Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Francesco, uomo di Dio, amava la preghiera in modo speciale, come luogo dell’incontro con lo Sposo, custodendola gelosamente da ogni frastuono.
Leggiamo nella Vita seconda del suo noto biografo, Celano:
“Cercava sempre un luogo appartato, dove potersi unire non solo con lo Spirito, ma con le singole membra, al suo Dio.
Quando invece pregava nelle selve e in luoghi solitari, riempiva i boschi di gemiti, bagnava la terra di lacrime.
Dialogava spesso ad alta voce col suo Signore: rendeva conto al Giudice, supplicava il Padre, parlava all’Amico, scherzava amabilmente con lo Sposo.
E in realtà, per offrire a Dio in molteplice olocausto tutte le fibre del cuore, considerava sotto diversi aspetti Colui che è sommamente Uno.
Spesso senza muovere le labbra, meditava a lungo dentro di sé, e concentrando all’interno le potenze esteriori, si alzava con lo Spirito al cielo.
Non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente” (FF 681-682).
«Sta scritto: la mia casa sarà casa di preghiera» (Lc 19,46)
Venerdì 33.a sett. T.O. (Lc 19,45-48)
Gesù versa lacrime su Gerusalemme per la sua ingrata scelta del potere, nel tempo in cui era stata visitata.
Anche Francesco, discepolo del Signore, sulle orme della Parola fatta carne, appena terminate le commissioni (anzi le troncava in un baleno, per non distrarsi dalle cose di Dio!) si ritirava, come Gesù, tutto solo, a pregare, pure di notte.
Tommaso da Celano, uno dei suoi più eloquenti biografi, presente nelle Fonti, così parla a riguardo della Relazione di Francesco con Cristo.
Tale unione intima rafforzava la sua fede, rendendolo capace di andare a Dio anche sulle grandi acque della vita, fra i marosi del mondo.
“Trascorreva tutto il suo tempo in santo raccoglimento, per imprimere nel cuore la sapienza; temeva di tornare indietro se non progrediva sempre.
E se a volte urgevano visite di secolari o altre faccende, le troncava più che terminarle, per rifugiarsi di nuovo nella contemplazione” (FF 681).
“Quando invece pregava nelle selve e in luoghi solitari, riempiva i boschi di gemiti, bagnava la terra di lacrime, si batteva con la mano il petto; e lì, quasi approfittando di un luogo più intimo e riservato, dialogava spesso ad alta voce col suo Signore” (FF 682).
Ma pure Chiara, pianticella del Serafico padre Francesco, era nutrita dall’orazione assidua e dalla contemplazione solitaria per comprendere il volere di Dio e abbandonandosi a una fede solida.
Ne è testimone quanto scriveva nella terza lettera alla sua figlia spirituale, Agnese di Boemia. Parole cariche di ‘relazione cristiana’ autentica.
«Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza, e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nella immagine della divinità di Lui» (FF 2888).
I Poveri assisani hanno fatto dello “stare con Dio” la condizione per non temere le avversità incontrate nel loro cammino; camminando, per Grazia, sulle “grandi acque”.
Così, grazie all’esempio eloquente, molte anime abbandonavano lo spirito di confronto e sopraffazione, volgendosi a una vita conciliata e di Pace fraterna.
«Se avessi conosciuto in questo giorno anche tu quel che è per la pace! Ma adesso è stato nascosto ai tuoi occhi» (Lc 19,42)
Giovedì 33.a sett. T.O. (Lc 19,41-44)
Il brano del Vangelo di oggi mette in evidenza l’intelligenza spirituale di chi, come Francesco, pone al servizio del Regno tutto ciò che L’Altissimo ha depositato nella sua nuda esistenza.
A chi dispone le mine (moneta greca / talenti) ricevute a servizio del Vangelo le ritroverà maggiorate dalla longanimità del Signore.
Francesco, che si definiva «simplex et idiota», dopo aver incontrato Cristo, cambia pelle - e tutto ciò cui prima anelava finisce col detestarlo - e ogni cosa che prima aborriva diventa per lui dolcezza dell’anima.
Passeggiando tra le Fonti francescane, cesello di eventi e della vocazione profonda e solida del Santo, leggiamo:
“Molti, nobili e plebei, chierici e laici, docili alla divina ispirazione, si recavano dal Santo, bramosi di schierarsi per sempre con lui e sotto la sua guida.
E a tutti egli, come ricca sorgente di grazia celeste, dona le acque vivificanti che fanno sbocciare le virtù nel giardino del cuore.
Artista e maestro di vita evangelica veramente glorioso: mediante il suo esempio, la sua Regola e il suo insegnamento, si rinnova la Chiesa di Cristo nei suoi fedeli, uomini e donne, e trionfa la triplice milizia degli eletti” (FF 384).
Inoltre apprendiamo che “divenne araldo del Vangelo. Incominciò, infatti, a percorre città e villaggi e ad annunziarvi il regno di Dio, non basandosi sui discorsi persuasivi della sapienza umana, ma sulla dimostrazione di spirito e di potenza […] da allora la vigna di Cristo incominciò a produrre germogli profumati del buon odore del Signore, e frutti abbondanti con fiori soavi di grazia e di santità” (FF 1072).
Il Povero d’Assisi aveva saputo ‘trafficare’ le sue mine, ricevute per raggiungere più anime possibili mediante la potenza dello Spirito di Dio e far conoscere il valore salvifico della Parola fatta carne.
«Vi dico che a ognuno che ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Lc 19,26)
Mercoledì 33.a sett. T.O. (Lc 19,11–28)
L’inizio del capitolo diciannove di Luca narra la conversione di Zaccheo. Un cambiamento di rotta che lo aveva indotto a restituire quattro volte di quanto rubato ai poveri.
Così, ricevendo il Signore, la salvezza aveva trovato dimora nella sua casa.
Anche Francesco, al pari di Zaccheo, era di piccola statura e voleva vedere Gesù.
Era salito sul sicomoro delle sue false sicurezze e Gesù gli dice di scendere dal mondo dei tornaconti e di salire sul colle della libertà evangelica, donando quanto aveva ai poveri.
Nel momento in cui incontra Cristo, si accorge che nella sua casa interiore era entrata la salvezza, la chiarità del vivere.
Le Fonti documentano queste vicende storiche interessanti:
“Siccome però, come dice tutta la Scrittura: «Quando un uomo ha finito, allora comincia, e quando sarà consumato, opererà» - si vide il suo spirito farsi più pronto nella carne inferma.
Tanto vivo era il suo amore per la salvezza delle anime, e la sete di conquistarle a Dio, che, non avendo più la forza di camminare, se ne andava per le contrade in groppa a un asinello.
Spesso i confratelli con dolce insistenza lo invitavano a ristorare un poco il suo corpo infermo e troppo debole, con cure mediche, ma egli, che aveva lo spirito continuamente rivolto al cielo, declinava ogni volta l’invito, poiché desiderava soltanto sciogliersi dal corpo per essere con Cristo” (FF 490).
E ancora: “Diceva infatti che niente è più importante della salvezza delle anime, e lo provava molto spesso col fatto che l’Unigenito di Dio si è degnato di essere appeso alla croce per le anime […]
Non si riteneva Amico di Cristo, se non amava le anime che Egli ha amato” (FF 758).
Salvato, cercava di salvare; guarito, voleva guarire!
«Zaccheo, affrettandoti scendi, perché oggi devo rimanere nella tua casa» (Lc 19,5b)
Martedì 33.a sett. T.O. (Lc 19,1-10)
Gesù guarisce sulla strada di Gerico un cieco che crede in Lui e che, per la salvezza ricevuta, comincia a seguirLo glorificando Dio.
La cecità è tema rivisitato da Francesco in varie occasioni.
Il Minimo sapeva cosa fosse quella del corpo e dell’anima, avendola sperimentata spiritualmente e fisicamente.
Il Nome di Gesù sulle labbra del Poverello spesso aveva generato guarigioni, ridonando la vista.
Nelle Fonti troviamo:
“Nel convento dei frati minori di Napoli vi era un frate, di nome Roberto, cieco da molti anni.
Ad un certo punto sopra gli occhi gli si formò un’escrescenza carnosa, che gli impediva di muovere e sollevare le palpebre.
Un giorno si radunarono in quel convento molti frati forestieri, diretti in diverse parti del mondo.
Ebbene, il beato padre nostro Francesco, specchio di santa obbedienza, quasi per incuorarli al viaggio con la novità di un miracolo, volle guarire quel frate, alla loro presenza, nel modo che segue.
Questo frate Roberto era ammalato a morte, tanto che ormai gli era stata raccomandata l’anima; quand’ecco gli si presentò il beato Padre, in compagnia di tre frati, modelli d’ogni santità: sant’Antonio, frate Agostino e frate Giacomo d’Assisi, che ora, dopo la morte, lo accompagnavano premurosamente, così come lo avevano seguito perfettamente durante la vita.
Prendendo un coltello, San Francesco gli tagliò via la carne superflua, restituendogli la vista e strappandolo alle fauci della morte; poi gli disse:
«O figlio Roberto, la grazia che ti ho fatto è un segno per i frati che partono per lontane genti: è il segno che io li precederò e guiderò nel loro cammino. Partano con gioia e adempiano con animo pronto l’obbedienza ricevuta!» (FF 1299).
Il Cantico scritto da S. Francesco - Cantico di frate Sole - è un inno alla vita e alla luce nel momento in cui aveva perso la vista ed era stato guarito nel cuore.
Francesco, dopo la conversione, tornò a vederci di nuovo e divenne luce per tutti, faro nella notte dei tempi.
Cristo ridonava la vista attraverso di lui.
«E Gesù gli disse: "Solleva lo sguardo! La tua fede ti ha salvato"» (Lc 18,42)
Lunedì 33.a sett. T.O. (Lc 18,35-43)
In questo brano evangelico Gesù annuncia distruzioni e persecuzioni. Dinanzi a simili prove Egli sottolinea l’importanza della perseveranza.
Francesco e Chiara d’Assisi, con percorsi diversi, vissero avendo sempre dinanzi al loro sguardo l’orizzonte conclusivo della loro vita.
Per divina rivelazione e per indiscussa intuizione avevano compreso che i luccichii di questo mondo sarebbero stati i primi detrattori delle anime.
Sapevano che di tutto ciò che vedevano, alla fine dei giorni non sarebbe rimasto nulla.
E ogni giorno, alle prime luci dell’alba, tale pensiero li guidava nell’impostare la propria giornata.
Le Fonti, pozzo senza fondo delle vicende evangeliche vissute da questi Giganti del Vangelo, ci dicono, a cominciare dal Cantico di frate Sole:
«Laudato si’, mi Signore, per Sora nostra Morte corporale/ da la quale nullu homo vivente po’ skappare/ guai a quelli che morranno ne le peccata mortali; / beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,/ ka la morte seconda no ‘l farrà male» (FF 263).
Nondimeno Chiara richiama al fine ultimo della vita le sorelle:
«Beati però quelli a cui è concesso di camminare per questa via e di perseverarvi fino alla fine» (FF 2850).
Ancora in una delle sue lettere ad Agnese di Boemia, ricorda:
«Come si ingannano, molte volte, al riguardo, re e regine di questo mondo! Quand’anche elevassero la loro superbia fino al cielo e toccassero quasi col capo le nubi, alla fine saranno dissolti nel nulla, come spazzatura» (FF 2894).
Come annuncia Gesù nel Vangelo: «Queste cose che osservate, verranno giorni nei quali non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta» (Lc 21,6).
Loro hanno lanciato sempre il cuore oltre l’ostacolo, fidandosi di Dio.
Domenica 33.a T.O. anno C (Lc 21,5-19)
Nel capitolo diociottesimo di Luca Gesù evidenzia l’importanza della preghiera continua, insistente e fatta con fede. Per essere più pratico racconta la parabola del giudice e della vedova importuna.
Chi conosce un poco il Povero di S. Maria della Porziuncola, sa bene che l’orazione continua per lui era come l’ossigeno per i polmoni.
Vari passi delle Fonti descrivono quanto Francesco l’amasse e cercasse luoghi in cui poter dare libero sfogo al suo grande cuore.
“Dialogava spesso ad alta voce col suo Signore: rendeva conto al Giudice, supplicava il Padre, parlava all’Amico, scherzava amabilmente con lo Sposo.
E in realtà, per offrire a Dio in molteplice olocausto tutte le fibre del cuore, considerava sotto diversi aspetti Colui che è sommamente Uno […] Dirigeva tutta la mente e l’affetto a quell’unica cosa che chiedeva a Dio: non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente” (FF 682).
E nella Leggenda maggiore troviamo, a conferma della sua fede in Dio:
«Io, piccolino e semplice, inesperto nel parlare ho ricevuto la Grazia dell’orazione, più che quella della predicazione.
Nell’orazione, inoltre o si acquistano o si accumulano le grazie; nella predicazione, invece, si distribuiscono i doni ricevuti dal cielo […] Nell’orazione parliamo a Dio, lo ascoltiamo, e ci tratteniamo in mezzo agli angeli» (FF 1204).
La sua fede era cresciuta giorno per giorno, perché intrisa di Relazione divina, certa di essere ascoltata per Grazia e non per merito; divenendo così un Gigante della Parola.
«Ma Dio non farà giustizia ai suoi eletti, che gridano a lui giorno e notte?» (Lc 18,7)
Sabato 32.a sett. T.O. (Lc 18,1-8)
Francesco aveva imparato dal Vangelo che lo stringere fra le mani la propria vita la fa perdere, ma chi si dispone a perderla per Cristo e con Cristo, in realtà la guadagna.
Quando incontrò i lebbrosi il Minimo era a un bivio: trattenere la propria vita o donarla?
Abbracciare gli emarginati o continuare a pensare alla propria esistenza?
Le Fonti attestano che scelta fece Francesco nel merito.
Il Signore gli aveva detto qualcosa di ben preciso:
«Francesco - gli disse Dio in spirito - preferisci
le cose amare alle dolci, disprezza te stesso, se vuoi conoscermi» (FF 591).
E ancora: “Fra tutti gli orrori della miseria umana, Francesco sentiva ripugnanza istintiva per i lebbrosi. Ma, ecco, un giorno né incontrò proprio proprio uno, mentre era a cavallo nei pressi di Assisi.
Ne provò grande fastidio e ribrezzo; ma per non venire meno alla fedeltà promessa, come trasgredendo un ordine ricevuto, balzò da cavallo e corse a baciarlo.
E il lebbroso, che gli aveva steso una mano, come per ricevere qualcosa, ne ebbe contemporaneamente denaro e un bacio. Subito risalì a cavallo, guardò qua e là - la campagna era tutta aperta e libera tutt’attorno da ostacoli - ma non vide più il lebbroso.
Pieno di gioia e di ammirazione, poco tempo dopo volle ripetere quel gesto: andò al lebbrosario e, dopo aver dato a ciascun malato del denaro, ne baciò la mano e la bocca.
Così preferiva le cose amare alle dolci, e si prestava virilmente a mantenere gli altri propositi” (FF 592).
In tal modo il Poverello d’Assisi fece dell’amare e curare i lebbrosi il discrimine del perdere la propria vita per ritrovarla.
«Chi cercherà di conservare la sua vita, la perderà; ma chi perderà, la manterrà vivente» (Lc 17,33)
Venerdì 32.a sett. T.O. (Lc 17,26-37)
Il Signore chiama a porre attenzione agli accadimenti. A non sprecare opportunità di vita.
Francesco d’Assisi era singolare profeta capace di leggere i segni incontrati nel cammino di fede.
Ma il grave errore poteva essere quello di non aver compreso che Francesco era lui un segno dei tempi, e che segno!
Donato dal Cielo per conquistare anime a Dio, sapendo che il tempo ormai s’e fatto breve.
Le Fonti, Maestre di francescanesimo, dicono perché il Santo era stato scelto come segno dei tempi.
In tal senso la Leggenda maggiore di S. Bonaventura si fa rivelazione:
“Su di lui veramente poverello e contrito di cuore, Dio posò il suo sguardo con grande accondiscendenza e bontà; non soltanto lo sollevò mendico dalla polvere della vita mondana, ma lo rese campione, guida e araldo della perfezione evangelica e lo scelse come luce per i credenti, affinché divenuto testimone della luce, preparasse per il Signore la via della luce e della pace nel cuore dei fedeli” (FF 1020).
Continua S. Bonaventura:
“Come la stella del mattino che appare in mezzo alle nubi, coi raggi fulgentissimi della sua vita e della sua dottrina attrasse verso la luce coloro che giacevano nell’ombra della morte; come arcobaleno, che brilla tra le nubi luminose, portando in se stesso il segno del patto con il Signore, annunziò agli uomini il Vangelo della Pace e della salvezza.
Angelo della vera pace, anch’egli, ad imitazione del Precursore, fu predestinato da Dio a preparargli la strada nel deserto dell’altissima povertà e a predicare la penitenza con l’esempio e con la parola […]
Fu ricolmo dello spirito profetico e, deputato all’ufficio degli Angeli, venne ricolmato dell’ardente amore dei serafini, finché, divenuto simile alle gerarchie angeliche, venne rapito in cielo da un carro di fuoco.
Resta così razionalmente dimostrato che egli è stato inviato fra noi con lo spirito e la potenza di Elia” (FF 1021).
“E perciò, si afferma, a buon diritto, che egli viene simboleggiato nella figura dell’angelo che sale dall’oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo” (FF 1022).
“Egli ebbe dal Cielo la missione di chiamare gli uomini a piangere, a lamentarsi, a radersi la testa e a cingere il sacco, e di imprimere, col segno della croce penitenziale e con un abito fatto in forma di croce; il Tau, sulla fronte di coloro che gemono e piangono” (FF 1022).
«Perché come la folgore, folgoreggiando da un capo del cielo risplende fino all’altro capo del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo [nel suo giorno]» (Lc 17,24)
Giovedì 32.a sett. T.O. (Lc 17,20-25)
It is a question of leaving behind the comfortable but misleading ways of the idols of this world: success at all costs; power to the detriment of the weak; the desire for wealth; pleasure at any price. And instead, preparing the way of the Lord: this does not take away our freedom (Pope Francis)
Si tratta di lasciare le strade, comode ma fuorvianti, degli idoli di questo mondo: il successo a tutti i costi, il potere a scapito dei più deboli, la sete di ricchezze, il piacere a qualsiasi prezzo. E di aprire invece la strada al Signore che viene: Egli non toglie la nostra libertà (Papa Francesco)
Inside each woman and man resides a volcano of potential energies which are not to be smothered and aligned. The Lord doesn’t level the character; he doesn’t wear out the creatures. He doesn't make them desolate. The Kingdom is Near: it reinstates the imbalances. It does not mortify them, it convert them and enhances them
Dentro ciascuna donna e uomo risiede un vulcano di energie potenziali che non devono essere soffocate e allineate. Il Signore non livella il carattere; non sfianca le creature. Non le rende desolate. Il Regno è Vicino: reintegra gli squilibri. Non li mortifica, li tramuta e valorizza
The Person of Christ opens up another panorama to the perception of the two short-sighted (because ambitious) disciples. But sometimes it is necessary to take a leap in the dark, to contact one's vocational Seed; heal the gaze of the soul, recognize himself, flourish; make true Communion
La Persona di Cristo spalanca alla percezione dei due discepoli miopi (perché ambiziosi) un altro panorama. Ma talora bisogna fare un salto nel buio, per contattare il proprio Seme vocazionale; guarire lo sguardo dell’anima, riconoscersi, fiorire; fare vera Comunione
«Too pure water has no fish». Accepting ourselves will complete us: it will make us recover the co-present, opposite and shadowed sides. It’s the leap of profound Faith. And seems incredible, but the Rock on which we build the way of being believers is Freedom
«L’acqua troppo pura non ha pesci». Accettarsi ci completerà: farà recuperare i lati compresenti, opposti e in ombra. È il balzo della Fede profonda. Sembra incredibile, ma la Roccia sulla quale edifichiamo il modo di essere credenti è la Libertà
Our shortages make us attentive, and unique. They should not be despised, but assumed and dynamized in communion - with recoveries that renew relationships. Falls are therefore also a precious signal: perhaps we are not using and investing our resources in the best possible way. So the collapses can quickly turn into (different) climbs even for those who have no self-esteem
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte e dinamizzate in comunione - con recuperi che rinnovano i rapporti. Anche le cadute sono dunque un segnale prezioso: forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse. Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti) anche per chi non ha stima di sé
God is Relationship simple: He demythologizes the idol of greatness. The Eternal is no longer the master of creation - He who manifested himself strong and peremptory; in his action, again in the Old Covenant illustrated through nature’s irrepressible powers
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza. L’Eterno non è più il padrone del creato - Colui che si manifestava forte e perentorio; nella sua azione, ancora nel Patto antico illustrato attraverso le potenze incontenibili della natura
don Giuseppe Nespeca
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