Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
(Mt 8,23-27)
La nostra vita procede come su una barchetta sballottata da sismi. Andiamo speranzosi, ma talora le avversità rischiano di farci annegare, e con noi sembra trascinino giù tutta la vita.
Usando parafrasi del libro dell’Esodo, Mt cerca di aiutare le sue comunità a comprendere il Mistero della Persona di Gesù.
Non pochi giudei convertiti ritenevano Cristo un personaggio tutto sommato in linea con la loro mentalità e tradizione, concorde con profezie e figure del Primo Testamento.
Altrove, alcuni pagani che avevano accettato il Signore propugnavano un’intesa con la mentalità mondana - una sorta di accordo fra Gesù e Impero.
Ma Chi poteva placare le tempeste?
La situazione delle minuscole famiglie cristiane di Galilea e Siria era ancora buia. Cristo pareva non del tutto presente, e il mare agitato, il vento contrario.
Si poteva ri-creare l’Esodo?
Proprio nella condizione di pellegrini sballottati, nell’accostarsi alla sua Persona si faceva esperienza di una strana e diversa stabilità: il perdurare controcorrente.
Una traversata verso la libertà che proveniva dall’aggrapparsi al solo Gesù, nel caos delle sicurezze. Per una discorde permanenza.
Mentre i discepoli accarezzavano desideri nazionalisti, il Maestro inizia a far capire che Egli non è il Messia volgarmente atteso, restauratore del defunto impero di Davide o dei Cesari.
Il Regno di Dio è aperto a tutta l'umanità, che in quei tempi di sballottamento cercava sicurezze, accoglienza, punti di riferimento. Ciascuno poteva trovarvi casa e riparo (Mt 13,32c; Mc 4,32b).
Ma gli apostoli e i veterani di chiesa sembravano avversi alle proposte di Cristo; rimanevano insensibili a un’idea troppo larga di fraternità - che li spiazzava.
L’insegnamento e richiamo imposto ai discepoli è quello di passare all’altra riva (cf. Mc 4,35; Lc 8,22) ossia di non trattenere per sé.
Gli Apostoli hanno il compito di comunicare le ricchezze del Padre anche ai pagani, considerati impuri e malfamati.
Eppure proprio gli intimi del Maestro non ne volevano sapere di sproporzioni rischiose, che facessero effettivamente risaltare l’azione a maglie larghe del Figlio di Dio.
Erano volentieri tarati su consuetudini di religiosità comune, e un’ideologia di potere circoscritta.
La resistenza all’incarico divino nonché il dibattito interno lacerante che ne era derivato, già negli anni 70 aveva scatenato una grande tempesta nelle assemblee dei credenti.
«Ed ecco venne una grande agitazione nel mare, così che la barca veniva coperta dalle onde» (Mt 8,24).
La bufera riguardava i soli discepoli, unici sgomenti; non Gesù: «ma dormiva» (v.24c) [si tratta del Risorto].
Quel che accadeva “dentro” la barchetta della Chiesa non era il semplice riflesso di ciò che capitava “fuori”! Questo l’errore da correggere.
Le situazioni emotivamente rilevanti hanno il loro senso, recano un appello significativo, introducono una diversa introspezione, il cambiamento decisivo; una nuova ‘genesi’.
La prova infatti attiva le anime nel modo più efficace, perché ci sgancia dall’idea di stabilità, e pone in contatto con energie sottaciute, avviando il nuovo dialogo con gli eventi.
In Lui, eccoci dunque intrisi d’una diversa visione del pericolo.
[Martedì 13.a sett. T.O. 1 luglio 2025]
(Mt 8,23-27)
Excita, Domine, potentiam tuam, et veni
“Excita, Domine, potentiam tuam, et veni” – con queste e con simili parole la liturgia della Chiesa prega ripetutamente […]
Sono invocazioni formulate probabilmente nel periodo del tramonto dell’Impero Romano. Il disfacimento degli ordinamenti portanti del diritto e degli atteggiamenti morali di fondo, che ad essi davano forza, causavano la rottura degli argini che fino a quel momento avevano protetto la convivenza pacifica tra gli uomini. Un mondo stava tramontando. Frequenti cataclismi naturali aumentavano ancora questa esperienza di insicurezza. Non si vedeva alcuna forza che potesse porre un freno a tale declino. Tanto più insistente era l’invocazione della potenza propria di Dio: che Egli venisse e proteggesse gli uomini da tutte queste minacce.
“Excita, Domine, potentiam tuam, et veni”. Anche oggi abbiamo motivi molteplici per associarci a questa preghiera […] Il mondo con tutte le sue nuove speranze e possibilità è, al tempo stesso, angustiato dall’impressione che il consenso morale si stia dissolvendo, un consenso senza il quale le strutture giuridiche e politiche non funzionano; di conseguenza, le forze mobilitate per la difesa di tali strutture sembrano essere destinate all’insuccesso.
Excita – la preghiera ricorda il grido rivolto al Signore, che stava dormendo nella barca dei discepoli sbattuta dalla tempesta e vicina ad affondare. Quando la sua parola potente ebbe placato la tempesta, Egli rimproverò i discepoli per la loro poca fede (cfr Mt 8,26 e par.). Voleva dire: in voi stessi la fede ha dormito. La stessa cosa vuole dire anche a noi. Anche in noi tanto spesso la fede dorme. PreghiamoLo dunque di svegliarci dal sonno di una fede divenuta stanca e di ridare alla fede il potere di spostare i monti – cioè di dare l’ordine giusto alle cose del mondo.
[Papa Benedetto, alla Curia romana 20 dicembre 2010]
La nostra vita procede come su una barchetta sballottata da sismi. Andiamo speranzosi, ma talora le avversità rischiano di farci annegare, e con noi sembra trascinino giù tutta la vita.
Episodi che tuttavia fanno capire quanto vale l’amicizia di Cristo per noi e cosa ci trasmette.
Sperimentiamo infatti che solo il Signore vince lo spavento degli sconvolgimenti.
Ma lo fa senza precipitarsi, e privo di schemi assodati che lo inquadrino per sempre (sarebbe come farlo perire).
Se lo ospitiamo in modo semplice e schietto, ci rendiamo conto che esiste un altro regno, che ogni elemento è in suo potere.
Su tale onda divenuta vitale, tutto servirà per riattivarci - anche il vento contrario e le insidie del male.
L’Amico invisibile ci guida e realizza infallibilmente. E fa giungere a Riva. Approdo che è condizione definitiva.
Terraferma che la forza delle onde non può intaccare, neanche quando avessimo la sensazione di essere trascinati altrove dai flutti.
Usando parafrasi del libro dell’Esodo, Mt cerca di aiutare le sue comunità a comprendere il Mistero della Persona di Gesù.
Non pochi giudei convertiti ritenevano Cristo un personaggio tutto sommato in linea con la loro mentalità e tradizione, concorde con profezie e figure del Primo Testamento.
Altrove, alcuni pagani che avevano accettato il Signore propugnavano un’intesa con la mentalità mondana - una sorta di accordo fra Gesù e Impero.
Ma Chi poteva placare le tempeste?
La situazione delle minuscole famiglie cristiane di Galilea e Siria era ancora buia. Cristo pareva non del tutto presente, e il mare agitato, il vento contrario.
Si poteva ri-creare l’Esodo?
La Fede in Lui era scossa, non distesa. I discepoli non possedevano la medesima fiducia tranquilla del Maestro nei confronti del Padre.
Eppure, proprio nella condizione di pellegrini sballottati, nell’accostarsi alla sua Persona si faceva esperienza di una strana e diversa stabilità: il perdurare controcorrente.
Una traversata verso la libertà che proveniva dall’aggrapparsi al solo Gesù, nel caos delle sicurezze. Per una discorde permanenza.
Ancora oggi, è il cammino di crescita non abitudinario e critico che Lo svela in grado di manifestare la sua forza quieta, restituendo gli elementi sconvolti alla calma.
Il senso di marcia imposto da Gesù ai suoi sembra contromano, e infrange sfacciatamente le regole accettate da tutti.
Mentre i discepoli accarezzavano desideri nazionalisti, il Maestro inizia a far capire che Egli non è il Messia volgarmente atteso, restauratore del defunto impero di Davide o dei Cesari.
Il Regno di Dio è aperto a tutta l'umanità, che in quei tempi di sballottamento cercava sicurezze, accoglienza, punti di riferimento. Ciascuno poteva trovarvi casa e riparo (Mt 13,32c; Mc 4,32b).
Ma gli apostoli e i veterani di chiesa sembravano avversi alle proposte di Cristo; rimanevano insensibili a un’idea troppo larga di fraternità - che li spiazzava. È un problema ancora vivo e gravissimo.
L’insegnamento e richiamo imposto ai discepoli è quello di passare all’altra riva (Mc 4,35; Lc 8,22) ossia di non trattenere per sé.
Gli Apostoli hanno il compito di comunicare le ricchezze del Padre ai pagani, considerati impuri e malfamati.
Eppure proprio gli intimi del Maestro non ne volevano sapere di sproporzioni rischiose, che facessero effettivamente risaltare l’azione a maglie larghe del Figlio di Dio.
Erano volentieri tarati su consuetudini di religiosità comune, e un’ideologia di potere circoscritta.
La resistenza all’incarico divino nonché il dibattito interno lacerante che ne era derivato, già negli anni 70 aveva scatenato una grande tempesta nelle assemblee dei credenti.
«Ed ecco venne una grande agitazione nel mare, così che la barca veniva coperta dalle onde» (Mt 8,24).
La bufera riguardava i soli discepoli, unici sgomenti; non Gesù: «ma dormiva» (v.24c) [si tratta del Risorto].
Quel che accadeva “dentro” la barchetta della Chiesa non era il semplice riflesso di ciò che capitava “fuori”! Questo l’errore da correggere.
Anche per noi, tale identificazione può bloccare e rendere cronica la vita, proprio a partire dalla gestione delle situazioni emotivamente rilevanti - che hanno il loro senso.
Esse sempre recano un appello significativo, introducono un diverso occhio, introspezione, dialogo.
Insomma, dalla pace della condizione divina che domina il caos, il Signore richiama l’attenzione e rimprovera gli apostoli, accusandoli di non avere Fede.
Pur devoti, mancano d’un briciolo di rischio. Mancano d’amore - come un granello di senape (v.26) - da portare all’umanità per rinnovarla.
E noi credenti siamo ancora confusi, nell’imbarazzo? Tuttora infuria il caos degli schemi - non escluso l’egoismo, che inesorabilmente fa capolino?
Andiamo paradossalmente sulla strada dell’Esodo, dell’esperienza dei primi; “conoscenza” giusta, perché diretta. Unica avvertenza: non bisogna farsi prendere dal timore.
In Lui, eccoci intrisi d’una diversa visione del pericolo.
Dice il Tao Tê Ching (xxii): «Il santo non da sé vede, perciò è illuminato». Anche nelle strettoie.
In ogni tempo sembra infatti che Gesù voglia espressamente per gli apostoli i momenti scuri del confronto e del dubbio (Mc 4,35; Lc 8,22b). In primis saranno alcuni responsabili di chiesa, i chiamati a far pulizia da convinzioni ripetitive. Solo così il loro Annuncio non resterà tarato.
Infatti le attese da manuale (e l’abitudine ad allestire armonie conformiste) bloccano la fioritura di ciò che siamo e speriamo.
Soprattutto quel che è seccante o addirittura “contro” ha qualcosa di decisivo da dirci.
Anche nella barchetta delle assemblee [cf. Mc 4,36] il disagio deve esprimersi.
«E avvicinatisi lo svegliarono dicendo: Signore, salva, siamo perduti!» (v.25).
Il periglio è occasione per far rinascere l’essenza di ciascuno e della stessa comunità.
La prova introduce il cambiamento (nascosto o represso) e lo attiva nel modo più efficace.
La Novità viene dal naturale contatto con energie sottaciute, primordiali.
Più degli opposti attriti e degli eventi esterni in conflitto, l’ansia, l’impressione, l’angoscia, sorgono infatti dal timore stesso di affrontare le normali o decisive questioni dell’esistenza.
Ciò può accadere per sfiducia: sentendo il pericolo forse solo perché ci cogliamo intimamente poco cresciuti, e incapaci di altro colloquio; di scoprire e rielaborare, convertirci, o rimodulare.
La fatica di mettersi in discussione e la sofferenza che l’avventura della Fede riservano, sfumeranno anche tra i fastidi del mare mosso - che appunto non vuole farci tornare “quelli di prima”.
Basta sganciarsi dall’idea di stabilità, anche religiosa, e ascoltare la vita così com’è, abbracciandola.
Perfino nella sua folla di urti, amarezze, speranze di armonia infrante, dispiaceri - intrattenendosi con questa fiumana di nuove emergenze, e incontrando la propria natura profonda.
Il miglior vaccino contro gli affanni dell’avventura insieme a Cristo sulle onde mutevoli dell’inatteso. sarà proprio di non evitare a monte le preoccupazioni - anzi, andare loro incontro e accoglierle; riconoscersi, lasciarle fare.
Anche nel tempo della crisi globale, le apprensioni che sembra vogliano devastarci, vengono a noi come energie preparatorie di altre gioie che desiderano irrompere. Nuove sintonie cosmiche; per lo stupore a partire da noi stessi - e guida dell’aldilà.
La nostra barchetta è in una stabilità invertita, capovolta, non pareggiabile; incerta, sconveniente - eppure energica, pungente, capace di reinventarsi.
E sarà perfino eccessiva, ma dai dissesti.
Per una proposta di Tenerezza (non corrispondente) che non è zona relax, perché fa rima con ansia terribile e... ancora disattese periferie!
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
In quali occasioni hai trovato facile ciò che prima sembrava impossibile? Alzi mai la voce con Gesù? Con quale Nome ti si è rivelato? Con quale titolo lo definiresti? Hai attraversato acque che non prevedevi nei tuoi piani e propositi? Chi ha calmato le tue tempeste? Come vivi l’armonia?
Qualche altra provvidenza, che tu ignori
«È bene non cadere, oppure cadere e risollevarsi. E se accade di cadere, è bene non disperare e non rendersi estranei all’amore che il Sovrano ha per l’uomo. Se lo vuole può infatti fare misericordia alla nostra debolezza. Soltanto non allontaniamoci da lui, non sentiamoci angustiati se siamo forzati dai comandamenti e non avviliamoci se non arriviamo a niente (…).
Non dobbiamo né aver fretta né ripiegarci, ma sempre ricominciare di nuovo (…).
Aspettalo, ed egli ti farà misericordia, sia con la conversione sia con delle prove, sia con qualche altra provvidenza che tu ignori».
[Pietro Damasceno, libro secondo, ottavo discorso, in La Filocalia, Torino 1982, I,94]
“Excita, Domine, potentiam tuam, et veni” – con queste e con simili parole la liturgia della Chiesa prega ripetutamente […]
Sono invocazioni formulate probabilmente nel periodo del tramonto dell’Impero Romano. Il disfacimento degli ordinamenti portanti del diritto e degli atteggiamenti morali di fondo, che ad essi davano forza, causavano la rottura degli argini che fino a quel momento avevano protetto la convivenza pacifica tra gli uomini. Un mondo stava tramontando. Frequenti cataclismi naturali aumentavano ancora questa esperienza di insicurezza. Non si vedeva alcuna forza che potesse porre un freno a tale declino. Tanto più insistente era l’invocazione della potenza propria di Dio: che Egli venisse e proteggesse gli uomini da tutte queste minacce.
“Excita, Domine, potentiam tuam, et veni”. Anche oggi abbiamo motivi molteplici per associarci a questa preghiera […] Il mondo con tutte le sue nuove speranze e possibilità è, al tempo stesso, angustiato dall’impressione che il consenso morale si stia dissolvendo, un consenso senza il quale le strutture giuridiche e politiche non funzionano; di conseguenza, le forze mobilitate per la difesa di tali strutture sembrano essere destinate all’insuccesso.
Excita – la preghiera ricorda il grido rivolto al Signore, che stava dormendo nella barca dei discepoli sbattuta dalla tempesta e vicina ad affondare. Quando la sua parola potente ebbe placato la tempesta, Egli rimproverò i discepoli per la loro poca fede (cfr Mt 8,26 e par.). Voleva dire: in voi stessi la fede ha dormito. La stessa cosa vuole dire anche a noi. Anche in noi tanto spesso la fede dorme. PreghiamoLo dunque di svegliarci dal sonno di una fede divenuta stanca e di ridare alla fede il potere di spostare i monti – cioè di dare l’ordine giusto alle cose del mondo.
[Papa Benedetto, alla Curia romana 20 dicembre 2010]
La tempesta sedata sul lago di Genesaret può essere riletta come “segno” di una costante presenza di Cristo nella “barca” della Chiesa, che molte volte nel corso della storia viene esposta alla furia dei venti nelle ore di tempesta. Gesù, svegliato dai discepoli, comanda ai venti e al mare e si fa una grande bonaccia. Poi dice loro: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?” (Mc 4, 40). In questo, come in altri episodi, si vede la volontà di Gesù di inculcare negli apostoli e nei discepoli la fede nella sua presenza operatrice e protettrice anche nelle ore più tempestose della storia, nelle quali potrebbe infiltrarsi nello spirito il dubbio sulla sua divina assistenza. Di fatto nella omiletica e nella spiritualità cristiana il miracolo è stato spesso interpretato come “segno” della presenza di Gesù e garanzia della fiducia in lui da parte dei cristiani e della Chiesa.
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 2 dicembre 1987]
Nella liturgia di oggi si narra l’episodio della tempesta sedata da Gesù (Mc 4,35-41). La barca su cui i discepoli attraversano il lago è assalita dal vento e dalle onde ed essi temono di affondare. Gesù è con loro sulla barca, eppure se ne sta a poppa sul cuscino e dorme. I discepoli, pieni di paura, gli urlano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38).
E tante volte anche noi, assaliti dalle prove della vita, abbiamo gridato al Signore: “Perché resti in silenzio e non fai nulla per me?”. Soprattutto quando ci sembra di affondare, perché l’amore o il progetto nel quale avevamo riposto grandi speranze svanisce; o quando siamo in balìa delle onde insistenti dell’ansia; oppure quando ci sentiamo sommersi dai problemi o persi in mezzo al mare della vita, senza rotta e senza porto. O ancora, nei momenti in cui viene meno la forza di andare avanti, perché manca il lavoro oppure una diagnosi inaspettata ci fa temere per la salute nostra o di una persona cara. Sono tanti i momenti nei quali ci sentiamo in una tempesta, ci sentiamo quasi finiti.
In queste situazioni e in tante altre, anche noi ci sentiamo soffocare dalla paura e, come i discepoli, rischiamo di perdere di vista la cosa più importante. Sulla barca, infatti, anche se dorme, Gesù c’è, e condivide con i suoi tutto quello che sta succedendo. Il suo sonno, se da una parte ci stupisce, dall’altra ci mette alla prova. Il Signore è lì, presente; infatti, attende – per così dire – che siamo noi a coinvolgerlo, a invocarlo, a metterlo al centro di quello che viviamo. Il suo sonno provoca noi a svegliarci. Perché, per essere discepoli di Gesù, non basta credere che Dio c’è, che esiste, ma bisogna mettersi in gioco con Lui, bisogna anche alzare la voce con Lui. Sentite questo: bisogna gridare a Lui. La preghiera, tante volte, è un grido: “Signore, salvami!”. Stavo vedendo, nel programma “A sua immagine”, oggi, Giorno del Rifugiato, tanti che vengono in barconi e nel momento di annegare gridano: “Salvaci!”. Anche nella nostra vita succede lo stesso: “Signore, salvaci!”, e la preghiera diventa un grido.
Oggi possiamo chiederci: quali sono i venti che si abbattono sulla mia vita, quali sono le onde che ostacolano la mia navigazione e mettono in pericolo la mia vita spirituale, la mia vita di famiglia, la mia vita psichica pure? Diciamo tutto questo a Gesù, raccontiamogli tutto. Egli lo desidera, vuole che ci aggrappiamo a Lui per trovare riparo contro le onde anomale della vita. Il Vangelo racconta che i discepoli si avvicinano a Gesù, lo svegliano e gli parlano (cfr v. 38). Ecco l’inizio della nostra fede: riconoscere che da soli non siamo in grado di stare a galla, che abbiamo bisogno di Gesù come i marinai delle stelle per trovare la rotta. La fede comincia dal credere che non bastiamo a noi stessi, dal sentirci bisognosi di Dio. Quando vinciamo la tentazione di rinchiuderci in noi stessi, quando superiamo la falsa religiosità che non vuole scomodare Dio, quando gridiamo a Lui, Egli può operare in noi meraviglie. È la forza mite e straordinaria della preghiera, che opera miracoli.
Gesù, pregato dai discepoli, calma il vento e le onde. E pone loro una domanda, una domanda che riguarda anche noi: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40). I discepoli si erano fatti catturare dalla paura, perché erano rimasti a fissare le onde più che a guardare a Gesù. E la paura ci porta a guardare le difficoltà, i problemi brutti e non a guardare il Signore, che tante volte dorme. Anche per noi è così: quante volte restiamo a fissare i problemi anziché andare dal Signore e gettare in Lui i nostri affanni! Quante volte lasciamo il Signore in un angolo, in fondo alla barca della vita, per svegliarlo solo nel momento del bisogno! Chiediamo oggi la grazia di una fede che non si stanca di cercare il Signore, di bussare alla porta del suo Cuore. La Vergine Maria, che nella sua vita non ha mai smesso di confidare in Dio, ridesti in noi il bisogno vitale di affidarci a Lui ogni giorno.
[Papa Francesco, Angelus 20 giugno 2021]
Piena dedizione, ma per una traversata tutta nostra
(Mt 8,18-22)
Continuando a venerare sicurezze, punti di riferimento e abitudini non si fa altro che gestire un mondo di morti (v.22).
Chi accoglie Cristo si apre a una Novità - splendida ma rischiosa - che non sa.
Il credente deve mettere in conto che siamo tutti chiamati a fare traversate faticose verso altre sponde (v.18), rispetto alle solite.
Per superare quest’insicurezza e il naturale timore, non basta l’entusiasmo iniziale.
In vista dei momenti duri dell’evangelizzazione, è bene che il figlio di Dio comprenda le sue forze o inclinazioni - e se esse sono in grado di condurlo fino al punto di trasgredire legami irrinunciabili (v.21).
Non per sforzo e “resilienza”. In tal guisa non dilapidiamo attenzioni ed energie per sorreggere cose che non hanno futuro (v.22).
Fin dai primi tempi il Risorto non veniva identificato come un semplice modello di privazioni e umiliazioni, da “imitare”.
Il Signore era un Motivo non esteriore e un Motore (tutto intimo) di vita nuova. Questo il punto.
Nelle religioni si insegna una sola “materia”: la vicenda e lo stile del Fondatore, che ti fa apprendere splendide “nozioni” e gesta eroiche.
Nella spiritualità del Passaggio in Cristo verso altri lidi [v.18] si può solo essere in sinergia con la Sorgente che zampilla dentro.
La crescita sarà fedele al proprio Seme. La fioritura si commisurerà sulle proprie Radici e il fluire della Linfa, non sulla sporgenza delle foglie.
Nell’avventura di Fede il nostro Nucleo ci genera e ci porta per introdurre nel rapporto con noi stessi, con gli altri e le cose, nel modo più diverso.
L’amore è spontaneo e rischioso; non ha mai il contorno dei meccanismi standard.
Nella sequela del Signore c’è sobrietà, eppure mancano schemi prestabiliti. Come nell’Amicizia: anch’essa è “malsicura”, ma vi è una Fonte.
È l’inedito personale che nelle fatiche continua a trasmettere Gioia creativa - e ci fa scendere in campo, per rimanere qualitativi e profondi.
La mancanza di binari imposti insegna la Strada della spontaneità che apre brecce sbalorditive.
La natura stessa recupera gli opposti e i lati in penombra, o malfermi, considerati superflui.
Qui si attinge alla genuinità della nostra essenza particolare, in modo incontaminato da tabù cerebrali o di costume.
Scoprendola più sfaccettata di quanto pensavamo.
Allontanandosi da giudizi ovvi (e dall’andare d’accordo coi manierismi attorno) veniamo introdotti sulla Via libera dell’indipendenza e ricchezza vocazionale.
Sotto l’azione dello Spirito, sarà proprio nel pericolo reale che ciascuno accederà finalmente alla ‘dimensione mistica della Sequela’.
E se continuassimo a provare la vertigine delle continue traversate - di un compito troppo grande, per un «io» così inferiore, incapace di performance costante, riconosciuta?
Ma proprio qui, senza impalcature, incontrando personalmente il Signore, abbiamo già percepito e sentito con tutto il nostro essere il suo sottile Appello:
«Non ti abbandono; tu non lasciare te stesso: Me in te».
[Lunedì 13.a sett. T.O. 30 giugno 2025]
Piena dedizione, ma per una traversata tutta nostra
(Mt 8,18-22)
Gesù vuole che lasciamo nuovo spazio alla sua Parola; che ascoltandolo, gli permettiamo di parlare. E attraverso le nostre scelte, che Egli ridiventi significativo.
La sua Parola è esigente, ma ci libera dalle zavorre, da cappe mentali che si solidificano nel tempo e nella testa. Il nostro vero sopruso.
La Sequela è semplice ma non facilona. Facile, in fondo; nella gratuità della sintonia profonda e immediata, senza filtri esterni.
Continuando a venerare sicurezze, punti di riferimento e abitudini non si fa altro che gestire un mondo di morti (v.22).
Chi accoglie Cristo si apre a una Novità - splendida ma rischiosa - che non sa.
Il credente deve mettere in conto che siamo tutti chiamati a fare traversate faticose verso altre sponde (v.18), rispetto alle solite.
Per superare quest’insicurezza e il naturale timore, non basta l’entusiasmo iniziale.
In vista dei momenti duri dell’evangelizzazione, è bene che il figlio di Dio comprenda le sue forze o inclinazioni - e se esse sono in grado di condurlo fino al punto di trasgredire legami irrinunciabili, interessi di famiglia, doveri “sacri” (v.21).
Ciò per consentire la nascita e fioritura di nuove modalità espressive e forme pastorali. Non per sforzo e “resilienza”.
È inutile continuare a spendere la vita a puntellare rami secchi, tenere in piedi idee sofisticate o tradizioni pur conclamate, dilapidando attenzioni ed energie per sorreggere cose che non hanno futuro (v.22).
Come fare per scovare energia in noi stessi quando ad es. veniamo ostacolati e disprezzati?
Fin dai primi tempi il Risorto non veniva identificato come un semplice modello di privazioni e umiliazioni, da “imitare”.
Il Signore era un Motivo non esteriore e un Motore (tutto intimo) di vita nuova. Questo il punto.
Nelle religioni si insegna una sola “materia”: la vicenda e lo stile del Fondatore, che ti fa apprendere splendide “nozioni” e gesta eroiche.
Nella spiritualità del Passaggio in Cristo verso altri lidi [v.18] si può solo essere in sinergia con la Sorgente che zampilla dentro.
La crescita sarà fedele al proprio Seme. La fioritura si commisurerà sulle proprie Radici e il fluire della Linfa, non sulla sporgenza delle foglie.
Nell’avventura di Fede il nostro Nucleo ci genera e ci porta per introdurre nel rapporto con noi stessi, con gli altri e le cose, nel modo più diverso.
L’amore è spontaneo e rischioso; non ha mai il contorno dei meccanismi standard.
Nella sequela del Signore c’è sobrietà, eppure mancano schemi prestabiliti. Come nell’Amicizia: anch’essa è “malsicura”, ma vi è una Fonte.
Così non si spreca la vita a imbalsamare chimere da camposanto, o inseguire idee altrui, fantasie disincarnate, (o violenze disumanizzanti) alla moda, che ci sgretolano dentro.
È l’inedito personale che nelle fatiche continua a trasmettere Gioia creativa - e ci fa scendere in campo, per rimanere qualitativi e profondi.
La mancanza di binari imposti - tipici delle religioni - insegna la Strada della spontaneità che apre brecce sbalorditive.
La natura stessa recupera gli opposti e i lati in penombra, o malfermi, considerati superflui.
Qui si attinge alla genuinità della nostra essenza particolare, in modo trasparente e incontaminato da tabù cerebrali o di costume.
Scoprendola più sfaccettata di quanto pensavamo.
Allontanandosi da giudizi ovvi (e dall’andare d’accordo coi manierismi attorno) veniamo introdotti sulla Via libera dell’indipendenza e ricchezza vocazionale.
Sotto l’azione dello Spirito, sarà proprio nel pericolo reale che ciascuno accederà finalmente alla dimensione mistica della Sequela.
Lo faremo con smalto e sino a edificare l’impensata completezza e Felicità per sé e per tutti.
A volte anche noi proseguiamo a chiederci se quella Via che stiamo percorrendo sia effettivamente “la” nostra.
E forse continuiamo a provare la vertigine o lo spavento delle continue traversate - di un compito troppo grande, per un «io» così inferiore, incapace di performance costante, riconosciuta.
Ma proprio qui, senza impalcature, incontrando personalmente il Signore, abbiamo percepito e sentito con tutto il nostro essere il suo sottile Appello:
«Non ti abbandono; tu non lasciare te stesso: Me in te».
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa ti ha spinto a deciderti per la traversata? Come hai lasciato tutto o le opinioni?
Dove condividi la durezza e la gioia dell’apostolato intenso e personale (es. nel chiostro) o della nuova evangelizzazione (es. fra i baraccati)?
Ti prodighi per l’educazione dei giovani con formazione variegata, e l’azione di dialogo e ascolto dei lontani?
Come approcci le fatiche e zone d’ombra che non t’aspetti? Torni alla tana e al nido rassicuranti?
Le letture bibliche della santa Messa […] mi danno l’opportunità di riprendere il tema della chiamata di Cristo e delle sue esigenze, tema sul quale mi sono soffermato anche una settimana fa, in occasione delle Ordinazioni dei nuovi presbiteri della Diocesi di Roma. In effetti, chi ha la fortuna di conoscere un giovane o una ragazza che lascia la famiglia di origine, gli studi o il lavoro per consacrarsi a Dio, sa bene di che cosa si tratta, perché ha davanti un esempio vivente di risposta radicale alla vocazione divina. E’ questa una delle esperienze più belle che si fanno nella Chiesa: vedere, toccare con mano l’azione del Signore nella vita delle persone; sperimentare che Dio non è un’entità astratta, ma una Realtà così grande e forte da riempire in modo sovrabbondante il cuore dell’uomo, una Persona vivente e vicina, che ci ama e chiede di essere amata.
L’evangelista Luca ci presenta Gesù che, mentre cammina per la strada, diretto a Gerusalemme, incontra alcuni uomini, probabilmente giovani, i quali promettono di seguirlo dovunque vada. Con costoro Egli si mostra molto esigente, avvertendoli che “il Figlio dell’uomo – cioè Lui, il Messia – non ha dove posare il capo”, vale a dire non ha una propria dimora stabile, e che chi sceglie di lavorare con Lui nel campo di Dio non può più tirarsi indietro (cfr Lc 9,57-58.61-62). Ad un altro invece Cristo stesso dice: “Seguimi”, chiedendogli un taglio netto dei legami familiari (cfr Lc 9,59-60). Queste esigenze possono apparire troppo dure, ma in realtà esprimono la novità e la priorità assoluta del Regno di Dio che si fa presente nella Persona stessa di Gesù Cristo. In ultima analisi, si tratta di quella radicalità che è dovuta all’Amore di Dio, al quale Gesù stesso per primo obbedisce. Chi rinuncia a tutto, persino a se stesso, per seguire Gesù, entra in una nuova dimensione della libertà, che san Paolo definisce “camminare secondo lo Spirito” (cfr Gal 5,16). “Cristo ci ha liberati per la libertà!” – scrive l’Apostolo – e spiega che questa nuova forma di libertà acquistataci da Cristo consiste nell’essere “a servizio gli uni degli altri” (Gal 5,1.13). Libertà e amore coincidono! Al contrario, obbedire al proprio egoismo conduce a rivalità e conflitti.
Cari amici, volge ormai al termine il mese di giugno, caratterizzato dalla devozione al Sacro Cuore di Cristo. Proprio nella festa del Sacro Cuore abbiamo rinnovato con i sacerdoti del mondo intero il nostro impegno di santificazione. Oggi vorrei invitare tutti a contemplare il mistero del Cuore divino-umano del Signore Gesù, per attingere alla fonte stessa dell’Amore di Dio. Chi fissa lo sguardo su quel Cuore trafitto e sempre aperto per amore nostro, sente la verità di questa invocazione: “Sei tu, Signore, l’unico mio bene” (Salmo resp.), ed è pronto a lasciare tutto per seguire il Signore. O Maria, che hai corrisposto senza riserve alla divina chiamata, prega per noi!
[Papa Benedetto, Angelus 27 giugno 2010]
Are we not perhaps all afraid in some way? If we let Christ enter fully into our lives, if we open ourselves totally to him, are we not afraid that He might take something away from us? Are we not perhaps afraid to give up something significant, something unique, something that makes life so beautiful? Do we not then risk ending up diminished and deprived of our freedom? (Pope Benedict)
Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui – paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci poi nell’angustia e privati della libertà? (Papa Benedetto)
For Christians, volunteer work is not merely an expression of good will. It is based on a personal experience of Christ (Pope Benedict)
Per i cristiani, il volontariato non è soltanto espressione di buona volontà. È basato sull’esperienza personale di Cristo (Papa Benedetto)
"May the peace of your kingdom come to us", Dante exclaimed in his paraphrase of the Our Father (Purgatorio, XI, 7). A petition which turns our gaze to Christ's return and nourishes the desire for the final coming of God's kingdom. This desire however does not distract the Church from her mission in this world, but commits her to it more strongly [John Paul II]
‘Vegna vêr noi la pace del tuo regno’, esclama Dante nella sua parafrasi del Padre Nostro (Purgatorio XI,7). Un’invocazione che orienta lo sguardo al ritorno di Cristo e alimenta il desiderio della venuta finale del Regno di Dio. Questo desiderio però non distoglie la Chiesa dalla sua missione in questo mondo, anzi la impegna maggiormente [Giovanni Paolo II]
Let our prayer spread out and continue in the churches, communities, families, the hearts of the faithful, as though in an invisible monastery from which an unbroken invocation rises to the Lord (John Paul II)
La nostra preghiera si diffonda e continui nelle chiese, nelle comunità, nelle famiglie, nei cuori credenti, come in un monastero invisibile, da cui salga al Signore una invocazione perenne (Giovanni Paolo II)
"The girl is not dead, but asleep". These words, deeply revealing, lead me to think of the mysterious presence of the Lord of life in a world that seems to succumb to the destructive impulse of hatred, violence and injustice; but no. This world, which is yours, is not dead, but sleeps (Pope John Paul II)
“La bambina non è morta, ma dorme”. Queste parole, profondamente rivelatrici, mi inducono a pensare alla misteriosa presenza del Signore della vita in un mondo che sembra soccombere all’impulso distruttore dell’odio, della violenza e dell’ingiustizia; ma no. Questo mondo, che è vostro, non è morto, ma dorme (Papa Giovanni Paolo II)
"Refined as it is", Tertullian writes, "your cruelty serves no purpose. On the contrary, for our community, it is an invitation. We multiply every time one of us is mowed down. The blood of Christians is effective seed" (semen est sanguis christianorum!, Apologeticus, 50: 13) [Pope Benedict]
«Per quanto raffinata – scrive Tertulliano –, a nulla serve la vostra crudeltà: anzi, per la nostra comunità, essa è un invito. A ogni vostro colpo di falce diveniamo più numerosi: il sangue dei cristiani è una semina efficace! (semen est sanguis christianorum!)» (Apologetico 50,13) [Papa Benedetto]
don Giuseppe Nespeca
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