Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Francesco, discepolo di Gesù, teneva lontano dalla sua vita l’ipocrisia dei farisei, l’essere preoccupati di apparire all’esterno senza curarsi dell’avidità radicata nel cuore.
Lui che aveva sposato Madonna Povertà, era felice di donare al prossimo e per lui tutto era mondo.
In tal senso vengono in aiuto le Fonti che, mirabilmente, c’illustrano quanto abitava all’interno del Servo di Dio.
“Francesco, il Povero di Cristo, mentre da Rieti era diretto a Siena per la cura degli occhi, stava attraversando la pianura presso Rocca Campiglia, in compagnia di un medico affezionato all’Ordine.
Ed ecco apparire lungo la strada, al passaggio del Santo, tre povere donne. Erano tanto simili di statura, di età, di aspetto, che le avresti dette tre copie modellate su un unico stampo.
Quando Francesco fu vicino, esse, chinando il capo con riverenza, gli rivolsero questo singolare saluto:
«Ben venga, signora povertà!».
Il Santo si riempì subito di gaudio indicibile, perché non c’era per lui saluto più gradito di quello che esse gli avevano rivolto.
Pensando dapprima che le donne fossero realmente povere, si rivolse al medico che l’accompagnava:
«Ti prego per amore di Dio, fa’ in modo che possa dare qualcosa a quelle poverette».
Quello prontissimo trasse fuori la borsa e, balzato di sella, diede a ciascuna alcune monete.
Proseguirono quindi un poco per la strada intrapresa, quando tutto a un tratto volgendo attorno lo sguardo, frate e medico non videro ombra di donne in tutta la pianura.
Altamente stupiti aggiunsero questo fatto alle meraviglie del Signore, perché evidentemente non potevano essere donne, quelle che erano volate via più rapide degli uccelli” (FF 680). Inoltre, leggiamo:
“La sua carità si estendeva con cuore di fratello non solo agli uomini provati dal bisogno ma anche agli animali […]
Aveva però una tenerezza particolare per gli agnelli, perché nella Scrittura Gesù Cristo è paragonato, spesso e a ragione, per la sua umiltà al mansueto agnello” (FF 455).
Libero dai formalismi, il Povero di Cristo quando s’imbatteva con agnellini che venivano portati al macello li comprava, pur di salvarli.
Dava in elemosina quanto aveva ricevuto nel cuore dal suo Dio: la compassione.
E non era diretto a costoro il monito di Gesù:
«Adesso voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del vassoio, ma il vostro interno è pieno di rapina e di malvagità» (Lc 11,39).
Tale ammonizione riguarda piuttosto coloro che prendono gloria gli uni dagli altri, trascurando ciò che piace a Dio: dare in elemosina ciò che ci è stato dato.
Per chi è puro tutto è puro.
Martedì 28.a sett. T.O. (Lc 11,37-41)
Nel brano di oggi alle folle accalcate e in cerca di segni Gesù risponde che sarà dato loro un solo segno: quello del profeta Giona.
Francesco d’Assisi era uomo di Dio attento ai segni; ma per lui il segno dei segni attraverso i quali Dio gli parlava era Gesù Crocifisso e Risorto, Colui che tre giorni e tre notti restò nel sepolcro e risorgendo ci ridonò la Vita vera.
La sua profonda adesione alla Croce era evidente tanto che persino il povero abito indossato era a forma di croce.
Leggiamo nelle Fonti:
“Questo araldo di Dio, degno di essere amato da Cristo, imitato da noi […] ebbe dal Cielo la missione di chiamare gli uomini a piangere, a lamentarsi […] e di imprimere col segno della croce penitenziale e con un abito a forma di croce, il Tau sulla fronte di coloro che gemono e piangono.
Ma ci conferma, poi, in essa, con la sua verità incontestabile, la testimonianza di quel sigillo che lo rese simile al Dio vivente, cioè a Cristo Crocifisso.
Sigillo che fu impresso nel suo corpo non dall’opera della natura o dall’abilità di un artefece, ma piuttosto dalla potenza meravigliosa dello Spirito del Dio vivo”. (FF 1022).
Quel segno che un suo discepolo convertito da Francesco e divenuto in seguito frate Pacifico “vide proprio con i suoi occhi corporei: Francesco segnato in forma di croce da due spade, messe a traverso, molto splendenti: l’una si stendeva dalla testa ai piedi, l’altra, trasversale, da una mano all’altra, all’altezza del petto.
Il Crocifisso e la Croce fu per lui il segno di Giona che gli stravolse la vita a S. Damiano:
“l’immagine del Cristo Crocifisso dal dipinto gli parla, muovendo le labbra” (FF 593).
“Da quel momento si fissò nella sua anima santa la Compassione del Crocifisso e, come si può piamente ritenere, le venerande Stimmate della Passione, quantunque non ancora nella carne, gli si impressero profondamente nel cuore” (FF 594).
«Questa generazione è una generazione malvagia; cerca un segno, e non le sarà dato un segno, se non il segno di Giona» (Lc 11,29).
Lunedì 28.a sett. T.O. (Lc 11,29-32)
Dopo che il Crocifisso di S. Damiano gli ebbe parlato, invitandolo a riparare la sua casa che andava in rovina (riferendosi principalmente alla Chiesa fatta di pietre vive, più che alle mura), subito Francesco si accinse a vendere quanto aveva presso di sé.
Infatti, nella Leggenda maggiore di S. Bonaventura, leggiamo: “Si alzò, pertanto, munendosi del segno della croce, e, prese con sé delle stoffe, si affrettò verso la città di Foligno, per venderle.
Vendette tutto quanto aveva portato; si liberò anche, mercante fortunato, del cavallo, col quale era venuto, incassandone il prezzo.
Tornando ad Assisi, entrò devotamente nella chiesa che aveva avuto l’incarico di restaurare.
Vi trovò un sacerdote poverello […] e gli offrì il denaro per la riparazione della chiesa e umilmente domandò che gli permettesse di abitare con lui per qualche tempo.
Il sacerdote acconsentì che egli restasse; ma, per timore dei suoi genitori, non accettò il denaro - e quel vero dispregiatore del denaro - lo buttò su una finestra, stimandolo polvere abbietta” (FF 1039).
Ma pure i suoi figli-frati, chiamati a seguire Colui che solo è buono, abbandonarono tutti i beni per seguire la via nuova tracciata da Francesco seguendo il Vangelo.
“Bernardo, un cittadino di Assisi, lo scongiurò umilmente di dargli il suo consiglio: cosa fare per non godere più dei beni di qualche signore e vivere secondo Dio.
Francesco gli disse che doveva restituirli tutti al padrone da cui li aveva ricevuti e poi aggiunse:
«Se vuoi comprovare coi fatti quanto dici, appena sarà giorno, entriamo in chiesa, prendiamo il libro del Vangelo e chiediamo consiglio a Cristo».
Venuto il mattino, entrano in una chiesa e, dopo aver pregato devotamente, aprono il libro del Vangelo, disposti ad attuare il primo consiglio che si offra loro.
Aprono il libro, e il suo consiglio Cristo lo manifesta con queste parole:
«Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quanto possiedi e dallo ai poveri».
Senza indugio Bernardo eseguì tutto e non tralasciò neppure un iota” (FF 601).
La stessa Chiara, nella prima lettera ad Agnese di Boemia, fra l’altro sottolinea:
«È magnifico davvero e degno di ogni lode questo scambio: rifiutare i beni della terra per avere quelli del Cielo, meritarsi i celesti invece dei terreni, ricevere il cento per uno e possedere la vita beata per l’eternità» (FF 2868).
Tutto ciò che è impossibile agli uomini è possibile presso Dio!
28.a Domenica T.O. B (Mc 10,17-30)
In questi pochi versetti del Vangelo odierno è contenuta la vera beatitudine, enunciata da Gesù, di chi sa ascoltare e incarnare la Parola di Dio fra le pieghe del quotidiano.
Francesco, che si riteneva semplice ed idiota, amava appassionatamente la Parola di Dio.
Infatti, imbattendosi a terra con le lettere di Essa, le raccoglieva per averne il dovuto riguardo.
Ce lo attestano le Fonti, nella prima lettera [da lui scritta] ai Custodi:
«Anche gli scritti che contengono i nomi e le parole del Signore, ovunque fossero trovati in luoghi sconvenienti, siano raccolti e collocati in luogo degno» (FF 242).
La stessa Chiara, pianticella del Serafico Padre, nel suo Testamento, ricorda quanto Francesco amasse e vivesse la Parola, dandone l’esempio:
«Il Figlio di Dio si è fatto nostra via; e questa con la parola e l’esempio ci indicò e insegnò il beato Padre nostro Francesco, vero amante e imitatore di Lui» (FF 2824).
E a chi gli chiedeva se avesse piacere che le persone istruite entrassero nell’Ordine, rispondeva:
«Ne ho piacere; purché, però, sull’esempio di Cristo, di cui si legge non tanto che ha studiato quanto che ha pregato, non trascurino di dedicarsi all’orazione e purché studino non tanto per sapere come devono parlare, quanto per mettere in pratica le cose apprese, e, solo quando le hanno messe in pratica, le propongano agli altri.
Voglio che i miei frati siano discepoli del Vangelo e progrediscano nella conoscenza della verità, in modo tale da crescere contemporaneamente nella purezza della semplicità» (FF 1188).
“E la ragione principale per cui venerava i ministri della Parola di Dio era questa: che essi fanno rivivere la discendenza del loro fratello morto, cioè fanno rivivere il Cristo, che è stato crocifisso per i peccatori, quando li convertono, facendosi loro guida con pia sollecitudine e con sollecita pietà.
Affermava che questo ufficio della pietà è più gradito di ogni sacrificio al Padre delle misericordie, soprattutto se viene adempiuto con zelo dettato da carità perfetta, per cui ci si affatica in esso più con l’esempio che con la parola, più con le lacrime della preghiera che con la loquacità dei discorsi” (FF 1135).
“Egli infatti non era mai stato un ascoltatore sordo del Vangelo, ma, affidando ad una encomiabile memoria tutto quello che ascoltava, cercava con ogni diligenza di seguirlo alla lettera” (FF 357).
«Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e [la] custodiscono» (v.28).
Sabato della 27.a sett. T.O. (Lc 11,27-28)
Gesù attesta agli astanti che scaccia i demoni non per mezzo di Beelzebul ma con il Dito di Dio, per opera di Lui.
Come Gesù così Francesco ebbe tentazioni e fu grandemente provato dal demonio.
Ma il Dito di Dio, lo Spirito Santo, vinse in lui ogni battaglia, estendendo il Regno dei cieli nei cuori.
Come Francesco, anche Chiara incontrò prove in tal senso da cui, per la Grazia di Dio, uscì sempre immune, perché non divisa, ma totalmente unita a Cristo.
Le Fonti sono portavoci eloquenti di grande verità esistenziale e spirituale. Guardiamo cosa ci dicono nel merito.
“In quei luoghi doveva lottare corpo a corpo col demonio, che l’affrontava per spaventarlo non solo con tentazioni interiori, ma anche esteriormente con strepiti e rovine.
Ma Francesco, da fortissimo soldato di Cristo, ben sapendo che il suo Signore poteva tutto dovunque, non si lasciava per nulla intimorire, ma ripeteva in cuor suo:
«Non puoi, o maligno, scatenare contro di me le armi della tua malizia, in questi luoghi più di quanto mi faresti se fossimo tra la folla»” (FF 446).
E un frate, che da tempo veniva molestato dagli assalti del demonio e in pianto ai piedi di Francesco, fu da lui liberato:
“il Padre ne sentì pietà , e comprendendo che era tormentato da istigazioni maligne:
«Io vi ordino, o demoni, - esclamò - in virtù di Dio di non tormentare più d’ora in avanti il mio fratello, come avete osato finora».
Subito si dissipò quel buio tenebroso, il frate si alzò libero e non sentì più alcun tormento, come se ne fosse sempre stato esente” (FF 697).
Altresì Chiara fu più volte attaccata dal nemico.
“Mentre una volta piangeva, in piena notte, le apparve l’angelo delle tenebre in forma di nero fanciullo, e così la ammonì: Non piangere tanto, perché diventerai cieca!
Ma, rispondendogli lei subito:
«Non sarà cieco chi vedrà Dio», confuso si allontanò” (FF 3198).
E nella prima lettera alla sua figlia spirituale, Agnese di Boemia, così Chiara si esprime:
«L’uomo coperto di vestiti non può pretendere di lottare con un ignudo, perché è più presto gettato a terra chi offre una presa all’avversario» (FF 1867).
I servi di Dio, nella loro semplicità, hanno le idee chiare, perché guidati dal Dito di Dio - e non mollano la Vocazione autentica.
«Ma se con il Dito di Dio io scaccio i demoni, quindi è arrivato per voi il regno di Dio» (Lc 11,20).
Venerdì 27.a sett. T.O. (Lc 11,15-26)
Il capitolo undici di Luca continua evidenziando come la preghiera fiduciosa e perseverante non solo ottiene quanto chiesto, ma di più: il grande dono dello Spirito Santo.
Nelle Fonti è magnifico l’esempio di Francesco.
Povero delle cose del mondo ma ricco dello Spirito di Dio, il Poverello considerava il Signore come Grande Elemosiniere che dona largamente a chi confida in Lui.
Nelle Fonti troviamo un episodio indicativo:
“Il servo di Dio, che si era molto aggravato, dal luogo di Nocera veniva ricondotto ad Assisi, da una scorta di ambasciatori, che il devoto popolo assisano aveva inviato.
Gli accompagnatori, col servo di Dio, giunsero in un villaggio poverello, chiamato Satriano.
Siccome l’ora e la fame facevano sentire il bisogno di cibo, andarono a cercarlo per il paese. Ma, non trovando niente da comprare, tornarono a mani vuote.
Allora il Santo disse a questi uomini:
«Se non avete trovato niente, è perché avete più fiducia nelle vostre mosche che in Dio (col termine ‘mosche’ egli indicava i denari).
Ma tornate indietro nelle case da cui siete passati e domandate umilmente l’elemosina, offrendo come pagamento l’amor di Dio.
E non crediate che questo sia un gesto vergognoso e umiliante: è un pensiero sbagliato, perché il Grande Elemosiniere, dopo il peccato, ha messo tutti i beni a disposizione dei degni e degli indegni, con generosissima bontà».
I cavalieri mettono da parte il rossore, vanno spontaneamente a chiedere l’elemosina e riescono a comprare con l’amor di Dio quello che non avevano ottenuto con i soldi.
Difatti quei poveri abitanti, commossi e ispirati da Dio, offrirono generosamente non solo le cose loro, ma anche se stessi.
E così avvenne che la povertà di Francesco sopperisse all’indigenza, che il denaro non aveva potuto alleviare” (FF 1130).
D’altra parte il Servo del Signore in tutta la sua vita aveva sempre creduto che Dio offre molto più di quel pensiamo, donando Spirito Santo - Somma di tutte le cose buone.
Infatti nella Regola bollata (1223) Francesco afferma che bisogna «desiderare sopra ogni cosa […] di avere lo Spirito del Signore e la sua Santa operazione» (FF 104), il Quale riposa su quanti vivono il Vangelo con fedeltà.
Il Povero di Cristo, infatti, Lo considerava Ministro dell’Ordine.
E diceva:
«Presso Dio […] non vi è preferenza di persone e lo Spirito Santo, ministro generale dell’Ordine, si posa egualmente sul povero ed il semplice» (FF 779).
«Quanto più il Padre che è dal cielo darà Spirito Santo a quelli che gli chiedono» (Lc 11,13b).
Giovedì della 27.a sett. T.O. (Lc 11,5-13)
Dopo aver pregato, Gesù riceve dai discepoli la richiesta d’insegnare loro a pregare.
Così dona loro il ‘Padre nostro’.
Se andiamo a guardare nelle Fonti francescane ci accorgiamo quanto fosse importante per il Poverello la preghiera.
Francesco, l’Araldo del Gran Re, non era più tanto un uomo che pregava quanto una creatura fatta preghiera.
E come i discepoli nel vedere pregare Gesù gli chiesero d’insegnar loro a pregare, così i frati che ebbero la fortuna di vedere immerso in orazione Francesco, domandarono a lui d’insegnare loro.
“Quando, poi, i frati gli chiesero che insegnasse loro a pregare, disse: Quando pregate, dite:
«Padre nostro» e «Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono in tutto il mondo, e ti benediciamo, perché, per mezzo della tua Santa croce, hai redento il mondo» (FF 1068).
“Inoltre insegnò loro a lodare Dio in tutte le creature e […] a confessare schiettamente la verità della fede” (FF 1069).
E nei suoi scritti (nello specifico, la Parafrasi del «Padre nostro»):
«O santissimo Padre nostro: creatore, redentore, consolatore e Salvatore nostro. Che sei nei cieli: negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza, perché tu Signore, sei luce: infiammandoli all’amore, perché tu, Signore, sei amore; ponendo la tua dimora in loro e riempiendoli di beatitudine, perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene» (FF 266- 267).
Raccomandava ai suoi frati di non trascurare l’orazione. Infatti:
“«Sopra ogni altra cosa - asseriva con fermezza - il religioso deve desiderare la grazia dell’orazione» e incitava in tutte le maniere possibili i suoi frati a praticarla con zelo, convinto che nessuno fa progressi nel servizio di Dio senza di essa.
Camminando e sedendo, in casa e fuori, lavorando e riposando, restava talmente intento all’orazione da sembrare che le avesse dedicato ogni parte di se stesso, non solo il cuore e il corpo ma anche l’attività e il tempo” (FF 1176).
«Quando pregate, dite:
Padre, sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno» (Lc 11,2).
Mercoledì della 27.a sett.T.O. (Lc 11,1-4)
Francesco d’Assisi, il Sapiente e il Minimo di Dio, ebbe sempre chiara nella sua coscienza l’importanza e la necessità della vita contemplativa, temperata dal lavoro che tiene lontano l’ozio e che conforma a Cristo. Lo esigeva per sé e per i suoi frati. Arrivò a dire che servire i fratelli vale più di ogni sosta negli eremi, dove lui stesso amava recarsi, quando poteva.
Leggiamo nei suoi scritti: “Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio” (FF 119).
Inoltre: “Siamo convinti che […] siano stati rimproverati assai quelli che negli eremitori vivono in modo diverso. Molti infatti trasformano il luogo della contemplazione in ozio e il modo di vivere eremitico, istituito per consentire alle anime la perfezione, lo riducono ad un luogo di piacere […] Certo questo rimprovero non è per tutti. Sappiamo che vi sono dei Santi […] che nell’eremo seguono ottime leggi” (FF 765).
Anche tra i frati si discuteva se vivere di contemplazione o azione, infatti nella Leggenda Maggiore è scritto:
”Mentre, saldi nel santo proposito, affrontavano la valle Spoletana, si misero a discutere se dovevano passare la vita in mezzo alla gente oppure dimorare in luoghi solitari.
Ma Francesco, il servo di Cristo, non confidando nell’esperienza propria o in quella dei suoi, si affidò alla preghiera, per ricercare con insistenza quale fosse su questo punto la disposizione della volontà divina.
Venne così illuminato con una risposta dal Cielo e comprese che egli era stato mandato dal Signore a questo scopo: guadagnare a Cristo le anime […] E perciò scelse di vivere per tutti, anziché per sé solo, stimolato dall’esempio di Colui che si degnò di morire, Lui solo, per tutti gli uomini” (FF1066).
Ma l’amore per l’orazione e l’ascolto della Parola accompagnò sempre il suo agire e quello dei suoi frati.
“La dedizione instancabile alla preghiera […] aveva fatto pervenire l’uomo di Dio a così grande chiarezza di spirito che […] scrutava le profondità delle Scritture con intelletto limpido e acuto. Leggeva i libri sacri e riteneva tenacemente impresso nella memoria quanto aveva una volta assimilato: giacché ruminava continuamente con affettuosa devozione ciò che aveva ascoltato con mente attenta” (FF1187).
Trasformato in preghiera, senza venir meno ai servizi:
Francesco aveva una predilezione speciale per la Parola di Dio e in lui, senza venir meno ai servizi da rendere al prossimo, primeggiava sempre l’ascolto di quanto il Signore chiedeva o insegnava, fissandolo bene nella sua mente.
Aveva scelto la parte buona che nessuno avrebbe potuto togliergli.
Infatti le Fonti ci ammaestrano al riguardo:
“Trascorreva tutto il suo tempo in santo raccoglimento per imprimere nel cuore La sapienza; temeva di tornare indietro se non progrediva sempre.
E se a volte urgevano visite di secolari o altre faccende, le troncava più che terminarle, per rifugiarsi di nuovo nella contemplazione […]
Cercava sempre un luogo appartato, dove potersi unire non solo con lo spirito, ma con le singole membra al suo Dio” (FF 681).
“Spesso senza muovere le labbra, meditava a lungo dentro di sé e, concentrando all’interno le potenze esteriori, si alzava con lo spirito al cielo. In tal modo dirigeva tutta la mente e l’affetto a quell’unica cosa che chiedeva a Dio: non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente” (FF 682).
Aveva compreso l’essenza del Vangelo.
Quando era infermo e pieno di dolori, a un frate che da Francesco aveva appreso a rifugiarsi nelle Scritture e che ora lo invitava a farsela leggere per averne sollievo, il Santo rispose:
«È bene leggere le testimonianze della Scrittura, ed è bene cercare in esse il Signore nostro Dio. Ma, per quanto mi riguarda, mi sono già preso tanto dalle Scritture, da essere più che sufficiente alla mia meditazione e riflessione. Non ho bisogno di più, Figlio: conosco Cristo povero e Crocifisso» (FF 692).
Gesù, a colui che chiede: «E chi è a me prossimo?» (Lc 10,29) risponde raccontando una vicenda.
Dinanzi a chi giace a terra non bisogna passare oltre, bensì soccorrerlo, prendersene cura, perché ogni persona malmenata è: proprio prossimo, chiunque sia.
Il Poverello, che aveva ricevuto misericordia dal Signore, aveva bene imparato la lezione per applicarla "sine glossa", letteralmente verso tutti, incominciando dai più bisognosi ed emarginati del suo tempo.
L’incontro del Poverello con i lebbrosi costituisce una pagina fondamentale della sua crescita nello Spirito.
Crocevia che lo modifica profondamente e cambia le coordinate della vita interiore.
Per quegli sfortunati prova compassione e “passione”, disposto ad aiutarli in ogni modo, perché scrigno del Servo Sofferente.
Leggiamo nel suo meraviglioso Testamento:
«Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi Misericordia.
E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo» (FF 110).
Così “il Santo si reca tra i lebbrosi e vive con essi, per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulente […]
La vista dei lebbrosi infatti, come egli attesta, gli era prima così insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza il loro ricovero, si turava il naso con le mani.
Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per Grazia e virtù dell’Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò.
Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria” (FF 348).
E Francesco di lebbrosi ne guarì molti:
“Nella città di Fano, un giovane di nome Bonomo, ritenuto da tutti i medici lebbroso e paralitico, appena viene offerto molto devotamente dai genitori al beato Francesco, è liberato dalla lebbra e dalla paralisi e riacquista piena salute” (FF 564).
La cura riservata da lui ai lebbrosi, quale Buon Samaritano del Vangelo, si trasformerà, per dono del Signore, in potenza ed efficacia nel guarire le malattie del corpo e dello spirito.
Aveva compassione viscerale di queste anime abbandonate a se stesse e visse alla lettera il Vangelo dei derelitti e dei messi ai margini, amando con straordinaria predilezione i Lazzaro del suo tempo e oltre.
«Va’, anche tu fa’ ugualmente» (Lc 10,37).
Lunedì 27.a sett. T.O. (Lc 10,25-37)
Our shortages make us attentive, and unique. They should not be despised, but assumed and dynamized in communion - with recoveries that renew relationships. Falls are therefore also a precious signal: perhaps we are not using and investing our resources in the best possible way. So the collapses can quickly turn into (different) climbs even for those who have no self-esteem
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte e dinamizzate in comunione - con recuperi che rinnovano i rapporti. Anche le cadute sono dunque un segnale prezioso: forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse. Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti) anche per chi non ha stima di sé
God is Relationship simple: He demythologizes the idol of greatness. The Eternal is no longer the master of creation - He who manifested himself strong and peremptory; in his action, again in the Old Covenant illustrated through nature’s irrepressible powers
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza. L’Eterno non è più il padrone del creato - Colui che si manifestava forte e perentorio; nella sua azione, ancora nel Patto antico illustrato attraverso le potenze incontenibili della natura
Starting from his simple experience, the centurion understands the "remote" value of the Word and the magnet effect of personal Faith. The divine Face is already within things, and the Beatitudes do not create exclusions: they advocate a deeper adhesion, and (at the same time) a less strong manifestation
Partendo dalla sua semplice esperienza, il centurione comprende il valore “a distanza” della Parola e l’effetto-calamita della Fede personale. Il Cospetto divino è già dentro le cose, e le Beatitudini non creano esclusioni: caldeggiano un’adesione più profonda, e (insieme) una manifestazione meno forte
What kind of Coming is it? A shortcut or an act of power to equalize our stormy waves? The missionaries are animated by this certainty: the best stability is instability: that "roar of the sea and the waves" Coming, where no wave resembles the others.
Che tipo di Venuta è? Una scorciatoia o un atto di potenza che pareggi le nostre onde in tempesta? I missionari sono animati da questa certezza: la migliore stabilità è l’instabilità: quel «fragore del mare e dei flutti» che Viene, dove nessuna onda somiglia alle altre.
The words of his call are entrusted to our apostolic ministry and we must make them heard, like the other words of the Gospel, "to the end of the earth" (Acts 1:8). It is Christ's will that we would make them heard. The People of God have a right to hear them from us [Pope John Paul II]
Queste parole di chiamata sono affidate al nostro ministero apostolico e noi dobbiamo farle ascoltare, come le altre parole del Vangelo, «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). E' volontà di Cristo che le facciamo ascoltare. Il Popolo di Dio ha diritto di ascoltarle da noi [Papa Giovanni Paolo II]
"In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet". This refers to the solidity of the Word. It is solid, it is the true reality on which one must base one's life (Pope Benedict)
«In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet». Si parla della solidità della Parola. Essa è solida, è la vera realtà sulla quale basare la propria vita (Papa Benedetto)
don Giuseppe Nespeca
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