don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Martedì, 14 Ottobre 2025 12:04

29a Domenica T.O. (anno C)

XXIX Domenica Tempo Ordinario (anno C)  [19 Ottobre 2025]

 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. Ancora un forte richiamo a come vivere la fede in ogni situazione della vita.

  

Prima Lettura dal libro dell’Esodo (17,8-13)

 La prova della fede. Nel cammino di Israele nel deserto, l’incontro con gli Amaleciti segna una tappa decisiva: è la prima battaglia del popolo liberato dall’Egitto, ma anche la prima grande prova della sua fede. Gli Amaleciti, discendenti di Esaù, rappresentano nella tradizione biblica il nemico ereditario, figura del male che tenta di impedire al popolo di Dio di raggiungere la terra promessa. La loro aggressione improvvisa contro gli ultimi della carovana — i più deboli e stanchi — manifesta la logica del male: colpire dove la fede vacilla, dove la stanchezza e la paura aprono la breccia del dubbio. Questo episodio avviene a Refidim, lo stesso luogo di Massa e Meriba, dove Israele aveva già mormorato contro Dio per la mancanza d’acqua. Là il popolo aveva sperimentato la prova della sete, ora vive la prova del combattimento: in entrambi i casi, la tentazione è la stessa — pensare che Dio non sia più con lui. Ma ancora una volta Dio interviene, mostrando che la fede si purifica attraverso la lotta e che la fiducia deve restare salda anche nel pericolo. Mosè, mentre Giosuè combatte nella pianura, sale sul monte con in mano il bastone di Dio — segno della sua presenza e del suo potere. Il racconto non insiste sui movimenti delle truppe, ma sul gesto di Mosè: le mani levate verso il cielo. Non è un gesto magico: è la preghiera che sostiene il combattimento, la fede che diventa forza per tutto il popolo. Quando le braccia di Mosè si abbassano, Israele perde; quando restano alzate, Israele vince. La vittoria dipende dunque non solo dalla forza delle armi, ma dalla comunione con Dio e dalla preghiera perseverante. Mosè si stanca, Aronne e Cur gli sostengono le mani: ecco l’immagine della fraternità spirituale, della comunità che porta insieme il peso della fede. Così la preghiera non è isolamento, ma solidarietà: chi prega sostiene gli altri, e chi combatte attinge forza dalla preghiera dei fratelli. Questo episodio diventa quindi un paradigma della vita spirituale: Israele, fragile e ancora in cammino, impara che la vittoria non viene dalla forza umana, ma dalla fiducia in Dio. La preghiera, rappresentata dalle mani levate di Mosè, non sostituisce l’azione ma la accompagna e la trasfigura. L’orante e il combattente sono due volti dello stesso credente: uno lotta nel mondo, l’altro intercede davanti a Dio ed entrambi partecipano all’unica opera della salvezza. Infine, la comunità orante diventa il segno vivente della presenza di Dio che opera nel suo popolo e quando un credente non ha più la forza di pregare, la fede dei fratelli lo sostiene. La storia di Amalek a Refidim non è solo una pagina di cronaca, bensì un’icona della vita cristiana: viviamo tutti le nostre battaglie sapendo che la vittoria appartiene a Dio e la preghiera è sorgente di ogni forza e garanzia della presenza divina.

 

Salmo responsoriale (120/121) 

Il Salmo 120/121 appartiene al gruppo dei “Salmi delle ascensioni” (Sal 120-134), composti per accompagnare i pellegrinaggi del popolo d’Israele verso Gerusalemme, la città santa situata in alto, simbolo del luogo dove Dio abita in mezzo al suo popolo. Il verbo “salire” indica non solo l’ascesa geografica ma anche e soprattutto un movimento spirituale, una conversione del cuore che porta il credente ad avvicinarsi a Dio. Ogni pellegrinaggio rappresentava per Israele un segno dell’Alleanza e un atto di fede: il popolo, in cammino da ogni parte del paese, rinnovava la propria fiducia nel Signore. Quando il salmo parla in prima persona — “alzo gli occhi verso i monti” — in realtà dà voce al “noi” collettivo di tutto Israele, il popolo in marcia verso Dio. Questo cammino è immagine dell’intera storia d’Israele, una lunga marcia nella quale si intrecciano fatica, attesa, pericolo e fiducia. Le vie che conducono a Gerusalemme, oltre ad essere strade di pietra, sono vie spirituali segnate da prove e rischi. La stanchezza, la solitudine, le minacce esterne — briganti, animali, sole cocente, notti fredde — diventano simboli delle difficoltà della fede. In questa situazione, la parola del salmo è una professione di fiducia assoluta: “Il mio aiuto viene dal Signore: egli   ha fatto cielo e terra.” Con queste parole si afferma che il vero aiuto non viene da potenze umane né da idoli muti, ma dal Dio vivente, Creatore dell’universo, che non dorme e non abbandona il suo popolo. Egli è chiamato “Custode d’Israele”: colui che veglia continuamente, che accompagna, che si fa vicino come un’ombra che protegge dal sole e dalla luna. L’espressione ebraica “alla tua destra” indica una presenza intima e fedele, come quella di un compagno inseparabile. Il popolo che prega questo salmo ricorda così la colonna di nube e di fuoco che guidava Israele nel deserto, segno di Dio che protegge di giorno e di notte, mentre accompagna il cammino e custodisce la vita. Perciò il salmista può dire: “Il Signore ti custodirà da ogni male, egli custodirà la tua vita. Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri da ora e per sempre” . Il pellegrino che “sale” a Gerusalemme diventa l’immagine del credente che si affida a Dio solo, rinunciando agli idoli e alle false sicurezze. Questo movimento è la conversione: distogliersi da ciò che è vano per orientarsi al Dio che salva. Nel Nuovo Testamento, Gesù stesso ha potuto pregare questo salmo mentre “saliva a Gerusalemme” (Lc 9,51). Egli compie il cammino di Israele e di ogni uomo, affidando la propria vita al Padre. Le parole “Il Signore custodirà la tua vita” trovano il loro pieno compimento nella Pasqua, quando il ritorno del pellegrino diventa risurrezione perché è ritorno alla vita nuova e definitiva. Così, il Salmo 121 è molto più di una preghiera di viaggio: è la confessione di fede di un popolo in cammino, la proclamazione che Dio è fedele e che la sua presenza accompagna ogni passo dell’esistenza. In esso si uniscono la memoria storica, la fiducia teologica e la speranza escatologica. Israele, il credente e Cristo stesso condividono la stessa certezza: Dio custodisce la vita e ogni salita, anche la più faticosa, conduce alla comunione con Lui.

 

Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo a Timoteo (3, 14 - 4, 2)

In questo brano della seconda lettera a Timoteo (3,14-4,2), Paolo consegna al suo discepolo l’eredità più preziosa: la fedeltà alla Parola di Dio. È un testo scritto in un momento difficile, segnato da confusioni dottrinali e da tensioni nella comunità di Efeso. Timoteo è chiamato a essere “custode della Parola”, in mezzo a un mondo che rischia di smarrire la verità ricevuta. Le prime parole, “Tu rimani saldo in quello che hai imparato”, fanno capire che altri hanno abbandonato l’insegnamento apostolico: la fedeltà diventa allora un atto di resistenza spirituale, un rimanere ancorati alla sorgente. Paolo parla dell’“abitare” nella Parola: la fede non è un oggetto da possedere, ma un ambiente in cui vivere. Timoteo vi è entrato fin da bambino grazie alla madre Eunice e alla nonna Loide, donne credenti che gli hanno trasmesso l’amore per le Scritture. Abbiamo qui un richiamo al carattere comunitario e tradizionale della fede: nessuno scopre da sé la Parola, ma sempre nella Chiesa. L’accesso alla Scrittura avviene dentro la Tradizione viva, quella “catena” che parte da Cristo, passa attraverso gli apostoli e continua nei credenti. “Tradere” in latino significa “trasmettere”: ciò che si riceve, si dona. In questa fedeltà, la Scrittura è sorgente d’acqua viva che rigenera il credente e lo radica nella verità. Paolo afferma che le Sacre Scritture possono istruire per la salvezza che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù (v.15). L’Antico Testamento è cammino che conduce a Cristo: l’intera storia di Israele prepara il compimento del mistero pasquale. “Tutta la Scrittura è ispirata da Dio”: prima ancora che diventasse dogma, era la convinzione profonda del popolo d’Israele, da cui nasce il rispetto per i Libri santi custoditi nelle sinagoghe. L’ispirazione divina non annulla la parola umana, ma la trasfigura, facendone strumento dello Spirito. La Scrittura, dunque, non è un libro tra altri, ma una presenza viva di Dio che forma, educa, corregge e santifica: grazie a essa, l’uomo di Dio sarà perfetto, equipaggiato per ogni opera buona (vv16-17). Da questa sorgente nasce la missione e Paolo affida a Timoteo il comando decisivo: “Annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno”(v.4,2) perché l’annuncio del Vangelo è una necessità, non un compito facoltativo. Il riferimento solenne al giudizio di Cristo sui vivi e sui morti mostra la gravità della responsabilità apostolica. Proclamare la Parola significa rendere presente il Logos, cioè Cristo stesso, Parola vivente del Padre. È Lui che si comunica attraverso la voce del predicatore e la vita del testimone. Ma l’annuncio esige coraggio e pazienza: occorre parlare quando è comodo e quando non lo è, ammonire, correggere, incoraggiare, sempre con spirito di carità e desiderio di edificare la comunità. La verità, senza amore, ferisce; l’amore, senza verità, svuota la Parola. Per Paolo, la Scrittura non è solo memoria, ma dinamismo dello Spirito. Essa modella la mente e il cuore, forma il giudizio, ispira le scelte. Chi vi dimora diventa “uomo di Dio”, cioè persona plasmata dalla Parola e resa capace di servire. Timoteo è invitato non solo a custodire la dottrina, ma a farne sorgente di vita per sé e per gli altri. Così la Parola, accolta e vissuta, diventa luogo d’incontro con Cristo e sorgente di rinnovamento per la Chiesa. L’apostolo non fonda nulla di suo, ma trasmette ciò che ha ricevuto; allo stesso modo, ogni credente è chiamato a diventare anello di questa catena viva, perché la Parola continui a scorrere nel mondo come acqua che disseta, purifica e feconda. In sintesi: La Scrittura è la sorgente della fede, la Tradizione ne è il fiume che la trasmette, la proclamazione ne è il frutto che alimenta la vita della Chiesa. Restare nella Parola significa restare in Cristo; proclamarla significa lasciarLo agire e parlare attraverso di noi. Solo così l’uomo di Dio diventa pienamente formato e la comunità cresce nella verità e nella carità.

 

Dal Vangelo secondo Luca (18,1-8)

Il contesto di questa parabola è quello della “fine dei tempi”: Gesù cammina verso Gerusalemme, verso la Passione, morte e Risurrezione. I discepoli percepiscono l’epilogo tragico e misterioso, sentono la necessità di maggiore fede (“Aumenta in noi la fede”) e sono ansiosi di comprendere la venuta del Regno di Dio. Il termine “Figlio dell’uomo”, già presente in Daniele (7), indica colui che viene sulle nubi, riceve la regalità universale e eterna, e rappresenta in senso originale anche un essere collettivo, il popolo dei Santi dell’Altissimo. Gesù lo adopera per riferirsi a sé stesso, rassicurando i discepoli sulla vittoria definitiva di Dio, pur in un contesto di difficoltà imminenti. Il riferimento al giudizio e al Regno sottolinea la prospettiva escatologica: Dio farà giustizia ai suoi eletti, il Regno è già iniziato, ma sarà pienamente realizzato alla fine. La parabola della vedova ostinata è al cuore del messaggio: davanti a un giudice ingiusto, la vedova non si scoraggia perché la sua causa è giusta. Quest’esempio unisce due virtù essenziali per il cristiano: umiltà, riconoscendo la propria povertà (prima beatitudine: “Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio”), e perseveranza, l’insistenza fiduciosa nella preghiera e nella giustizia. L’ostinazione della vedova diventa paradigma per la fede in attesa del Regno: anche la nostra causa, fondata sulla volontà di Dio, richiede tenacia. Il testo richiama inoltre il legame con l’episodio dell’Antico Testamento: durante la battaglia contro gli Amaleciti, Mosè prega con ostinazione sulla collina mentre Giosuè combatte in pianura. La vittoria del popolo dipende dalla presenza e dall’intervento di Dio, sostenuto dalla preghiera perseverante di Mosè. La parabola della vedova ha la stessa funzione: ricordare ai credenti, di ogni tempo, che la fede è un combattimento continuo, una prova di resistenza davanti alle difficoltà, alle opposizioni e ai dubbi. La domanda conclusiva di Gesù, “Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?”, è un monito universale: la fede non va mai data per scontata, deve essere custodita, nutrita e protetta. Dal primo mattino della Risurrezione fino alla venuta definitiva del Figlio dell’uomo, la fede è una lotta di costanza e fiducia, anche quando il Regno sembra lontano. La vedova insegna come affrontare l’attesa: umili,  ostinati, fiduciosi, consapevoli della propria debolezza ma certi della giustizia e della volontà salvifica di Dio che mi delude le attese di chi in lui confida totalmente. Luca sembra scrivere a una comunità minacciata dallo scoraggiamento, come suggerisce la frase finale: “Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?”. Questa frase, pur apparendo pessimistica, è in realtà un monito alla vigilanza: la fede va custodita e alimentata, non data per scontata. Il testo forma un’inclusione: la prima frase insegna cosa sia la fede — “Bisogna pregare sempre senza scoraggiarsi” — e la frase finale invita alla perseveranza. Tra le due, l’esempio della vedova ostinata, trattata ingiustamente ma che non si arrende, mostra concretamente come praticare questa fede. L’insegnamento complessivo è chiaro: la fede è un impegno costante, una resistenza attiva, che richiede ostinazione, umiltà e fiducia nella giustizia di Dio, anche di fronte alle difficoltà e all’apparente assenza di risposta.

+ Giovanni D’Ercole

Venerdì, 10 Ottobre 2025 02:46

Due a due, per includere le opposte polarità

E smuovere i vicini

(Lc 10,1-9)

 

Gesù constata che gli Apostoli non sono persone libere (cf. Lc 9). Il loro modo di essere è talmente fondato su atteggiamenti standard e comportamenti obbligati da tradursi in armature mentali impermeabili.

La loro prevedibilità è troppo limitante: non dà respiro al cammino di coloro che invece vogliono riattivarsi, scoprire, valorizzare sorprese dietro i lati segreti della realtà e della personalità.

Ciò che rimane vincolato ad antiche costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

Il Signore si vede costretto a chiamare i samaritani [gli eretici della religione] raccolti altrove, non provenienti da osservanze “corrette”, ma in grado di camminare, comprendere e non fare gli schizzinosi.

I nuovi inviati vanno sulla strada indifesi. Non potendo contare sulle consuete astuzie, vengono sicuramente danneggiati, defraudati e - se toccano tutti i nervi scoperti - sbranati.

Ma il loro essere dimesso e poco saccente fa pensare, suscita nuovi saperi e consapevolezze. Così la loro amicizia spontanea e innocente.

 

Poi, in situazioni bloccate sarà questo “disordine” di nuovi stupefatti a introdurre rinnovato fascino, evocare potenzialità, allargare occasioni espressive e il campo d’azione di tutti.

 

Giunti in un territorio, sarà bene non passare di casa in casa: da una sistemazione di fortuna all’appartamento, alla villa e poi al palazzo, perché la ricerca di migliori agi fa sparire la Novità di Dio.

La cura dei malati e delle devianze è punto fermo della Missione, perché proprio dalle insicurezze o eccentricità germoglia un regno diverso, quello che si accorge e si fa carico - nell’amore di chi non abbandona.

E non si perda tempo a pettinare l’ambiente seduto: anche un volontario allontanamento educa alla gratuità.

Lo slancio della vita desterà le coscienze e prevarrà sul negativo: nel cammino che ci appartiene le accuse conteranno sempre meno.

 

A differenza dell’azione infruttuosa degli Apostoli (Lc 9 passim), il ritorno dei nuovi evangelizzatori è pieno di gioia e risultati (vv.17-20).

Sono gli ultimi e diversi a far cadere dal “cielo” - e sostituire - i nemici dell’umanità e della nostra Letizia (vv.5-6).

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalom] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano e realizzano anche spiritualmente.

Ora la Salvezza (vita da salvati) che fiorisce è a portata di mano di tutti (v.9), non più un privilegio.

I lati giudicati pazzeschi, estranei o materialmente inconcludenti stanno apprestando i nostri nuovi percorsi.

 

Nel grande Mistero di percepirsi come un ‘essere nel Dono’ - «due a due» (v.1) per vivere in pienezza - il sé comprende le opposte polarità della sua essenza.

Solo così ‘dilatati’ diventiamo un essere con e per l'altro. In cammino sulla Via, nella forma di Croce.

 

 

[San Luca, Evangelista, 18 ottobre]

Venerdì, 10 Ottobre 2025 02:42

Oltre i Dodici: altri 72 insicuri

Chiama i lontani, per smuovere i vicini

(Lc 10,1-12.17-20)

 

E io e Te

«La Verità non è affatto ciò che ho. Non è affatto ciò che hai. Essa è ciò che ci unisce nella sofferenza, nella gioia. Essa è figlia della nostra Unione, nel dolore e nel piacere partoriti. Né io né Te. E io e Te. La nostra opera comune, stupore permanente. Il suo nome è Saggezza».

(Irénée Guilane Dioh)

 

Gesù constata che gli Apostoli non sono persone libere, per questo non emancipano nessuno e addirittura impediscono qualsiasi svolta (cf. Lc 9).

Il loro modo di essere è talmente fondato su atteggiamenti standard e comportamenti obbligati da tradursi in armature mentali impermeabili.

La loro prevedibilità è troppo limitante: non dà respiro al cammino di coloro che invece vogliono riattivarsi, scoprire e valorizzare sorprese dietro i lati segreti della realtà e della personalità.

Ciò che rimane vincolato ad antiche costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

Il Signore si vede costretto a chiamare i samaritani (gli eretici della religione) raccolti altrove, non provenienti da osservanze “corrette” - ma in grado di camminare, comprendere e non fare gli schizzinosi.

Almeno loro non smentiscono la Parola che proclamano con una vita dietro le quinte: quello che vedi, sono.

È praticamente indotto a sorvolare i Dodici, con «72» insicuri ma trasparenti, nell’incertezza dei (molti) lupi che si sentono destabilizzati.

I nuovi inviati vanno sulla strada indifesi. Non potendo contare sulle consuete astuzie, vengono sicuramente danneggiati, defraudati e - se toccano tutti i nervi scoperti - sbranati.

Ma il loro essere dimesso e poco saccente fa pensare, suscita nuovi saperi e consapevolezze. Così la loro amicizia spontanea e innocente.

Poi, in situazioni bloccate sarà questo “disordine” di nuovi stupefatti a introdurre rinnovato fascino; evocare potenzialità, allargare le possibili inclinazioni espressive, e il campo d’azione di tutti.

Sono i testimoni critici a trasmutare il mondo e guidare le persone alla lode (perché magari si sono semplicemente riappropriati di risorse che neanche sapevano di possedere o avevano perso di vista).

Coloro che non cessano di sorprendere devono stare attenti ai falsi e profittatori che si sentono disturbati dal sorriso dei nuovi ingenui - e molto attenti. Solo qui bisogna fare i difficili: non ci siano altri scrupoli!

Giunti in un territorio, sarà bene non passare di casa in casa: da una sistemazione di fortuna all’appartamento, alla villa, poi al palazzo, perché la ricerca di migliori agi fa sparire la Novità di Dio.

La cura dei malati e delle devianze è punto fermo della Missione, perché è proprio dalle insicurezze o eccentricità che germoglia un regno diverso, quello che si accorge e si fa carico - nell’amore di chi non abbandona.

E non si perda tempo a pettinare l’ambiente seduto sulla falsa ideologia tronetto-altare: anche un volontario allontanamento educa alla gratuità. Anzi fa sbalordire e riflettere proprio i capi religiosi [all’antica e non] e i loro devoti di cerchia, che restano legati a posizioni di visibilità sociale, all’idolo del posto, alla malattia del titolo (senza il quale non si sentono personaggi).

Sono manipolatori, e ci riempiono la testa di venticelli.

Lo spione del sovrano - il «satana» [i suoi accoliti sono molti e insospettabili] nemico del progresso dell’umanità - non avrà più rilievo.

Lo slancio della vita desterà le coscienze e prevarrà sul negativo: nel cammino che ci appartiene le accuse dei sorveglianti interessati conteranno sempre meno.

A differenza dell’azione scrupolosa ma triste e deviante degli Apostoli [Lc 9 passim] il ritorno dei nuovi evangelizzatori aggregati per Chiamata diretta e senza ritualità intermedie è pieno di brio e risultati (vv.17-20).

Sono gli ultimi e diversi - non i più noti e autoreferenziali aggregati - a far cadere dal “cielo” e sostituire i satana-funzionari, nemici dell’umanità e della Gioia inclusiva (vv.5-6).

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalôm] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci compiono e realizzano anche spiritualmente.

Ora la Salvezza che fiorisce [vita da salvati, conclusiva] è per tutti a portata di mano (v.9), non più un privilegio.

I lati giudicati malaticci, squilibrati, sofferenti, invalidi, pazzeschi o materialmente inconcludenti stanno apprestando i nostri nuovi percorsi.

 

Nella dinamica vocazionale il punto fermo non risiede in una soddisfacente adesione a criteri di ragione, né in qualche geniale elaborazione di novità.

Neppure si colloca nella eroicità o fissità di comportamenti conformi, pur convinti.

La nostra certezza stupisce d’una sorpresa che Viene.

Essa ci desta, ma risiede unicamente in una percezione dell’occhio interiore: nella leggera immagine ricorrente che c’inabita e misteriosamente si affaccia, trascina e guida.

E cura le paure.

Unica sicurezza sarà quella lieve visione che - corrispondendo e ribadendo le sue venute - volge ciascuno al suo desiderio personale inespresso, tessendo un dialogo ineffabile con l’anima e la sua Via.

Il Dono s’impone allo scenario intimo, per volgere ogni Nome a destinazione.

Per attirare e attualizzare Futuro. Beninteso: non il ritorno alla situazione precedente che molti propugnano; oggi, anche in tempo di crisi globale.

Non esiste altro punto fermo che la nostra Chiamata.

Essa giunge per allacciare una relazione sponsale con l’opera imprevedibile e inedita della personale Fede-calamita.

Attrazione che seduce l'anima, la libera dalle insicurezze infondendole passione, e chiede di farsi rispettare.

Solo in senso vocazionale e intimamente forte, l’appello del Sogno che affiora alla percezione del cuore, ci fa tenaci.

E rianima un’esistenza vagante tra le bufere - come quella d’un pianeta alla deriva - intrecciando la vita al Cristo.

È la nostra Pace nel caos, che pure invita all’introspezione.

“Magnete-contro” nell’artificio esterno del farsi condurre da obbiettivi altrui.

Non basta neppure trovare un antidoto moderno alla frenesia che ci punge, ancora peggiorando il nostro vagabondare.

Né imponendosi uno stile conflittuale con l’indipendenza dello spirito personale.

Non è sufficiente una parentesi per annientare la tensione della vita contemporanea.

Tutto sommato non ci manca un’oasi per riflettere sul mondo, comprendere se stessi, e gli amici o i lontani.

 

«Non ho pace» - ci sentiamo ripetere da persone che si sentono alla deriva. E questo sentimento è contagioso; oggi dilagante.

Come proclamare armonia e conciliazione nelle case (v.5), in un mondo assediato da provocazioni, da malanni e competizioni globali, che se considerate in modo responsabile fanno subito tremare i polsi?

In un discorso di auguri d’inizio anno al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Giovanni Paolo II sintetizzò quattro emergenze epocali per il nuovo millennio:

«Vita, pane, pace e libertà: ecco le grandi sfide dell’umanità di oggi».

Un fuori scala per la nostra natura.

Come può l’uomo di Fede annunciare equilibrio e prosperità, se la debolezza non è protetta, se il criterio di natura sembra oggi volatile, se il nutrimento non è abbondante e vario per tutti, se la fraternità non si scorge neppure in ambienti protetti [al massimo viene scambiata per generica simpatia a scopo pubblicitario, in una chiesa degli eventi - come dice Papa Francesco], o se il belligerare può avere motivazioni teologiche (pur di non accettare le esigenze vitali altrui)… se non si riconosce a ciascuno di potersi realizzare «in maniera rispondente alla sua natura»?

Quest’ultimo a mio parere il punto cardine: prerogativa della Vocazione e dell’immaginario interiore che suscita; della nostra risposta di fiducia sponsale personale e creativa.

Diceva Giovanni Paolo: la libertà è luce «perché permette di scegliere responsabilmente le proprie mete e la via per raggiungerle».

Non un lume che abbaglia, bensì che si posa, e tesse trame.

Una luce redenta, che diviene rapporto, possibilità di condivisione; Presenza che trasmette senso.

Il libero arbitrio impallidisce, a braccetto col nostro volontarismo, e non ci basta neppure la capacità di autodeterminarci per il bene. Lo sappiamo da sempre.

 

Nella sua seconda Satira, Giovenale scrive:

«Le pratiche t’han dato questa tigna/

E a molti la daran, come di pecore/

O di porci in un branco un sol comunica/

A tutti gli altri la scabbia e la forfora/

E basta un chicco per guastare un grappolo/

Da questa moda a più brutte faccende/

Adagio adagio passerai: la scala/

Dei vizi non discendesi d’un salto/

In breve ti faranno uno dei loro/

Quelli che in casa cingonsi la fronte».

 

Bisogna vivere di Comunione, anche con se stessi, o non c’è autentica vita.

Nel grande Mistero di percepirsi come un “essere nel Dono” - «due a due» (v.1) - per godere pienezza, il sé comprende le opposte polarità della sua essenza.

Solo così dilatati diventiamo un essere “con” e “per” l'altro.

 

Non di rado la proposta sacrale ci isola o colloca in compartimenti stagni unilaterali, che troncano i sogni [non le fantasie disincarnate, che ne sono corollario].

I bei costumi antichi, o gli schemi di sociologia astratta, e stilemi o costumi locali, determinano i binari della nostra corsa: i soliti totem di costume. O le mode altrui; i manierismi esterni.

Gesù (appunto) nota l’insuccesso dei suoi, che non riescono a liberare le persone - e addirittura pretendono d’impedirlo [Lc 9].

Così chiama anche i samaritani (v.1), ossia i male indottrinati, meticci e bastardi.

Insomma, allarga l’orizzonte delle tribù designate, facendo appello a nazioni pagane, per un compito universale.

Il Signore sa che la Fede “laicale” non è di cerchia.

Essa non si adegua volentieri a modelli senza forza intima; quindi non blocca l’evoluzione, perché fa vivere di Relazione e carattere.

Ciò, in mezzo a tutte le sfaccettature dell’essere e della storia: appunto con e per gli altri, ma non all’esterno - bensì saldi in se stessi.

In tal guisa, nell’amicizia di sé e del prossimo, diventiamo per Grazia e genuinamente assai più affidabili di coloro che sono animati da articolate convinzioni o forti volontarismi di club.

Queste i ultimi spesso illusioni pericolosissime, se non riconoscono come valore assoluto il bene concreto dell’uomo reale, il diritto alla sua Felicità.

Totalità o integrazione derivante dal benessere d’un completamento nell’essere, non più ridotto.

Presenza Messianica [Annuncio dello Shalôm] che non svaluta; non permane unilaterale.

 

 

Lo spione che cade, e i piccoli cervelli

 

Lo spione del “sovrano” - il «satana» [i suoi accoliti sono molti e insospettabili], nemico del progresso dell’umanità - non avrà più rilievo.

Detronizzato dalla condizione di potere sugli uomini, esso precipita nel baratro (v.18).

Significa che grazie alla missione in Cristo, lo slancio della vita prevarrà sul negativo.

Nel cammino che ci appartiene, le accuse dei sorveglianti interessati conteranno zero.

I vecchi Re e Profeti avevano solo sospirato la pienezza del Messia. Si sentivano dei grandi, ma non avevano incontrato l’Eterno in sovrabbondanza di Persona.

Erano ancora schiavi di elementi cosmici, talora sottomessi al potere irrazionale del male; spesso vinti dal pensiero comune, dalla miseria propria e altrui, dalle attrattive della realtà mondana circostante.

I «piccoli» invece anche oggi restano aperti al Mistero e ricevono un essere rinnovato.

I sapientoni suppongono che l’unica vita si trovi dalla loro parte; si pensano potenti e convincenti. Non hanno bisogno di luce, né di un Amico.

Su questo piano viene formulata una delle rivelazioni definitive sull’Uomo autentico che manifesta la condizione divina.

Il Figlio benedice il Padre per il dono concesso agli insignificanti della società, e scopre il punto nodale del Mistero della nostra comunicazione con l’Altissimo: lo spirito di sapersi in Famiglia, a pieno titolo.

 

La santità religiosa antica poggiava sulla separazione [Qadosh-Santo: è attributo del Dio che dimora in luoghi distinti, remoti, inaccessibili] non sull’essenza.

Il nuovo nome della santità (domestica) riflessa nella Persona del Cristo e in quella dei suoi fratelli non è più sinonimo di “tagliato dagli altri e messo a parte”, bensì «Unito».

Malgrado le stampelle che porta, resta in sé “dignitoso” e addirittura “chiamato”; quindi abilitato a essere promosso, senza ulteriori condizioni di purità ideologica o cultuale.

Padre e Figlio costituiscono un Mistero di reciprocità e dedizione nel quale penetrano solo coloro che vogliono ricevere e accogliersi nella scaturigine - in Dio, per lasciarsi avvolgere da una Amicizia che raggranella tutto l’essere.

Dialogo ch’espande le pur minime qualità, sublima in Perle i lati ignoti e oscuri della personalità; per dilatare l’onda dell’esistere, senza inseguire le voci del mondo esterno [solo apparentemente vitale].

Così l’Invio e Missione hanno come nucleo il dispiegamento della qualità intensa, della stessa realtà intima e indistruttibile divina: l’Amore.

Unico Fuoco che annienta le potenze logoranti, nelle persone, nelle nazioni, nella storia.

 

Appunto, a differenza dell’opera scrupolosa ma triste e deviante degli Apostoli [Lc 9 passim], il ritorno dei nuovi evangelizzatori aggregati per Chiamata diretta e senza ritualità intermedie è pieno di gioia e risultati (vv.17-20).

Ricordiamo Tagore: «Se i cristiani fossero come il loro Maestro, avrebbero tutta l’India ai loro piedi».

Sono gli ultimi e diversi - i nuovi protagonisti dell’Annuncio.

Non i più noti e autoreferenziali cooptati riescono a far cadere dal cielo e sostituire i satana-funzionari, nemici dell’umanità e della nostra Gioia democratica (vv.5-6).

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalôm] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano, includono e realizzano anche spiritualmente.

Ora la Salvezza [vita da salvati] che fiorisce è a portata di mano di tutti coloro che hanno spirito attento e virtù da famigliari. Non più privilegio di cerchie che si sentono sicure [ma perdono l’unicità].

Ancora Tagore: «Benignamente, volutamente fattoti piccolo, vieni in questa piccola dimora [...] Come amico, come padre, come madre fattoti piccolo, vieni nel mio cuore. Io pure con le mie mani mi farò piccolo davanti al padrone dell’universo; con la mia piccola intelligenza ti conoscerò e ti farò conoscere».

Il Mistero resiste ai «dotti» che fanno professione di alta saggezza (v.21). 

Viceversa il Regno si apre ai non imprigionati da idee conformi e interposte - schiavi di pensieri e convenzioni.

Ecco l’Inno di Giubilo (vv.21-24) che introduce il Comandamento dell’Amore (vv.25ss).

Ricordo il mio professore agostiniano di Patristica: insisteva nel ripeterci che uno dei nomignoli conquistati dai primi cristiani era quello di «piccoli cervelli».

Erano persone semplici ma ricolme di attitudini alla pienezza, e di sapienti nuove consapevolezze, che sbalordivano i professori e i filosofi del mondo antico.

 

Anche noi ci chiediamo: cosa fa tornare vicini a ciò che siamo chiamati a fare?

Ebbene, forse ne abbiamo già contezza: la sufficienza di coloro che fanno professione di dottrina cerebrale - in realtà - conduce solo a precipitare dal cielo.

Annienta l’umile percezione di sé, fa impallidire la capacità di accorgersi; chiude al perdono, all’accoglienza benevolente, all’ascolto dell’anima e degli altri, alla disponibilità. Perfino all’acume dei saperi innati, quelli che ci appartengono e risolverebbero i veri problemi.

Proprio i lati giudicati pazzeschi o materialmente inconcludenti - anche nella trama di piccole cose - farebbero affrontare gli eventi esterni che attanagliano… come occasioni di crescita.

Stanno infatti preparando i nostri nuovi percorsi, e un germe di società alternativa.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

Cosa è successo in te quando hai accettato la modesta (e piena) condizione di figlio?

Quali nuove consapevolezze di te stesso e del mondo hai acquisito?

Hai scoperto anche slanci di gratuità, oltre che di gratitudine?

 

 

La Missione (Effusione) raggiunge tutte le frontiere

 

Perché l’Annuncio, senza nodi alla gola

(Lc 10,13-16)

 

La differenza tra religiosità e Fede è nel Soggetto, della Vita nello Spirito: non siamo noi a disporre, allestire, cieli e terra nuovi - bensì la Grazia che silenziosamente dissoda e precede.

Ecco perché nell’Annuncio non siamo orfani, e con tanti nodi alla gola.

Il Maestro stesso non è solo. La testimonianza anche dei non discepoli si inserisce nella Via del Cristo verso il Padre.

Strada che Viene. Non è l’impegno “interno” assodato che edifica un mondo più autentico, dai tratti divini.

È piuttosto il Regno - effusivo in se stesso - che dà origine al cammino verso i “lontani”, e attiva scenari impensabili.

Essi giungono a noi come proposta di Pace: apertura a un Disegno più vasto, e giustizia interumana.

L’esperienza variegata, l’ambiente pieno di sorprese dei non seguaci, genera fioriture, di ciascuno - nella scoperta del limite, dei propri stati profondi - per la comunione.

Nessuna riserva elettiva; nessun diritto di prelazione. Salvezza secondo il Padre, non “a modo nostro”.

 

Il Vangelo supera le barriere di popoli e se necessario lascia indietro la sua culla di culture attenuanti, chiuse in una mentalità ingessata, forse intollerante; seccata di tutto.

Chi in piena avvertenza e deliberato consenso rigetta la Parola perché il mondo non sarà più “come prima”, si ritrova d’improvviso senza speranza, senza figli, senza possibilità di vita e d’espandersi.

Senza Presenza, senza la Spiritualità del Patto - che concatena ogni testimone al Figlio e al Padre. E solo Dio può superare la forza degli ostacoli; potenze interne ed esterne.

Unicamente nella fiaccola della condizione divina [autentica Sorgente, misura che Cristo vive e ci stupisce] si apprende il senso del nostro essere, comunicare, andare.

L’inaccessibile interroga, e diventa vicinissimo. Annienta le zavorre esclusive, che permangono invano.

Così l’Annuncio scatena lo Spirito, spalanca porte inusitate: anche una finestra sul mondo interiore. Dove gli opposti hanno già diritto di esistere. Anzi, chiamano all’Alleanza nuova, che insegna a stare coi lati che non piacciono.

 

In tal guisa indagheremo e scopriremo: la lotta dei blocchi, delle paure di ciò che non vogliamo vedere all’esterno e dentro di noi, deve cessare.

Le tendenze che pensavamo dovessero essere negate diventano fonte imprevedibile di altre luci e virtù, intime e nei rapporti.

Anche e soprattutto le ombre chiamano l’Esodo, un nuovo Patto - dove non siamo assolutamente soli e unilaterali, bensì più completi.

Insomma, il Mistero che ci abita oltrepassa i lacci delle convinzioni, ci rende meno divisi. A partire dalla scaturigine dell’essere.

Si fa trascendenza-immanenza reale, stringente; per tutti. Consapevolezza di Vita Nuova.

«Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me ma chi disprezza me disprezza Colui che mi ha mandato» (v.16).

«Il Padre infatti non giudica nessuno ma ha dato ogni giudizio al Figlio affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato» (Gv 5,22-23).

 

 

Scienziati e Piccoli

(Lc 10,21-24)

 

A differenza dell’azione infruttuosa degli Apostoli [Lc 9 passim], il ritorno dei nuovi evangelizzatori è pieno di gioia e risultati (vv.17-20). Perché?

 

I capi guardavano la religiosità con scopi d’interesse. I professori di teologia erano abituati a valutare ogni virgola partendo dal proprio sapere, ridicolo ma supponente - estraneo alle vicende reali.

Ciò che rimane vincolato a costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

Il Maestro si rallegra della sua stessa esperienza, che reca una gioia non epidermica e un insegnamento dallo Spirito - su chi è ben disposto, e capace di comprendere le profondità del Regno, nelle cose comuni.

Insomma, dopo un primo momento di folle entusiaste, il Maestro approfondisce le tematiche e si ritrova tutti contro, tranne Dio e i minimi: i senza peso, ma con tanta voglia di cominciare da zero.

Barlume del Mistero che lievita la storia - senza farne un possesso.

 

In un primo tempo anche Gesù rimane sbalordito per il rifiuto di chi si riteneva già soddisfatto e non attendeva più nulla che potesse destare le abitudini.

Poi comprende, loda e benedice il disegno del Padre: la persona autentica nasce dai bassifondi, e possiede «lo spirito del vicinato» (FT n.152).

Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza.

L’Eterno non è il padrone del creato: è Ristoro che rinfranca, perché fa sentire completi e amabili; ci cerca, si fa attento al linguaggio del cuore.

Egli è Custode del mondo, anche dei non istruiti - degli «infanti» (v.21) spontaneamente vuoti di spirito borioso, ossia di coloro che non restano chiusi nella loro sufficiente appartenenza.

Così il rapporto Padre-Figlio viene comunicato ai poveri di Dio: coloro che sono dotati di un’attitudine da famigliari (v.22).

Insignificanti e invisibili privi di grandi doti, ma che si abbandonano alle proposte della vita provvidente che viene, come bimbi in braccio a dei genitori.

Con Spirito di pietas che favorisce chi si lascia colmare di saggezza innata. Unica realtà che ci corrisponde e non presenta il “conto”: essa non procede sulle vie del pensiero funzionale, dell’iniziativa calcolante.

Sapienza che trasmette freschezza nella disponibilità a ricevere accogliere ritemprare personalmente la Verità come Dono, e l’entusiasmo spontaneo stesso, in grado di realizzarla.

Una preghiera di benedizione semplice, per i semplici - questa di Gesù (v.21) - che ci fa crescere nella stima, calza perfettamente con la nostra esperienza, e va d’accordo con noi stessi.

 

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalom] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano e realizzano anche spiritualmente.

Bisogna vivere di Comunione, pur con il “piccolo” di sé, o non c’è autentica vita.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa provi quando ti senti dire: «Tu non conti»?

Rimane un disprezzo umiliante o la consideri una grande Luce ricevuta, come ha fatto Gesù?

Venerdì, 10 Ottobre 2025 02:36

La missione non è riservata

Cari fratelli e sorelle,

oggi il Vangelo (cfr Lc 10, 1-12.17-20) presenta Gesù che invia settantadue discepoli nei villaggi dove sta per recarsi, affinché predispongano l'ambiente. È questa una particolarità dell'evangelista Luca, il quale sottolinea che la missione non è riservata ai dodici Apostoli, ma estesa anche ad altri discepoli. Infatti - dice Gesù - "la messe è molta, ma gli operai sono pochi" (Lc 10, 2). C'è lavoro per tutti nel campo di Dio. Ma Cristo non si limita ad inviare: Egli dà anche ai missionari chiare e precise regole di comportamento. Anzitutto li invia "a due a due", perché si aiutino a vicenda e diano testimonianza di amore fraterno. Li avverte che saranno "come agnelli in mezzo a lupi": dovranno cioè essere pacifici nonostante tutto e recare in ogni situazione un messaggio di pace; non porteranno con sé né vestiti né denaro, per vivere di ciò che la Provvidenza offrirà loro; si prenderanno cura dei malati, come segno della misericordia di Dio; dove saranno rifiutati, se ne andranno, limitandosi a mettere in guardia circa la responsabilità di respingere il Regno di Dio. San Luca mette in risalto l'entusiasmo dei discepoli per i buoni frutti della missione, e registra questa bella espressione di Gesù: "Non rallegratevi perché i demòni si sottomettono a voi: rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Lc 10, 20). Questo Vangelo risvegli in tutti i battezzati la consapevolezza di essere missionari di Cristo, chiamati a preparargli la strada con le parole e con la testimonianza della vita.

[Papa Benedetto, Angelus 8 luglio 2007]

36. Né mancano le difficoltà interne al popolo di Dio, le quali anzi sono le più dolorose. Già il mio predecessore Paolo VI indicava in primo luogo «la mancanza di fervore, tanto più grave perché nasce dal di dentro; essa si manifesta nella stanchezza, nella delusione, nell'accomodamento, nel disinteresse e, soprattutto, nella mancanza di gioia e di speranza». Grandi ostacoli alla missionarietà della chiesa sono anche le divisioni passate e presenti tra i cristiani, 57 la scristianizzazione in paesi cristiani, la diminuzione delle vocazioni all'apostolato, le contro-testimonianze di fedeli e di comunità cristiane che non seguono nella loro vita il modello di Cristo. Ma una delle ragioni più gravi dello scarso interesse per l'impegno missionario è la mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che «una religione vale l'altra». Possiamo aggiungere come diceva lo stesso pontefice - che ci sono anche «alibi che possono sviare dall'evangelizzazione. I più insidiosi sono certamente quelli, per i quali si pretende di trovare appoggio nel tale o tal altro insegnamento del Concilio». Al riguardo, raccomando vivamente ai teologi e ai professionisti della stampa cristiana di intensificare il proprio servizio alla missione, per trovare il senso profondo del loro importante lavoro lungo la retta via del sentire cum ecclesia. Le difficoltà interne ed esterne non debbono renderci pessimisti o inattivi. Ciò che conta - qui come in ogni settore della vita cristiana è la fiducia che viene dalla fede, cioè dalla certezza che non siamo noi i protagonisti della missione, ma Gesù Cristo e il suo Spirito. Noi siamo soltanto collaboratori e, quando abbiamo fatto tutto quello che ci è possibile, dobbiamo dire: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare». (Lc 17,10)

[Papa Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio]

L’odierna pagina evangelica, tratta dal capitolo decimo del Vangelo di Luca (vv. 1-12.17-20), ci fa capire quanto è necessario invocare Dio, «il signore della messe, perché mandi operai per la sua messe» (v. 2). Gli “operai” di cui parla Gesù sono i missionari del Regno di Dio, che Egli stesso chiamava e inviava «a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi (v. 1). Loro compito è annunciare un messaggio di salvezza rivolto a tutti. I missionari annunziano sempre un messaggio di salvezza a tutti; non solo i missionari che vanno lontano, anche noi, missionari cristiani che diciamo una buona parola di salvezza. E questo è il dono che ci dà Gesù con lo Spirito Santo. Questo annuncio è dire: «E’ vicino a voi il Regno di Dio» (v. 9), perché Gesù ha “avvicinato” Dio a noi; Dio si è fatto uno di noi; in Gesù, Dio regna in mezzo a noi, il suo amore misericordioso vince il peccato e la miseria umana.

E questa è la Buona Notizia che gli “operai” devono portare a tutti: un messaggio di speranza e di consolazione, di pace e di carità. Gesù, quando manda i discepoli davanti a sé nei villaggi, raccomanda loro: «Prima dite: “Pace a questa casa!”. […] Guarite i malati che vi si trovano» (vv. 5.9). Tutto questo significa che il Regno di Dio si costruisce giorno per giorno e offre già su questa terra i suoi frutti di conversione, di purificazione, di amore e di consolazione tra gli uomini. È una cosa bella! Costruire giorno per giorno questo Regno di Dio che si va facendo. Non distruggere, costruire!

Con quale spirito il discepolo di Gesù dovrà svolgere questa missione? Anzitutto dovrà essere consapevole della realtà difficile e talvolta ostile che lo attende. Gesù non risparmia parole su questo! Gesù dice: «Vi mando come agnelli in mezzo a lupi» (v. 3). Chiarissimo. L’ostilità è sempre all’inizio delle persecuzioni dei cristiani; perché Gesù sa che la missione è ostacolata dall’opera del maligno. Per questo, l’operaio del Vangelo si sforzerà di essere libero da condizionamenti umani di ogni genere, non portando borsa, né sacca, né sandali (cfr v. 4), come ha raccomandato Gesù, per fare affidamento soltanto sulla potenza della Croce di Cristo. Questo significa abbandonare ogni motivo di vanto personale, di carrierismo o fame di potere, e farsi umilmente strumenti della salvezza operata dal sacrificio di Gesù.

Quella del cristiano nel mondo è una missione stupenda, è una missione destinata a tutti, è una missione di servizio, nessuno escluso; essa richiede tanta generosità e soprattutto lo sguardo e il cuore rivolti in alto, per invocare l’aiuto del Signore. C’è tanto bisogno di cristiani che testimoniano con gioia il Vangelo nella vita di ogni giorno. I discepoli, inviati da Gesù, «tornarono pieni di gioia» (v. 17). Quando noi facciamo questo, il cuore si riempie di gioia. E questa espressione mi fa pensare a quanto la Chiesa gioisce, si rallegra quando i suoi figli ricevono la Buona Notizia grazie alla dedizione di tanti uomini e donne che quotidianamente annunciano il Vangelo: sacerdoti - quei bravi parroci che tutti conosciamo -, suore, consacrate, missionarie, missionari… E mi domando - sentite la domanda -: quanti di voi giovani che adesso siete presenti oggi nella piazza, sentono la chiamata del Signore a seguirlo? Non abbiate paura! Siate coraggiosi e portare agli altri questa fiaccola dello zelo apostolico che ci è stata data da questi esemplari discepoli.

Preghiamo il Signore, per intercessione della Vergine Maria, perché non manchino mai alla Chiesa cuori generosi, che lavorino per portare a tutti l’amore e la tenerezza del Padre celeste.

[Papa Francesco, Angelus 3 luglio 2016]

L’Aldilà non è impreciso

(Lc 12,1-7)

 

Il Vangelo di Mc identifica il «lievito dei farisei» con l’ideologia del potere.

Lc invece ne parla per denunciare l’enfasi e doppiezza interiore delle autorità.

Il richiamo di Gesù contro l’ipocrisia ovvero «teatralità» della religione ufficiale che abbandona la gente a se stessa, è «dapprima ai suoi discepoli» (v.1).

In ogni tempo Cristo si contrappone a chi recita un ruolo, perde la sua natura e diventa artificiale, usando Dio per essere temuto e rispettato.

Donne e uomini di Fede sono in Cristo già abilitati e al centro della propria essenza; non devono piegarsi a inseguire voci artefatte del mondo fuori: non recano Eternità.

Piuttosto, i figli anelino a farsi trasparenti, limpidi, sinceri.

Principio non negoziabile è non nascondere la verità. Ciò a partire dalla propria inclinazione innata - carattere che vien prima del ruolo.

E i leaders devono incoraggiare affinché ciascuno riesca a trovare la strada, facendo pregustare il valore, il destino dell’irripetibilità di persona - non fare i grandi addetti ai lavori, con tutt’altro scopo.

Per questo motivo, nelle chiese risorte in Cristo tutte le maschere che attanagliano le persone dotate di poca energia, fuori dal giro, giunte per ultime, emarginate, incomprese, “inadeguate”, solitarie, devono cadere.

Nessuno ha facoltà di uccidere l’anima altrui.

Neanche può soggiogare la propria - senza perdere il seme vocazionale davvero puro, pregno d’un nome senza prezzo; sebbene in sembianza pitocca, minuscola.

Fraternità aperta e schietta.

Anche la scena degli esempi spontanei che Gesù trae dalla natura - eco della vita conciliante sognata per noi dal Padre - introduce alla Felicità che fa consapevoli di esistere in tutta la personale realtà.

Il passo di Vangelo mostra infatti il valore delle cose genuine, silenti, poco eclatanti, le quali però ci abitano - non sono “ombre”. E le percepiamo senza sforzo né impegno cerebrale.

Nel tempo delle scelte epocali, delle emergenze che sembrano metterci in scacco ma intendono farci meno artificiali - tale consapevolezza può rovesciare il nostro giudizio di sostanza, sul ‘piccolo’ e il grande’.

Infatti, per l’avventura d’amore non c’è contabilità né clamore.

È in Dio e nella realtà il ‘posto’ per ciascuno di noi senza lacerazioni.

L’aldilà non è impreciso.

Non bisogna snaturarsi per avere consenso… tantomeno per il ‘Cielo’ che vince la morte.

Il destino dell’unicità non va in rovina: è prezioso e caro, come lo è in natura.

Bisogna scorgerne la Bellezza, futura e già attuale.

Emarginato il tornaconto immediato [qualsiasi garanzia sociale non attinente il valore della piccolezza], non ci sarà più bisogno di identificarsi con gli scheletri del pensiero e delle maniere assodati o alla moda.

Neppure conterà collocarsi sopra e davanti: piuttosto sullo sfondo, già ricchi e perfetti, nel senso intimo della pienezza di essere.

Così non dovremo calpestarci a vicenda (v.1)... anche per incontrare Gesù.

 

 

[Venerdì 28.a sett. T.O.  17 ottobre 2025]

Giovedì, 09 Ottobre 2025 02:48

L’Aldilà non è impreciso

Snaturarsi per avere consenso? No, c’è un grande destino dell’Unicità

(Lc 12,1-7))

 

«Intanto, essendosi radunata la folla a miriadi, da calpestarsi gli uni gli altri»... la critica del Signore alle autorità religiose che mettevano in scena teatrini esterni insopportabili, appare profonda, spietata.

Ma il richiamo di Gesù contro l’ipocrisia ovvero «teatralità» della religione ufficiale è «dapprima ai suoi discepoli» (v.1).

Parafrasando l’enciclica Fratelli Tutti, il Richiamo del Maestro punta a far cadere immediatamente «il trucco di quegli stereotipi» con cui mascheriamo il nostro «ego, sempre preoccupati dell’immagine [affinché emerga] quella benedetta appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli» [n.3].

In ogni tempo Cristo si contrappone a chi recita un ruolo, perde la sua natura, e diventa artificiale, usando Dio per essere temuto e rispettato - immaginando di accaparrarsi le masse, il consenso irresistibile che brama.

Invece il cuore dell’Altissimo è «senza confini, capace di andare al di là delle distanze» [3] e di qualsiasi manipolazione.

 

Tutta l’umanità è votata alla libertà dell’essere; procede con passione verso ciò che desidera - spontaneamente e semplicemente. Non si muove per cronicizzare situazioni “culturali” esterne che non ci fanno trovare la Via.

Anche nella relazione con Dio è importante non soffocare le proprie inclinazioni: non c’è dialogo di amicizia o amore, né stupore e gioia, senza rispetto della propria eccezionalità naturale, poliedrica in sé.

Così Egli non gradisce che qualcuno si metta a copiare (ancora oggi, ad es. i grandi santi o alcuni modelli del paradigma ecclesiale) smarrendo la propria essenza e personalità - e in esse la chiamata alla sua missione globale, irripetibile.

Il conformismo al paradigma socialmente narcisista, o devoto e di circostanza, non consente di dare all’anima e al mondo le svolte che sbloccano e attivano.

Ciò ben oltre le opzioni da nomenclatura conforme - e ci farebbero volare, anche per la rinascita dalla crisi.

 

Nel passo di Vangelo la gente sembra abbandonata a se stessa (v.1). Il tentativo medesimo [per timore] di accodarsi e imitare, ci attenua e snatura.

Del resto i leaders ufficiali non mostravano alcun interesse per la realizzazione, la letizia piena del popolo minuto: per loro solo una necessità di platea, e tutto il resto una seccatura.

Così, per tenere le masse a guinzaglio, volentieri inoculavano in esse inutili tumulti di coscienza.

Talora, per colpirne uno ed educarne cento… ecco restrizioni e ricatto personale o sociale violenti (v.4).

 

Il Vangelo di Mc identifica il «lievito dei farisei» con l’ideologia del potere.

Lc invece ne parla per denunciare l’enfasi e doppiezza interiore dei capitani d’ufficio religioso, comunitario; connubio che rovescia sia i princìpi che le apparenze.

L’evangelista teme l’insidioso atteggiamento d’incoerenze, nascoste da passerelle [pur di carattere pio] che incantano i semplici. Col trucco, esse possono infatti attecchire nella vita e nello stile dei responsabili delle prime comunità di credenti.

Donne e uomini di Fede sono in Cristo già abilitati e al centro della propria essenza; non devono piegarsi a inseguire voci artefatte del mondo fuori: non recano Eternità.

Piuttosto, i figli anelino a farsi trasparenti, limpidi, sinceri.

Principio non negoziabile è non nascondere la verità. Ciò a partire dalla propria inclinazione innata - carattere che vien prima del compito secondario assegnato da altri.

E i “dirigenti” devono incoraggiare affinché ciascuno riesca a trovare la strada, facendo pregustare il valore, il destino dell’irripetibilità di persona - non fare i grandi addetti ai lavori, con tutt’altro scopo.

Per questo motivo, nelle chiese risorte in Cristo tutte le maschere che attanagliano le persone dotate di poca energia, fuori dal giro, giunte per ultime, emarginate, incomprese, “inadeguate”, solitarie, devono cadere.

Nessuno ha facoltà di uccidere l’anima altrui.

Neanche può soggiogare la propria - senza perdere il seme vocazionale davvero puro, pregno d’un nome senza prezzo; sebbene in sembianza pitocca, minuscola.

Il recupero della dignità, e l’attenzione per la promozione umana spirituale dei minimi, di ciascuno, sfocia nell’ideale del Regno dalle porte spalancate: «fraternità aperta» e schietta di cui parla diffusamente la citata enciclica sociale.

Viceversa «il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia» (n.36).

Occorre insomma ricordare che «siamo tutti sulla stessa barca» [come pregava Francesco nella piazza s. Pietro deserta] compresi i lontani, deboli e ritenuti sconvenienti.

 

Anche la scena degli esempi spontanei che Gesù trae dalla natura - eco della vita conciliante sognata per noi dal Padre - introduce alla Felicità che fa consapevoli di esistere in tutta la personale realtà.

Il passo di Vangelo mostra infatti il valore delle cose genuine, silenti, poco eclatanti, le quali però ci abitano - non sono “ombre”. E le percepiamo senza sforzo né impegno cerebrale.

Nel tempo delle scelte epocali, delle emergenze che sembrano metterci in scacco ma intendono farci meno artificiali - tale consapevolezza può rovesciare il nostro giudizio di sostanza, sul ‘piccolo’ e il grande’.

Infatti, per l’avventura d’amore non c’è contabilità né clamore.

È in Dio e nella realtà il ‘posto’ per ciascuno di noi senza lacerazioni.

 

L’aldilà non è impreciso.

Non bisogna snaturarsi per avere consenso… tantomeno per il ‘Cielo’ che vince la morte.

Il destino dell’unicità non va in rovina: è prezioso e caro, come lo è in natura.

Bisogna scorgerne la Bellezza, futura e già attuale.

Emarginato il tornaconto immediato [qualsiasi garanzia sociale non attinente il valore della piccolezza], non ci sarà più bisogno di identificarsi con gli scheletri del pensiero e delle maniere assodati o alla moda.

Neppure conterà collocarsi sopra e davanti: piuttosto sullo sfondo, già ricchi e perfetti, nel senso intimo della pienezza di essere.

Così non dovremo calpestarci a vicenda (v.1)... anche per incontrare Gesù.

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There is work for all in God's field (Pope Benedict)
C'è lavoro per tutti nel campo di Dio (Papa Benedetto)
The great thinker Romano Guardini wrote that the Lord “is always close, being at the root of our being. Yet we must experience our relationship with God between the poles of distance and closeness. By closeness we are strengthened, by distance we are put to the test” (Pope Benedict)
Il grande pensatore Romano Guardini scrive che il Signore “è sempre vicino, essendo alla radice del nostro essere. Tuttavia, dobbiamo sperimentare il nostro rapporto con Dio tra i poli della lontananza e della vicinanza. Dalla vicinanza siamo fortificati, dalla lontananza messi alla prova” (Papa Benedetto)
The present-day mentality, more perhaps than that of people in the past, seems opposed to a God of mercy, and in fact tends to exclude from life and to remove from the human heart the very idea of mercy (Pope John Paul II)
La mentalità contemporanea, forse più di quella dell'uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l'idea stessa della misericordia (Papa Giovanni Paolo II)
«Religion of appearance» or «road of humility»? (Pope Francis)
«Religione dell’apparire» o «strada dell’umiltà»? (Papa Francesco)
Those living beside us, who may be scorned and sidelined because they are foreigners, can instead teach us how to walk on the path that the Lord wishes (Pope Francis)
Chi vive accanto a noi, forse disprezzato ed emarginato perché straniero, può insegnarci invece come camminare sulla via che il Signore vuole (Papa Francesco)
Many saints experienced the night of faith and God’s silence — when we knock and God does not respond — and these saints were persevering (Pope Francis)
Tanti santi e sante hanno sperimentato la notte della fede e il silenzio di Dio – quando noi bussiamo e Dio non risponde – e questi santi sono stati perseveranti (Papa Francesco)
In some passages of Scripture it seems to be first and foremost Jesus’ prayer, his intimacy with the Father, that governs everything (Pope Francis)
In qualche pagina della Scrittura sembra essere anzitutto la preghiera di Gesù, la sua intimità con il Padre, a governare tutto (Papa Francesco)
It is necessary to know how to be silent, to create spaces of solitude or, better still, of meeting reserved for intimacy with the Lord. It is necessary to know how to contemplate. Today's man feels a great need not to limit himself to pure material concerns, and instead to supplement his technical culture with superior and detoxifying inputs from the world of the spirit [John Paul II]
Occorre saper fare silenzio, creare spazi di solitudine o, meglio, di incontro riservato ad un’intimità col Signore. Occorre saper contemplare. L’uomo d’oggi sente molto il bisogno di non limitarsi alle pure preoccupazioni materiali, e di integrare invece la propria cultura tecnica con superiori e disintossicanti apporti provenienti dal mondo dello spirito [Giovanni Paolo II]
This can only take place on the basis of an intimate encounter with God, an encounter which has become a communion of will, even affecting my feelings (Pope Benedict)
Questo può realizzarsi solo a partire dall'intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento (Papa Benedetto)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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