Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Nel Vangelo della Liturgia odierna, Gesù continua a predicare alla gente che ha visto il prodigio della moltiplicazione dei pani. E invita quelle persone a fare un salto di qualità: dopo aver rievocato la manna, con cui Dio aveva sfamato i padri nel lungo cammino attraverso il deserto, ora applica il simbolo del pane a sé stesso. Dice chiaramente: «Io sono il pane della vita» (Gv 6,48).
Che cosa significa pane della vita? Per vivere c’è bisogno di pane. Chi ha fame non chiede cibi raffinati e costosi, chiede pane. Chi è senza lavoro non chiede stipendi enormi, ma il “pane” di un impiego. Gesù si rivela come il pane, cioè l’essenziale, il necessario per la vita di ogni giorno, senza di Lui la cosa non funziona. Non un pane tra tanti altri, ma il pane della vita. In altre parole, noi, senza di Lui, più che vivere, vivacchiamo: perché solo Lui ci nutre l’anima, solo Lui ci perdona da quel male che da soli non riusciamo a superare, solo Lui ci fa sentire amati anche se tutti ci deludono, solo Lui ci dà la forza di amare, solo Lui ci dà la forza di perdonare nelle difficoltà, solo Lui dà al cuore quella pace di cui va in cerca, solo Lui dà la vita per sempre quando la vita quaggiù finisce. E’ il pane essenziale della vita.
“Io sono il pane della vita”, dice. Restiamo su questa bella immagine di Gesù. Avrebbe potuto fare un ragionamento, una dimostrazione, ma – lo sappiamo – Gesù parla in parabole, e in questa espressione: “Io sono il pane della vita”, riassume veramente tutto il suo essere e tutta la sua missione. Lo si vedrà pienamente alla fine, nell’Ultima Cena. Gesù sa che il Padre gli chiede non solo di dare da mangiare alla gente, ma di dare sé stesso, di spezzare sé stesso, la propria vita, la propria carne, il proprio cuore perché noi possiamo avere la vita. Queste parole del Signore risvegliano in noi lo stupore per il dono dell’Eucaristia. Nessuno in questo mondo, per quanto ami un’altra persona, può farsi cibo per lei. Dio lo ha fatto, e lo fa, per noi. Rinnoviamo questo stupore. Facciamolo adorando il Pane di vita, perché l’adorazione riempie la vita di stupore.
Nel Vangelo, però, anziché stupirsi, la gente si scandalizza, si strappa le vesti. Pensano: “Questo Gesù noi lo conosciamo, conosciamo la sua famiglia, come può dire: Sono il pane disceso dal cielo?” (cfr vv. 41-42). Anche noi forse ci scandalizziamo: ci farebbe più comodo un Dio che sta in Cielo senza immischiarsi nella nostra vita, mentre noi possiamo gestire le faccende di quaggiù. Invece Dio si è fatto uomo per entrare nella concretezza del mondo, per entrare nella nostra concretezza, Dio si è fatto uomo per me, per te, per tutti noi, per entrare nella nostra vita. E tutto della nostra vita gli interessa. Gli possiamo raccontare gli affetti, il lavoro, la giornata, i dolori, le angosce, tante cose. Gli possiamo dire tutto perché Gesù desidera questa intimità con noi. Che cosa non desidera? Essere relegato a contorno – Lui che è il pane –, essere trascurato e messo da parte, o chiamato in causa solo quando ne abbiamo bisogno.
Io sono il pane della vita. Almeno una volta al giorno ci troviamo a prendere cibo insieme; magari la sera, in famiglia, dopo una giornata di lavoro o di studio. Sarebbe bello, prima di spezzare il pane, invitare Gesù, pane di vita, chiedergli con semplicità di benedire quello che abbiamo fatto e quello che non siamo riusciti a fare. Invitiamolo a casa, preghiamo in stile “domestico”. Gesù sarà a mensa con noi e saremo sfamati da un amore più grande.
La Vergine Maria, nella quale il Verbo si è fatto carne, ci aiuti a crescere giorno dopo giorno nell’amicizia di Gesù, pane di vita.
[Papa Francesco, Angelus 8 agosto 2021]
Pane della Vita. Mistica della Visione e Fede
(Gv 6,35-40)
A fine primo secolo le chiese sentono il rischio del crollo. Lo sguardo ottuso dintorno alle prime fraternità sigillava già il Mistero.
Ma contrariamente al Primo Testamento (Es 33,22-23) per Fede ora si ‘vede’ Dio ‘e’ si vive, senza più paura (Es 3,6).
Chi «vede» il Figlio «ha» la stessa Vita dell’Eterno (v.40).
La Visione di Fede, la Visione del Figlio, la Visione dell’esito glorioso di colui che è stato rigettato dalle autorità religiose e considerato maledetto da Dio, fa divenire Uno con Lui.
È Risurrezione attuale, pur nell’esperienza rapida e greve dell’esistenza dispersiva.
L’Immagine considerata impossibile e che non si poteva reggere, cede il passo a un processo d’interpretazione, azione, riassetto, che attira futuro.
Cede il passo alla completezza del mondo umanizzante e diverso di Dio.
Lo spostamento di sguardo rompe la trama delle apparenze, delle convinzioni banali, ereditate o à la page.
Insomma: ‘coglierlo’ diventa motore di salvezza, fondamento che supera il pre-umano.
Percepirlo si fa Incontro; nella dimensione propria e perenne. Principio di eternità beata.
Secondo i credenti in Gesù la Sorgente della vita piena e indistruttibile [«Vita dell’Eterno»: v.40 testo greco] non è il pane materiale.
Già su questa terra l’Alimento totalizzante non sta in alcuna certezza banale.
Bisogna piuttosto «Vedere il Figlio» (v.40): cogliere nel Maestro una vicenda che non finisce nel fallimento.
Nonostante il rifiuto dei capi, l’esito della sua-nostra storia è la Gloria indistruttibile.
E «Credere in Lui» (v.40) non dipende dall’estrazione culturale o dalla posizione sociale concorde, ma da una elaborazione irripetibile.
‘Vedere’ e avere Fede è affidarsi alla luminosa [sembra assurda] Visione che si comunica nelle fibre più intime e fin dalla prima ‘Nascita’. Certi della piena sintonia e realizzazione in quella Figura sovreminente.
Si tratta di una Fede-Visione che legge il senso e abilita a un’appropriazione diretta: sorvola gli ostacoli insormontabili.
Una Fede-Gesto che zampilla, una Fede-Azione che diviene fermento di dilatazione, perché ha già suscitato acume, attenzione globale, intimo consenso.
Non aderiamo per entusiasmo o iniziative [la “Chiesa degli eventi”].
La vita dell’Eterno in noi inizia nell’occhio dell’anima; eco del Sogno primordiale.
Essa s’introduce nel cogliere la traiettoria del Padre. Egli vuole per i suoi minimi una pienezza d’impronta e carattere, senza conformismi.
Solo grazie al Dono nel quale ci riconosciamo fin dalle nostre radici e in essenza, intuiamo consonanze liete che identificano desideri, parole, azioni e tipo di cammino del Risorto stesso, che pulsa in noi.
La Persona del Cristo è l’unico Cibo senza omologazione.
Sostentati dal Pane-Persona possiamo evitare sia la ricerca di finte sicurezze che la smania di appoggi, preferendo il Pane Spezzato.
L’alimento della terra conserva la vita fisica, ma non può far rivivere attraverso Genesi personali uniche, né aprirci una strada valicando la morte.
Ciò conferisce valore ad ogni momento.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa significa per te ‘vedere’ il Figlio e ‘credere’ in Lui?
[Mercoledì 3.a sett. di Pasqua, 7 maggio 2025]
Ciò che conferisce valore ad ogni momento
(Gv 6,35-40)
Le parole di Gesù sottendono la netta dissimilitudine fra alimento ordinario e Pane che non perisce.
La distinzione è tratta da Dt 8,3 - in riferimento alla Manna-Parola del Signore (cibo sapienziale che libera e trasmette vita).
Sap 16,20-21.26 riconosce la manna del deserto essere cibo preparato da angeli, ma ciò che tiene davvero in vita è la Parola.
Quei frutti celesti, pur deliziosi e in grado di soddisfare ogni gusto, non saziano - non nutrono completamente.
Nel linguaggio simbolico usato da Cristo entrano anche paradigmi culturali che identificavano la manna con la sapienza.
Egli si autorivela così nel discorso sul Pane della Vita.
Venire al Signore non è alla nostra portata. Compiere le opere di legge, forse sì - con sforzo - ma compiere l’Opera di Dio non è innaturale.
Non dipende da un pensiero, da una scelta o da una pratica disciplinare.
Insomma, il Soggetto del cammino nello Spirito è Dio stesso, che opera in noi.
L’azione umana è in ogni frangente una risposta al suo autosvelamento e al suo stesso agire [cosmico e nell’anima di ciascuno; convergente o non].
La Venuta dall’alto è critica: suscita la relazione di Fede. Relazione personale, la quale non è semplice assenso e adempimento, bensì lettura e visione.
Azione in avanti e scoperta di risuscitazione - in particolare, dei lati in penombra che diventano risorse.
Così la Fede-amore dilata la vita, perché ha il suo input dalla generosità divina, dalla Grazia.
Essa diventa in tal guisa decisione, occupazione, responsabilità; dovere ineludibile e dirimente - malgrado ciò, personale.
Cristo è un Cibo che dev’essere mangiato, sminuzzato, per mezzo della Fede.
L’evocazione si fa eucaristica, realizzazione della «Vita dell’Eterno» (v.40 testo greco) anche difforme da maniere ricercate; qui e ora.
Morendo, senza ritardo alcuno Gesù consegna lo Spirito (Gv 19,30) che repentinamente suscita l’esperienza sacramentale (Gv 19,34).
La Vita dell’Eterno non è una pia speranza nell’aldilà: il termine designa la stessa vita intima di Dio, la quale si dispiega e irrompe nella storia [talora senza troppi complimenti] in modo poliedrico.
Energia, Alimento, Lucidità nuova: raggiunge donne e uomini che vedono e credono nel Figlio.
Si tratta di una Fede-Visione che legge il senso, e abilita a un’appropriazione diretta: sorvola gli ostacoli insormontabili.
Una Fede-Gesto che zampilla; una Fede-Azione che diviene fermento di dilatazione, perché ha già suscitato acume, attenzione globale, e intimo consenso.
Essa acutizza ed espande le risorse trasformative delle anime e degli stessi accadimenti.
Dona in prima persona abilità generanti complessive - esteriori e interiori, indistruttibili; che non perdono nulla [non più votate alla morte: v.39].
Lo sguardo ottuso dintorno alle prime fraternità sigillava già il Mistero.
Ma contrariamente al Primo Testamento (Es 33,22-23), per Fede ora si vede Dio e si vive, senza più paura (Es 3,6).
Chi «vede» il Figlio «ha» la stessa Vita dell’Eterno (v.40).
La Visione di Fede, la Visione del Figlio, la Visione dell’esito glorioso di colui che è stato rigettato dalle autorità religiose e considerato maledetto da Dio, fa divenire Uno con Lui.
È Risurrezione attuale, pur nell’esperienza rapida e greve dell’esistenza dispersiva.
L’Immagine considerata impossibile e che non si poteva reggere, cede il passo a un processo d’interpretazione, azione, riassetto, che attira futuro.
Cede il passo alla completezza del mondo umanizzante e diverso di Dio.
Lo spostamento di sguardo rompe la trama delle apparenze, delle convinzioni banali, ereditate o à la page.
Insomma: coglierlo diventa motore di salvezza, fondamento che supera il pre-umano.
Percepirlo si fa Incontro; nella dimensione propria e perenne. Principio di eternità beata.
A fine primo secolo le chiese sentono il rischio del crollo.
La progressiva divaricazione dalla religione pagana in genere e la devozione giudaizzante in particolare, comportava un ampio dibattito con risvolti di costume e interni, persino liturgici.
La battaglia con il purismo farisaico scatenava polemiche di ogni tipo, anche circa la segregazione o meno degli stranieri.
Sorgevano difformità di vedute addirittura sul canone stesso delle Scritture (per i cristiani, già da tempo in greco ellenistico).
Secondo i credenti in Gesù la Sorgente della vita piena e indistruttibile [«Vita dell’Eterno»: v.40 testo greco] non è il pane materiale.
Già su questa terra l’Alimento totalizzante non sta in alcuna certezza banale.
Bisogna piuttosto «Vedere il Figlio» (v.40).
Significa cogliere nel Maestro una vicenda che non finisce nel fallimento, perché nonostante il rifiuto dei capi, l’esito della sua-nostra storia è la condizione divina. Gloria indistruttibile.
E «Credere in Lui» (v.40) non dipende dall’estrazione culturale o dalla posizione sociale concorde, ma da un’elaborazione irripetibile.
Vedere e avere Fede è affidarsi alla luminosa [sembra assurda] Visione che si comunica nelle fibre più intime e fin dalla prima ‘Nascita’. Certi della piena sintonia e realizzazione in quella Figura sovreminente.
Non aderiamo per entusiasmo o iniziative [la “Chiesa degli eventi”, come dice Papa Francesco].
La vita dell’Eterno in noi inizia nell’occhio dell’anima; eco del Sogno primordiale.
Essa s’introduce nel cogliere la traiettoria del Padre. Egli vuole per i suoi minimi una pienezza d’impronta e carattere, senza conformismi.
Solo grazie al Dono nel quale ci riconosciamo fin dalle nostre radici e in essenza, intuiamo consonanze liete che identificano desideri, parole, azioni e tipo di cammino del Risorto stesso, che pulsa in noi.
La Persona del Cristo è l’unico Cibo senza omologazione.
Sostentati dal Pane-Persona possiamo evitare sia la ricerca di finte sicurezze che la smania di appoggi. Ad es. conoscenze, finanziatori, istituzioni ragguardevoli che garantiscano privilegi; così via.
Preferendo il Pane Spezzato.
L’alimento della terra conserva la vita fisica, ma non può far rivivere attraverso Genesi personali uniche, né aprirci una strada valicando la morte.
Ciò conferisce valore ad ogni momento.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa significa per te vedere il Figlio e credere in Lui?
Non proiettare su Dio l’immagine del rapporto servi-padrone
La moltiplicazione dei pani e dei pesci è segno del grande dono che il Padre ha fatto all’umanità e che è Gesù stesso!
Egli, vero «pane della vita» (v. 35), vuole saziare non soltanto i corpi ma anche le anime, dando il cibo spirituale che può soddisfare la fame profonda. Per questo invita la folla a procurarsi non il cibo che non dura, ma quello che rimane per la vita eterna (cfr v. 27). Si tratta di un cibo che Gesù ci dona ogni giorno: la sua Parola, il suo Corpo, il suo Sangue. La folla ascolta l’invito del Signore, ma non ne comprende il senso – come capita tante volte anche a noi – e gli chiede: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» (v. 28). Gli ascoltatori di Gesù pensano che Egli chieda loro l’osservanza dei precetti per ottenere altri miracoli come quello della moltiplicazione dei pani. E’ una tentazione comune, questa, di ridurre la religione solo alla pratica delle leggi, proiettando sul nostro rapporto con Dio l’immagine del rapporto tra i servi e il loro padrone: i servi devono eseguire i compiti che il padrone ha assegnato, per avere la sua benevolenza. Questo lo sappiamo tutti. Perciò la folla vuole sapere da Gesù quali azioni deve fare per accontentare Dio. Ma Gesù dà una risposta inattesa: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (v. 29). Queste parole sono rivolte, oggi, anche a noi: l’opera di Dio non consiste tanto nel “fare” delle cose, ma nel “credere” in Colui che Egli ha mandato. Ciò significa che la fede in Gesù ci permette di compiere le opere di Dio. Se ci lasceremo coinvolgere in questo rapporto d’amore e di fiducia con Gesù, saremo capaci di compiere opere buone che profumano di Vangelo, per il bene e le necessità dei fratelli.
Il Signore ci invita a non dimenticare che, se è necessario preoccuparci per il pane, ancora più importante è coltivare il rapporto con Lui, rafforzare la nostra fede in Lui che è il «pane della vita», venuto per saziare la nostra fame di verità, la nostra fame di giustizia, la nostra fame di amore.
(Papa Francesco, Angelus 5 agosto 2018)
Il Vangelo che è stato proclamato in questa celebrazione ci aiuta a vivere più intensamente il triste momento del distacco dalla vita terrena del nostro compianto Fratello. Il dolore per la perdita della sua persona viene mitigato dalla speranza nella risurrezione, fondata sulla parola stessa di Gesù: "Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6, 40). Dinanzi al mistero della morte, per l'uomo che non ha fede tutto sembrerebbe andare irrimediabilmente perduto. È la parola di Cristo, allora, a rischiarare il cammino della vita e a conferire valore ad ogni suo momento. Gesù Cristo è il Signore della vita, ed è venuto per risuscitare nell'ultimo giorno tutto quello che il Padre gli ha affidato (cfr. Gv 6, 39). Questo è anche il messaggio che Pietro annuncia con grande forza nel giorno di Pentecoste (cfr. At 2, 14.22b-28). Egli mostra che Gesù non poteva essere trattenuto dalla morte. Dio lo ha sciolto dalle sue angosce, perché non era possibile che essa lo tenesse in suo potere. Sulla croce Cristo ha riportato la vittoria, che si doveva manifestare con un superamento della morte, cioè con la sua risurrezione.
[Papa Benedetto, omelia esequie card. Poggi 7 maggio 2010]
Gesù lega la fede nella risurrezione alla sua stessa Persona: "Io sono la Risurrezione e la Vita" (Gv 11,25). In Lui, infatti, grazie al mistero della sua morte e risurrezione, si adempie la divina promessa del dono della "vita eterna", che implica una piena vittoria sulla morte: "Viene l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce [del Figlio] e ne usciranno: quanti fecero il bene, per una risurrezione di vita..." (Gv 5,28-29). "Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6,40).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 28 ottobre 1998]
Egli esorta: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna che il Figlio dell’uomo vi darà (v. 27). Cioè cercate la salvezza, l’incontro con Dio.
E con queste parole, ci vuol far capire che, oltre alla fame fisica l’uomo porta in sé un’altra fame – tutti noi abbiamo questa fame – una fame più importante, che non può essere saziata con un cibo ordinario. Si tratta di fame di vita, di fame di eternità che Lui solo può appagare, in quanto è «il pane della vita» (v. 35). Gesù non elimina la preoccupazione e la ricerca del cibo quotidiano, no, non elimina la preoccupazione di tutto ciò che può rendere la vita più progredita. Ma Gesù ci ricorda che il vero significato del nostro esistere terreno sta alla fine, nell’eternità, sta nell’incontro con Lui, che è dono e donatore, e ci ricorda anche che la storia umana con le sue sofferenze e le sue gioie deve essere vista in un orizzonte di eternità, cioè in quell’orizzonte dell’incontro definitivo con Lui. E questo incontro illumina tutti i giorni della nostra vita. Se noi pensiamo a questo incontro, a questo grande dono, i piccoli doni della vita, anche le sofferenze, le preoccupazioni saranno illuminate dalla speranza di questo incontro. «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (v. 35). E questo è il riferimento all’Eucaristia, il dono più grande che sazia l’anima e il corpo. Incontrare e accogliere in noi Gesù, “pane di vita”, dà significato e speranza al cammino spesso tortuoso della vita. Ma questo “pane di vita” ci è dato con un compito, cioè perché possiamo a nostra volta saziare la fame spirituale e materiale dei fratelli, annunciando il Vangelo ovunque. Con la testimonianza del nostro atteggiamento fraterno e solidale verso il prossimo, rendiamo presente Cristo e il suo amore in mezzo agli uomini.
La Vergine Santa ci sostenga nella ricerca e nella sequela del suo Figlio Gesù, il pane vero, il pane vivo che non si corrompe e dura per la vita eterna.
[Papa Francesco, Angelus 2 agosto 2015]
(Gv 6,30-35)
Ciò cui allude il termine «Pane» usato da Gesù in questa pericope deriva dal termine ebraico «Lechem», la cui radice [consonanti «l-h-m»] evoca il suo «essere macinato» e «vagliato» nella Passione d’amore; quindi riguarda in filigrana il dono completo sulla Croce.
Secondo una credenza giudaica, l’avvento del Messia sarebbe stato accompagnato da una pioggia di Manna dal cielo - detta Manna del secondo Redentore - per soddisfare gli appetiti materiali.
Pane che non dura.
Vi erano anche speculazioni rabbiniche le quali riflettevano altre pretese, non di necessità fisica; e narravano del «pane» disceso dall’alto in figura sapienziale (Dt 8,3: «l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore»; cf. Sap 16,26).
Per soddisfare le esigenze esistenziali e i grandi accorati interrogativi di senso, Gesù si rivela e presenta come Pane della Vita indistruttibile.
Ci sono domande cui non riusciamo a dare risposta: per quale motivo il dolore e le umiliazioni, perché ci sono persone fortunate e altre che senza colpa vivono infelici; per quale grande compito siamo nati e perché malgrado gli agi non ci sentiamo ancora compiuti.
La nostra esperienza è come avvolta nella confusione dei quesiti di fondo... e spesso manca perfino l’occhio e il calore di un Testimone.
Cerchiamo allora una Persona che traduca tutto in Relazione, e desideriamo ardentemente il suo Alimento sapienziale - un fondamento, il tepore umanizzante, e una sintesi di ogni verità, di tutta la storia.
Solo Gesù e la sua vicenda donano significato ai molti accadimenti; anche a limiti, ferite, confini, precarietà.
Egli è Sogno, Senso, Azione e Voce del Padre. Chiave, Centro e Destinazione di ciascuno e dell’umanità. Unico Cibo per la ‘fame’ e unica Fonte per la ‘sete’ della donna e dell’uomo sottoposti a prove e interrogativi.
Ai tempi di Gesù, per devozione diffusa Mosè continuava a essere il grande condottiero cui credere e aderire. Ma secondo il Signore quella dell’Esodo dei “padri” si configura come proposta che non ha futuro: non garantisce orientamento, sussistenza e vita gioiosa, solida e piena.
Essa non permane neppure come un ceppo dell’adesso. È solo un seme arcaico, un’escrescenza particolare disfatta in favore del mistico e rinnovato Frumento che fa procedere sulla Via autentica.
Il costume pio e inattuale - con tutte le sue fatiche - non aveva assicurato il grande cambiamento: l’accesso alla ‘terra della libertà’.
Il Dono dal Cielo preparava e disponeva un’altra Nascita, sconvolgente fin dalla radice il nutrimento leggero, tedioso e insipido; qualunque, per tutte le stagioni.
Nessuna ricetta rassicurante ci sovviene, perché la ‘seconda Genesi’ e crescita nello Spirito ha carattere, ma non accade una volta per tutte.
Anche le piaghe e gl’incerti della vita diventano una ‘chiamata’ a nutrirsi della Persona di Cristo. Ma reinterpretandolo con risposte nuove a domande nuove; per generarsi ancora e crescere in Lui e di Lui.
Così siamo negli episodi, eppure fuori del tempo; nell’Amore che nasce, ancora nuovo.
Possiamo provare il gusto di vivere, invece della condanna di sentirsi sempre insidiati.
Per questa unione sponsale e sempre inedita, la portata immensa della sua Persona sminuzzata, ruminata, fatta propria come si fa con un cibo, diventa Vita stessa dell’Eterno (v.33).
Unzione che non decade, che chiama insieme a Concelebrare.
[Martedì 3.a sett. di Pasqua, 6 maggio 2025]
(Gv 6,30-35)
Ciò cui allude il termine «Pane» usato da Gesù in questa pericope deriva dal termine ebraico «Lechem», la cui radice [consonanti «l-h-m»] evoca il suo «essere macinato» e «vagliato» nella Passione d’amore; quindi riguarda in filigrana il dono completo sulla Croce.
Secondo una credenza giudaica, l’avvento del Messia sarebbe stato accompagnato da una pioggia di Manna dal cielo - detta Manna del secondo Redentore - per soddisfare gli appetiti materiali.
Pane che non dura.
Vi erano anche speculazioni rabbiniche le quali riflettevano altre pretese, non di necessità fisica; e narravano del «pane» disceso dall’alto in figura sapienziale (Dt 8,3: «l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore»; cf. Sap 16,26).
Per soddisfare le esigenze esistenziali e i grandi accorati interrogativi di senso, Gesù si rivela e presenta come Pane della Vita indistruttibile.
Nelle speranze messianiche di età dell’oro e liberazione si annidavano le medesime aspettative che si celano nelle pieghe del nostro andare, anche più in là di quelle soddisfatte da Mosè.
Cerchiamo cibo eminente.
Ci sono infatti domande cui non riusciamo a dare risposta: per quale motivo il dolore e le umiliazioni, perché ci sono persone fortunate e altre che senza colpa vivono infelici; per quale grande compito siamo nati, e perché malgrado gli agi non ci sentiamo ancora compiuti.
La nostra esperienza è come avvolta nella confusione dei quesiti di fondo... e spesso manca perfino l’occhio e il calore di un Testimone.
Cerchiamo allora una Persona che traduca tutto in Relazione, e desideriamo ardentemente il suo Alimento sapienziale - un fondamento, il tepore umanizzante, e una sintesi di ogni verità e di tutta la storia.
Solo Gesù e la sua vicenda donano significato ai molti accadimenti; anche a limiti, ferite, confini, precarietà: Egli è Sogno, Senso, Azione e Voce del Padre. Chiave, Centro e Destinazione di ciascuno e dell’umanità.
Unico Nutrimento per la ‘fame’ e sola vera Fonte per la ‘sete’ della donna e dell’uomo sottoposti a prove e interrogativi.
Ai tempi di Gesù, per devozione diffusa Mosè continuava a essere il grande condottiero cui credere e aderire.
Ma secondo il Signore quella dell’Esodo dei “padri” si configura come proposta che non ha futuro: non garantisce orientamento, sussistenza e vita gioiosa, solida e piena.
Essa non permane neppure come un ceppo dell’adesso. È solo un seme arcaico, un’escrescenza particolare disfatta in favore del mistico e rinnovato Frumento che ci fa procedere sulla Via autentica.
Il grande condottiero antico si era fermato alla dimensione religiosa e alle sue requisitorie. Mancava il balzo della Fede accesa per la rivelazione del cuore del Padre, nell’insegnamento, nella vicenda, e nella Persona del Cristo.
Accettare Gesù come autentico motivo e motore, sostegno e alimento che davvero avrebbe tolto di mezzo la fame, è inseparabile dall’accoglienza della sua proposta:
«Vuoi unire la tua vita alla Mia?». Corpo Unico, fra noi e Lui - che brucia.
In tale approccio, neppure il cielo era stato in grado di saziare i dubbi - una fame paradossalmente crescente e un’arsura che obbligava a tornare ad attingere, invece di riuscire a dissetare il popolo.
L’approccio della semplice religiosità affliggeva la vita delle donne e degli uomini, in modo crescente.
Gente nervosa, scostante e insoddisfatta. Un Banchetto nuziale privo di festosità, a motivo d’una dottrina e disciplina fredde, distanti, impersonali, resistenti allo Spirito.
Il costume pio e inattuale, vetusto - con tutte le sue fatiche - non aveva assicurato e neppure oggi garantisce il grande cambiamento che ci sostiene nel cammino e sollecita senza posa, accendendo il cuore di Amicizia: l’accesso alla ‘terra della libertà’, quindi dell’amore.
Il Dono dal Cielo preparava e disponeva un’altra Nascita, sconvolgente fin dalla radice il rapporto religioso comune - nutrimento leggero, tedioso e insipido; qualunque, e che non si addensa mai: “buono” per tutte le stagioni.
Tutto ciò era affiancato a una prospettiva di Felicità rimandata all’aldilà, dopo la morte, e sulla base dei meriti esterni.
Un clima paludoso di energie compresse e stagnanti, che non facevano vibrare di gioia.
Con Gesù, il semplice credere diventa Fede - non più assenso e ripetizione avvilente, che ci scaglia e trascina oltre il nostro «centro» - bensì azione unica, inedita e creativa. Anzitutto di Dio stesso in noi; per una realizzazione completa: da figli.
Nessuna ricetta rassicurante sovviene, perché la “seconda” Genesi e crescita nello Spirito ha carattere, ma non accade una volta per tutte.
Unicamente in tal senso, l’espressione «Io Sono» (v.35) sottolinea l’esclusività del «discorso di rivelazione».
Cristo reinterpreta totalmente, e capovolge, l’idea di trascendenza della condizione divina nell’umano.
L’Altissimo viene accolto e assimilato in vista della germinazione e della somiglianza, non più dell’imitazione e dell’obbedienza esterne.
“Troppa” è solo la Sapienza della sua Rivelazione, che libera da dubbi perché li rende fecondi e propulsivi; affatto umilianti al pari dei vacillamenti antichi.
Anche le piaghe e gl’incerti della vita diventano una ‘chiamata’ a nutrirsi della Persona di Cristo. Ma reinterpretandolo con risposte nuove a domande nuove; per generarsi ancora e crescere in Lui e di Lui.
Coì siamo negli episodi, eppure fuori del tempo; nell’Amore che nasce, nuovo.
La nostra identità - meglio: ‘impronta’ - non è quella dei finti conoscitori [ciò che non estingue la sete dell’anima] bensì quella di essere amati.
In tal guisa non abbiamo più bisogno di tacitare tutte le esigenze normali.
Possiamo provare il gusto di vivere, invece della condanna di sentirsi sempre insidiati.
Per questa unione sponsale e sempre inedita, la portata immensa della sua Persona sminuzzata, ruminata e fatta propria come si fa con un cibo, diventa Vita stessa dell’Eterno (v.33).
Unzione che non decade, che chiama insieme a Concelebrare.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
La mia anima ha fame di pietosi uffici sul corpo o di rinascite, di senso, e d’un percorso di libertà?
12. Anche se finora abbiamo parlato prevalentemente dell'Antico Testamento, tuttavia l'intima compenetrazione dei due Testamenti come unica Scrittura della fede cristiana si è già resa visibile. La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti — un realismo inaudito. Già nell'Antico Testamento la novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell'agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la « pecorella smarrita », l'umanità sofferente e perduta. Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo — amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr 19, 37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: « Dio è amore » (1 Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l'amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare.
13. A questo atto di offerta Gesù ha dato una presenza duratura attraverso l'istituzione dell'Eucaristia, durante l'Ultima Cena. Egli anticipa la sua morte e resurrezione donando già in quell'ora ai suoi discepoli nel pane e nel vino se stesso, il suo corpo e il suo sangue come nuova manna (cfr Gv 6, 31-33). Se il mondo antico aveva sognato che, in fondo, vero cibo dell'uomo — ciò di cui egli come uomo vive — fosse il Logos, la sapienza eterna, adesso questo Logos è diventato veramente per noi nutrimento — come amore. L'Eucaristia ci attira nell'atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. L'immagine del matrimonio tra Dio e Israele diventa realtà in un modo prima inconcepibile: ciò che era lo stare di fronte a Dio diventa ora, attraverso la partecipazione alla donazione di Gesù, partecipazione al suo corpo e al suo sangue, diventa unione. La « mistica » del Sacramento che si fonda nell'abbassamento di Dio verso di noi è di ben altra portata e conduce ben più in alto di quanto qualsiasi mistico innalzamento dell'uomo potrebbe realizzare.
[Deus Caritas est]
Who touched Lydia's heart? The answer is: «the Holy Spirit». It’s He who made this woman feel that Jesus was Lord; He made this woman feel that salvation was in Paul's words; He made this woman feel a testimony (Pope Francis)
Chi ha toccato il cuore di Lidia? La risposta è: «lo Spirito Santo». È lui che ha fatto sentire a questa donna che Gesù era il Signore; ha fatto sentire a questa donna che la salvezza era nelle parole di Paolo; ha fatto sentire a questa donna una testimonianza (Papa Francesco)
While he is about to entrust to the Apostles — which in fact means “envoys” — the mission of taking the Gospel to all the world, Jesus promises that they will not be alone. The Holy Spirit, the Counselor, will be with them, and will be beside them, moreover, will be within them, to protect and support them. Jesus returns to the Father but continues to accompany and teach his disciples through the gift of the Holy Spirit (Pope Francis)
Mentre sta per affidare agli Apostoli – che vuol dire appunto “inviati” – la missione di portare l’annuncio del Vangelo in tutto il mondo, Gesù promette che non rimarranno soli: sarà con loro lo Spirito Santo, il Paraclito, che si porrà accanto ad essi, anzi, sarà in essi, per difenderli e sostenerli. Gesù ritorna al Padre ma continua ad accompagnare e ammaestrare i suoi discepoli mediante il dono dello Spirito Santo (Papa Francesco)
Jesus who is the teacher of love, who liked to talk about love so much, in this Gospel speaks of hate. Exactly of hate. But he liked to call things by the proper name they have (Pope Francis)
Gesù che è maestro dell’amore, al quale piaceva tanto parlare di amore, in questo Vangelo parla di odio. Proprio di odio. Ma a lui piaceva chiamare le cose con il nome proprio che hanno (Papa Francesco)
St Thomas Aquinas says this very succinctly when he writes: "The New Law is the grace of the Holy Spirit" (Summa Theologiae, I-IIae, q.106 a. 1). The New Law is not another commandment more difficult than the others: the New Law is a gift, the New Law is the presence of the Holy Spirit [Pope Benedict]
San Tommaso d’Aquino lo dice in modo molto preciso quando scrive: “La nuova legge è la grazia dello Spirito Santo” (Summa theologiae, I-IIae, q. 106, a. 1). La nuova legge non è un altro comando più difficile degli altri: la nuova legge è un dono, la nuova legge è la presenza dello Spirito Santo [Papa Benedetto]
Even after seeing his people's repeated unfaithfulness to the covenant, this God is still willing to offer his love, creating in man a new heart (John Paul II)
Anche dopo aver registrato nel suo popolo una ripetuta infedeltà all’alleanza, questo Dio è disposto ancora ad offrire il proprio amore, creando nell’uomo un cuore nuovo (Giovanni Paolo II)
«Abide in me, and I in you» (v. 4). This abiding is not a question of abiding passively, of “slumbering” in the Lord, letting oneself be lulled by life [Pope Francis]
«Rimanete in me e io in voi» (v. 4). Questo rimanere non è un rimanere passivo, un “addormentarsi” nel Signore, lasciandosi cullare dalla vita [Papa Francesco]
سَلامي أُعطيكُم – My peace I give to you! (Jn 14:27). This is the true revolution brought by Christ: that of love […] You will come to know inconceivable joy and fulfilment! To answer Christ’s call to each of us: that is the secret of true peace (Pope Benedict)
سَلامي أُعطيكُم [Vi do la mia pace!]. Qui è la vera rivoluzione portata da Cristo, quella dell'amore [...] Conoscerete una gioia ed una pienezza insospettate! Rispondere alla vocazione di Cristo su di sé: qui sta il segreto della vera pace (Papa Benedetto)
don Giuseppe Nespeca
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