Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Incontro esemplare e Vita al culmine sconosciuto
(Lc 6,36-38)
È possibile mettere il Vangelo sotto «Misura» esemplare - ad es. di Legge (retributiva) o di Primo Testamento e Tradizione?
No, non si costruirebbe Famiglia. E il culmine di questo genere di esperienza sarebbe appannaggio etnico o élitario.
Configurazione e proposta che partorirebbe ovunque un mondo grigio, pedissequo, fragile; incapace di dialogo e scoperte sconosciute.
Dopo essersi sentiti separati da una qualità di vita umanizzante e divina, solo la consapevolezza di riconciliazione può trasformare ambienti e persone.
Tale il Gesù vivo e attuato in comunità.
Egli immette i suoi intimi in un’esperienza nuova di comprensione fluida, priva di orgoglio - malgrado “devoto”.
Senza appunto assumere atteggiamenti leziosi o ricalcati a fotocopia.
È allora che l'umiltà c’inonda senza sforzo, portando in vetta la Carità: nell'assetto celeste del Gratis che sposta lo sguardo.
Sopprimendo sopprimendo, gli artifici chiudono inesorabilmente la gioia di vivere.
La imbrigliano nei modi, nell’accentuazione senza fine degli sforzi - contro se stessi, e avversando il mondo altrui.
Convenzioni, doveri standard e reazioni, mai contengono le energie benevolenti, incisive, della crescita.
Nella vita dei Santi lo vediamo: ascoltarsi a fondo, lasciare che sia... e il Perdono, centuplicano l’amore.
Esso diviene sorgente di gesti incredibili in favore del prossimo; nell’accorgersi accentuato, nella cura, nell'ospitalità gratuita, nel dono totale e a fondo perduto.
C’è sempre stato bisogno dell’apporto di energie e situazioni - anche intime - nuove, delle loro sorprese.
Non scartare le ingenuità altrui significa aver imparato ad accogliere le nostre stesse fragilità e opposizioni.
Il mondo inizia a cambiare quando ci si accetta, nell’esperienza della stima del Dio-Con-noi.
Così impariamo a percepire Bellezza, invece che aridità e distacco: ciò che fa diventare la vita più intensa e insieme scorrevole.
Anche la conoscenza di Dio non è un bene di confisca o una scienza acquisita, già interiormente ed esteriormente pignorata.
Muove da un’azione e un’altra, incessantemente; si realizza in un Incontro sempre vivo, che non blocca né dissolve la personalità di ciascuno.
Il criterio di accoglienza (pur di beni variegati per l'anima), il principio di remissione, coesistenza, comunione (anche di risorse molteplici, persino materiali) sono stati i principali catalizzatori della crescita.
Fin nelle prime chiese, il vettore della Misericordia anche sommaria, in cose spicciole, è stato la scaturigine e il senso di tutte le formule, di tutti i segni della stessa Liturgia nascente.
Il centro esistenziale e spirituale cui convergere.
Ecco la conciliazione degli attriti fra consuetudini e concezioni meno chiuse, fra campanili e tribù interne, tradizionalisti e avanguardisti; così via.
Nello Spirito di Provvidenza, ogni composizione non si configura come semplice opera di magnanimità propria di chi cerca di guardare sempre avanti.
È inizio del mondo futuro; principio di un’avventura imprevedibile e indicibile, anche da scapicollo.
E noi in tale Regno, d’improvviso, rifatti ex novo. Rinati; come scaturiti dall’umanità nuova, condizione dei figli autentici.
Generati ancora dal Padre, che accorda tutto e tutti: perché venuti a un franco contatto, nella Persona del Cristo.
Insomma, il Perdono cristiano non è il comune “guardare positivo”. Né ha a che fare con il cosiddetto “pensiero positivo”.
La tolleranza dei figli non è un semplicistico “andare oltre” in senso artificioso. Come facendo finta di nulla e chiudendo un occhio [in modo spicciolo, talora intimamente sprezzante].
Lo spirito di comprensione cui siamo chiamati non deriva da paternalismo buonista, che salva solo le maniere.
È Novità di Dio che crea un ambiente di Grazia - con possibilità enormi, che sprizzano da energie difformi.
Inedito che irrompe per sgretolare primati, equilibri stagnanti.
Lo fa mediante un’impossibile apertura di credito - con una signoria di qualità e prospettive.
Scenari che rigenerano e riattivano persone, famiglie, fraternità; il mondo intero.
Tutto affinché veniamo gratuitamente collocati nella posizione e reciprocità che mette in grado di rivelare il senso nascosto - sbalorditivo - dell’essere e della vocazione.
Il motivo stesso per cui siamo nati.
Per-dono è una restituzione in sovraggiunta di tutta la dignità perduta. Anzi, ben oltre.
Non solo ci rimette in piedi; non solo ricupera. Migliora e potenzia i lati spenti.
Trasforma i mediocri o coloro che si accostano pur avendo una differente sensibilità, un pesante bagaglio, e i senza voce... in battistrada e geniali inventori.
Perché ciò che ieri era impensato, domani sarà di chiarificazione e traino.
Sulla scia di visioni o attese differenti, le confusioni acquisteranno un senso.
Il diradarsi delle nebbie non si otterrà grazie ai cuori normali e arruolati, sempre indulgenti verso se stessi ma severissimi quando qualcuno tocca i loro interessi e automatismi abitudinari.
L’opera di guarigione, di recupero dell’essere disperso - la terapia dei problemi veri - scaturirà bensì per l’opera dei disprezzati e intrusi.
Scartati, disprezzati, eccentrici, malfermi - fuori d’ogni giro e prevedibilità.
Pasta lievitata. Non autoreferenziale.
Ecco gli autentici virtuosi. Principio della Cattolicità, intesa come campo largo.
Le Perle della nuova Pastorale: coloro che aiutano a non segnare troppi confini ideali.
«C’è una felice formula di San Vincenzo di Lérins che, mettendo a confronto l’essere umano in crescita e la Tradizione che si trasmette da una generazione all’altra, afferma che non si può conservare il “deposito della fede” senza farlo progredire: «consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età» (Commonitorium primum, 23,9) – “ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate”. Questo è lo stile del nostro cammino: le realtà, se non camminano, sono come le acque. Le realtà teologiche sono come l’acqua: se l’acqua non scorre ed è stantia è la prima a entrare in putrefazione. Una Chiesa stantia incomincia a essere putrefatta [...]
E qui vorrei precisare che anche sul concetto di “popolo di Dio” ci possono essere ermeneutiche rigide e antagoniste, rimanendo intrappolati nell’idea di una esclusività, di un privilegio, come accadde per l’interpretazione del concetto di “elezione” che i profeti hanno corretto, indicando come dovesse essere rettamente inteso. Non si tratta di un privilegio – essere popolo di Dio –, ma di un dono che qualcuno riceve … per sé? No: per tutti, il dono è per donarlo: questa è la vocazione […]
Perché vi dico queste cose? Perché nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei, ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace.
Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze. Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre, non vi limitate a prendere in considerazione solo chi frequenta o la pensa come voi – che saranno il 3, 4 o 5%, non di più. Permettete a tutti di entrare… Permettete a voi stessi di andare incontro e lasciarsi interrogare, che le loro domande siano le vostre domande, permettete di camminare insieme: lo Spirito vi condurrà, abbiate fiducia nello Spirito. Non abbiate paura di entrare in dialogo e lasciatevi sconvolgere dal dialogo: è il dialogo della salvezza».
[Papa Francesco, Discorso alla Diocesi di Roma 18 settembre 2021]
Dice il Tao Tê Ching (LIX):
«Quando nessuno conosce il suo culmine, egli può possedere il regno».
Vita di pura Fede nello Spirito.
È il “meccanismo” paradossale e inedito che fa valutare i crocevia della storia, scioglie i nodi delle vere questioni.
Non solo supera, piuttosto soppianta i momenti difficili - riportandoci al vero percorso.
E orienta la realtà al bene concreto; poliedrico, non unilaterale.
Facendo volare la stessa realtà nello stupore dello Spirito, che si scatena in modo più importante del solito - verso se stessa.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Nella tua comunità vedi che qualcuno pretende di requisire il dato di Fede, trasformandolo in dovere misurato, prevedibile?
Secondo te, quale descrizione dell’opera di Dio trasmette?
Viceversa, quale effetto inimmaginabile e fuori scala per normali propositi ha prodotto un tuo pur primo o minimo coinvolgimento nella vita di Fede-amore personale?
Perdono e Fede: Incontro vivo
Gratis eccentrico, in avanti: Sacramento dell’umanità come tale
(Lc 17,1-6)
La conoscenza di Dio non è un bene di confisca o una scienza acquisita e già pignorata: muove da un’azione e un’altra, incessantemente; si realizza in un Incontro sempre vivo, che non ci blocca né dissolve.
Tipica, l’esperienza dei «piccoli» [mikròi v.2]. Sin dalle prime comunità di fede, essi sono stati coloro cui mancavano sicurezze ed energie; instabili e senz’appoggio.
Da sempre, «Piccoli» sono gli incipienti; i nuovi, che hanno sentito parlare di fraternità cristiana, ma che talora sono costretti a mettersi in fila, da parte, o rinunciare al cammino.
Ma il criterio di accoglienza, tolleranza, comunione anche di beni materiali, è stato il primo e principale catalizzatore della crescita delle assemblee.
Addirittura la scaturigine e il senso di tutte le formule e segni della liturgia.
Il centro esistenziale e ideale cui convergere. Per una Fede proattiva e in se stessa trasformativa.
Nello Spirito del Maestro, anche per noi la conciliazione degli attriti non si configura come semplice opera di magnanimità.
È inizio del mondo futuro. Principio di un’avventura imprevedibile e indicibile. E noi con esso d’improvviso rinati: venuti a un franco contatto nel Cristo. Colui che non ci spegne affatto.
Di qui il Perdono cristiano dei figli, che non è… “guardare positivo”, e “chiudere un occhio”: piuttosto, Novità di Dio che crea un ambiente di Grazia, propulsivo, con possibilità enormi.
Forza che irrompe e lascia incontrare paradossalmente i poli oscuri, invece di scuoterli di dosso. Eliminando in modo genuino paragoni, parole e zavorre inutili, che bloccano l’Esodo trasparente.
Dinamica che guida all’indispensabile e imprescindibile: onde spostare lo sguardo. Insegnando ad accorgersi dei propri isterismi, conoscersi, affrontare l’ansia, il suo motivo; a gestire situazioni e momenti di crisi.
Virtù plasmabile che pone in ascolto intimo dell’essenza personale.
Quindi Empatia solida, larga, che introduce nuove energie; fa incontrare i propri stati profondi, perfino la vita standard… suscitando altri saperi, diverse prospettive, relazioni inattese.
Così senza troppa lotta ci rinnova, e argina la perdita di veracità [tipica, quella in favore delle maniere di circostanza]. Accentua capacità e gli orizzonti della Pace - sgretolando primati, equilibri paludosi.
La scoperta di nuovi versanti dell’essere che siamo, trasmette un senso di migliore completezza, quindi spontaneamente argina influssi esterni, scioglie pregiudizi, non fa agire su base emotiva, impulsiva.
Colloca piuttosto nella posizione che mette in grado di rivelare il senso nascosto e sbalorditivo dell’essere. Dispiegando l’orizzonte cruciale.
Attivare «Perdono» è gratuitamente una restituzione in sovraggiunta del proprio ventaglio caratteriale, di tutta la dignità perduta, e ben oltre.
Deponendo le sentenze, l’arte della tolleranza dilata lo sguardo [anche intimo]. Migliora e potenzia i lati spenti; quelli che noi stessi avevamo detestato.
In tal guisa eccentrica trasforma i considerati lontani o mediocri [mikroi] in battistrada, e geniali inventori. Perché ciò che ieri era impensato, domani sarà di chiarificazione e traino.
Le confusioni acquisteranno un senso - proprio grazie al pensiero delle menti in crisi, e per l’azione dei disprezzati, intrusi, fuori d’ogni giro e prevedibilità.
Vita di pura Fede nello Spirito: ossia, la fantasia dei “fiacchi”… al potere.
Perché è il meccanismo paradossale che fa valutare i crocevia della storia, attiva le passioni, crea condivisione, risolve i veri problemi.
E dunque soppianta in avanti i momenti difficili (riportandoci al vero percorso) orientando la realtà al bene concreto.
Facendola volare verso se stessa.
L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne. È in tale “vuoto” e Silenzio che Dio si fa strada.
Mistero della Presenza, che trabocca. Nuova Alleanza.
Accrescere la fede: vita noiosa, intimidita, o la porta della speranza
Forse anche a noi è stato inculcato che la fede bisogna chiederla, così Dio ce l’aumenta. Invece abbiamo voce in capitolo, ma non nel senso d’una avance da rivolgere al Cielo.
La Fede è dono, però nel senso di proposta e iniziativa relazionale, faccia a faccia; che chiede percezione accogliente. Quindi non cresce per caduta d’un pacchetto - come a precipizio, o per infusione dall’alto. Addirittura forzandola, e convincendo il Padre.
Non è neppure un semplice assenso legato al carattere bonario. Non è un bagaglio di nozioni che qualcuno ha e dimostra in modo giusto; altri meno, o affatto.
Nell’innamoramento si può essere più o meno coinvolti!
Fede non è credere che Dio esista, ma l’aderire a un suggerimento sorgivo che (senza imposizioni) ci guida a trascurare la reputazione.
La persona di Fede non bada a spese o rischi, anche per la vita altrui. Tiene in sospeso le costumanze particolari; non anteporre gli affetti di cerchia. Perdona senza limiti.
Spesso siamo d’accordo solo in parte e accettiamo qualcosina - magari fino a che l’amore non vada sino in fondo, o ci rimetta in discussione.
Così la testa, i vezzi, la concatenazione dei valori, e il piccolo mondo cui siamo legati.
Accrescere la Fede? Il Dono non è un regalo, ma un Appello.
Perciò Gesù neppure risponde a una richiesta tanto ridicola - ciononostante fa riflettere sui risultati dell’eventuale adesione.
Basterebbe un minimo coinvolgimento e nel mondo si produrrebbero risultati straordinari (v.6); in comunità, nelle famiglie e nella vita personale.
Realizzeremmo l’impossibile e importante. Si risolverebbero i veri problemi. Si trasformerebbero anche le azioni più semplici.
Ci sono poi grandi eventi piantati nel cuore di ogni uomo, che forse consideriamo irrealizzabili: ad es. la fratellanza universale, la vittoria sulla fame, una vita dignitosa e bella per tutti, un mondo e una Chiesa senza personaggi volatili, corrotti e vanitosi.
Siccome le consideriamo situazioni impossibili, neppure iniziamo a edificarle - subito ci lasciamo cadere le braccia.
Ma la maturazione è frutto contromano di lati segreti, non di armature mentali impermeabili.
Come diceva un premio Nobel: «Gli innocenti non sapevano che il loro progetto era impossibile, per questo lo realizzarono».
E non è che dopo una vita impiegata nel servizio - agli ordini del Principale - nell’aldilà finalmente comanderemo, sulla base del rango conquistato [sebbene anche questo forse ci sia stato trasmesso].
Uno dei prodigi che compie in noi la Fede in Cristo - qui e ora - è farci prendere coscienza della bellezza e della gioia di avere libertà di scendere dai piedistalli già identificati, per favorire la vita piena (di tutti).
E a “fine mese” - alla “resa dei conti” o alla “paga” - non diventeremo finalmente dei boss - almeno in cielo!
Perché Dio è Comunione, convivialità delle differenze; e non accetta lo schema servo-padrone, addirittura come premio.
Dio non vuole che si perda nemmeno uno dei suoi figli e il suo animo trabocca di gioia quando un peccatore si converte. La vera religione consiste allora nell'entrare in sintonia con questo Cuore "ricco di misericordia", che ci chiede di amare tutti, anche i lontani e i nemici, imitando il Padre celeste che rispetta la libertà di ciascuno ed attira tutti a sé con la forza invincibile della sua fedeltà. Questa è la strada che Gesù mostra a quanti vogliono essere suoi discepoli: "Non giudicate... non condannate... perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato... Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro" (Lc 6, 36-38). In queste parole troviamo indicazioni assai concrete per il nostro quotidiano comportamento di credenti.
[Papa Benedetto, Angelus 16 settembre 2007]
1. "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto il peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2 Cor 5, 20-21).
Sono parole di San Paolo, che la Chiesa rilegge ogni anno, il Mercoledì delle Ceneri, all'inizio della Quaresima. Nel tempo quaresimale, la Chiesa desidera unirsi in modo particolare a Cristo, il quale, mosso interiormente dallo Spirito Santo, intraprese la sua missione messianica recandosi nel deserto e lì digiunò per quaranta giorni e quaranta notti (cfr Mc 1, 12-13).
Al termine di quel digiuno venne tentato da satana, come annota sinteticamente, nell'odierna liturgia, l'evangelista Marco (cfr 1, 13). Matteo e Luca, invece, trattano con maggiore ampiezza di questo combattimento di Cristo nel deserto e della sua definitiva vittoria sul tentatore: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto" (Mt 4, 10).
Chi parla così è Colui "che non aveva conosciuto peccato" (2 Cor 5, 21), Gesù, "il santo di Dio" (Mc 1, 24).
2. "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore" (2 Cor 5, 21). Poco fa, nella seconda Lettura, abbiamo ascoltato quest'affermazione sorprendente dell'Apostolo. Che cosa significano queste parole? Sembrano un paradosso, ed effettivamente lo sono. Come ha potuto Dio, che è la santità stessa, "trattare da peccato" il suo Figlio unigenito, inviato nel mondo? Eppure, proprio questo leggiamo nel passo della seconda Lettera di san Paolo ai Corinzi. Siamo di fronte ad un mistero: mistero a prima vista sconcertante, ma iscritto a chiare lettere nella divina Rivelazione.
Già nell'Antico Testamento, il Libro di Isaia ne parla con ispirata preveggenza nel quarto canto del Servo di Jahvé: "Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti" (Is 53, 6).
Cristo, il Santo, pur essendo assolutamente senza peccato, accetta di prendere su di sé i nostri peccati. Accetta per redimerci; accetta di farsi carico dei nostri peccati, per compiere la missione ricevuta dal Padre, il quale - come scrive l'evangelista Giovanni - "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui... abbia la vita eterna" (Gv 3, 16).
3. Dinanzi a Cristo che, per amore, si è addossato le nostre iniquità, siamo tutti invitati ad un profondo esame di coscienza. Uno degli elementi caratteristici del Grande Giubileo sta in ciò che ho qualificato come "purificazione della memoria" (Bolla Incarnationis mysterium, 11). Come Successore di Pietro, ho chiesto che "in questo anno di misericordia la Chiesa, forte della santità che riceve dal suo Signore, si inginocchi dinanzi a Dio ed implori il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli" (ibid.). L'odierna prima Domenica di Quaresima mi è parsa l'occasione propizia perché la Chiesa, raccolta spiritualmente attorno al Successore di Pietro, implori il perdono divino per le colpe di tutti i credenti. Perdoniamo e chiediamo perdono!
Questo appello ha suscitato nella Comunità ecclesiale un'approfondita e proficua riflessione, che ha portato alla pubblicazione, nei giorni scorsi, di un documento della Commissione Teologica Internazionale, intitolato "Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato". Ringrazio quanti hanno contribuito all'elaborazione di questo testo. Esso è molto utile per una corretta comprensione e attuazione dell'autentica richiesta di perdono, fondata sulla responsabilità oggettiva che accomuna i cristiani, in quanto membra del Corpo mistico, e che spinge i fedeli di oggi a riconoscere, insieme con le proprie, le colpe dei cristiani di ieri, alla luce di un accurato discernimento storico e teologico. Infatti "per quel legame che, nel Corpo mistico, ci unisce gli uni agli altri, tutti noi, pur non avendone responsabilità personale e senza sostituirci al giudizio di Dio che solo conosce i cuori, portiamo il peso degli errori e delle colpe di chi ci ha preceduto" (Incarnationis mysterium, 11). Riconoscere le deviazioni del passato serve a risvegliare le nostre coscienze di fronte ai compromessi del presente, aprendo a ciascuno la strada della conversione.
4. Perdoniamo e chiediamo perdono! Mentre lodiamo Dio che, nel suo amore misericordioso, ha suscitato nella Chiesa una messe meravigliosa di santità, di ardore missionario, di totale dedizione a Cristo ed al prossimo, non possiamo non riconoscere le infedeltà al Vangelo in cui sono incorsi certi nostri fratelli, specialmente durante il secondo millennio. Chiediamo perdono per le divisioni che sono intervenute tra i cristiani, per l'uso della violenza che alcuni di essi hanno fatto nel servizio alla verità, e per gli atteggiamenti di diffidenza e di ostilità assunti talora nei confronti dei seguaci di altre religioni.
Confessiamo, a maggior ragione, le nostre responsabilità di cristiani per i mali di oggi. Dinanzi all'ateismo, all'indifferenza religiosa, al secolarismo, al relativismo etico, alle violazioni del diritto alla vita, al disinteresse verso la povertà di molti Paesi, non possiamo non chiederci quali sono le nostre responsabilità.
Per la parte che ciascuno di noi, con i suoi comportamenti, ha avuto in questi mali, contribuendo a deturpare il volto della Chiesa, chiediamo umilmente perdono.
In pari tempo, mentre confessiamo le nostre colpe, perdoniamo le colpe commesse dagli altri nei nostri confronti. Nel corso della storia innumerevoli volte i cristiani hanno subito angherie, prepotenze, persecuzioni a motivo della loro fede. Come perdonarono le vittime di tali soprusi, così perdoniamo anche noi. La Chiesa di oggi e di sempre si sente impegnata a purificare la memoria di quelle tristi vicende da ogni sentimento di rancore o di rivalsa. Il Giubileo diventa così per tutti occasione propizia per una profonda conversione al Vangelo. Dall'accoglienza del perdono divino scaturisce l'impegno al perdono dei fratelli ed alla riconciliazione reciproca.
5. Ma che cosa esprime per noi il termine "riconciliazione"? Per coglierne l'esatto senso e valore, bisogna prima rendersi conto della possibilità della divisione, della separazione. Sì, l'uomo è la sola creatura sulla terra che può stabilire un rapporto di comunione con il suo Creatore, ma è anche l'unica a potersene separare. Purtroppo, di fatto tante volte egli si allontana da Dio.
Fortunatamente molti, come il figlio prodigo, del quale parla il Vangelo di Luca (cfr Lc 15, 13), dopo aver abbandonato la casa paterna e dissipato l'eredità ricevuta giungendo a toccare il fondo, si rendono conto di quanto hanno perduto (cfr Lc 15, 13-17). Intraprendono allora la via del ritorno: "Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato..." (Lc 15, 18).
Dio, ben rappresentato dal padre della parabola, accoglie ogni figlio prodigo che a Lui fa ritorno. Lo accoglie mediante Cristo, nel quale il peccatore può ridiventare "giusto" della giustizia di Dio. Lo accoglie, perché ha trattato da peccato in nostro favore l'eterno suo Figlio. Sì, solo per mezzo di Cristo noi possiamo diventare giustizia di Dio (cfr 2 Cor 5, 21).
6. "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito". Ecco significato, in sintesi, il mistero della redenzione del mondo! Occorre rendersi conto fino in fondo del valore del grande dono che il Padre ci ha fatto in Gesù. Bisogna che davanti agli occhi della nostra anima si presenti Cristo - il Cristo del Getsemani, il Cristo flagellato, coronato di spine, carico della croce, ed infine crocifisso. Cristo ha assunto su di sé il peso dei peccati di tutti gli uomini, il peso dei nostri peccati, perché noi potessimo, in virtù del suo sacrificio salvifico, essere riconciliati con Dio.
Si presenta oggi davanti a noi come testimone Saulo di Tarso, diventato san Paolo: egli sperimentò, in modo singolare, la potenza della Croce sulla via di Damasco. Il Risorto si manifestò a lui in tutta la sua abbagliante potenza: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?... Chi sei, o Signore?... Io sono Gesù, che tu perseguiti!" (At 9, 4-5). Paolo, che sperimentò in modo così forte la potenza della Croce di Cristo, si rivolge oggi a noi con un'ardente preghiera: "Vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio". Questa grazia ci è offerta, insiste san Paolo, da Dio stesso, il quale dice a noi oggi: "Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso" (2 Cor 6, 1-2).
Maria, Madre del perdono, aiutaci ad accogliere la grazia del perdono che il Giubileo largamente ci offre. Fa' che la Quaresima di questo straordinario Anno Santo sia per tutti i credenti, e per ogni uomo che cerca Dio, il momento favorevole, il tempo della riconciliazione, il tempo della salvezza!
[Papa Giovanni Paolo II, omelia Giornata del Perdono, Anno Santo 2000, 12 marzo]
Ci soffermiamo oggi sulla quinta beatitudine, che dice: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). In questa beatitudine c’è una particolarità: è l’unica in cui la causa e il frutto della felicità coincidono, la misericordia. Coloro che esercitano la misericordia troveranno misericordia, saranno “misericordiati”.
Questo tema della reciprocità del perdono non è presente solo in questa beatitudine, ma è ricorrente nel Vangelo. E come potrebbe essere altrimenti? La misericordia è il cuore stesso di Dio! Gesù dice: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati» (Lc 6,37). Sempre la stessa reciprocità. E la Lettera di Giacomo afferma che «la misericordia ha sempre la meglio sul giudizio» (2,13).
Ma è soprattutto nel Padre Nostro che noi preghiamo: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12); e questa domanda è l’unica ripresa alla fine: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,14-15; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2838).
Ci sono due cose che non si possono separare: il perdono dato e il perdono ricevuto. Ma tante persone sono in difficoltà, non riescono a perdonare. Tante volte il male ricevuto è così grande che riuscire a perdonare sembra come scalare una montagna altissima: uno sforzo enorme; e uno pensa: non si può, questo non si può. Questo fatto della reciprocità della misericordia indica che abbiamo bisogno di rovesciare la prospettiva. Da soli non possiamo, ci vuole la grazia di Dio, dobbiamo chiederla. Infatti, se la quinta beatitudine promette di trovare misericordia e nel Padre Nostro chiediamo la remissione dei debiti, vuol dire che noi siamo essenzialmente dei debitori e abbiamo necessità di trovare misericordia!
Tutti siamo debitori. Tutti. Verso Dio, che è tanto generoso, e verso i fratelli. Ogni persona sa di non essere il padre o la madre che dovrebbe essere, lo sposo o la sposa, il fratello o la sorella che dovrebbe essere. Tutti siamo “in deficit”, nella vita. E abbiamo bisogno di misericordia. Sappiamo che anche noi abbiamo fatto il male, manca sempre qualcosa al bene che avremmo dovuto fare.
Ma proprio questa nostra povertà diventa la forza per perdonare! Siamo debitori e se, come abbiamo ascoltato all’inizio, saremo misurati con la misura con cui misuriamo gli altri (cfr Lc 6,38), allora ci conviene allargare la misura e rimettere i debiti, perdonare. Ognuno deve ricordare di avere bisogno di perdonare, di avere bisogno del perdono, di avere bisogno della pazienza; questo è il segreto della misericordia: perdonando si è perdonati. Perciò Dio ci precede e ci perdona Lui per primo (cf Rm 5,8). Ricevendo il suo perdono, diventiamo capaci a nostra volta di perdonare. Così la propria miseria e la propria carenza di giustizia diventano occasione per aprirsi al regno dei cieli, a una misura più grande, la misura di Dio, che è misericordia.
Da dove nasce la nostra misericordia? Gesù ci ha detto: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). Quanto più si accoglie l’amore del Padre, tanto più si ama (cfr CCC, 2842). La misericordia non è una dimensione fra le altre, ma è il centro della vita cristiana: non c’è cristianesimo senza misericordia.[1] Se tutto il nostro cristianesimo non ci porta alla misericordia, abbiamo sbagliato strada, perché la misericordia è l’unica vera meta di ogni cammino spirituale. Essa è uno dei frutti più belli della carità (cf. CCC, 1829).
Ricordo che questo tema è stato scelto fin dal primo Angelus che ho dovuto dire come Papa: la misericordia. E questo è rimasto molto impresso in me, come un messaggio che come Papa io avrei dovuto dare sempre, un messaggio che dev’essere di tutti i giorni: la misericordia. Ricordo che quel giorno ho avuto anche l’atteggiamento un po’ “spudorato” di fare pubblicità a un libro sulla misericordia, appena pubblicato dal cardinale Kasper. E quel giorno ho sentito tanto forte che questo è il messaggio che devo dare, come Vescovo di Roma: misericordia, misericordia, per favore, perdono.
La misericordia di Dio è la nostra liberazione e la nostra felicità. Noi viviamo di misericordia e non ci possiamo permettere di stare senza misericordia: è l’aria da respirare. Siamo troppo poveri per porre le condizioni, abbiamo bisogno di perdonare, perché abbiamo bisogno di essere perdonati. Grazie!
[1] Cfr S. Giovanni Paolo II, Enc. Dives in misericordia (30 novembre 1980); Bolla Misericordae Vultus (11 aprile 2015); Lett. ap. Misericordia et misera (20 novembre 2016).
(Papa Francesco, Udienza Generale 18 marzo 2020)
Fede e Metamorfosi
(Mt 17,1-9; Mc 9,2-13; Lc 9,28-36)
Nel linguaggio biblico, l’esperienza de «il Monte» è icona dell’Incontro fra Dio e l’uomo. È sì per noi come un “perdere la testa”, ma in modo assai pratico - niente affatto visionario.
Il Maestro la impone alle tre figure eminenti delle prime comunità, non perché li considera degli eletti, ma l’esatto contrario: si accorge che sono i suoi capitani che hanno bisogno d’una verifica.
I Vangeli sinottici non parlano di trasfigurazione alcuna, ma di «Metamorfosi» [Mc 9,2 e Mt 17,2; testo greco]: passaggio sotto una ‘forma’ differente.
In particolare, Lc 9,29 sottolinea che «l’aspetto del suo volto divenne ‘altro’». Non per uno stato parossistico.
Sembra pazzesco, ma la ieratica magnificenza dell’Eterno si rivela controcorrente: nell’immagine del garzone dimesso.
L’esperienza della Gloria divina risulta per i discepoli eminenti insostenibile - non in riferimento a bagliori di luce fisici.
Come nelle icone orientali, si ritrovano faccia a terra [Mt 17,6; nella cultura dell’oriente antico significava precisamente: “sconfitti” nelle loro aspirazioni] e spaventati. Timorosi di essere chiamati anche loro al dono di sé: Mc 9,6; Mt 17,6; Lc 9,34-36.
La vertigine dell’esperienza di Dio non era quella che coltivavano e volevano.
Il chiarore abbagliante cui si riferisce il passo (Mc 9,3; Mt 17,2.5; Lc 9,29) è quello d’una Rivelazione che fa aprire gli occhi sull’identità “impossibile” del Figlio.
Era popolarmente atteso come somigliante a Davide, sovrano potente, in grado di assicurare al popolo un agevole e pronto benessere.
Si ‘svela’ in un capovolgimento: Gloria di Dio è la Comunione nella semplicità, che ci qualifica tutti.
La ‘forma’ del “capo” è quella dell’inserviente, che ha la libertà di scendere di quota per mettere a proprio agio gli ultimi: l’umanamente sconfitto!
Pietro sgomita più di altri per dire la sua. Come solito, vuole emergere e ribadire le idee antiche, ma si svela come il più ridicolo di tutti (Mc 9,6; Lc 9,33): sproloquia.
Per lui [ancora!] al centro del trittico resta Mosè (Mc 9,5; Mt 17,4; Lc 9,33).
Con l’ausilio di profezie animate da zelo focoso [Elia], secondo Simone Gesù sarebbe uno dei tanti che fa praticare la tradizione legalista.
A fondamento restano i Comandamenti, non le Beatitudini.
Il primo degli apostoli proprio non vuol capire che il Signore non impone un’Alleanza fondata sull’obbedire, ma sul Somigliare!
Certo, anche gli altri “grandi” erano in dormiveglia. Chissà cosa sognavano... poi smarriti cercano tutti e ancora un Gesù secondo Mosè ed Elia (Mc 9,8-10; Mt 17,8; Lc 9,36).
Nella cultura del tempo, il nuovo Principe osservante e dirompente era atteso durante la festa delle Capanne.
Avrebbe inaugurato il dominio del popolo eletto su tutte le nazioni della terra (Zc 14,16-19); in pratica, l’età dell’oro.
Nel giudaismo, la festa delle Capanne faceva memoria delle mirabilia Dei dell’esodo [Lc 9,31: qui, la nuova e personalistica liberazione dal paese delle schiavitù] e guardava al futuro celebrando le prospettive di vittoria dell’etnia protagonista.
Ma il Regno del Signore non è un impero affetto da verticismo prodigioso e immediato.
Per edificare la Chiesa di Dio non vi sono scorciatoie, né punti di sicurezza intorpidita. E lì starsene tranquilli - a distanza di sicurezza - delirando riconoscimenti.
[2.a Domenica di Quaresima, Trasfigurazione del Signore]
(Mt 17,1-9; Mc 9,2-13; Lc 9,28-36)
«La montagna - il Tabor come il Sinai - è il luogo della vicinanza con Dio. È lo spazio elevato, rispetto all'esistenza quotidiana, dove respirare l'aria pura della creazione. È il luogo della preghiera, dove stare alla presenza del Signore, come Mosè e come Elia, che appaiono accanto a Gesù trasfigurato e parlano con Lui dell'"esodo" che lo attende a Gerusalemme, cioè della sua Pasqua. La Trasfigurazione è un avvenimento di preghiera: pregando Gesù si immerge in Dio, si unisce intimamente a Lui, aderisce con la propria volontà umana alla volontà di amore del Padre, e così la luce lo invade e appare visibilmente la verità del suo essere: Egli è Dio, Luce da Luce. Anche la veste di Gesù diventa candida e sfolgorante. Questo fa pensare al Battesimo, alla veste bianca che indossano i neofiti. Chi rinasce nel Battesimo viene rivestito di luce anticipando l'esistenza celeste, che l'Apocalisse rappresenta con il simbolo delle vesti candide (cfr Ap 7, 9.13). Qui è il punto cruciale: la trasfigurazione è anticipo della risurrezione, ma questa presuppone la morte. Gesù manifesta agli Apostoli la sua gloria, perché abbiano la forza di affrontare lo scandalo della croce, e comprendano che occorre passare attraverso molte tribolazioni per giungere al Regno di Dio. La voce del Padre, che risuona dall'alto, proclama Gesù suo Figlio prediletto come nel Battesimo nel Giordano, aggiungendo: "Ascoltatelo" (Mt 17, 5). Per entrare nella vita eterna bisogna ascoltare Gesù, seguirlo sulla via della croce, portando nel cuore come Lui la speranza della risurrezione. "Spe salvi", salvati nella speranza. Oggi possiamo dire: "Trasfigurati nella speranza"» [Papa Benedetto].
Nel linguaggio biblico, l’esperienza de «il Monte» è icona dell’Incontro fra Dio e l’uomo. È sì per noi come un perdere la testa, ma in modo assai pratico - niente affatto visionario.
Il Maestro la impone alle tre figure eminenti delle prime comunità, non perché li considera degli eletti, ma l’esatto contrario: si accorge che sono i suoi capitani che hanno bisogno d’una verifica.
I Vangeli sinottici non parlano di trasfigurazione alcuna, ma di «Metamorfosi» [testo greco di Mt 17,2 e Mc 9,2]: passaggio sotto una forma differente.
In particolare Lc 9,29 sottolinea che «l’aspetto del suo volto divenne altro» [testo greco]. Non per uno stato parossistico.
Sembra pazzesco, ma la ieratica magnificenza dell’Eterno si rivela controcorrente: nell’immagine del garzone dimesso.
L’esperienza della Gloria divina risulta per i discepoli eminenti insostenibile - non in riferimento a bagliori di luce fisici.
Come nelle icone orientali, si ritrovano faccia a terra. «E udendo i discepoli caddero sul loro volto e furono presi grandemente da timore» (Mt 17,6).
Nella cultura dell’oriente antico significava precisamente: “sconfitti” nelle loro aspirazioni - e spaventati. Timorosi di essere chiamati anche loro al dono di sé: Mt 17,6; Mc 9,6; Lc 9,34-36.
La vertigine dell’esperienza di Dio non era quella che coltivavano e volevano.
Il chiarore abbagliante cui si riferisce il passo (Mt 17,2.5; Mc 9,3; Lc 9,29) è quello d’una Rivelazione che fa aprire gli occhi sull’identità “impossibile” del Figlio.
Era popolarmente atteso come somigliante a Davide, sovrano potente, in grado di assicurare al popolo un agevole e pronto benessere.
Si svela al viceversa. Manifestazione lampante di Dio è: Comunione nella semplicità, che ci qualifica tutti.
La forma del “capo” è quella dell’inserviente, che ha la libertà di scendere di quota per mettere a proprio agio gli ultimi: l’umanamente sconfitto!
Pietro sgomita più di altri per dire la sua. Come solito, vuole emergere e ribadire le idee antiche, ma si svela come il più ridicolo di tutti (Mc 9,6; Lc 9,33): sproloquia.
Per lui [ancora!] al centro del trittico resta Mosè (Mt 17,4; Mc 9,5; Lc 9,33).
Con l’ausilio di profezie animate da zelo focoso [Elia], secondo Simone Gesù sarebbe uno dei tanti che avrebbe fatto praticare la tradizione legalista.
A fondamento restano i Comandamenti, non le Beatitudini.
Il primo degli apostoli proprio non vuol capire che il Signore non impone un’Alleanza fondata sull’obbedire, ma sul Somigliare!
Certo, anche gli altri “grandi” erano in dormiveglia. Chissà cosa sognavano... poi smarriti cercano tutti e ancora un Gesù secondo Mosè ed Elia (Mt 17,8; Mc 9,8-10; Lc 9,36).
Nella cultura del tempo, il nuovo Principe osservante e dirompente era atteso durante la festa delle Capanne.
Avrebbe inaugurato il dominio del popolo eletto su tutte le nazioni della terra (Zc 14,16-19); in pratica, l’età dell’oro.
Nel giudaismo, la festa delle Capanne faceva memoria delle «mirabilia Dei» dell’Esodo [Lc 9,31: qui, la nuova e personalistica liberazione dal paese delle schiavitù] celebrandone le prospettive di vittoria.
Ma il Regno del Signore non è un impero tutto da godere, prodigioso e immediato - badando per il resto a non farsi troppo del male, ossia tenendosi a distanza di sicurezza.
Nessuna proposta di vita scorrevole. Piuttosto, cambiamento di volto e di cosmo.
Sviluppo e passaggio inatteso, che però convince l’anima: invita all’introspezione e a prendere atto - così ci completa e fa trasalire (con virtù perfetta).
Per edificare la Chiesa di Dio non vi sono scorciatoie, né punti di sicurezza intorpidita, e lì starsene tranquilli a coltivare consenso - al riparo dalle ferite, o senza vedere altre relazioni.
L’esperienza della Gloria è «sub contraria specie»: nella regalità che spinge verso il basso.
Ma nella parsimonia ci fa scoprire metamorfosi da stupore - così vicine alle nostre radici.
Elia, Giovanni, Gesù: Evoluzione del senso di Comunità
Traiettoria curva, e il modello che non è la “sfera”
(Mt 17,10-13)
All’esperienza de “il Monte” - cosiddetta Trasfigurazione - segue l’episodio di Elia e Giovanni [cf. Mt 17,10-13 e parallelo Mc 9,2-13].
Gesù ha introdotto i discepoli in vista ma più testardi degli altri alla percezione della Metamorfosi (Mt 17,2 testo greco) del Volto divino e ad un’idea capovolta del Messia atteso (vv.4-7).
Gli esperti delle sacre Scritture ritenevano che il ritorno di Elia dovesse anticipare e preparare l’avvento del Regno di Dio.
Poiché il Signore era presente, i primi discepoli si chiedevano quale fosse il valore di quell’insegnamento.
Anche nelle comunità di Mt e Mc, tra i molti provenienti dal giudaismo sorgeva il quesito circa il peso delle dottrine antiche, in relazione al Cristo.
Il brano di Vangelo è dotato di una potente specificità personale, cristologica [il fratello più prossimo, che riscatta: Go’El del sangue].
A ciò si aggiunge una precisa accezione comunitaria, perché Gesù identifica la figura del profeta Elia con il Battista.
Al tempo, nell’area palestinese le difficoltà economiche e la dominazione romana costringevano le persone a ripiegare su un modello di vita individuale.
I problemi di sussistenza e assetto sociale avevano avuto come conseguenza uno sgretolamento della vita di relazione (e legami) sia di clan che nelle stesse famiglie.
Nuclei accorpanti, che avevano sempre assicurato assistenza, sostegno e difesa concreta ai membri più deboli e in difficoltà.
Tutti si attendevano che la venuta di Elia e del Messia potesse avere un esito positivo nella ricostruzione della vita fraterna, allora intaccata.
Come si diceva: «ricondurre il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri» [Mal 3,22-24 annunciava proprio l’invio di Elia] per ricostruire la convivenza disintegrata.
Ovviamente il recupero del senso d'identità interno del popolo era malvisto dal sistema di dominazione. Figuriamoci la cifra gesuana della Chiamata per Nome, che avrebbe spalancato la vita pia popolare a mille possibilità.
Giovanni aveva predicato con forza un ripensamento dell’idea di libertà conquistata (passaggio del Giordano), il riassetto delle idee religiose consolidate (conversione e perdono dei peccati nella vita reale, fuori del Tempio) e giustizia sociale.
Avendo un progetto evoluto di riforma nella solidarietà (Lc 3,7-14), in pratica era il Battezzatore stesso che aveva già svolto la missione dell’Elia atteso [Mt 17,10-12; Mc 9,11-13].
Per questo motivo era stato tolto di mezzo: poteva riassemblare tutto un popolo di estromessi - emarginati sia dal giro del potere che della religiosità verticista, accomodante, servile, e collaborazionista.
Una devozione a compartimenti stagni, che non consentiva assolutamente né il “ricordo” di se stessi, né dell’antico assetto sociale comunitario, incline alla condivisione.
Insomma, il sistema di cose, interessi, gerarchie, forzava a radicarsi in quella configurazione insoddisfacente. Ma ecco Gesù, che non si piega.
Chi ha il coraggio d’intraprendere un cammino di spiritualità biblica e di Esodo impara ad apprendere che ciascuno ha un modo differente di scendere in campo e stare nel mondo.
Allora, esiste un saggio equilibrio tra rispetto di sé, del contesto, e altrui?
Gesù viene presentato da Mt alle sue comunità come Colui che ha voluto continuare l’opera di edificazione del Regno, sia sotto il profilo della qualità vocazionale che per quanto concerne la ricostruzione della coesistenza.
Con una differenza fondamentale: rispetto al portato delle concezioni etnico-religiose, il Maestro non propone a tutti una sorta di ideologia di corpo, che finisce per spersonalizzare i Doni eccentrici dei deboli - quelli imprevedibili per una mentalità consolidata, ma che tracciano futuro.
In clima di clan rinsaldato, non di rado sono proprio i senza peso e coloro che conoscono solo abissi (e non vertici) a venire come spinti all’assenso di una conformazione rassicurante d’idee - invece che dinamica - e fucina di accoglienza più larga.
Quanti non conoscono vette ma solo povertà, proprio nei momenti di crisi sono i primi invitati dalle circostanze avverse ad oscurare il proprio sguardo sull’avvenire.
I miseri restano gl’impossibilitati a guardare in un’altra direzione e spostarsi, tracciando un diverso destino - proprio a causa di tare esterne a loro: culturali, di tradizione, di reddito, o “spirituali”.
Tutte caselle riconoscibili, forse talora non allarmanti, ma lontane dalla nostra natura.
E subito: con la condanna a portata di giudizio comune [per mancata omologazione].
Sentenza che vuole tarpare le ali, annientare l’atmosfera nascosta e segreta che appartiene davvero all'unicità personale, e condurci tutti - anche in modo esasperato.
Il Signore propone una vita assembleare di carattere, ma non ostinata né targata - non disattenta... come nella misura in cui viene costretta ad andare nella medesima rotta antica di sempre. O nella stessa direzione dei capitribù.
Cristo vuole una collaborazione più rigogliosa, che faccia utilizzare bene le risorse (interne e non) e le differenze.
Assetto per l’inedito: nel modo che ad es. le cadute o le inesorabili tensioni non vengano camuffate - anzi, diventino opportunità, sconosciute e impensabili ma assai feconde di vita.
Qui anche le crisi diventano importanti, anzi fondamentali per far evolvere la qualità dello stare accanto - nella ricchezza del «poliedro» che come scrive Papa Francesco «riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» [Evangelii Gaudium n.236].
Senza rigenerarsi, solo ripetendo e ricalcando modalità collettive - da modello sfera (ibidem) - o altrui, ossia da nomenclatura, non personalmente rielaborate o valicate, non si cresce; non ci si dirige verso la propria irripetibile missione.
Non si colma il senso lacerante di vuoto.
Tentando di manipolare caratteri e personalità per guidarle al “come devono essere”, non si sta bene con se stessi e neppure fianco a fianco. Non si trasmette ai tanti diversi la percezione di stima e adeguatezza, né il senso di benevolenza - tantomeno gioia di vivere.
Le traiettorie curve o a tentativo ed errore si confanno alla Prospettiva del Padre, e alla nostra crescita irripetibile.
Differenza tra religiosità e Fede.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quando nella tua vita è cresciuto in modo sincero e non costretto dalle circostanze il tuo senso di comunità?
Come contribuisci in modo convinto alla fraternità concreta - talora profetica e critica (come Giovanni e Gesù)? O sei rimasto allo zelo fondamentalista di Elia e a quello accorpante ma purista dei precursori del Signore Gesù?
In tutti i Sinottici, al brano della Metamorfosi di Gloria segue l’episodio della guarigione del fanciullo epilettico [in Mt appunto dopo la questione del Ritorno di Elia che Mc include]. Tema che gli altri evangelisti traggono proprio da Mc 9,14-29. Andiamo direttamente a tale fonte, assai istruttiva per cogliere e precisare il significato profondo dell’argomento e della proposta essenziale comune, introdotta dagli Autori nella catechesi della cosiddetta “Trasfigurazione”:
Fede, Preghiera d’attenzione, Guarigioni: senza esclusione di colpi
(Mc 9,14-29)
Come regolarsi nell’impotenza di fronte ai drammi dell’umanità? Anche nel cammino di Fede, a un certo punto del nostro percorso cogliamo un bisogno insopprimibile di trasformarci.
Vogliamo realizzare il nostro essere in modo più completo, e fare il bene, perfino altrui. È una spinta innata.
Il bisogno di vita non nasce da ragionamenti: sorge spontaneo, affinché emergano nuove situazioni, altre parti di noi.
Cambiare è legge di natura, di ogni Seme.
Tale moto ci “chiama” dalle profondità del nostro Nucleo, affinché arriviamo a modificare equilibri, convincimenti, modi di scendere in campo che hanno fatto il loro tempo.
A tale vocazione si può rispondere rendendosi disponibili, onde scoprire differenti punti di vista. Anche esterni, ma a partire dal rinvenimento di una sorta di “nuovo io” che in realtà giaceva nell’ombra delle nostre virtù.
Energie cui non avevamo ancora concesso respiro.
Viceversa, a tale processo ci si può d’istinto opporre, causa varie paure, e allora ogni vicenda diventa ostica; come una corsa a ostacoli.
Infine, nel nostro itinerario di trasformazione si rinviene spesso anche l’opposizione degli altri, che magari appaiono più esperti di noi…
Sembrano periti e veterani, eppure anch’essi “spaventati” dal fatto che non intendiamo fermarci al palo già dettato.
In ogni caso la spinta al cambiamento non mollerà la presa intima.
Faremo azioni nuove, esprimeremo diverse opinioni, mostreremo lati opposti della personalità; lasceremo più spazio all’onda vitale.
Basta coi compromessi, anche se agli altri può sorgere il dubbio che siamo diventati “tortuosi”.
Insomma, che potere ha il sopraggiungere della scelta di Fede nella vita, persino fra l’incredulità della gente?
E - come nel passo di Vangelo - nello scetticismo incapace [degli stessi apostoli, che sarebbero i primi deputati a manifestarne lo spessore]?
Anche oggi alcuni vecchi “personaggi” e guide stanno tramontando, spiazzati dal nuovo incedere di consapevolezze, o da enigmi cangianti, e differenti unità di misura.
La vecchia “forma” non soddisfa più. Anzi, produce malessere. Ma c’è attorno - appunto - tutto un sistema di aspettative, anche “spirituali”, o almeno “religiose” piuttosto conformiste.
Qual è il punto, se anche noi preti non siamo più rassicuranti? E cosa ne pensa Dio?
La messianicità di Cristo e la stessa Salvezza appartengono alla sfera della Fede e della Preghiera.
Sono gli ambiti dell'ascolto intimo, della percezione acuta, della fiduciosa accoglienza sponsale, e della spinta liberatrice.
Il Maestro stesso - fluido e concreto - non si è immerso nel sistema delle rigide aspettative sociali [reciproche] del suo tempo, e ha deciso di uscire dal “gruppo”.
Su questo punto Gesù sbotta contro la mediocrità e l’azione senza picchi - tutta prevedibile - dei suoi (vv.18-19) ed è costretto a riprendere da zero (vv.28-29).
Certo, forse anche agli altri manca la Fede creativa senza flessioni e turbillon, ma almeno lo riconoscono (v.24) e con estrema riservatezza desiderano essere aiutati, ben prima di farsi insegnanti altrui (v.14).
Talora proprio gli intimi del vero Maestro, forse ancora scarsamente esperti dei grandi segni di Dio, ricercano solo l’osanna dei ruoli, e consenso nella spettacolarità.
Tanto che «entrato Egli in casa» ossia nella sua Chiesa (v.28) deve ricominciare a fare catechismo base [forse pre-catechismo, proprio ai suoi capi].
Senza voler concedere alle turbe nessun festival d’avanspettacolo esterno, come probabilmente avrebbero fatto gli “intimi”.
Il brano è strutturato sulla falsariga delle prime liturgie catecumenali.
Il Signore vuole che le persone schiavizzate da pensieri normali, dall’ideologia di potere e dalla falsa religione vengano portate a Lui (v.19) ed esige la Fede di coloro che le guidano (vv.23-24).
Il principiante passa attraverso una revisione di vita che «contorce» e «conduce a terra».
Questo perché si può rimanere appunto plagiati da guide “spirituali” dirigiste, poco sagge, nascostamente manipolanti - malgrado inefficaci e sotto sotto insicure.
Poi è un vero strazio scoprire di essersi fin dall’infanzia (v.21) regolati su un modello mortificante - fatto di facili classificazioni, che però non realizzano, bensì disumanizzano.
Forse anche noi siamo stati condizionati da direttori poco accorti.
E solo con faticose, strazianti esperienze, abbiamo scoperto che proprio quanto ci era stato insegnato come sublime - e in grado di assicurarci comunione con Dio - era viceversa la prima causa del distacco da Lui, nonché da un’esistenza personale ed ecclesiale più armonica e colma.
Per essere liberato e risorgere a nuova vita (v.27) il candidato del cammino di Fede passa come attraverso una morte - sorta d’immersione battesimale, che affoga la sua antica formazione [di fatto] paganeggiante.
Al tempo di Mc molti parlavano di espulsione dei demoni.
Nella tipologia del nuovo Battesimo, la comunità di Roma voleva esprimere l’obbiettivo della Lieta Notizia dei Vangeli: aiutare le persone a levarsi su - liberandosi dalle paure condizionanti del male.
Non è quello il vero potere.
Nel brano, sordità e mutismo del fanciullo stanno a indicare la mancanza della «Parola» che si fa «evento» - vita incessante, crescente, in grado di tramutare la sorte segnata, standard, di “terra”.
Carenza che sussiste sia in mezzo al popolo disorientato che - purtroppo - in primis tra i discepoli, malati di protagonismo e unilateralità.
Lo stesso comportamento del giovane (vv.18.20.26) ricalca le modalità esistenziali di persone soggiogate da forze invincibili, perché autodistruttive - quindi in preda a lacerazioni ossessive, senza posa.
Contrarie alla quintessenza del carattere personale.
È una situazione appunto straziante: quella di chi scopre di essere stato ingannato da una religiosità di convincimenti troppo comuni - col trucco epidermico, persuasivo, delle direzioni di branco o di massa.
L’avvento del Regno di Dio significava sin d’allora la venuta d’un potere “interno” più forte dello stesso esercito romano, le cui legioni venivano usate appunto per mantenere situazioni d’oppressione civile, persino di timore religioso.
Anche oggi, tra le spinte che inducono malattie profonde [come un qualcosa che si è impadronito di noi] e la presenza del Messia, si scatena una lotta senza esclusione di colpi.
I due poli opposti non si sopportano; fanno scintille.
Ma la soluzione non è meravigliare le folle, né viceversa tentare di rifare cose che infine tornino a sacralizzare lo status quo.
Così, talora sembra che non siamo in condizione di avviare processi di guarigione autentica (v.18b).
Eppure il male non cede per miracolo e con clamore, né per forza o insistenza dell’uomo, bensì per sintonia e Dono (v.29). A partire da potenze-evento interne.
Ecco lo spazio dell’orazione-ascolto.
La preghiera fa uscire dai confini e pone in contatto con altre energie e sorprese di cui non ci si è accorti: virtù innate e della Grazia, le quali permettono di vedere ogni situazione con altri occhi, liberati.
Per le soluzioni che risolvono i veri problemi, da dentro, abbiamo bisogno costante non di regole conformiste, bensì di una nuova Lettura.
Ecco lo sguardo dissimmetrico.
Dice il Tao Tê Ching (i): «Il Tao [modo di condursi] che può esser detto non è l’Eterno Tao. Il nome che può esser nominato, non è l’Eterno Nome». Commenta il maestro Wang Pi: «Un Tao effabile indica una pratica».
La nostra vita non si gioca sull’iniziativa di ciò che siamo già in grado di allestire e praticare - o interpretare, disegnare e prevedere (vv.14-19) - ma sull’Attenzione (v.29).
Il «monte» da smuovere [v. parallelo Mt 17,20 - cf. Mt 19,20ss; Mc10,20ss; Lc 18,21ss] non è fuori, ma dentro di noi.
In tal guisa, l’idea conformista che ci scoraggia, o tutti gli ostacoli (invece di nuocere) saranno preziose occasioni di crescita.
Saremo al centro della realtà d’Incarnazione: come un mettere la carne al fuoco.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come vivi i tuoi conflitti? Qual è la tua esperienza di guarigione?
Superare quel “qualcosa di incredulità”,
e “mettere la carne al fuoco”
I miracoli esistono ancora oggi. Ma per consentire al Signore di compierli c'è bisogno di una preghiera coraggiosa, capace di superare quel "qualcosa di incredulità" che alberga nel cuore di ogni uomo, anche se uomo di fede. Una preghiera soprattutto per coloro che soffrono a causa delle guerre, delle persecuzioni e di ogni altro dramma che scuote la società di oggi. Ma la preghiera deve "mettere carne al fuoco", cioè coinvolgere la nostra persona e impegnare tutta la nostra vita, per superare l'incredulità [...]
Tornando all'episodio evangelico, il Santo Padre ha riproposto la domanda dei discepoli che non erano riusciti a scacciare lo spirito maligno dal giovane: "Ma perché noi non abbiamo potuto cacciarlo? Questa specie di demoni, spiega Gesù, non si può cacciare in alcun modo se non con la preghiera". E il padre del fanciullo "ha detto: Credo Signore, aiuta la mia incredulità". La sua è stata "una preghiera forte; e questa preghiera, umile e forte, fa sì che Gesù possa fare il miracolo. La preghiera per chiedere un'azione straordinaria - ha spiegato il Pontefice - deve essere una preghiera che ci coinvolge tutti, come se impegnassimo tutta la nostra vita in quel senso. Nella preghiera bisogna mettere la carne al fuoco".
Il Pontefice ha poi raccontato un episodio avvenuto in Argentina: "Mi ricordo una cosa che è successa tre anni fa nel santuario di Luján". Una bambina di sette anni si era ammalata, ma i medici non trovavano la soluzione. Andava peggiorando sempre, sino a quando, una sera, i medici dissero che non c'era più niente da fare e che le rimanevano poche ore di vita. "Il papà, che era un elettricista, un uomo di fede, è diventato come pazzo. E spinto da quella pazzia ha preso il bus ed è andato al santuario di Luján, due ore e mezzo di bus, a settanta chilometri di distanza. È arrivato alle nove di sera e ha trovato tutto chiuso. E lui ha cominciato a pregare con le mani aggrappate al cancello di ferro. Pregava e piangeva. Così è rimasto tutta la notte. Quest'uomo lottava con Dio. Lottava proprio con Dio per la guarigione della sua fanciulla. Poi alle sei di mattina è andato al terminal e ha preso il bus. È arrivato all'ospedale alle nove, più o meno. Ha trovato la moglie che piangeva e ha pensato al peggio: cosa è successo? Non capisco. Cosa è successo? Sono venuti i dottori, gli ha risposto la moglie, e mi hanno detto che la febbre è scomparsa, respira bene, non c'è niente... La terranno ancora solo due giorni. Ma non capiscono quello che è successo. E questo - ha commentato il Papa - succede ancora. I miracoli ci sono. Ma serve la preghiera! Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo, non quelle preghiere per cortesia: Ah, io pregherò per te! Poi un Pater Noster, un'Ave Maria e mi dimentico. No! Ci vuole una preghiera coraggiosa, come quella di Abramo che lottava con il Signore per salvare la città; come quella di Mosè che pregava con le mani in alto e si stancava pregando il Signore; come quella di tanta gente che ha fede e con la fede prega, prega".
La preghiera fa miracoli, "ma - ha concluso Papa Francesco - dobbiamo crederlo. Io penso che noi possiamo fare una bella preghiera, non una preghiera per cortesia, ma una preghiera con il cuore, e dirgli oggi per tutta la giornata: Credo Signore! Aiuta la mia incredulità. Tutti noi abbiamo nel cuore qualcosa di incredulità. Diciamo al Signore: Credo, credo! Tu puoi! Aiuta la mia incredulità. E quando ci chiedono di pregare per tanta gente che soffre nelle guerre, nelle loro condizioni di rifugiati, in tutti questi drammi preghiamo, ma con il cuore, e diciamo: Signore, fallo. Credo, Signore. Ma aiuta la mia incredulità".
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 20-21/05/2013]
Cari fratelli e sorelle!
Nell’odierna seconda domenica di Quaresima, l’evangelista Luca sottolinea che Gesù salì sul monte "a pregare" (9,28) insieme agli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni e, "mentre pregava" (9,29), si verificò il luminoso mistero della sua trasfigurazione. Salire sulla montagna per i tre Apostoli ha perciò voluto dire essere coinvolti nella preghiera di Gesù, che si ritirava spesso in orazione, specialmente all’alba e dopo il tramonto, e talvolta per tutta la notte. Solo però quella volta, sulla montagna, Egli volle manifestare ai suoi amici la luce interiore che lo ricolmava quando pregava: il suo volto - leggiamo nel Vangelo - s’illuminò e le sue vesti lasciarono trasparire lo splendore della Persona divina del Verbo incarnato (cfr Lc 9,29).
C’è un altro dettaglio, proprio del racconto di san Luca, che merita di essere sottolineato: l’indicazione cioè dell’oggetto della conversazione di Gesù con Mosè ed Elia, apparsi accanto a Lui trasfigurato. Essi – narra l’Evangelista – "parlavano della sua dipartita (in greco éxodos), che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme" (9,31). Dunque, Gesù ascolta la Legge e i Profeti che gli parlano della sua morte e risurrezione. Nel suo dialogo intimo con il Padre, Egli non esce dalla storia, non sfugge alla missione per la quale è venuto nel mondo, anche se sa che per arrivare alla gloria dovrà passare attraverso la Croce. Anzi, Cristo entra più profondamente in questa missione, aderendo con tutto se stesso alla volontà del Padre, e ci mostra che la vera preghiera consiste proprio nell’unire la nostra volontà a quella di Dio. Per un cristiano, pertanto, pregare non è evadere dalla realtà e dalle responsabilità che essa comporta, ma assumerle fino in fondo, confidando nell’amore fedele e inesauribile del Signore. Per questo, la verifica della trasfigurazione è, paradossalmente, l’agonia nel Getsemani (cfr Lc 22,39-46). Nell’imminenza della passione, Gesù ne sperimenterà l’angoscia mortale e si affiderà alla volontà divina; in quel momento la sua preghiera sarà pegno di salvezza per tutti noi. Cristo, infatti, supplicherà il Padre celeste di "liberarlo dalla morte" e, come scrive l’autore della lettera agli Ebrei, "fu esaudito per la sua pietà" (5,7). Di tale esaudimento è prova la risurrezione.
Cari fratelli e sorelle, la preghiera non è un accessorio, un optional, ma è questione di vita o di morte. Solo chi prega, infatti, cioè chi si affida a Dio con amore filiale, può entrare nella vita eterna, che è Dio stesso. Durante questo tempo di Quaresima, chiediamo a Maria, Madre del Verbo incarnato e Maestra di vita spirituale, di insegnarci a pregare come faceva il suo Figlio, perché la nostra esistenza sia trasformata dalla luce della sua presenza.
[Papa Benedetto, Angelus 4 marzo 2007]
Il mistero della Trasfigurazione si compie in un momento ben preciso della predicazione di Cristo della sua missione, quando cioè egli inizia a confidare ai discepoli di dover “salire a Gerusalemme e soffrire molto... e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno” (Mt 16, 21). Con riluttanza essi accolgono il primo annuncio della passione e il divino Maestro, prima di ribadirlo e confermarlo, vuole dar loro la prova del suo totale radicamento nella volontà del Padre perché davanti allo scandalo della croce essi non abbiano a soccombere. La passione e la morte saranno infatti la via per la quale il padre celeste farà giungere alla gloria “il Figlio prediletto”, risuscitato dai morti. Questa sarà d’ora innanzi anche la via dei suoi discepoli. Nessuno giungerà alla luce se non attraverso la croce, simbolo delle sofferenze che affliggono l’umana esistenza. La croce viene, così, trasformata in strumento di espiazione dei peccati dell’intera umanità. Unito al suo Signore nell’amore, il discepolo partecipa alla sua passione redentrice.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia 7 marzo 1993]
In questa seconda domenica di Quaresima, la liturgia ci fa contemplare l’evento della Trasfigurazione, nel quale Gesù concede ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni di pregustare la gloria della Risurrezione: uno squarcio di cielo sulla terra. L’evangelista Luca (cfr 9,28-36) ci mostra Gesù trasfigurato sul monte, che è il luogo della luce, simbolo affascinante della singolare esperienza riservata ai tre discepoli. Essi salgono col Maestro sulla montagna, lo vedono immergersi in preghiera, e a un certo punto «il suo volto cambiò d’aspetto» (v. 29). Abituati a vederlo quotidianamente nella semplice sembianza della sua umanità, di fronte a quel nuovo splendore, che avvolge anche tutta la sua persona, rimangono stupiti. E accanto a Gesù appaiono Mosè ed Elia, che parlano con Lui del suo prossimo “esodo”, cioè della sua Pasqua di morte e risurrezione. È un anticipo della Pasqua. Allora Pietro esclama: «Maestro, è bello per noi essere qui» (v. 33). Vorrebbe che quel momento di grazia non finisse più!
La Trasfigurazione si compie in un momento ben preciso della missione di Cristo, cioè dopo che Lui ha confidato ai discepoli di dover «soffrire molto, […] venire ucciso e risuscitare il terzo giorno» (v. 21). Gesù sa che loro non accettano questa realtà – la realtà della croce, la realtà della morte di Gesù –, e allora vuole prepararli a sopportare lo scandalo della passione e della morte di croce, perché sappiano che questa è la via attraverso la quale il Padre celeste farà giungere alla gloria il suo Figlio, risuscitandolo dai morti. E questa sarà anche la via dei discepoli: nessuno arriva alla vita eterna se non seguendo Gesù, portando la propria croce nella vita terrena. Ognuno di noi, ha la propria croce. Il Signore ci fa vedere la fine di questo percorso che è la Risurrezione, la bellezza, portando la propria croce.
Dunque, la Trasfigurazione di Cristo ci mostra la prospettiva cristiana della sofferenza. Non è un sadomasochismo la sofferenza: essa è un passaggio necessario ma transitorio. Il punto di arrivo a cui siamo chiamati è luminoso come il volto di Cristo trasfigurato: in Lui è la salvezza, la beatitudine, la luce, l’amore di Dio senza limiti. Mostrando così la sua gloria, Gesù ci assicura che la croce, le prove, le difficoltà nelle quali ci dibattiamo hanno la loro soluzione e il loro superamento nella Pasqua. Perciò, in questa Quaresima, saliamo anche noi sul monte con Gesù! Ma in che modo? Con la preghiera. Saliamo al monte con la preghiera: la preghiera silenziosa, la preghiera del cuore, la preghiera sempre cercando il Signore. Rimaniamo qualche momento in raccoglimento, ogni giorno un pochettino, fissiamo lo sguardo interiore sul suo volto e lasciamo che la sua luce ci pervada e si irradi nella nostra vita.
Infatti l’Evangelista Luca insiste sul fatto che Gesù si trasfigurò «mentre pregava» (v. 29). Si era immerso in un colloquio intimo con il Padre, in cui risuonavano anche la Legge e i Profeti – Mosè ed Elia – e mentre aderiva con tutto Sé stesso alla volontà di salvezza del Padre, compresa la croce, la gloria di Dio lo invase trasparendo anche all’esterno. È così, fratelli e sorelle: la preghiera in Cristo e nello Spirito Santo trasforma la persona dall’interno e può illuminare gli altri e il mondo circostante. Quante volte abbiamo trovato persone che illuminano, che emanano luce dagli occhi, che hanno quello sguardo luminoso! Pregano, e la preghiera fa questo: ci fa luminosi con la luce dello Spirito Santo.
Proseguiamo con gioia il nostro itinerario quaresimale. Diamo spazio alla preghiera e alla Parola di Dio, che abbondantemente la liturgia ci propone in questi giorni. La Vergine Maria ci insegni a rimanere con Gesù anche quando non lo capiamo e non lo comprendiamo. Perché solo rimanendo con Lui vedremo la sua gloria.
[Papa Francesco, Angelus 17 marzo 2019]
Perfezione: andare sino in fondo. E nuova Nascita
Gesù proclama che il nostro cuore non è fatto per orizzonti chiusi, ove si accentuano le incompatibilità.
Egli proibisce l’esclusione, e con essa i risentimenti, le difficoltà di comunicazione.
In noi c’è qualcosa in più di ogni sfaccettatura d’opportunismo, e dell’istinto del ribattere colpo su colpo... pareggiare i conti... persino chiudersi nel proprio gruppo esemplare.
In latino perfĭcĕre significa compiere, completare, condurre a perfezione, fare completamente.
Lo capiamo: qui è indispensabile introdurre altre energie; lasciar agire virtù misteriose... tra gli spazi più profondi che ci appartengono, e il mistero delle vicende.
Altrimenti assimileremmo un modello d’integrità esterno, che non sgorga dalla Fonte dell’essere e non ci corrisponde nell’essenza.
Dentro i paradigmi di perfezione l’Unicità prigioniera non saprebbe più dove andare.
Perfetti sembrano i diamanti - da cui però non nasce nulla: i ‘perfetti’ di Dio sono coloro che vanno ‘sino in fondo’.
Gesù non vuole che l’esistenza di Fede sia marcata dalla solita dura lotta estrinseca - fatta d’intime lacerazioni.
Le differenze ci sono, tuttavia Egli ordina di sovvertire le consuetudini della saggezza antica, delle divisioni interessate (accettabile o meno, amici o nemici, vicini o lontani, puro e impuro, sacro e profano).
Il Regno di Dio, ossia la comunità dei figli - questo germoglio di società alternativa - è radicalmente diversa perché parte dal Seme, non dalla gestualità esteriore; né usa edulcoranti, per celare lo scontro intimo.
Gli accadimenti rigenerano spontaneamente, fuori e persino dentro di noi; inutile forzare.
La crescita e destinazione permane e si farà magnifica, anche grazie alle beffe e costrizioni allestite in modo avverso.
Arrendersi, cedere, deporre l’armatura, farà spazio a nuove gioie.
Combattere gli “allergici” confonde l’anima: sono proprio gl’inciampi sul percorso previsto ad aprire e accendere lo spazio vitale - normalmente troppo stretto, soffocato dagli obblighi.
Sottile consapevolezza e Perfezione che distingue l’autentico uomo nuovo nello Spirito dall’imbonitore che ignora le cose del Padre e cerca scorciatoie affannose, passando sottobanco favori e “mazzette” onde sbrigare immediatamente la propria pratica con Dio e il prossimo.
Amare il nemico che ci [trae fuori e] fa Perfetti:
Se gli altri non sono come abbiamo sognato, è una fortuna: le porte sbattute in faccia e il loro pungolo stanno preparandoci ben altre gioie.
L’avventura della Fede estrema è per una Bellezza che ferisce e una Felicità anormale, prominente.
L’alternativa ‘vittoria-o-sconfitta’ è falsa: bisogna uscirne.
Qui, solo chi sa attendere trova la sua Via.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quale consapevolezza o fine ti proponi nel coinvolgere il tempo, la percezione, l’ascolto, la gentilezza? Apparire diverso dalla tua indole, per piacere agli altri? Farsi accettare? O essere perfettamente te stesso, e attendere gli sviluppi che si stanno preparando?
[Sabato 1.a sett. Quaresima, 15 marzo 2025]
Because of this unique understanding, Jesus can present himself as the One who reveals the Father with a knowledge that is the fruit of an intimate and mysterious reciprocity (John Paul II)
In forza di questa singolare intesa, Gesù può presentarsi come il rivelatore del Padre, con una conoscenza che è frutto di un'intima e misteriosa reciprocità (Giovanni Paolo II)
Yes, all the "miracles, wonders and signs" of Christ are in function of the revelation of him as Messiah, of him as the Son of God: of him who alone has the power to free man from sin and death. Of him who is truly the Savior of the world (John Paul II)
Sì, tutti i “miracoli, prodigi e segni” di Cristo sono in funzione della rivelazione di lui come Messia, di lui come Figlio di Dio: di lui che, solo, ha il potere di liberare l’uomo dal peccato e dalla morte. Di lui che veramente è il Salvatore del mondo (Giovanni Paolo II)
It is known that faith is man's response to the word of divine revelation. The miracle takes place in organic connection with this revealing word of God. It is a "sign" of his presence and of his work, a particularly intense sign (John Paul II)
È noto che la fede è una risposta dell’uomo alla parola della rivelazione divina. Il miracolo avviene in legame organico con questa parola di Dio rivelante. È un “segno” della sua presenza e del suo operare, un segno, si può dire, particolarmente intenso (Giovanni Paolo II)
That was not the only time the father ran. His joy would not be complete without the presence of his other son. He then sets out to find him and invites him to join in the festivities (cf. v. 28). But the older son appeared upset by the homecoming celebration. He found his father’s joy hard to take; he did not acknowledge the return of his brother: “that son of yours”, he calls him (v. 30). For him, his brother was still lost, because he had already lost him in his heart (Pope Francis)
Ma quello non è stato l’unico momento in cui il Padre si è messo a correre. La sua gioia sarebbe incompleta senza la presenza dell’altro figlio. Per questo esce anche incontro a lui per invitarlo a partecipare alla festa (cfr v. 28). Però, sembra proprio che al figlio maggiore non piacessero le feste di benvenuto; non riesce a sopportare la gioia del padre e non riconosce il ritorno di suo fratello: «quel tuo figlio», dice (v. 30). Per lui suo fratello continua ad essere perduto, perché lo aveva ormai perduto nel suo cuore (Papa Francesco)
Doing a good deed almost instinctively gives rise to the desire to be esteemed and admired for the good action, in other words to gain a reward. And on the one hand this closes us in on ourselves and on the other, it brings us out of ourselves because we live oriented to what others think of us or admire in us (Pope Benedict)
Quando si compie qualcosa di buono, quasi istintivamente nasce il desiderio di essere stimati e ammirati per la buona azione, di avere cioè una soddisfazione. E questo, da una parte rinchiude in se stessi, dall’altra porta fuori da se stessi, perché si vive proiettati verso quello che gli altri pensano di noi e ammirano in noi (Papa Benedetto)
Since God has first loved us (cf. 1 Jn 4:10), love is now no longer a mere “command”; it is the response to the gift of love with which God draws near to us [Pope Benedict]
Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4, 10), l'amore adesso non è più solo un « comandamento », ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro [Papa Benedetto]
don Giuseppe Nespeca
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