Snaturarsi per avere consenso? No, c’è un grande destino dell’Unicità
(Lc 12,1-7))
«Intanto, essendosi radunata la folla a miriadi, da calpestarsi gli uni gli altri»... la critica del Signore alle autorità religiose che mettevano in scena teatrini esterni insopportabili, appare profonda, spietata.
Ma il richiamo di Gesù contro l’ipocrisia ovvero «teatralità» della religione ufficiale è «dapprima ai suoi discepoli» (v.1).
Parafrasando l’enciclica Fratelli Tutti, il Richiamo del Maestro punta a far cadere immediatamente «il trucco di quegli stereotipi» con cui mascheriamo il nostro «ego, sempre preoccupati dell’immagine [affinché emerga] quella benedetta appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli» [n.3].
In ogni tempo Cristo si contrappone a chi recita un ruolo, perde la sua natura, e diventa artificiale, usando Dio per essere temuto e rispettato - immaginando di accaparrarsi le masse, il consenso irresistibile che brama.
Invece il cuore dell’Altissimo è «senza confini, capace di andare al di là delle distanze» [3] e di qualsiasi manipolazione.
Tutta l’umanità è votata alla libertà dell’essere; procede con passione verso ciò che desidera - spontaneamente e semplicemente. Non si muove per cronicizzare situazioni “culturali” esterne che non ci fanno trovare la Via.
Anche nella relazione con Dio è importante non soffocare le proprie inclinazioni: non c’è dialogo di amicizia o amore, né stupore e gioia, senza rispetto della propria eccezionalità naturale, poliedrica in sé.
Così Egli non gradisce che qualcuno si metta a copiare (ancora oggi, ad es. i grandi santi o alcuni modelli del paradigma ecclesiale) smarrendo la propria essenza e personalità - e in esse la chiamata alla sua missione globale, irripetibile.
Il conformismo al paradigma socialmente narcisista, o devoto e di circostanza, non consente di dare all’anima e al mondo le svolte che sbloccano e attivano.
Ciò ben oltre le opzioni da nomenclatura conforme - e ci farebbero volare, anche per la rinascita dalla crisi.
Nel passo di Vangelo la gente sembra abbandonata a se stessa (v.1). Il tentativo medesimo [per timore] di accodarsi e imitare, ci attenua e snatura.
Del resto i leaders ufficiali non mostravano alcun interesse per la realizzazione, la letizia piena del popolo minuto: per loro solo una necessità di platea, e tutto il resto una seccatura.
Così, per tenere le masse a guinzaglio, volentieri inoculavano in esse inutili tumulti di coscienza.
Talora, per colpirne uno ed educarne cento… ecco restrizioni e ricatto personale o sociale violenti (v.4).
Il Vangelo di Mc identifica il «lievito dei farisei» con l’ideologia del potere.
Lc invece ne parla per denunciare l’enfasi e doppiezza interiore dei capitani d’ufficio religioso, comunitario; connubio che rovescia sia i princìpi che le apparenze.
L’evangelista teme l’insidioso atteggiamento d’incoerenze, nascoste da passerelle [pur di carattere pio] che incantano i semplici. Col trucco, esse possono infatti attecchire nella vita e nello stile dei responsabili delle prime comunità di credenti.
Donne e uomini di Fede sono in Cristo già abilitati e al centro della propria essenza; non devono piegarsi a inseguire voci artefatte del mondo fuori: non recano Eternità.
Piuttosto, i figli anelino a farsi trasparenti, limpidi, sinceri.
Principio non negoziabile è non nascondere la verità. Ciò a partire dalla propria inclinazione innata - carattere che vien prima del compito secondario assegnato da altri.
E i “dirigenti” devono incoraggiare affinché ciascuno riesca a trovare la strada, facendo pregustare il valore, il destino dell’irripetibilità di persona - non fare i grandi addetti ai lavori, con tutt’altro scopo.
Per questo motivo, nelle chiese risorte in Cristo tutte le maschere che attanagliano le persone dotate di poca energia, fuori dal giro, giunte per ultime, emarginate, incomprese, “inadeguate”, solitarie, devono cadere.
Nessuno ha facoltà di uccidere l’anima altrui.
Neanche può soggiogare la propria - senza perdere il seme vocazionale davvero puro, pregno d’un nome senza prezzo; sebbene in sembianza pitocca, minuscola.
Il recupero della dignità, e l’attenzione per la promozione umana spirituale dei minimi, di ciascuno, sfocia nell’ideale del Regno dalle porte spalancate: «fraternità aperta» e schietta di cui parla diffusamente la citata enciclica sociale.
Viceversa «il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia» (n.36).
Occorre insomma ricordare che «siamo tutti sulla stessa barca» [come pregava Francesco nella piazza s. Pietro deserta] compresi i lontani, deboli e ritenuti sconvenienti.
Anche la scena degli esempi spontanei che Gesù trae dalla natura - eco della vita conciliante sognata per noi dal Padre - introduce alla Felicità che fa consapevoli di esistere in tutta la personale realtà.
Il passo di Vangelo mostra infatti il valore delle cose genuine, silenti, poco eclatanti, le quali però ci abitano - non sono “ombre”. E le percepiamo senza sforzo né impegno cerebrale.
Nel tempo delle scelte epocali, delle emergenze che sembrano metterci in scacco ma intendono farci meno artificiali - tale consapevolezza può rovesciare il nostro giudizio di sostanza, sul ‘piccolo’ e il ‘grande’.
Infatti, per l’avventura d’amore non c’è contabilità né clamore.
È in Dio e nella realtà il ‘posto’ per ciascuno di noi senza lacerazioni.
L’aldilà non è impreciso.
Non bisogna snaturarsi per avere consenso… tantomeno per il ‘Cielo’ che vince la morte.
Il destino dell’unicità non va in rovina: è prezioso e caro, come lo è in natura.
Bisogna scorgerne la Bellezza, futura e già attuale.
Emarginato il tornaconto immediato [qualsiasi garanzia sociale non attinente il valore della piccolezza], non ci sarà più bisogno di identificarsi con gli scheletri del pensiero e delle maniere assodati o alla moda.
Neppure conterà collocarsi sopra e davanti: piuttosto sullo sfondo, già ricchi e perfetti, nel senso intimo della pienezza di essere.
Così non dovremo calpestarci a vicenda (v.1)... anche per incontrare Gesù.