEI traduce l'espressione greca Apólyson autēn con “Esaudiscila”, ma una traduzione più letterale sarebbe: “Mandala via”. Il verbo, infatti, è composto da apo + lyō che significa sciogliere da, liberarsi da, congedare, mandare via, ripudiare. E ciò è più consono con il contesto. I discepoli si

accostano a Gesù per sollecitarlo a mandarla via. Poi magari potevano anche intendere un mandarla via con il desiderio soddisfatto, ma questo non lo possiamo sapere.

Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele». Gesù sentenzia che è venuto per le pecore perdute della casa di Israele. Questo il Padre gli ha chiesto. Questo Lui fa. Egli è il pastore di Israele. La risposta non è data alla donna, Gesù si rivolge ai discepoli, risponde a loro.

Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!». Ora la donna (chiamata “quella”, un termine un po' dispregiativo) non grida più. Viene dinanzi a Gesù, si prostra dinanzi a Lui e direttamente gli chiede la grazia: da persona a persona, da cuore a cuore. Gliela chiede da madre che ha desiderio per la salvezza della figlia. Ancora prima di dire qualcosa la donna compie un gesto di riconoscimento di Gesù Signore. «Signore, aiutami» è la preghiera più bella che si possa fare, è un’affermazione di fede. Signore, ho bisogno, aiutami. Forse è il succo di ogni vero dialogo col Signore, dettato dalla disperazione, dal dolore dell'impotenza. La donna ha capito una cosa importante: se io mi rivolgo a lui come figlio di Davide, non ho nessuna speranza, mi risponde che è venuto per le pecore perdute della casa di Israele, la sua missione si limita alla terra di Israele. La donna intuisce che bisogna riconoscere in lui l'inviato da Dio e in quanto inviato da Dio deve darle aiuto. Ora Gesù le deve pur dare una risposta. Non può trincerarsi né nella sua missione, né nel suo silenzio.

Gesù risponde alla supplica della madre dicendo che non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini. Gesù paragona quanti non sono popolo di Dio a dei cagnolini che stanno nella casa. In questa casa ci sono i figli e ci sono i cagnolini. Sono i figli che devono essere sfamati. Ai cagnolini non si può dare di certo il pane riservato ai figli. Cane, cagnolini, erano termini ingiuriosi per indicare pagani e avversari. Trattare qualcuno come un cane significava considerarlo escluso dal regno di Dio. Non c’è nessuna uguaglianza tra figli e cani, cioè i pagani. Il pane è soltanto per quelli che fanno parte dell’Alleanza. Questa era la tradizione di quel tempo. Che il diminutivo cagnolini possa essere un affettuoso riferimento ai cani in quanto animali domestici da compagnia, non solo si rifà al moderno sentimentalismo occidentale, ma si scontra con la mancanza, nel  giudaismo, di una qualsiasi simile concezione.

«È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Noi forse ci scandalizziamo del comportamento di Gesù, ma la donna dice che è vero, accetta la diagnosi di Gesù di non essere una figlia di Israele, di non aver alcun diritto a che Gesù la esaudisca. Però questa donna dice una verità che Gesù non può controbattere: È vero che nella casa ci sono i figli e ci sono i cagnolini e non si può prendere il pane dei figli per darlo ai cagnolini, ma è altrettanto vero che nessuno raccoglie da terra una briciola caduta ai figli. Questa briciola la si lascia per i cagnolini. Gesù può lasciare che la donna raccolga una di queste briciole. I figli non perdono niente. I cagnolini si sfamano. Nessuno fa opera contraria alla missione ricevuta. Gesù le può fare la grazia. La sua obbedienza al Padre rimane intatta.

L'evangelista presenta il crescere in statura della Cananea, che  ha incominciato con: abbi pietà di me figlio di Davide. Ha capito che così non poteva ottenere nulla e si rivolgerà a Gesù, dicendo: Signore, aiutami. Ma poi dice: è vero, Signore, cioè sono d’accordo, Signore. La donna si affida alla

compassione di Gesù, poiché non si nega a nessuno una briciola; se lei è solo un “cane”, che almeno le sia dato quello che spetta ai cani!

L'amore fa superare le barriere religiose, i pregiudizi razziali. La salvezza non è condizionata dall’appartenenza a un popolo - le pecore perdute della casa d’Israele - ma verrà garantita dall’accoglienza che si fa a Gesù, come ha fatto la donna Cananea. Gesù ne prova un senso di ammirazione. Questa donna con la sua grande fede vince Gesù. Ma dobbiamo anche dire che Gesù si lascia vincere dalla fede di questa donna. Sempre, nella Sacra Scrittura, Dio si lascia vincere dalla fede. Del resto, se Gesù decide di ritirarsi verso un paese pagano, era per far capire che la salvezza sarebbe stata portata anche ai pagani.

La fede della donna è grande perché è piena di intelligenza, tenacia, umiltà. È grande perché non si lascia vincere né dal silenzio di Gesù, né dalle sue motivazioni secondo le quali il miracolo non poteva essere fatto. È grande perché sa servirsi delle parole di Gesù per indicargli che il miracolo si deve fare. Sono proprio le parole di Gesù ad indicare alla donna la possibilità del miracolo. Infatti l’impossibilità del miracolo da parte di Gesù veniva posta sulla volontà del Padre che lo aveva mandato per dare il pane ai suoi figli. Poiché le briciole che cadono dalla mensa dei figli sono per i cagnolini, nessuna difficoltà a che la donna possa raccogliere una briciola e sfamarsi. A lei serve solo una briciola. Tutto il resto rimane per i figli. È con questa fede che ci dobbiamo sempre presentare al Signore. La donna non era una discepola, però arriva a comprendere quello che i discepoli ancora non capivano: l'amore è al di sopra di ogni barriera o pregiudizio religioso.

La figlia della Cananea guarisce all’istante. Guarisce non per la fede della donna, ma per il comando di Gesù: “Ti sia fatto come desideri”. La nostra fede muove la volontà di Dio a compiere il miracolo, ma è sempre la volontà di Dio che opera quello che noi gli chiediamo. Anche se la nostra fede fosse grande quanto quella della Cananea, o ancora più grande, non c’è alcun   automatismo nell’esaudimento. L’esaudimento è a causa della fede, ma non è opera della fede. L’esaudimento è sempre opera della volontà di Dio, la quale è sempre imperscrutabile. Regna sempre un mistero tra fede, esaudimento, volontà di Dio. La volontà di Dio non è governata dalla nostra fede, ma dalla sua eterna e divina sapienza.

Non è un diritto avere la salvezza, la salvezza è per chi si riconosce umile come questa donna. Dio non ha obbligo a dirci di sì, ma è per misericordia che ci dice di sì.

 

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Aug 1, 2023

XIX Domenica T.O. (anno A)

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Mt 14,22-33

Matteo 14:28 Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque».

Matteo 14:29 Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù.

Matteo 14:30 Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!».

Matteo 14:31 E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».

Matteo 14:32 Appena saliti sulla barca, il vento cessò.

 

Pietro vuole fare un'esperienza unica, un'esperienza divina, ma pensa che questo avvenga per una concessione dall’alto: «comanda che io venga». La condizione divina non si raggiunge per un’azione divina dall’alto, ma dal basso; per un impegno come quello di Gesù, mettendo la propria vita al servizio di Dio e degli altri, anche passando attraverso la croce. Pietro vuole avere la condizione divina senza sforzi da parte sua.

Gesù vuole che Pietro abbia una fede forte, capace di dare sicurezza a tutta la sua Chiesa. Più si sta in alto in responsabilità nella comunità di Cristo e più forte e sicura deve essere la fede di chi presiede. Se una pietra cade dalla cima di una montagna, può generare una valanga per tutto il percorso. Così è della fede che viene meno in un uomo posto sulla cima del monte di Dio che è la sua Chiesa. Quanti stanno sotto di lui saranno trascinati dalla sua caduta. Per questo Gesù esaudisce la richiesta di Pietro, il quale scende dalla barca e si mette a camminare sulle acque.

Finché guarda a Gesù, cammina; quando comincia a guardare al vento contrario, alle difficoltà, alle proprie paure, va a fondo. È la parabola della nostra vita. Se guardiamo le nostre paure, andiamo a fondo. Se guardiamo a Lui ci è possibile ciò che ritenevamo impossibile. Quindi la fede dipende da questo: a chi guardi? A quale realtà guardi? Se guardo alla mia realtà, alle mie paure, certamente vado a fondo. Se guardo a Lui, cammino; quando smetto vado a fondo.

È interessante cosa fa Pietro mentre affonda. Anche se abbiamo poca fede, anche se andiamo a fondo avendo perso la fede, c’è quel residuo di fede che c’è in ogni uomo perché ogni uomo desidera la salvezza. E allora grida: Signore, salvami! Pietro con questo suo grido ci insegna la via della salvezza. Al Signore si deve levare forte il nostro grido: Signore, salvaci! È in questo grido la nostra salvezza. Pietro ci insegna che non ci sono espedienti umani per la nostra salvezza. La nostra salvezza è solo Cristo, solo Lui e nessun altro. Quando Lui ascolta il grido del nostro cuore, subito interviene per trarre in salvo tutti coloro che si affidano a Lui.

Gesù viene descritto nel suo atteggiamento di salvatore: la mano tesa che afferra chi è caduto nel dubbio, restituendolo alla fede. Uomo di poca fede, perché hai dubitato? La fede di Pietro ancora non è forte, è poca. Nella poca fede si dubita e si affonda. Lungo il corso della storia la nostra fede è sempre poca. Allora è più che giusto che ogni giorno chiediamo al Signore che ci dia una fede forte, robusta, a prova di ogni vento contrario. Fede e preghiera, preghiera e fede sono le basi dell’edificio del cristiano. Se una di queste due basi è debole, tutto l’edificio va in frantumi. Si affonda sotto il peso della vita se non si è uomini di fede e di preghiera.

Ma che cos’è la fede? La fede è l’esperienza che fa Pietro. E forse ho quella poca fede che mi basta per vivere una vita ordinaria, quando non ci sono difficoltà - però quel poco di fede che ho non regge davanti a difficoltà più grosse, ed è proprio lì che nasce l’esperienza di salvezza, la vera fede, quella che fa dire a Pietro: Signore salvami!

L’esperienza di fede, Pietro non la fa stando sulla barca, la fa andando a fondo da solo. C’è una solitudine nella fede. È un’esperienza di salvezza personale che non la può fare l’altro al posto mio. Uno può stare nella Chiesa, perché è sempre stato in questa barca, magari anche senza fede. L’esperienza di fede la fa quando va fondo, sperimenta la salvezza; allora torna sulla barca e cessa il vento, e c’è la calma.

   

Gesù e Pietro, salvatore e salvato, salgono sulla barca; immediatamente il vento cessa. Viene posta una contemporaneità tra il salire dei due e la cessazione del vento, come in un rapporto di causa ed effetto. La presenza di Gesù e di Pietro, guarito dai suoi dubbi, sono ora sicura garanzia di fede per tutti quelli che sono nella barca. Per questo il vento del dubbio viene a cessare. Matteo non dice che “Gesù” e “Pietro” sono saliti nella barca, ma semplicemente [in modo anonimo] afferma che sono saliti sulla barca, senza citare i nomi. Questo anonimato crea una sorta di identità tra Gesù e Pietro, così che la presenza di Pietro nella barca è anche il segno sicuro della presenza di Gesù.

 

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Familiarity at the human level makes it difficult to go beyond this in order to be open to the divine dimension. That this son of a carpenter was the Son of God was hard for them to believe [Pope Benedict]
La familiarità sul piano umano rende difficile andare al di là e aprirsi alla dimensione divina. Che questo Figlio di un falegname sia Figlio di Dio è difficile crederlo per loro [Papa Benedetto]
Christ reveals his identity of Messiah, Israel's bridegroom, who came for the betrothal with his people. Those who recognize and welcome him are celebrating. However, he will have to be rejected and killed precisely by his own; at that moment, during his Passion and death, the hour of mourning and fasting will come (Pope Benedict)
Cristo rivela la sua identità di Messia, Sposo d'Israele, venuto per le nozze con il suo popolo. Quelli che lo riconoscono e lo accolgono con fede sono in festa. Egli però dovrà essere rifiutato e ucciso proprio dai suoi: in quel momento, durante la sua passione e la sua morte, verrà l'ora del lutto e del digiuno (Papa Benedetto)
Peter, Andrew, James and John are called while they are fishing, while Matthew, while he is collecting tithes. These are unimportant jobs, Chrysostom comments, "because there is nothing more despicable than the tax collector, and nothing more common than fishing" (In Matth. Hom.: PL 57, 363). Jesus' call, therefore, also reaches people of a low social class while they go about their ordinary work [Pope Benedict]
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo -  “poiché non c'è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario [Papa Benedetto]
For the prodigious and instantaneous healing of the paralytic, the apostle St. Matthew is more sober than the other synoptics, St. Mark and St. Luke. These add broader details, including that of the opening of the roof in the environment where Jesus was, to lower the sick man with his lettuce, given the huge crowd that crowded at the entrance. Evident is the hope of the pitiful companions: they almost want to force Jesus to take care of the unexpected guest and to begin a dialogue with him (Pope Paul VI)
Per la prodigiosa ed istantanea guarigione del paralitico, l’apostolo San Matteo è più sobrio degli altri sinottici, San Marco e San Luca. Questi aggiungono più ampi particolari, tra cui quello dell’avvenuta apertura del tetto nell’ambiente ove si trovava Gesù, per calarvi l’infermo col suo lettuccio, data l’enorme folla che faceva ressa all’entrata. Evidente è la speranza dei pietosi accompagnatori: essi vogliono quasi obbligare Gesù ad occuparsi dell’inatteso ospite e ad iniziare un dialogo con lui (Papa Paolo VI)
The invitation given to Thomas is valid for us as well. We, where do we seek the Risen One? In some special event, in some spectacular or amazing religious manifestation, only in our emotions and feelings? [Pope Francis]
L’invito fatto a Tommaso è valido anche per noi. Noi, dove cerchiamo il Risorto? In qualche evento speciale, in qualche manifestazione religiosa spettacolare o eclatante, unicamente nelle nostre emozioni e sensazioni? [Papa Francesco]
His slumber causes us to wake up. Because to be disciples of Jesus, it is not enough to believe God is there, that he exists, but we must put ourselves out there with him; we must also raise our voice with him. Hear this: we must cry out to him. Prayer is often a cry: “Lord, save me!” (Pope Francis)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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