Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Lo scandalo dell’attesa
(Lc 18,1-8)
Negli anni 80 le comunità dell’Asia Minore subiscono persecuzione per il fatto che l’imperatore di Roma [il divo Domiziano] pretendeva farsi venerare.
L’istituzione religiosa ufficiale - servile e adulatrice - si adegua. I cristiani no - consapevoli della propria dignità e progetto di mondo alternativo.
Lc intende incoraggiare fedeli e comunità vittime di soprusi mettendo in evidenza come giungere alla disposizione più efficace, in grado d’intaccare i ricatti dell’allontanamento sociale.
Il ‘silenzio di Dio’ sugli abusi e il dominio dei prepotenti poneva quesiti e faceva avanzare riserve di fede.
Ma nella parabola, il giudice irresponsabile non è il Padre! L’ingiusto è un’icona che drammatizza la condizione in cui si vengono a trovare i discepoli privati del Maestro, in un mondo di astuti.
Ecco la «vedova»: la comunità dei nuovi ‘Anawim, poveri di Yahweh [nei Vangeli «ptōchôis»] ossia indifesi, esposti a soprusi - che hanno quale unica speranza il Signore.
Essi non restano alla scorza delle situazioni. Colgono i segni del nuovo Regno - di un’umanità alternativa - e li bramano.
Dice Lc: unico mezzo per ritrovarsi e non perdere la propria energia fondante è la Preghiera. Essa non è un ripiegamento (vv.3.7).
L’orazione dei figli è piuttosto un’azione in avanti. Una sorta di balzo che diventa magnetico e infine s’impadronisce con forza del suo desiderio profondo.
Un’appropriazione indebita. Come diceva s. Bernardo: «Quanto mi manca lo usurpo dal costato di Cristo».
Insomma, la preghiera cristiana ha il medesimo passo della Fede, e le sue poliedriche sfaccettature.
Quindi non ci pianta sul posto: diventa una Fonte che induce gesti temerari.
Perché? In certi momenti le cose cambiano. Nel “mondo”, solo per calcolo - ma detto questo, anche i più banali interessi muovono qualcosa (vv.4-5).
Vi sono aspetti del nostro Dialogo con Dio caratterizzati da tratti di assenso. Ma la parte “colorata” dell’orazione giunge quando si entra in clima sponsale - di ascolto, intuizione; anche di lotta e litigio personale.
Essi sfociano in una sorta di lettura del peso della propria vicenda, del genio del tempo e degli appigli per un’attualizzazione, che ci porta fuori dalla mediocrità: prendere o lasciare.
Insomma, l’orazione è un gesto concreto. Pone in contatto con una ‘visione’ che dona indicazioni. Vocazione a tutti i costi.
Una sorta di energia primordiale, che si riaffaccia per curare e dirigere situazioni.
Non solo è il grande strumento per non perdere la testa, e un mezzo per non scoraggiare.
Piuttosto, un’azione pungente e seccante, con effetto attrattivo - ‘calamita’.
Il nido dinamico, poco rassicurante, dell’orazione, ci riporta al Nucleo dell’essenza, al Sé eminente; nel regno della Chiamata per Nome.
Si fa Lettura e Intuizione che incontra gli stati profondi.
È in tale spostamento di sguardo e Visione che attualizziamo il futuro.
In tal guisa, la preghiera stessa ci guida alla realizzazione del nostro essere individuale e ministeriale-ecclesiale.
Essa infatti crea: pone d’improvviso (v.8) le condizioni calzanti, i momenti acuti della svolta - perché vive Altrove, e nella base dell’anima.
Scorge Dio nei solchi della storia, perciò attiva le energie del divenire: trascina la realtà, l’attira.
Sancisce e attualizza ciò che ‘viene’; interroga e smuove l’istituzione che tende a inaridire.
Col suo Timone, anche fra troppe nebbie solca i marosi delle tossine invecchianti, sorvola le angherie, dischioda il mondo e tutta la nostra vita.
[Sabato 32.a sett. T.O. 16 novembre 2024]
Lo scandalo dell’attesa e il sequestro dei prelati
(Lc 18,1-8)
Negli anni 80 le comunità dell’Asia Minore subiscono persecuzione per il fatto che l’imperatore di Roma [il divo Domiziano] pretendeva farsi venerare.
L’istituzione religiosa ufficiale - servile e adulatrice - si adegua ai diktat del Cesare di turno.
I cristiani no - consapevoli della propria dignità e progetto di mondo alternativo, legato a un nuovo volto di Dio: non più legislatore e giudice ma Creatore e Redentore della nostra intelligenza, sviluppo e libertà.
Le assemblee dei primi credenti si trovano così di fronte a fatiche, discriminazioni e stanchezze forse ben superiori alle forze, ma non alla coscienza.
Lc incoraggia fedeli e comunità vittime di soprusi, con una catechesi narrativa che mette in evidenza come giungere alla disposizione più efficace, in grado d’intaccare i ricatti dell’allontanamento sociale.
Di fatto, una sorta di emarginazione (subdola più che violenta) imposta dalle autorità religiose e politiche, da tutte le cricche al potere.
Se il nostro sguardo è oscurato da convenzioni, il “silenzio di Dio” di fronte agli abusi e al dominio dei prepotenti pone quesiti e fa avanzare riserve di fede.
[Oggi anche per il tipo di Chiesa nostalgica di Costantino, o viceversa à la page; del cinismo successivo o di sovrapposizioni disincarnate, e di tante nebbie - non delle catacombe].
Certo la preghiera non forza il Padre a obbedirci, ma la nostra insistenza è segno d’un rapporto vivo, non formale.
Ciò anche quando può capitare di coglierci sfiniti e (pur restando in superficie) di non considerare il Creatore del tutto innocente di fronte al male e al degrado.
Ma tale impostazione ci farebbe perdere la rotta del Re che si rivela dentro… celandosi nei solchi degli eventi, e affiorando nei cuori.
Nella parabola, il giudice irresponsabile non è il Padre!
L’ingiusto “giurista” - uomo di potere - è un’icona che drammatizza la condizione in cui si vengono a trovare i discepoli, privati del Maestro.
I testimoni autentici si ritrovano in un mondo di astuti, impregnato d’ideologia e pratica dell’avere, potere, apparire. Configurazioni che soffocano ogni anelito di vita genuina.
Ecco la «vedova»: la comunità dei nuovi ‘Anawim, poveri di Yahweh [nei Vangeli «ptōchôis»] ossia indifesi, esposti a soprusi, privi di appoggi mondani - che hanno quale unica speranza il Signore.
Malgrado la condizione malferma, le masse pur private di energia non desiderano il conformismo. Non permangono nell’adattarsi alle astuzie - smarrendo se stesse - senza un Fuoco, un’onda vitale; senza dentro un compagno di viaggio da percepire, accogliere, ascoltare.
Esse ragionano e agiscono a partire dal nocciolo nascosto dell’essere e dell’evolvere. Non restano alla scorza delle situazioni. Desiderano rinascere.
Colgono i segni del nuovo Regno che spunta - di un’umanità alternativa - e li bramano, così la loro partita non è tutta a portata di mano.
Allorché dovessero smarrire il nucleo, il senso, dovrebbero tornare a imparare a vedere in ogni cosa una chiamata, un infinito, un fuori del tempo.
E un modo di guardare se stessi differente da quello del senso comune. Anche noi: come se tutti fossimo sdraiati sull’energia fondante del nostro Sogno - unico, personale, integrale - che ci appartiene davvero.
Dice Lc: unico mezzo per ritrovarsi e non perdere la partita della propria identità caratteriale di figli e testimoni critici è la Preghiera.
Non si tratta della cantilena devota, prevedibile, che ci metterebbe a dormire (vv.3.7). Neppure intesa come dovere di religione: prestazione, formula, obbligo snervante; riconoscimento dell’onore dovuto al Padrone, o ripiegamento.
Si evince dal tono della narrazione: il tu-per-tu dei figli non è una valanga di emozioni pie, piuttosto un’azione in avanti.
Una sorta di balzo che diventa magnetico e infine s’impadronisce con forza del suo desiderio profondo.
Un’appropriazione indebita, ma corroborata; non già allestita, o per nostri meriti, bensì attraverso quelli di Cristo - per l’intuizione tenace che infonde.
Come diceva s. Bernardo: «Quanto mi manca lo usurpo dal costato di Cristo»!
Ricordo il racconto di un grande parroco romano ordinato sacerdote da Paolo VI che mi confidava di aver partecipato a un blitz proprio negli spazi del Seminario che ben conosco. Al termine della celebrazione di una Eucaristia (!) con ospiti di rilievo, gli allievi in rivolta contro i prelati e professori tradizionalisti del Laterano - per niente intimiditi dal rango dei sequestrati - li chiusero a chiave in sagrestia, per costringere i diversi bei nomi presenti a cedere alle loro richieste di libertà [di letture e altro]. Vinsero la partita con sfrontatezza, senza tanti complimenti - e alcuni dei professoroni presenti cambiarono linea seduta stante (cf. v.8). Oggi quegli ex seminaristi sono punti di riferimento della capitale, tutti in posizione di avanguardia pastorale, gente decisa a seguire la propria Chiamata. Vere facce toste, che non si rassegnano. Impertinenti, che però impongono gli sviluppi appropriati, per tutti. Essi sanno: perdere di vista la propria missione significherebbe smarrire il senso della vita, non saper più stare con se stessi, con gli altri e la realtà; infine, ammalarsi, perché si sceglierebbe altrimenti di vivere in palude, obbligatoriamente assopiti.
La Preghiera cristiana ha il medesimo passo della Fede, non solo pacificamente dialogante - e in tali tratti nodali può essere descritta mediante le sue stesse poliedriche sfaccettature.
Quindi non ci pianta sul posto: diventa una Fonte che induce azioni temerarie, sfacciate e inopportune; totalmente fuori luogo.
Perché? In certi momenti le cose cambiano. Nel “mondo”, solo per calcolo - ma detto questo, anche i più banali interessi muovono qualcosa (vv.4-5).
Vi sono aspetti del nostro rapporto con Dio caratterizzati da tratti di assenso.
Ma la parte colorata dell’orazione giunge quando si entra in clima sponsale - di ascolto, intuizione; anche di lotta e litigio personale.
Tali momenti veri, sfociano in una sorta di lettura del peso della propria vicenda, del genio del tempo, degli appigli per un’attualizzazione.
Visione e “polso” che ci porta fuori dalla mediocrità. Dinamica di Esodo avvalorata da sensibilità e inclinazioni irripetibili.
Insomma, non siamo qualunquisti, né buonisti, bensì noi stessi: prendere o lasciare.
Quand’anche nella preghiera non scattasse una pia disposizione ma una rabbia, quell’accanirsi ci s’incarnerà fra le mani.
Quella stessa “ira” diverrà energia per costruire il presente profetico - e anticipare criticamente il futuro - senza però «incattivire» [v.1 testo greco].
Insomma, l’orazione è un gesto concreto: pone appunto in contatto con una Visione che dona indicazioni.
La Preghiera viva ci accosta al mondo, attraverso lo sguardo interiore: nella percezione di un’Immagine innata che è il nostro specchio terso e Vocazione a tutti i costi.
Qui sorge una sorta di energia primordiale, che si riaffaccia; per curare e dirigere situazioni.
Non solo essa è il grande strumento per non perdere la testa, e un mezzo per non scoraggiare.
Piuttosto del ripiego, ecco un’azione pungente e seccante, che recupera tutto l’essere disperso in mille vicende di ricerca, con effetto attrattivo, positivamente edificante - calamita.
Il nido dinamico, poco rassicurante, dell’orazione, ci riporta al Nucleo dell’essenza, al Sé eminente; nel regno della Chiamata per Nome.
Si fa Lettura e Intuizione che incontra gli stati profondi.
È in tale spostamento di sguardo e Visione che attualizziamo il futuro.
In tal guisa, la preghiera stessa ci guida alla realizzazione del nostro essere individuale e ministeriale-ecclesiale [o para-ecclesiale].
Essa infatti crea: pone d’improvviso [v.8 testo greco] le condizioni calzanti, i momenti acuti della svolta - perché vive Altrove, e nella base dell’anima.
Scorge Dio nella storia, perciò attiva le energie del divenire: trascina la realtà, l’attira.
Sancisce e attualizza ciò che viene; interroga e smuove l’istituzione che tende a inaridire.
Col suo Timone, anche fra troppe nebbie solca i marosi delle tossine invecchianti, sorvola le angherie, dischioda il mondo e tutta la nostra vita.
«Questo dono, infatti, è assai grande, mentre noi siamo tanto piccoli e limitati per accoglierlo… Il dono è davvero grande, tanto che né occhio mai vide, perché non è colore; né orecchio mai udì, perché non è suono; né mai è entrato in cuore d'uomo (Cfr 1Cor 2,9), perché è là che il cuore dell'uomo deve entrare. Lo riceveremo con tanta maggiore capacità, quanto più salda sarà la nostra fede, più ferma la nostra speranza, più ardente il nostro desiderio. Noi dunque preghiamo sempre in questa stessa fede, speranza e carità, con desiderio ininterrotto. Ma in certe ore ed in determinate circostanze, ci rivolgiamo a Dio anche con le parole, perché, mediante questi segni, possiamo stimolare noi stessi ed insieme renderci conto di quanto abbiamo progredito nelle sante aspirazioni, spronandoci con maggiore ardore ad intensificarle. Quanto più vivo, infatti, sarà il desiderio, tanto più ricco sarà l'effetto. E perciò, che altro vogliono dire le parole dell'Apostolo: “Pregate incessantemente” (1Ts 5,17) se non questo: Desiderate, senza stancarvi, da colui che solo può concederla, quella vita beata, che niente varrebbe se non fosse eterna?».
S. Agostino, «Lettera a Proba»
Preghiera Continua: condizione di grazia e di forza, che non svia.
Venir meno senza venir meno: lotta incessante con noi stessi e con Dio
(Mt 7,7-12)
A volte mettiamo il Padre sul banco degli imputati, perché sembra lasciar andare le cose come le orienta la nostra libertà.
Ma il suo Disegno non è far funzionare il mondo alla perfezione dei transistor (di una volta) o dei circuiti integrati (nei rispettivi “package”) o “chip” [vari “pezzetti”]…
Dio vuol farci acquisire una mentalità da Nuova Creazione. La sua Azione ci modella sul Figlio, trasformando progetti, idee, desideri, parole, comportamenti standard.
All’inizio forse la preghiera può sembrare venata di sole richieste. Più si procede nell’esperienza dell’orazione nello Spirito del Cristo, meno si chiede.
Le domande si attenuano, sino a cessare quasi del tutto.
I desideri di accumulo, o rivalsa e trionfo, lasciano il posto all’ascolto e alla percezione.
L’occhio che penetra si accorge di quanto è a portata di mano e dell’inusitato - nell’accoglienza sempre più cosciente, che si fa contemplazione e unione reali.
Non sappiamo quanto tempo, ma il “risultato” subentra improvviso: non solo certo, bensì sproporzionato.
Ma come estratto da un processo d’incandescenza continua, dove non esistono reti logiche, né facili scorciatoie.
Riceviamo il Dono massimo e completo. E possiamo ospitarlo con dignità. Una nuova Creazione nello Spirito, un diverso aspetto.
Un Volto insperato - non semplicemente quello fantasticato o ben sistemato (come trasmesso dalla famiglia o atteso a contorno).
Dio lascia che gli eventi seguano un loro corso, apparentemente distante da noi; quindi la preghiera può assumere toni drammatici e suscitare l’irritazione - come fosse una disputa aperta fra noi e Lui.
Ma Egli sceglie di non farsi garante dei nostri sogni esterni. Non si lascia introdurre nei limiti piccini.
Vuole coinvolgerci in ben altro che le nostre mète, di frequente troppo conformi a quello che abbiamo sotto il naso.
Inventa orizzonti dilatati, ma in questo travaglio dev’essere chiaro che non bisogna venir meno a noi stessi. Ossia al carattere della nostra essenza e vocazione.
Tutto ciò, proprio venendo meno a noi stessi - ossia cedendo il punto di vista rigido e dialogando coi nostri strati profondi.
Tale processo sposta l’accento condizionato.
Non è che Dio si compiace di farsi senza posa pregare e ripiegare dai poveretti.
Siamo noi ad aver bisogno di tempo per incontrare la nostra stessa anima e lasciarci introdurre in un altro genere di programmi che non siano conformisti e scontati.
Leggere gli accadimenti secondo visioni totalmente “inadeguate”, eccentriche o eccessive, meno contratte dentro le solite armature (e così via) può aprire la mente.
L’espansione dello sguardo accresce l’intuizione, modifica i sentimenti, trasforma, attiva. Coglie altri disegni, spalanca differenti orizzonti - con risultati intermedi già prodigiosi, sicuramente imprevedibili.
Quando qualcuno crede di aver capito il mondo, già si condiziona auspici ulteriori, più intensi, che vorrebbero invadere il nostro spazio.
Questa “natura” artificiale di assetti spuri, esterni o altrui, blocca l’itinerario che va verso la natura del carattere, la vera chiamata e missione personale.
La preghiera dev’essere insistente, perché è come una visuale posata su di sé; non come avevamo pensato: autenticamente.
L’occhio interiore serve a fare una sorta di spazio sgombro e individuale dentro, che apre alla nostra e altrui Presenza, tutta da guardare (nel modo che conta).
Sarà il più sapiente, forte e affidabile compagno di viaggio… che porta la nostra identità-carattere e non tira altrove l’io essenziale della persona.
Lo svuotamento consapevole dalle cianfrusaglie accatastate (da noi stessi o altri) dev’essere colmato nel tempo mediante una intensità di Relazione.
Ecco il dialogo-Ascolto interpersonale con la Fonte dell’essere.
In essa è annidato il nostro Seme particolare: lì è come seduta e in fieri la differenza di volto che ci appartiene.
Sarà la profondità radicale del rapporto con la nostra Radice - forse smarrita in troppe aspettative regolarissime, anche elevate o funzionanti - che conferisce un’altra Via, più convincente.
E farà scoprire la tendenza e destinazione unica che ci appartiene, per la Felicità che non pensavamo.
Obbiettivi, propositi, discipline, memorie del passato, sogni di futuro, ricerche dei punti di riferimento, valutazioni abitudinarie di possibilità, cumuli di merito... talora sono zavorre.
Essi distraggono dalla terra dell’anima, dove il nostro grano vorrebbe attecchire per divenire ciò che è in cuore.
E dal Nocciolo far comprendere la proposta di Missione ricevuta - non conquistata, né posseduta - affinché conceda un’altra caratura prodigiosa (non: visibilità).
Spesso il sistema mentale e affettivo si riconosce in un album di pensieri, definizioni, gesti, forme, problemi, titoli, mansioni, personaggi, ruoli e cose già morte.
Tale morfologia d’interdizione smarrisce il presente autentico, dove viceversa attecchisce il Sogno divino che completa - realizzandoci nella specificità.
Allora, ecco la terapia dell’assoluto presentimento nell’Ascolto - della non pianificazione; a partire da ciascuno.
Ciò nella lacuna consapevole di quella parte di noi che cerca sicurezze, approvazioni, e asseconda banalità.
Attraverso il dialogo incessante col Padre nell’orazione, facciamo spazio alle radici dell’Essere, che (nel frattempo) ci sta già colmando di visuali e occasioni per una sorte differente.
Riattivando la carica esplorativa soffocata negli ingranaggi, creiamo la giusta intercapedine e ripartiamo nell’Esodo.
Accontentarsi, fermarsi, installarsi in un punto, tramuterebbe le conquiste anche qualitative in una terra di nuove schiavitù.
Obbligherebbe a recitare e ripercorrere tappe ormai acquisite - che viceversa siamo per vocazione richiamati a valicare.
Esodo… all’interno di una Relazione sorgiva, cosmica e identificativa, singolarmente fondante.
Grazie all’Ascolto protratto nella preghiera, noi figli acquisiamo il sapere dell’anima e del Mistero.
Dimoriamo a lungo nella Casa della nostra essenza molto speciale.
Così la piantiamo - o radichiamo ancor più a fondo - per capirla e recuperarla completamente, nitida e colma.
Ormai affrancata dal destino tracciato in ambiente di ristrettezze, già segnato ma privo di sogni.
Quando saremo pronti, l’Unicità scenderà in campo con una nuova soluzione, anche stravagante.
Essa partorirà ciò che siamo davvero, al meglio - dentro quel caos che risolve i veri problemi. E di onda in onda balzerà a Traguardo.
Via le definizioni e aspirazioni da nomenclatura, in una sorta di venir meno di noi stessi - in uno stato “scarico” ma colmo di energie potenziali - daremo spazio al nuovo Germe che la sa più lunga di tutti.
Già qui e ora la nostra Pianta caratteristica e inconfondibile vuole sfiorare la condizione divina.
La preghiera continua (ascolto e percezione incessanti) scava e smaltisce in questo spazio il volume dei banali pensieri ridondanti.
In tale interstizio e “vuoto” si spalancano opportunità. Si crea la pulizia interiore affinché giunga il Dono - non di seconda mano.
Vogliamo una decisiva conversione? Desideriamo il richiamo alla totalità dell’esistenza umanizzante, senza limitazioni e nella nostra unicità?
[Allora l’azione divina può raggiungere chiunque? Attecchisce in qualsiasi volto? E come si fa a non spezzarla?].
Perché non ora il nuovo inizio? La preghiera e il “nuovo pieno” dello Spirito diventano per noi - figli in fase di crescita - il latte dell’anima.
La liturgia di questa domenica ci offre un insegnamento fondamentale: la necessità di pregare sempre, senza stancarsi. Talvolta noi ci stanchiamo di pregare, abbiamo l’impressione che la preghiera non sia tanto utile per la vita, che sia poco efficace. Perciò siamo tentati di dedicarci all’attività, di impiegare tutti i mezzi umani per raggiungere i nostri scopi, e non ricorriamo a Dio. Gesù invece afferma che bisogna pregare sempre, e lo fa mediante una specifica parabola (cfr Lc 18,1-8).
Questa parla di un giudice che non teme Dio e non ha riguardo per nessuno, un giudice che non ha atteggiamento positivo, ma cerca solo il proprio interesse. Non ha timore del giudizio di Dio e non ha rispetto per il prossimo. L’altro personaggio è una vedova, una persona in una situazione di debolezza. Nella Bibbia, la vedova e l’orfano sono le categorie più bisognose, perché indifese e senza mezzi. La vedova va dal giudice e gli chiede giustizia. Le sue possibilità di essere ascoltata sono quasi nulle, perché il giudice la disprezza ed ella non può fare nessuna pressione su di lui. Non può nemmeno appellarsi a principi religiosi, poiché il giudice non teme Dio. Perciò questa vedova sembra priva di ogni possibilità. Ma lei insiste, chiede senza stancarsi, è importuna, e così alla fine riesce ad ottenere dal giudice il risultato. A questo punto Gesù fa una riflessione, usando l’argomento a fortiori: se un giudice disonesto alla fine si lascia convincere dalla preghiera di una vedova, quanto più Dio, che è buono, esaudirà chi lo prega. Dio infatti è la generosità in persona, è misericordioso, e quindi è sempre disposto ad ascoltare le preghiere. Pertanto, non dobbiamo mai disperare, ma insistere sempre nella preghiera.
La conclusione del brano evangelico parla della fede: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). E’ una domanda che vuole suscitare un aumento di fede da parte nostra. E’ chiaro infatti che la preghiera dev’essere espressione di fede, altrimenti non è vera preghiera. Se uno non crede nella bontà di Dio, non può pregare in modo veramente adeguato. La fede è essenziale come base dell’atteggiamento della preghiera.
[Papa Benedetto, omelia per la canonizzazione dei beati, 17 ottobre 2010]
A tutte le persone di buona volontà che si sentono parte viva ed operante della comunità parrocchiale dico: non stancatevi di cercare tutte le occasioni che il Signore vi offre per allargare contatti e portare avanti quell’opera di promozione fondata sulla verità, sulla giustizia e sul rispetto della persona altrui, che costituisce, per chi si sente lontano dalla fede, il preambolo necessario alla conoscenza di Cristo, che voi avete la fortuna di professare con la vostra vita e con la pratica dei sacramenti della fede.
9. Siate lode vivente di Dio agli occhi di chi cerca il Signore, ma non lo ha ancora trovato. Ripetete col salmista: “Loda, anima mia, il Signore, tuo creatore”.
Cari fratelli e sorelle!
Imparate a lodare Dio; rendete gloria a lui a nome di tutte le creature.
Imparate a farlo nello spirito della “povera vedova” dell’odierna liturgia, perché il sacrificio della gloria trovi la sua “risonanza” evangelica nel cuore di Cristo.
Imparate - sempre nuovamente - imparate a partecipare all’Eucaristia perché la vostra vita cristiana maturi e s’arricchisca mediante “la povertà in spirito”.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia 6 novembre 1988]
La parabola evangelica che abbiamo appena ascoltato (cfr Lc 18,1-8) contiene un insegnamento importante: «La necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai» (v. 1). Dunque, non si tratta di pregare qualche volta, quando mi sento. No, Gesù dice che bisogna «pregare sempre, senza stancarsi». E porta l’esempio della vedova e del giudice.
Il giudice è un personaggio potente, chiamato ad emettere sentenze sulla base della Legge di Mosè. Per questo la tradizione biblica raccomandava che i giudici fossero persone timorate di Dio, degne di fede, imparziali e incorruttibili (cfr Es 18,21). Al contrario, questo giudice «non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno» (v. 2). Era un giudice iniquo, senza scrupoli, che non teneva conto della Legge ma faceva quello che voleva, secondo il suo interesse. A lui si rivolge una vedova per avere giustizia. Le vedove, insieme agli orfani e agli stranieri, erano le categorie più deboli della società. I diritti assicurati loro dalla Legge potevano essere calpestati con facilità perché, essendo persone sole e senza difese, difficilmente potevano farsi valere: una povera vedova, lì, sola, nessuno la difendeva, potevano ignorarla, anche non darle giustizia. Così anche l’orfano, così lo straniero, il migrante: a quel tempo era molto forte questa problematica. Di fronte all’indifferenza del giudice, la vedova ricorre alla sua unica arma: continuare insistentemente a importunarlo, presentandogli la sua richiesta di giustizia. E proprio con questa perseveranza raggiunge lo scopo. Il giudice, infatti, a un certo punto la esaudisce, non perché è mosso da misericordia, né perché la coscienza glielo impone; semplicemente ammette: «Dato che questa vedova mi dà fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi» (v. 5).
Da questa parabola Gesù trae una duplice conclusione: se la vedova è riuscita a piegare il giudice disonesto con le sue richieste insistenti, quanto più Dio, che è Padre buono e giusto, «farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui»; e inoltre non «li farà aspettare a lungo», ma agirà «prontamente» (vv. 7-8).
Per questo Gesù esorta a pregare “senza stancarsi”. Tutti proviamo momenti di stanchezza e di scoraggiamento, soprattutto quando la nostra preghiera sembra inefficace. Ma Gesù ci assicura: a differenza del giudice disonesto, Dio esaudisce prontamente i suoi figli, anche se ciò non significa che lo faccia nei tempi e nei modi che noi vorremmo. La preghiera non è una bacchetta magica! Essa aiuta a conservare la fede in Dio ad affidarci a Lui anche quando non ne comprendiamo la volontà. In questo, Gesù stesso – che pregava tanto! – ci è di esempio. La Lettera agli Ebrei ricorda che «nei giorni della sua vita terrena Egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito» (5,7). A prima vista questa affermazione sembra inverosimile, perché Gesù è morto in croce. Eppure la Lettera agli Ebrei non si sbaglia: Dio ha davvero salvato Gesù dalla morte dandogli su di essa completa vittoria, ma la via percorsa per ottenerla è passata attraverso la morte stessa! Il riferimento alla supplica che Dio ha esaudito rimanda alla preghiera di Gesù nel Getsemani. Assalito dall’angoscia incombente, Gesù prega il Padre che lo liberi dal calice amaro della passione, ma la sua preghiera è pervasa dalla fiducia nel Padre e si affida senza riserve alla sua volontà: «Però – dice Gesù – non come voglio io, ma come vuoi tu» (Mt 26,39). L’oggetto della preghiera passa in secondo piano; ciò che importa prima di tutto è la relazione con il Padre. Ecco cosa fa la preghiera: trasforma il desiderio e lo modella secondo la volontà di Dio, qualunque essa sia, perché chi prega aspira prima di tutto all’unione con Dio, che è Amore misericordioso.
La parabola termina con una domanda: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (v. 8). E con questa domanda siamo tutti messi in guardia: non dobbiamo desistere dalla preghiera anche se non è corrisposta. E’ la preghiera che conserva la fede, senza di essa la fede vacilla! Chiediamo al Signore una fede che si fa preghiera incessante, perseverante, come quella della vedova della parabola, una fede che si nutre del desiderio della sua venuta. E nella preghiera sperimentiamo la compassione di Dio, che come un Padre viene incontro ai suoi figli pieno di amore misericordioso.
[Papa Francesco, Udienza Generale 25 maggio 2016]
Fra cadaveri e avvoltoi: diversi nella Profondità
(Lc 17,26-37)
C’è un discernimento essenziale assai semplice: dove la vita si spegne, non è favorita, non rallegrata né promossa, la terra diventa un camposanto anticipato, e il “cielo” si popola di stormi interi d’avvoltoi.
È l’amaro risultato di una cultura dalla quale purtroppo non trapela la netta ‘presenza’ di Colui che ha rivestito il mondo di Bellezza.
Mentalità che appare totalmente inerte: non in grado di farci riconoscere - noi senza voce - quali Motivo reale e Termine dell’iniziativa di Dio. Addirittura gli unici autentici Santuari.
Dovremmo essere Relazioni viventi e parlanti, che riempiono il cuore di sogni. E centri d’irradiazione, icone d’appagamento pieno; luoghi di passioni non statiche, bensì rispettose dell’intima natura delle cose.
Ma convinzioni e proposta pastorale sembra non reggano. E non incidono forse perché hanno perduto magia dentro: che fa amicizia con ciò che c’è nel viaggio di ciascuno.
Qui vige un discernimento più sottile - cifra del brano di Vangelo di oggi: il Giudizio si presenta in forma di sorpresa.
I minimi problemi dell’esistenza quotidiana possono diventare così assorbenti da farci smarrire il senso stesso delle imperfezioni - e in genere, la dimensione di profondità.
Le frontiere del Regno sono nel mondo, nelle persone, nei loro lamenti e gioie, negli accadimenti. Il luogo del ‘giudizio’ è ovunque.
L’invito di Gesù è a non lasciarsi distrarre, neanche dalle minuzie della religiosità.
La manifestazione dei tempi ultimi - ossia la possibilità di avviare un mondo nuovo - continuamente Viene: dev’essere ricevuta e farsi consapevole.
Mantenuta viva personalmente.
L’Incontro decisivo non accade in spazi e tempi preposti: si ripropone in mille fogge, momenti e luoghi, ma - ecco l’altro dato saliente - c’è qualcuno che si accorge, altri no.
La “divisione” tra chi viene associato alla vita divina e chi non può esserlo, non concerne gli eticismi sui vizi capitali, bensì il discernimento vivente.
Si tratta della realtà anche minuta (vv.31.34-35) e il suo messaggio.
La Fede nelle svolte e l’unione a Cristo che pulsa nell’anima, e sogna - intimo Fratello di ognuno e sfolgorante misura di ben altre cose - vuol spalancarci la Visione.
Lo leggiamo anche nel nostro cuore in rivolta, che vuole ridestarci dai loculi e dalla dittatura dei pensieri già confezionati.
Il Sé nascosto ha sete di comprendere l’appello del quotidiano e sommario, del precario, dei “difetti”; il richiamo della bifrontalità delle situazioni.
Le “simmetrie” che tanto sembravano rassicuranti non fanno crescere virtù, dentro le debolezze.
Ecco allora raggiungerci il pungolo dei fastidi, persino epocali: l’idea di perfezione non ci farebbe altrettanto spostare lo sguardo, per fare esodo, crescere, fiorire.
Il ‘Giudizio’ attivo in Cristo trasmette invece la capacità di cogliere uno scenario che non sapevamo.
L’avvento del «Figlio dell'uomo» (vv.26.30) mette in discussione, e il suo Giudizio sovrasta i distratti, i contratti dall’abitudine.
Coglie viceversa il nucleo dell’esistenza: saremo riconosciuti diversi… non nella morale, ma nella Profondità.
[Venerdì 32.a sett. T.O. 15 novembre 2024]
Fra cadaveri e avvoltoi: diversi nella profondità
(Lc 17,26-37)
C’è un discernimento essenziale assai semplice: dove la vita si spegne, non è favorita, non rallegrata né promossa, la terra diventa un camposanto anticipato, e il “cielo” si popola di stormi interi d’avvoltoi.
Fotografia dell’invecchiamento, dello stagno, del problema d’Occidente a monopolio spirituale (abituato) che non fa fiorire più nulla.
È l’amaro risultato di una struttura religiosa forse devotissima, di sicuro abile a soddisfare i sensi, però indolente; certo capillare, esperta, e che si pronuncia su tutto, ma disarticolata in campanilismi d’ogni tipo.
Un’istituzione spettacolare, tuttavia ripiegata, in sé estranea e a volte ostile [che spegne la spinta creativa e non si mescola con le speranze della donna e dell’uomo di oggi]; dalla quale purtroppo non trapela la netta presenza di Colui che ha rivestito il mondo di Bellezza.
La piramide gerarchica sul territorio rimane esagerata, forse allo scopo stesso di autolegittimarsi, serrando le fila per fare meglio corpo.
La mentalità che ne deriva appare totalmente inerte: non in grado di farci riconoscere - noi senza voce - quali Motivo reale e Termine dell’iniziativa di Dio. Addirittura gli unici autentici Santuari.
Dovremmo essere Relazioni viventi e parlanti, che riempiono il cuore di sogni. E centri d’irradiazione, icone d’appagamento pieno; luoghi di passioni non statiche, bensì rispettose dell’intima natura delle cose.
Viceversa, cogliamo attorno sprazzi di vita sì giovane ed esuberante che tenta di fiorire, ma oscuramente soffocata da troppi lacci, idee passate o disincarnate, interessi di gruppo consolidati, e padroncini.
Ecco la crisi di senso, il tempo davvero umano che viene meno; come in un anticipo di perdizione - fuori prospettiva del Padre, amante della vita.
Convinzioni e proposta pastorale paiono incapaci di costituire: non reggono, impallidiscono, non incidono, non ricercano l’unicità.
Tutto ciò, malgrado l’esercito (distratto) di realtà istituzionali e capillari, che succhia vocazioni persino da terre in piena Missione.
Motivo in più per iniziare a edificare una ecclesialità profondamente differente, che non si attende di essere solo imboccata da programmi di professionisti del sacro.
Regno di Dio a partire dalla vita reale nuda e cruda; eppure, con la magia dentro: che fa amicizia con ciò che c’è nel viaggio di ciascuno.
Qui vige un discernimento più sottile - cifra del brano di Vangelo di oggi: il Giudizio si presenta in forma di sorpresa.
I minimi problemi dell’esistenza quotidiana (le nostalgie dei tradizionalisti, come le stesse idee disincarnate dei sofisticati) possono diventare così assorbenti da farci smarrire il senso stesso delle imperfezioni - e in genere, la dimensione di profondità.
Le frontiere del Regno sono nel mondo, nelle persone, nei loro lamenti e gioie, negli accadimenti - se letti come appuntamenti di svolta.
Non nelle convocazioni dove le cerchie d’iniziati si autorappresentano con una pletora di segni non confortati dalla vita.
Il luogo del “Giudizio” è ovunque.
In specie fuori dalle sagrestie: «vogliamo essere una Chiesa che serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità [...] per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione» [da un’omelia del settembre 2015 a Santiago di Cuba, cit. in: Fratelli Tutti n.276].
L’invito di Gesù è a non lasciarsi distrarre, neanche dalle minuzie della religiosità.
La manifestazione dei tempi ultimi - ossia la possibilità di avviare un mondo nuovo - continuamente Viene: dev’essere ricevuta e farsi consapevole.
Mantenuta viva personalmente.
L’Incontro decisivo non accade in spazi e tempi preposti: si ripropone in mille fogge, momenti e luoghi, ma - ecco l’altro dato saliente - c’è qualcuno che si accorge, altri no.
La “divisione” tra chi viene associato alla vita divina e chi non può esserlo, non concerne gli eticismi sui vizi capitali, bensì il discernimento vivente
Si tratta della realtà anche minuta (vv.31.34-35) e il suo messaggio - ciò che la persona di Fede sente consistenza indistruttibile, ed è rivelazione totale di sé.
Senza la Fede delle svolte, il senso cultuale alienante riempie l'umanità di apparenze, di vesti divenute maschere e scorie - incapaci ormai d’interrogarci. Atteggiamento devastante.
La devozione poi che cura solo i dettagli o le grandi visioni del mondo e tira diritto, combatte i rovesci dell’esistere e non ne coglie gli appelli, la ricchezza per noi.
Anche nel tempo dell’emergenza, le fughe in avanti, il malessere dell’assuefazione o dell’errore piccino, stanno arrestando anche i festival spirituali più esuberanti nel punto in cui erano.
Ossia nelle tombe in cui ci siamo volentieri lasciati seppellire, e lo si nota in modo drammatico.
L’unione a Cristo che pulsa nell’anima, e sogna - intimo Fratello di ognuno e sfolgorante misura di ben altre cose - vuol spalancarci la Visione.
Una Visione di cieli e terra alternativi. Un’ottica oggi spesso rapita da vane attese di ripristino al “come eravamo”.
Lo leggiamo anche nel nostro cuore in rivolta, che vuole ridestarci dai loculi e dalla dittatura dei pensieri già confezionati.
Il Sé nascosto ha sete di comprendere l’appello del sommario, dei “difetti”, il richiamo della bifrontalità delle situazioni.
Duplicità purtroppo poco coltivate nelle realtà ingessate o unilaterali, quelle senza prodigio, e che ormai non vogliamo.
Le “simmetrie” che tanto sembravano rassicuranti non fanno crescere virtù, dentro le debolezze.
Ecco allora raggiungerci il pungolo dei fastidi, persino epocali: l’idea di perfezione non ci farebbe altrettanto spostare lo sguardo, per fare esodo, crescere, fiorire.
Il “Giudizio” attivo in Cristo trasmette invece la capacità di cogliere uno scenario che non sapevamo, e di capovolgere tutta una impostazione d’esistenza vintage avvezza.
Anche reagendo d’improvviso (v.31).
Insomma, Gesù sta richiamando i suoi a non camminare per aria:
Molte conquiste devote saranno in conto perdita. Tanti rischi d’amore, sia negli eventi ordinari che straordinari, saranno calcolati a “guadagno”.
In tal guisa saremo pronti a ricevere il Dio-Insieme.
Ciò sia nei rapporti con gli uomini, che nei segni del tempo e negli eventi personali.
Non ci faremo prendere alla sprovvista dal pensiero solo retrospettivo - o frutto di attaccamenti opposti - che si accontenta di praticucce esterne, ma non vigila.
L’avvento del «Figlio dell'uomo» (vv.26.30) mette in discussione. E il suo Giudizio sovrasta i distratti, i contratti dall’abitudine; senza più capacità di lettura profonda e intuizione.
Il Signore viceversa coglie il nucleo dell’esistenza.
La sua teologia d’Incarnazione vuole creare alleanza tra le nostre variegate potenze primordiali [tutte in sé genuine].
Saremo dunque riconosciuti diversi [viventi o meno]… non nei manierismi o luoghi spiccioli della “morale” (vv.31.34).
Neppure nella faticosa elaborazione (epidermica) delle virtù ammesse: «Chi cercherà di conservare la sua vita, la perderà; ma chi perderà, la manterrà vivente» (Lc 17,33).
Tutto ciò, bensì, nella profondità della percezione.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Ti fai imbeccare da altri o stai edificando te stesso e il tuo modo di comprendere?
Ti senti sicuro per aver assunto sogni, virtù, speranze, successi comuni e altrui? Ovvero per averli vissuti e riconosciuti - come una vera storia d’amore - in prima persona?
Quale differenza profonda rechi con te nel tempo degli attaccamenti e degli sconvolgimenti?
L'amore comprende la totalità dell'esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente, perché la sua promessa mira al definitivo: l'amore mira all'eternità. Sì, amore è « estasi », ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall'io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio: « Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà » (Lc 17, 33), dice Gesù — una sua affermazione che si ritrova nei Vangeli in diverse varianti (cfr Mt 10, 39; 16, 25; Mc 8, 35; Lc 9, 24; Gv 12, 25). Gesù con ciò descrive il suo personale cammino, che attraverso la croce lo conduce alla resurrezione: il cammino del chicco di grano che cade nella terra e muore e così porta molto frutto. Partendo dal centro del suo sacrificio personale e dell'amore che in esso giunge al suo compimento, egli con queste parole descrive anche l'essenza dell'amore e dell'esistenza umana in genere.
[Papa Benedetto, Deus Caritas est, n.6]
Salmo 10 - Nel Signore è la fiducia del giusto
Vespri del lunedì della 1a settimana (Lettura: Sal 10, 1.3-5.7).
1. Continua la nostra riflessione sui testi salmici, che costituiscono l’elemento sostanziale della Liturgia dei Vespri. Quello che ora abbiamo fatto risuonare nei nostri cuori è il Salmo 10, una breve preghiera di fiducia che, nell’originale ebraico, è scandita dal nome sacro divino, ’Adonaj, il Signore. Questo nome echeggia in apertura (cfr v. 1), si trova tre volte al centro del Salmo (cfr vv. 4-5) e ritorna alla fine (cfr v. 7).
La tonalità spirituale dell’intero canto è ben espressa dal versetto conclusivo: «Giusto è il Signore, ama le cose giuste». È questa la radice di ogni fiducia e la sorgente di ogni speranza nel giorno dell’oscurità e della prova. Dio non è indifferente nei confronti del bene e del male, è un Dio buono e non un fato oscuro, indecifrabile e misterioso.
2. Il Salmo si svolge sostanzialmente in due scene. Nella prima (cfr vv. 1-3) si descrive l’empio nel suo apparente trionfo. Egli è tratteggiato con immagini di taglio bellico e venatorio: è il perverso, che tende il suo arco da guerra o da caccia per colpire violentemente la sua vittima, ossia il fedele (cfr v. 2). Quest’ultimo è, perciò, tentato dall’idea di evadere e di liberarsi da una morsa così implacabile. Vorrebbe fuggire «come un passero verso il monte» (v. 1), lontano dal gorgo del male, dall’assedio dei malvagi, dalle frecce delle calunnie lanciate a tradimento dai peccatori.
C’è una sorta di scoraggiamento nel fedele che si sente solo e impotente di fronte all’irruzione del male. Gli sembrano scosse le fondamenta del giusto ordine sociale e minate le basi stesse della convivenza umana (cfr v. 3).
3. Ecco, allora, la svolta, delineata nella seconda scena (cfr vv. 4-7). Il Signore, assiso sul trono celeste, abbraccia col suo sguardo penetrante tutto l’orizzonte umano. Da quella postazione trascendente, segno dell’onniscienza e onnipotenza divina, Dio può scrutare e vagliare ogni persona, distinguendo il bene dal male e condannando con vigore l’ingiustizia (cfr vv. 4-5).
È molto suggestiva e consolante l’immagine dell’occhio divino la cui pupilla è fissa e attenta alle nostre azioni. Il Signore non è un remoto sovrano, chiuso nel suo mondo dorato, ma una vigilante Presenza schierata dalla parte del bene e della giustizia. Egli vede e provvede, intervenendo con la sua parola e la sua azione.
Il giusto prevede che, come era accaduto a Sodoma (cfr Gn 19,24), il Signore «farà piovere sugli empi brace, fuoco e zolfo» (Sal 10,6), simboli del giudizio di Dio che purifica la storia, condannando il male. L’empio, colpito da questa pioggia ardente, che prefigura la sua sorte ultima, sperimenta finalmente che «c’è Dio che fa giustizia sulla terra!» (Sal 57,12).
4. Il Salmo, però, non si conclude con questo quadro tragico di punizione e di condanna. L’ultimo versetto apre l’orizzonte alla luce e alla pace destinate al giusto che contemplerà il suo Signore, giudice giusto, ma soprattutto liberatore misericordioso: «Gli uomini retti vedranno il suo volto» (Sal 10,7). Un’esperienza, questa, di comunione gioiosa e di serena fiducia nel Dio che libera dal male.
Una simile esperienza hanno fatto innumerevoli giusti nel corso della storia. Molte narrazioni descrivono la fiducia dei martiri cristiani di fronte ai tormenti e la loro fermezza che non rifuggiva dalla prova.
Negli Atti di Euplo, diacono catanese, morto verso il 304 sotto Diocleziano, il martire esce spontaneamente in questa sequenza di preghiere: «Grazie, o Cristo: proteggimi perché soffro per te… Adoro il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Adoro la Santa Trinità… Grazie, o Cristo. Vieni in mio soccorso, o Cristo! Per te soffro, Cristo… Grande è la tua gloria, o Signore, nei servi che ti sei degnato di chiamare a te!… Ti rendo grazie, Signore Gesù Cristo, perché la tua forza mi ha consolato; tu non hai permesso che la mia anima perisse con gli empi e mi hai concesso la grazia del tuo nome. Ora conferma quello che hai fatto in me, affinché sia confusa l’impudenza dell’Avversario» (A. Hamman, Preghiere dei primi cristiani, Milano 1955, pp. 72-73).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 28 gennaio 2004]
The Sadducees, addressing Jesus for a purely theoretical "case", at the same time attack the Pharisees' primitive conception of life after the resurrection of the bodies; they in fact insinuate that faith in the resurrection of the bodies leads to admitting polyandry, contrary to the law of God (Pope John Paul II)
I Sadducei, rivolgendosi a Gesù per un "caso" puramente teorico, attaccano al tempo stesso la primitiva concezione dei Farisei sulla vita dopo la risurrezione dei corpi; insinuano infatti che la fede nella risurrezione dei corpi conduce ad ammettere la poliandria, contrastante con la legge di Dio (Papa Giovanni Paolo II)
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Today, as yesterday, the Church needs you and turns to you. The Church tells you with our voice: don’t let such a fruitful alliance break! Do not refuse to put your talents at the service of divine truth! Do not close your spirit to the breath of the Holy Spirit! (Pope Paul VI)
Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi e si rivolge a voi. Essa vi dice con la nostra voce: non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda! Non rifiutate di mettere il vostro talento al servizio della verità divina! Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo! (Papa Paolo VI)
Sometimes we try to correct or convert a sinner by scolding him, by pointing out his mistakes and wrongful behaviour. Jesus’ attitude toward Zacchaeus shows us another way: that of showing those who err their value, the value that God continues to see in spite of everything (Pope Francis)
A volte noi cerchiamo di correggere o convertire un peccatore rimproverandolo, rinfacciandogli i suoi sbagli e il suo comportamento ingiusto. L’atteggiamento di Gesù con Zaccheo ci indica un’altra strada: quella di mostrare a chi sbaglia il suo valore, quel valore che continua a vedere malgrado tutto (Papa Francesco)
Deus dilexit mundum! God observes the depths of the human heart, which, even under the surface of sin and disorder, still possesses a wonderful richness of love; Jesus with his gaze draws it out, makes it overflow from the oppressed soul. To Jesus, therefore, nothing escapes of what is in men, of their total reality, in which good and evil are (Pope Paul VI)
Deus dilexit mundum! Iddio osserva le profondità del cuore umano, che, anche sotto la superficie del peccato e del disordine, possiede ancora una ricchezza meravigliosa di amore; Gesù col suo sguardo la trae fuori, la fa straripare dall’anima oppressa. A Gesù, dunque, nulla sfugge di quanto è negli uomini, della loro totale realtà, in cui sono il bene e il male (Papa Paolo VI)
People dragged by chaotic thrusts can also be wrong, but the man of Faith perceives external turmoil as opportunities
Un popolo trascinato da spinte caotiche può anche sbagliare, ma l’uomo di Fede percepisce gli scompigli esterni quali opportunità
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
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