Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Si celebra oggi la festa di Santo Stefano, primo martire. Il Libro degli Atti degli Apostoli ci parla di lui (cfr cap. 6-7) e nella pagina della liturgia di oggi ce lo presenta nei momenti finali della sua vita, quando viene catturato e lapidato (cfr 6,12; 7,54-60). Nel clima gioioso del Natale, questa memoria del primo cristiano ucciso per la fede potrebbe apparire fuori luogo. Tuttavia, proprio nella prospettiva della fede, l’odierna celebrazione si pone in sintonia con il vero significato del Natale. Nel martirio di Stefano, infatti, la violenza è sconfitta dall’amore, la morte dalla vita: egli, nell’ora della testimonianza suprema, contempla i cieli aperti e dona ai persecutori il suo perdono (cfr v. 60).
Questo giovane servitore del Vangelo, pieno di Spirito Santo, ha saputo narrare Gesù con le parole, e soprattutto con la sua vita. Guardando a lui, vediamo realizzarsi la promessa di Gesù ai suoi discepoli: “Quando vi maltratteranno per causa mia, lo Spirito del Padre vi darà la forza e le parole per dare testimonianza” (cfr Mt 10,19-20). Alla scuola di Santo Stefano, diventato simile al suo Maestro sia nella vita sia nella morte, anche noi fissiamo lo sguardo su Gesù, testimone fedele del Padre. Impariamo che la gloria del Cielo, quella che dura per la vita eterna, non è fatta di ricchezze e potere, ma di amore e donazione di sé.
Abbiamo bisogno di tenere lo sguardo fisso su Gesù, «autore e perfezionatore della nostra fede» (Eb 12,2), per poter rendere ragione della speranza che ci è stata donata (cfr 1Pt 3,15), attraverso le sfide e le prove che dobbiamo affrontare quotidianamente. Per noi cristiani, il cielo non è più lontano, separato dalla terra: in Gesù, il Cielo è disceso sulla terra. E grazie a Lui, con la forza dello Spirito Santo, noi possiamo assumere tutto ciò che è umano e orientarlo verso il Cielo. Così che la prima testimonianza sia proprio il nostro modo di essere umani, uno stile di vita plasmato secondo Gesù: mite e coraggioso, umile e nobile, non violento.
Stefano era diacono, uno dei primi sette diaconi della Chiesa (cfr At 6,1-6). Egli ci insegna ad annunciare Cristo attraverso gesti di fraternità e di carità evangelica. La sua testimonianza, culminata nel martirio, è fonte di ispirazione per il rinnovamento delle nostre comunità cristiane. Esse sono chiamate a diventare sempre più missionarie, tutte protese all’evangelizzazione, decise a raggiungere gli uomini e le donne nelle periferie esistenziali e geografiche, dove più c’è sete di speranza e di salvezza. Comunità che non seguono la logica mondana, che non mettono al centro sé stesse, la propria immagine, ma unicamente la gloria di Dio e il bene della gente, specialmente dei piccoli e dei poveri.
La festa di questo primo martire Stefano ci chiama a ricordare tutti i martiri di ieri e di oggi, - oggi sono tanti! - a sentirci in comunione con loro, e a chiedere a loro la grazia di vivere e morire con il nome di Gesù nel cuore e sulle labbra. Maria, Madre del Redentore, ci aiuti a vivere questo tempo di Natale fissando lo sguardo su Gesù, per diventare ogni giorno più simili a Lui.
[Papa Francesco, Angelus 26 dicembre 2019]
IV Domenica di Avvento (anno A) [21 Dicembre 2025]
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Ci avviciniamo al Natale e la Parola di Dio ci ricorda la fedeltà del Signore anche quando l’infedeltà del suo popolo potrebbe stancarlo. (prima lettura). Il vangelo ci fa incontrare san Giuseppe, l’uomo che nel silenzio accetta e compie la sua missione di padre del Figlio di Dio
*Prima Lettura dal libro del profeta Isaia (7,10-14)
Siamo intorno al 735 a.C. il regno di David è da due secoli diviso in due stati: Samaria al Nord e Gerusalemme al Sud, dove regna Achaz, un giovane re di vent’anni. La situazione politica è drammatica: l’impero assiro, con capitale Ninive, domina la regione; i re di Damasco e Samaria, già sconfitti dagli Assiri, ora si ribellano e assediano Gerusalemme per sostituire Achaz con un sovrano alleato. Il re si lascia prendere dal panico: “il cuore del re e il cuore del popolo si agitarono come gli alberi della foresta per il vento” (Is 7,2). Il profeta Isaia lo invita alla calma e alla fede: Dio ha promesso di mantenere viva la dinastia di David; la stabilità dipende dalla fiducia nel Signore: se non crederete, non resterete saldi. Achaz però non ascolta: si rivolge agli idoli e arriva a compiere un gesto atroce e proibito dai profeti, sacrificando il figlio unico facendolo passare per il fuoco (cf.2Re 16,3). Poi decide di chiedere aiuto all’Assiria, scelta che comporta la perdita dell’indipendenza politica e religiosa. Isaia vi si oppone duramente: è un tradimento dell’Alleanza e della liberazione iniziata con Mosè. In questo contesto Isaia offre un segno: “Chiedi per te un segno dal Signore tuo Dio”. Achaz risponde ipocritamente fingendo per umiltà di non chiederlo per non tentare il Signore, mentre ha già deciso di affidarsi all’Assiria. Isaia replica piuttosto duramente dicendo di non stancare “il mio Dio”, quasi a indicare che Achaz si pone ormai fuori dall’Alleanza. Nonostante l’infedeltà del re, Dio rimane fedele e, dice Isaia, “il Signore stesso vi darà un segno”: la giovane donna (la regina) è incinta e il figlio si chiamerà Emmanuele, “Dio con noi”. Questo messaggio di Isaia è uno dei testi classici del messianismo biblico. Né i nemici, né il peccato del re potranno annullare la promessa fatta da Dio a David. Il bambino – probabilmente il futuro re Ezechia – saprà scegliere il bene grazie allo Spirito del Signore, e prima ancora che cresca, la minaccia di Samaria e Damasco sparirà. Infatti, poco dopo, i due regni vengono annientati dagli Assiri. La libertà degli uomini resta intatta, e anche Ezechia commetterà errori; ma la profezia di Isaia afferma che nulla può impedire la fedeltà di Dio verso la discendenza di David. Per questo, nei secoli, Israele attenderà un re che realizzi pienamente il nome di Emmanuele. La nascita del bambino è più di una buona notizia: è annuncio di perdono. Sacrificando il proprio figlio al dio Moloch, Achaz ha compromesso la promessa fatta a David; ma Dio non ritira il suo impegno. La nascita del nuovo erede mostra che la fedeltà di Dio supera l’infedeltà degli uomini.Il “segno” assume così un’altra incoraggiante dimensione messianica che vediamo meglio nel vangelo di questa domenica.
Elementi importanti da ricordare: +Contesto storico: 735 a.C., regno diviso, minacce da Siria, Samaria e Assiria. +Panico di Achaz e invito di Isaia alla fede. +Infedeltà grave del re: idolatria e sacrificio del figlio. +Scelta politica sbagliata: alleanza con l’Assiria. +Il segno di Isaia: nascita del bambino chiamato Emmanuele. +Compimento immediato: distruzione di Siria e Samaria da parte dell’Assiria. +Tema centrale: l’infedeltà degli uomini non annulla la fedeltà di Dio. +La nascita come annuncio di perdono e continuità della promessa davidica.
Salmo responsoriale (23/24, 1-2. 3-4. 5-6)
Il salmo ci porta al tempio di Gerusalemme: una grande processione arriva alle porte e due cori dialogano chiedendo: “Chi potrà salire sul monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo?” L’immagine richiama Isaia che descrive il Dio tre volte santo come un fuoco divorante davanti al quale nessuno potrebbe “stare” senza il suo aiuto. Il popolo d’Israele ha scoperto che questo Dio totalmente “Altro” si fa anche il Dio totalmente “vicino”, permettendo all’uomo di restare alla sua presenza. La risposta del salmo è: “Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non si rivolge agli idoli”. Non si tratta prima di tutto di moralismo, perché il popolo sa di essere ammesso davanti a Dio per grazia, non per merito proprio. Qui “cuore puro” significa un cuore non mescolato, rivolto unicamente al Dio unico; “mani innocenti” sono mani che non hanno offerto sacrifici agli idoli. L’espressione “non si rivolge/letteralmente non eleva l’anima”» indica non rivolgersi a divinità vuote: “elevare gli occhi” nella Bibbia significa invocare, pregare, riconoscere qualcuno come Dio. Questo versetto richiama la grande lotta dei profeti contro l’idolatria. Isaia aveva già contrastato Achaz nel VIII secolo; e anche durante l’Esilio a Babilonia, il popolo – immerso in una cultura politeista – fu tentato di tornare agli idoli. Il salmo, cantato dopo l’Esilio, ricorda che la prima condizione dell’Alleanza è restare fedeli al Dio unico. Cercare il volto di Dio è un’immagine ripresa dal linguaggio della corte: solo chi è fedele al Re può essere ammesso alla sua presenza. Gli idoli sono definiti “dei vuoti”: il salmo 115 descrive magistralmente la loro nullità – hanno occhi, bocca, mani, ma non vedono, non parlano, non agiscono. A differenza di queste statue, Dio è vivente e opera davvero. La fedeltà al Dio unico è quindi la condizione per ricevere la benedizione promessa ai padri e per entrare nel suo progetto di salvezza. Per questo Gesù dirà: “Nessuno può servire due padroni” (Mt 6,24).
Questa fedeltà, però, non resta astratta: trasforma concretamente la vita. Il cuore puro diventa un cuore di carne capace di eliminare odio e violenza; le mani innocenti diventano mani incapaci di fare il male. Il salmo dice: “Egli otterrà benedizione dal Signore, giustizia da Dio sua salvezza”: significa sia conformarsi al progetto di Dio, sia vivere relazioni giuste con gli altri. Qui si intravede già la luce delle Beatitudini: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio… beati quelli che hanno fame e sete di giustizia”. L’espressione alzare gli occhi, qui espressa con “chi non si rivolge agli idoli”(v.4) ritorna in Zaccaria e nel Vangelo di Giovanni: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37), segno di un nuovo incontro con Dio.
Elementi importanti da ricordare: +Scena del tempio con il dialogo dei cori. +Dio tre volte santo e insieme vicino: permette all’uomo di “stare” davanti a Lui. +“Cuore puro” e “mani innocenti” come fedeltà al Dio unico, non idolatria e lotta continua dei profeti contro le idolatrie (Achaz, Esilio). +Idoli come “dei vuoti”; critica del salmo 115. +Fedeltà al Dio unico come prima condizione dell’Alleanza che ha come conseguenze etiche la vita giusta, un cuore rinnovato, mani non violente.
Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo ai romani (1,1-7)
San Paolo apre la lettera ai Romani riassumendo tutta la fede cristiana: le promesse contenute nelle Scritture, il mistero di Cristo, la sua nascita e la sua risurrezione, l’elezione gratuita del popolo santo e la missione degli Apostoli verso le nazioni pagane. Scrivendo a una comunità che non ha ancora incontrato, Paolo si presenta con due titoli: “servo di Gesù Cristo e apostolo per chiamata”, cioè inviato, uno che agisce per mandato. Subito attribuisce a Gesù il titolo di Cristo, che significa Messia: dire “Gesù Cristo” equivale a professare che Gesù di Nazaret è il Messia atteso. Paolo afferma di essere stato “scelto per annunciare il Vangelo di Dio”, la Buona Notizia: annunciare il Vangelo significa annunciare che il progetto di Dio è totalmente benevolo e che questo progetto si compie in Gesù Cristo. Questa Buona Notizia, dice Paolo, era già stata promessa nei profeti. Senza l’Antico Testamento non si comprende il Nuovo perché il disegno di Dio è unico, rivelato progressivamente lungo la storia. La Risurrezione del Cristo é il centro della storia, il cuore del progetto divino fin dall’origine, come Paolo ricorda anche nella lettera agli Efesini, dove parla della volontà di Dio di ricapitolare tutte le cose in Cristo (Ef 1,9-10). “Secondo la carne”: Gesù è discendente di Davide, quindi vero uomo e Messia. “Secondo lo Spirito”: Gesù ,è costituito Figlio di Dio “con potenza” attraverso la sua Risurrezione e nella Risurrezione Dio lo intronizza come Re dell’umanità nuova. Per Paolo, questo è l’evento che cambia la storia perché “se Cristo non è risorto, è vana anche la vostra fede”(cf.1Cor 15,14). Per questo annuncia ovunque la Risurrezione, affinché “il nome di Gesù Cristo sia riconosciuto”, come scrive anche nella lettera ai Filippesi (2,9-11), Dio gli ha dato il Nome sopra ogni altro nome, quello stesso di “Signore”. Paolo sente che la sua missione apostolica è “suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti”. L’“obbedienza” non è servilismo, ma ascolto fiducioso: è l’atteggiamento del figlio che si fida dell’amore del Padre e accoglie la sua Parola. Paolo conclude con un suo augurio tipico: “Grazia a voi e pace da Dio” che è quanto viene espresso nella benedizione sacerdotale del libro dei Numeri: la grazia e la pace vengono sempre da Dio, ma tocca all’uomo accoglierle liberamente.
Elementi più importanti d ricordare: +Sintesi della fede cristiana: le promesse si realizzano in Cristo, nella Risurrezione, elezione e missione. +Titoli di Paolo sono servo e apostolo mentre il Titolo “Cristo” è “Messia”,che è una professione di fede; +Vangelo è il progetto misericordioso di Dio compiuto in Cristo. +Unità tra Antico e Nuovo Testamento e Cristo nella sua identità “Secondo la carne” e “secondo lo Spirito”: è al centro del disegno di Dio fin dall’origine. +La Risurrezione è l’evento decisivo. e l”obbedienza della fede” è l’ ascolto fiducioso. + Benedizione finale: grazia e pace, nella libertà dell’uomo.
Dal Vangelo secondo Matteo (1,18-24)
Matteo apre il suo Vangelo con l’espressione: “Genealogia di Gesù Cristo”, il libro cioè della genesi di Gesù Cristo e presenta una lunga genealogia che dimostra la discendenza davidica di Giuseppe. Seguendo la formula “A generò B”, Matteo giunge a Giuseppe, ma rompe lo schema: non può dire “Giuseppe generò Gesù”, l’evangelista scrive invece: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo” (Mt 1,16). Questa formula mostra che la genealogia subisce una svolta: perché Gesù sia inserito nella linea di Davide non basta la sua nascita, ma occorre che Giuseppe lo adotti. Il Figlio di Dio, in un certo senso, si consegna alla libertà di un uomo: il progetto divino dipende dal “sì” di Giuseppe. Conosciamo bene l’Annunciazione a Maria nel Vangelo di Luca, ampiamente rappresentata nell’arte. Molto meno rappresentata invece è l’Annunciazione a Giuseppe, benché sia decisiva: la storia umana di Gesù inizia grazie alla libera accoglienza di un uomo giusto. L’angelo chiama Giuseppe “figlio di Davide” e gli rivela il mistero della filiazione di Gesù: concepito dallo Spirito Santo, e tuttavia riconosciuto come suo figlio. “Non temere di prendere con te Maria tua sposa” significa che Gesù entrerà nella casa di Giuseppe, e sarà lui a imporgli il nome. Matteo spiega anche il significato del nome Gesù: significa “Il Signore salva”. La sua missione non è solo liberare Israele da un potere umano, ma salvare il suo popolo dai peccati. Nella tradizione ebraica, l’attesa del Messia includeva un rinnovamento totale: nuova creazione, giustizia e pace. Tutto questo Matteo lo vede racchiuso nel nome di Gesù. Il testo precisa: “il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”. I racconti della concezione verginale sono due: questo di Matteo (Annunciazione a Giuseppe) e quello di Luca (Annunciazione a Maria). La Chiesa confessa questa verità come articolo di fede: Gesù è insieme vero uomo, nato da una donna, inserito nella discendenza di Davide grazie alla libera scelta di Giuseppe; e vero Figlio di Dio, concepito dallo Spirito Santo. Matteo collega il tutto alla profezia di Isaia: “La vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa“Dio-con-noi””. La traduzione greca di Isaia (Settanta), che Matteo cita, usa il termine «vergine» (parthenos), mentre il testo ebraico usa almah che indica “giovane donna” non ancor sposata: già la traduzione antica rifletteva la convinzione che il Messia sarebbe nato da una vergine. Matteo insiste: il bambino si chiamerà Gesù (il Signore salva), ma il profeta lo chiama Emmanuele (Dio-con-noi). Non è una contraddizione: alla fine del Vangelo di Matteo Gesù dirà: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”(Mt28,20). Il suo nome e la sua missione coincidono: salvare significa essere con l’uomo, accompagnarlo, non abbandonarlo mai. Giuseppe ha creduto e accolto la presenza di Dio. Come Elisabetta disse a Maria: “Beata colei che ha creduto” (Lc 1,45), allo stesso modo possiamo dire: «Beato Giuseppe che ha creduto: grazie a lui Dio ha potuto realizzare il suo disegno di salvezza». Matteo usa per due volte la parola «genesi» (Mt 1,1.18), come nel libro della Genesi quando si parla della discendenza di Adamo. Questo suggerisce che in Gesù si ricapitola l’intera storia umana: egli è il Nuovo Adamo, come dirà san Paolo.
Elementi più importanti da ricordare: Ruptura nella genealogia: Gesù non è “generato” da Giuseppe ma per adozione realizza il progetto della salvezza. +Libertà di Giuseppe fondamentale nel compimento del disegno divino. +Titolo “figlio di Davide” e ruolo giuridico di Giuseppe. +Nome di Gesù = “Il Signore salva” missione di salvezza dai peccati. +Concezione verginale: mistero di fede, vero uomo e vero Figlio di Dio. +Citazione di Isaia 7,14 secondo la traduzione greca (“vergine”). +Gesù e Emmanuele: salvezza come presenza costante di Dio. +Parallelo con la beatitudine di Elisabetta: fede di Giuseppe. +Gesù come “Nuovo Adamo” secondo il richiamo alla “genesi”.
Commento di Sant’Agostino, Sermone 51, sull’Incarnazione
“Giuseppe fu più grande nel silenzio che molti nella parola: credette all’angelo, accolse il mistero, protesse ciò che non comprendeva pienamente. In lui vediamo come la fede non consiste nel capire tutto, ma nel fidarsi di Dio che opera in segreto.” Agostino sottolinea così il ruolo unico di Giuseppe: la sua fede è obbedienza fiduciosa; accoglie Cristo senza possederlo; diventa custode del mistero che salva il mondo.
+Giovanni D’Ercole
(Natale di Lc)
Non avrebbe senso mettere una torta farcita di candeline, davanti al Presepe. Inneggiamo ben altra Meraviglia: la scoperta di un Tesoro, nascosto dietro i nostri lati oscuri.
Natale non è una ricorrenza o compleanno, ma un evento di Rivelazione del Volto divino: non Padrone assoluto, ma povero nudo e disarmato tra gente qualsiasi, adagiato su luogo impuro.
Ci sentiamo “malfatti”? Siamo sulla strada giusta - che non è quella dei controlli esasperati.
Dio non si è “fatto superuomo”, bensì «Carne». Realtà che il Padre fa respirare, abbraccia e recupera - illumina e non scarta.
Senso del Natale è lasciare che tutte le incerte ma irripetibili implicazioni dell’imperfezione ci attraversino. Non come una colpa.
I punti “deboli” e le eccentricità diverranno punti di forza.
C’è bisogno di tempo imprevedibile, per tracciare la via della crescita - percorso inatteso; e Dio lo accetta.
Incarnazione è un’irruzione d’Eternità fra le nostre mura e le crisi, Imprevisto sognante che investe le periferie e non pone distanze.
Nei pastori - che siamo noi - i grezzi, supplenti e impuri, diventano incaricati prioritari.
Giudizio stridente rispetto all’effimero autentico: quello delle opinioni cerimoniali.
Non è una redenzione estrinseca, mirata solo per i disadattati della società, beninteso. Ci riguarda.
Sotto la momentanea scorza delle nostre “cose certe” briga un seme che farà il nostro nuovo Bimbo.
Il Gesù interiore vuole essere allattato, custodito, nutrito, affinché cresca secondo un Disegno intimo, un processo di Esodo sacro (ma non protetto) che salva.
Mistero che non è a portata naturale esterna, perché in sintonia con la Chiamata per Nome, con l’irripetibile carattere vitale innato, anche poliedrico - il quale non va spento.
Lo sviluppo delle emozioni, d’inclinazioni e passioni, delle nostre Radici, non va disturbato da tare di pensiero, da cappe di consuetudini, o condizionamenti.
[Persino le accelerazioni intralciano l’evoluzione: ad es. la voglia di affrontare l’insufficienza, onde risolverla immediatamente].
In generale, nuoce la battaglia che allestiamo con noi stessi per essere accettati - conformi al contorno.
Ma così l’impegno è a sedersi in una armatura che non ci appartiene.
Giorno dopo giorno una Fiamma sta partorendo un altro e differente Infante - in apparenza contraddittorio, squilibrato, malfermo, intaccato.
Questo gagliardo adolescente non gode di programmi laceranti, bensì d’una consapevolezza di Fede: il Creatore vuole passeggiare-con le nostre difformità.
C’è un Gesù intimo, forse non ancora svezzato: ci sorride sereno e a braccia aperte.
Non c’è verità più bella che nella vertigine di poter partorire ed esprimere il Piccolo nascosto che ciascuno è nel volto dell’anima.
Nell’ultima sua Veglia di Natale Paolo VI tenne a sottolineare che nell’arrivo del Verbo «Ciascuno può dire: per me!».
Questo Tempo ci aiuti a comprendere tale dimensione personale; non siamo coloro che devono lottare contro se stessi.
Per un Natale ch’è già Pasqua. Il bozzolo bucato farà la nostra Farfalla.
Maria, l’Arte della Percezione che rompe gli schemi
(Lc 2,19) (Lc 1,26-38)
Per una vita dall’Io autentico al Culmine sconosciuto
«Ora, Maria conservava e custodiva tutte - proprio tutte - queste parole-evento, mettendole insieme e comparandole nel suo cuore» [senso del testo greco].
Cosa ne era di lei, del Figlio e di tutti gli altri?
Voleva capire le affinità essenziali - con l'anima e altrove: il senso degli strani e semplici accadimenti. Regola d’oro anche per noi.
Nel ritratto di Gesù che allattava, il suo silenzio non permaneva collocato - e non si lasciava demotivare: scavando.
Per questo conosceva ben più cose espressive di tante menti - sublimi eppure incapaci di uscire dagli automatismi, già allagate di dottrine e tradizioni ragguardevoli.
Siamo volentieri anche noi lì, con Maria; in una cultura che c’invade i sensi e inquina l'anima di opinioni rumorose, di modelli apparentemente eloquenti ma che mettono in ginocchio: stressanti e futili.
Tutte riproduzioni enfatiche, d’impatto - ma esterne.
Eppure debordano nell’intimo, e malgrado le apparenze scintillanti, chiudono la personalità in uno spazio ristretto, di abitudini malsane, solo da esibire.
Ci costringiamo infatti a correre da una parte all’altra, spesso a recitare prototipi. Appunto, intrigati a forza da piani, organigrammi e pensieri, anche devoti, i quali divengono però forme di banalizzazione personale e sociale.
Ci stiamo abituando alla paura del nostro lato discreto, riservato, non pettegolo, appartato, nascosto, tutto nostro e vicino alla Fonte: in una parola, custode della Chiamata per Nome - che vuol fare pausa per tornare all’Ascolto antico del nuovo.
Un lato che ancora non conosciamo: esso non ha mai lo stesso tono di sempre. È tutto nostro, ma allude agli incontri veri.
Affinando la visione interiore, cogliamo la nostra scaturigine e il senso della storia; e le sue pieghe - così possiamo partorire ancora il mondo prezioso dentro e fuori di noi.
Lo facciamo a partire dall’impalpabile che fa da perno dell’essenza. E custodisce il Fuoco dentro.
Per un tratto - sempre più breve - gli opinionisti ufficiali c’illudono di stare al centro del mondo.
Vogliono inocularci il falso senso di protagonismo e permanenza che rapidamente svanisce; in realtà, ci travolgono.
Sentiamo il bisogno di una riscoperta dell’essere e dell’essenza, non dissolti nel regno della notte e dell’illusione [avere potere apparire, trattenere salire dominare]. Senza fughe, né ritmi che non ci appartengono.
Cerchiamo un coinvolgimento, e una distanza.
Vogliamo ‘percepire’ come Maria e come i pastori - sconclusionati da opinioni religiose altrui - per divenire e rinascere, e divenire ancora. Recuperando le frenesie, le sorprese, le ferite; senza disperdere il Centro.
“Rifugiarsi” in uno spazio segreto non era per Lei un ritrovare la se stessa attesa da tutti, stereotipa e adeguata come sempre.
Esprimeva piuttosto il suo essere - in fuga dai modi convenzionali.
Per vivere intensamente non desiderava entrare nella nomenclatura - poi essere normale, e asservita - piuttosto allontanarsi, ma stando lì. Perciò non escludeva nulla.
Si è riconosciuta pure in quei vagabondi.
Mai si sarebbe immaginata protagonista (recitante) d’una tradizione che l’ha collocata su piedistalli, forme, attributi solenni, e costrizioni - proprio quelle che l’avrebbero resa dolcemente ma decisamente ribelle.
Non si rivisitava per crogiolarsi, bensì per verificare e riattivare il suo ‘modo’ - che non voleva perdere: poteva essere travolto da pareri esterni e seppellito da circostanze [impellenti ma senza orizzonte].
Non voleva smarrire il proprio Indirizzo dentro mete comuni, omologate, perdendo di vista ciò che era davvero, e la introduceva nel cielo del senza tempo - né bramava assomigliare alla maggioranza, o starle sopra.
Quella che le abbiamo costruito noi, non è casa sua.
Maria non si affacciava sulla realtà e oggi dentro di noi [per aiutarci a guardare il “nostro” Mistero] col viso conforme; edulcorato e artefatto, o intimista, paludoso.
La sua anima era sempre in viaggio. Per conoscere l’inconoscibile, mai si sarebbe fermata - anche senza sapere in anticipo dove andare.
Il suo carattere non voleva le certezze della sistemazione. Senza tentennare, anche in sé preferiva intuire e vivere la Passione d’amore.
Si lasciava guidare e salvare, ma a partire dal suo stesso centro sacro, santuario del Dio-Con. Colui che sblocca, c’incammina, e libera.
Non poteva consentire che la sua Vocazione venisse coperta da idoli, né da alcuna trama, che pur si stava svolgendo.
Nel ‘qui e ora’ ritrovava la sua affinità proprio dal suo stesso essere viandante, che avanzando poneva i disagi alle spalle.
Sviluppando l’occhio interiore, trasmutava anche il suo interno per ritrovare il passo dell’Annunciazione nascosta nei disadattati, che ancora la conduceva.
Solo questo le durava negli anni - non il lato funzionale.
Non sognava di fare una vita tranquilla, bensì di capire la personale missione.
Senza ingenuità s’interrogava sul significato delle chiamate intime, degli accadimenti, delle vie traverse, e dei suoi moti - estranea solo all’ansia di piacere a tutti.
Desiderava comprendere come inserirsi al meglio, procedendo verso la nuova terra promessa [cf. Lc 1,29: «Ma fu molto turbata per la Parola e si domandava che saluto fosse questo»; Lc 1,34: «Come sarà questo?»].
La quiete dentro non era uniforme, bensì colma delle vicissitudini e di ‘notizie’ imprevedibili.
Mai avrebbe voluto diventare modello: un documento d’identità scaduto - ingessato, dogmatico. Mai icona di privilegi, e sfarzosa - come una donna che spegne la sua consapevolezza, e si rende identificata, vuota, vetusta, disgiunta.
In mezzo agli altri - persino lazzaroni, poco delicati, indiscreti - Maria lasciava fare, percependo i suoni inudibili del silenzio dell’anima.
Note che producevano la sua figura e - ancor meglio - la sua evoluzione e Destinazione, senza disturbarla con ostinazioni separate.
Togliendo lo sguardo dall’intenzione conformista.
Per esistere davvero, intensamente, cambiava o faceva breccia; recuperava la storia ma ascoltava l’interno di sé.
Cogliendo i propri strati profondi, percependosi nelle voci più intime, prendeva coscienza del senso della sua vita, e della storia che si svolgeva.
Negl’intervalli di pensiero, riattivava l’energia dello ‘sguardo’.
E senza mortificazioni portava l’attenzione su un’altra dimensione, entrando gradualmente nel Vento che incessantemente la disinnestava.
In tal guisa, imparava a non aspettarsi qualcosa di allineato ai propositi e previsioni normali, né alla graduatoria sociale e culturale: doveva introdursi nelle vicende, e staccarsi (per contemplarne l’importanza e profondità).
Misteriosamente - così scrutando senza troppo fare - leggeva le ‘note’, sceglieva i registri giusti; interpretava lo spartito.
Epifania di Dio in una creatura del tutto priva di stile ieratico o cortese; piuttosto, delicato e gitano.
Non si è precipitata a mettere a posto le cose: intuiva «dentro» la vita sommaria, invece che condurla e organizzarla, o disporla.
Attendeva che il suo Sé eminente facesse da guida allo strano percorso non dirigista né volontarista che si stava dispiegando, davvero tutto eccentrico e poco esemplare.
Non si attivava per compiacere.
Impariamo in Lei anche noi: a vedere accadere il Dio domestico, le ‘visite’ che non aspetteremmo; l'intensità delle cromie differenti.
Esse che poi ci portano a un diverso sguardo anche nell’anima; coinvolta e distaccata.
Al pari della realtà circostante, Maria non era sempre uguale.
Non aveva in mente un campione da inseguire sino in fondo, per poi trovarsi cronicizzata nell’esemplarità altrui - sradicata, esteriore, dissipata e scarica.
Situazioni ed emozioni avevano valore, non solo né anzitutto sulla base del registro a paradigmi - ormai inutile - con cui venivano interpretate.
Nella speranza delle cose presenti e nel loro sensibile Ascolto, veniva acquisendo fluidità.
In tal guisa, passando senza forzature dalla religione dei padri alla Fede, al rischio d’amicizia nell’imprevedibile proposta dell’unico Padre.
Ritirata nella Dimora dello Spirito, dentro una Speranza che si svelava onda su onda, imparava a comprendere le relazioni e le energie interiori, non impacchettate.
Una volta ascoltate e assunte, esse potevano deviare, e prendere proprio la strada inattesa.
Passo dopo passo, l’occhio, l’orecchio e il cuore attenti introducono anche noi - come Maria - in un territorio di sospensione delle intenzioni chiuse. Dove abita l’amore e il destino della Novità di Dio.
Espandeva la Visione non a partire unicamente dattorno.
Dispiegando il suo perdersi nel Noi, non selettivo, ma solo dal proprio centro sacro, anche l’orizzonte dilatava nella sensazione d’infinito in azione.
Nella contemplazione degli eventi, rendeva più corposa e persino reinventava la figura del cuore che l’aveva guidata fin lì.
Reinterpretava ancora l’immagine espressiva della sua Vocazione. E cambiava il suo destino - non dando peso alle angolazioni unilaterali.
Niente obblighi e propositi cesellati - controcorrente ma naturale, senza la lacerazione degli sforzi titanici.
Così perfino i disagi l’avvicinavano alla sua Missione di Madre della nuova umanità, nel Figlio.
E ciascuno egualmente ritrova l’energia della suggestione primordiale che lo conduce, affinché nella Meditazione riabbracci il Richiamo della Chiamata che vuole ancora strapparlo dalla palude.
Eco dell’Appello primigenio che s’intesse agli accadimenti ed è già la Destinazione.
Testimonianza ogni istante da riscoprire nel “vuoto intimo e colmo” da fare dentro, per attendere qualcosa che non sappiamo prima cosa sia.
Maria si faceva tracciare nel tempo dall’Amore senza brevetto.
Tali i Sogni delle creature totalmente immerse nelle passioni vere, che colgono, anticipano e attualizzano il senza-tempo nel tempo.
Non rinunciava a chiedersi cosa - dai molteplici aspetti - la stava abitando e silenziosamente guidava.
La immaginiamo ancora (v.19) ‘come ad occhi chiusi’: situazione che la nostra cultura spesso ignora.
Non pensava le cause efficienti: era per riscoprire altrimenti il suo aprire la porta ai visitatori, e a ogni novità da stupore.
Stava già allattando, non solo il Figlio; al contempo alimentava se stessa.
Non per vano intimismo riscopriva il Mistero sottile annidato nel diverso - e nel cangiante e crudo - imprevedibile dentro e fuori.
Senza rendersi conto, già nutriva il mondo, custodendosi.
Vera, giunge sino a noi e in noi, accudendo il nido dell’essenza e della storia... senz’apparenza alcuna di stendardi e vetrine - rispettando solo ciò che capita.
Similmente la sua intera Famiglia diventa la vera signora feconda di una Festa dell’Annuncio impossibile attorno - che non si capisce da dove sia nata (Lc 1,20).
Sicuramente da nulla di esteriore. Perciò decisivo.
Totalmente aderente alle circostanze e presente in sé, diveniva completamente - nei moti nitidi e spontanei, anche altrui.
Certo non aveva attorno gente che potesse vantare paraventi. Solo strani individui, ma che incessantemente lasciavano emergere l’istinto vitale.
Anche loro non si dicevano prima dove bisognasse andare. Per questo si ritrovavano in un’incessante gravidanza.
Avevano in serbo solo l’esperienza delle distanze; spesso gelo e rifiuto.
Mai conosciuta una figura che li aiutasse a riconoscersi completamente, e a guardare le cose dal punto di vista della soavità intramontabile scoperta.
Persino capaci di tendere al globale più largo e comprensivo [noi diremmo, all’eternità servizievole della condizione angelica].
Eccoli invece incendiati dalla Fiamma perenne - quella del mondo intero (passato, presente e futuro) che sa recuperare e stare nascostamente, a parte ma nel cosmo - come aurora e giorno del Signore.
Nella cultura del tempo, condizione degli spiriti del servizio al trono celeste, che glorificavano e lodavano Dio (v.20) «per tutto quello che avevano udito e avevano visto».
Di fronte alla Famiglia Chiesa domestica, in Maria e Gesù i pastori fanno un’esperienza decisiva.
Non più di carenza e giudizio unilaterali, ma di rinascita nella stima; di un altro mondo, disponibile e inclusivo - d’un altro regno, unisono senza uniformità.
La Madre di Dio è una possibilità di tendere all’eterno presente, non più esclusivo: ma come una danza, dove il tutto che cambia mette perfettamente a proprio agio - senza già le tracce da ricalcare.
Gli stravaganti della società, pellegrini e cani della prateria raccogliticci, abili solo nelle transumanze, forse mai avevano avuto la capacità di riconoscere l’estasi dello stare bene e intensamente nel sommario.
Forse mai avevano avuto l’esperienza di riconoscere in una creatura accurata il loro stesso lato sensibile, tenero e femminile.
Aspetto che nella Donna Chiesa autentica si fa custode e diversamente banditore [nei malfermi] dello scrigno della Vita.
Dal tepore di Maria e della Culla, fra i loro labirinti, ormai portavano nel proprio luogo appartato una benedizione entusiasmante, e il lato intimo indistruttibile; anche altrove.
Per mettere in discussione anche noi.
Cerchiamo un’anima silenziosa, per un’arte della rinascita.
Ecco Maria: ella aveva notato, mentre meditava, che di riflesso anche gli altri lo facevano.
Quando si ritagliava energie preparatorie, anche attorno ci si disponeva in modo più equilibrato, pieno all’Annuncio.
Camminava nella vita per custodire e alimentare nuovi padri e madri di umanizzazione.
Non per commentare, ma per intuire e sciogliere; per non spegnere il lato sognante con la parte “all’altezza”, vecchia.
Il suo regno della verecondia che cura l’io e il Tu era il cielo e la terra delle nuove potenze.
Virtù affidabili perché scaturite dal Silenzio della Via che la stava rinnovando completamente - amando le contraddizioni.
Perché tutto ora può accadere, rigenerare; e ogni giorno recare la sua marea (dell’inedito) nella presenza di Spirito, senza routine.
Un’anima genuina, priva di finzioni... lo può fare.
Per un’avventura che spinge via la continuità, ricolma di Eros fondante; per un’esplorazione diretta al Culmine sconosciuto.
Maria: Rallentando un po’, si Nasce
Chi non segue intuizioni innate, un richiamo più radicale del sé, o annunci sbalorditivi [Lc 1,26-38. 2,8-15] non sviluppa il suo destino, non si muove; non rimette le cose a posto.
I proclami comuni finiscono per incenerire le personalità.
È vero che i pastori non trovano nulla di straordinario e prodigioso, se non una famiglia ridotta in una condizione ordinaria, che conoscono.
Ma è quel semplice focolare a coinvolgerli nel nuovo Progetto, e nell’annuncio della sua scandalosa Misericordia senza condizioni - che non li ha fulminati per impurità.
La religione arcaica li aveva bollati per sempre: esseri persi, spregevoli, senza rimedio. Ora sono liberi dall’identificazione.
Hanno un altro occhio - come quello della prima volta. Sguardo che li porterà al cento per cento.
Esodati che si trovano davanti un’immagine di Dio indifeso, essi non si preoccupano d’impegnarsi in una disciplina etica: li avrebbe sgretolati.
Piuttosto, godono lo stupore d’una realtà semplicemente umana - in una misteriosa relazione di reciproco riconoscimento.
Un bimbo in una mangiatoia, luogo impuro dove si trastullavano le bestie.
Strano che il modesto segno li convinca, che faccia loro recuperare la stima, e li renda evangelizzatori - forse neanche assidui.
Al pari del Calvario (cui rimanda), la Manifestazione risolutiva dell’Eterno è un paradosso.
Ma la geografia affettiva di questa Betlemme priva di circuiti conformisti resta intatta, perché spontaneamente radicata in noi.
C’è un senso d’immediatezza, senza particolari intrecci o cerimonie.
Il Bambino neppure viene adorato dagli sguardi ora “puri” dei piccoli, vilipesi cani della prateria e delle transumanze - come viceversa faranno i Magi (Mt 2,11).
Loro neanche sapevano cosa significasse, riflettere cerimoniali di corte orientali - come il bacio delle pantofole rosse.
[Per questo motivo Papa Francesco le ha rifiutate, insieme all’ermellino - dopo che Paolo VI aveva avuto il coraggio di deporre il segno pluridirigista delle tiare, con le sue tre corone sovrapposte; un pochino più intricata è stata la vicenda dell’anacronistica sedia gestatoria].
I miserabili della terra e i lontani dei greggi sono coloro che ascoltano l’Annuncio, verificano prontamente, e fondano la nuova stirpe divina.
Gente non tormentata dal giudizio statico - uomini in mezzo a tutti; non più ad alta quota.
Intanto Maria ricercava il senso delle sorprese e così rigenerava, per un nuovo modo di capire e ‘stare’ insieme - per dare alla luce anche il mondo interno di tutto un diverso popolo della pienezza.
Ella metteva insieme fatti e Parola, per scoprirne il filo conduttore.
E rimanere ricettiva; non farsi condizionare dalle convinzioni dei recinti devoti - targati e inflessibili, che non le avrebbero dato scampo.
La Madre stessa, pur colta di sorpresa, si preparava all’eccentricità di Dio, senza allontanarsi dal tempo e dalla sua condizione reale.
La sua figura e quella dei pastori c’interpellano, chiedono il coraggio di una risposta - ma dopo aver lasciato fluire lo stesso genere di Presenze interiori: visitatrici degne, cui è concesso esprimersi.
Anche Lei ha dovuto come noi passare dalle credenze dei padri alla Fede nel Padre.
Dall’idea dell’amore come premio a quella del ‘dono’.
Dalla pratica dei culti e delle chiusure che non rendono affatto intimi all’Eterno, all’apertura della mente e degli usci.
Non lo ha realizzato senza fatica, bensì sopportando le resistenze del suo ambiente arido.
Gesù è stato infatti circonciso - inutile rito che secondo l’abitudine pretendeva mutare il Figlio di Dio in figlio di Abramo.
La Buona Novella proclama un capovolgimento: ciò che la religione aveva considerato lontano dall’Altissimo... è vicinissimo a Lui; anzi, gli corrisponde appieno.
Mai accaduto prima, immaginarselo.
Nelle Annunciazioni dei Vangeli è spalancata l’avventura della Fede.
E il nuovo Bimbo ha un Nome ch’esprime l’inaudita essenza di Salvatore, non giustiziere.
Tutta la sua vicenda sarà appunto pienamente istruttiva anche sotto il profilo di come interiorizzare incertezze e disagi: questi “momenti no” e le precarietà che c’insegnano a vivere.
Infatti, anche noi come Maria «andiamo riconoscendo» la presenza di Dio negli enigmi della Scrittura, nel Piccolo ‘avvolto in bende’ - persino nell’eco ancestrale dei nostri mondi interni.
E ci lasciamo andare - non sappiamo bene dove. Ma così è l’Infinito, l’immenso Segreto, l’inesplicabile Respiro, nelle sue pieghe.
Il saggio Sogno che abita l’umano sa di humus antico, ma il suo eco rinasce ogni giorno, nella marea dell’essere che orienta a ‘guardare’ davvero, senza veli.
Un contegno conformista di “vedere le cose” non risolverebbe il problema.
Talora, per non farsi condizionare bisogna riedificarsi nel silenzio, come la Vergine; costruirsi una sorta di isola ermeneutica che schiuda porte differenti, che introduca altre luci.
Entro il suo circuito sacro anche la Madre di Dio valorizzava le innate energie trasformative, proprio radicandole sugli interrogativi…
Così tornando al suo essere primordiale e al senso del Neonato - immagine intrisa di senso primigenio e onda vitale, cara a molte culture.
Maria entrava in un Altrove e non usciva dal campo del reale.
Era ‘dentro’ il suo Centro, senza fretta - ricercando il Sole annegato nel suo essere e che tornava, emergeva, risorgeva; dall’intimo, la faceva esistere oltre.
Così non si lasciava assorbire energie dalle idee conformiste altrui o da situazioni [esterne] che pure volevano rompere l’equilibrio.
Nella sua vereconda solitudine - colma di Grazia - quell’io superiore e celato nell’essenza veniva sempre più a Lei. Si faceva nuova Alba e guida.
Non voleva vivere dentro pensieri, saperi e ragionamenti dintorno - nessuno capace di amplificare la vita - tutti in mano alle droghe delle procedure, disumanizzanti l’Incanto.
La magia felice di quel Frugolo di carne portava la sua Pace.
I Sogni sostenevano e veicolavano il suo nido e intimo fulcro - facendo scorrere una vita nuova dal nucleo della sua Persona, e la giovinezza del mondo.
«Ora Maria conservava tutte Parole-evento confrontandole nel suo cuore»
(Natale di Lc)
Quando il tessitore
Quando il tessitore alza un piede, l’altro si abbassa. Quando il movimento cessa e uno dei piedi si ferma, il tessuto non si fa più. Le sue mani lanciano la spola che passa dall’una all’altra; ma nessuna mano può sperare di tenerla. Come i gesti del tessitore, è l’unione dei contrari a tessere la nostra vita [Tradizione orale Peul].
Non avrebbe senso mettere una torta farcita di candeline, davanti al Presepe. Inneggiamo ben altra Meraviglia: la scoperta di un Tesoro, nascosto dietro i nostri lati oscuri.
Natale non è una ricorrenza o compleanno, ma un evento di Rivelazione del Volto divino: non Padrone assoluto, ma povero nudo e incolume tra gente qualsiasi, adagiato su luogo impuro.
Ci sentiamo “malfatti”? Siamo sulla strada giusta - che non è quella dei controlli esasperati.
Dio non si è “fatto superuomo”, bensì «Carne»: termine che nel mondo semitico descrive la nostra globalità di esseri transitori, vulnerabili, caduchi, soggetti a ogni forma di morte.
Realtà che il Padre fa respirare, abbraccia e recupera - illumina e non scarta.
Se la vita che conduciamo è già in equilibrio nell’ambiente, diventiamo abitudinari; le cose verdi in gestazione abortiscono.
Quando assopiamo, quel che poi batte in testa sono i soliti idoli: pesi di ragione condizionati, calcoli e fissazioni, insieme a problemi di vicende forse poco felici.
Con tale fardello, dimentichiamo ciò cui siamo portati.
Si trascura la caratteristica vitale: il nostro Bimbo vuole venire alla luce ed è un essere unico, più che raro.
Senso del Natale è cedere; deporre l’idea religiosa antica: piuttosto, lasciare che tutte le incerte ma irripetibili implicazioni dell’imperfezione ci attraversino.
Non come una colpa.
È la logica d’ogni processo di attivazione e sviluppo, con le sue pause e riprese, perdite e recuperi. I punti “deboli” e le eccentricità diverranno punti di forza.
C’è bisogno di tempo imprevedibile, per tracciare la via della crescita - percorso inatteso; e Dio lo accetta.
Incarnazione è un’irruzione d’Eternità fra le nostre mura e le crisi, Imprevisto sognante che investe le periferie e non pone distanze.
Nei pastori - che siamo noi - Lc fa scendere in campo tutti gli estromessi della storia, facendoli titolari, senza merito alcuno.
Erano i disprezzati e votati alla condanna; sono fatti primi cui si rivolge l’Annuncio. Massimi a sperimentare il Volto del Dio-Con; sbalordendo per la fiducia che il Padre accorda.
I grezzi, supplenti e impuri, diventano incaricati prioritari.
Giudizio stridente rispetto all’effimero autentico: quello delle opinioni cerimoniali.
Non è una redenzione estrinseca, mirata solo per i disadattati della società, beninteso. Ci riguarda.
Sotto la momentanea scorza delle nostre “cose certe” briga un seme che farà il nostro nuovo Bimbo.
Il Gesù interiore vuole essere allattato, custodito, nutrito, affinché cresca secondo un Disegno intimo, un processo di Esodo sacro (ma non protetto) che salva.
Mistero che non è a portata naturale esterna, perché in sintonia con la Chiamata per Nome, con l’irripetibile carattere vitale innato, anche poliedrico - il quale non va spento.
Lo sviluppo delle emozioni, d’inclinazioni e passioni, delle nostre Radici, non va disturbato da tare di pensiero, da cappe di consuetudini, o condizionamenti.
[Persino le accelerazioni intralciano l’evoluzione: ad es. la voglia di affrontare l’insufficienza, onde risolverla immediatamente].
In generale, nuoce la battaglia che allestiamo con noi stessi per essere accettati - conformi al contorno.
Ma così l’impegno è a sedersi in una armatura che non ci appartiene.
Giorno dopo giorno una Fiamma sta partorendo un altro e differente Infante - in apparenza contraddittorio, squilibrato, malfermo, intaccato.
Questo gagliardo adolescente non gode di programmi laceranti, bensì d’una consapevolezza di Fede: il Creatore vuole passeggiare-con le nostre difformità.
C’è un Gesù intimo, forse non ancora svezzato: ci sorride sereno e a braccia aperte.
Lo svelamento dell’autentico Dio distrae dall’idea impicciata che abbiamo del mondo, del groviglio delle vicende, e della nostra stessa persona.
Ci dona uno sguardo più limpido, meno collocato sull’esterno.
Natale fa capire che non siamo una palude coperta da insuccessi, vessazioni, giudizi meschini, torti, delusioni, abbandoni, tradimenti.
Nel Signore che vuole continuare a incarnarsi, i nostri fardelli se ne vanno come un soffio.
L’anima torna libera e dispiega ali sviluppate e forti; impareggiabili.
Non c’è verità più bella che nella vertigine di poter partorire ed esprimere il Piccolo nascosto che ciascuno è nel volto dell’anima.
Nell’ultima sua Veglia di Natale Paolo VI tenne a sottolineare che nell’arrivo del Verbo «Ciascuno può dire: per me!».
Questo Tempo ci aiuti a comprendere tale dimensione personale; non siamo coloro che devono lottare contro se stessi.
Per un Natale ch’è già Pasqua. Il bozzolo bucato farà la nostra Farfalla.
Vigilia, Notte, Aurora, Giorno: genealogia, oggi è nato per voi, i pastori trovarono, il Logos si fece carne
Genealogia
Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero!
Cristo è nato per noi! Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama. A tutti giunga l’eco dell’annuncio di Betlemme, che la Chiesa Cattolica fa risuonare in tutti i continenti, al di là di ogni confine di nazionalità, di lingua e di cultura. Il Figlio di Maria Vergine è nato per tutti, è il Salvatore di tutti.
Così lo invoca un’antica antifona liturgica: “O Emmanuele, nostro re e legislatore, speranza e salvezza dei popoli: vieni a salvarci, o Signore nostro Dio”. Veni ad salvandum nos! Vieni a salvarci! Questo è il grido dell’uomo di ogni tempo, che sente di non farcela da solo a superare difficoltà e pericoli. Ha bisogno di mettere la sua mano in una mano più grande e più forte, una mano che dall’alto si tenda verso di lui. Cari fratelli e sorelle, questa mano è Cristo, nato a Betlemme dalla Vergine Maria. Lui è la mano che Dio ha teso all’umanità, per farla uscire dalle sabbie mobili del peccato e metterla in piedi sulla roccia, la salda roccia della sua Verità e del suo Amore (cfr Sal 40,3).
Sì, questo significa il nome di quel Bambino, il nome che, per volere di Dio, gli hanno dato Maria e Giuseppe: si chiama Gesù, che significa “Salvatore” (cfr Mt 1,21; Lc 1,31). Egli è stato inviato da Dio Padre per salvarci soprattutto dal male profondo, radicato nell’uomo e nella storia: quel male che è la separazione da Dio, l’orgoglio presuntuoso di fare da sé, di mettersi in concorrenza con Dio e sostituirsi a Lui, di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di essere il padrone della vita e della morte (cfr Gen 3,1-7). Questo è il grande male, il grande peccato, da cui noi uomini non possiamo salvarci se non affidandoci all’aiuto di Dio, se non gridando a Lui: “Veni ad salvandum nos! - Vieni a salvarci!”.
Il fatto stesso di elevare al Cielo questa invocazione, ci pone già nella giusta condizione, ci mette nella verità di noi stessi: noi infatti siamo coloro che hanno gridato a Dio e sono stati salvati (cfr Est [greco] 10,3f). Dio è il Salvatore, noi quelli che si trovano nel pericolo. Lui è il medico, noi i malati. Riconoscerlo, è il primo passo verso la salvezza, verso l’uscita dal labirinto in cui noi stessi ci chiudiamo con il nostro orgoglio. Alzare gli occhi al Cielo, protendere le mani e invocare aiuto è la via di uscita, a patto che ci sia Qualcuno che ascolta, e che può venire in nostro soccorso.
Gesù Cristo è la prova che Dio ha ascoltato il nostro grido. Non solo! Dio nutre per noi un amore così forte, da non poter rimanere in Se stesso, da uscire da Se stesso e venire in noi, condividendo fino in fondo la nostra condizione (cfr Es 3,7-12). La risposta che Dio ha dato in Gesù al grido dell’uomo supera infinitamente la nostra attesa, giungendo ad una solidarietà tale che non può essere soltanto umana, ma divina. Solo il Dio che è amore e l’amore che è Dio poteva scegliere di salvarci attraverso questa via, che è certamente la più lunga, ma è quella che rispetta la verità sua e nostra: la via della riconciliazione, del dialogo, della collaborazione.
Perciò, cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero, in questo Natale 2011, rivolgiamoci al Bambino di Betlemme, al Figlio della Vergine Maria, e diciamo: “Vieni a salvarci!”. Lo ripetiamo in unione spirituale con tante persone che vivono situazioni particolarmente difficili, e facendoci voce di chi non ha voce.
Insieme invochiamo il divino soccorso per le popolazioni del Corno d’Africa, che soffrono a causa della fame e delle carestie, talvolta aggravate da un persistente stato di insicurezza. La Comunità internazionale non faccia mancare il suo aiuto ai numerosi profughi provenienti da tale Regione, duramente provati nella loro dignità.
Il Signore doni conforto alle popolazioni del Sud-Est asiatico, particolarmente della Thailandia e delle Filippine, che sono ancora in gravi situazioni di disagio a causa delle recenti inondazioni.
Il Signore soccorra l’umanità ferita dai tanti conflitti, che ancora oggi insanguinano il Pianeta. Egli, che è il Principe della Pace, doni pace e stabilità alla Terra che ha scelto per venire nel mondo, incoraggiando la ripresa del dialogo tra Israeliani e Palestinesi. Faccia cessare le violenze in Siria, dove tanto sangue è già stato versato. Favorisca la piena riconciliazione e la stabilità in Iraq ed in Afghanistan. Doni un rinnovato vigore nell’edificazione del bene comune a tutte le componenti della società nei Paesi nord africani e mediorientali.
La nascita del Salvatore sostenga le prospettive di dialogo e di collaborazione in Myanmar, nella ricerca di soluzioni condivise. Il Natale del Redentore garantisca stabilità politica ai Paesi della Regione africana dei Grandi Laghi ed assista l’impegno degli abitanti del Sud Sudan per la tutela dei diritti di tutti i cittadini.
Cari fratelli e sorelle, rivolgiamo lo sguardo alla Grotta di Betlemme: il Bambino che contempliamo è la nostra salvezza! Lui ha portato al mondo un messaggio universale di riconciliazione e di pace. Apriamogli il nostro cuore, accogliamolo nella nostra vita. Ripetiamogli con fiducia e speranza: “Veni ad salvandum nos!”.
[Papa Benedetto, Messaggio Urbi et Orbi 25 dicembre 2011]
Oggi è nato per voi
Cari fratelli e sorelle,
“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5). Ciò che Isaia, guardando da lontano verso il futuro, dice a Israele come consolazione nelle sue angustie ed oscurità, l’Angelo, dal quale emana una nube di luce, lo annuncia ai pastori come presente: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2, 11). Il Signore è presente. Da questo momento, Dio è veramente un “Dio con noi”. Non è più il Dio distante, che, attraverso la creazione e mediante la coscienza, si può in qualche modo intuire da lontano. Egli è entrato nel mondo. È il Vicino. Il Cristo risorto lo ha detto ai suoi, a noi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Per voi è nato il Salvatore: ciò che l’Angelo annunciò ai pastori, Dio ora lo richiama a noi per mezzo del Vangelo e dei suoi messaggeri. È questa una notizia che non può lasciarci indifferenti. Se è vera, tutto è cambiato. Se è vera, essa riguarda anche me. Allora, come i pastori, devo dire anch’io: Orsù, voglio andare a Betlemme e vedere la Parola che lì è accaduta. Il Vangelo non ci racconta senza scopo la storia dei pastori. Essi ci mostrano come rispondere in modo giusto a quel messaggio che è rivolto anche a noi. Che cosa ci dicono allora questi primi testimoni dell’incarnazione di Dio?
Dei pastori è detto anzitutto che essi erano persone vigilanti e che il messaggio poteva raggiungerli proprio perché erano svegli. Noi dobbiamo svegliarci, perché il messaggio arrivi fino a noi. Dobbiamo diventare persone veramente vigilanti. Che significa questo? La differenza tra uno che sogna e uno che sta sveglio consiste innanzitutto nel fatto che colui che sogna si trova in un mondo particolare. Con il suo io egli è rinchiuso in questo mondo del sogno che, appunto, è soltanto suo e non lo collega con gli altri. Svegliarsi significa uscire da tale mondo particolare dell’io ed entrare nella realtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti. Il conflitto nel mondo, l’inconciliabilità reciproca, derivano dal fatto che siamo rinchiusi nei nostri propri interessi e nelle opinioni personali, nel nostro proprio minuscolo mondo privato. L’egoismo, quello del gruppo come quello del singolo, ci tiene prigionieri dei nostri interessi e desideri, che contrastano con la verità e ci dividono gli uni dagli altri. Svegliatevi, ci dice il Vangelo. Venite fuori per entrare nella grande verità comune, nella comunione dell’unico Dio. Svegliarsi significa così sviluppare la sensibilità per Dio; per i segnali silenziosi con cui Egli vuole guidarci; per i molteplici indizi della sua presenza. Ci sono persone che dicono di essere “religiosamente prive di orecchio musicale”. La capacità percettiva per Dio sembra quasi una dote che ad alcuni è rifiutata. E in effetti – la nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci “privi di orecchio musicale” per Lui. E tuttavia in ogni anima è presente, in modo nascosto o aperto, l’attesa di Dio, la capacità di incontrarlo. Per ottenere questa vigilanza, questo svegliarsi all’essenziale, vogliamo pregare, per noi stessi e per gli altri, per quelli che sembrano essere “privi di questo orecchio musicale” e nei quali, tuttavia, è vivo il desiderio che Dio si manifesti. Il grande teologo Origene ha detto: se io avessi la grazia di vedere come ha visto Paolo, potrei adesso (durante la Liturgia) contemplare una grande schiera di Angeli (cfr in Lc 23, 9). Infatti – nella Sacra Liturgia, gli Angeli di Dio e i Santi ci circondano. Il Signore stesso è presente in mezzo a noi. Signore, apri gli occhi dei nostri cuori, affinché diventiamo vigilanti e veggenti e così possiamo portare la tua vicinanza anche ad altri!
Torniamo al Vangelo di Natale. Esso ci racconta che i pastori, dopo aver ascoltato il messaggio dell’Angelo, si dissero l’un l’altro: “'Andiamo fino a Betlemme' … Andarono, senza indugio” (Lc 2, 15s.). “Si affrettarono” dice letteralmente il testo greco. Ciò che era stato loro annunciato era così importante che dovevano andare immediatamente. In effetti, ciò che lì era stato detto loro andava totalmente al di là del consueto. Cambiava il mondo. È nato il Salvatore. L’atteso Figlio di Davide è venuto al mondo nella sua città. Che cosa poteva esserci di più importante? Certo, li spingeva anche la curiosità, ma soprattutto l’agitazione per la grande cosa che era stata comunicata proprio a loro, i piccoli e uomini apparentemente irrilevanti. Si affrettarono – senza indugio. Nella nostra vita ordinaria le cose non stanno così. La maggioranza degli uomini non considera prioritarie le cose di Dio, esse non ci incalzano in modo immediato. E così noi, nella stragrande maggioranza, siamo ben disposti a rimandarle. Prima di tutto si fa ciò che qui ed ora appare urgente. Nell’elenco delle priorità Dio si trova spesso quasi all’ultimo posto. Questo – si pensa – si potrà fare sempre. Il Vangelo ci dice: Dio ha la massima priorità. Se qualcosa nella nostra vita merita fretta senza indugio, ciò è, allora, soltanto la causa di Dio. Una massima della Regola di san Benedetto dice: “Non anteporre nulla all’opera di Dio (cioè all’ufficio divino)”. La Liturgia è per i monaci la prima priorità. Tutto il resto viene dopo. Nel suo nucleo, però, questa frase vale per ogni uomo. Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita. Proprio questa priorità ci insegnano i pastori. Da loro vogliamo imparare a non lasciarci schiacciare da tutte le cose urgenti della vita quotidiana. Da loro vogliamo apprendere la libertà interiore di mettere in secondo piano altre occupazioni – per quanto importanti esse siano – per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo. Il tempo impegnato per Dio e, a partire da Lui, per il prossimo non è mai tempo perso. È il tempo in cui viviamo veramente, in cui viviamo lo stesso essere persone umane.
Alcuni commentatori fanno notare che per primi i pastori, le anime semplici, sono venuti da Gesù nella mangiatoia e hanno potuto incontrare il Redentore del mondo. I sapienti venuti dall’Oriente, i rappresentanti di coloro che hanno rango e nome, vennero molto più tardi. I commentatori aggiungono: questo è del tutto ovvio. I pastori, infatti, abitavano accanto. Essi non dovevano che “attraversare” (cfr Lc 2, 15) come si attraversa un breve spazio per andare dai vicini. I sapienti, invece, abitavano lontano. Essi dovevano percorrere una via lunga e difficile, per arrivare a Betlemme. E avevano bisogno di guida e di indicazione. Ebbene, anche oggi esistono anime semplici ed umili che abitano molto vicino al Signore. Essi sono, per così dire, i suoi vicini e possono facilmente andare da Lui. Ma la maggior parte di noi uomini moderni vive lontana da Gesù Cristo, da Colui che si è fatto uomo, dal Dio venuto in mezzo a noi. Viviamo in filosofie, in affari e occupazioni che ci riempiono totalmente e dai quali il cammino verso la mangiatoia è molto lungo. In molteplici modi Dio deve ripetutamente spingerci e darci una mano, affinché possiamo trovare l’uscita dal groviglio dei nostri pensieri e dei nostri impegni e trovare la via verso di Lui. Ma per tutti c’è una via. Per tutti il Signore dispone segnali adatti a ciascuno. Egli chiama tutti noi, perché anche noi si possa dire: Orsù, “attraversiamo”, andiamo a Betlemme – verso quel Dio, che ci è venuto incontro. Sì, Dio si è incamminato verso di noi. Da soli non potremmo giungere fino a Lui. La via supera le nostre forze. Ma Dio è disceso. Egli ci viene incontro. Egli ha percorso la parte più lunga del cammino. Ora ci chiede: Venite e vedete quanto vi amo. Venite e vedete che io sono qui. Transeamus usque Bethleem, dice la Bibbia latina. Andiamo di là! Oltrepassiamo noi stessi! Facciamoci viandanti verso Dio in molteplici modi: nell’essere interiormente in cammino verso di Lui. E tuttavia anche in cammini molto concreti – nella Liturgia della Chiesa, nel servizio al prossimo, in cui Cristo mi attende.
Ascoltiamo ancora una volta direttamente il Vangelo. I pastori si dicono l’un l’altro il motivo per cui si mettono in cammino: “Vediamo questo avvenimento”. Letteralmente il testo greco dice: “Vediamo questa Parola, che lì è accaduta”. Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne. Quel Dio di cui non si deve fare alcuna immagine, perché ogni immagine potrebbe solo ridurlo, anzi travisarlo, quel Dio si è reso, Egli stesso, visibile in Colui che è la sua vera immagine, come dice Paolo (cfr 2 Cor 4, 4; Col 1, 15). Nella figura di Gesù Cristo, in tutto il suo vivere ed operare, nel suo morire e risorgere, possiamo guardare la Parola di Dio e quindi il mistero dello stesso Dio vivente. Dio è così. L’Angelo aveva detto ai pastori: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2, 12; cfr 16). Il segno di Dio, il segno che viene dato ai pastori e a noi, non è un miracolo emozionante. Il segno di Dio è la sua umiltà. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo; diventa bambino; si lascia toccare e chiede il nostro amore. Quanto desidereremmo noi uomini un segno diverso, imponente, inconfutabile del potere di Dio e della sua grandezza. Ma il suo segno ci invita alla fede e all’amore, e pertanto ci dà speranza: così è Dio. Egli possiede il potere ed è la Bontà. Ci invita a diventare simili a Lui. Sì, diventiamo simili a Dio, se ci lasciamo plasmare da questo segno; se impariamo, noi stessi, l’umiltà e così la vera grandezza; se rinunciamo alla violenza ed usiamo solo le armi della verità e dell’amore. Origene, seguendo una parola di Giovanni Battista, ha visto espressa l’essenza del paganesimo nel simbolo delle pietre: paganesimo è mancanza di sensibilità, significa un cuore di pietra, che è incapace di amare e di percepire l’amore di Dio. Origene dice dei pagani: “Privi di sentimento e di ragione, si trasformano in pietre e in legno” (in Lc 22, 9). Cristo, però, vuole darci un cuore di carne. Quando vediamo Lui, il Dio che è diventato un bambino, ci si apre il cuore. Nella Liturgia della Notte Santa Dio viene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani. Ascoltiamo ancora Origene: “In effetti, a che gioverebbe a te che Cristo una volta sia venuto nella carne, se Egli non giunge fin nella tua anima? Preghiamo che venga quotidianamente a noi e che possiamo dire: vivo, però non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20)” (in Lc 22, 3).
Sì, per questo vogliamo pregare in questa Notte Santa. Signore Gesù Cristo, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima. Trasformami. Rinnovami. Fa’ che io e tutti noi da pietra e legno diventiamo persone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo viene trasformato. Amen.
[Papa Benedetto, omelia della Notte 24 dicembre 2009]
I pastori trovarono
“Un giorno santo è spuntato per noi:
venite tutti ad adorare il Signore;
oggi una splendida luce è discesa sulla terra”
(Messa del giorno di Natale, Acclamazione al Vangelo).
Cari fratelli e sorelle! “Un giorno santo è spuntato per noi”. Un giorno di grande speranza: oggi è nato il Salvatore dell’umanità! La nascita di un bambino porta normalmente una luce di speranza a quanti lo attendono trepidanti. Quando nacque Gesù nella grotta di Betlemme, una “grande luce” apparve sulla terra; una grande speranza entrò nel cuore di quanti lo attendevano: “lux magna”, canta la liturgia di questo giorno di Natale. Non fu certo “grande” alla maniera di questo mondo, perché a vederla, dapprima, furono solo Maria, Giuseppe e alcuni pastori, poi i Magi, il vecchio Simeone, la profetessa Anna: coloro che Dio aveva prescelto. Eppure, nel nascondimento e nel silenzio di quella notte santa, si è accesa per ogni uomo una luce splendida e intramontabile; è venuta nel mondo la grande speranza portatrice di felicità: “il Verbo si è fatto carne e noi abbiamo visto la sua gloria” (Gv 1,14)
“Dio è luce – afferma san Giovanni – e in lui non ci sono tenebre” (1 Gv 1,5). Nel Libro della Genesi leggiamo che quando ebbe origine l’universo, “la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso”. “Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu” (Gn 1,2-3). La Parola creatrice di Dio è Luce, sorgente della vita. Tutto è stato fatto per mezzo del Logos e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste (cfr Gv 1,3). Ecco perchè tutte le creature sono fondamentalmente buone, e recano in sé l’impronta di Dio, una scintilla della sua luce. Tuttavia, quando Gesù nacque dalla Vergine Maria, la Luce stessa è venuta nel mondo: “Dio da Dio, Luce da Luce”, professiamo nel Credo. In Gesù Dio ha assunto ciò che non era rimanendo ciò che era: “l’onnipotenza entrò in un corpo infantile e non fu sottratta al governo dell’universo” (cfr Agostino, Serm 184, 1 sul Natale). Si è fatto uomo Colui che è il creatore dell’uomo per recare al mondo la pace. Per questo, nella notte di Natale, le schiere degli Angeli cantano: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14).
“Oggi una splendida luce è discesa sulla terra”. La Luce di Cristo è portatrice di pace. Nella Messa della notte la liturgia eucaristica si è aperta proprio con questo canto: “Oggi la vera pace è scesa a noi dal cielo” (Antifona d’ingresso). Anzi, solo la “grande” luce apparsa in Cristo può donare agli uomini la “vera” pace: ecco perchè ogni generazione è chiamata ad accoglierla, ad accogliere il Dio che a Betlemme si è fatto uno di noi.
Questo è il Natale! Evento storico e mistero di amore, che da oltre duemila anni interpella gli uomini e le donne di ogni epoca e di ogni luogo. E’ il giorno santo in cui rifulge la “grande luce” di Cristo portatrice di pace! Certo, per riconoscerla, per accoglierla ci vuole fede, ci vuole umiltà. L’umiltà di Maria, che ha creduto alla parola del Signore, e ha adorato per prima, china sulla mangiatoia, il Frutto del suo grembo; l’umiltà di Giuseppe, uomo giusto, che ebbe il coraggio della fede e preferì obbedire a Dio piuttosto che tutelare la propria reputazione; l’umiltà dei pastori, dei poveri ed anonimi pastori, che accolsero l’annuncio del messaggero celeste e in fretta raggiunsero la grotta dove trovarono il bambino appena nato e, pieni di stupore, lo adorarono lodando Dio (cfr Lc 2,15-20). I piccoli, i poveri in spirito: ecco i protagonisti del Natale, ieri come oggi; i protagonisti di sempre della storia di Dio, i costruttori infaticabili del suo Regno di giustizia, di amore e di pace.
Nel silenzio della notte di Betlemme Gesù nacque e fu accolto da mani premurose. Ed ora, in questo nostro Natale, in cui continua a risuonare il lieto annuncio della sua nascita redentrice, chi è pronto ad aprirgli la porta del cuore? Uomini e donne di questa nostra epoca, anche a noi Cristo viene a portare la luce, anche a noi viene a donare la pace! Ma chi veglia, nella notte del dubbio e dell’incertezza, con il cuore desto e orante? Chi attende l’aurora del giorno nuovo tenendo accesa la fiammella della fede? Chi ha tempo per ascoltare la sua parola e lasciarsi avvolgere dal fascino del suo amore? Sì! È per tutti il suo messaggio di pace; è a tutti che viene ad offrire se stesso come certa speranza di salvezza.
La luce di Cristo, che viene ad illuminare ogni essere umano, possa finalmente rifulgere, e sia consolazione per quanti si trovano nelle tenebre della miseria, dell'ingiustizia, della guerra; per coloro che vedono ancora negata la loro legittima aspirazione a una più sicura sussistenza, alla salute, all'istruzione, a un'occupazione stabile, a una partecipazione più piena alle responsabilità civili e politiche, al di fuori di ogni oppressione e al riparo da condizioni che offendono la dignità umana. Vittime dei sanguinosi conflitti armati, del terrorismo e delle violenze di ogni genere, che infliggono inaudite sofferenze a intere popolazioni, sono particolarmente le fasce più vulnerabili, i bambini, le donne, gli anziani. Mentre le tensioni etniche, religiose e politiche, l’instabilità, le rivalità, le contrapposizioni, le ingiustizie e le discriminazioni, che lacerano il tessuto interno di molti Paesi, inaspriscono i rapporti internazionali. E nel mondo va sempre più crescendo il numero dei migranti, dei rifugiati, degli sfollati anche a causa delle frequenti calamità naturali, conseguenza spesso di preoccupanti dissesti ambientali.
In questo giorno di pace, il pensiero va soprattutto laddove rimbomba il fragore delle armi: alle martoriate terre del Darfur, della Somalia e del nord della Repubblica Democratica del Congo, ai confini dell'Eritrea e dell'Etiopia, all'intero Medio Oriente, in particolare all'Iraq, al Libano e alla Terrasanta, all'Afghanistan, al Pakistan e allo Sri Lanka, alla regione dei Balcani, e alle tante altre situazioni di crisi, spesso purtroppo dimenticate. Il Bambino Gesù porti sollievo a chi è nella prova e infonda ai responsabili di governo la saggezza e il coraggio di cercare e trovare soluzioni umane, giuste e durature. Alla sete di senso e di valore che avverte il mondo oggi, alla ricerca di benessere e di pace che segna la vita di tutta l’umanità, alle attese dei poveri Cristo, vero Dio e vero Uomo, risponde con il suo Natale. Non temano gli individui e le nazioni di riconoscerlo e di accoglierlo: con Lui “una splendida luce” rischiara l’orizzonte dell’umanità; con Lui si apre “un giorno santo” che non conosce tramonto. Questo Natale sia veramente per tutti un giorno di gioia, di speranza e di pace!
“Venite tutti ad adorare il Signore”. Con Maria, Giuseppe e i pastori, con i Magi e la schiera innumerevole di umili adoratori del neonato Bambino, che lungo i secoli hanno accolto il mistero del Natale, anche noi, fratelli e sorelle di ogni continente, lasciamo che la luce di questo giorno si diffonda dappertutto: entri nei nostri cuori, rischiari e riscaldi le nostre case, porti serenità e speranza nelle nostre città, dia al mondo la pace. E’ questo il mio augurio per voi che mi ascoltate. Augurio che si fa preghiera umile e fiduciosa al Bambino Gesù, perché la sua luce disperda ogni tenebra dalla vostra vita e vi ricolmi dell’amore e della pace. Il Signore, che ha fatto risplendere in Cristo il suo volto di misericordia, vi appaghi della sua felicità e vi renda messaggeri della sua bontà. Buon Natale!
[Papa Benedetto, Messaggio Urbi et Orbi 25 dicembre 2007]
Il Logos si fece Carne
“Verbum caro factum est” - “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14).
Cari fratelli e sorelle, che mi ascoltate da Roma e dal mondo intero, con gioia vi annuncio il messaggio del Natale: Dio si è fatto uomo, è venuto ad abitare in mezzo a noi. Dio non è lontano: è vicino, anzi, è l’“Emmanuele”, Dio-con-noi. Non è uno sconosciuto: ha un volto, quello di Gesù.
E’ un messaggio sempre nuovo, sempre sorprendente, perché oltrepassa ogni nostra più audace speranza. Soprattutto perché non è solo un annuncio: è un avvenimento, un accadimento, che testimoni credibili hanno veduto, udito, toccato nella Persona di Gesù di Nazareth! Stando con Lui, osservando i suoi atti e ascoltando le sue parole, hanno riconosciuto in Gesù il Messia; e vedendolo risorto, dopo che era stato crocifisso, hanno avuto la certezza che Lui, vero uomo, era al tempo stesso vero Dio, il Figlio unigenito venuto dal Padre, pieno di grazia e di verità (cfr Gv 1,14).
“Il Verbo si fece carne”. Di fronte a questa rivelazione, riemerge ancora una volta in noi la domanda: come è possibile? Il Verbo e la carne sono realtà tra loro opposte; come può la Parola eterna e onnipotente diventare un uomo fragile e mortale? Non c’è che una risposta: l’Amore. Chi ama vuole condividere con l’amato, vuole essere unito a lui, e la Sacra Scrittura ci presenta proprio la grande storia dell’amore di Dio per il suo popolo, culminata in Gesù Cristo.
In realtà, Dio non cambia: Egli è fedele a Se stesso. Colui che ha creato il mondo è lo stesso che ha chiamato Abramo e che ha rivelato il proprio Nome a Mosè: Io sono colui che sono … il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe … Dio misericordioso e pietoso, ricco di amore e di fedeltà (cfr Es 3,14-15; 34,6). Dio non muta, Egli è Amore da sempre e per sempre. E’ in Se stesso Comunione, Unità nella Trinità, ed ogni sua opera e parola mira alla comunione. L’incarnazione è il culmine della creazione. Quando nel grembo di Maria, per la volontà del Padre e l’azione dello Spirito Santo, si formò Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, il creato raggiunse il suo vertice. Il principio ordinatore dell’universo, il Logos, incominciava ad esistere nel mondo, in un tempo e in uno spazio.
“Il Verbo si fece carne”. La luce di questa verità si manifesta a chi la accoglie con fede, perché è un mistero d’amore. Solo quanti si aprono all’amore sono avvolti dalla luce del Natale. Così fu nella notte di Betlemme, e così è anche oggi. L’incarnazione del Figlio di Dio è un avvenimento che è accaduto nella storia, ma nello stesso tempo la oltrepassa. Nella notte del mondo si accende una luce nuova, che si lascia vedere dagli occhi semplici della fede, dal cuore mite e umile di chi attende il Salvatore. Se la verità fosse solo una formula matematica, in un certo senso si imporrebbe da sé. Se invece la Verità è Amore, domanda la fede, il “sì” del nostro cuore.
E che cosa cerca, in effetti, il nostro cuore, se non una Verità che sia Amore? La cerca il bambino, con le sue domande, così disarmanti e stimolanti; la cerca il giovane, bisognoso di trovare il senso profondo della propria vita; la cercano l’uomo e la donna nella loro maturità, per guidare e sostenere l’impegno nella famiglia e nel lavoro; la cerca la persona anziana, per dare compimento all’esistenza terrena.
“Il Verbo si fece carne”. L’annuncio del Natale è luce anche per i popoli, per il cammino collettivo dell’umanità. L’“Emmanuele”, Dio-con-noi, è venuto come Re di giustizia e di pace. Il suo Regno – lo sappiamo – non è di questo mondo, eppure è più importante di tutti i regni di questo mondo. E’ come il lievito dell’umanità: se mancasse, verrebbe meno la forza che manda avanti il vero sviluppo: la spinta a collaborare per il bene comune, al servizio disinteressato del prossimo, alla lotta pacifica per la giustizia. Credere nel Dio che ha voluto condividere la nostra storia è un costante incoraggiamento ad impegnarsi in essa, anche in mezzo alle sue contraddizioni. E’ motivo di speranza per tutti coloro la cui dignità è offesa e violata, perché Colui che è nato a Betlemme è venuto a liberare l’uomo dalla radice di ogni schiavitù.
La luce del Natale risplenda nuovamente in quella Terra dove Gesù è nato e ispiri Israeliani e Palestinesi nel ricercare una convivenza giusta e pacifica. L’annuncio consolante della venuta dell’Emmanuele lenisca il dolore e consoli nelle prove le care comunità cristiane in Iraq e in tutto il Medio Oriente, donando loro conforto e speranza per il futuro ed animando i Responsabili delle Nazioni ad una fattiva solidarietà verso di esse. Ciò avvenga anche in favore di coloro che ad Haiti soffrono ancora per le conseguenze del devastante terremoto e della recente epidemia di colera. Così pure non vengano dimenticati coloro che in Colombia ed in Venezuela, ma anche in Guatemala e in Costa Rica, hanno subito le recenti calamità naturali.
La nascita del Salvatore apra prospettive di pace duratura e di autentico progresso alle popolazioni della Somalia, del Darfur e della Costa d’Avorio; promuova la stabilità politica e sociale del Madagascar; porti sicurezza e rispetto dei diritti umani in Afghanistan e in Pakistan; incoraggi il dialogo fra Nicaragua e Costa Rica; favorisca la riconciliazione nella Penisola Coreana.
La celebrazione della nascita del Redentore rafforzi lo spirito di fede, di pazienza e di coraggio nei fedeli della Chiesa nella Cina continentale, affinché non si perdano d’animo per le limitazioni alla loro libertà di religione e di coscienza e, perseverando nella fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, mantengano viva la fiamma della speranza. L’amore del “Dio con noi” doni perseveranza a tutte le comunità cristiane che soffrono discriminazione e persecuzione, ed ispiri i leader politici e religiosi ad impegnarsi per il pieno rispetto della libertà religiosa di tutti.
Cari fratelli e sorelle, “il Verbo si fece carne”, è venuto ad abitare in mezzo a noi, è l’Emmanuele, il Dio che si è fatto a noi vicino. Contempliamo insieme questo grande mistero di amore, lasciamoci illuminare il cuore dalla luce che brilla nella grotta di Betlemme! Buon Natale a tutti!
[Papa Benedetto, Messaggio Urbi et Orbi 25 dicembre 2010]
«Per me»
Fratelli e Figli carissimi!
Voi attendete da noi una parola, che già risuona negli animi vostri; ed il fatto di ascoltarla ancora in questa notte ed in questa sede ne riconosca la sua perenne novità, la sua forza di verità, la sua meravigliosa e beatificante letizia. Non è nostra, è celeste. Le nostre labbra ripetono l’annunzio dell’Angelo, che rifulse nella notte, a Betlemme, 1977 anni fa, e che confortati gli umili e spaventati pastori, veglianti all’aperto sul loro gregge, vaticinò l’ineffabile fatto compiutosi allora in un presepio vicino:
«Io vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide (Betlemme) un Salvatore, che è il Cristo Signore» (Luc. 2 , 10-11).
Così è, così è, Fratelli e Figli! e così è, vogliamo estendere il nostro grido umile e impavido a quanti «hanno orecchi per ascoltare» (Matth. 11, 15). Un fatto e una gioia; ecco la duplice grande notizia!
Il fatto: esso sembra quasi insignificante. Un bambino che nasce e in quali umilianti condizioni ! Lo sanno i nostri ragazzi, quando compongono i loro presepi, ingenui ma autentici documenti della realtà evangelica. Ma la realtà evangelica è trasparente d’una concomitante realtà ineffabile: quel Bambino risulta vivente d’una trascendente Figliolanza divina, «Filius Altissimi vocabitur» (Luc. 1, 32). Facciamo nostre le espressioni entusiastiche del grande nostro Predecessore, San Leone Magno, il quale esclama: «Il nostro Salvatore, o carissimi, oggi è nato: godiamo! Non vi è luogo a tristezza, quando è il natale della vita, che, spento il timore della morte, ci infonde la letizia della promessa eternità» (S. LEONIS MAGNI Sermo I de Nativitate Domini).
Così che mentre il sommo mistero della vita trinitaria dell’unico Iddio ci si rivela nelle tre distinte Persone, Padre generante, Figlio generato, entrambi uniti nel vincolo dello Spirito Santo, un altro mistero integra d’inestinguibile meraviglia il nostro rapporto religioso con Dio aprendo il cielo alla visione della gloria dell’infinita trascendenza divina, e, superando in un dono d’incomparabile amore ogni distanza, la prossimità, la vicinanza di Cristo-Dio fatto uomo ci mostra ch’Egli è con noi, Egli è in cerca di noi: «È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Tit. 2, 11; 3, 4).
Fratelli! Uomini tutti! Che cosa è il Natale se non questo avvenimento storico, cosmico, estremamente comunitario perché rivolto a proporzioni universali, ed insieme incomparabilmente intimo e personale per ciascuno di noi, poiché il Verbo eterno di Dio, in virtù del Quale noi già viviamo della nostra esistenza naturale (Cfr. Act. 17, 23-28), è appunto venuto in cerca di noi; Lui eterno si è inserito nel tempo, Lui infinito si è quasi annientato «assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, è apparso in forma umana, ha umiliato se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Phil. 2, 6 ss.). I nostri orecchi sono - ahimé! - abituati a simile messaggio, e i nostri cuori sordi a simile chiamata, una chiamata d’amore: «così Dio ha amato il mondo ...» (Io. 3, 16); anzi siamo precisi: ciascuno di noi può dire con San Paolo: «Egli ha amato me, e ha dato la sua vita per me...»! (Gal. 2, 20)
Il Natale è questo arrivo del Verbo di Dio fatto uomo fra noi. Ciascuno può dire: per me! Il Natale è questo prodigio. Il Natale è questa meraviglia. Il Natale è questa gioia. Ritornano alle labbra le parole di Pascal: Gioia, gioia, gioia: pianti di gioia!
Oh! che davvero questa celebrazione notturna del Natale di Cristo sia per noi tutti, sia per la Chiesa intera, sia per il mondo una rinnovata rivelazione del mistero ineffabile dell’Incarnazione, una sorgente d’inestinguibile felicità! Così sia!
[Papa Paolo VI, omelia di mezzanotte 24 dicembre 1977]
E Maria: la Domanda ch’è la Risposta
(Lc 2,15-20)
Ci chiediamo: in questo tempo, cosa può renderci intimi al Signore?
I pastori sperimentano la predilezione d’un vero e proprio Amore eccessivo, per benedizione dell’eccentrico - e Meraviglia.
Preferenza che non viene concessa dietro scambio coi meriti, ma a motivo dei bisogni.
Lc vuol sottolineare che - lodando e glorificando Dio (v.20) proprio come fanno gli Angeli - gl’imperfetti e inadempienti si ritrovano paradossalmente più vicini al trono divino rispetto alla posizione sempre arrembante dei piissimi sterilizzati.
Sbalordiamo anche noi di conoscere un Padre che invece di incenerirci a motivo delle nostre oscillazioni, non solo avvolge di luce (v.9), ma proprio su quelle stesse insicurezze costruisce la sua Novità.
Pensavamo tutti di essere nati per fare i figli devoti e obbedienti. Invece di metterci sotto stress, il Padre vuole che ritroviamo il piacere e lo stupore della gratuità e dello stare insieme. Senza prima badare a obblighi, modi, orari, luoghi, doveri, riverenze, prostrazioni e baciamani di nessun genere!
Dio sa che siamo circondati da ambiti, stimoli, spostamenti, faccende, che ci portano via. Ma neanche pretende un minimo sindacale tutto suo, perché non fa come il ragazzino capriccioso che vuole la fetta grande di torta a merenda [corrispondente al suo rango].
La relazione con Lui non è un impegno continuo, cui star dietro con fatica. È un alleggerimento, e addirittura si fortifica nei contrappesi.
In Avvento abbiamo già sottolineato: quello del Signore che viene è un Raggio che non s’introduce nell’orizzonte delle aspettative normali, adattandosi ai nostri sogni esterni - quelli che vivono di traguardi attesi, e poi diventano un tormento.
Nell’arco della vita l’incontro con tale Luce sapiente che squarcia le tenebre della notte è nelle difficoltà che costringono a spostare lo sguardo, nell’insuccesso che obbliga a rigenerare la creatività, nello smarrimento che ci fa contattare nuovi modi di essere.
La vita di Fede non sopporta il demone della perfezione immaginata dalle religioni arcaiche.
Esse volentieri sostituiscono ogni Gratis con il senso del dovere adultoide - che inevitabilmente partorisce strategie snervanti e addirittura compensatorie [grazie a Dio, oggi sempre meno occulte].
Secondo il pensiero cinese, per acquistare smalto e fuggire un servilismo inquinato e logoro, i Santi «si fanno insegnare dalle bestie l’arte di evitare gli effetti nocivi della domesticazione, che la vita in società impone».
Infatti: «Gli animali domestici muoiono prematuramente. E così gli uomini, cui le convenzioni sociali vietano di obbedire spontaneamente al ritmo della vita universale».
«Queste convenzioni impongono un’attività continua, interessata, estenuante [mentre è opportuno] alternare i periodi di vita rallentata e di tripudio».
«Il Santo non si sottomette al ritiro o al digiuno se non al fine di giungere, grazie all’estasi, a evadere per lunghi viaggi. Questa liberazione è preparata da giochi vivificanti, che la natura insegna».
«Ci si allena alla vita paradisiaca imitando i sollazzi degli animali. Per santificarsi, bisogna prima abbrutirsi – si intenda: imparare dai bambini, dalle bestie, dalle piante, l’arte semplice e gioiosa di non vivere che in vista della vita».
[M. Granet, Il Pensiero Cinese, Adelphi 2019, kindle pp. 6904-6909].
I pastori pongono immediatamente sullo sfondo della propria esistenza reale sia i sensi di colpa che il tempo obbligato degli adempimenti, conservando carica ed entusiasmo.
In tal guisa, anche per noi nulla della vita sembra più un muro invalicabile - a parte il pregiudizio dei giusti [quelli dei “condizionali”: i “se”, i “ma”, i “però”].
Anche la routine non toglie energie e voglia di fare - come mai? Perché le anime spontanee non hanno bisogno di occuparsi del look esterno, di piacere all’opinione altrui; così via.
Senza neppure rendersi conto, non avendo da tenere in piedi paraventi artificiosi, i genuini possono affrontare la vita guardandola in faccia, e partire col piede giusto.
Così, attirare grandi opportunità di cambiamento.
Forse non vanno troppo in profondità, ma ascoltano i bisogni.
E allargano i loro spazi senza chiedere l’autorizzazione a coloro che mai la concederanno; intuiscono l’essenziale che sgorga dalla libertà di mente e di codice.
Il loro “dover essere” non ha aspettative artefatte: è semplice sintonia con la natura e con se stessi.
Posizione risolutiva, perché su tale raggio riescono a guardare il lato debole come un contenitore di grande forza, che attiva capacità in grado di costruire tutto un altro destino.
Non si pongono il problema di dover sembrare all’altezza, o di non essere quel che sono. Poi di non potersi concedere tempo in abbondanza, e di farsi vedere ordinati e buonisti, senza malesseri; in armonia con tutti.
Seguono la loro storia, e senza troppe aspettative o propositi, imparano ad affidarsi al flusso degli eventi, anche intimi.
Sanno accogliere quali ospiti degni tutti i propri stati interiori, senza sentirsi in colpa.
Nei propri moventi, sono chiari. Quindi non cadono nelle nevrosi.
L’incontro con l’Autenticità serena li ha riqualificati.
Luce che ha espugnato l’autostima.
Si sentono legittimati, invece che bersagli. E la riconquistata fiducia li renderà aperti e accoglienti verso gli altri.
Hanno capito di doversi affidare a un sapere più profondo di quello inoculato dai pregiudizi dei capi decisionisti.
Dio è l’esatto contrario del catechismo dei veterani: è solo l’Incontro con Lui che purifica - non il viceversa apparente.
Anche noi desideriamo aprirci al nuovo Mistero. Esperienza che in questo tempo ci sta preparando il grembo dell’anima.
Siamo in una transumanza piena di scoperte e avventure: possiamo apprendere come stare con ciò che Viene e reinterpretarlo, imparando a camminare sulle nostre gambe e mettendo in campo le attitudini.
Accanto ai pastori, che incessantemente rimettono in circolo le energie - la nostra vita può rivelarsi assai più ricca della vicenda dei precisi e inappuntabili.
Vogliamo trasformare la routine in un’avventura che scorge il Sacro autentico nel piccolo Seme che ci abita.
Lo faremo senza troppe efficienze: forse anche noi costruiremo un rifugio d’altura rigenerante, per allenare l’intuizione - e da lì ricreare la Visione, e il mondo.
Nessuno deve sentirsi inadeguato, escluso dall’azione dell’Amore di Dio e dalla capacità d’irradiarlo.
Come nel Vangelo della mattina di Pasqua, possiamo scrutare nel buio e intuire anche fra segni di morte le grandi energie della Vita.
Il mondo delle ombre non è più nel medesimo assetto di prima.
Fra gli umiliati, anche Maria è stupita, ma cerca di capire e fa il suo percorso. Anzi, comprende che la Risposta è già nella Domanda.
Confrontando dentro sé Parola e vicende attorno al Figlio, intuisce che nel “problema” (che la sorprendeva) c’era già l’energia della “soluzione”.
Chi è Gesù?
Il contrasto fra la straordinaria figura del Messia atteso e frainteso, e l’ottusità del giudizio elusivo delle dottrine popolari, finiva per lasciare le cose come stavano.
Anzi, peggio: racchiudeva il Mistero - quello più normale del mondo [ma che rimane per sempre]: l'umanità di Dio.
E smarriva il suo “dove”.
Non poteva comprendere la Persona del Cristo a partire dalle cose che conosceva o cercando d’inquadrarlo nei criteri famigliari del Primo Testamento; nel sentire comune, coi modelli magici del tempo.
Il Maestro suo allievo non si poteva accontentare d’un miglioramento della situazione.
Doveva sostituirla, annunciando la Verità del Padre; della donna e dell’uomo autentici.
Proponendo un germe di mondo alternativo alla società spietata e piramidale; quella che istituisce cosa pensare e dire, come bisogna essere e comportarsi.
Dio intende far emergere e valorizzare l’intuizione delle coscienze più che imporre doveri o smanie di analizzare i comportamenti.
Questo l’incredibile.
Ogni gruppo religioso chiudeva il Messia nel suo modello interpretativo, consono a un ambiente venato di speranze antiche: difesa dei beni e delle consuetudini, benessere a scapito altrui, espansione, prodigi.
La rivoluzione dei figli pone una tematica che cerca la sua Via Altrove - in fondo dietro l’angolo, ma non relegata “dentro” un angolo.
Perché interrogarsi sulla Persona del Cristo significa già iniziare a superare le piccine interpretazioni abitudinarie, e abbracciare l’irruzione di Dio.
Il Signore sempre fanciullo rovescerà le sorti, il destino del regno dell’uomo, e le sue rivendicazioni che ingabbiano l'anima, immobilizzando la vita.
La conoscenza della sua vicenda, l’adesione alla sua Persona, e l’Azione dello Spirito, non lasceranno perdurare nella mente di Maria i pensieri fissi, gli attaccamenti, i luoghi comuni, le vetrine che poi impregnano tutta l’anima privandola di ebbrezza e fecondità.
È nel Figlio ch’ella diviene Madre, Presenza del tutto personale, nuovo Fiuto.
Maternità la sua, d’innata Sapienza, che apre gli orizzonti: nella Chiesa ci sta conducendo a differenti Sogni dell’essere.
Donna che vuole esprimersi umanizzandoci.
(Lc 2,1-20)
Il salto di qualità (umanizzante) dell’Incarnazione
(Lc 2,1-14)
Nella letteratura antica erano valutate significative solo le vicende della vita pubblica, non certo quelle dell’infanzia - anche dei grandi della storia.
Paolo e Mc, gli autori più antichi del Nuovo Testamento, non stimarono opportuno riferirsi alla vicenda della nascita umana, dell’adolescenza e della vita nascosta del Signore.
Nei primi tempi, riferimento unico e sostanziale era la presenza di Dio attraverso la nuova e autentica Pasqua, ora in Cristo del tutto priva di epopee clamorose.
Anche per l’ultimo dei Vangeli, la dimora di Dio fra gli uomini e il suo innalzamento (sul patibolo del rifiuto) nulla ha di glorificante e luminoso in senso banale e marginale. Piuttosto di profondità permanente.
Ma i primi cristiani si trovarono di fronte a obiezioni importanti: così vennero costretti a dare una risposta teologica, e presentare in modo diverso il centro del Messaggio delle chiese [la salvezza in Cristo].
Prima eccezione, sollevata da parte dei seguaci del Battista; in breve: “Voi dite che Gesù è il Messia vero, ma non ricordate che è stato allievo del nostro maestro?”.
La seconda, da parte dei pagani: “Voi affermate che Gesù è Figlio di Dio, ma come mai è nato come tutti gli altri uomini, in modo normale, da una donna?”.
Sorse allora la necessità di un’apologetica sulla parte della vicenda famigliare e non pubblica di Cristo, antecedente appunto alla sua Manifestazione.
I Vangeli dell’infanzia non intendono fornire notizie e dettagli storici - come pure faranno fantasiosamente alcuni vangeli apocrifi. Essi sono testimonianza della Fede popolare consolidata nelle liturgie comunitarie.
La nuova Parola è proclamazione di una Notizia a nostro favore che comprende l’intera vita del Maestro.
Nella sua vicenda tutta umana Egli ha rivelato la condizione divina - sin dal Battesimo, con la testimonianza dei cieli squarciati; e fin dalla nascita stessa.
Ma tutto lo sfondo narrativo e letterario viene utilizzato dagli evangelisti per delineare una sorta di racconto sintetico di “circostanze” atte a veicolare il significato della figura del «Figlio dell’uomo».
In tal guisa, infatti, amava autodefinirsi Gesù - divenuto Signore: così come veniva annunciato nella predicazione apostolica, e vissuto nelle comunità.
In tale logica, Lc ci conduce a Betlemme, villaggio delle promesse d’Israele - per sottolineare una contrapposizione col Messia davidico atteso.
Cristo è [paradossalmente] suo discendente - eppure solo, abbandonato nel luogo impuro di una mangiatoia.
Anche il Messaggio per i lontani dai cerimoniali rompe gli schemi di grandezza: «è stato partorito per voi oggi un Salvatore» (v.11).
Richiamo per tutti i piccoli della terra, e Appello-Lieta Novella anche per i non anonimi.
In diversi passi, onde sottolineare il Signore come culmine e superamento del Primo Testamento, Lc e Gv mettono in parallelo Cristo e il Battista.
Anche qui lo scopo è quello di proclamare la superiorità del Figlio di Dio sull’ultimo dei profeti, ancorato all’idea “religiosa” dell’Altissimo come Legislatore e Giudice.
Il Padre non annota né fa inchieste: solo trasmette vita e continua a generarla, sempre nuova.
Dio Creatore e Redentore della nostra intelligenza e libertà è rivelato in tutta la sua vicenda, senso, e Parola, già a partire dal Natale e non solo dall’inizio della vita pubblica.
Con Lui non siamo più tenuti a un rapporto subordinato, di obbedienza cieca, ma di simpatia, collaborazione, rassomiglianza.
Nel Bimbo a braccia aperte è il Padre stesso che ci strizza l’occhiolino e si riconosce nelle nostre indifese precarietà, povero fra poveri; persino complice.
Non potente arcigno, munito di tutto, guardingo e pretenzioso.
Una Rivelazione impensabile per le filosofie e le religioni antiche, compreso il pensiero pur dignitoso di Giovanni [il Battezzatore era celebre e ritenuto convincente più di Gesù stesso - perfino da decollato].
Sul piano della Fede che doveva superare le ideologie devote o rigide, il nuovo Rabbi proponeva una immedesimazione incredibile per qualsiasi istituzione o credo.
Egli proclamava l’identità fra condizione divina e pienezza di umanizzazione.
L’istinto belluino dei violenti e trionfatori non aveva nulla a che fare con Dio. Piuttosto, Egli si riconosceva nel ceto degl’indifesi e senza voce.
Pertanto, il Padre non poteva essere un protettore che pretendesse riconoscimenti, bensì un Genitore che sempre vuol far crescere.
Riconoscendosi e unendosi a noi, l’Eterno dilata la vita; non la umilia, né la rattrappisce.
È ciò che chiamiamo Incarnazione, in senso proprio.
Ogni dono del Cielo non cade per simpatia degli dei, fortuna cieca, o loro predilezione a caso; né per merito e adempimenti, bensì per bisogno.
Ora le necessità della donna e dell’uomo spingono all’Esodo e passano attraverso una dimensione di completamento, di pienezza di essere che supera il pre-umano, rivelando un Dio fra noi e con noi.
L’Eterno che scende, viene, e bussa, chiede di essere accolto, non ubbidito.
Il volto di un Bimbo sguarnito, simpatico, accogliente - talora in lacrime - è il tratto della persona autentica, che sostituisce l’uomo antico, tutto d’un pezzo, assomigliante al dio della guerra.
L’Altissimo non chiede sottomissione, né impone che lo incontriamo a mezza strada, allestendo inutili impalcature per salire noi verso il Cielo - come per la religione tipo torre di Babele, inesorabilmente destinata al crollo.
Con lo Svelamento del nuovo Volto dell’autentico Dio e del vero uomo iniziano tempi nuovi.
Non siamo più chiamati a vivere in funzione dell’Onnipotente: viviamo del Padre e in Lui, col Figlio, per noi e i fratelli.
Ecco la Luce dal basso e dall’alto insieme, che squarcia le tenebre di questa notte.
Quel Bimbo rompe le vene artificiose, rimette in contatto con le energie dei primordi.
Spegne i pensieri e i tormenti che forse [per “demerito”] dovevamo subire.
Rompe l’isolamento; apre la parte sognante dell’uomo vecchio, cronico e chiuso, che non vorrebbe il balzo.
In tale Sguardo aperto, Gesù fratello viene a trovare la nostra coscienza.
La condizione divina irrompe onde posizionarsi nell’immaginazione.
Essa chiede spazio... per farci perdere la testa - così spinge via dalle continuità e dai controlli rigidi, offrendo una piena, nuova esistenza.
Natale aurora
Il posto per noi
(Lc 2,15-20)
Nelle gabbie della nostra devozione, forse non c’è ancora posto per Gesù che si offre. Egli continua a nascere bambino come gli altri, lontano e povero, rifiutato.
Solo i marginali della società sembrano capaci di attesa, apertura al mistero, e ricerca: vegliare di notte (v.8), passare e vedere (v.15), venire affrettandosi (v.16), lodare (v.20).
La Madre sta facendo già il suo cammino per passare dalla religiosità dei padri alla Fede nel Padre: Contemplativa che ascolta, incontra i suoi stati profondi e cerca di non perdere nulla.
Chi non è nessuno ma sente ansia di ricerca e cuore orante può cantare un canto nuovo.
In tal guisa, sarà in grado di decifrare i segni della Presenza divina iscritti nelle vicende, e accogliere Cristo nella propria dimora interna (v.7) [cf. commento al Prologo di Gv].
Nella semplicità del Figlio - nella Libertà dei figli - il Dio Eterno indica alle moltitudini misere e abbandonate una Via nuova, in grado di valorizzare i limiti e perfino le eccentricità di ciascuno.
Lungo tutto il primo secolo, sia in Palestina che in Asia Minore [chiese giovannee e lucane] le diverse scuole teologiche e di servitori di Dio - del giudaismo tradizionale, di Gesù, del Battista - si confrontavano in modo alternativo.
Dove c’erano comunità di giudei, non mancavano polemiche tra cristiani e vari osservanti (più o meno radicali) della religione dei padri - nonché persone che erano state battezzate da Giovanni, o almeno a contatto con i suoi allievi. Anche il Maestro e i primi apostoli lo erano stati.
Più che confusione, tra il gruppo dei discepoli di Cristo e quelli del Battezzatore, si notavano vere e proprie competizioni.
Ciò, sebbene entrambe proclamassero la venuta del Regno di Dio, e proponessero giustizia sociale, nonché il perdono dei peccati nella vita pratica - invece che mediante riti e gesti sacrificali al Tempio di Gerusalemme.
Eppure, grazie al Figlio di Dio, gli apostoli coglievano la profondità del cuore del Padre, che mai somiglia a un giustizialista, bensì opera esclusivamente per il bene e la promozione della vita.
Quindi nella Fede essi stessi ottenevano recuperi inspiegabili - proprio integrando gratuitamente i lati deboli delle persone - senza opere di mortificazione della donna e dell’uomo insicuri, né pretendere perfezioni preventive impossibili.
Ancora oggi, proprio a partire dai versanti oscuri della nostra personalità, il Padre crea nello Spirito delle Beatitudini la sua Novità, che ribalta le carte in tavola.
Mutamento del tutto inatteso, impossibile da immaginare e proporsi; almeno sulla base di pregiudizi o idee già consolidate - tutte concorrenziali con la stima di sé e la gioia di vivere.
Il Dio dall’amore senza condizioni e che scaccia i sensi di colpa era appunto appannaggio esclusivo delle nuove persone di Fede in Cristo, le quali avevano superato le cappe accusatorie, moralistiche e pignole della tradizione.
Anche allora le diversità mettevano in gioco la questione delle purificazioni richieste dai credo e dai riti identitari.
Gesù sembrava del tutto estraneo alla mentalità delle abluzioni cultuali.
Era la consuetudine di vita con Lui che rigenerava anime a tutto tondo, anche a partire dalle eccentricità di ciascuno.
Unicità preziose, interpretate come segno di eccezionalità vocazionali.
Insegnava ai miseri e ai condannati dalla religione a rimettersi in piedi facendo leva sulla possibilità d’incontrare i diversi volti annidati nell’anima di ciascuno: assumerli e investirli invece che rinnegarli.
Personalità tutte... non sterilizzate in via preventiva; anche dalle espressioni stravaganti, o dai lati inconsapevoli, malfermi, inespressi - nei quali Gesù insegnava a scoprire i tratti della Chiamata missionaria personale.
E proprio da qui - sembra incredibile - anche noi inviati all’Annuncio.
Tutto ciò resta fondamentale ogni giorno.
Infatti, le pie proposte possono presentarsi in forme dignitosissime - ma esse restano solo battistrada del nuovo salto di qualità.
Quest’ultimo, capace di stupore e tutto umanizzante: senza la tara di sentirsi segnati a vita dalle opinioni esterne.
Ovviamente, queste forme di scioltezza e immediatezza famigliare nei confronti del Dio Eterno suscitavano l’invidia dei veterani ancora ingabbiati nei vecchi timori della retribuzione e nel mucchio delle opere di legge.
In nessun adempimento, bensì solo in Cristo, i suoi amici e fratelli riconoscevano la Voce del Dio amabile.
Egli non distingue fra puri e impuri, capaci e incapaci, amici e nemici; reduci, eletti, predestinati, e non.
Insomma, nella nostra vita reale non attendiamo un fenomeno che turbi e opprima di continuo, riempiendoci di paure e deviazioni da correggere [che fiaccano tutte le energie].
Badiamo solo a un Amico che consenta di esprimersi in modo inedito e avere una speranza lunga - anche immeritata.
Facciamo come i pastori: nessuno ha mai capito cosa li abbia convinti, se non lo stupore della gratuità imprevedibile (vv.15-18.20).
Paradossalmente pronti a fondare un nuovo popolo - senza troppi regolamenti - a partire da come e dove ciascuno si trovasse.
Ormai anche a noi non serve più l’imprimatur dei settarismi.
Le nostre più infantili stranezze [cf. commento al Prologo di Gv] possono avvicinare la condizione umana a quella divina.
Quindi hanno l’approvazione del Signore di tutti i cosmi.
Genealogia
Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero!
Cristo è nato per noi! Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama. A tutti giunga l’eco dell’annuncio di Betlemme, che la Chiesa Cattolica fa risuonare in tutti i continenti, al di là di ogni confine di nazionalità, di lingua e di cultura. Il Figlio di Maria Vergine è nato per tutti, è il Salvatore di tutti.
Così lo invoca un’antica antifona liturgica: “O Emmanuele, nostro re e legislatore, speranza e salvezza dei popoli: vieni a salvarci, o Signore nostro Dio”. Veni ad salvandum nos! Vieni a salvarci! Questo è il grido dell’uomo di ogni tempo, che sente di non farcela da solo a superare difficoltà e pericoli. Ha bisogno di mettere la sua mano in una mano più grande e più forte, una mano che dall’alto si tenda verso di lui. Cari fratelli e sorelle, questa mano è Cristo, nato a Betlemme dalla Vergine Maria. Lui è la mano che Dio ha teso all’umanità, per farla uscire dalle sabbie mobili del peccato e metterla in piedi sulla roccia, la salda roccia della sua Verità e del suo Amore (cfr Sal 40,3).
Sì, questo significa il nome di quel Bambino, il nome che, per volere di Dio, gli hanno dato Maria e Giuseppe: si chiama Gesù, che significa “Salvatore” (cfr Mt 1,21; Lc 1,31). Egli è stato inviato da Dio Padre per salvarci soprattutto dal male profondo, radicato nell’uomo e nella storia: quel male che è la separazione da Dio, l’orgoglio presuntuoso di fare da sé, di mettersi in concorrenza con Dio e sostituirsi a Lui, di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di essere il padrone della vita e della morte (cfr Gen 3,1-7). Questo è il grande male, il grande peccato, da cui noi uomini non possiamo salvarci se non affidandoci all’aiuto di Dio, se non gridando a Lui: “Veni ad salvandum nos! - Vieni a salvarci!”.
Il fatto stesso di elevare al Cielo questa invocazione, ci pone già nella giusta condizione, ci mette nella verità di noi stessi: noi infatti siamo coloro che hanno gridato a Dio e sono stati salvati (cfr Est [greco] 10,3f). Dio è il Salvatore, noi quelli che si trovano nel pericolo. Lui è il medico, noi i malati. Riconoscerlo, è il primo passo verso la salvezza, verso l’uscita dal labirinto in cui noi stessi ci chiudiamo con il nostro orgoglio. Alzare gli occhi al Cielo, protendere le mani e invocare aiuto è la via di uscita, a patto che ci sia Qualcuno che ascolta, e che può venire in nostro soccorso.
Gesù Cristo è la prova che Dio ha ascoltato il nostro grido. Non solo! Dio nutre per noi un amore così forte, da non poter rimanere in Se stesso, da uscire da Se stesso e venire in noi, condividendo fino in fondo la nostra condizione (cfr Es 3,7-12). La risposta che Dio ha dato in Gesù al grido dell’uomo supera infinitamente la nostra attesa, giungendo ad una solidarietà tale che non può essere soltanto umana, ma divina. Solo il Dio che è amore e l’amore che è Dio poteva scegliere di salvarci attraverso questa via, che è certamente la più lunga, ma è quella che rispetta la verità sua e nostra: la via della riconciliazione, del dialogo, della collaborazione.
Perciò, cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero, in questo Natale 2011, rivolgiamoci al Bambino di Betlemme, al Figlio della Vergine Maria, e diciamo: “Vieni a salvarci!”. Lo ripetiamo in unione spirituale con tante persone che vivono situazioni particolarmente difficili, e facendoci voce di chi non ha voce.
Insieme invochiamo il divino soccorso per le popolazioni del Corno d’Africa, che soffrono a causa della fame e delle carestie, talvolta aggravate da un persistente stato di insicurezza. La Comunità internazionale non faccia mancare il suo aiuto ai numerosi profughi provenienti da tale Regione, duramente provati nella loro dignità.
Il Signore doni conforto alle popolazioni del Sud-Est asiatico, particolarmente della Thailandia e delle Filippine, che sono ancora in gravi situazioni di disagio a causa delle recenti inondazioni.
Il Signore soccorra l’umanità ferita dai tanti conflitti, che ancora oggi insanguinano il Pianeta. Egli, che è il Principe della Pace, doni pace e stabilità alla Terra che ha scelto per venire nel mondo, incoraggiando la ripresa del dialogo tra Israeliani e Palestinesi. Faccia cessare le violenze in Siria, dove tanto sangue è già stato versato. Favorisca la piena riconciliazione e la stabilità in Iraq ed in Afghanistan. Doni un rinnovato vigore nell’edificazione del bene comune a tutte le componenti della società nei Paesi nord africani e mediorientali.
La nascita del Salvatore sostenga le prospettive di dialogo e di collaborazione in Myanmar, nella ricerca di soluzioni condivise. Il Natale del Redentore garantisca stabilità politica ai Paesi della Regione africana dei Grandi Laghi ed assista l’impegno degli abitanti del Sud Sudan per la tutela dei diritti di tutti i cittadini.
Cari fratelli e sorelle, rivolgiamo lo sguardo alla Grotta di Betlemme: il Bambino che contempliamo è la nostra salvezza! Lui ha portato al mondo un messaggio universale di riconciliazione e di pace. Apriamogli il nostro cuore, accogliamolo nella nostra vita. Ripetiamogli con fiducia e speranza: “Veni ad salvandum nos!”.
[Papa Benedetto, Messaggio Urbi et Orbi 25 dicembre 2011]
Oggi è nato per voi
Cari fratelli e sorelle,
“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5). Ciò che Isaia, guardando da lontano verso il futuro, dice a Israele come consolazione nelle sue angustie ed oscurità, l’Angelo, dal quale emana una nube di luce, lo annuncia ai pastori come presente: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2, 11). Il Signore è presente. Da questo momento, Dio è veramente un “Dio con noi”. Non è più il Dio distante, che, attraverso la creazione e mediante la coscienza, si può in qualche modo intuire da lontano. Egli è entrato nel mondo. È il Vicino. Il Cristo risorto lo ha detto ai suoi, a noi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Per voi è nato il Salvatore: ciò che l’Angelo annunciò ai pastori, Dio ora lo richiama a noi per mezzo del Vangelo e dei suoi messaggeri. È questa una notizia che non può lasciarci indifferenti. Se è vera, tutto è cambiato. Se è vera, essa riguarda anche me. Allora, come i pastori, devo dire anch’io: Orsù, voglio andare a Betlemme e vedere la Parola che lì è accaduta. Il Vangelo non ci racconta senza scopo la storia dei pastori. Essi ci mostrano come rispondere in modo giusto a quel messaggio che è rivolto anche a noi. Che cosa ci dicono allora questi primi testimoni dell’incarnazione di Dio?
Dei pastori è detto anzitutto che essi erano persone vigilanti e che il messaggio poteva raggiungerli proprio perché erano svegli. Noi dobbiamo svegliarci, perché il messaggio arrivi fino a noi. Dobbiamo diventare persone veramente vigilanti. Che significa questo? La differenza tra uno che sogna e uno che sta sveglio consiste innanzitutto nel fatto che colui che sogna si trova in un mondo particolare. Con il suo io egli è rinchiuso in questo mondo del sogno che, appunto, è soltanto suo e non lo collega con gli altri. Svegliarsi significa uscire da tale mondo particolare dell’io ed entrare nella realtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti. Il conflitto nel mondo, l’inconciliabilità reciproca, derivano dal fatto che siamo rinchiusi nei nostri propri interessi e nelle opinioni personali, nel nostro proprio minuscolo mondo privato. L’egoismo, quello del gruppo come quello del singolo, ci tiene prigionieri dei nostri interessi e desideri, che contrastano con la verità e ci dividono gli uni dagli altri. Svegliatevi, ci dice il Vangelo. Venite fuori per entrare nella grande verità comune, nella comunione dell’unico Dio. Svegliarsi significa così sviluppare la sensibilità per Dio; per i segnali silenziosi con cui Egli vuole guidarci; per i molteplici indizi della sua presenza. Ci sono persone che dicono di essere “religiosamente prive di orecchio musicale”. La capacità percettiva per Dio sembra quasi una dote che ad alcuni è rifiutata. E in effetti – la nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci “privi di orecchio musicale” per Lui. E tuttavia in ogni anima è presente, in modo nascosto o aperto, l’attesa di Dio, la capacità di incontrarlo. Per ottenere questa vigilanza, questo svegliarsi all’essenziale, vogliamo pregare, per noi stessi e per gli altri, per quelli che sembrano essere “privi di questo orecchio musicale” e nei quali, tuttavia, è vivo il desiderio che Dio si manifesti. Il grande teologo Origene ha detto: se io avessi la grazia di vedere come ha visto Paolo, potrei adesso (durante la Liturgia) contemplare una grande schiera di Angeli (cfr in Lc 23, 9). Infatti – nella Sacra Liturgia, gli Angeli di Dio e i Santi ci circondano. Il Signore stesso è presente in mezzo a noi. Signore, apri gli occhi dei nostri cuori, affinché diventiamo vigilanti e veggenti e così possiamo portare la tua vicinanza anche ad altri!
Torniamo al Vangelo di Natale. Esso ci racconta che i pastori, dopo aver ascoltato il messaggio dell’Angelo, si dissero l’un l’altro: “'Andiamo fino a Betlemme' … Andarono, senza indugio” (Lc 2, 15s.). “Si affrettarono” dice letteralmente il testo greco. Ciò che era stato loro annunciato era così importante che dovevano andare immediatamente. In effetti, ciò che lì era stato detto loro andava totalmente al di là del consueto. Cambiava il mondo. È nato il Salvatore. L’atteso Figlio di Davide è venuto al mondo nella sua città. Che cosa poteva esserci di più importante? Certo, li spingeva anche la curiosità, ma soprattutto l’agitazione per la grande cosa che era stata comunicata proprio a loro, i piccoli e uomini apparentemente irrilevanti. Si affrettarono – senza indugio. Nella nostra vita ordinaria le cose non stanno così. La maggioranza degli uomini non considera prioritarie le cose di Dio, esse non ci incalzano in modo immediato. E così noi, nella stragrande maggioranza, siamo ben disposti a rimandarle. Prima di tutto si fa ciò che qui ed ora appare urgente. Nell’elenco delle priorità Dio si trova spesso quasi all’ultimo posto. Questo – si pensa – si potrà fare sempre. Il Vangelo ci dice: Dio ha la massima priorità. Se qualcosa nella nostra vita merita fretta senza indugio, ciò è, allora, soltanto la causa di Dio. Una massima della Regola di san Benedetto dice: “Non anteporre nulla all’opera di Dio (cioè all’ufficio divino)”. La Liturgia è per i monaci la prima priorità. Tutto il resto viene dopo. Nel suo nucleo, però, questa frase vale per ogni uomo. Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita. Proprio questa priorità ci insegnano i pastori. Da loro vogliamo imparare a non lasciarci schiacciare da tutte le cose urgenti della vita quotidiana. Da loro vogliamo apprendere la libertà interiore di mettere in secondo piano altre occupazioni – per quanto importanti esse siano – per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo. Il tempo impegnato per Dio e, a partire da Lui, per il prossimo non è mai tempo perso. È il tempo in cui viviamo veramente, in cui viviamo lo stesso essere persone umane.
Alcuni commentatori fanno notare che per primi i pastori, le anime semplici, sono venuti da Gesù nella mangiatoia e hanno potuto incontrare il Redentore del mondo. I sapienti venuti dall’Oriente, i rappresentanti di coloro che hanno rango e nome, vennero molto più tardi. I commentatori aggiungono: questo è del tutto ovvio. I pastori, infatti, abitavano accanto. Essi non dovevano che “attraversare” (cfr Lc 2, 15) come si attraversa un breve spazio per andare dai vicini. I sapienti, invece, abitavano lontano. Essi dovevano percorrere una via lunga e difficile, per arrivare a Betlemme. E avevano bisogno di guida e di indicazione. Ebbene, anche oggi esistono anime semplici ed umili che abitano molto vicino al Signore. Essi sono, per così dire, i suoi vicini e possono facilmente andare da Lui. Ma la maggior parte di noi uomini moderni vive lontana da Gesù Cristo, da Colui che si è fatto uomo, dal Dio venuto in mezzo a noi. Viviamo in filosofie, in affari e occupazioni che ci riempiono totalmente e dai quali il cammino verso la mangiatoia è molto lungo. In molteplici modi Dio deve ripetutamente spingerci e darci una mano, affinché possiamo trovare l’uscita dal groviglio dei nostri pensieri e dei nostri impegni e trovare la via verso di Lui. Ma per tutti c’è una via. Per tutti il Signore dispone segnali adatti a ciascuno. Egli chiama tutti noi, perché anche noi si possa dire: Orsù, “attraversiamo”, andiamo a Betlemme – verso quel Dio, che ci è venuto incontro. Sì, Dio si è incamminato verso di noi. Da soli non potremmo giungere fino a Lui. La via supera le nostre forze. Ma Dio è disceso. Egli ci viene incontro. Egli ha percorso la parte più lunga del cammino. Ora ci chiede: Venite e vedete quanto vi amo. Venite e vedete che io sono qui. Transeamus usque Bethleem, dice la Bibbia latina. Andiamo di là! Oltrepassiamo noi stessi! Facciamoci viandanti verso Dio in molteplici modi: nell’essere interiormente in cammino verso di Lui. E tuttavia anche in cammini molto concreti – nella Liturgia della Chiesa, nel servizio al prossimo, in cui Cristo mi attende.
Ascoltiamo ancora una volta direttamente il Vangelo. I pastori si dicono l’un l’altro il motivo per cui si mettono in cammino: “Vediamo questo avvenimento”. Letteralmente il testo greco dice: “Vediamo questa Parola, che lì è accaduta”. Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne. Quel Dio di cui non si deve fare alcuna immagine, perché ogni immagine potrebbe solo ridurlo, anzi travisarlo, quel Dio si è reso, Egli stesso, visibile in Colui che è la sua vera immagine, come dice Paolo (cfr 2 Cor 4, 4; Col 1, 15). Nella figura di Gesù Cristo, in tutto il suo vivere ed operare, nel suo morire e risorgere, possiamo guardare la Parola di Dio e quindi il mistero dello stesso Dio vivente. Dio è così. L’Angelo aveva detto ai pastori: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2, 12; cfr 16). Il segno di Dio, il segno che viene dato ai pastori e a noi, non è un miracolo emozionante. Il segno di Dio è la sua umiltà. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo; diventa bambino; si lascia toccare e chiede il nostro amore. Quanto desidereremmo noi uomini un segno diverso, imponente, inconfutabile del potere di Dio e della sua grandezza. Ma il suo segno ci invita alla fede e all’amore, e pertanto ci dà speranza: così è Dio. Egli possiede il potere ed è la Bontà. Ci invita a diventare simili a Lui. Sì, diventiamo simili a Dio, se ci lasciamo plasmare da questo segno; se impariamo, noi stessi, l’umiltà e così la vera grandezza; se rinunciamo alla violenza ed usiamo solo le armi della verità e dell’amore. Origene, seguendo una parola di Giovanni Battista, ha visto espressa l’essenza del paganesimo nel simbolo delle pietre: paganesimo è mancanza di sensibilità, significa un cuore di pietra, che è incapace di amare e di percepire l’amore di Dio. Origene dice dei pagani: “Privi di sentimento e di ragione, si trasformano in pietre e in legno” (in Lc 22, 9). Cristo, però, vuole darci un cuore di carne. Quando vediamo Lui, il Dio che è diventato un bambino, ci si apre il cuore. Nella Liturgia della Notte Santa Dio viene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani. Ascoltiamo ancora Origene: “In effetti, a che gioverebbe a te che Cristo una volta sia venuto nella carne, se Egli non giunge fin nella tua anima? Preghiamo che venga quotidianamente a noi e che possiamo dire: vivo, però non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20)” (in Lc 22, 3).
Sì, per questo vogliamo pregare in questa Notte Santa. Signore Gesù Cristo, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima. Trasformami. Rinnovami. Fa’ che io e tutti noi da pietra e legno diventiamo persone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo viene trasformato. Amen.
[Papa Benedetto, omelia della Notte 24 dicembre 2009]
I pastori trovarono
“Un giorno santo è spuntato per noi:
venite tutti ad adorare il Signore;
oggi una splendida luce è discesa sulla terra”
(Messa del giorno di Natale, Acclamazione al Vangelo).
Cari fratelli e sorelle! “Un giorno santo è spuntato per noi”. Un giorno di grande speranza: oggi è nato il Salvatore dell’umanità! La nascita di un bambino porta normalmente una luce di speranza a quanti lo attendono trepidanti. Quando nacque Gesù nella grotta di Betlemme, una “grande luce” apparve sulla terra; una grande speranza entrò nel cuore di quanti lo attendevano: “lux magna”, canta la liturgia di questo giorno di Natale. Non fu certo “grande” alla maniera di questo mondo, perché a vederla, dapprima, furono solo Maria, Giuseppe e alcuni pastori, poi i Magi, il vecchio Simeone, la profetessa Anna: coloro che Dio aveva prescelto. Eppure, nel nascondimento e nel silenzio di quella notte santa, si è accesa per ogni uomo una luce splendida e intramontabile; è venuta nel mondo la grande speranza portatrice di felicità: “il Verbo si è fatto carne e noi abbiamo visto la sua gloria” (Gv 1,14)
“Dio è luce – afferma san Giovanni – e in lui non ci sono tenebre” (1 Gv 1,5). Nel Libro della Genesi leggiamo che quando ebbe origine l’universo, “la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso”. “Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu” (Gn 1,2-3). La Parola creatrice di Dio è Luce, sorgente della vita. Tutto è stato fatto per mezzo del Logos e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste (cfr Gv 1,3). Ecco perchè tutte le creature sono fondamentalmente buone, e recano in sé l’impronta di Dio, una scintilla della sua luce. Tuttavia, quando Gesù nacque dalla Vergine Maria, la Luce stessa è venuta nel mondo: “Dio da Dio, Luce da Luce”, professiamo nel Credo. In Gesù Dio ha assunto ciò che non era rimanendo ciò che era: “l’onnipotenza entrò in un corpo infantile e non fu sottratta al governo dell’universo” (cfr Agostino, Serm 184, 1 sul Natale). Si è fatto uomo Colui che è il creatore dell’uomo per recare al mondo la pace. Per questo, nella notte di Natale, le schiere degli Angeli cantano: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14).
“Oggi una splendida luce è discesa sulla terra”. La Luce di Cristo è portatrice di pace. Nella Messa della notte la liturgia eucaristica si è aperta proprio con questo canto: “Oggi la vera pace è scesa a noi dal cielo” (Antifona d’ingresso). Anzi, solo la “grande” luce apparsa in Cristo può donare agli uomini la “vera” pace: ecco perchè ogni generazione è chiamata ad accoglierla, ad accogliere il Dio che a Betlemme si è fatto uno di noi.
Questo è il Natale! Evento storico e mistero di amore, che da oltre duemila anni interpella gli uomini e le donne di ogni epoca e di ogni luogo. E’ il giorno santo in cui rifulge la “grande luce” di Cristo portatrice di pace! Certo, per riconoscerla, per accoglierla ci vuole fede, ci vuole umiltà. L’umiltà di Maria, che ha creduto alla parola del Signore, e ha adorato per prima, china sulla mangiatoia, il Frutto del suo grembo; l’umiltà di Giuseppe, uomo giusto, che ebbe il coraggio della fede e preferì obbedire a Dio piuttosto che tutelare la propria reputazione; l’umiltà dei pastori, dei poveri ed anonimi pastori, che accolsero l’annuncio del messaggero celeste e in fretta raggiunsero la grotta dove trovarono il bambino appena nato e, pieni di stupore, lo adorarono lodando Dio (cfr Lc 2,15-20). I piccoli, i poveri in spirito: ecco i protagonisti del Natale, ieri come oggi; i protagonisti di sempre della storia di Dio, i costruttori infaticabili del suo Regno di giustizia, di amore e di pace.
Nel silenzio della notte di Betlemme Gesù nacque e fu accolto da mani premurose. Ed ora, in questo nostro Natale, in cui continua a risuonare il lieto annuncio della sua nascita redentrice, chi è pronto ad aprirgli la porta del cuore? Uomini e donne di questa nostra epoca, anche a noi Cristo viene a portare la luce, anche a noi viene a donare la pace! Ma chi veglia, nella notte del dubbio e dell’incertezza, con il cuore desto e orante? Chi attende l’aurora del giorno nuovo tenendo accesa la fiammella della fede? Chi ha tempo per ascoltare la sua parola e lasciarsi avvolgere dal fascino del suo amore? Sì! È per tutti il suo messaggio di pace; è a tutti che viene ad offrire se stesso come certa speranza di salvezza.
La luce di Cristo, che viene ad illuminare ogni essere umano, possa finalmente rifulgere, e sia consolazione per quanti si trovano nelle tenebre della miseria, dell'ingiustizia, della guerra; per coloro che vedono ancora negata la loro legittima aspirazione a una più sicura sussistenza, alla salute, all'istruzione, a un'occupazione stabile, a una partecipazione più piena alle responsabilità civili e politiche, al di fuori di ogni oppressione e al riparo da condizioni che offendono la dignità umana. Vittime dei sanguinosi conflitti armati, del terrorismo e delle violenze di ogni genere, che infliggono inaudite sofferenze a intere popolazioni, sono particolarmente le fasce più vulnerabili, i bambini, le donne, gli anziani. Mentre le tensioni etniche, religiose e politiche, l’instabilità, le rivalità, le contrapposizioni, le ingiustizie e le discriminazioni, che lacerano il tessuto interno di molti Paesi, inaspriscono i rapporti internazionali. E nel mondo va sempre più crescendo il numero dei migranti, dei rifugiati, degli sfollati anche a causa delle frequenti calamità naturali, conseguenza spesso di preoccupanti dissesti ambientali.
In questo giorno di pace, il pensiero va soprattutto laddove rimbomba il fragore delle armi: alle martoriate terre del Darfur, della Somalia e del nord della Repubblica Democratica del Congo, ai confini dell'Eritrea e dell'Etiopia, all'intero Medio Oriente, in particolare all'Iraq, al Libano e alla Terrasanta, all'Afghanistan, al Pakistan e allo Sri Lanka, alla regione dei Balcani, e alle tante altre situazioni di crisi, spesso purtroppo dimenticate. Il Bambino Gesù porti sollievo a chi è nella prova e infonda ai responsabili di governo la saggezza e il coraggio di cercare e trovare soluzioni umane, giuste e durature. Alla sete di senso e di valore che avverte il mondo oggi, alla ricerca di benessere e di pace che segna la vita di tutta l’umanità, alle attese dei poveri Cristo, vero Dio e vero Uomo, risponde con il suo Natale. Non temano gli individui e le nazioni di riconoscerlo e di accoglierlo: con Lui “una splendida luce” rischiara l’orizzonte dell’umanità; con Lui si apre “un giorno santo” che non conosce tramonto. Questo Natale sia veramente per tutti un giorno di gioia, di speranza e di pace!
“Venite tutti ad adorare il Signore”. Con Maria, Giuseppe e i pastori, con i Magi e la schiera innumerevole di umili adoratori del neonato Bambino, che lungo i secoli hanno accolto il mistero del Natale, anche noi, fratelli e sorelle di ogni continente, lasciamo che la luce di questo giorno si diffonda dappertutto: entri nei nostri cuori, rischiari e riscaldi le nostre case, porti serenità e speranza nelle nostre città, dia al mondo la pace. E’ questo il mio augurio per voi che mi ascoltate. Augurio che si fa preghiera umile e fiduciosa al Bambino Gesù, perché la sua luce disperda ogni tenebra dalla vostra vita e vi ricolmi dell’amore e della pace. Il Signore, che ha fatto risplendere in Cristo il suo volto di misericordia, vi appaghi della sua felicità e vi renda messaggeri della sua bontà. Buon Natale!
[Papa Benedetto, Messaggio Urbi et Orbi 25 dicembre 2007]
Il Logos si fece Carne
“Verbum caro factum est” - “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14).
Cari fratelli e sorelle, che mi ascoltate da Roma e dal mondo intero, con gioia vi annuncio il messaggio del Natale: Dio si è fatto uomo, è venuto ad abitare in mezzo a noi. Dio non è lontano: è vicino, anzi, è l’“Emmanuele”, Dio-con-noi. Non è uno sconosciuto: ha un volto, quello di Gesù.
E’ un messaggio sempre nuovo, sempre sorprendente, perché oltrepassa ogni nostra più audace speranza. Soprattutto perché non è solo un annuncio: è un avvenimento, un accadimento, che testimoni credibili hanno veduto, udito, toccato nella Persona di Gesù di Nazareth! Stando con Lui, osservando i suoi atti e ascoltando le sue parole, hanno riconosciuto in Gesù il Messia; e vedendolo risorto, dopo che era stato crocifisso, hanno avuto la certezza che Lui, vero uomo, era al tempo stesso vero Dio, il Figlio unigenito venuto dal Padre, pieno di grazia e di verità (cfr Gv 1,14).
“Il Verbo si fece carne”. Di fronte a questa rivelazione, riemerge ancora una volta in noi la domanda: come è possibile? Il Verbo e la carne sono realtà tra loro opposte; come può la Parola eterna e onnipotente diventare un uomo fragile e mortale? Non c’è che una risposta: l’Amore. Chi ama vuole condividere con l’amato, vuole essere unito a lui, e la Sacra Scrittura ci presenta proprio la grande storia dell’amore di Dio per il suo popolo, culminata in Gesù Cristo.
In realtà, Dio non cambia: Egli è fedele a Se stesso. Colui che ha creato il mondo è lo stesso che ha chiamato Abramo e che ha rivelato il proprio Nome a Mosè: Io sono colui che sono … il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe … Dio misericordioso e pietoso, ricco di amore e di fedeltà (cfr Es 3,14-15; 34,6). Dio non muta, Egli è Amore da sempre e per sempre. E’ in Se stesso Comunione, Unità nella Trinità, ed ogni sua opera e parola mira alla comunione. L’incarnazione è il culmine della creazione. Quando nel grembo di Maria, per la volontà del Padre e l’azione dello Spirito Santo, si formò Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, il creato raggiunse il suo vertice. Il principio ordinatore dell’universo, il Logos, incominciava ad esistere nel mondo, in un tempo e in uno spazio.
“Il Verbo si fece carne”. La luce di questa verità si manifesta a chi la accoglie con fede, perché è un mistero d’amore. Solo quanti si aprono all’amore sono avvolti dalla luce del Natale. Così fu nella notte di Betlemme, e così è anche oggi. L’incarnazione del Figlio di Dio è un avvenimento che è accaduto nella storia, ma nello stesso tempo la oltrepassa. Nella notte del mondo si accende una luce nuova, che si lascia vedere dagli occhi semplici della fede, dal cuore mite e umile di chi attende il Salvatore. Se la verità fosse solo una formula matematica, in un certo senso si imporrebbe da sé. Se invece la Verità è Amore, domanda la fede, il “sì” del nostro cuore.
E che cosa cerca, in effetti, il nostro cuore, se non una Verità che sia Amore? La cerca il bambino, con le sue domande, così disarmanti e stimolanti; la cerca il giovane, bisognoso di trovare il senso profondo della propria vita; la cercano l’uomo e la donna nella loro maturità, per guidare e sostenere l’impegno nella famiglia e nel lavoro; la cerca la persona anziana, per dare compimento all’esistenza terrena.
“Il Verbo si fece carne”. L’annuncio del Natale è luce anche per i popoli, per il cammino collettivo dell’umanità. L’“Emmanuele”, Dio-con-noi, è venuto come Re di giustizia e di pace. Il suo Regno – lo sappiamo – non è di questo mondo, eppure è più importante di tutti i regni di questo mondo. E’ come il lievito dell’umanità: se mancasse, verrebbe meno la forza che manda avanti il vero sviluppo: la spinta a collaborare per il bene comune, al servizio disinteressato del prossimo, alla lotta pacifica per la giustizia. Credere nel Dio che ha voluto condividere la nostra storia è un costante incoraggiamento ad impegnarsi in essa, anche in mezzo alle sue contraddizioni. E’ motivo di speranza per tutti coloro la cui dignità è offesa e violata, perché Colui che è nato a Betlemme è venuto a liberare l’uomo dalla radice di ogni schiavitù.
La luce del Natale risplenda nuovamente in quella Terra dove Gesù è nato e ispiri Israeliani e Palestinesi nel ricercare una convivenza giusta e pacifica. L’annuncio consolante della venuta dell’Emmanuele lenisca il dolore e consoli nelle prove le care comunità cristiane in Iraq e in tutto il Medio Oriente, donando loro conforto e speranza per il futuro ed animando i Responsabili delle Nazioni ad una fattiva solidarietà verso di esse. Ciò avvenga anche in favore di coloro che ad Haiti soffrono ancora per le conseguenze del devastante terremoto e della recente epidemia di colera. Così pure non vengano dimenticati coloro che in Colombia ed in Venezuela, ma anche in Guatemala e in Costa Rica, hanno subito le recenti calamità naturali.
La nascita del Salvatore apra prospettive di pace duratura e di autentico progresso alle popolazioni della Somalia, del Darfur e della Costa d’Avorio; promuova la stabilità politica e sociale del Madagascar; porti sicurezza e rispetto dei diritti umani in Afghanistan e in Pakistan; incoraggi il dialogo fra Nicaragua e Costa Rica; favorisca la riconciliazione nella Penisola Coreana.
La celebrazione della nascita del Redentore rafforzi lo spirito di fede, di pazienza e di coraggio nei fedeli della Chiesa nella Cina continentale, affinché non si perdano d’animo per le limitazioni alla loro libertà di religione e di coscienza e, perseverando nella fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, mantengano viva la fiamma della speranza. L’amore del “Dio con noi” doni perseveranza a tutte le comunità cristiane che soffrono discriminazione e persecuzione, ed ispiri i leader politici e religiosi ad impegnarsi per il pieno rispetto della libertà religiosa di tutti.
Cari fratelli e sorelle, “il Verbo si fece carne”, è venuto ad abitare in mezzo a noi, è l’Emmanuele, il Dio che si è fatto a noi vicino. Contempliamo insieme questo grande mistero di amore, lasciamoci illuminare il cuore dalla luce che brilla nella grotta di Betlemme! Buon Natale a tutti!
[Papa Benedetto, Messaggio Urbi et Orbi 25 dicembre 2010]
1. "Oggi è nato per noi il Salvatore" (Rit. Salmo resp.).
Risuona in questa notte, antico e sempre nuovo, l'annuncio del Natale del Signore. Risuona per chi veglia, come i pastori di Betlemme duemila anni or sono; risuona per chi ha seguito il richiamo dell'Avvento e, vigilante nell'attesa, è pronto ad accogliere il lieto messaggio, che nella liturgia si fa canto: "Oggi è nato per noi il Salvatore".
Veglia il popolo cristiano; veglia il mondo intero, in questa notte di Natale che si riallaccia a quella memorabile di un anno fa, quando fu aperta la Porta Santa del Grande Giubileo, Porta della grazia spalancata per tutti.
2. In ogni giorno dell'Anno giubilare è come se la Chiesa non avesse mai cessato di ripetere: "Oggi è nato per noi il Salvatore". Quest'annuncio, che possiede un'inesauribile carica di rinnovamento, riecheggia in questa notte santa con forza singolare: è il Natale del Grande Giubileo, memoria viva dei duemila anni di Cristo, della sua nascita prodigiosa, che ha segnato il nuovo inizio della storia. Oggi "il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14).
"Oggi". In questa notte, il tempo si apre all'eterno, perché Tu, o Cristo, sei nato tra noi sorgendo dall'alto. Sei venuto alla luce dal grembo di una Donna tra tutte benedetta, Tu, il "Figlio dell'Altissimo". La tua santità ha santificato una volta per sempre il nostro tempo: i giorni, i secoli, i millenni. Con la tua nascita hai fatto del tempo un "oggi" di salvezza.
3. "Oggi è nato per noi il Salvatore".
Celebriamo in questa notte il mistero di Betlemme, il mistero di una notte singolare che sta, in un certo senso, nel tempo e oltre il tempo. Nel grembo della Vergine è nato un Bambino, una mangiatoia è stata culla per la Vita immortale.
Natale è la festa della vita, perché Tu, Gesù, venendo alla luce come ognuno di noi, hai benedetto l'ora della nascita: un'ora che simbolicamente rappresenta il mistero dell'umana esistenza, unendo il travaglio alla speranza, il dolore alla gioia. Tutto questo è avvenuto a Betlemme: una Madre ha partorito; "è venuto al mondo un uomo" (Gv 16,21), il Figlio dell'uomo. Mistero di Betlemme!
4. Con interiore commozione ripenso ai giorni del mio pellegrinaggio giubilare in Terra Santa. Torno con la mente a quella grotta nella quale mi è stata concessa la grazia di sostare in preghiera. Bacio nello spirito quella terra benedetta in cui è sbocciata per il mondo la gioia imperitura.
Penso con apprensione ai Luoghi santi e, in modo speciale, alla città di Betlemme, dove, purtroppo, a causa della difficile situazione politica, non potranno svolgersi con la consueta solennità i suggestivi riti del Santo Natale. Vorrei che in questa notte quelle comunità cristiane sentissero la piena solidarietà di tutta la Chiesa.
Vi siamo vicini, carissimi Fratelli e Sorelle, con una preghiera particolarmente intensa. Insieme con voi trepidiamo per le sorti dell'intera regione medio-orientale. Voglia il Signore ascoltare la nostra invocazione! Da questa Piazza, centro del mondo cattolico, risuoni ancora una volta con rinnovato vigore l'annuncio degli angeli ai pastori: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2, 14).
Non può vacillare la nostra fiducia, come non può venir meno la meraviglia per quanto stiamo commemorando. Nasce oggi Colui che dona al mondo la pace.
5. "Oggi è nato per noi il Salvatore".
Il Verbo vagisce in una mangiatoia. Si chiama Gesù, che significa "Dio salva", perché "salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,21).
Non è una reggia quella in cui nasce il Redentore, destinato ad instaurare il Regno eterno e universale. Nasce in una stalla e, venendo fra noi, accende nel mondo il fuoco dell'amore di Dio (cfr Lc 12,49). Questo fuoco non si spegnerà mai più.
Possa questo fuoco ardere nei cuori come fiamma di carità fattiva, che diventi accoglienza e sostegno per tanti fratelli provati dal bisogno e dalla sofferenza!
6. Signore Gesù, che contempliamo nella povertà di Betlemme, rendici testimoni del tuo amore, di quell'amore che Ti ha spinto a spogliarTi della gloria divina, per venire a nascere fra gli uomini e a morire per noi.
Mentre il Grande Giubileo entra nella sua fase finale, infondi in noi il tuo Spirito, perché la grazia dell'Incarnazione susciti in ogni credente l'impegno di una più generosa corrispondenza alla vita nuova ricevuta nel Battesimo.
Fa' che la luce di questa notte più splendente del giorno si proietti sul futuro ed orienti i passi dell'umanità sulla via della pace.
Tu, Principe della pace, Tu Salvatore nato oggi per noi, cammina con la tua Chiesa sulla strada che le si apre dinanzi nel nuovo millennio!
[Papa Giovanni Paolo II, omelia di mezzanotte 24 dicembre 2000]
1. «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1).
Questa profezia di Isaia non finisce mai di commuoverci, specialmente quando la ascoltiamo nella Liturgia della Notte di Natale. E non è solo un fatto emotivo, sentimentale; ci commuove perché dice la realtà profonda di ciò che siamo: siamo popolo in cammino, e intorno a noi – e anche dentro di noi – ci sono tenebre e luce. E in questa notte, mentre lo spirito delle tenebre avvolge il mondo, si rinnova l’avvenimento che sempre ci stupisce e ci sorprende: il popolo in cammino vede una grande luce. Una luce che ci fa riflettere su questo mistero: mistero del camminare e del vedere.
Camminare. Questo verbo ci fa pensare al corso della storia, a quel lungo cammino che è la storia della salvezza, a cominciare da Abramo, nostro padre nella fede, che il Signore chiamò un giorno a partire, ad uscire dal suo paese per andare verso la terra che Lui gli avrebbe indicato. Da allora, la nostra identità di credenti è quella di gente pellegrina verso la terra promessa. Questa storia è sempre accompagnata dal Signore! Egli è sempre fedele al suo patto e alle sue promesse. Perché fedele, «Dio è luce, e in lui non c’è tenebra alcuna» (1 Gv 1,5). Da parte del popolo, invece, si alternano momenti di luce e di tenebra, fedeltà e infedeltà, obbedienza e ribellione; momenti di popolo pellegrino e momenti di popolo errante.
Anche nella nostra storia personale si alternano momenti luminosi e oscuri, luci e ombre. Se amiamo Dio e i fratelli, camminiamo nella luce, ma se il nostro cuore si chiude, se prevalgono in noi l’orgoglio, la menzogna, la ricerca del proprio interesse, allora scendono le tenebre dentro di noi e intorno a noi. «Chi odia suo fratello – scrive l’apostolo Giovanni – è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi» (1 Gv 2,11). Popolo in cammino, ma popolo pellegrino che non vuole essere popolo errante.
2. In questa notte, come un fascio di luce chiarissima, risuona l’annuncio dell’Apostolo: «È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11).
La grazia che è apparsa nel mondo è Gesù, nato dalla Vergine Maria, vero uomo e vero Dio. Egli è venuto nella nostra storia, ha condiviso il nostro cammino. È venuto per liberarci dalle tenebre e donarci la luce. In Lui è apparsa la grazia, la misericordia, la tenerezza del Padre: Gesù è l’Amore fattosi carne. Non è soltanto un maestro di sapienza, non è un ideale a cui tendiamo e dal quale sappiamo di essere inesorabilmente lontani, è il senso della vita e della storia che ha posto la sua tenda in mezzo a noi.
3. I pastori sono stati i primi a vedere questa “tenda”, a ricevere l’annuncio della nascita di Gesù. Sono stati i primi perché erano tra gli ultimi, gli emarginati. E sono stati i primi perché vegliavano nella notte, facendo la guardia al loro gregge. E’ legge del pellegrino vegliare, e loro vegliavano. Con loro ci fermiamo davanti al Bambino, ci fermiamo in silenzio. Con loro ringraziamo il Signore di averci donato Gesù, e con loro lasciamo salire dal profondo del cuore la lode della sua fedeltà: Ti benediciamo, Signore Dio Altissimo, che ti sei abbassato per noi. Tu sei immenso, e ti sei fatto piccolo; sei ricco, e ti sei fatto povero; sei l’onnipotente, e ti sei fatto debole.
In questa Notte condividiamo la gioia del Vangelo: Dio ci ama, ci ama tanto che ha donato il suo Figlio come nostro fratello, come luce nelle nostre tenebre. Il Signore ci ripete: «Non temete» (Lc 2,10). Come hanno detto gli angeli ai pastori: «Non temete». E anch’io ripeto a tutti voi: Non temete! Il nostro Padre è paziente, ci ama, ci dona Gesù per guidarci nel cammino verso la terra promessa. Egli è la luce che rischiara le tenebre. Egli è la misericordia: il nostro Padre ci perdona sempre. Egli è la nostra pace. Amen.
[Papa Francesco, omelia di mezzanotte 24 dicembre 2013]
John is the origin of our loftiest spirituality. Like him, ‘the silent ones' experience that mysterious exchange of hearts, pray for John's presence, and their hearts are set on fire (Athinagoras)
Giovanni è all'origine della nostra più alta spiritualità. Come lui, i ‘silenziosi’ conoscono quel misterioso scambio dei cuori, invocano la presenza di Giovanni e il loro cuore si infiamma (Atenagora)
Stephen's story tells us many things: for example, that charitable social commitment must never be separated from the courageous proclamation of the faith. He was one of the seven made responsible above all for charity. But it was impossible to separate charity and faith. Thus, with charity, he proclaimed the crucified Christ, to the point of accepting even martyrdom. This is the first lesson we can learn from the figure of St Stephen: charity and the proclamation of faith always go hand in hand (Pope Benedict)
La storia di Stefano dice a noi molte cose. Per esempio, ci insegna che non bisogna mai disgiungere l'impegno sociale della carità dall'annuncio coraggioso della fede. Era uno dei sette incaricato soprattutto della carità. Ma non era possibile disgiungere carità e annuncio. Così, con la carità, annuncia Cristo crocifisso, fino al punto di accettare anche il martirio. Questa è la prima lezione che possiamo imparare dalla figura di santo Stefano: carità e annuncio vanno sempre insieme (Papa Benedetto)
“They found”: this word indicates the Search. This is the truth about man. It cannot be falsified. It cannot even be destroyed. It must be left to man because it defines him (John Paul II)
“Trovarono”: questa parola indica la Ricerca. Questa è la verità sull’uomo. Non la si può falsificare. Non la si può nemmeno distruggere. La si deve lasciare all’uomo perché essa lo definisce (Giovanni Paolo II)
Thousands of Christians throughout the world begin the day by singing: “Blessed be the Lord” and end it by proclaiming “the greatness of the Lord, for he has looked with favour on his lowly servant” (Pope Francis)
Migliaia di cristiani in tutto il mondo cominciano la giornata cantando: “Benedetto il Signore” e la concludono “proclamando la sua grandezza perché ha guardato con bontà l’umiltà della sua serva” (Papa Francesco)
The new Creation announced in the suburbs invests the ancient territory, which still hesitates. We too, accepting different horizons than expected, allow the divine soul of the history of salvation to visit us
La nuova Creazione annunciata in periferia investe il territorio antico, che ancora tergiversa. Anche noi, accettando orizzonti differenti dal previsto, consentiamo all’anima divina della storia della salvezza di farci visita
Luke the Evangelist of the Poor celebrates the reversals of the situation: pharisee and tax collector, prodigal son and firstborn, samaritan and priest-levite, Lazarus and rich man, first and last place, Beatitudes and “woe to you”... so in the anthem of the Magnificat
Luca evangelista dei poveri celebra i ribaltamenti di situazione: fariseo e pubblicano, figlio prodigo e primogenito, samaritano e sacerdote-levita, Lazzaro e ricco epulone, primo e ultimo posto, Beatitudini e “guai”... così nell’inno del Magnificat
In these words we find the core of biblical truth about St. Joseph; they refer to that moment in his life to which the Fathers of the Church make special reference (Redemtoris Custos n.2)
In queste parole è racchiuso il nucleo centrale della verità biblica su san Giuseppe, il momento della sua esistenza a cui in particolare si riferiscono i padri della Chiesa (Redemtoris Custos n.2)
don Giuseppe Nespeca
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