don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Come le radici dell’albero lo tengono saldamente piantato nel terreno, così le fondamenta danno alla casa una stabilità duratura. Mediante la fede, noi siamo fondati in Cristo (cfr Col 2,7), come una casa è costruita sulle fondamenta. Nella storia sacra abbiamo numerosi esempi di santi che hanno edificato la loro vita sulla Parola di Dio. Il primo è Abramo. Il nostro padre nella fede obbedì a Dio che gli chiedeva di lasciare la casa paterna per incamminarsi verso un Paese sconosciuto. “Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio” (Gc 2,23). Essere fondati in Cristo significa rispondere concretamente alla chiamata di Dio, fidandosi di Lui e mettendo in pratica la sua Parola. Gesù stesso ammonisce i suoi discepoli: “Perché mi invocate: «Signore, Signore!» e non fate quello che dico?” (Lc 6,46). E, ricorrendo all’immagine della costruzione della casa, aggiunge: “Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica… è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene” (Lc 6,47-48).

Cari amici, costruite la vostra casa sulla roccia, come l’uomo che “ha scavato molto profondo”. Cercate anche voi, tutti i giorni, di seguire la Parola di Cristo. Sentitelo come il vero Amico con cui condividere il cammino della vostra vita. Con Lui accanto sarete capaci di affrontare con coraggio e speranza le difficoltà, i problemi, anche le delusioni e le sconfitte. Vi vengono presentate continuamente proposte più facili, ma voi stessi vi accorgete che si rivelano ingannevoli, non vi danno serenità e gioia. Solo la Parola di Dio ci indica la via autentica, solo la fede che ci è stata trasmessa è la luce che illumina il cammino. Accogliete con gratitudine questo dono spirituale che avete ricevuto dalle vostre famiglie e impegnatevi a rispondere con responsabilità alla chiamata di Dio, diventando adulti nella fede. Non credete a coloro che vi dicono che non avete bisogno degli altri per costruire la vostra vita! Appoggiatevi, invece, alla fede dei vostri cari, alla fede della Chiesa, e ringraziate il Signore di averla ricevuta e di averla fatta vostra!

[Papa Benedetto, Messaggio GMG 2011]

Mercoledì, 26 Novembre 2025 03:04

Abitazione ricevuta da Dio

3. Che cosa Cristo, dice in proposito, nella pagina dell’odierno Vangelo? Terminando il discorso della montagna, disse: “chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sulla roccia” (Mt 7, 24-25). L’opposto di colui che costruì sulla roccia è l'uomo che costruì sulla sabbia. La sua costruzione si dimostrò poco resistente. Di fronte alle prove e alle difficoltà crollò. Cristo ci insegna questo.

Una casa costruita sulla roccia. L'edificio della vita. Come costruirlo affinché non crolli sotto la pressione degli avvenimenti di questo mondo? Come costruire questo edificio perché da ”abitazione sulla terra” diventi un’”abitazione ricevuta da Dio?, una dimora eterna nei cieli non costruita da mani di uomo” (cfr. 2 Cor 5, 1)? Oggi udiamo la risposta a questi interrogativi essenziali della fede: alla base della costruzione cristiana c’è l’ascolto e il compimento della parola di Cristo. E dicendo “la parola di Cristo” abbiamo in mente non soltanto il suo insegnamento, le parabole, le promesse, ma anche le sue opere, i segni, i miracoli. E soprattutto la sua morte, la risurrezione e la discesa dello Spirito Santo. Più ancora: abbiamo in mente il Figlio di Dio stesso, l’eterno Verbo del Padre, nel mistero dell’incarnazione. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1, 14).

[Papa Giovanni Paolo II, Biskupia Góra (Pelplin), 6 giugno 1999]

Mercoledì, 26 Novembre 2025 02:39

Dire e fare, sabbia e roccia, alto e basso

Fondare la propria vita «sulla roccia di Dio» e sulla «concretezza» dell’agire e del donarsi, piuttosto che «sulle apparenze o sulla vanità» o sulla cultura corrotta delle «raccomandazioni». È l’indicazione che Papa Francesco ha suggerito — durante la messa celebrata a Santa Marta giovedì 6 dicembre — per vivere coerentemente il cammino dell’Avvento.

Linee guida semplici e impegnative al tempo stesso, che il Pontefice ha ricavato dalle letture del giorno, nelle quali s’incontrano tre significativi gruppi di parole contrapposte: «dire e fare», «sabbia e roccia», «alto e basso».

Riguardo al primo gruppo — «dire e fare» — il Pontefice ha richiamato immediatamente le parole del Vangelo di Matteo (7, 21): «Non chiunque mi dica “Signore, Signore” entrerà nel regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre». E ha spiegato: «Si entra nel regno dei cieli, si matura spiritualmente, si va avanti nella vita cristiana con il fare, non con il dire». Infatti «il dire è un modo di credere, ma a volte molto superficiale, a metà cammino»: come quando «io dico che sono cristiano ma non faccio le cose del cristiano». È una sorta di «truccarsi», perché «dire soltanto, è un trucco», è «dire senza fare».

Invece «la proposta di Gesù è concretezza». E così, «quando qualcuno si avvicinava e chiedeva consiglio», lui proponeva «sempre cose concrete». Del resto, ha aggiunto il Papa, «le opere di misericordia sono concrete». E ancora: «Gesù non ha detto: “Ma vai a casa tua e pensa ai poveri, pensa ai carcerati, pensa agli ammalati”: no. Vai: visitali».

Ecco la contrapposizione tra il fare e il dire. Necessaria da evidenziare perché «tante volte noi scivoliamo, non solo personalmente ma socialmente, sulla cultura del dire». A tale riguardo Francesco ha indicato una pratica purtroppo diffusa, quella legata alla «cultura delle raccomandazioni». Accade, per esempio, che per un concorso all’università venga scelto «uno che non ha quasi meriti» rispetto a tanti bravi professori; «e se si domanda: “Ma perché questo? E questi altri bravi..?” – “Perché questo è stato raccomandato da un cardinale, lei sa... i pesci grossi...”». Questo il commento del Papa: «Io non voglio pensare male, ma sotto il tavolo di una raccomandazione sempre c’è una busta». Si tratta solo di un esempio del prevalere del “dire”: «non sono i meriti, non è il fare quello che ti fa andare avanti, no: è il dire. Truccarsi la vita». Ed è proprio «una delle contraddizioni che la liturgia di oggi ci insegna: fare, non dire». Addirittura, ha spiegato il Papa chiudendo questa prima parte della riflessione, «Gesù consiglia» di «fare senza dire: quando dai l’elemosina, quando preghi... di nascosto, senza dirlo. Fare, non dire».

Il secondo confronto rimanda a un’immagine usata da Gesù nel Vangelo: «un uomo saggio costruisce la sua casa sulla roccia, non sulla sabbia». La parabola ha una sua evidenza: «La sabbia non è solida. E una tempesta, i venti, i fiumi, tante cose, la pioggia fanno cadere una casa costruita sulla sabbia. La sabbia è una concretezza debole». Ha spiegato il Pontefice: «La sabbia è conseguenza del dire: io mi trucco, come cristiano, mi costruisco una vita ma senza fondamenti. La vanità, la vanità è dire tante cose, o farmi vedere senza fondamento, sulla sabbia». Bisogna invece «costruire sulla roccia». A tale riguardo il Papa ha invitato a cogliere la bellezza della prima lettura del giorno, tratta da Isaia (26, 1-6), dove si legge: «Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna».

È una contrapposizione strettamente legata a quella tra il dire e il fare, perché «tante volte, chi confida nel Signore non appare, non ha successo, è nascosto... ma è saldo. Non ha la sua speranza nel dire, nella vanità, nell’orgoglio, negli effimeri poteri della vita», ma si affida al Signore, «la roccia». Ha spiegato Francesco: «La concretezza della vita cristiana ci fa andare avanti e costruire su quella roccia che è Dio, che è Gesù; sul solido della divinità. Non sulle apparenze o sulla vanità, l’orgoglio, le raccomandazioni... No. La verità».

Infine il «terzo gruppo», dove si fronteggiano i concetti di «alto e basso». È ancora il brano di Isaia a guidare la meditazione: «Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna, perché egli ha abbattuto coloro che abitavano in alto, ha rovesciato la città eccelsa, l’ha rovesciata fino a terra, l’ha rasa al suolo. I piedi la calpestano: sono i piedi degli oppressi, i passi dei poveri». È un passo, ha fatto notare il Pontefice, che ricorda il «canto della Madonna, del Magnificat: il Signore alza gli umili, quelli che sono nella concretezza di ogni giorno, e abbatte i superbi, quelli che hanno costruito la loro vita sulla vanità, l’orgoglio... questi non durano». E l’espressione, ha sottolineato Francesco, «è molto forte, anche nel Magnificat si usa “ha rovesciato”, e anche più forte: quella grande città bella è calpestata. Da chi? Dai piedi degli oppressi e dai passi dei poveri». Cioè, il Signore «esalta i poveri, esalta gli umili».

La categoria di «alto e basso», ha aggiunto il Papa a commento, viene usata anche da Gesù, ad esempio, quando «parla di satana: “Io ho visto satana cadere dall’alto del cielo». Ed è l’espressione di un «giudizio definitivo sugli orgogliosi, sui vanitosi, su quelli che si vantano di essere qualcosa ma sono pura aria».

Concludendo l’omelia, Francesco ha invitato ad accompagnare il tempo di Avvento con la riflessione su «questi tre gruppi di parole che contrastano una con l’altra. Dire o fare? Io sono cristiano del dire o del fare? Sabbia e roccia: io costruisco la mia vita sulla roccia di Dio o sulla sabbia della mondanità, della vanità? Alto e basso: io sono umile, cerco di andare sempre dal basso, senza orgoglio, e così servire il Signore?». Sarà di aiuto rispondere a tali domande; e, ha aggiunto, anche prendere il Vangelo di Luca e pregare «con il canto della Madonna, con il Magnificat, che è un riassunto di questo messaggio di oggi».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 6 dicembre 2018]

Martedì, 25 Novembre 2025 10:16

1a Domenica di Avvento (A)

Prima Domenica di Avvento (anno A)  [30 Novembre 2025]

Dio ci benedica e la Vergine ci progetta! Inizia con l’Avvento un nuovo anno liturgico (Anno A) accompagnati dall’evangelista Matteo che già c’invita a farci collaboratori del progetto di salvezza che Dio ha preordinato per la Chiesa. e il mondo. Una piccola novità: da ora offro ogni volta anche una sintesi degli elementi principali di ogni testo.

 

Prima Lettura dal libro del profeta Isaia (2, 1-5) 

 Si sa che gli autori biblici amano le immagini! Eccone due, bellissime, nella predicazione di Isaia: prima quella di una folla immensa in cammino, poi quella di tutte le armate del mondo che decidono di trasformare le armi in strumenti agricoli. Vediamo queste immagini una dopo l’altra. La folla in cammino sale su una montagna: alla fine del percorso c’è Gerusalemme e il Tempio. Isaia, invece, è già a Gerusalemme e vede arrivare questa folla, una vera e propria marea umana. È naturalmente un’immagine, un’anticipazione, probabilmente ispirata dai grandi pellegrinaggi degli Israeliti a Gerusalemme durante la festa delle Capanne (Succot). In questa occasione, per otto giorni si vive sotto capanne, anche in città, ricordando il soggiorno nel deserto durante l’Esodo. Tutte le comunità ebraiche vi affluiscono e il Deuteronomio invita a partecipare con gioia, anche con figli, servi, stranieri, orfani e vedove (Dt 16,14-15). il profeta Isaia, osservando questo straordinario raduno annuale, ne intuì uno futuro e, ispirato dallo Spirito Santo, annunciò che un giorno non solo Israele, ma tutte le nazioni parteciperanno a questo pellegrinaggio e il Tempio diventerà il luogo di raccolta di tutti i popoli, perché l’umanità intera conoscerà l’amore di Dio. Il testo intreccia Israele e le nazioni: “il monte del tempio del Signore s’innalzerà sopra i colli … e ad esso affluiranno tutte le genti”. Questa affluenza simboleggia l’ingresso delle altre nazioni nell’Alleanza. La legge uscirà da Sion e la parola del Signore da Gerusalemme: Israele è eletto da Dio, ma ha anche la responsabilità di collaborare all’inclusione delle nazioni nel progetto divino. Così l’Alleanza ha una dimensione doppia: particolare (Israele eletto) e universale (tutte le nazioni). L’ingresso delle nazioni nel Tempio non riguarda il sacrificio, ma l’ascolto della Parola di Dio e la vita secondo la sua Legge: “Venite, saliamo sul monte del Signore … perché c’insegni le sue vie e possiamo camminare peri suoi sentieri”. La seconda immagine mostra il frutto di questa obbedienza: le nazioni vivranno in pace, Dio sarà giudice e arbitro, e le armi saranno trasformate in strumenti di lavoro: Dalle loro spade forgeranno aratri, dalle loro lance falci. Non alzeranno più la spada contro un popolo. Infine Isaia invita Israele a camminare nella luce del Signore, a realizzare la propria vocazione e a guidare tutti verso la Luce: salire al Tempio significa celebrare l’Alleanza, camminare nella luce significa vivere secondo la Legge.

In sintesi ecco tutti gli elementi principali del testo: 

+Due immagini simboliche di Isaia: la folla in pellegrinaggio e la trasformazione delle armi in strumenti di pace.

+Gerusalemme e il Tempio: meta del pellegrinaggio, simbolo della presenza di Dio e centro dell’Alleanza.

+Festa delle Capanne (Succot): riferimento storico al pellegrinaggio annuale degli Israeliti.

+Universalità della salvezza: Israele eletto guida tutte le nazioni, che saranno incluse nell’Alleanza.

+Dimensione dell’Alleanza: particolare (Israele) e universale (tutte le nazioni).

+Ascolto della Parola e vita secondo la Legge: la partecipazione non è solo rituale, ma impegno concreto di vita.

+Pace e trasformazione delle armi: simbolo della realizzazione del progetto divino di giustizia e concordia.

+Invito finale: Israele deve camminare nella luce del Signore e guidare l’umanità verso Dio.

+Profezia come promessa, non predizione: i profeti parlano della volontà di Dio, non del futuro in senso divinatorio.

 

Salmo responsoriale (121/122, 1-9)

Abbiamo qui la migliore traduzione possibile della parola ebraica “Shalom”: “Pace a chi ti ama! Che la pace regni nelle tue mura, la felicità nei tuoi palazzi…”. Quando si saluta qualcuno con questo termine, gli si augura tutto questo. Qui questo augurio è rivolto a Gerusalemme: “Chiedete pace per Gerusalemme… Per i miei fratelli e i miei amici, io dirò: Sia su di te pace! Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene”. Nel nome stesso di Gerusalemme è contenuta la parola shalom; essa è, dovrebbe essere, e sarà la città della pace. Questo augurio di pace e felicità è però ancora lontano dall’essere realizzato. La storia di Gerusalemme è turbolenta: intorno al 1000 a.C. era un piccolo villaggio chiamato Jebus, abitato dai Gebusei. Davide scelse questo luogo per la capitale del suo regno: inizialmente la capitale era Ebron, e Davide era re solo della tribù di Giuda; poi, con l’adesione delle altre tribù, fu scelta Jebus, che diventò Gerusalemme, “città di Davide”. Qui Davide trasferì l’Arca dell’Alleanza e acquistò il campo di Arauna per il Tempio, seguendo la volontà di Dio. La definizione di Gerusalemme come “città santa” significa che appartiene a Dio: è il luogo dove si deve vivere secondo Dio. Con Davide e Salomone, la città raggiunge il suo splendore culturale e spirituale, e diventa centro della vita religiosa con il Tempio, meta dei pellegrinaggi tre volte l’anno, in particolare per la festa delle Capanne. Il profeta Natan ricorda a Davide che Dio è più interessato al popolo che al Tempio: “Tu vuoi costruire una casa a Dio, ma è Dio che ti costruirà una casa (discendenza)”. Così Dio promette di mantenere per sempre la discendenza di Davide, da cui verrà il Messia. Alla fine, fu Salomone a costruire il Tempio, rendendo Gerusalemme il centro cultuale. La città conoscerà poi distruzioni e ricostruzioni: la conquista di Nabucodonosor nel 587 a.C., l’Esilio a Babilonia, il ritorno autorizzato da Ciro nel 538 a.C. e la ricostruzione del Tempio di Salomone. Anche dopo le persecuzioni di Antioco Epifane e la distruzione del Tempio nel 70 d.C., Gerusalemme resta la città santa, simbolo della presenza di Dio, e la speranza della sua piena restaurazione rimane viva. I credenti, ovunque siano, continuano a rivolgersi a Gerusalemme nelle preghiere quotidiane, ricordando la fedeltà di Dio alle promesse fatte a Davide. Questo salmo 121/122, cantico dei pellegrinaggi, celebrava questa centralità di Gerusalemme, invitando i fedeli a salire verso la casa del Signore e a camminare nella luce di Dio.

Sintesi dei punti principali

+Shalom e Gerusalemme: Shalom significa pace e felicità; Gerusalemme è la città della pace.

+Storia della città: da Jebus a capitale di Davide, trasferimento dell’Arca, costruzione del Tempio.

+Città santa: appartiene a Dio; vivere a Gerusalemme significa vivere secondo Dio.

+Natan e la discendenza di Davide: Dio più interessato al popolo che al Tempio; promessa del Messia.

+Pellegrinaggi e vita religiosa: Gerusalemme centro cultuale con pellegrinaggi tre volte l’anno.

+Distruzioni e ricostruzioni: Nabucodonosor, Esilio, Ciro, persecuzioni di Antioco, distruzione del Tempio nel 70 d.C.

+Speranza e fede: Gerusalemme resta simbolo della fedeltà di Dio; i fedeli pregano orientandosi verso di essa.

+Psalmo 121/122: cantico dei pellegrinaggi, invita a salire verso la casa del Signore e camminare nella luce divina.

 

Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (13, 11 – 14)

In questo testo san Paolo sviluppa la classica contrapposizione fra “luce e tenebre”.  “La nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti”. Questa frase resta sempre vera! Uno degli articoli della fede cattolica è che la storia non è un continuo ripetersi, ma al contrario il progetto di Dio avanza inesorabilmente. Ogni giorno possiamo dire che il disegno provvidenziale di Dio è più avanti di ieri: si sta compiendo, procede… lentamente ma con sicurezza. Dimenticare di annunciare questo significa dimenticare un punto essenziale della fede cristiana. I cristiani non hanno diritto a essere tristi, perché ogni giorno “la salvezza è più vicina”, come dice Paolo. Questo disegno provvidenziale e misericordioso di Dio ha bisogno di noi: non è tempo di dormire. Chi conosce il progetto di Dio non può rischiare di ritardarlo. Come dice la seconda lettera di Pietro: «Il Signore non tarda nel compiere la sua promessa… ma è paziente verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti giungano alla conversione» (2 Pt 3,9). La nostra inattività, il nostro “sonno” ha conseguenze sul compiersi del progetto di Dio; lasciare dormienti le nostre capacità significa comprometterlo o almeno ritardarlo. Ecco perché i peccati di omissione sono gravi. Paolo dice: “La notte è avanzata, il giorno è vicino”; e altrove parla di un tempo breve, usando un termine marinaro: la nave ha spiegato le vele, si avvicina al porto (1 Cor 7,26.29). Può sembrare presuntuoso pensare che la nostra condotta influisca sul progetto di Dio, ma è proprio questo il valore e la gravità della nostra vita. Paolo ricorda: «Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno, non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie”. Esistono comportamenti di luce e di tenebra, quando il battezzato non vive secondo il vangelo. Paolo non dice solo ci scegliere le opere della luce, ma di rifiutare quelle delle tenebre combattendo sempre per la luce. Ciò significa due cose: Ogni giorno dobbiamo scegliere la luce, un vero combattimento, soprattutto di fronte alle sfide antropologiche, sociali, al perdono, al rifiuto dei compromessi e dei privilegi (cfr. Fil 2,12). Anche altrove san Paolo parla delle armature della giustizia, della corazza della fede e dell’amore, del casco della speranza della salvezza (cf.2 Cor 6,7; 1 Tess 5,8). Qui la veste di luce è Gesù Cristo stesso, la cui luce ci avvolge come un mantello. Nel battesimo l’immersione simboleggia la morte al peccato e il rivestirsi di Cristo (Ga 3,27). Il combattimento cristiano non è solo nostro, ma è Cristo che combatte in noi e ci promette che quando siamo perseguitati, dobbiamo non prepararci perché è lui a dirci parole e darci saggezza che nessuno potrà contrastare.

 

Sintesi dei punti principali

+La salvezza è sempre più vicina: la storia non è un ciclo, ma un progresso del progetto di Dio.

+I credenti non possono essere passivi: la nostra inattività ritarda il compiersi del disegno divino e i peccati di omissione sono gravi perché ogni giorno dobbiamo realizzare il progetto di Dio.

+Esistono attività di luce e di tenebra: comportamenti cristiani e non cristiani che non coincidono sempre con la fede o il battesimo.

+Il combattimento cristiano è quotidiano: scegliere la luce, il perdono, rifiutare compromessi e immoralità.

+L’immagine della veste di luce rappresenta Gesù Cristo che ci avvolge e guida la nostra vita. Il battesimo simboleggia il rivestirsi di Cristo e l’inizio del combattimento della luce.

+La forza del cristiano non è solo propria: Cristo combatte in noi, garantendo saggezza e parole contro le persecuzioni.

       

Dal Vangelo secondo Matteo (24, 37 – 44)

Una cosa è certa: questo testo non è stato scritto per spaventarci, ma per illuminarci. Testi come questo vengono definiti apocalittici, il che significa letteralmente che “sollevano un lembo del velo”: rivelano la realtà. E la realtà, l’unica che conta, è la venuta di Cristo. Notate il linguaggio: venire, venuta, avvento, sempre riferito a Gesù: Gesù parlava ai discepoli della sua venuta che sarà come ai tempi di Noè. Anche voi non conoscete il giorno in cui il Signore verrà perché sarà proprio all’ora in cui non pensate. Il cuore del messaggio  è dunque l’annuncio che Gesù Cristo verrà. Curiosamente, Gesù parla al futuro: “Il Signore vostro verrà”. Sarebbe più logico parlare al passato perché Gesù era già venuto... Questo ci mostra che la “venuta” non è la nascita, ma qualcosa che riguarda il compimento del progetto di Dio. Molto spesso ci disturbano le immagini del giudizio, come la comparazione con il diluvio: “Due uomini saranno nel campo nei campi, uno verrà portato via e l’altro lasciato”. Questo non è un arbitrio divino, ma un invito alla fiducia: come Noè fu trovato giusto e salvato, così tutto ciò che è giusto sarà salvato. Il giudizio distingue il buono dal cattivo, il buon grano dalla zizzania, e questo avviene nel cuore di ciascuno. Gesù usa il titolo Figlio dell’Uomo per parlare di sé, ma non solo di sé come individuo: riprende la visione del profeta Daniele, in cui il “Figlio dell’Uomo” rappresenta anche il popolo dei santi, un essere collettivo. Così, la venuta di Cristo riguarda l’intera umanità. Come dice san Paolo, Cristo è la testa e noi siamo i membri; sant’Agostino parla del Cristo totale: testa nei cieli, membri sulla terra. Quando diciamo pregando che attendiamo  il bene che Dio ci prometti, cioè l’avvento di Gesù Cristo, ci riferiamo a Cristo totale: l’uomo Gesù è già venuto, ma il Cristo totale è in crescita e compimento continuo. San Paolo e recentemente Teilhard de Chardin sottolineano che la creazione intera geme in attesa del compimento di Cristo, che si completa progressivamente nella storia e in ciascuno di noi. Quando Gesù invita a vegliare, è un invito a custodire il grande progetto di Dio, dedicando la nostra vita a farlo avanzare. Infine, questo discorso avviene poco prima della Passione: Gesù avverte della distruzione del Tempio, il simbolo della sua presenza e dell’Alleanza, ma non risponde a domande precise sulla fine del mondo; invita invece alla vigilanza, rassicurando i discepoli davanti alle prove.

 

Sintesi dei punti principali

+Scopo del testo: non spaventare, ma illuminare; rivelare la realtà della venuta di Cristo.

+Venuta di Cristo: Gesù parla al futuro perché la venuta completa riguarda Cristo totale, non solo la nascita storica di Gesù.

+Giudizio e giustizia: distinguere il buono dal cattivo avviene nel cuore di ciascuno; il giusto sarà salvato.

+Titolo Figlio dell’Uomo: indica non solo Gesù, ma il popolo dei santi, cioè l’umanità salvata. Cristo totale: Cristo come testa e i credenti come membri; il compimento è progressivo nella storia.

+Veglia e vigilanza: i discepoli sono chiamati a custodire il progetto di Dio e dedicare la loro vita al suo compimento.

+Tempio e passione: il discorso precede la Passione, annuncia la distruzione del Tempio e invita di discepoli alla fiducia nonostante le prove che dovranno subire.

 

+ Giovanni D’Ercole

Martedì, 25 Novembre 2025 04:14

Il semplice Mistero (Eucaristico)

Moltiplicazione per Divisione, nell’itineranza

(Mt 15,29-37)

 

«L’uomo è l’essere-limite che non ha limite» (Fratelli Tutti n.150).

Il Figlio riflette il disegno di Dio nella compassione per le folle bisognose di tutto (v.32).

Tuttavia la sua soluzione non ci sorvola - semplicemente asciugando lacrime o cancellando le umiliazioni.

Invita a utilizzare ciò che abbiamo, sebbene possa apparire cosa ridicola. Ma insegna che spostando le energie si creano risultati prodigiosi.

Così rispondiamo in Cristo ai grandi problemi del mondo: recuperando la condizione dell’uomo ‘viator’ - essere di passaggio, sua impronta essenziale - e condividendo i beni.

La nostra reale nudità, le peripezie e l’esperienza dei molti fratelli, diversi, sono risorse da non valutare con diffidenza, «come concorrenti o nemici pericolosi» della nostra realizzazione (FT n.152).

Non solo quel poco che rechiamo con noi basterà a saziarci, ma avanzerà per altri e con identica pienezza di verità, umana, epocale (vv.34.37).

 

In Mt Gesù è il nuovo Mosè che sale su ‘il Monte’, ma per inaugurare un Tempo alternativo, che contrassegna la storia vera; dei rapporti autentici.

La gente non rimane più a fondovalle ad aspettare: si riunisce intorno a Lui, giungendo così com’è, col carico dei tanti bisogni differenti.

Il nuovo popolo di Dio non è una folla stanziale, di eletti, scelti, puri.

Ognuno reca con sé il suo percorso, i suoi affanni e problemi, che il Signore guarisce - curando non con una soluzione dal di sopra o dal di fuori.

Insomma: un altro mondo è possibile, però attraverso lo spezzare il proprio [anche misero] ‘pane’.

Soluzione sapiente, ininterrotta, efficace… se la si fa emergere da ‘dentro’, e in cammino - e stando «in mezzo» - non davanti, non a capo, non “in alto” (v.36).

Il luogo della Rivelazione di Dio doveva essere quello dei fulmini, su un ‘monte’ fumante come di fornace (Es 19,18)... ma infine persino lo zelo violento di Elia aveva dovuto ricredersi (1Re 19,12).

 

Anche ai pagani, il Figlio rivela un Padre il quale non semplicemente cancella le infermità, ma le fa capire come luogo che sta preparando uno sviluppo personale, e quello della Comunità.

S’immaginava che nei tempi del Messia, zoppi, sordi e ciechi sarebbero scomparsi (Is 35,5ss.). «Età dell’oro»: tutto al vertice, nessun abisso.

In Gesù - Pane distribuito - si manifesta una pienezza dei tempi inconsueta, apparentemente nebulosa e fragile, ma reale e in grado di riavviare persone e relazioni.

L’Incarnazione ci ritessere il cuore, in dignità e promozione; e si dispiega realmente, perché non solo trascina via gli ostacoli, ma poggia su di essi.

E non li cancella affatto: così li surclassa, ma trasmutando - ponendo nuova vita.

Linfa che trae succo e germoglia Fiori dall’unico terreno melmoso e fecondo, e li comunica.

Solidarietà cui sono invitati tutti, non solo quelli ritenuti in condizione di perfezione e compattezza.

 

Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte, poste nelle mani del Figlio e dinamizzate (v.36).

Le stesse cadute possono essere un segnale prezioso: in Cristo, non sono più umiliazioni riduttive, bensì indicatori di percorso.

Forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse.

Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite [differenti, non confezionate].

 

 

[Mercoledì 1.a sett. Avvento, 3 dicembre 2025]

Il semplice Mistero (Eucaristico)

(Mt 15,29-37)

 

«L’uomo è l’essere-limite che non ha limite» (Fratelli Tutti n.150).

Nel cuore abbiamo un gran desiderio di appagamento e Felicità. Il Padre lo ha introdotto, Lui stesso lo soddisfa - ma ci vuole associati alla sua opera - dentro e fuori di noi.

Il Figlio riflette il disegno di Dio nella compassione per le folle bisognose di tutto (vv.30.32) e - malgrado la pletora di maestri ed esperti - prive di qualsiasi insegnamento autentico [cf. Mt 9,36. 14,14].

La sua soluzione è diversissima da quella di tutte le guide “spirituali”, perché non ci sorvola con un paternalismo indiretto [cf. Mt 14,16] che asciughi le lacrime, rimargini le ferite, cancelli le umiliazioni.

Invita a utilizzare in prima persona ciò che siamo e abbiamo, sebbene possa apparire cosa ridicola. Ma insegna in modo assolutamente netto che spostando le energie si realizzano risultati prodigiosi.

Così rispondiamo in Cristo ai grandi problemi del mondo: recuperando la condizione dell’uomo ‘viator’ - essere di passaggio, sua impronta essenziale - e condividendo i beni; non lasciando che ciascuno si arrangi [cf. Mt 14,15].

La nostra reale nudità, le peripezie e l’esperienza dei molti fratelli, diversi, sono risorse da non valutare con diffidenza, «come concorrenti o nemici pericolosi» della nostra realizzazione (FT n.152).

Non solo quel poco che rechiamo basterà a saziarci: avanzerà per altri e con identica pienezza di verità, umana, epocale [vv.34.37: il brano insiste sulla simbologia semitica del numero “sette”].

 

In Mt Gesù è il nuovo Mosè che sale su «il Monte» dei rapporti autentici - per inaugurare un Tempo alternativo, che contrassegna la storia vera.

La gente non rimane più a fondovalle ad aspettare: si riunisce intorno a Lui, giungendo così com’è, col carico dei tanti bisogni differenti.

Il nuovo popolo di Dio non è una folla stanziale, di eletti, scelti e puri.

Ognuno reca con sé il suo percorso, i suoi affanni e problemi, che il Signore guarisce - curando non con una soluzione dal di sopra o dal di fuori.

Insomma: un altro mondo è possibile, però attraverso lo spezzare il proprio (anche misero) ‘pane’.

Soluzione sapiente, ininterrotta, efficace, se la si fa emergere da ‘dentro’, in cammino, e stando in mezzo - non davanti, non a capo, non in alto (v.36).

 

Il luogo della Rivelazione di Dio doveva essere quello dei fulmini, su un ‘monte’ fumante come di fornace (Es 19,18)... ma infine persino lo zelo violento di Elia aveva dovuto ricredersi (1Re 19,12).

Anche ai pagani, il Figlio rivela un Padre il quale non semplicemente cancella le infermità: le fa capire come luogo che sta preparando uno sviluppo personale, e quello della Comunità.

S’immaginava che nei tempi del Messia, zoppi, sordi e ciechi sarebbero scomparsi (Is 35,5ss.). «Età dell’oro»: tutto al vertice, nessun abisso.

In Gesù - Pane distribuito - si manifesta una pienezza dei tempi inconsueta, apparentemente nebulosa e fragile, ma reale e in grado di riavviare persone e relazioni.

Lo Spirito di Dio agisce non calandosi come un fulmine dall’alto, bensì attivando in noi capacità che appaiono impalpabili, eppure in grado di raggranellare il nostro essere disperso, classificato inconsistente - che coinvolge il sommario di tutti i giorni - e lo rivaluta.

 

L’Incarnazione ci ritessere il cuore, in dignità e promozione; si dispiega realmente, perché non solo trascina via gli ostacoli, ma poggia su di essi.

E non li cancella affatto: così li surclassa, ma trasmutando - ponendo nuova vita.

Linfa che trae succo e germoglia Fiori dall’unico terreno melmoso e fecondo, e li comunica.

Solidarietà cui sono invitati tutti, non solo quelli ritenuti in condizione di perfezione e compattezza.

 

Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, bensì assunte, poste nelle mani del Figlio e dinamizzate (v.36).

Le stesse cadute possono essere un segnale prezioso: in Cristo, non sono più umiliazioni riduttive, bensì indicatori di percorso.

Forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse.

Così i crolli possono trasformarsi rapidamente in risalite - differenti, non confezionate - e ricerca di completamento totale nella Comunione.

Quindi, nell’ideale di realizzare la Vocazione e intuire il tipo di contributo da porgere, nulla di meglio d’un ambiente vivo che non tarpi le ali: una fraternità vivace nello scambio e convivenza.

Non tanto per attutirci gli scossoni, ma perché siamo messi in grado di edificare magazzini sapienziali non tarati da nomenclature - cui tutti possono attingere, persino i diversi e lontani da noi.

Se poi anche qui verrà a trovarci una manchevolezza, sarà per insegnare a essere presenti al mondo secondo magari altre e ulteriori direzioni, o per far emergere la missione e una maturazione creativa - non per rimanere fissati su parzialità e minuzie.

 

L’allusione ai sette pani moltiplicati perché divisi conforta le citazioni relative al magma plasmabile delle icone bibliche.

Qui Mosè ed Elia su «il Monte»: figure dei ‘cinque Libri’ del Pentateuco [i primi Alimenti], più le ‘due’ sezioni di Profeti e Scritti.

Tutti insieme «sette pani»: Pienezza di cibo e saggezza per l’anima, chiamata a procedere oltre le siepi circonvicine, rompendo gli argini della mentalità asservita al contorno.

È il nutrimento-base dello spirito umano-divino, cui però si aggiunge un giovane e fresco alimento “companatico” che appunto ci coinvolge (v.34).

[Come diceva s. Agostino: «La Parola di Dio che ogni giorno viene a voi spiegata e in un certo senso “spezzata” è anch’essa Pane quotidiano» (Sermo 58, IV: PL 38,395)].

Alimento completo: cibo base e appunto companatico - storico e ideale, in codice e in atto.

Qui diventiamo in Cristo come un corpus attualizzato e propulsivo di testimoni (e Scritture!) sensibile.

Certo ridotto, non ancora affermato - e privo di eroici fenomeni, ma accentuatamente sapienziale e pratico.

Annunciatori e condivisori, senza clamorosi proclami di autosufficienza.

Mai rinchiusi entro steccati arcaici: sempre in fieri - perciò in grado di percepire binari sconosciuti.

 

E «spezzare il Pane»... ossia attivarsi, procedere oltre, dividere il poco - per alimentare, straripare [moltiplicando l’ascolto e l’azione di Dio] e far riconquistare stima anche ai disperati.

Siamo figli: come pochi e piccoli pesci (v.34), ma che non sguazzano in competizioni che rendono tossica la vita.

Anzi: chiamati in prima persona a scrivere una singolare, empatica e sacra, «Parola-evento».

Infanti’ nel Signore, nuotiamo in questa differente Acqua. A volte forse esteriormente velata o melmosa e torbida…

Infine fatta trasparente anche solo perché arrendevole, compassionevole (v.32) e benevola.

La vecchia pozzanghera esclusiva della religione che non osa il rischio della Fede (v.33) non ci avrebbe aiutato ad assimilare la proposta del Gesù Messia, Figlio di Dio, Salvatore - acrostico del termine greco «Ichtys» [pesce].

Egli è l’Iniziativa-Risposta del Padre, sostegno nel poco etereo Viaggio alla ricerca della Speranza dei poveri - di tutti noi ‘indigenti in attesa’.

 

La Fede operante ha dunque per emblema l’Eucaristia, Rivoluzione della sacralità. Sembra strano, per noi che ci abbiamo fatto il callo.

Infatti scopo dell’evangelizzazione è partecipare ed emancipare l’essere completo da tutto ciò che lo minaccia, non solo nel limite estremo: anche nella sua azione di ogni giorno - fino a cercare la «comunione» dei beni.

In Mc (7,31-37) il prodigio è collocato dopo l’apertura dei “sensi”. Qui dopo le guarigioni presso il lago di Galilea (vv.29-31).

Il Segno Fonte e Culmine della comunità dei figli è un gesto ‘creativo’ che impone uno spostamento di visione, un occhio assolutamente nuovo.

Di fronte all’indigenza di molti - causata dall’avidità di pochi - l’atteggiamento della Chiesa autentica non si compiace di emblemi e fervorini, né di parziali chiamate a distinguersi nell’elemosina.

Lo spezzare del Pane subentra alla Manna calata dall’alto nel deserto (Mt 15,33) e comporta la sua distribuzione - non solo in situazioni particolari.

Non c’è da accontentarsi, nel moltiplicare la vita per tutti.

Questa l’attitudine del Corpo vivente del Cristo taumaturgico [non il facitore di miracoli] che si sente chiamato ad attivarsi in ogni circostanza.

 

In tal guisa, se la partecipazione eucaristica non suscita solo elemosina puntuale, pietismo esterno e assistenzialismo di maniera, ecco il Risultato:

Donne e uomini mangeranno, rimarranno sazi, e avanzerà alimento per altri ancora (non tutti i convitati da Dio previsti sono ancora presenti...).

 

Notiamo che ai discepoli non era neanche passato per la testa che la soluzione potesse venire dalla gente stessa e dal loro spirito.

Non solo dal paternalismo dei capi, o da qualche singolo benefattore.

Soluzione inattesa. Da ribadire: la questione dell’alimento si risolve non dall’alto, ma a partire dall’interno delle persone e con i pochi pani portati con sé.

Non c’è soluzione col verbo “moltiplicare” - ossia “incrementare”…relazioni che contano, accrescere proprietà, ammucchiare astuzie.

Unica terapia è «spezzare», «dare», «porgere» (v.36). E tutti sono coinvolti, nessuno privilegiato.

 

A quel tempo la competitività e la mentalità di classe caratterizzava la società dell’impero - e iniziava a infiltrarsi già nella piccola comunità, appena agli inizi.

Come se il Signore e il Dio del tornaconto potessero convivere uno a fianco all’altro, ancora.

È la comunione dei bisognosi che viceversa sale in cattedra, nella Chiesa non artefatta.

La condivisione reale fa da professore degli onnipresenti direttori e principi, smaliziati e pretenziosi, unici a doversi ancora convertire.

Il germe della loro “durata” dovrebbe essere non la posizione in quota e il ruolo, bensì l’amore.

Tale l’unico senso dei gesti sacri; non altri progetti venati da prevaricazioni, o dall’apparire.

 

Gli “appartenenti” sbalordiscono.

Per il Signore i lontani - sebbene ancora in bilico nelle scelte - sono pienamente partecipi del banchetto messianico; senza preclusioni, né discipline dell’arcano con attese snervanti.

Viceversa, quella Mensa urge in favore di altri che ancora devono essere chiamati. Per una sorta di ristabilimento dell’Unità originale.

 

Insomma, la Redenzione non appartiene alle élites preoccupate della stabilità del loro dominio - che sono addirittura i deboli a dover sostenere.

 

Insomma, la vita da salvati Viene a noi per Incorporazione.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Hai mai spezzato il tuo pane, trasmesso felicità e compiuto recuperi che rinnovano i rapporti, rimettendo in piedi le persone che neppure hanno stima di sé? O hai privilegiato disinteresse, catene, e atteggiamenti di élite?

Lo sguardo di Gesù sembra estendersi fino ad oggi, fino al nostro mondo. Anche oggi si posa su tanta gente oppressa da condizioni di vita difficili, ma anche priva di validi punti di riferimento per trovare un senso e una meta all’esistenza. Moltitudini sfinite si trovano nei Paesi più poveri, provate dall’indigenza; e anche nei Paesi più ricchi sono tanti gli uomini e le donne insoddisfatti, addirittura malati di depressione. Pensiamo poi ai numerosi sfollati e rifugiati, a quanti emigrano mettendo a rischio la propria vita. Lo sguardo di Cristo si posa su tutta questa gente, anzi, su ciascuno di questi figli del Padre che è nei cieli, e ripete: “Venite a me, voi tutti…”.

Gesù promette di dare a tutti “ristoro”, ma pone una condizione: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Che cos’è questo “giogo”, che invece di pesare alleggerisce, e invece di schiacciare solleva? Il “giogo” di Cristo è la legge dell’amore, è il suo comandamento, che ha lasciato ai suoi discepoli (cfr Gv 13,34; 15,12). Il vero rimedio alle ferite dell’umanità, sia quelle materiali, come la fame e le ingiustizie, sia quelle psicologiche e morali causate da un falso benessere, è una regola di vita basata sull’amore fraterno, che ha la sua sorgente nell’amore di Dio. Per questo bisogna abbandonare la via dell’arroganza, della violenza utilizzata per procurarsi posizioni di sempre maggiore potere, per assicurarsi il successo ad ogni costo. Anche verso l’ambiente bisogna rinunciare allo stile aggressivo che ha dominato negli ultimi secoli e adottare una ragionevole “mitezza”. Ma soprattutto nei rapporti umani, interpersonali, sociali, la regola del rispetto e della non violenza, cioè la forza della verità contro ogni sopruso, è quella che può assicurare un futuro degno dell’uomo.

[Papa Benedetto, Angelus 3 luglio 2011]

Martedì, 25 Novembre 2025 04:02

Un’altra fame, più fondamentale

Oltre alla fame fisica l'uomo porta in sè ancora un'altra fame, una fame più fondamentale, che non può essere saziata con un cibo ordinario. Si tratta qui di fame di vita, di fame di eternità. Il segno della manna era l'annuncio dell'avvento di Cristo, che avrebbe soddisfatto la fame di eternità da parte dell'uomo diventando Lui stesso il "pane vivo" che "dà la vita al mondo". Ed ecco: coloro che l'ascoltano chiedono a Gesù di compiere ciò che veniva annunziato dal segno della manna, forse senza rendersi conto di quanto lontano andava quella loro richiesta: "Signore, dacci sempre questo pane" (Gv 6, 34). Quanto è eloquente questa richiesta! Quanto generoso e quanto sorprendente è il suo compimento. "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete . . . Perchè la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui" (Gv 6, 35.55-56). "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6, 54).

Quale grande dignità ci è stata elargita! Il Figlio di Dio si dona a noi nel Santissimo Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Quanto infinitamente grande è la liberalità di Dio! Risponde ai nostri più profondi desideri, che non sono soltanto desideri di pane terreno, ma raggiungono gli orizzonti della vita eterna. Questo è il grande mistero della fede!

[Papa Giovanni Paolo II, omelia a Wroclaw 31 maggio 1997]

Martedì, 25 Novembre 2025 03:55

Pane della Vita

È così, con semplicità, che Gesù ci dona il sacramento più grande. Il suo è un gesto umile di dono, un gesto di condivisione. Al culmine della sua vita, non distribuisce pane in abbondanza per sfamare le folle, ma spezza sé stesso nella cena pasquale con i discepoli. In questo modo Gesù ci mostra ch“e il traguardo della vita sta nel donarsi, che la cosa più grande è servire. E noi ritroviamo oggi la grandezza di Dio in un pezzetto di Pane, in una fragilità che trabocca amore, trabocca condivisione. Fragilità è proprio la parola che vorrei sottolineare. Gesù si fa fragile come il pane che si spezza e si sbriciola. Ma proprio lì sta la sua forza, nella sua fragilità. Nell’Eucaristia la fragilità è forza: forza dell’amore che si fa piccolo per poter essere accolto e non temuto; forza dell’amore che si spezza e si divide per nutrire e dare vita; forza dell’amore che si frammenta per riunire tutti noi in unità.

E c’è un’altra forza che risalta nella fragilità dell’Eucaristia: la forza di amare chi sbaglia. È nella notte in cui viene tradito che Gesù ci dà il Pane della vita. Ci regala il dono più grande mentre prova nel cuore l’abisso più profondo: il discepolo che mangia con Lui, che intinge il boccone nello stesso piatto, lo sta tradendo. E il tradimento è il dolore più grande per chi ama. E che cosa fa Gesù? Reagisce al male con un bene più grande. Al no” di Giuda risponde con il “sì” della misericordia. Non punisce il peccatore, ma dà la vita per lui, paga per lui. Quando riceviamo l’Eucaristia, Gesù fa lo stesso con noi: ci conosce, sa che siamo peccatori, sa che sbagliamo tanto, ma non rinuncia a unire la sua vita alla nostra. Sa che ne abbiamo bisogno, perché l’Eucaristia non è il premio dei santi, no, è il Pane dei peccatori. Per questo ci esorta: “Non abbiate paura! Prendete e mangiate”.

Ogni volta che riceviamo il Pane di vita, Gesù viene a dare un senso nuovo alle nostre fragilità. Ci ricorda che ai suoi occhi siamo più preziosi di quanto pensiamo. Ci dice che è contento se condividiamo con Lui le nostre fragilità. Ci ripete che la sua misericordia non ha paura delle nostre miserie. La misericordia di Gesù non ha paura delle nostre miserie. E soprattutto ci guarisce con amore da quelle fragilità che da soli non possiamo risanare. Quali fragilità? Pensiamo. Quella di provare risentimento verso chi ci ha fatto del male – questa da soli non la possiamo guarire –; quella di prendere le distanze dagli altri e isolarci in noi stessi – questa da soli non la possiamo guarire –; quella di piangerci addosso e lamentarci senza trovare pace – anche questa noi soli non la possiamo guarire. È Lui che ci guarisce con la sua presenza, con il suo Pane, con l’Eucaristia. L’Eucaristia è farmaco efficace contro queste chiusure. Il Pane di vita, infatti, risana le rigidità e le trasforma in docilità. L’Eucaristia guarisce perché unisce a Gesù: ci fa assimilare il suo modo di vivere, la sua capacità di spezzarsi e donarsi ai fratelli, di rispondere al male con il bene. Ci dona il coraggio di uscire da noi stessi e di chinarci con amore verso le fragilità altrui. Come fa Dio con noi. Questa è la logica dell’Eucaristia: riceviamo Gesù che ci ama e sana le nostre fragilità per amare gli altri e aiutarli nelle loro fragilità. E questo, durante tutta la vita. Oggi, nella Liturgia delle Ore, abbiamo pregato un inno: quattro versetti che sono il riassunto di tutta la vita di Gesù. Ci dicono così: che Gesù, nascendo, si è fatto compagno di viaggio nella vita; poi, nella cena, si è dato come cibo; poi, nella croce, nella sua morte, si è fatto “prezzo”, ha pagato per noi; e adesso, regnando nei Cieli, è il nostro premio, che noi andiamo a cercare, quello che ci aspetta.

La Vergine Santa, in cui Dio si è fatto carne, ci aiuti ad accogliere con cuore grato il dono dell’Eucaristia e a fare anche della nostra vita un dono. Che l’Eucaristia ci faccia un dono per tutti gli altri.

[Papa Francesco, Angelus 6 giugno 2021]

Lunedì, 24 Novembre 2025 06:22

L’unica preghiera di Gesù poco insegnata

Scienziati e Piccoli: mondo astratto e incarnazione

Lc 10,21-24 (17-24)

 

A differenza dell’azione infruttuosa degli Apostoli [Lc 9 passim], il ritorno dei nuovi evangelizzatori è pieno di gioia e risultati (vv.17-20). Perché?

I capi guardavano la religiosità con scopi d’interesse. I professori di teologia erano abituati a valutare ogni virgola partendo dal proprio sapere, ridicolo ma supponente - estraneo alle vicende reali.

Ciò che rimane vincolato a costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

Il Maestro si rallegra della sua stessa esperienza, che reca una gioia non epidermica e un insegnamento dallo Spirito - su chi è ben disposto, e capace di comprendere le profondità del Regno, nelle cose comuni.

Insomma, dopo un primo momento di folle entusiaste, il Maestro approfondisce le tematiche e si ritrova tutti contro, tranne Dio e i minimi: i senza peso, ma con tanta voglia di cominciare da zero.

Barlume del Mistero che lievita la storia - senza farne un possesso.

 

In un primo tempo anche Gesù rimane sbalordito per il rifiuto di chi si riteneva già soddisfatto e non attendeva più nulla che potesse destare le abitudini.

Poi comprende, loda e benedice il disegno del Padre: la persona autentica nasce dai bassifondi, e possiede «lo spirito del vicinato» (FT n.152).

Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza.

L’Eterno non è il padrone del creato: è Ristoro che rinfranca, perché fa sentire completi e amabili; ci cerca, si fa attento al linguaggio del cuore.

Egli è Custode del mondo, anche dei non istruiti - degli «infanti» (v.21) spontaneamente vuoti di spirito borioso, ossia di coloro che non restano chiusi nella loro sufficiente appartenenza.

Così il rapporto Padre-Figlio viene comunicato ai poveri di Dio: coloro che sono dotati di un’attitudine da famigliari (v.22).

Insignificanti e invisibili privi di grandi doti, ma che si abbandonano alle proposte della vita provvidente che viene, come bimbi in braccio a dei genitori.

Con Spirito di pietas che favorisce chi si lascia colmare di saggezza innata. Unica realtà che ci corrisponde e non presenta il “conto”: essa non procede sulle vie del pensiero funzionale, dell’iniziativa calcolante.

Sapienza che trasmette freschezza nella disponibilità a ricevere accogliere ritemprare personalmente la Verità come Dono, e l’entusiasmo spontaneo stesso, in grado di realizzarla.

 

Una preghiera di benedizione semplice, per i semplici - questa di Gesù (v.21) - che ci fa crescere nella stima, calza perfettamente con la nostra esperienza, e va d’accordo con noi stessi.

Non presuppone l’energia dei ‘modelli’, né la potenza aggressiva dei “pezzi grossi”.

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalom] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano e realizzano anche spiritualmente.

E invece che solo con il “grande” ed esterno, bisogna vivere di Comunione pur con il ‘piccolo’ di sé, o non c’è amabilità, né autentica vita.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa provi quando ti senti dire: «Tu non conti»? Rimane un disprezzo umiliante o la consideri una grande Luce ricevuta, come ha fatto Gesù?

 

 

[Martedì 1.a sett. Avvento, 2 dicembre 2025]

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The Person of Christ opens up another panorama to the perception of the two short-sighted (because ambitious) disciples. But sometimes it is necessary to take a leap in the dark, to contact one's vocational Seed; heal the gaze of the soul, recognize himself, flourish; make true Communion
La Persona di Cristo spalanca alla percezione dei due discepoli miopi (perché ambiziosi) un altro panorama. Ma talora bisogna fare un salto nel buio, per contattare il proprio Seme vocazionale; guarire lo sguardo dell’anima, riconoscersi, fiorire; fare vera Comunione
«Too pure water has no fish». Accepting ourselves will complete us: it will make us recover the co-present, opposite and shadowed sides. It’s the leap of profound Faith. And seems incredible, but the Rock on which we build the way of being believers is Freedom
«L’acqua troppo pura non ha pesci». Accettarsi ci completerà: farà recuperare i lati compresenti, opposti e in ombra. È il balzo della Fede profonda. Sembra incredibile, ma la Roccia sulla quale edifichiamo il modo di essere credenti è la Libertà
Our shortages make us attentive, and unique. They should not be despised, but assumed and dynamized in communion - with recoveries that renew relationships. Falls are therefore also a precious signal: perhaps we are not using and investing our resources in the best possible way. So the collapses can quickly turn into (different) climbs even for those who have no self-esteem
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte e dinamizzate in comunione - con recuperi che rinnovano i rapporti. Anche le cadute sono dunque un segnale prezioso: forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse. Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti) anche per chi non ha stima di sé
God is Relationship simple: He demythologizes the idol of greatness. The Eternal is no longer the master of creation - He who manifested himself strong and peremptory; in his action, again in the Old Covenant illustrated through nature’s irrepressible powers
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza. L’Eterno non è più il padrone del creato - Colui che si manifestava forte e perentorio; nella sua azione, ancora nel Patto antico illustrato attraverso le potenze incontenibili della natura
What kind of Coming is it? A shortcut or an act of power to equalize our stormy waves? The missionaries are animated by this certainty: the best stability is instability: that «Deluge» Coming, where no wave resembles the others
Che tipo di Venuta è? Una scorciatoia o un atto di potenza che pareggi le nostre onde in tempesta? I missionari sono animati da questa certezza: la migliore stabilità è l’instabilità: quel «Diluvio» che Viene, dove nessuna onda somiglia alle altre
The community of believers is a sign of God’s love, of his justice which is already present and active in history but is not yet completely fulfilled and must therefore always be awaited, invoked and sought with patience and courage (Pope Benedict)
La comunità dei credenti è segno dell’amore di Dio, della sua giustizia che è già presente e operante nella storia ma che non è ancora pienamente realizzata, e pertanto va sempre attesa, invocata, ricercata con pazienza e coraggio (Papa Benedetto)
"In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet". This refers to the solidity of the Word. It is solid, it is the true reality on which one must base one's life (Pope Benedict)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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