Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
I farisei chiedono a Gesù perché i suoi discepoli fanno ciò che non è permesso dalla Legge in giorno di sabato [mangiare, per fame, le spighe nei campi].
Gesù, venuto per dare pieno compimento alla Legge, ne sottolinea il fondamento: non demolire o trasgredire la Parola, ma osservarla amando.
L’amore è il vero compimento della Legge del Signore, che è perfetta e rinfranca l’anima.
Francesco lo aveva ben compreso vivendo e insegnando alla sua fraternità a fare altrettanto.
Le Fonti forniscono, attraverso vari tasselli, preziosi esempi di vita. Nella Lettera ai reggitori dei popoli:
«Vi supplico […] con tutta la riverenza di cui sono capace, di non dimenticare il Signore, assorbiti come siete dalle cure e preoccupazioni di questo mondo, e di non deviare dai suoi comandamenti, poiché tutti coloro che dimenticano il Signore e si allontanano dai comandamenti di lui, sono maledetti e saranno dimenticati da lui» (FF 211).
Al tempo stesso il Poverello, con quell’equilibrio ed elasticità che lo contraddistingueva, sottolinea:
«E ogniqualvolta sopravvenga la necessità, sia consentito a tutti i frati, ovunque si trovino, di prendere tutti i cibi che gli uomini possono mangiare, così come il Signore dice di David, il quale mangiò i pani dell’offerta che non era permesso mangiare se non ai sacerdoti […] Similmente, ancora, in tempo di manifesta necessità tutti i frati provvedano per le cose loro necessarie così come il Signore darà loro la grazia, poiché la necessità non ha legge» (FF 33).
A sostegno di quanto detto riportiamo un passo tratto dalla Leggenda Perugina.
Francesco, dinanzi ad un frate di profonda spiritualità, deperito ed infermo, fa qualcosa di inusuale per la mentalità del tempo.
"Francesco si disse:
«Se questo fratello mangiasse di buon mattino dell’uva matura, credo che ne trarrebbe giovamento».
Un giorno si alzò all’albeggiare e chiamò di nascosto quel frate, lo condusse nella vigna vicina a quella chiesa e, scelta una vite ricca di bei grappoli invitanti, vi sedette sotto assieme al fratello e cominciò a mangiare l’uva, affinché il malato non si vergognasse di piluccarla da solo.
Mentre faceva lo spuntino, quel frate lodava il Signore Dio.
E finché visse, egli ricordava spesso ai fratelli, con devozione e piangendo di tenerezza, il gesto affettuoso del Padre santo verso di lui" (FF 1549)
Chiara stessa, nella Regola, rivolta alle sorelle, le avverte:
«Siano invece sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione» (FF 2810).
L’Amore era la Regola dei frati e delle Povere Dame di San Damiano: «[…] e così, portando il giogo della carità vicendevole, con facilità adempiremo la legge di Cristo. Amen.» (FF 2918 - Lettera ad Ermentrude di Bruges).
«Ma se aveste conosciuto che cosa significa: ‘Misericordia voglio, e non sacrificio’ [Os 6,6], non avreste condannato [persone] senza colpa» (Mt 12,7)
Venerdì della 15.a sett. T.O. (Mt 12,1-8)
Gesù, nel capitolo undici di Matteo, richiama i suoi alla mitezza ed umiltà di cuore come luogo di ristoro da ogni fatica, imparando da Lui.
A riguardo della mitezza di Dio, negli scritti del Povero d’Assisi (Lodi di Dio Altissimo) troviamo questa meravigliosa espressione:
«Tu sei umiltà […] Tu sei bellezza. Tu sei Mansuetudine» (FF 261).
Francesco, Alter Christus, era davvero un uomo mite e tutto ciò che gli richiamava la mansuetudine di Gesù lo guardava e riveriva con grande rispetto e scrupolo.
Lo stesso Tommaso da Celano, uno dei suoi principali biografi, descrive Francesco così:
“Quanto era bello, stupendo e glorioso nella sua innocenza, nella semplicità della sua parola […] Di carattere mite, di indole calmo, affabile nel parlare, cauto nell’ammonire” (FF 464).
Per la sua malattia agli occhi, dinanzi al chirurgo che arroventava il ferro per cauterizzare la parte malata, Francesco così si rivolge a «frate focu»:
"Il Padre per confortare il corpo già scosso dal terrore, così parla al fuoco:
«Frate mio fuoco, di bellezza invidiabile fra tutte le creature, l’Altissimo ti ha creato vigoroso, bello e utile. Sii propizio a me in quest’ora, sii cortese! Perché da gran tempo ti ho amato nel Signore. Prego il Signore grande, che ti ha creato di temperare ora il tuo calore in modo che io possa sopportarlo, se mi bruci con dolcezza».
Terminata la preghiera, traccia un segno di croce sul fuoco e poi aspetta intrepido. Il Santo si offre pronto e sorridente al ferro.
I frati presenti, inorriditi e tremanti si erano allontanati. Tornati che furono, dopo l’operazione, Francesco si rivolge loro:
«Pusillanimi e di poco coraggio, perché siete fuggiti? In verità vi dico, non ho provato né l’ardore del fuoco né alcun dolore della carne».
E rivolto al medico:
«Se la carne non è bene cauterizzata, brucia di nuovo».
Con stupore di questi che, rivolto ai frati, disse: “Vi dico, frati, che oggi ho visto cose mirabili" (FF 752).
E Chiara, nel suo Testamento, raccomanda alle sorelle, in primo luogo a chi presiede la comunità, l’atteggiamento e lo stile del Vangelo:
«Sia ancora tanto affabile e alla portata di tutte, che le sorelle possano manifestarle con fiducia le loro necessità e ricorrere a lei ad ogni ora con confidenza, come crederanno meglio, per sé o a favore delle sorelle» (FF 2848).
Questi due Giganti del Vangelo si nutrirono di umiltà e mitezza trovando in esse la loro difesa.
«Imparate da me, che sono mite e tapino di cuore, e troverete riposo per le vite vostre» (Mt 11,29)
Giovedì della 15.a sett. T.O. (Mt 11,28-30)
Il Vangelo è un inno di lode a Dio Padre da parte di Gesù nella dimensione della debolezza e vulnerabilità dei piccoli.
Egli aveva sperimentato la delusione dei “grandi”, sospettosi dinanzi ai suoi prodigi.
Invece di chiedere aiuto al Padre, quale Figlio lo loda nei momenti bui.
Guardando il nostro Poverello, tutto questo lo ritroviamo in modo evidente.
Basso di statura, umile di spirito e minore di professione, Francesco d’Assisi fece della piccolezza la sua cifra esistenziale e altrettanto insegnò ai suoi frati.
Essere umile e minimo nella sequela del Signore era il tratto essenziale del frate - appunto minore - che volesse vivere in comunione alla Porziuncola.
Rivolgendosi ai grandi e sapienti di questo mondo, il Santo trovò resistenza a far comprendere la sua proposta di povertà ed essenzialità di vita.
Spesso gli rispondevano: “La povertà che vai cercando, resti per sempre a te, e ai tuoi figli, e alla tua discendenza dopo di te” (cf. FF 1964).
Nelle Fonti troviamo ancora che “il beato Francesco, udite queste parole, si meravigliava in cuor suo e rendeva grazie a Dio, dicendo:
«Sii Benedetto, Signore Iddio, che hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai prudenti e le hai rivelate ai piccoli!
Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te!
O Signore, Padre e padrone della mia vita, non abbandonarmi nella loro adunanza, né lasciarmi cadere in quella vergogna, ma per la tua grazia concedimi di trovare quello che cerco, perché io sono tuo servo e Figlio della tua ancella»" (FF 1965).
Inoltre va ricordato che “Il servo di Dio, Francesco, piccolo di statura, umile di spirito e minore di professione, mentre viveva qui sulla terra scelse per sé e per i suoi frati una piccola porzione di mondo […] e furono di certo ispirati da Dio quelli che, anticamente, chiamarono Porziuncola il luogo che toccò in sorte a coloro che non volevano assolutamente possedere nulla su questa terra […]
Sorgeva in questo luogo una chiesa dedicata alla Vergine Madre che, per la sua particolare umiltà, meritò, dopo il Figlio, di essere Sovrana di tutti i Santi.
Qui ebbe inizio l’Ordine dei minori, e s’innalzò ampia e armoniosa, come poggiata su solido fondamento, la loro nobile costruzione.
Il Santo amò questo luogo più di ogni altro, e comandò ai frati di venerarlo con particolare devozione.
Volle che fosse sempre custodito come specchio dell'Ordine in umiltà e altissima povertà, riservandone ad altri la proprietà e ritenendone per sé ed i suoi soltanto l'uso” (FF 604).
Dunque la piccolezza era eloquente cifra del suo essere figlio di Dio.
Proprio da tale posizione di nascondimento, nei periodi difficili e oscuri del suo itinerario di fede, Francesco ha innalzato a Dio Padre la lode per quanto operava:
«Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione […]
Laudato sie, mi Signore, cum tucte le tue creature […]» (FF 263).
Francesco ha composto tale capolavoro nel momento più crudo e sofferente della sua vita, malato e nell’oscurità.
Eppure, innalzando a Dio un autentico inno di lode.
Come Gesù, che nel momento della solitudine e dell’apparente sconfitta, del fallimento, ha sollevato la sua voce al Padre - per benedirlo e lodarlo.
Il vicolo cieco e il buio divennero fonte d’ispirazione, e di un rapporto più profondo con il Signore; coniugato con quella piccolezza vulnerabile, affidata al Padre per il suo Regno.
«Ti rendo lode, Padre […] perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate agli infanti» (Mt 11,25)
Mercoledì della 15.a sett. T.O. (Mt 11,25-27)
Nel Vangelo di oggi Gesù rimprovera le città che, pur avendo ricevuto meravigliosi benefici, non si erano convertite. Echeggia:
«Guai a te, Corazin! Guai a te Betsàida!» (Mt 11,21).
All’orizzonte campeggia il Giudizio!
Francesco d’Assisi, profondamente grato a Dio per averlo tratto dalla vita cortese e svagata del mondo al servizio del Vangelo, anche lui un giorno mosse rimprovero a chi immerso nel vizio e nel mondano non accennava a convertirsi.
Le Fonti, attraverso la Leggenda Maggiore, narrano in merito:
"Nel tempo in cui il Santo giaceva malato a Rieti, portarono da lui, steso su un lettuccio, un canonico, di nome Gedeone, vizioso e mondano, colpito da una grave malattia.
Il canonico lo pregava piangendo, insieme con i presenti, di benedirlo col segno della croce.
Ma il Santo gli replicò:
«Come potrò segnarti con la croce, se finora sei vissuto seguendo gli istinti della carne, senza timore dei giudizi di Dio?
Ad ogni modo, per la devozione e le preghiere di queste persone che intercedono per te, ti benedirò col segno della croce in nome del Signore.
Tu, però, sappi che andrai incontro a castighi più gravi, se una volta guarito, tornerai al vomito. Perché il peccato d’ingratitudine si merita sempre punizioni peggiori delle prime».
Appena ebbe tracciato su di lui il segno della croce, colui che giaceva rattrappito si alzò risanato e, prorompendo nelle Lodi di Dio, esclamò:
«Sono guarito!» […]
Ma costui, passato un po’ di tempo, si dimenticò di Dio e si abbandonò di nuovo all’impudicizia.
Ebbene, una sera che era andato a cena in casa di un altro canonico e vi era rimasto per passare la notte, improvvisamente il tetto della casa crollò.
Ma, mentre tutto gli altri riuscirono a sfuggire alla morte, solo quel misero fu sorpreso e ucciso.
Per giusto giudizio di Dio l’ultima condizione di quell’uomo fu peggiore della prima, a causa del peccato d’ingratitudine e del disprezzo di Dio, giacché è necessario essere grati per il perdono ricevuto, e il delitto ripetuto dispiace doppiamente" (FF 1192).
Alla fine resterà solo la sua Misericordia a braccetto con la Giustizia.
«Tuttavia vi dico: per Tiro e Sidone sarà più sopportabile nel giorno del giudizio che per voi» (Mt 11,22)
Martedì della 15.a sett. T.O. (Mt 11,20-24)
Gesù mette in chiaro che è necessario prendere la propria croce per seguirLo ed essere degni di Lui.
Parimenti sottolinea che chi accoglie i suoi discepoli in verità accoglie Lui stesso.
Francesco vedeva davvero nell’accoglienza sincera l’incontro con Cristo povero. Da qui il suo umile e cordiale spirito di ospitalità e amorevole apertura verso tutti.
Le Fonti sono uno scrigno prezioso che documentano numerosi episodi legati a quanto detto.
Leggiamo:
«E ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino familiari tra loro reciprocamente.
E ciascuno manifesti con fiducia all’altro la sua necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?» (FF 91).
Ancora:
«Quando veniva da loro qualche ricco di questo mondo, lo ricevevano lieti e affettuosi, lo invitavano a strapparsi dal male e lo incitavano a penitenza» (FF1452).
Inoltre:
“Il beato Francesco Poverello parecchie volte domandava ospitalità al monastero di San Verecondo.
L’Abate e i monaci l’accoglievano con grande delicatezza e devozione” (FF 2249).
Il Povero assisano viveva il Vangelo alla lettera e si studiava di riconoscere il passaggio di Cristo ad ogni dove.
• Il monastero di S. Verecondo è ubicato sulla strada di Gubbio.
«E chi avrà dato da bere a uno di questi piccoli un bicchiere solo di [acqua] fresca a titolo di discepolo, in verità vi dico non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,42)
Lunedì 15.a sett. T.O. (Mt 10,34-11,1)
Nel Vangelo Lucano di oggi Gesù, a colui che chiede: «E chi è mio prossimo?» (Lc 10,29) risponde raccontando una vicenda.
Dinanzi a chi giace a terra non bisogna passare oltre, bensì soccorrerlo, prendersene cura, perché ogni persona malmenata è proprio prossimo, chiunque sia.
Il Poverello, che aveva ricevuto misericordia dal Signore, aveva bene imparato la lezione per applicarla "sine glossa", letteralmente verso tutti, incominciando dai più bisognosi ed emarginati del suo tempo.
L’incontro del Poverello con i lebbrosi costituisce una pagina fondamentale della sua esistenza. Crocevia che lo modifica profondamente e cambia le coordinate della sua vita interiore.
Per loro, prova compassione e “passione”, disposto ad aiutarli in ogni modo, perché scrigno del Servo Sofferente.
Leggiamo nel suo meraviglioso Testamento:
«Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi Misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo» (FF 110).
Così “il Santo si reca tra i lebbrosi e vive con essi, per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulente […]
La vista dei lebbrosi infatti, come egli attesta, gli era prima così insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza il loro ricovero, si turava il naso con le mani.
Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per Grazia e virtù dell’Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò.
Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria” (FF 348).
E Francesco di lebbrosi ne guarì molti:
“Nella città di Fano, un giovane di nome Bonomo, ritenuto da tutti i medici lebbroso e paralitico, appena viene offerto molto devotamente dai genitori al beato Francesco, è liberato dalla lebbra e dalla paralisi e riacquista piena salute” (FF 564).
La cura riservata da lui ai lebbrosi, quale Buon Samaritano del Vangelo, si trasformerà, per dono del Signore, in potenza ed efficacia nel guarire le malattie del corpo e dello spirito.
Aveva compassione viscerale di queste anime abbandonate a se stesse e visse alla lettera il Vangelo dei derelitti e dei messi ai margini, amando con straordinaria predilezione i Lazzaro del suo tempo e oltre.
«Va’, anche tu fa’ ugualmente» (Lc 10,37)
Domenica della 15.a sett. T.O. anno C (Lc 10,25-37)
Gesù sottolinea di non aver paura del martirio, di chi uccide il corpo ma non ha il potere di uccidere l’anima (Mt 10,28), poiché il discepolo non è più grande del Maestro.
Acceso dalla carità che allontana ogni timore, Francesco desiderava offrirsi al Signore nel fuoco del martirio per contraccambiare il Cristo che muore per noi, e per provocare i frati all’amore di Dio.
Nel «Sacrum Commercium» [documento contenuto nelle Fonti francescane] leggiamo:
"Ma la perfezione di tutte le virtù, cioè Madonna Persecuzione, alla quale come a me Dio ha consegnato il regno dei cieli, era con me in ogni circostanza, fedele aiutante, forte cooperatrice, saggia consigliera, e se talvolta vedeva qualcuno intiepidire nella carità, dimenticare anche per poco le cose celesti, affezionarsi in qualsiasi modo ai beni terreni, subito alzava la voce, scuoteva l’esercito, copriva di vergogna il volto dei miei figli perché cercassero il nome del Signore" (FF 1994).
La stessa Chiara d’Assisi, meditando la penuria e il pericolo della Sacra Famiglia di Nazareth, versava calde lacrime nella preghiera continua.
Nella Regola, rivolta alle sue figlie, dice:
«Avere lo Spirito del Signore e la sua Santa operazione […] ed amare quelli che ci perseguitano […] perché dice il Signore: Beati quelli che soffrono persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli. Chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo» (FF 2811).
E Francesco, nel suo Testamento, così scrive ai suoi frati:
«Dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio» (FF 123).
Lo stesso Francesco, recatosi dal Sultano d’Egitto Melek-el-Kamel per portare l’annuncio di Cristo, fu perseguitato:
“Prima di giungere al Sultano, i suoi sicari l’afferrarono, l’insultarono, lo sferzarono, ed egli non temette nulla: né minacce, né torture, né morte; e sebbene investito dall’odio brutale di molti, venne accolto dal Sultano con grande onore!” (FF 422).
E ai suoi frati insegnò quell’audacia nella fede che rende intrepidi nelle situazioni avverse, poiché la Provvidenza accompagna gli innocenti bistrattati per Cristo, per il suo Vangelo.
Gli insegnamenti del Poverello erano tenuti presente dai suoi.
Infatti, nella Vita seconda, il Celano narra di un giovane frate che aveva assimilato bene l’insegnamento del padre in merito alla fedeltà alla Regola.
"Si ricordò di questo insegnamento un frate laico, che a nostro avviso è da venerare nel numero dei martiri, e conseguì la palma di una gloriosa vittoria.
Mentre era trascinato al martirio dai Saraceni, si inginocchiò e, tenendo con la estremità delle mani la Regola, disse al compagno:
«Fratello carissimo, mi accuso davanti alla Maestà Divina e davanti a te di tutte le colpe che ho commesso contro questa santa Regola».
Alla breve confessione tenne dietro la spada e così terminò la vita col martirio. Più tardi si rese celebre con miracoli e prodigi.
Era entrato nell’Ordine così giovinetto, che a stento poteva sopportare il digiuno prescritto dalla Regola. Eppure così fanciullo portava sulla nuda carne il cilicio!
Giovane felice, che ha cominciato santamente, per concludere ancora più felicemente la sua vita!" (FF 798).
Sabato della 14.a sett. T.O. (Mt 10,24-33)
La Liturgia della festa di S. Benedetto, compatrono d’Europa, sottolinea il tema del lasciare tutto per Cristo, per il Vangelo, contraccambiato dal centuplo e la Vita dell’Eterno.
Benedetto, come Francesco, lasciò ogni bene per seguire Gesù, riassumendo il suo percorso nel celebre assioma: «Ora et labora», «prega e lavora».
A volte si contrappone la severità dell’ ascetica monastica benedettina all’allegria francescana, come se San Benedetto e San Francesco fossero due universi a se stanti; ma non è così.
Ci sono elementi nei quali si diversificano e altri in comune, magari elaborati diversamente.
Entrambi reputano importanti la preghiera e il lavoro. Nonché l’orazione come via che conduce al distacco da tutto e alla interiorizzazione, luogo dell’incontro con Cristo - da anteporre a tutto.
Anche Francesco considera il lavoro un aspetto importante della sua vita e della Regola minoritica, richiamando in questo quella benedettina.
Il Poverello, pur non essendo benedettino (come dipinto nel Sacro Speco di Subiaco, in un’antica immagine) anche lui visse dentro una storia che lo ha preceduto, attingendo da essa alcune cose, altre rifiutandole.
Chi è addentro alle Fonti francescane, volendo affermare la novità di Frate Francesco rispetto a San Benedetto da Norcia, fa riferimento ad un brano della Compilatio Assisiensis.
In essa si narra come durante un Capitolo alla Porziuncola, dove si discuteva della Regola minoritica, alcuni frati proposero l’adozione di forme di vita precedenti.
Ma Francesco rispose:
«Fratelli, fratelli miei, Dio mi ha chiamato per la via dell’umiltà e mi ha mostrato la via della semplicità. Non voglio quindi che mi nominiate altre Regole, né quella di Sant’Agostino, né quella di San Bernardo o di San Benedetto.
Il Signore mi ha detto che questo egli voleva:
che io fossi nel mondo un ‘novello pazzo’; e il Signore non vuole condurci per altra via che quella di questa scienza!» (FF 1564).
La grandezza della Regola benedettina non risiede tanto nell’apporto di novità, quanto nella capacità di sintesi delle varie esperienze monastiche precedenti in una sorta di lettura sapienziale.
Ma questi santi, entrambi, danno molta importanza al lavoro che vince l’ozio e fa vivere nella costante Presenza di Cristo nella storia, al quale anteporre tutto.
L’orazione continua e il lavoro costante sono dunque due elementi comuni diversamente elaborati, ma fondamentali per la sequela di Gesù e il distacco da ogni cosa.
Francesco ai frati insegnava:
«Nell’orazione purifichiamo i nostri sentimenti e ci uniamo con l’unico, vero e sommo Bene e rinvigoriamo la virtù […]
Nell’orazione parliamo a Dio, lo ascoltiamo e ci tratteniamo in mezzo agli angeli; nella predicazione, invece, dobbiamo scendere spesso verso gli uomini e, vivendo da uomini in mezzo agli uomini, pensare, vedere, dire e ascoltare al modo umano» (FF1204).
Nel suo Testamento, il Minimo scrive:
«Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà.
Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio» (FF 119).
Ed è proprio questa impostazione di pensiero e di vita che rese i benedettini capaci di costruire l’Europa "rendendo il quotidiano eroico e l’eroico quotidiano" e che spinse i frati francescani, tra le altre cose, ad un lavoro costante e fedele soprattutto nella missione evangelizzatrice di pace.
Figli di Dio in modo diverso, ugualmente proiettati a seguire Gesù, sapendo che l’aver lasciato tutto per il suo Regno è garanzia di vita eterna.
«E chiunque ha lasciato case o fratelli o sorelle o padre o madre o figli o campi a causa del mio nome, riceverà il centuplo ed erediterà la vita dell’Eterno» (Mt 19,29).
S. Benedetto patrono d’Europa (Mt 19,27-29)
Il capitolo 10 di Matteo continua a presentarci un Gesù che chiede ai suoi, inviati a predicare la vicinanza del Regno dei cieli, di dare gratuitamente così come hanno ricevuto, fidandosi della Provvidenza.
Il Povero assisano seguì alla lettera le indicazioni date da Gesù ai discepoli, impegnandosi ad annunciare, senza portare nulla con sé.
Francesco si definiva «simplex et idiota». La trasparenza e semplicità dei piccoli era per lui chiave di volta del Regno dei cieli.
Come Gesù dice nel Vangelo, era convinto che solo chi si fa bambino nella sua mentalità può comprendere le dinamiche del Regno, che chiede l’accoglienza dei puri di cuore, di quanti vivono la Parola senza pregiudizi di sorta e con fiducia in Dio.
Nelle Fonti Francescane la dimensione della piccolezza e semplicità è trasversale e spiccata, come attestano molti passi.
"Il Santo praticava personalmente con cura particolare e amava negli altri la santa semplicità, figlia della Grazia, vera sorella della sapienza, madre della giustizia.
Non che approvasse ogni tipo di semplicità, ma quella soltanto che, contenta del suo Dio, disprezza tutto il resto.
E quella che pone la sua gloria nel timore del Signore, e che non sa dire né fare il male.
La semplicità che esamina se stessa e non condanna nel suo giudizio nessuno, che non desidera per sé alcuna carica, ma la ritiene dovuta e l’attribuisce al migliore […]
È la semplicità che in tutte le leggi divine lascia la tortuosità delle parole, gli ornamenti e gli orpelli, come pure le ostentazioni e le curiosità a chi vuole perdersi, e cerca non la scorza ma il midollo, non il guscio ma il nòcciolo, non molte cose ma il molto, il sommo e stabile Bene" (FF 775).
Questa semplicità, sorella della vera sapienza, è caratteristica dei piccoli, dei minimi, dei bambini i quali accolgono il Regno di Dio che bussa alla porta del loro cuore.
Commuove la piccolezza di Francesco, cornice della sua vita evangelica.
"Francesco, uomo di Dio, nudo delle cose del mondo […] s’impegna nel servire Dio in tutti i modi possibili […]
Con ardente entusiasmo rivolgerà questo e simili appelli pieni di ingenuità, poiché questo eletto di Dio aveva un animo candido e fanciullo, non faceva ricorso al dotto linguaggio della sapienza umana, ma era semplice e immediato in tutto" (FF 1420).
"E infatti, tutto ciò che il Padre celeste ha creato per l’utilità degli uomini, continua a donarcelo gratuitamente anche dopo il peccato, ai degni come agli indegni, per l’amore ch’Egli porta al suo Figlio diletto" (FF 1610).
"Non aveva rossore di chiedere le cose piccole a quelli più piccoli di lui; lui, vero minore, che aveva imparato dal Maestro supremo le cose grandi.
Era solito ricercare con singolare zelo la via e il modo per servire più perfettamente Dio, come a Lui meglio piace.
Questa fu la sua filosofia suprema, questo il suo supremo desiderio, finché visse: chiedere ai sapienti e ai semplici, ai perfetti e agli imperfetti, ai giovani e agli anziani qual era il modo in cui più virtuosamente poteva giungere al vertice della perfezione" (FF 1205 - Leggenda maggiore).
Francesco amava con un cuore di fanciullo e così insegnò ai suoi frati e alle povere Dame di s. Damiano, sorelle virtuose nel cammino di fede, fra le quali rifulse per la sua umiltà e trasparenza Chiara.
Questa giovane donna diede testimonianza di luce; fu stella del mattino nel farsi bambina al servizio di Dio, sulle orme di Cristo, sull’esempio del beato padre Francesco, vero amante e imitatore di Lui.
«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8)
Giovedì della 14.a sett. T.O. (Mt 10,7-15)
Saint John Chrysostom affirms that all of the apostles were imperfect, whether it was the two who wished to lift themselves above the other ten, or whether it was the ten who were jealous of them (“Commentary on Matthew”, 65, 4: PG 58, 619-622) [Pope Benedict]
San Giovanni Crisostomo afferma che tutti gli apostoli erano ancora imperfetti, sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro (cfr Commento a Matteo, 65, 4: PG 58, 622) [Papa Benedetto]
St John Chrysostom explained: “And this he [Jesus] says to draw them unto him, and to provoke them and to signify that if they would covert he would heal them” (cf. Homily on the Gospel of Matthew, 45, 1-2). Basically, God's true “Parable” is Jesus himself, his Person who, in the sign of humanity, hides and at the same time reveals his divinity. In this manner God does not force us to believe in him but attracts us to him with the truth and goodness of his incarnate Son [Pope Benedict]
Spiega San Giovanni Crisostomo: “Gesù ha pronunciato queste parole con l’intento di attirare a sé i suoi ascoltatori e di sollecitarli assicurando che, se si rivolgeranno a Lui, Egli li guarirà” (Comm. al Vang. di Matt., 45,1-2). In fondo, la vera “Parabola” di Dio è Gesù stesso, la sua Persona che, nel segno dell’umanità, nasconde e al tempo stesso rivela la divinità. In questo modo Dio non ci costringe a credere in Lui, ma ci attira a Sé con la verità e la bontà del suo Figlio incarnato [Papa Benedetto]
This belonging to each other and to him is not some ideal, imaginary, symbolic relationship, but – I would almost want to say – a biological, life-transmitting state of belonging to Jesus Christ (Pope Benedict)
Questo appartenere l’uno all’altro e a Lui non è una qualsiasi relazione ideale, immaginaria, simbolica, ma – vorrei quasi dire – un appartenere a Gesù Cristo in senso biologico, pienamente vitale (Papa Benedetto)
She is finally called by her name: “Mary!” (v. 16). How nice it is to think that the first apparition of the Risen One — according to the Gospels — took place in such a personal way! [Pope Francis]
Viene chiamata per nome: «Maria!» (v. 16). Com’è bello pensare che la prima apparizione del Risorto – secondo i Vangeli – sia avvenuta in un modo così personale! [Papa Francesco]
Jesus invites us to discern the words and deeds which bear witness to the imminent coming of the Father’s kingdom. Indeed, he indicates and concentrates all the signs in the enigmatic “sign of Jonah”. By doing so, he overturns the worldly logic aimed at seeking signs that would confirm the human desire for self-affirmation and power (Pope John Paul II)
Gesù invita al discernimento in rapporto alle parole ed opere, che testimoniano l'imminente avvento del Regno del Padre. Anzi, Egli indirizza e concentra tutti i segni nell'enigmatico "segno di Giona". E con ciò rovescia la logica mondana tesa a cercare segni che confermino il desiderio di autoaffermazione e di potenza dell'uomo (Papa Giovanni Paolo II)
Without love, even the most important activities lose their value and give no joy. Without a profound meaning, all our activities are reduced to sterile and unorganised activism (Pope Benedict)
Senza amore, anche le attività più importanti perdono di valore, e non danno gioia. Senza un significato profondo, tutto il nostro fare si riduce ad attivismo sterile e disordinato (Papa Benedetto)
In reality, an abstract, distant god is more comfortable, one that doesn’t get himself involved in situations and who accepts a faith that is far from life, from problems, from society. Or we would even like to believe in a ‘special effects’ god (Pope Francis)
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
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