Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
All'inizio del nostro Sinodo la Liturgia delle Ore ci propone un brano del grande Salmo 118 sulla Parola di Dio: un elogio di questa sua Parola, espressione della gioia di Israele di poterla conoscere e, in essa, di poter conoscere la sua volontà e il suo volto. Vorrei meditare con voi alcuni versetti di questo brano del Salmo.
Comincia così: «In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet». Si parla della solidità della Parola. Essa è solida, è la vera realtà sulla quale basare la propria vita. Ricordiamoci della parola di Gesù che continua questa parola del Salmo: «Cieli e terra passeranno, la mia parola non passerà mai». Umanamente parlando, la parola, la nostra parola umana, è quasi un niente nella realtà, un alito. Appena pronunciata, scompare. Sembra essere niente. Ma già la parola umana ha un forza incredibile. Sono le parole che creano poi la storia, sono le parole che danno forma ai pensieri, i pensieri dai quali viene la parola. È la parola che forma la storia, la realtà.
Ancor più la Parola di Dio è il fondamento di tutto, è la vera realtà. E per essere realisti, dobbiamo proprio contare su questa realtà. Dobbiamo cambiare la nostra idea che la materia, le cose solide, da toccare, sarebbero la realtà più solida, più sicura. Alla fine del Sermone della Montagna il Signore ci parla delle due possibilità di costruire la casa della propria vita: sulla sabbia e sulla roccia. Sulla sabbia costruisce chi costruisce solo sulle cose visibili e tangibili, sul successo, sulla carriera, sui soldi. Apparentemente queste sono le vere realtà. Ma tutto questo un giorno passerà. Lo vediamo adesso nel crollo delle grandi banche: questi soldi scompaiono, sono niente. E così tutte queste cose, che sembrano la vera realtà sulla quale contare, sono realtà di secondo ordine. Chi costruisce la sua vita su queste realtà, sulla materia, sul successo, su tutto quello che appare, costruisce sulla sabbia. Solo la Parola di Dio è fondamento di tutta la realtà, è stabile come il cielo e più che il cielo, è la realtà. Quindi dobbiamo cambiare il nostro concetto di realismo. Realista è chi riconosce nella Parola di Dio, in questa realtà apparentemente così debole, il fondamento di tutto. Realista è chi costruisce la sua vita su questo fondamento che rimane in permanenza. E così questi primi versetti del Salmo ci invitano a scoprire che cosa è la realtà e a trovare in questo modo il fondamento della nostra vita, come costruire la vita.
Nel successivo versetto si dice: «Omnia serviunt tibi». Tutte le cose vengono dalla Parola, sono un prodotto della Parola. “All'inizio era la Parola”. All'inizio il cielo parlò. E così la realtà nasce dalla Parola, è “creatura Verbi”. Tutto è creato dalla Parola e tutto è chiamato a servire la Parola. Questo vuol dire che tutta la creazione, alla fine, è pensata per creare il luogo dell'incontro tra Dio e la sua creatura, un luogo dove l'amore della creatura risponda all'amore divino, un luogo in cui si sviluppi la storia dell'amore tra Dio e la sua creatura. «Omnia serviunt tibi». La storia della salvezza non è un piccolo avvenimento, in un pianeta povero, nell'immensità dell'universo. Non è una cosa minima, che succede per caso in un pianeta sperduto. È il movente di tutto, il motivo della creazione. Tutto è creato perché ci sia questa storia, l'incontro tra Dio e la sua creatura. In questo senso, la storia della salvezza, l'alleanza, precede la creazione. Nel periodo ellenistico, il giudaismo ha sviluppato l'idea che la Torah avrebbe preceduto la creazione del mondo materiale. Questo mondo materiale sarebbe stato creato solo per dare luogo alla Torah, a questa Parola di Dio che crea la risposta e diventa storia d'amore. Qui traspare già misteriosamente il mistero di Cristo. È quello che ci dicono le Lettere agli Efesini e ai Colossesi: Cristo è il protòtypos, il primo nato della creazione, l'idea per la quale è concepito l'universo. Egli accoglie tutto. Noi entriamo nel movimento dell'universo unendoci a Cristo. Si può dire che, mentre la creazione materiale è la condizione per la storia della salvezza, la storia dell'alleanza è la vera causa del cosmo. Arriviamo alle radici dell'essere arrivando al mistero di Cristo, a questa sua parola viva che è lo scopo di tutta la creazione. «Omnia serviunt tibi». Servendo il Signore realizziamo lo scopo dell'essere, lo scopo della nostra propria esistenza.
Facciamo ora un salto: «Mandata tua exquisivi». Noi siamo sempre alla ricerca della Parola di Dio. Essa non è semplicemente presente in noi. Se ci fermiamo alla lettera, non necessariamente abbiamo compreso realmente la Parola di Dio. C'è il pericolo che noi vediamo solo le parole umane e non vi troviamo dentro il vero attore, lo Spirito Santo. Non troviamo nelle parole la Parola. Sant'Agostino, in questo contesto, ci ricorda gli scribi e i farisei consultati da Erode nel momento dell'arrivo dei Magi. Erode vuol sapere dove sarebbe nato il Salvatore del mondo. Essi lo sanno, danno la risposta giusta: a Betlemme. Sono grandi specialisti, che conoscono tutto. E tuttavia non vedono la realtà, non conoscono il Salvatore. Sant'Agostino dice: sono indicatori di strada per gli altri, ma loro stessi non si muovono. Questo è un grande pericolo anche nella nostra lettura della Scrittura: ci fermiamo alle parole umane, parole del passato, storia del passato, e non scopriamo il presente nel passato, lo Spirito Santo che parla oggi a noi nelle parole del passato. Così non entriamo nel movimento interiore della Parola, che in parole umane nasconde e apre le parole divine. Perciò c'è sempre bisogno dell’«exquisivi». Dobbiamo essere in ricerca della Parola nelle parole.
Quindi l'esegesi, la vera lettura della Sacra Scrittura, non è solamente un fenomeno letterario, non è soltanto la lettura di un testo. È il movimento della mia esistenza. È muoversi verso la Parola di Dio nelle parole umane. Solo conformandoci al mistero di Dio, al Signore che è la Parola, possiamo entrare all'interno della Parola, possiamo trovare veramente in parole umane la Parola di Dio. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a cercare non solo con l'intelletto, ma con tutta la nostra esistenza, per trovare la parola.
Alla fine: «Omni consummationi vidi finem, latum praeceptum tuum nimis». Tutte le cose umane, tutte le cose che noi possiamo inventare, creare, sono finite. Anche tutte le esperienze religiose umane sono finite, mostrano un aspetto della realtà, perché il nostro essere è finito e capisce solo sempre una parte, alcuni elementi: «latum praeceptum tuum nimis». Solo Dio è infinito. E perciò anche la sua Parola è universale e non conosce confine. Entrando quindi nella Parola di Dio, entriamo realmente nell'universo divino. Usciamo dalla limitatezza delle nostre esperienze e entriamo nella realtà che, è veramente universale. Entrando nella comunione con la Parola di Dio, entriamo nella comunione della Chiesa che vive la Parola di Dio. Non entriamo in un piccolo gruppo, nella regola di un piccolo gruppo, ma usciamo dai nostri limiti. Usciamo verso il largo, nella vera larghezza dell'unica verità, la grande verità di Dio. Siamo realmente nell'universale. E così usciamo nella comunione di tutti i fratelli e le sorelle, di tutta l'umanità, perché nel cuore nostro si nasconde il desiderio della Parola di Dio che è una. Perciò anche l'evangelizzazione, l'annuncio del Vangelo, la missione non sono una specie di colonialismo ecclesiale, con cui vogliamo inserire altri nel nostro gruppo. È uscire dai limiti delle singole culture nella universalità che collega tutti, unisce tutti, ci fa tutti fratelli. Preghiamo di nuovo affinché il Signore ci aiuti a entrare realmente nella “larghezza” della sua Parola e così aprirci all'orizzonte universale dell'umanità, quello che ci unisce con tutte le diversità.
Alla fine ritorniamo ancora a un versetto precedente: «Tuus sum ego: salvum me fac». Il testo italiano traduce: «Io sono tuo». La parola di Dio è come una scala sulla quale possiamo salire e, con Cristo, anche scendere nella profondità del suo amore. È una scala per arrivare alla Parola nelle parole. «Io sono tuo». La parola ha un volto, è persona, Cristo. Prima che noi possiamo dire «Io sono tuo», Egli ci ha già detto «Io sono tuo». La Lettera agli Ebrei, citando il Salmo 39, dice: «Un corpo invece mi hai preparato... Allora ho detto: Ecco, io vengo». Il Signore si è fatto preparare un corpo per venire. Con la sua incarnazione ha detto: io sono tuo. E nel Battesimo ha detto a me: io sono tuo. Nella sacra Eucaristia lo dice sempre di nuovo: io sono tuo, perché noi possiamo rispondere: Signore, io sono tuo. Nel cammino della Parola, entrando nel mistero della sua incarnazione, del suo essere con noi, vogliamo appropriarci del suo essere, vogliamo espropriarci della nostra esistenza, dandoci a Lui che si è dato a noi.
«Io sono tuo». Preghiamo il Signore di poter imparare con tutta la nostra esistenza a dire questa parola. Così saremo nel cuore della Parola. Così saremo salvi.
[Papa Benedetto, Meditazione alla XII Assemblea Generale del Sinodo 6 ottobre 2008]
1. "Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria" (Mc 13,26).
In questa penultima domenica del tempo ordinario, la Liturgia ci parla della seconda venuta di Cristo. Il Signore apparirà sulle nubi rivestito di gloria e di potenza. E' lo stesso Figlio dell'uomo, misericordioso e compassionevole, che i discepoli hanno conosciuto nel suo itinerario terreno. Quando sarà il momento della sua manifestazione gloriosa, Egli verrà a dare compimento definitivo alla storia umana.
Attraverso il simbolismo di sconvolgimenti cosmologici, l'evangelista Marco ricorda che Dio pronuncerà, nel Figlio, il suo giudizio sulle vicende degli uomini, ponendo fine ad un universo corrotto dalla menzogna e dilaniato dalla violenza e dall'ingiustizia.
3. La vostra quotidiana esperienza vi porta ad affrontare situazioni difficili e talora drammatiche, che pongono a repentaglio le sicurezze umane. Il Vangelo, però, ci conforta presentando la figura vittoriosa di Cristo giudice della storia. Egli con la sua presenza illumina il buio e persino la disperazione dell'uomo, ed offre a chi confida in Lui la consolante certezza della sua costante assistenza.
Nel Vangelo, poc'anzi proclamato, abbiamo ascoltato un significativo riferimento all'albero del fico, i cui rami, con lo spuntare delle prime gemme, annunciano il tempo primaverile ormai vicino. Con queste sue parole, Gesù incoraggia gli apostoli a non arrendersi di fronte alle difficoltà ed alle incertezze del tempo presente. Li esorta piuttosto a saper attendere e a prepararsi ad accoglierlo quando tornerà. Anche voi quest'oggi, carissimi Fratelli e Sorelle, siete invitati dalla Liturgia a saper scrutare i "segni dei tempi", secondo un'espressione cara al mio venerato predecessore, il Papa Giovanni XXIII, recentemente proclamato Beato.
Per quanto le situazioni siano complesse e problematiche, non perdete la fiducia. Nel cuore dell'uomo non deve mai morire il germe della speranza. Anzi, siate sempre attenti a scorgere e ad incoraggiare ogni segno positivo di rinnovamento personale e sociale. Siate pronti a favorire con ogni mezzo la coraggiosa costruzione della giustizia e della pace.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia 19 novembre 2000]
Un invito a «pensare in cristiano», perché «un cristiano non pensa solo con la testa, pensa anche con il cuore e con lo spirito che ha dentro», è stato rivolto da Papa Francesco stamane, venerdì 29 novembre, durante la messa celebrata a Santa Marta. Un invito particolarmente attuale in un contesto sociale dove — ha fatto notare il Pontefice — si va sempre più insinuando «un pensiero debole, un pensiero uniforme, un pensiero pret-à-porter».
Il vescovo di Roma ha incentrato la propria riflessione sul brano evangelico di Luca (21, 29-33) proposto durante la liturgia, nel quale il Signore «con esempi semplici insegna ai discepoli a capire cosa succede». In questo caso Gesù invita a osservare «la pianta di fico e tutti gli alberi», perché quando germogliano si capisce che l’estate è vicina. In altri contesti il Signore usa esempi analoghi per rimproverare quei farisei che non vogliono capire «i segni dei tempi»; quelli che non vedono «il passo di Dio nella storia», nella storia del popolo d’Israele, nella storia del cuore dell’uomo, «nella storia dell’umanità».
L’insegnamento, secondo il Santo Padre, è che «Gesù con parole semplici ci incoraggia a pensare per capire». Ed è un incoraggiamento a pensare «non soltanto con la testa», ma anche «con il cuore, con lo spirito», con tutto noi stessi. È questo appunto il “pensare in cristiano”, per poter «capire i segni dei tempi». E quanti non capiscono, come avviene nel caso dei discepoli di Emmaus, sono definiti da Cristo «stolti e tardi di cuore». Perché — ha spiegato il Papa — colui che «non capisce le cose di Dio è una persona così», stolta e dura di comprendonio, mentre «il Signore vuole che noi capiamo cosa succede nel nostro cuore, nella nostra vita, nel mondo, nella storia»; e capiamo «cosa significa ciò che accade adesso». Infatti è nelle risposte a queste domande che possiamo individuare «i segni dei tempi».
Eppure non sempre le cose vanno così. C’è un nemico in agguato. È «lo spirito del mondo», che — ha ricordato il Santo Padre — «ci fa altre proposte». Perché «non ci vuole popolo, ci vuole massa. Senza pensiero e senza libertà». Lo spirito del mondo, in sostanza, ci spinge lungo «una strada di uniformità, ma senza quello spirito che fa il corpo di un popolo», trattandoci «come se noi non avessimo la capacità di pensare, come persone non libere». E in proposito Papa Francesco ha chiarito espressamente i meccanismi di persuasione occulta: c’è un determinato modo di pensare che deve essere imposto, «si fa la pubblicità di questo pensiero» e «si deve pensare» in tal modo. È «il pensiero uniforme, il pensiero uguale, il pensiero debole»; un pensiero purtroppo «così diffuso», ha commentato il vescovo di Roma.
In pratica «lo spirito del mondo non vuole che noi ci chiediamo davanti a Dio: ma perché accade questo?». E per distrarci dalle domande essenziali, «ci propone un pensiero pret-à-porter, secondo i nostri gusti: io penso come mi piace». Questo modo di pensare «va bene» allo spirito del mondo; mentre quello che lui «non vuole è ciò che ci chiede Gesù: il pensiero libero, il pensiero di un uomo e di una donna che sono parte del popolo di Dio». Del resto, «la salvezza è stata proprio questa: farci popolo, popolo di Dio. Avere libertà». Perché «Gesù ci chiede di pensare liberamente, di pensare per capire cosa succede».
Certo, ha avvertito Papa Francesco, «da soli non possiamo» fare tutto: «abbiamo bisogno dell’aiuto del Signore, abbiamo bisogno dello Spirito Santo per capire i segni dei tempi». Infatti è proprio lo Spirito a donarci «l’intelligenza per capire». Si tratta di un regalo personale fatto a ogni uomo, grazie al quale «io devo capire perché accade questo a me» e «qual è la strada che il Signore vuole» per la mia vita. Da qui l’esortazione conclusiva a «chiedere al Signore Gesù la grazia che ci invii il suo spirito di intelligenza», affinché «non abbiamo un pensiero debole, un pensiero uniforme, un pensiero secondo i nostri gusti», per avere invece «soltanto un pensiero secondo Dio». E «con questo pensiero — di mente, di cuore e di anima — che è dono dello Spirito», cercare di poter capire «cosa significano le cose, capire bene i segni dei tempi».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 30/11/2013]
Collocarsi negli sconvolgimenti “astrali”
(Lc 21,20-28)
Al tempo di Gesù la città eterna si stava autodistruggendo, ma le distanze fra cielo e terra si assottigliavano.
Parola viva e meditazione ecclesiale.
Anche oggi sperimentiamo rovesciamenti: d’improvviso il centro appagante diventa periferia malmessa, e viceversa.
A cosa è finalizzato il trauma? E la caduta di fede che ne scaturisce?
Al contrario, ciò che conta della crisi è proprio negli stati interiori che attiva - malgrado le percezioni esterne di perdita.
Bisogna sganciarsi da cause apparenti, per entrare nel profondo degli spazi che sentiamo violati.
Quel dolore è parte di noi stessi, del cammino di Fede.
Riconoscendolo e accogliendolo come vena intima, lato genuino dell’essere che ci appartiene, si riconquista integrità; si può ripartire.
La Chiesa autentica pensa al senso del cammino… anche dell’intera storia, riflettendo in particolare sull’instabilità [ciò che era in alto ora cade rovinosamente].
Sulle macerie ecco profilarsi la fine dell’assetto antico, sconvolto nell’arcaico prestigio e nello stesso ordinamento.
Il mondo nuovo avrà gerarchie rovesciate (vv.25-26).
Esse hanno finito per spegnere la loro inutile attrattiva; hanno esaurito il loro tempo.
Frutti amari generati da potenze elette, dalle ‘star’ che parevano celesti [sole, luna, stelle e potenze che hanno sempre sovrastato l’umanità: vv.25-26].
Ai loro insegnamenti è stato tolto il velo.
Avevano programmi parziali, puramente temporali. Non formavano tutta la vita.
Ed ecco finalmente l’innesco di un nuovo Regno, che s’inaugura nell’aspetto di un Figlio, d’un Amico dal cuore di uomo e non di belva (cf. Dn 7,2-14).
Sul fondo della storia istituzionale s’aggira un senso di morte, ma proprio qui l'anima si libera e sublima.
Le verità ancora consolidate saranno finalmente ‘misurate’ da una Presenza salvatrice.
‘Carne’ come noi e ‘Roccia’ come Dio.
Una Grazia impegnativa si sta ergendo sulla presunta catastrofe, tappa inesorabile per l’instaurazione di tutt’altra Fraternità - e l’apparire di una nuova Creazione.
In tal guisa, rovina e distruzione si volgeranno in alta consapevolezza; Esodo, gioia di trasformazione, senso di libertà.
Saremo senza rimpianti per il “fumo” impressionante di ciò che si è autodistrutto - a motivo della sua scarsa cifra umano-divina.
Tutto questo attiveremo, anche quando saremo ritenuti poco avveduti, per le comuni configurazioni.
Ragione in più per farci convitati che ‘si accorgono’.
In Lui gli sconvolgimenti si tramuteranno: in coscienza acuta e relazioni felici, emancipate d’infinità e giustizia.
Nuova Maestà, che non respinge la notte.
Perché quando sostiamo nel dolore che vorremmo fuggire, le distanze fra cielo e terra si stanno assottigliando.
[Giovedì 34.a sett. T.O. 27 novembre 2025]
Collocarsi negli sconvolgimenti “astrali”
(Lc 21,20-28)
«E vi saranno segni nel sole e nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di nazioni in preda allo smarrimento per il fragore del mare e dei flutti» (v.25).
«In questi anni in cui s’inscrive la realtà quotidiana del nostro secolo, tormentato già allo spuntare di un nuovo millennio, portatrice di speranze dell’umanità. Il processo storico di inculturazione del Vangelo e dell’evangelizzazione delle culture è ben lontano dall’avere esaurito tutte le sue energie latenti. L’eterna novità del Vangelo incontra le apparizioni delle culture in genesi o in fase di rinnovamento. L’emergenza delle nuove culture fa appello, con evidenza, al coraggio e all’intelligenza di tutti i credenti e di tutti gli uomini di buona volontà. Trasformazioni sociali e culturali, sconvolgimenti politici, fermenti ideologici, inquietudini religiose, ricerche etiche, è tutto un mondo in gestazione che aspira a trovare forma e orientamento, sintesi organica e nuova stagione profetica. Sappiamo attingere risposte nuove nel tesoro della nostra speranza.
Assecondati da squilibri socio-politici, dalle scoperte scientifiche non pienamente controllate, da invenzioni tecniche di un’ampiezza inaudita, gli uomini restano confusamente il crepuscolo delle vecchie ideologie e l’usura dei vecchi sistemi. I popoli nuovi provocano le vecchie società, come per svegliarle dalla loro lassezza. I giovani alla ricerca di ideali aspirano a dare un senso che abbia valore all’avventura umana. Né la droga, né la violenza né la permissività né il nichilismo possono riempire il vuoto dell’esistenza. Le intelligenze e i cuori sono alla ricerca della luce che rischiari e dell’amore che riscaldi. La nostra epoca ci rivela nel vuoto la fame spirituale e l’immensa speranza delle coscienze».
[Papa Giovanni Paolo II, Discorso al Pontificio Consiglio per la Cultura 13 gennaio 1986]
Al tempo di Gesù la città eterna si stava autodistruggendo, ma la distanza fra cielo e terra si assottigliava.
Parola viva e meditazione ecclesiale.
Anche oggi sperimentiamo rovesciamenti: d’improvviso il centro appagante diventa periferia malmessa, e viceversa.
E in qualsiasi ceto sociale, ciascuno aspira, tenta, esplora, migra, vuole vivere completamente; non si accontenta più delle condizioni di partenza.
L’inquietudine si diffonde anche nell’istituzione religiosa, che pareva fissa, certa, eterna, immutabile.
Di recente lo stesso Pontefice ha parlato di «degenerazione» interna.
Come spiegare questo fatto? A cosa è finalizzato il trauma? E la caduta di fede che ne scaturisce?
Al contrario, ciò che conta della crisi è proprio negli stati interiori che attiva - malgrado le percezioni esterne di perdita.
Bisogna sganciarsi da cause apparenti, per entrare nel profondo degli spazi che sentiamo violati.
Quel dolore è parte di noi stessi, del cammino di Fede.
Riconoscendolo e accogliendolo come vena intima, lato genuino dell’essere che ci appartiene, si riconquista integrità; si può ripartire.
La Chiesa autentica pensa al senso del cammino… anche dell’intera storia.
Essa riflette in particolare sulla disfatta della città santa e sull’instabilità del suo cosmo - quello delle gerarchie vetuste: ciò che era in alto ora cade rovinosamente.
La vecchia terra delle “promesse” è d’improvviso disseminata di rovine: il suo pareva un tempo paradisiaco, spacciato per divino; invece era un attimo, forse in gran parte di terra.
Sulle macerie ecco profilarsi la fine dell’assetto antico, sconvolto nell’arcaico prestigio e nello stesso ordinamento.
Come ha dichiarato Papa Francesco [ad esempio]: «In una Chiesa per i poveri, più missionaria, non c’è spazio per chi si arricchisce o fa arricchire il suo cerchio magico indossando indegnamente l’abito talare».
Il mondo nuovo avrà gerarchie rovesciate (vv.25-26) e sta provocando già lo sgretolamento dei piedistalli della mitologia politica, devota e sociale, rivelatisi terra terra.
Hanno finito per spegnere la loro inutile attrattiva; hanno esaurito il loro tempo. Ciò mentre un «meraviglioso popolo segue Gesù Cristo».
Prima l’ossessione di peccato, la soggezione e inadeguatezza predicate a tutti, nonché le steppe disumanizzanti, aride, prodotte dal potere civile, militare e religioso.
Frutti amari generati da potenze elette, da prìncipi mondani, dalle star che parevano celesti [sole, luna, stelle e potenze che hanno sempre sovrastato l’umanità: vv.25-26].
Ai loro insegnamenti è stato tolto il velo: erano per nulla angelici, bensì di questo mondo.
Avevano programmi parziali, puramente temporali. Non formavano tutta la vita.
Ed ecco finalmente l’innesco di un nuovo Regno, che s’inaugura nell’aspetto di un Figlio, d’un Amico dal cuore di uomo e non di belva (cf. Dn 7,2-14).
Sul fondo della storia istituzionale s’aggira un senso di morte, ma proprio qui l'anima si libera e sublima.
Una nuova Chiamata suscita la coscienza personale e soppianta gli antichi principati. Vertici sociali che dettavano legge e controllavano tutto, opprimendo e stritolando ogni espressione inedita di vita che saliva dal basso.
Viceversa, la Vocazione per Nome offre l’armonia e fraternità del Disegno originario, concepito come Festa nuziale.
Le verità ancora consolidate saranno invece (finalmente) misurate da una Presenza salvatrice.
“Carne” come noi e “Roccia” come Dio.
Una Grazia impegnativa si sta ergendo sulla presunta catastrofe, tappa inesorabile per l’instaurazione di tutt’altra Fraternità - e l’apparire di una nuova Creazione.
In tal guisa, rovina e distruzione si volgeranno in alta consapevolezza; esodo, gioia di trasformazione, senso di libertà.
Speranza fanciulla che ricompone lo spavento di coloro che pensavano la Solenne Religione e le sublimi autorità talari in trono come fortilizio sicuro.
Compito delle nuove comunità in Cristo sarà l’avvio, l’edificazione e il compimento di una storia umanizzante, fonte in se stessa di Speranza; che vince il tempo del pre-umano e lo soppianta con estrema decisione.
Il rapporto tra fedeli e mondanità piramidali - un tempo spacciate per sovreminenti e quasi collocate in cielo, nell’alto - sarà di contrasto.
Quel cosmo ormai divenuto senza senso sta implodendo, nell’agonia della sua finitezza.
Per tale sommovimento c’è solo da gioire.
Lo stile di coloro che rendono umano il mondo sarà viceversa foriero di vittoria che divinizza ciascuno - trionfo questo sì ultraterreno.
Perché il lievito della storia è quello del corpo piegato nel servizio, e del capo alzato nell’attesa del Signore che Viene in continuità.
In ogni occasione l’attitudine della donna e dell’uomo di Fede rimarrà quella di chi prepara un accadimento nuovo, imprevedibile e determinante [come sempre si rivela l’appuntamento col Cristo Veniente e Viandante anche nei dettagli dell’esistenza].
Ma bisogna aiutarsi a percepire la vicinanza di tale senso impersonato: la scelta tra crollo e disperazione o felicità e liberazione avviene ora, nel tempo della vita che volge al momento dell’incontro col Risorto glorioso.
Saremo senza rimpianti per il “fumo” impressionante di ciò che si è autodistrutto - a motivo della sua scarsa cifra umano-divina.
E a tutti i costi permarremo fedeli non a ideologie o “solidi” idoli di ciccia e cartapesta, ma all’esperienza di Dio in dimensione missionaria, consapevoli che il futuro si compie giorno per giorno.
Tutto questo attiveremo, anche quando saremo ritenuti poco avveduti, per le comuni configurazioni.
Quindi - estromessi da ruoli - comprometteremo la nostra bella e più serena carriera di funzionari.
Ragione in più per farci convitati che si accorgono.
In Lui gli sconvolgimenti si tramuteranno: in coscienza acuta e relazioni felici, emancipate d’infinità e giustizia.
Nuova Maestà, che non respinge la notte.
Perché quando sostiamo nel dolore che vorremmo fuggire, le distanze fra cielo e terra si stanno assottigliando.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quanto è umano il tuo divino?
E in materia ecclesiale:
Assumendo il linguaggio di Papa Francesco, cosa pensi del «nemico invisibile» che ancora osteggia la riforma dei meccanismi interni (paganeggianti) e delle anomalie nei palazzi apostolici [e dei «finti amici laici», ovunque] che ben poco si addicono allo spirito evangelico e a un’ideale «casa di vetro»?
Crisi di una civiltà
La «paganizzazione», la «mondanità», la «corruzione» portano alla distruzione della persona. Ma il cristiano, chiamato a confrontarsi con le «prove del mondo», nelle difficoltà della vita ha un orizzonte di speranza perché è invitato alle «nozze dell’Agnello». Durante la messa celebrata a Santa Marta la mattina di giovedì 29 novembre, Papa Francesco ha continuato a seguire gli spunti della liturgia che, nella settimana conclusiva dell’anno liturgico, propone una serie di provocazioni sul tema della fine, della «fine del mondo», della «fine di ognuno di noi».
Nella liturgia della parola del giorno, ha spiegato il Pontefice all’inizio dell’omelia, le due letture tratte dall’Apocalisse (18, 1-2.21-23; 19, 1-3.9) e dal vangelo di Luca (21, 20-28) sono caratterizzate entrambe «da due parti: una parte di distruzione e poi una parte di fiducia; una parte di sconfitta, una parte di vittoria». Al centro dell’attenzione sono poste due città dalla grande potenza evocativa: Babilonia e Gerusalemme, «due città che sono sconfitte».
Innanzitutto Babilonia, «simbolo della città mondana, del lusso, dell’autosufficienza, del potere di questo mondo, ricca». Una realtà che «sembra gioiosa», eppure «sarà distrutta». Lo afferma l’Apocalisse descrivendo «un rito di vittoria: “È caduta. È caduta Babilonia, la grande. È caduta”». Ritenendola «incapace di essere fedele», il Signore la condanna: «Ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione».
Sempre rifacendosi al testo biblico, il Pontefice è entrato nel dettaglio della realtà di Babilonia. «Quell’appariscenza di lusso, di gloria, di potere — ha detto — era una grande seduzione che portava la gente alla distruzione. E quella grande città così bella fa vedere la sua verità: “è diventata covo di demoni, rifugio di ogni spirito impuro, rifugio di ogni uccello impuro, rifugio di ogni bestia impura e orrenda”». Dietro la «magnificenza», quindi, si nasconde la «corruzione: le feste di Babilonia sembravano feste di gente felice», ma «erano feste finte di felicità, erano feste di corruzione». E per questo, ha spiegato il Papa, il gesto dell’angelo descritto dall’Apocalisse ha una potenza simbolica: «Prese una grande pietra, grande come una macina e la gettò nel mare esclamando: “Con questa violenza sarà distrutta Babilonia, la grande città”».
Significativo è l’elenco, ricordato dal Pontefice, delle conseguenze riservate a essa. Innanzitutto non ci saranno più le feste: «Il suono dei musicisti, dei suonatori di cetra, di flauto e di tromba, non si udrà più in te». Poi, giacché non è «una città di lavoro ma di corruzione», in essa non si troverà più «ogni artigiano di qualsiasi mestiere» e non si udrà più «il rumore della macina». E ancora: «La luce della lampada non brillerà più in te; sarà forse una città illuminata, ma senza luce, non luminosa; questa è la civiltà corrotta». Infine, «la voce dello sposo e della sposa non si udiranno più in te”. C’erano tante coppie, tanta gente, ma non ci sarà l’amore».
Un destino di distruzione, ha rimarcato il Pontefice, che «incomincia da dentro e finisce quando il Signore dice: “Basta”. E ci sarà un giorno nel quale il Signore dirà: “Basta, alle apparenze di questo mondo”». Di fatto, ha aggiunto, questa «è la crisi di una civiltà che si crede orgogliosa, sufficiente, dittatoriale e finisce così».
Ma un triste destino è riservato anche all’altra città-simbolo, Gerusalemme. Ne parla il brano evangelico nel quale Gesù — che «da buon israelita» amava Gerusalemme, ma la vedeva «adultera, non fedele alla legge» — dice: «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina”». Cioè, ha spiegato Francesco, la città «è distrutta per un altro tipo di corruzione: la corruzione dell’infedeltà all’amore». Per questa infedeltà essa «non è stata capace di riconoscere l’amore di Dio nel suo Figlio». Anche per Gerusalemme, dunque, il destino è duro: «E cadrà, e saranno giorni di vendetta. Gerusalemme sarà calpestata dai pagani».
È proprio in questo passaggio del vangelo di Luca che il Pontefice ha individuato «una frase che aiuta a capire il senso della distruzione di ambedue le città: la città mondana e la città santa: “Finché i tempi dei pagani non siano compiuti”». La città santa sarà punita, perché ha aperto «le porte del cuore ai pagani». Il Papa ha spiegato come qui emerga «la paganizzazione della vita, nel nostro caso, cristiana»; e ha lanciato una provocazione: «Viviamo come cristiani? Sembra di sì. Ma in verità, la nostra vita è pagana». Il cristiano, cioè, entra nella medesima «seduzione della Babilonia e Gerusalemme vive come Babilonia. Vuol fare una sintesi che non si può fare. E ambedue saranno condannate». Da qui le domande: «Tu sei cristiano? Tu sei cristiana?». Allora, ha esortato, «vivi come cristiano», perché «non si può mescolare l’acqua con l’olio». Oggi invece assistiamo alla «fine di una civiltà contraddittoria in sé stessa, che dice di essere cristiana» ma «vive come pagana».
A questo punto, nella riflessione di Francesco si è aperto l’orizzonte di speranza suggerito dalle letture. Infatti, «dopo la fine della città mondana e della città di Dio paganizzata, si udrà la voce del Signore: “Dopo questo udii come una voce potente di folla immensa nel cielo che diceva: Alleluia!”». Quindi: «dopo la distruzione c’è la salvezza». Come si legge nel capitolo 19 dell’Apocalisse: «Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio, perché veri e giusti sono i suoi giudizi». E la distruzione delle due città, ha spiegato il Pontefice, è «un giudizio di Dio: Egli ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!». Quella città mondana, infatti, «sacrificava i servi di Dio, i martiri. E quando Gerusalemme si paganizza, sacrificò il grande martire: il Figlio di Dio».
La visione dell’Apocalisse è grandiosa: «E per la seconda volta dissero: “Alleluia!”. E l’angelo disse: “Venite: Beati gli invitati alle nozze dell’Agnello!”». È l’immagine della «grande festa, la vera festa. Non la festa pagana e la festa mondana». Un’immagine di vittoria e di speranza evocata anche da Gesù nel vangelo: «In quel momento di tragedia, allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi — davanti alle tragedie, alla distruzione della paganità, della mondanità, risollevatevi — alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
Ecco il messaggio che interpella ogni cristiano: «Ci sono delle tragedie, anche nella nostra vita, ma davanti a queste, guardare l’orizzonte, perché siamo stati redenti e il Signore verrà a salvarci. E questo — ha aggiunto Francesco — ci insegna a vivere le prove del mondo non in un patto con la mondanità o con la paganità che ci porta alla distruzione, ma in speranza, distaccandoci da questa seduzione mondana e pagana, e guardando l’orizzonte, sperando Cristo, il Signore».
In questa prospettiva di speranza, il Papa ha invitato a gettare uno sguardo al passato, anche recente per rileggere la storia alla luce della parola di Dio: «Pensiamo come sono finite le “babilonie” di questo tempo. Pensiamo agli imperi del secolo scorso, per esempio: “Era la grande, la grande potenza...”. Tutto crollato. Solo, rimangono gli umili che hanno la propria speranza nel Signore. E così finiranno anche le grandi città di oggi». Allo stesso modo «finirà la nostra vita, se continuiamo a portarla su questa strada di paganizzazione. È il contrario della speranza: ti porta alla distruzione. È la seduzione babilonica della vita che ci allontana dal Signore». Invece il Signore, ha concluso il Pontefice, invita a un percorso «contrario: andare avanti, guardare con quell’Alleluia di speranza», perché «siamo, tutti noi, stati invitati alla festa di nozze del Figlio di Dio». Quindi «apriamo il cuore con speranza e allontaniamoci dalla paganizzazione della vita».
[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 30/11/2018]
La venuta del Signore continua, il mondo deve essere penetrato dalla sua presenza. E questa venuta permanente del Signore nell’annuncio del Vangelo richiede continuamente la nostra collaborazione; e la Chiesa, che è come la Fidanzata, la promessa Sposa dell’Agnello di Dio crocifisso e risorto (cfr Ap 21,9), in comunione con il suo Signore collabora in questa venuta del Signore, nella quale già comincia il suo ritorno glorioso.
A questo ci richiama oggi la Parola di Dio, tracciando la linea di condotta da seguire per essere pronti alla venuta del Signore (…)
In mezzo agli sconvolgimenti del mondo, o ai deserti dell’indifferenza e del materialismo, i cristiani accolgono da Dio la salvezza e la testimoniano con un diverso modo di vivere, come una città posta sopra un monte. «In quei giorni – annuncia il profeta Geremia – Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia» (33,16). La comunità dei credenti è segno dell’amore di Dio, della sua giustizia che è già presente e operante nella storia ma che non è ancora pienamente realizzata, e pertanto va sempre attesa, invocata, ricercata con pazienza e coraggio.
[Papa Benedetto, Angelus 2 dicembre 2012]
1. Eccovi fedeli all’annuale appuntamento romano del Consiglio Pontificio della cultura. Venuti dall’Africa, dall’America del Nord e dall’America latina, dall’Asia e dall’Europa, la vostra presenza evoca per noi questo vasto panorama delle culture del mondo intero di cui alcune sono state fortemente fecondate dal messaggio di Cristo. Altre attendono ancora la luce della rivelazione, poiché ogni cultura è aperta alle ispirazioni più alte dell’uomo e capace di nuove sintesi creatrici con il Vangelo.
In questi anni in cui s’inscrive la realtà quotidiana del nostro secolo, tormentato già allo spuntare di un nuovo millennio, portatrice di speranze dell’umanità. Il processo storico di inculturazione del Vangelo e dell’evangelizzazione delle culture è ben lontano dall’avere esaurito tutte le sue energie latenti. L’eterna novità del Vangelo incontra le apparizioni delle culture in genesi o in fase di rinnovamento. L’emergenza delle nuove culture fa appello, con evidenza, al coraggio e all’intelligenza di tutti i credenti e di tutti gli uomini di buona volontà. Trasformazioni sociali e culturali, sconvolgimenti politici, fermenti ideologici, inquietudini religiose, ricerche etiche, è tutto un mondo in gestazione che aspira a trovare forma e orientamento, sintesi organica e nuova stagione profetica. Sappiamo attingere risposte nuove nel tesoro della nostra speranza.
Assecondati da squilibri socio-politici, dalle scoperte scientifiche non pienamente controllate, da invenzioni tecniche di un’ampiezza inaudita, gli uomini restano confusamente il crepuscolo delle vecchie ideologie e l’usura dei vecchi sistemi. I popoli nuovi provocano le vecchie società, come per svegliarle dalla loro lassezza. I giovani alla ricerca di ideali aspirano a dare un senso che abbia valore all’avventura umana. Né la droga, né la violenza né la permissività né il nichilismo possono riempire il vuoto dell’esistenza. Le intelligenze e i cuori sono alla ricerca della luce che rischiari e dell’amore che riscaldi. La nostra epoca ci rivela nel vuoto la fame spirituale e l’immensa speranza delle coscienze.
2. Il recente Sinodo straordinario dei vescovi che abbiamo avuto la grazia di vivere a Roma, ha fatto prendere una coscienza rinnovata di questa profonda speranza dell’umanità e dell’ispirazione profetica del Concilio Vaticano II, a vent’anni dal suo termine. Secondo l’invito del Papa Giovanni XXIII, padre di questo Concilio dei tempi moderni dei quali noi siamo tutti i figli, dobbiamo mettere il mondo in contatto con le energie vivificanti del Vangelo (cf. Ioannis XXIII Humanae Salutis, in Nativitate Domini, a. 1961).
Sì, noi siamo all’inizio di un gigantesco lavoro di evangelizzazione del mondo moderno, che si presenta in termini nuovi. Il mondo è entrato in un’era di sconvolgimenti profondi, dovuti alla vastità stupefacente delle creazioni dell’uomo le cui produzioni rischiano di distruggere se egli non le integra in una visione etica e spirituale. Noi entriamo in un tempo nuovo della cultura umana e i cristiani sono davanti a un’immensa fatica. Noi misuriamo meglio oggi l’ampiezza dell’invocazione profetica di Papa Giovanni XXIII che ci sollecita a congedare i profeti di disgrazie e metterci coraggiosamente all’opera per questo formidabile compito: il rinnovamento del mondo e il suo “incontro con il volto di Cristo risuscitato: raggiante attraverso tutta la Chiesa per salvare, rallegrare, illuminare le nazioni umane” (Ioannis XXIII Nuntius Ecclesia Christi, Lumen Gentium, 11 sept. 1962).
[Papa Giovanni Paolo II, Discorso al Pontificio Consiglio per la Cultura 13 gennaio 1986]
La «paganizzazione», la «mondanità», la «corruzione» portano alla distruzione della persona. Ma il cristiano, chiamato a confrontarsi con le «prove del mondo», nelle difficoltà della vita ha un orizzonte di speranza perché è invitato alle «nozze dell’Agnello». Durante la messa celebrata a Santa Marta la mattina di giovedì 29 novembre, Papa Francesco ha continuato a seguire gli spunti della liturgia che, nella settimana conclusiva dell’anno liturgico, propone una serie di provocazioni sul tema della fine, della «fine del mondo», della «fine di ognuno di noi».
Nella liturgia della parola del giorno, ha spiegato il Pontefice all’inizio dell’omelia, le due letture tratte dall’Apocalisse (18, 1-2.21-23; 19, 1-3.9) e dal vangelo di Luca (21, 20-28) sono caratterizzate entrambe «da due parti: una parte di distruzione e poi una parte di fiducia; una parte di sconfitta, una parte di vittoria». Al centro dell’attenzione sono poste due città dalla grande potenza evocativa: Babilonia e Gerusalemme, «due città che sono sconfitte».
Innanzitutto Babilonia, «simbolo della città mondana, del lusso, dell’autosufficienza, del potere di questo mondo, ricca». Una realtà che «sembra gioiosa», eppure «sarà distrutta». Lo afferma l’Apocalisse descrivendo «un rito di vittoria: “È caduta. È caduta Babilonia, la grande. È caduta”». Ritenendola «incapace di essere fedele», il Signore la condanna: «Ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione».
Sempre rifacendosi al testo biblico, il Pontefice è entrato nel dettaglio della realtà di Babilonia. «Quell’appariscenza di lusso, di gloria, di potere — ha detto — era una grande seduzione che portava la gente alla distruzione. E quella grande città così bella fa vedere la sua verità: “è diventata covo di demoni, rifugio di ogni spirito impuro, rifugio di ogni uccello impuro, rifugio di ogni bestia impura e orrenda”». Dietro la «magnificenza», quindi, si nasconde la «corruzione: le feste di Babilonia sembravano feste di gente felice», ma «erano feste finte di felicità, erano feste di corruzione». E per questo, ha spiegato il Papa, il gesto dell’angelo descritto dall’Apocalisse ha una potenza simbolica: «Prese una grande pietra, grande come una macina e la gettò nel mare esclamando: “Con questa violenza sarà distrutta Babilonia, la grande città”».
Significativo è l’elenco, ricordato dal Pontefice, delle conseguenze riservate a essa. Innanzitutto non ci saranno più le feste: «Il suono dei musicisti, dei suonatori di cetra, di flauto e di tromba, non si udrà più in te». Poi, giacché non è «una città di lavoro ma di corruzione», in essa non si troverà più «ogni artigiano di qualsiasi mestiere» e non si udrà più «il rumore della macina». E ancora: «La luce della lampada non brillerà più in te; sarà forse una città illuminata, ma senza luce, non luminosa; questa è la civiltà corrotta». Infine, «la voce dello sposo e della sposa non si udiranno più in te”. C’erano tante coppie, tanta gente, ma non ci sarà l’amore».
Un destino di distruzione, ha rimarcato il Pontefice, che «incomincia da dentro e finisce quando il Signore dice: “Basta”. E ci sarà un giorno nel quale il Signore dirà: “Basta, alle apparenze di questo mondo”». Di fatto, ha aggiunto, questa «è la crisi di una civiltà che si crede orgogliosa, sufficiente, dittatoriale e finisce così».
Ma un triste destino è riservato anche all’altra città-simbolo, Gerusalemme. Ne parla il brano evangelico nel quale Gesù — che «da buon israelita» amava Gerusalemme, ma la vedeva «adultera, non fedele alla legge» — dice: «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina”». Cioè, ha spiegato Francesco, la città «è distrutta per un altro tipo di corruzione: la corruzione dell’infedeltà all’amore». Per questa infedeltà essa «non è stata capace di riconoscere l’amore di Dio nel suo Figlio». Anche per Gerusalemme, dunque, il destino è duro: «E cadrà, e saranno giorni di vendetta. Gerusalemme sarà calpestata dai pagani».
È proprio in questo passaggio del vangelo di Luca che il Pontefice ha individuato «una frase che aiuta a capire il senso della distruzione di ambedue le città: la città mondana e la città santa: “Finché i tempi dei pagani non siano compiuti”». La città santa sarà punita, perché ha aperto «le porte del cuore ai pagani». Il Papa ha spiegato come qui emerga «la paganizzazione della vita, nel nostro caso, cristiana»; e ha lanciato una provocazione: «Viviamo come cristiani? Sembra di sì. Ma in verità, la nostra vita è pagana». Il cristiano, cioè, entra nella medesima «seduzione della Babilonia e Gerusalemme vive come Babilonia. Vuol fare una sintesi che non si può fare. E ambedue saranno condannate». Da qui le domande: «Tu sei cristiano? Tu sei cristiana?». Allora, ha esortato, «vivi come cristiano», perché «non si può mescolare l’acqua con l’olio». Oggi invece assistiamo alla «fine di una civiltà contraddittoria in sé stessa, che dice di essere cristiana» ma «vive come pagana».
A questo punto, nella riflessione di Francesco si è aperto l’orizzonte di speranza suggerito dalle letture. Infatti, «dopo la fine della città mondana e della città di Dio paganizzata, si udrà la voce del Signore: “Dopo questo udii come una voce potente di folla immensa nel cielo che diceva: Alleluia!”». Quindi: «dopo la distruzione c’è la salvezza». Come si legge nel capitolo 19 dell’Apocalisse: «Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio, perché veri e giusti sono i suoi giudizi». E la distruzione delle due città, ha spiegato il Pontefice, è «un giudizio di Dio: Egli ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!». Quella città mondana, infatti, «sacrificava i servi di Dio, i martiri. E quando Gerusalemme si paganizza, sacrificò il grande martire: il Figlio di Dio».
La visione dell’Apocalisse è grandiosa: «E per la seconda volta dissero: “Alleluia!”. E l’angelo disse: “Venite: Beati gli invitati alle nozze dell’Agnello!”». È l’immagine della «grande festa, la vera festa. Non la festa pagana e la festa mondana». Un’immagine di vittoria e di speranza evocata anche da Gesù nel vangelo: «In quel momento di tragedia, allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi — davanti alle tragedie, alla distruzione della paganità, della mondanità, risollevatevi — alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
Ecco il messaggio che interpella ogni cristiano: «Ci sono delle tragedie, anche nella nostra vita, ma davanti a queste, guardare l’orizzonte, perché siamo stati redenti e il Signore verrà a salvarci. E questo — ha aggiunto Francesco — ci insegna a vivere le prove del mondo non in un patto con la mondanità o con la paganità che ci porta alla distruzione, ma in speranza, distaccandoci da questa seduzione mondana e pagana, e guardando l’orizzonte, sperando Cristo, il Signore».
In questa prospettiva di speranza, il Papa ha invitato a gettare uno sguardo al passato, anche recente per rileggere la storia alla luce della parola di Dio: «Pensiamo come sono finite le “babilonie” di questo tempo. Pensiamo agli imperi del secolo scorso, per esempio: “Era la grande, la grande potenza...”. Tutto crollato. Solo, rimangono gli umili che hanno la propria speranza nel Signore. E così finiranno anche le grandi città di oggi». Allo stesso modo «finirà la nostra vita, se continuiamo a portarla su questa strada di paganizzazione. È il contrario della speranza: ti porta alla distruzione. È la seduzione babilonica della vita che ci allontana dal Signore». Invece il Signore, ha concluso il Pontefice, invita a un percorso «contrario: andare avanti, guardare con quell’Alleluia di speranza», perché «siamo, tutti noi, stati invitati alla festa di nozze del Figlio di Dio». Quindi «apriamo il cuore con speranza e allontaniamoci dalla paganizzazione della vita».
[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 30/11/2018]
Collocarsi negli eventi di persecuzione
(Lc 21,12-19)
Il corso della storia è tempo in cui Dio compone il confluire della nostra libertà e delle circostanze.
In tali pieghe c’è spesso un vettore di vita, un aspetto essenziale, una sorte definitiva, che ci sfugge.
Ma all’occhio non mediocre della persona di Fede, anche i soprusi e perfino il martirio sono un dono.
Per imparare le lezioni importanti della vita, ogni giorno il credente si avventura in ciò che ha paura di fare, superando i timori.
L’amore sponsale e gratuito ricevuto colloca in una condizione di reciprocità, d’attivo desiderio di unire la vita al Cristo - sebbene nell’esiguità delle nostre risposte.
Continuando invece a lamentarsi degli insuccessi, pericoli, calamità, tutti vedranno in noi donne come le altre e uomini comuni - e ogni cosa terminerà a questo livello.
Non saremo sull’altro lato. Al massimo tenteremo di sottrarci alle asprezze, o si finirà per cercare alleati di circostanza (vv.14-15).
Lc intende aiutare le sue comunità a urtare la logica mondana e collocarsi negli eventi di persecuzione in maniera fervente.
Le angherie sociali non sono fatalità, bensì occasioni per la missione; luoghi di alta testimonianza eucaristica (v.13).
I perseguitati non hanno bisogno di stampelle esterne, né devono vivere nell’angoscia del crollo.
Essi hanno il compito di essere segni del Regno di Dio, che man mano porta i lontani e gli stessi usurpatori a una diversa consapevolezza.
Nessuno è arbitro della realtà e tutti sono fuscelli soggetti a rovesci, ma nella condizione umanizzante degli apostoli traluce un’indipendenza emotiva.
Ciò avviene per il senso intimo, vivo, di una Presenza, e la lettura delle vicende esterne come azione eccezionale del Padre che ‘si rivela’.
In tale magma energetico plasmabile, ecco affiorare percorsi unici, inedite opportunità di crescita... anche nelle avversità.
Atteggiamento senz’alibi né certezze granitiche: con la sola convinzione che tutto verrà rimesso in gioco.
Tempo sacro e profano vengono a coincidere in un Patto fervente, che si annida e cova frutti persino nei momenti del travaglio e controsenso.
Qui unica risorsa necessaria è la forza spirituale di andare sino in fondo… nei paradossi d’altro versante.
È nel Signore e nella realtà insidiosa o sommaria il “posto” per ciascuno di noi. Non senza lacerazioni.
Eppure traiamo energia spirituale dalla conoscenza del Cristo, dal senso di legame profondo con Lui e la realtà anche minuta e variegata, o temibile - sempre personale (v.18).
La nostra vicenda non sarà come un romanzo facile e a lieto fine.
Ma avremo possibilità di testimoniare nel presente le più genuine radici antiche: che in ogni istante Dio chiama, si manifesta - e ciò che sembra fallimento diviene Cibo e sorgente di Vita.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Che tipo di lettura fai, e come ti collochi negli eventi di persecuzione?
Sei consapevole che gli intoppi non ‘vengono’ per la disperazione, bensì per liberarti dalla chiusura in schemi culturali stagnanti (e non tuoi)?
[Mercoledì 34.a sett. T.O. 26 novembre 2025]
Collocarsi negli eventi di persecuzione
(Lc 21,12-19)
Il corso della storia è tempo in cui Dio compone il confluire della nostra libertà e delle circostanze.
In tali pieghe c’è spesso un vettore di vita, un aspetto essenziale, una sorte definitiva, che ci sfugge.
Ma all’occhio non mediocre della persona di Fede, anche i soprusi e perfino il martirio sono un dono.
Per imparare le lezioni importanti della vita, ogni giorno il credente si avventura in ciò che ha paura di fare, superando i timori.
L’amore sponsale e gratuito ricevuto colloca in una condizione di reciprocità, d’attivo desiderio di unire la vita al Cristo - sebbene nell’esiguità delle nostre risposte.
Continuando invece a lamentarsi degli insuccessi, pericoli, calamità, tutti vedranno in noi donne come le altre e uomini comuni - e ogni cosa terminerà a questo livello.
Non saremo sull’altro lato.
Al massimo tenteremo di sottrarci alle asprezze, o si finirà per cercare alleati di circostanza (vv.14-15).
Lc intende aiutare le sue comunità a urtare la logica mondana e collocarsi negli eventi di persecuzione in maniera fervente.
Le angherie sociali non sono fatalità, bensì occasioni per la missione; luoghi di alta testimonianza eucaristica (v.13).
I perseguitati non hanno bisogno di stampelle esterne, né devono vivere nell’angoscia del crollo.
Essi hanno il compito di essere segni del Regno di Dio, che man mano porta i lontani e gli stessi usurpatori a una diversa consapevolezza.
Nessuno è arbitro della realtà e tutti sono fuscelli soggetti a rovesci, ma nella condizione umanizzante degli apostoli traluce un’indipendenza emotiva.
Ciò avviene per il senso intimo, vivo, di una Presenza, e la lettura delle vicende esterne come azione eccezionale del Padre che si rivela.
In tale magma energetico plasmabile, ecco affiorare percorsi unici, inedite opportunità di crescita... anche nelle avversità.
Atteggiamento senz’alibi né certezze granitiche: con la sola convinzione che tutto verrà rimesso in gioco [non per sforzo: per aver spostato lo sguardo, semplicemente].
Tempo sacro e profano vengono a coincidere in un Patto fervente, che si annida e cova frutti persino nei momenti del travaglio e paradosso.
Qui unica risorsa necessaria è la forza spirituale di andare sino in fondo… nei controsensi d’altro versante.
Così anche la famiglia o il “clan” di appartenenza vanno condotti a un differente mondo di convinzioni; non senza contrasti laceranti (v.16).
La Torah stessa obbligava alla denuncia degli infedeli alla religione dei padri - perfino parenti strettissimi - sino a metterli a morte (Dt 13,7-12) [nei fatti, solo per designare la gravità di quel tipo di trasgressione].
L’Annuncio non poteva che causare divisioni estreme, e su temi di fondo come il successo, o il progresso in questa vita - la visione di un mondo nuovo, dell’utopia di altre e altrui esigenze.
Tutto sembrerà congiurare e farsi beffe del nostro ideale (v.17).
Il riferimento al Nome allude alla vicenda storica di Gesù di Nazaret, col suo carico non solo di bontà ideale ed esplicita, ma pure di attività di denuncia contro l’istituzione ufficiale e le false guide che avevano messo sotto sequestro il Dio dell’Esodo.
Malgrado le interferenze, l’essere fraintesi, calunniati, messi in ridicolo, ricattati e odiati... ancorati a Cristo sperimenteremo che le tappe della storia e della vita procedono verso la Speranza.
La “protezione” di Dio non preserva da tinte cupe, né dal subire danni, ma garantisce che nulla vada perduto, neppure un capello (v.18).
Anche questo esempio spontaneo che Gesù trae dalla natura - eco della vita conciliante sognata per noi dal Padre - introduce alla Felicità che fa consapevoli di esistere in tutta la personale realtà.
L’espressione mostra infatti il valore delle cose genuine, silenti, poco eclatanti, le quali però ci abitano - non sono “ombre”. E le percepiamo senza sforzo né impegno cerebrale.
Nel tempo delle scelte epocali, dell’emergenza che sembra mettere tutto in scacco - ma vuole farci meno artificiali - tale consapevolezza può rovesciare il nostro giudizio di sostanza, sul piccolo e il grande.
Infatti, per l’avventura d’amore non c’è contabilità né clamore.
È nel Signore e nella realtà insidiosa o sommaria il “posto” per ciascuno di noi. Non senza lacerazioni.
Eppure traiamo energia spirituale dalla conoscenza del Cristo, dal senso di legame profondo con Lui e la realtà anche minuta e variegata, o temibile - sempre personale (v.18).
E (appunto) l’aldilà non è impreciso.
Non bisogna snaturarsi per avere consenso… tantomeno per il “Cielo” che vince la morte.
Il destino dell’unicità non va in rovina: è prezioso e caro, come lo è in natura.
Bisogna scorgerne la Bellezza, futura e già attuale.
Neppure conterà collocarsi sopra e davanti: piuttosto sullo sfondo, già ricchi e perfetti, nel senso intimo della pienezza di essere.
Così non dovremo calpestarci a vicenda (Lc 12,1)... anche per incontrare Gesù.
«Siamo assolutamente perduti se ci viene a mancare questa particolare individualità, l’unica cosa che possiamo dire veramente nostra - e la cui perdita costituisce anche una perdita per il mondo intero. Essa è preziosissima anche perché non è universale».
(Rabindranath Tagore)
Gesù ci mette in guardia: non potremo contare su amicizie inattaccabili, né su potenze umane schierate a difesa della trama terrestre.
Anche colui che credevamo vicino ci scruterà con sospetto: il prezzo della verità sta sempre nella scelta contraria al mondo della menzogna [anche sacrale, datata o effimera] tutto coalizzato contro.
La nostra vicenda non sarà come un romanzo facile e a lieto fine.
Ma avremo possibilità di testimoniare nel presente le più genuine radici antiche: che in ogni istante Dio chiama, si manifesta - e ciò che sembra fallimento diviene Cibo e sorgente di Vita.
Ostinati solo nel cambio di proporzioni, tra spogliamento ed elevazione. Nella contrapposizione dei criteri e dei fondamenti stessi del pensare.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Che tipo di lettura fai, e come ti collochi negli eventi di persecuzione?
Sei consapevole che gli intoppi non vengono per la disperazione, bensì per liberarti dalla chiusura in schemi culturali stagnanti (e non tuoi)?
Sull’altro versante del mondo
I cristiani devono dunque farsi trovare sempre sull’“altro versante” del mondo, quello scelto da Dio: non persecutori, ma perseguitati; non arroganti, ma miti; non venditori di fumo, ma sottomessi alla verità; non impostori, ma onesti.
Questa fedeltà allo stile di Gesù – che è uno stile di speranza – fino alla morte, verrà chiamata dai primi cristiani con un nome bellissimo: “martirio”, che significa “testimonianza”. C’erano tante altre possibilità, offerte dal vocabolario: lo si poteva chiamare eroismo, abnegazione, sacrificio di sé. E invece i cristiani della prima ora lo hanno chiamato con un nome che profuma di discepolato. I martiri non vivono per sé, non combattono per affermare le proprie idee, e accettano di dover morire solo per fedeltà al vangelo. Il martirio non è nemmeno l’ideale supremo della vita cristiana, perché al di sopra di esso vi è la carità, cioè l’amore verso Dio e verso il prossimo. Lo dice benissimo l’apostolo Paolo nell’inno alla carità, intesa come l’amore verso Dio e verso il prossimo. Lo dice benissimo l’Apostolo Paolo nell’inno alla carità: «Se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1Cor 13,3). Ripugna ai cristiani l’idea che gli attentatori suicidi possano essere chiamati “martiri”: non c’è nulla nella loro fine che possa essere avvicinato all’atteggiamento dei figli di Dio.
A volte, leggendo le storie di tanti martiri di ieri e di oggi - che sono più numerosi dei martiri dei primi tempi -, rimaniamo stupiti di fronte alla fortezza con cui hanno affrontato la prova. Questa fortezza è segno della grande speranza che li animava: la speranza certa che niente e nessuno li poteva separare dall’amore di Dio donatoci in Gesù Cristo (cfr Rm 8,38-39).
Che Dio ci doni sempre la forza di essere suoi testimoni. Ci doni di vivere la speranza cristiana soprattutto nel martirio nascosto di fare bene e con amore i nostri doveri di ogni giorno. Grazie.
(Papa Francesco, Udienza Generale 28 giugno 2017)
The community of believers is a sign of God’s love, of his justice which is already present and active in history but is not yet completely fulfilled and must therefore always be awaited, invoked and sought with patience and courage (Pope Benedict)
La comunità dei credenti è segno dell’amore di Dio, della sua giustizia che è già presente e operante nella storia ma che non è ancora pienamente realizzata, e pertanto va sempre attesa, invocata, ricercata con pazienza e coraggio (Papa Benedetto)
"In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet". This refers to the solidity of the Word. It is solid, it is the true reality on which one must base one's life (Pope Benedict)
«In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet». Si parla della solidità della Parola. Essa è solida, è la vera realtà sulla quale basare la propria vita (Papa Benedetto)
It has made us come here the veneration of martyrdom, on which, from the beginning, the kingdom of God is built, proclaimed and begun in human history by Jesus Christ (Pope John Paul II)
Ci ha fatto venire qui la venerazione verso il martirio, sul quale, sin dall’inizio, si costruisce il regno di Dio, proclamato ed iniziato nella storia umana da Gesù Cristo (Papa Giovanni Paolo II)
The evangelization of the world involves the profound transformation of the human person (Pope John Paul II)
L'opera evangelizzatrice del mondo comporta la profonda trasformazione delle persone (Papa Giovanni Paolo II)
The Church, which is ceaselessly born from the Eucharist, from Jesus' gift of self, is the continuation of this gift, this superabundance which is expressed in poverty, in the all that is offered in the fragment (Pope Benedict)
La Chiesa, che incessantemente nasce dall’Eucaristia, dall’autodonazione di Gesù, è la continuazione di questo dono, di questa sovrabbondanza che si esprime nella povertà, del tutto che si offre nel frammento (Papa Benedetto)
He is alive and wants us to be alive; he is our hope (Pope Francis)
È vivo e ci vuole vivi. Cristo è la nostra speranza (Papa Francesco
The Sadducees, addressing Jesus for a purely theoretical "case", at the same time attack the Pharisees' primitive conception of life after the resurrection of the bodies; they in fact insinuate that faith in the resurrection of the bodies leads to admitting polyandry, contrary to the law of God (Pope John Paul II)
I Sadducei, rivolgendosi a Gesù per un "caso" puramente teorico, attaccano al tempo stesso la primitiva concezione dei Farisei sulla vita dopo la risurrezione dei corpi; insinuano infatti che la fede nella risurrezione dei corpi conduce ad ammettere la poliandria, contrastante con la legge di Dio (Papa Giovanni Paolo II)
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
don Giuseppe Nespeca
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