don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Sabato, 05 Luglio 2025 14:49

«E chi è a me Prossimo?»

Lunedì, 30 Giugno 2025 08:45

14a Domenica T.O. (anno C)

XIV Domenica Tempo Ordinario (anno C)  [6 luglio 2025]

Iddio ci benedica e la Vergine ci protegga! Anche se entriamo nel tempo delle vacanze continuerò a farvi avere i commenti ai testi biblici di ogni domenica

 

*Prima Lettura dal Libro del profeta Isaia (66, 10-14)

Quando un profeta parla tanto di consolazione, significa che le cose vanno molto male per cui avverte il bisogno di consolare e tener viva la speranza: questo testo è dunque stato scritto in un momento difficile. L’autore, il Terzo Isaia, è uno dei lontani discepoli del grande Isaia e sta predicando agli esuli tornati dall’esilio babilonese verso il 535 a.C. Il loro ritorno, tanto sognato, si è rivelato deludente sotto ogni aspetto perché dopo 50 anni tutto era cambiato. Gerusalemme portava le cicatrici della catastrofe del 587 quando fu distrutta da Nabucodonosor; il Tempio era in rovina come buona parte della città e gli esuli non avevano ricevuto l’accoglienza trionfale come speravano.  Il profeta parla di lutto e di consolazione, ma a fronte dello scoraggiamento dominante, non si accontenta di parole di conforto, ma osa persino un discorso quasi trionfale: “Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto” (v10). Da dove trarre quest’ottimismo? La risposta è semplice: dalla fede, o meglio dall’esperienza d’Israele che continua a sperare in ogni epoca perché ha certezza che Dio è sempre presente e, anche quando tutto sembra perduto, sa che nulla è impossibile a Dio. Già nei tempi di forte scoraggiamento durante l’Esodo si proclamava: “il braccio del Signore si è forse raccorciato?  (Nm 11,23), immagine  che ricorre più volte  nel libro di Isaia. Durante l’esilio, quando vacillava la speranza, il Secondo Isaia comunicava a nome di Dio: “È forse troppo corta la mia mano per liberare?» (Is 50,2) e dopo il ritorno, in un periodo di forte preoccupazione, il Terzo Isaia, che leggiamo oggi, riprende due volte la stessa immagine sia nel capitolo 59,1 sia nell’ultimo versetto dell’odierna lettura: “La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi” (v.14). Dio che ha liberato il suo popolo tante volte in passato, mai l’abbandonerà. Anche da solo il termine “mano” è un’allusione all’uscita dall’Egitto, quando Dio intervenne con mano potente e braccio teso. Il versetto 11 dell’odierno testo: “Sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni” richiama la terribile prova di fede che il popolo visse nel deserto quando ebbe fame e sete, e anche allora Dio gli assicurò ciò che era necessario.  Questo richiamo al libro dell’Esodo offre due lezioni: da una parte, Dio ci vuole liberi e sostiene tutti i nostri sforzi per instaurare la giustizia e la libertà; ma d’altra parte è importante e necessaria la nostra collaborazione. Il popolo è uscito dall’Egitto grazie all’intervento di Dio e questo Israele non lo dimentica mai, ma ha dovuto camminare verso la terra promessa a volte con grande fatica. Quando poi al versetto 13 Isaia promette da parte di Dio: “Io farò scorrere verso di essa come un fiume la pace” non significa che la pace si instaurerà magicamente. Il Signore è sempre fedele alle sue promesse: occorre continuare a credere che egli resta ed opera al nostro fianco in ogni situazione. Al tempo stesso è indispensabile che noi agiamo perché la pace, la giustizia, la felicità hanno bisogno del nostro apporto convinto e generoso. 

 

*Salmo responsoriale (65/66, 1-3a, 4-5, 6-7a, 16.20)

 Come spesso accade, l’ultimo versetto dà il senso di tutto il salmo: “Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia” (v.20). Il vocabolario impiegato mostra che questo salmo è un canto di ringraziamento: “Acclamate, cantate, dategli gloria… a te si prostri tutta la terra… narrerò quanto per me ha fatto” composto probabilmente per accompagnare i sacrifici nel Tempio di Gerusalemme e a parlare non è un individuo, bensì l’intero popolo che rende grazie a Dio. Israele ringrazia come sempre per la liberazione dall’Egitto con cenni molto chiari: “Egli cambiò il mare in terraferma… passarono a piedi il fiume”; oppure: “Venite e vedete le opere di Dio, terribile nel suo agire sugli uomini”. Anche l’espressione “le opere di Dio” nella Bibbia, indica sempre la liberazione dall’Egitto. Colpisce, del resto, la somiglianza tra questo salmo e il cantico di Mosè dopo il passaggio del Mar Rosso (Es 15), evento che illumina l’intera storia di Israele: l’opera di Dio per il suo popolo non ha altro scopo che liberarlo da ogni forma di schiavitù. Questo è il senso del capitolo 66 di  Isaia che leggiamo questa domenica nella prima lettura: in un’epoca molto buia della storia di Gerusalemme, dopo l’esilio babilonese, il messaggio è chiaro: Dio vi consolerà. Non si sa se questo salmo sia stato composto nella stessa epoca, in ogni caso il contesto è lo stesso perché è scritto per essere cantato nel Tempio di Gerusalemme e i fedeli che vi affluiscono per il pellegrinaggio prefigurano l’umanità intera che salirà a Gerusalemme alla fine dei tempi. E se il testo di Isaia annuncia la nuova Gerusalemme dove affluiranno tutte le nazioni, il salmo risponde: “Acclamate Dio, voi tutti tutta della terra… a te si prostri tutta la terra…a te canti inni al tuo nome”. La gioia promessa è il tema centrale di questi due testi: quando i tempi sono duri, occorre ricordarsi che Dio non vuole altro che la nostra felicità e un giorno la sua gioia riempirà tutta la terra, come scrive Isaia a cui il salmo risponde in eco: “Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio e narrerò quanto per me ha fatto” (vv16.20). I testi del profeta Isaia e del salmista sono immersi nella stessa atmosfera, ma non si trovano sullo stesso registro: il profeta esprime la rivelazione di Dio, mentre il salmo è la preghiera dell’uomo. Quando Dio parla si preoccupa della gloria e della felicità di Gerusalemme. Quando il popolo, attraverso la voce del salmista, parla rende a Dio la gloria che a lui solo spetta: “Acclamate Dio, voi tutti della terra, cantate la gloria del suo nome, dategli gloria con la lode” (vv1-3). Infine il salmo diventa voce di tutto Israele: “Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia” (v.20). Un modo meraviglioso per dire che sarà l’amore ad avere l’ultima parola

 

*Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo ai Galati (6, 14-18)

“Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce “. Il fatto che Paolo insiste sulla croce come unico vanto, lascia intuire che c’è un problema. In effetti la lettera ai Galati inizia con un forte rimprovero perché molto in fretta i credenti erano passati da Cristo a un altro vangelo e alcuni seminavano confusione volendo capovolgere il vangelo di Cristo. A seminare zizzania erano ebrei convertiti al cristianesimo (giudeo-cristiani) che volevano obbligare tutti a praticare tutte le prescrizioni della religione ebraica, compresa la circoncisione. Paolo allora li mette in guardia perché teme che dietro la discussione sul sì o no alla circoncisione  si nasconda una vera eresia dato che ci salva solo la fede in Cristo concretizzata dal Battesimo e  imporre la circoncisione equivarrebbe a negarlo, ritenendo la croce di Cristo non  sufficiente. Per questo ricorda ai Galati che il loro unico vanto è la croce di Cristo. Ma, per comprendere Paolo, bisogna precisare che per lui la croce è un evento e non si concentra solo sulle sofferenze di Gesù: per lui è l’evento centrale della storia del mondo. La croce –cioè  Cristo crocifisso e risorto - ha riconciliato Dio e l’umanità, e ha riconciliato gli uomini tra loro. Scrivendo che per mezzo della croce di Cristo, “il mondo per me è stato crocifisso” intende dire che a a partire dall’evento della croce il mondo è definitivamente trasformato e nulla sarà più come prima, come scrive anche nella lettera ai Colossesi (Col 1, 19-20). La prova che la croce è l’evento decisivo della storia è che la morte è stata vinta: Cristo è risorto. Per Paolo, croce e risurrezione sono inseparabili trattandosi di un solo medesimo evento. Dalla croce è nata la creazione nuova, contrapposta al mondo antico.  In tutta questa lettera, Paolo ha contrapposto il regime della Legge mosaica con il regime della fede; la vita secondo la carne e la vita secondo lo Spirito; l’antica schiavitù e la libertà che riceviamo da Gesù Cristo. Aderendo per fede a Cristo, diventiamo liberi di vivere secondo lo Spirito. Il mondo antico è in guerra e l’umanità non crede che Dio sia amore misericordioso e di conseguenza, disobbedendo ai suoi comandamenti, crea rivalità e guerre per il potere e per il denaro. La creazione nuova, al contrario, è l’obbedienza del Figlio, la sua fiducia totale, il perdono ai suoi carnefici, la sua guancia tesa a chi gli strappa la barba, come scrive Isaia. La Passione di Cristo è stata un culmine di odio e di ingiustizia perpetrati in nome di Dio; Cristo però ne ha fatto un culmine di non-violenza, di dolcezza, di perdono. E noi, a nostra volta, innestati nel Figlio, siamo resi capaci della stessa obbedienza e dello stesso amore. Questa conversione straordinaria, che è opera dello Spirito di Dio, ispira a Paolo una formula particolarmente incisiva: Per mezzo della croce, il mondo è crocifisso per me e io per il mondo che vuol dire: Il modo di vivere secondo il mondo è abolito, ormai viviamo secondo lo Spirito e questo diventa  motivo di vanto per i cristiani. Proclamare la croce di Cristo non è facile e quando dice: “io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo” allude alle persecuzioni che egli stesso ha subito per aver annunciato il vangelo. Un’annotazione finale: questo è l’unico scritto paolino che termina con la parola “fratelli”. Dopo aver dibattuto polemicamente con i Galati alla fine Paolo ritrova nella sua comunità la fraternità che lega evangelizzatori a evangelizzati e l’unica sorgente dell’amore ritrovato è “nella grazia del Signore nostro Gesù Cristo” (v.18). 

 

*Dal vangelo secondo Luca (10, 1- 20)

 Questa pagina del vangelo presenta Gesù mentre si dirige verso Gerusalemme. Dopo aver superato tutte le tentazioni e aver vinto il principe di questo mondo, gli resta da trasmettere il testimone ai suoi discepoli che a loro volta dovranno consegnarlo ai loro successori. La missione è troppo importante e preziosa e va condivisa. In primo luogo c’è l’invito a pregare “il signore della messe perché mandi operai nella sua messe” (v.2).  Dio conosce tutto ma c’invita a pregare perché ci lasciamo illuminare da Lui. La preghiera non mira mai a informare Dio: sarebbe ben presuntuoso da parte nostra, ma ci prepara a lasciarci trasformare da lui. Invia così il folto gruppo dei discepoli in missione fornendo loro tutti i consigli necessari per affrontare prove e ostacoli a lui ben noti. Quando saranno rifiutati, come Gesù ha sperimentato in Samaria, non dovranno scoraggiarsi ma partendo annunceranno a tutti: “E’ vicino a voi il Regno di Dio” (v.9).  E aggiungeranno: «Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi” (v.11).  Ecco inoltre alcune specifiche consegne per i discepoli. “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi” (v.3) e questo indica che occorre restare sempre miti come agnelli essendo la missione del discepolo recare la pace: “in qualsiasi casa entriate, dite prima: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui” (vv.5-6). Bisogna cioè credere a tutti i costi nel potere contagioso della pace perché quando auguriamo sinceramente la pace, realmente la pace cresce. E se qualcuno non vi accetta non lasciatevi appesantire dagli insuccessi e dai rifiuti. Ogni discepolo avrà vita difficile perché, se Gesù stesso non aveva dove posare il capo, questo toccherà pure ai suoi discepoli. E per questo dovranno imparare a vivere giorno per giorno senza preoccuparsi del domani, accontentandosi di mangiare e bere quello che sarà servito, come nel deserto il popolo di Dio poteva raccogliere la manna solo per il giorno stesso. Per evangelizzare porteranno con sé solo l’essenziale: “senza borsa, né sacca, né sandali” (v.4) e non passate di casa in casa.” (v.7). Ci saranno spesso scelte dolorose da compiere a causa dell’urgenza della missione e sarà importante resistere alla tentazione della vanità del successo:  ”Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (v.20). Da sempre il desiderio di notorietà insidia i discepoli, ma i veri apostoli non sono necessariamente i più famosi. Si può pensare che i settantadue discepoli abbiano superato bene la prova  perché al ritorno, Gesù potrà dire: “Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore” (v.18).  Intraprendendo la sua ultima marcia verso Gerusalemme, Gesù sente per questo un grande conforto; tanto che subito dopo Luca ci dice: “In quello stesso istante, esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.”

+Giovanni D’Ercole

E smuovere i vicini

(Lc 10,1-12.17-20)

 

Gesù constata che gli Apostoli non sono persone libere (cf. Lc 9). Il loro modo di essere è talmente fondato su atteggiamenti standard e comportamenti obbligati da tradursi in armature mentali impermeabili.

La loro prevedibilità è troppo limitante: non dà respiro al cammino di coloro che invece vogliono riattivarsi, scoprire, valorizzare sorprese dietro i lati segreti della realtà e della personalità.

Ciò che rimane vincolato ad antiche costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

Il Signore si vede costretto a chiamare i Samaritani [gli eretici della religione] raccolti altrove, non provenienti da osservanze “corrette”, ma in grado di camminare, comprendere e non fare gli schizzinosi.

I nuovi inviati vanno sulla strada indifesi. Non potendo contare sulle consuete astuzie, vengono sicuramente danneggiati, defraudati e - se toccano tutti i nervi scoperti - sbranati.

Ma il loro essere dimesso e poco saccente fa pensare, suscita nuovi saperi e consapevolezze. Così la loro amicizia spontanea e innocente.

 

Poi, in situazioni bloccate sarà questo ‘disordine’ di nuovi stupefatti a introdurre rinnovato fascino, evocare potenzialità, allargare occasioni espressive e il campo d’azione di tutti.

 

Giunti in un territorio, sarà bene non passare di casa in casa: da una sistemazione di fortuna all’appartamento, alla villa e poi al palazzo, perché la ricerca di migliori agi fa sparire la Novità di Dio.

La cura dei malati e delle devianze è punto fermo della Missione, perché proprio dalle insicurezze o eccentricità germoglia un ‘regno’ diverso, quello che si accorge e si fa carico - nell’amore di chi non abbandona.

E non si perda tempo a pettinare l’ambiente seduto: anche un volontario allontanamento educa alla gratuità.

Lo slancio della vita desterà le coscienze e prevarrà sul negativo: nel cammino che ci appartiene le accuse conteranno sempre meno.

 

A differenza dell’azione infruttuosa degli Apostoli (Lc 9 passim), il ritorno dei nuovi evangelizzatori è pieno di gioia e risultati (vv.17-20).

Sono gli ultimi e diversi a far cadere dal “cielo” - e sostituire - i nemici dell’umanità e della nostra Letizia (vv.5-6).

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalom] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano e realizzano anche spiritualmente.

Ora la Salvezza [vita da salvati] che fiorisce è a portata di mano di tutti (v.9), non più un privilegio.

I lati giudicati pazzeschi, estranei o materialmente inconcludenti stanno apprestando i nostri nuovi percorsi.

 

Nel grande Mistero di percepirsi come un ‘essere nel Dono’ - «due a due» (v.1) per vivere in pienezza - il sé comprende le opposte polarità della sua essenza.

Solo così ‘dilatati’ diventiamo un essere Con e Per l'altro. In cammino sulla Via, nella forma di Croce.

 

 

[14.a Domenica T.O. (anno C), 6 luglio 2025]

Sabato, 28 Giugno 2025 03:18

Chiama i lontani, per smuovere i vicini

Oltre i Dodici: altri 72 insicuri (ma trasparenti) nell’incertezza di lupi

(Lc 10,1-20)

 

E io e Te

«La Verità non è affatto ciò che ho. Non è affatto ciò che hai. Essa è ciò che ci unisce nella sofferenza, nella gioia. Essa è figlia della nostra Unione, nel dolore e nel piacere partoriti. Né io né Te. E io e Te. La nostra opera comune, stupore permanente. Il suo nome è Saggezza».

(Irénée Guilane Dioh)

 

Gesù constata che gli Apostoli non sono persone libere, per questo non emancipano nessuno e addirittura impediscono qualsiasi svolta (cf. Lc 9).

Il loro modo di essere è talmente fondato su atteggiamenti standard e comportamenti obbligati da tradursi in armature mentali impermeabili.

La loro prevedibilità è troppo limitante: non dà respiro al cammino di coloro che invece vogliono riattivarsi, scoprire e valorizzare sorprese dietro i lati segreti della realtà e della personalità.

Ciò che rimane vincolato ad antiche costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

Il Signore si vede costretto a chiamare i samaritani (gli eretici della religione) raccolti altrove, non provenienti da osservanze “corrette” - ma in grado di camminare, comprendere e non fare gli schizzinosi.

Almeno loro non smentiscono la Parola che proclamano con una vita dietro le quinte: quello che vedi, sono.

È praticamente indotto a sorvolare i Dodici, con «72» insicuri ma trasparenti, nell’incertezza dei (molti) lupi che si sentono destabilizzati.

I nuovi inviati vanno sulla strada indifesi. Non potendo contare sulle consuete astuzie, vengono sicuramente danneggiati, defraudati e - se toccano tutti i nervi scoperti - sbranati.

Ma il loro essere dimesso e poco saccente fa pensare, suscita nuovi saperi e consapevolezze. Così la loro amicizia spontanea e innocente.

Poi, in situazioni bloccate sarà questo “disordine” di nuovi stupefatti a introdurre rinnovato fascino; evocare potenzialità, allargare le possibili inclinazioni espressive, e il campo d’azione di tutti.

Sono i testimoni critici a trasmutare il mondo e guidare le persone alla lode (perché magari si sono semplicemente riappropriati di risorse che neanche sapevano di possedere o avevano perso di vista).

Coloro che non cessano di sorprendere devono stare attenti ai falsi e profittatori che si sentono disturbati dal sorriso dei nuovi ingenui - e molto attenti. Solo qui bisogna fare i difficili: non ci siano altri scrupoli!

Giunti in un territorio, sarà bene non passare di casa in casa: da una sistemazione di fortuna all’appartamento, alla villa, poi al palazzo, perché la ricerca di migliori agi fa sparire la Novità di Dio.

La cura dei malati e delle devianze è punto fermo della Missione, perché è proprio dalle insicurezze o eccentricità che germoglia un regno diverso, quello che si accorge e si fa carico - nell’amore di chi non abbandona.

E non si perda tempo a pettinare l’ambiente seduto sulla falsa ideologia tronetto-altare: anche un volontario allontanamento educa alla gratuità. Anzi fa sbalordire e riflettere proprio i capi religiosi [all’antica e non] e i loro devoti di cerchia, che restano legati a posizioni di visibilità sociale, all’idolo del posto, alla malattia del titolo (senza il quale non si sentono personaggi).

Sono manipolatori, e ci riempiono la testa di venticelli.

Lo spione del sovrano - il «satana» [i suoi accoliti sono molti e insospettabili] nemico del progresso dell’umanità - non avrà più rilievo.

Lo slancio della vita desterà le coscienze e prevarrà sul negativo: nel cammino che ci appartiene le accuse dei sorveglianti interessati conteranno sempre meno.

A differenza dell’azione scrupolosa ma triste e deviante degli Apostoli [Lc 9 passim] il ritorno dei nuovi evangelizzatori aggregati per Chiamata diretta e senza ritualità intermedie è pieno di brio e risultati (vv.17-20).

Sono gli ultimi e diversi - non i più noti e autoreferenziali aggregati - a far cadere dal “cielo” e sostituire i satana-funzionari, nemici dell’umanità e della Gioia inclusiva (vv.5-6).

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalôm] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci compiono e realizzano anche spiritualmente.

Ora la Salvezza che fiorisce [vita da salvati, conclusiva] è per tutti a portata di mano (v.9), non più un privilegio.

I lati giudicati malaticci, squilibrati, sofferenti, invalidi, pazzeschi o materialmente inconcludenti stanno apprestando i nostri nuovi percorsi.

 

Nella dinamica vocazionale il punto fermo non risiede in una soddisfacente adesione a criteri di ragione, né in qualche geniale elaborazione di novità.

Neppure si colloca nella eroicità o fissità di comportamenti conformi, pur convinti.

La nostra certezza stupisce d’una sorpresa che Viene.

Essa ci desta, ma risiede unicamente in una percezione dell’occhio interiore: nella leggera immagine ricorrente che c’inabita e misteriosamente si affaccia, trascina e guida.

E cura le paure.

Unica sicurezza sarà quella lieve visione che - corrispondendo e ribadendo le sue venute - volge ciascuno al suo desiderio personale inespresso, tessendo un dialogo ineffabile con l’anima e la sua Via.

Il Dono s’impone allo scenario intimo, per volgere ogni Nome a destinazione.

Per attirare e attualizzare Futuro. Beninteso: non il ritorno alla situazione precedente che molti propugnano; oggi, anche in tempo di crisi globale.

Non esiste altro punto fermo che la nostra Chiamata.

Essa giunge per allacciare una relazione sponsale con l’opera imprevedibile e inedita della personale Fede-calamita.

Attrazione che seduce l'anima, la libera dalle insicurezze infondendole passione, e chiede di farsi rispettare.

Solo in senso vocazionale e intimamente forte, l’appello del Sogno che affiora alla percezione del cuore, ci fa tenaci.

E rianima un’esistenza vagante tra le bufere - come quella d’un pianeta alla deriva - intrecciando la vita al Cristo.

È la nostra Pace nel caos, che pure invita all’introspezione.

“Magnete-contro” nell’artificio esterno del farsi condurre da obbiettivi altrui.

Non basta neppure trovare un antidoto moderno alla frenesia che ci punge, ancora peggiorando il nostro vagabondare.

Né imponendosi uno stile conflittuale con l’indipendenza dello spirito personale.

Non è sufficiente una parentesi per annientare la tensione della vita contemporanea.

Tutto sommato non ci manca un’oasi per riflettere sul mondo, comprendere se stessi, e gli amici o i lontani.

 

«Non ho pace» - ci sentiamo ripetere da persone che si sentono alla deriva. E questo sentimento è contagioso; oggi dilagante.

Come proclamare armonia e conciliazione nelle case (v.5), in un mondo assediato da provocazioni, da malanni e competizioni globali, che se considerate in modo responsabile fanno subito tremare i polsi?

In un discorso di auguri d’inizio anno al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Giovanni Paolo II sintetizzò quattro emergenze epocali per il nuovo millennio:

«Vita, pane, pace e libertà: ecco le grandi sfide dell’umanità di oggi».

Un fuori scala per la nostra natura.

Come può l’uomo di Fede annunciare equilibrio e prosperità, se la debolezza non è protetta, se il criterio di natura sembra oggi volatile, se il nutrimento non è abbondante e vario per tutti, se la fraternità non si scorge neppure in ambienti protetti [al massimo viene scambiata per generica simpatia a scopo pubblicitario, in una chiesa degli eventi - come dice Papa Francesco], o se il belligerare può avere motivazioni teologiche (pur di non accettare le esigenze vitali altrui)… se non si riconosce a ciascuno di potersi realizzare «in maniera rispondente alla sua natura»?

Quest’ultimo a mio parere il punto cardine: prerogativa della Vocazione e dell’immaginario interiore che suscita; della nostra risposta di fiducia sponsale personale e creativa.

Diceva Giovanni Paolo: la libertà è luce «perché permette di scegliere responsabilmente le proprie mete e la via per raggiungerle».

Non un lume che abbaglia, bensì che si posa, e tesse trame.

Una luce redenta, che diviene rapporto, possibilità di condivisione; Presenza che trasmette senso.

Il libero arbitrio impallidisce, a braccetto col nostro volontarismo, e non ci basta neppure la capacità di autodeterminarci per il bene. Lo sappiamo da sempre.

 

Nella sua seconda Satira, Giovenale scrive:

«Le pratiche t’han dato questa tigna/

E a molti la daran, come di pecore/

O di porci in un branco un sol comunica/

A tutti gli altri la scabbia e la forfora/

E basta un chicco per guastare un grappolo/

Da questa moda a più brutte faccende/

Adagio adagio passerai: la scala/

Dei vizi non discendesi d’un salto/

In breve ti faranno uno dei loro/

Quelli che in casa cingonsi la fronte».

 

Bisogna vivere di Comunione, anche con se stessi, o non c’è autentica vita.

Nel grande Mistero di percepirsi come un “essere nel Dono” - «due a due» (v.1) - per godere pienezza, il sé comprende le opposte polarità della sua essenza.

Solo così dilatati diventiamo un essere “con” e “per” l'altro.

 

Non di rado la proposta sacrale ci isola o colloca in compartimenti stagni unilaterali, che troncano i sogni [non le fantasie disincarnate, che ne sono corollario].

I bei costumi antichi, o gli schemi di sociologia astratta, e stilemi o costumi locali, determinano i binari della nostra corsa: i soliti totem di costume. O le mode altrui; i manierismi esterni.

Gesù (appunto) nota l’insuccesso dei suoi, che non riescono a liberare le persone - e addirittura pretendono d’impedirlo [Lc 9].

Così chiama anche i samaritani (v.1), ossia i male indottrinati, meticci e bastardi.

Insomma, allarga l’orizzonte delle tribù designate, facendo appello a nazioni pagane, per un compito universale.

Il Signore sa che la Fede “laicale” non è di cerchia.

Essa non si adegua volentieri a modelli senza forza intima; quindi non blocca l’evoluzione, perché fa vivere di Relazione e carattere.

Ciò, in mezzo a tutte le sfaccettature dell’essere e della storia: appunto con e per gli altri, ma non all’esterno - bensì saldi in se stessi.

In tal guisa, nell’amicizia di sé e del prossimo, diventiamo per Grazia e genuinamente assai più affidabili di coloro che sono animati da articolate convinzioni o forti volontarismi di club.

Queste i ultimi spesso illusioni pericolosissime, se non riconoscono come valore assoluto il bene concreto dell’uomo reale, il diritto alla sua Felicità.

Totalità o integrazione derivante dal benessere d’un completamento nell’essere, non più ridotto.

Presenza Messianica [Annuncio dello Shalôm] che non svaluta; non permane unilaterale.

 

 

Lo spione che cade, e i piccoli cervelli

 

Lo spione del “sovrano” - il «satana» [i suoi accoliti sono molti e insospettabili], nemico del progresso dell’umanità - non avrà più rilievo.

Detronizzato dalla condizione di potere sugli uomini, esso precipita nel baratro (v.18).

Significa che grazie alla missione in Cristo, lo slancio della vita prevarrà sul negativo.

Nel cammino che ci appartiene, le accuse dei sorveglianti interessati conteranno zero.

I vecchi Re e Profeti avevano solo sospirato la pienezza del Messia. Si sentivano dei grandi, ma non avevano incontrato l’Eterno in sovrabbondanza di Persona.

Erano ancora schiavi di elementi cosmici, talora sottomessi al potere irrazionale del male; spesso vinti dal pensiero comune, dalla miseria propria e altrui, dalle attrattive della realtà mondana circostante.

I «piccoli» invece anche oggi restano aperti al Mistero e ricevono un essere rinnovato.

I sapientoni suppongono che l’unica vita si trovi dalla loro parte; si pensano potenti e convincenti. Non hanno bisogno di luce, né di un Amico.

Su questo piano viene formulata una delle rivelazioni definitive sull’Uomo autentico che manifesta la condizione divina.

Il Figlio benedice il Padre per il dono concesso agli insignificanti della società, e scopre il punto nodale del Mistero della nostra comunicazione con l’Altissimo: lo spirito di sapersi in Famiglia, a pieno titolo.

 

La santità religiosa antica poggiava sulla separazione [Qadosh-Santo: è attributo del Dio che dimora in luoghi distinti, remoti, inaccessibili] non sull’essenza.

Il nuovo nome della santità (domestica) riflessa nella Persona del Cristo e in quella dei suoi fratelli non è più sinonimo di “tagliato dagli altri e messo a parte”, bensì «Unito».

Malgrado le stampelle che porta, resta in sé “dignitoso” e addirittura “chiamato”; quindi abilitato a essere promosso, senza ulteriori condizioni di purità ideologica o cultuale.

Padre e Figlio costituiscono un Mistero di reciprocità e dedizione nel quale penetrano solo coloro che vogliono ricevere e accogliersi nella scaturigine - in Dio, per lasciarsi avvolgere da una Amicizia che raggranella tutto l’essere.

Dialogo ch’espande le pur minime qualità, sublima in Perle i lati ignoti e oscuri della personalità; per dilatare l’onda dell’esistere, senza inseguire le voci del mondo esterno [solo apparentemente vitale].

Così l’Invio e Missione hanno come nucleo il dispiegamento della qualità intensa, della stessa realtà intima e indistruttibile divina: l’Amore.

Unico Fuoco che annienta le potenze logoranti, nelle persone, nelle nazioni, nella storia.

 

Appunto, a differenza dell’opera scrupolosa ma triste e deviante degli Apostoli [Lc 9 passim], il ritorno dei nuovi evangelizzatori aggregati per Chiamata diretta e senza ritualità intermedie è pieno di gioia e risultati (vv.17-20).

Ricordiamo Tagore: «Se i cristiani fossero come il loro Maestro, avrebbero tutta l’India ai loro piedi».

Sono gli ultimi e diversi - i nuovi protagonisti dell’Annuncio.

Non i più noti e autoreferenziali cooptati riescono a far cadere dal cielo e sostituire i satana-funzionari, nemici dell’umanità e della nostra Gioia democratica (vv.5-6).

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalôm] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano, includono e realizzano anche spiritualmente.

Ora la Salvezza [vita da salvati] che fiorisce è a portata di mano di tutti coloro che hanno spirito attento e virtù da famigliari. Non più privilegio di cerchie che si sentono sicure [ma perdono l’unicità].

Ancora Tagore: «Benignamente, volutamente fattoti piccolo, vieni in questa piccola dimora [...] Come amico, come padre, come madre fattoti piccolo, vieni nel mio cuore. Io pure con le mie mani mi farò piccolo davanti al padrone dell’universo; con la mia piccola intelligenza ti conoscerò e ti farò conoscere».

Il Mistero resiste ai «dotti» che fanno professione di alta saggezza (v.21). 

Viceversa il Regno si apre ai non imprigionati da idee conformi e interposte - schiavi di pensieri e convenzioni.

Ecco l’Inno di Giubilo (vv.21-24) che introduce il Comandamento dell’Amore (vv.25ss).

Ricordo il mio professore agostiniano di Patristica: insisteva nel ripeterci che uno dei nomignoli conquistati dai primi cristiani era quello di «piccoli cervelli».

Erano persone semplici ma ricolme di attitudini alla pienezza, e di sapienti nuove consapevolezze, che sbalordivano i professori e i filosofi del mondo antico.

 

Anche noi ci chiediamo: cosa fa tornare vicini a ciò che siamo chiamati a fare?

Ebbene, forse ne abbiamo già contezza: la sufficienza di coloro che fanno professione di dottrina cerebrale - in realtà - conduce solo a precipitare dal cielo.

Annienta l’umile percezione di sé, fa impallidire la capacità di accorgersi; chiude al perdono, all’accoglienza benevolente, all’ascolto dell’anima e degli altri, alla disponibilità. Perfino all’acume dei saperi innati, quelli che ci appartengono e risolverebbero i veri problemi.

Proprio i lati giudicati pazzeschi o materialmente inconcludenti - anche nella trama di piccole cose - farebbero affrontare gli eventi esterni che attanagliano… come occasioni di crescita.

Stanno infatti preparando i nostri nuovi percorsi, e un germe di società alternativa.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

Cosa è successo in te quando hai accettato la modesta (e piena) condizione di figlio?

Quali nuove consapevolezze di te stesso e del mondo hai acquisito?

Hai scoperto anche slanci di gratuità, oltre che di gratitudine?

 

 

La Missione (Effusione) raggiunge tutte le frontiere

 

Perché l’Annuncio, senza nodi alla gola

(Lc 10,13-16)

 

La differenza tra religiosità e Fede è nel Soggetto, della Vita nello Spirito: non siamo noi a disporre, allestire, cieli e terra nuovi - bensì la Grazia che silenziosamente dissoda e precede.

Ecco perché nell’Annuncio non siamo orfani, e con tanti nodi alla gola.

Il Maestro stesso non è solo. La testimonianza anche dei non discepoli si inserisce nella Via del Cristo verso il Padre.

Strada che Viene. Non è l’impegno “interno” assodato che edifica un mondo più autentico, dai tratti divini.

È piuttosto il Regno - effusivo in se stesso - che dà origine al cammino verso i “lontani”, e attiva scenari impensabili.

Essi giungono a noi come proposta di Pace: apertura a un Disegno più vasto, e giustizia interumana.

L’esperienza variegata, l’ambiente pieno di sorprese dei non seguaci, genera fioriture, di ciascuno - nella scoperta del limite, dei propri stati profondi - per la comunione.

Nessuna riserva elettiva; nessun diritto di prelazione. Salvezza secondo il Padre, non “a modo nostro”.

 

Il Vangelo supera le barriere di popoli e se necessario lascia indietro la sua culla di culture attenuanti, chiuse in una mentalità ingessata, forse intollerante; seccata di tutto.

Chi in piena avvertenza e deliberato consenso rigetta la Parola perché il mondo non sarà più “come prima”, si ritrova d’improvviso senza speranza, senza figli, senza possibilità di vita e d’espandersi.

Senza Presenza, senza la Spiritualità del Patto - che concatena ogni testimone al Figlio e al Padre. E solo Dio può superare la forza degli ostacoli; potenze interne ed esterne.

Unicamente nella fiaccola della condizione divina [autentica Sorgente, misura che Cristo vive e ci stupisce] si apprende il senso del nostro essere, comunicare, andare.

L’inaccessibile interroga, e diventa vicinissimo. Annienta le zavorre esclusive, che permangono invano.

Così l’Annuncio scatena lo Spirito, spalanca porte inusitate: anche una finestra sul mondo interiore. Dove gli opposti hanno già diritto di esistere. Anzi, chiamano all’Alleanza nuova, che insegna a stare coi lati che non piacciono.

 

In tal guisa indagheremo e scopriremo: la lotta dei blocchi, delle paure di ciò che non vogliamo vedere all’esterno e dentro di noi, deve cessare.

Le tendenze che pensavamo dovessero essere negate diventano fonte imprevedibile di altre luci e virtù, intime e nei rapporti.

Anche e soprattutto le ombre chiamano l’Esodo, un nuovo Patto - dove non siamo assolutamente soli e unilaterali, bensì più completi.

Insomma, il Mistero che ci abita oltrepassa i lacci delle convinzioni, ci rende meno divisi. A partire dalla scaturigine dell’essere.

Si fa trascendenza-immanenza reale, stringente; per tutti. Consapevolezza di Vita Nuova.

«Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me ma chi disprezza me disprezza Colui che mi ha mandato» (v.16).

«Il Padre infatti non giudica nessuno ma ha dato ogni giudizio al Figlio affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato» (Gv 5,22-23).

 

 

Scienziati e Piccoli

(Lc 10,21-24)

 

A differenza dell’azione infruttuosa degli Apostoli [Lc 9 passim], il ritorno dei nuovi evangelizzatori è pieno di gioia e risultati (vv.17-20). Perché?

Ciò che rimane vincolato ad antiche costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

I capi guardavano la religiosità con scopi d’interesse. I professori di teologia erano abituati a valutare ogni virgola partendo dal proprio sapere, ridicolo ma supponente - estraneo alle vicende reali.

I nuovi inviati vanno sulla strada indifesi.

Il Maestro si rallegra della loro e della sua stessa esperienza, che reca una gioia non epidermica e un insegnamento dallo Spirito - su chi è ben disposto a comprendere le profondità del Regno nelle cose comuni.

Insomma, dopo un primo momento di folle entusiaste, il Maestro approfondisce le tematiche e si ritrova tutti contro, tranne Dio e i minimi: i senza peso, ma con tanta voglia di cominciare da zero.

Barlume del Mistero che lievita la storia - senza farne un possesso.

A conclusione dell’enciclica Fratelli Tutti, Papa Francesco cita la figura e l’esperienza di Charles de Foucauld, il quale - sovvertendo i conformismi - «solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti» (n.287).

In un primo tempo anche Gesù rimane sbalordito per il rifiuto di chi si riteneva già soddisfatto della struttura religiosa ufficiale e non attendeva più nulla che potesse destare abitudini e tornaconto.

Poi comprende, loda e benedice il disegno del Padre.

Comprende che la persona autentica nasce dai bassifondi, comunque da un’altra elaborazione e genesi, che sconvolgono il rapporto religioso consolidato, inerte e rassicurante - mai profondo né decisivo per le sorti umane.

Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza.

L’Eterno non è il padrone del creato che si manifesta attraverso le potenze incontenibili della natura.

È Ristoro che rinfranca, perché fa sentire completi e amabili; ci cerca, si fa attento al linguaggio del cuore.

Egli è Custode del mondo, anche dei non istruiti - degli «infanti» (v.21) spontaneamente vuoti di spirito borioso, ossia di coloro che non restano chiusi nella loro sufficiente appartenenza.

Il rapporto Padre-Figlio viene comunicato ai poveri di Dio: coloro che sono dotati di un’attitudine da famigliari (v.22).

Insignificanti e invisibili privi di grandi doti, ma che si abbandonano alle proposte della vita provvidente che viene, come bimbi in braccio a dei genitori.

Spirito di pietas che favorisce chi si lascia colmare, e non procede sulle vie del pensiero o dell’iniziativa calcolante, bensì della Sapienza innata.

Unica realtà che ci corrisponde e non presenta il “conto”: essa non procede sulle vie del pensiero funzionale, dell’iniziativa calcolante.

Essa trasmette freschezza nella disponibilità a ricevere - accogliere e ritemprare personalmente - sia la Verità come Dono... che l’entusiasmo spontaneo stesso, in grado di realizzarla.

Una preghiera di benedizione semplice e per i semplici - questa di Gesù (v.21) - che ci fa crescere nella stima, calza perfettamente con la nostra esperienza, e va d’accordo con noi stessi.

Ma che stranamente i «dotti» i quali non vivono «lo spirito del vicinato» (FT n.152) però rivendicano posizioni e giocano sempre d’astuzia, non ci hanno voluto trasmettere così volentieri.

Perché tale Berakah non presuppone l’energia dei ‘modelli’, né la potenza aggressiva dei “pezzi grossi”.

Appunto, nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalom] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano e realizzano anche spiritualmente.

E invece che solo con il “grande” ed esterno, bisogna in tal guisa vivere di Comunione pur con il ‘piccolo’ di sé, o non c’è amabilità, né autentica vita.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa provi quando ti senti dire: «Tu non conti»? Rimane un disprezzo umiliante o la consideri una grande Luce ricevuta, come ha fatto Gesù?

Sabato, 28 Giugno 2025 03:11

Nel campo di Dio c’è lavoro per tutti

Cari fratelli e sorelle,

oggi il Vangelo (cfr Lc 10, 1-12.17-20) presenta Gesù che invia settantadue discepoli nei villaggi dove sta per recarsi, affinché predispongano l'ambiente. È questa una particolarità dell'evangelista Luca, il quale sottolinea che la missione non è riservata ai dodici Apostoli, ma estesa anche ad altri discepoli. Infatti - dice Gesù - "la messe è molta, ma gli operai sono pochi" (Lc 10, 2). C'è lavoro per tutti nel campo di Dio. Ma Cristo non si limita ad inviare: Egli dà anche ai missionari chiare e precise regole di comportamento. Anzitutto li invia "a due a due", perché si aiutino a vicenda e diano testimonianza di amore fraterno. Li avverte che saranno "come agnelli in mezzo a lupi": dovranno cioè essere pacifici nonostante tutto e recare in ogni situazione un messaggio di pace; non porteranno con sé né vestiti né denaro, per vivere di ciò che la Provvidenza offrirà loro; si prenderanno cura dei malati, come segno della misericordia di Dio; dove saranno rifiutati, se ne andranno, limitandosi a mettere in guardia circa la responsabilità di respingere il Regno di Dio. San Luca mette in risalto l'entusiasmo dei discepoli per i buoni frutti della missione, e registra questa bella espressione di Gesù: "Non rallegratevi perché i demòni si sottomettono a voi: rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Lc 10, 20). Questo Vangelo risvegli in tutti i battezzati la consapevolezza di essere missionari di Cristo, chiamati a preparargli la strada con le parole e con la testimonianza della vita […]

[Papa Benedetto, Angelus 8 luglio 2007]

1. La missione di Cristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento. Al termine del secondo millennio dalla sua venuta uno sguardo d'insieme all'umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio. È lo Spirito che spinge ad annunziare le grandi opere di Dio: «Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9,16).

A nome di tutta la Chiesa, sento imperioso il dovere di ripetere questo grido di san Paolo. Già dall'inizio del mio pontificato ho scelto di viaggiare fino agli estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine missionaria, e proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancor più convinto dell'urgenza di tale attività, a cui dedico la presente Enciclica.

Il Concilio Vaticano II ha inteso rinnovare la vita e l'attività della Chiesa secondo le necessità del mondo contemporaneo: ne ha sottolineato la «missionarietà» fondandola dinamicamente sulla stessa missione trinitaria. L'impulso missionario, quindi, appartiene all'intima natura della vita cristiana e ispira anche l'ecumenismo: «Che tutti siano una cosa sola...., perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21).

2. Molti sono già stati i frutti missionari del Concilio: si sono moltiplicate le chiese locali fornite di propri Vescovi, clero e personale apostolico; si verifica un più profondo inserimento delle Comunità cristiane nella vita dei popoli; la comunione fra le Chiese porta a un vivace scambio di beni spirituali e di doni; l'impegno evangelizzatore dei laici sta cambiando la vita ecclesiale; le Chiese particolari si aprono all'incontro, al dialogo e alla collaborazione con i membri di altre chiese cristiane e religioni. Soprattutto si sta affermando una coscienza nuova: cioè che la missione riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e parrocchie, le istituzioni e associazioni ecclesiali.

Tuttavia, in questa «nuova primavera» del cristianesimo non si può nascondere una tendenza negativa, che questo Documento vuol contribuire a superare: la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento, non certo in linea con le indicazioni del Concilio e del Magistero successivo. Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della Chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di fede.

A venticinque anni dalla conclusione del Concilio e dalla pubblicazione del Decreto sull'attività missionaria Ad gentes, a quindici anni dall'Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del pontefice Paolo VI di v.m., desidero invitare la chiesa a un rinnovato impegno missionario, continuando il Magistero dei miei predecessori a tale riguardo. Il presente documento ha una finalità interna: il rinnovamento della fede e della vita cristiana. La missione, infatti, rinnova la chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell'impegno per la missione universale.

Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità nel mondo odierno, il quale conosce stupende conquiste, ma sembra avere smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza. «Cristo redentore - ho scritto nella prima Enciclica - rivela pienamente l'uomo a se stesso... L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo... deve avvicinarsi a Cristo... La redenzione, avvenuta per mezzo della croce, ha ridato definitivamente all'uomo la dignità e il senso della sua esistenza nel mondo».

[Papa Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio]

Sabato, 28 Giugno 2025 02:53

Subito li allena alla Missione

Il Vangelo di questa domenica (Lc 10,1-12.17-20) ci parla proprio di questo: del fatto che Gesù non è un missionario isolato, non vuole compiere da solo la sua missione, ma coinvolge i suoi discepoli. E oggi vediamo che, oltre ai Dodici apostoli, chiama altri settantadue, e li manda nei villaggi, a due a due, ad annunciare che il Regno di Dio è vicino. Questo è molto bello! Gesù non vuole agire da solo, è venuto a portare nel mondo l’amore di Dio e vuole diffonderlo con lo stile della comunione, con lo stile della fraternità. Per questo forma subito una comunità di discepoli, che è una comunità missionaria. Subito li allena alla missione, ad andare.

Ma attenzione: lo scopo non è socializzare, passare il tempo insieme, no, lo scopo è annunciare il Regno di Dio, e questo è urgente!, e anche oggi è urgente! Non c’è tempo da perdere in chiacchiere, non bisogna aspettare il consenso di tutti, bisogna andare e annunciare. A tutti si porta la pace di Cristo, e se non la accolgono, si va avanti uguale. Ai malati si porta la guarigione, perché Dio vuole guarire l’uomo da ogni male. Quanti missionari fanno questo! Seminano vita, salute, conforto alle periferie del mondo. Che bello è questo! Non vivere per se stesso, non vivere per se stessa, ma vive per andare a fare il bene! Ci sono tanti giovani oggi in Piazza : pensate a questo, domandatevi: Gesù mi chiama a andare, a uscire da me per fare il bene? A voi, giovani, a voi ragazzi e ragazze vi domando: voi, siete coraggiosi per questo, avete il coraggio di sentir e la voce di Gesù? E’ bello essere missionari!... Ah, siete bravi! Mi piace questo!

Questi settantadue discepoli, che Gesù manda davanti a sé, chi sono? Chi rappresentano? Se i Dodici sono gli Apostoli, e quindi rappresentano anche i Vescovi, loro successori, questi settantadue possono rappresentare gli altri ministri ordinati, presbiteri e diaconi; ma in senso più largo possiamo pensare agli altri ministeri nella Chiesa, ai catechisti, ai fedeli laici che si impegnano nelle missioni parrocchiali, a chi lavora con gli ammalati, con le diverse forme di disagio e di emarginazione; ma sempre come missionari del Vangelo, con l’urgenza del Regno che è vicino. Tutti devono essere missionari, tutti possono sentire quella chiamata di Gesù e andare avanti e annunciare il Regno!

Dice il Vangelo che quei settantadue tornarono dalla loro missione pieni di gioia, perché avevano sperimentato la potenza del Nome di Cristo contro il male. Gesù lo conferma: a questi discepoli Lui dà la forza di sconfiggere il maligno. Ma aggiunge: «Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20). Non dobbiamo vantarci come se fossimo noi i protagonisti: protagonista è uno solo, è il Signore! Protagonista è la grazia del Signore! Lui è l’unico protagonista! E la nostra gioia è solo questa: essere suoi discepoli, suoi amici. Ci aiuti la Madonna ed essere buoni operai del Vangelo.

Cari amici, la gioia! Non abbiate paura di essere gioiosi! Non abbiate paura della gioia! Quella gioia che ci dà il Signore quando lo lasciamo entrare nella nostra vita, lasciamo che Lui entri nella nostra vita e ci inviti ad andare fuori noi alle periferie della vita e annunciare il Vangelo. Non abbiate paura della gioia. Gioia e coraggio!

[Papa Francesco, Angelus 7 luglio 2013]

 

Consapevoli della realtà ostile

L’odierna pagina evangelica, tratta dal capitolo decimo del Vangelo di Luca (vv. 1-12.17-20), ci fa capire quanto è necessario invocare Dio, «il signore della messe, perché mandi operai per la sua messe» (v. 2). Gli “operai” di cui parla Gesù sono i missionari del Regno di Dio, che Egli stesso chiamava e inviava «a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi (v. 1). Loro compito è annunciare un messaggio di salvezza rivolto a tutti. I missionari annunziano sempre un messaggio di salvezza a tutti; non solo i missionari che vanno lontano, anche noi, missionari cristiani che diciamo una buona parola di salvezza. E questo è il dono che ci dà Gesù con lo Spirito Santo. Questo annuncio è dire: «E’ vicino a voi il Regno di Dio» (v. 9), perché Gesù ha “avvicinato” Dio a noi; Dio si è fatto uno di noi; in Gesù, Dio regna in mezzo a noi, il suo amore misericordioso vince il peccato e la miseria umana.

E questa è la Buona Notizia che gli “operai” devono portare a tutti: un messaggio di speranza e di consolazione, di pace e di carità. Gesù, quando manda i discepoli davanti a sé nei villaggi, raccomanda loro: «Prima dite: “Pace a questa casa!”. […] Guarite i malati che vi si trovano» (vv. 5.9). Tutto questo significa che il Regno di Dio si costruisce giorno per giorno e offre già su questa terra i suoi frutti di conversione, di purificazione, di amore e di consolazione tra gli uomini. È una cosa bella! Costruire giorno per giorno questo Regno di Dio che si va facendo. Non distruggere, costruire!

Con quale spirito il discepolo di Gesù dovrà svolgere questa missione? Anzitutto dovrà essere consapevole della realtà difficile e talvolta ostile che lo attende. Gesù non risparmia parole su questo! Gesù dice: «Vi mando come agnelli in mezzo a lupi» (v. 3). Chiarissimo. L’ostilità è sempre all’inizio delle persecuzioni dei cristiani; perché Gesù sa che la missione è ostacolata dall’opera del maligno. Per questo, l’operaio del Vangelo si sforzerà di essere libero da condizionamenti umani di ogni genere, non portando borsa, né sacca, né sandali (cfr v. 4), come ha raccomandato Gesù, per fare affidamento soltanto sulla potenza della Croce di Cristo. Questo significa abbandonare ogni motivo di vanto personale, di carrierismo o fame di potere, e farsi umilmente strumenti della salvezza operata dal sacrificio di Gesù.

Quella del cristiano nel mondo è una missione stupenda, è una missione destinata a tutti, è una missione di servizio, nessuno escluso; essa richiede tanta generosità e soprattutto lo sguardo e il cuore rivolti in alto, per invocare l’aiuto del Signore. C’è tanto bisogno di cristiani che testimoniano con gioia il Vangelo nella vita di ogni giorno. I discepoli, inviati da Gesù, «tornarono pieni di gioia» (v. 17). Quando noi facciamo questo, il cuore si riempie di gioia. E questa espressione mi fa pensare a quanto la Chiesa gioisce, si rallegra quando i suoi figli ricevono la Buona Notizia grazie alla dedizione di tanti uomini e donne che quotidianamente annunciano il Vangelo: sacerdoti - quei bravi parroci che tutti conosciamo -, suore, consacrate, missionarie, missionari… E mi domando - sentite la domanda -: quanti di voi giovani che adesso siete presenti oggi nella piazza, sentono la chiamata del Signore a seguirlo? Non abbiate paura! Siate coraggiosi e portare agli altri questa fiaccola dello zelo apostolico che ci è stata data da questi esemplari discepoli.

Preghiamo il Signore, per intercessione della Vergine Maria, perché non manchino mai alla Chiesa cuori generosi, che lavorino per portare a tutti l’amore e la tenerezza del Padre celeste.

[Papa Francesco, Angelus 3 luglio 2016]

Venerdì, 27 Giugno 2025 04:46

Digiuno: Apertura

Otri nuovi e Libertà vocazionale

(Mt 9,14-17)

 

Il digiuno è un principio di rigenerazione che ha un potere curativo unico, sia disintossicante che essenziale. Esso attiva le energie della propria umanità e nel contempo della propria diversità.

Tale pratica silenziosa si rivolge agli strati profondi, alla dimensione interna, che diventa la guida e rischiamo d’ignorare.

 

Il digiuno era segno di religiosità profonda, perciò i discepoli di Gesù - che non digiunavano, anzi la loro vita aveva un carattere festivo - erano assimilati più o meno a dei peccatori.

Sebbene non esistessero prescrizioni formali, presso i circoli osservanti si trattava di pie pratiche diventate consuetudini [legate a giorni precisamente scanditi].

Nelle credenze semitiche il digiuno era in specie espressivo dell’imbarazzo e dell’afflizione dell’uomo devoto nell’aspettativa dei tempi messianici, che tardavano.

Per questo Gesù associa il digiuno al lutto - che non ha più senso nella vita come festa di Nozze senza remore che Egli inaugura.

Il digiuno rimane come segno di attesa del compimento, ma ora la mestizia non ha più significato.

Nel tempo della Chiesa che rende presente il Risorto, la rinuncia a ingozzare non è forma di penitenza ma di speranza (v.15).

E serve a tener sgombro il cuore degli amici dello Sposo dalle vanità, con una forma d’identificazione coi poveri.

Nelle comunità di Galilea e Siria cui Mt si rivolge, i giudaizzanti tentavano di ridurre la Fede pura - fondamento e partecipazione entusiasta - a credenze e praticucce qualsiasi.

Disposizioni che non facevano sentire tutti liberi.

Gran parte dei giudei convertiti a Cristo propendeva infatti per nostalgie che risultavano di freno e impedimento. 

Mt incoraggia i convertiti delle sue fraternità, provenienti da credenze miste e non regolari - fronteggiando l’opinione delle tradizioni religiose più severe.

 

Ancora oggi la proposta del Signore si distingue - perché non pretende di preparare il Regno, bensì lo accoglie e lo ascolta.

Sarà unicamente il Cristo-in-noi ad alimentarci in modo ininterrotto e crescente, nell’impegno per ripartire nel compito di ritrovarci ed emancipare il mondo - ma in un clima di austerità tranquilla.

Il Richiamo dei Vangeli permane al contempo equilibrato, concreto e fortemente profetico, perché suscita attenzione alle persone, alla realtà, e alla nostra gioia - assai più che a norme di perfezionamento non richieste, o altri rattoppi (v.16).

Non soverchiando né imponendo carichi artificiosi ai credenti, la vita di Fede mette in gioco la libertà [e così ce la fa conoscere] affinché ne prendiamo coscienza e la assumiamo per poterla investire come Grazia, carica e risorsa di novità.

I meccanismi rinunciatari e mortificanti di affinamento individualista sono estranei in partenza - a meno che non siano pensati per la condivisione dei beni.

Gesù non viene per farsi un gruppetto di seguaci seduti sulla cattedra dell’austerità, ma per comunicare che il rapporto con Dio è una festa.

Il digiuno gradito al Padre sta nell’esperienza lucida della propria irripetibile eccentricità e Chiamata, nel liberarsi dall’egoismo dell’arraffare per sé, e nel recare sollievo al prossimo.

Per questo motivo la Chiesa ha abolito quasi del tutto il precetto del digiuno esteriore, mentre intende impegnarsi maggiormente per forme di limitazione in favore dei malfermi, umili e bisognosi.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Tieni al digiuno? Da cosa? E per quale scopo?

 

 

[Sabato 13.a sett. T.O.  5 luglio 2025]

Venerdì, 27 Giugno 2025 04:42

Otri nuovi e Libertà vocazionale

Digiuno: Apertura

(Mt 9,14-17)

 

Il digiuno ha percorso tutte le tradizioni religiose e mistiche, perché inteso ad avvicinare la donna e l’uomo alla propria essenza profonda - a un ascolto di sé, dei codici del sacro, del cosmo interiore, della propria vocazione, delle sacre Pagine - nell’attesa di trasformazioni.

Ci si affida a una diversa saggezza - meno rumorosa - che può attivare processi di metamorfosi, proprio facendo un vuoto dalle intrusioni del pensiero omologato, dalle abitudini o conformismi esterni che tendono a sopraffare la personalità.

Staccandosi, svaniranno i tormenti, sostituiti da altri interessi e sogni lucidi; suscitati dalla nuova breccia verso il nostro lato eterno, e da quell’affidarsi al nocciolo dell’essere che ancora ci sta creando.

L'unità psico-fisica e sovrannaturale sono un organismo prodigioso, che può diradare le nebbie ed esaltare le sue capacità con diverse forme di sospensione e pulizia anche mentale - la quale ci porterà dove dobbiamo andare.

Ma nello specifico dei figli di Dio, tutto ciò mira ad affinare lo sguardo nel senso della conoscenza, scoperta, sorpresa di capacità e qualità singolari e missionarie insospettabili. Quelle che sgorgano dal rinvenimento del Sé eminente, dalla propria Relazione fondante - per divenire unicità di rapporto eccezionale con gli altri, nell’Esodo che ci corrisponde.

Il digiuno è un principio di rigenerazione che ha un potere curativo unico, sia disintossicante che essenziale. Esso attiva le energie della propria umanità e nel contempo della propria diversità.

Tale pratica silenziosa si rivolge agli strati profondi, alla dimensione interna, che diventano la guida (e rischiamo di ignorare).

Ma qui capire le dissomiglianze resta indispensabile. Per noi è un gesto di apertura!

Altro genere di diete o atletismi sono non di rado devianti: il loro stesso nonsenso recherà tristezza e persino depressione.

Il digiuno rimane segno di attesa del compimento, ma ora la mestizia non ha più significato.

Nel tempo della Chiesa che rende presente il Risorto, la rinuncia a ingozzare non è forma di penitenza ma di speranza (v.20).

E serve a tener sgombro il cuore degli amici dello Sposo dalle vanità, con una forma d’identificazione coi poveri.

Ma Gesù non viene per farsi un gruppetto di seguaci seduti sulla cattedra dell’austerità, bensì per comunicare che il rapporto con Dio è una festa!

Insomma, il digiuno gradito al Padre sta nell’esperienza lucida della propria irripetibile eccentricità e Chiamata, nel liberarsi dall’egoismo dell’arraffare per sé, e recare sollievo al prossimo.

Clima che crea vita, non la decurta.

 

Il digiuno era segno di religiosità profonda, perciò i discepoli di Gesù - che non digiunavano, anzi la loro esistenza aveva un carattere festivo - erano assimilati più o meno a dei peccatori.

Sebbene non esistessero prescrizioni formali, si trattava di pie pratiche diventate consuetudini, presso i circoli osservanti [qui la seriosità era tutto] legate a giorni precisamente scanditi.

Nelle credenze semitiche il digiuno era in specie espressivo dell’imbarazzo e dell’afflizione dell’uomo devoto nell’aspettativa fremente dei tempi messianici, che tardavano.

Per questo Gesù associa il digiuno al lutto - che non ha più senso nella vita come festa di Nozze senza remore che Egli inaugura.

Dove appunto non c’è bisogno di aggiunte, né controlli o impronte, marchi e caratteri distintivi.

La Nuova Alleanza non è neppure ammodernamento di pratiche morali o prescrizioni pie che forniscano un lasciapassare religioso esterno.

Tutto è in rapporto alla presenza reale dello Sposo, che non punisce la vita.

Certo, colui che procede nel cammino dell’emancipazione e non si accontenta di un Gesù-Sposo parziale, già conosce in sé cosa lo attende…

Poi (v.15) nel confronto stridente con i capi religiosi - aggrappati al prestigio - ecco mestizie e umiliazioni a non finire. Altro che digiuno dai cibi.

Tuttavia, chi ha deciso di continuare il suo cammino di Libertà vocazionale sa che deve rivivere le medesime vicende di palese conflitto che ha contrapposto il Maestro alla mentalità e alle autorità del suo tempo; infine, in tale Incontro reale con Lui, sperimentare il dono totale della vita (v.15).

Sarà unicamente il Cristo-in-noi anche centellinato e non definitivo ad alimentare anima e corpo in modo ininterrotto e crescente.

Ciò con l’impegno per ripartire nella missione di trovarci e dare respiro al mondo.

In un clima di austerità tranquilla; senza freni artificiosi.

 

Nelle comunità di estrazione giudaizzante cui Mt si rivolge, c’era un forte bisogno di liberare il Risorto da pastoie [fissazioni disciplinari, orari, calendario].

I credenti Lo percepivano vivo - complice del nuovo carattere umanizzante che sperimentavano giorno per giorno.

 

L’evangelista ha voluto orientare le sue assemblee di Galilea e Siria [forse di metà anni 70] a non attaccarsi a finte sicurezze.

Bisognava prendere una posizione del tutto alternativa e non finire come i “padri” o i gruppi attorno, di estrazione religiosa antica e settaria.

Ma anche i giudaizzanti tentavano di ridurre la Fede pura - fondamento e partecipazione entusiasta - a rigide credenze e praticucce qualsiasi.

Circoli viziosi che finivano per ritrasmettere vecchi sensi di colpa, invece che insoliti spunti relazionali.

 

Gran parte dei giudei convertiti propendeva infatti per nostalgie che risultavano di freno e impedimento.

Proprio tali veterani faticavano a fare proprio in modo entusiasta il nuovo habitus di libertà, e lo spumeggiare completo del Vangelo.

Ancora oggi la Proposta del Signore si distingue da tutte le dottrine esclusiviste, colme di prescrizioni e adempimenti.

La sua Presenza traspare in spirito. E i suoi intimi non pretendono preparare il Regno, bensì lo accolgono e ascoltano - con fiducia nella vita.

Così avviene nel tempo della crisi, che sta disponendo a un digiuno meno esteriore, più globale - considerevole ma sapiente.

Travaglio che può condurre l'umanità alla percezione sensibile, al senso di comunione, al silenzio e all’abbraccio; a un minore impeto egocentrico e dirigista. Ad un approfondimento - e completezza.

 

Scrive il Tao Tê Ching (v): «Lo spazio tra Cielo e Terra, come somiglia a un mantice!».

Commenta il maestro Wang Pi: «Se il mantice avesse una sua volontà nell’emettere il soffio, non potrebbe attuare l’intento di chi lo fa soffiare».

E il maestro Ho-shang Kung aggiunge: «Le molte imprese nuocciono allo spirito».

 

Insomma, Cristo fa tesoro della sapienza naturale e non ci riduce a misura di religione qualsiasi: non confina i credenti in “trattative” mediante piccole procedure di atletismo e perfezione individuale.

Non insiste su mortificazioni eroiche, rinunce straordinarie, osservanza puntigliosa di leggi sterili - unilaterali - a meno che non siano pensate in ordine al ritrovarsi, all’umanizzazione, alla condivisione dei beni.

Il Richiamo dei Vangeli permane al contempo equilibrato, concreto e fortemente profetico.

Appello che suscita attenzione alle persone, alla realtà, alla nostra gioia - assai più che a norme di levigatura asettica non richieste, o altri rattoppi (v.16).

 

Non soverchiando né imponendo carichi artificiosi ai credenti, la vita di Fede mette in gioco l’autodeterminazione.

Così ce la fa conoscere - affinché ne prendiamo coscienza e la assumiamo per poterla investire come Grazia, carica (non diminuzione): risorsa di novità.

I meccanismi ascetici di affinamento individualista sono estranei in partenza: l’obbiettivo è creare Famiglia, non ritagliarsi una cerchia di duri e puri tutti esterni e fieri di sé, che si distacchino da fratelli più deboli.

Poi, autocompiaciuti, divenire sleali, usurpatori, intriganti: una storia di pecche, trame equivoche e ritardi pastorali, dietro una facciata impeccabile di dottrine cerebrali, discipline (a modo) e commemorazioni eclatanti sul corpo del “povero defunto”.

Per questo motivo la Chiesa ha abolito quasi del tutto il precetto del digiuno esteriore, mentre intende impegnarsi maggiormente per forme di limitazione in favore dei malfermi, emarginati, umili e bisognosi.

 

La scelta vuol continuare a essere nitida: la libertà non ha prezzo.

E non c’è amore se qualcuno - fosse anche Dio - tagliasse o sovrastasse l’altro, imponendo gioghi artificiosi, troppo uguali a sempre; insopportabili, strampalati, infecondi.

Così i vecchi contenitori non vanno più accoppiati al nuovo fermento. La pratica dei rappezzi danneggia sia le usanze che la Novità di Dio.

Certo, il vino vecchio e le talari hanno un’attrattiva fascinosa per i sensi e l’immaginario epidermico vintage

Per questo continuano a piacere [Lc 5,39: «Il vecchio è eccellente!»]. Non pochi vogliono combinarlo con il Signore (Mt 9,17; Mc 2,22; Lc 5,37-38).

 

Il Maestro non era per sé avversario dello spirito dell’antico, ma combatteva le sue scorze irremovibili. Già allora gusci vuoti, i quali impedivano di fatto la manifestazione d’un inedito Volto dell’Eterno Vivente, e d’una più genuina idea di uomo riuscito - germe di società alternativa, fraterna.

Realtà ben separate da quelle intimiste o autoreferenziali tipiche dei culti ufficiali o fai-da-te. Tutte innovazioni che dovevano manifestarsi. 

Il gusto e i retrogusti del vino vecchio ammantavano i riti devoti e le usanze stagionate con arte, leziosità e fascino evocativo, ma si piantavano lì e non graffiavano la vita.

Ricordavano ricordavano, ma non facevano memoriale - ossia non riattualizzavano per il popolo minuto.

Nella pratica dei molti culti, nelle sue imprese di catechesi senza nerbo pastorale, anche oggi in provincia notiamo [da decenni] un rigurgito pre-conciliare meccanico, che si ferma alle grandi icone.

Meraviglie e memorie della Storia della Salvezza... tutto lì.

Ai responsabili locali è sembrato più facile tornare alle usanze e catechismi abbreviati che affrontare il rischio educativo che lo stesso Magistero imporrebbe.

Il risultato immediato è stato valutato appetibile e redditizio, per il settore [sotto sotto] fondamentalista o glamour, e astuto - volentieri soppiantando l’effervescenza sconosciuta del vino novello.

Infatti, da parte di coloro che sanno “come si sta al mondo”, bisogna ancora subire tutta una superficialità di ripieghi e accomodature abitudinarie, le quali non riscattano nessuno e non recano gioia, perché non entrano nelle vicende umane personali.

Accontentandosi poi del menu di pesce il venerdì. Autentico superfluo.

Ma chi si ferma al passato di mortificazioni e cartapesta non potrà mai comprendere la Riforma che lo Spirito propone per edificare ogni anima nell’appagamento autentico, che ci stringe meglio gli uni gli altri.

Così, nella coesistenza e convivialità delle differenze, i vecchi contenitori non vanno più accoppiati al nuovo fermento.

 

La pratica delle rappezzature può da un lato danneggiare le usanze, perché esse hanno un loro gusto rifinito e spiccato (pertinente in sé) - dall’altro distogliere e attenuare la vita del mutamento, nell’Esodo che non ci spegne.

 

Insomma, il Signore non pensa per noi una pratica di rammendi e delimitazioni che rinchiudono: piuttosto, vuol rompere le gabbie.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Tieni al digiuno? Da cosa? E per quale scopo? Rompe le gabbie? È o no in ordine al conoscersi, ritrovarsi, e ascoltare, curare, condividere, abbracciarsi, stringersi meglio gli uni gli altri?

Quali conflitti interiori sperimenti attorno a pratiche religiose che ritieni rechino ancora sofferenza alle persone e non sono espressione sponsale o motivo di emancipazione per la donna e l’uomo?

Quale immagine di Dio e dell’umanità credente soggiace a preconcetti e proibizioni? Come dimostri il primato di Gesù in ogni settore della vita?

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Today’s Gospel passage (cf. Lk 10:1-12, 17-20) presents Jesus who sends 72 disciples on mission, in addition to the 12 Apostles. The number 72 likely refers to all the nations. Indeed, in the Book of Genesis 72 different nations are mentioned (cf. 10:1-32) [Pope Francis]
L’odierna pagina evangelica (cfr Lc 10,1-12.17-20) presenta Gesù che invia in missione settantadue discepoli, in aggiunta ai dodici apostoli. Il numero settantadue indica probabilmente tutte le nazioni. Infatti nel libro della Genesi si menzionano settantadue nazioni diverse (cfr 10,1-32) [Papa Francesco]
Christ reveals his identity of Messiah, Israel's bridegroom, who came for the betrothal with his people. Those who recognize and welcome him are celebrating. However, he will have to be rejected and killed precisely by his own; at that moment, during his Passion and death, the hour of mourning and fasting will come (Pope Benedict)
Cristo rivela la sua identità di Messia, Sposo d'Israele, venuto per le nozze con il suo popolo. Quelli che lo riconoscono e lo accolgono con fede sono in festa. Egli però dovrà essere rifiutato e ucciso proprio dai suoi: in quel momento, durante la sua passione e la sua morte, verrà l'ora del lutto e del digiuno (Papa Benedetto)
Peter, Andrew, James and John are called while they are fishing, while Matthew, while he is collecting tithes. These are unimportant jobs, Chrysostom comments, "because there is nothing more despicable than the tax collector, and nothing more common than fishing" (In Matth. Hom.: PL 57, 363). Jesus' call, therefore, also reaches people of a low social class while they go about their ordinary work [Pope Benedict]
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo -  “poiché non c'è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario [Papa Benedetto]
The invitation given to Thomas is valid for us as well. We, where do we seek the Risen One? In some special event, in some spectacular or amazing religious manifestation, only in our emotions and feelings? [Pope Francis]
L’invito fatto a Tommaso è valido anche per noi. Noi, dove cerchiamo il Risorto? In qualche evento speciale, in qualche manifestazione religiosa spettacolare o eclatante, unicamente nelle nostre emozioni e sensazioni? [Papa Francesco]
A life without love and without truth would not be life. The Kingdom of God is precisely the presence of truth and love and thus is healing in the depths of our being. One therefore understands why his preaching and the cures he works always go together: in fact, they form one message of hope and salvation (Pope Benedict)
Una vita senza amore e senza verità non sarebbe vita. Il Regno di Dio è proprio la presenza della verità e dell’amore e così è guarigione nella profondità del nostro essere. Si comprende, pertanto, perché la sua predicazione e le guarigioni che opera siano sempre unite: formano infatti un unico messaggio di speranza e di salvezza (Papa Benedetto)
His slumber causes us to wake up. Because to be disciples of Jesus, it is not enough to believe God is there, that he exists, but we must put ourselves out there with him; we must also raise our voice with him. Hear this: we must cry out to him. Prayer is often a cry: “Lord, save me!” (Pope Francis)
Il suo sonno provoca noi a svegliarci (Papa Francesco)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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