don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Giovedì, 06 Novembre 2025 13:23

Dedicazione della Basilica Lateranense

Dedicazione della Basilica Lateranense [9 Novembre 2025]

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Lasciamoci scuotere dallo zelo di Gesù per la sua Chiesa che ama resti integra e fedele

 

Prima Lettura dal libro di Ezechiele (47, 1… 12)

Prima di rileggere la visione di Ezechiele, è utile ricordare il piano del Tempio che lui conosceva, quello di Salomone. Diverso dalle nostre chiese, il Tempio era un’ampia spianata suddivisa in cortili: dei pagani, delle donne e degli uomini. Il Tempio vero e proprio aveva tre parti: all’aperto con l’altare degli olocausti, il Vestibolo, il Santo e il Santo dei Santi. Per Israele, il Tempio era il centro della vita religiosa: unico luogo di pellegrinaggio e sacrifici. La sua distruzione nel 587 a.C. rappresentò un crollo totale, non solo fisico ma anche spirituale. La domanda era: la fede sarebbe crollata con esso? Come sopravvivere dopo la distruzione? Ezechiele, deportato a Babilonia nel 597 a.C., si trovò sulle rive del fiume Kebar, a Tel Aviv. Nei venti anni dell’Esilio (dieci prima e dieci dopo la distruzione), dedicò tutte le sue energie a mantenere viva la speranza del popolo. Doveva agire su due fronti: sopravvivere e mantenere intatta la speranza del ritorno. Come sacerdote, parlava soprattutto in termini di culto e visioni, molte delle quali riguardano il Tempio. Sopravvivere significava comprendere che il Tempio non era il luogo della presenza di Dio, ma il suo segno. Dio non era tra le rovine, ma con il suo popolo sul Kebar. Come diceva Salomone: «I cieli stessi e i cieli dei cieli non possono contenerti! Quanto meno questa Casa che ho edificato!» (1 Re 8,27). Dio è sempre in mezzo al suo popolo e non abbandona Israele: prima, durante e dopo il Tempio, è sempre in mezzo al suo popolo. Anche nella sventura, la fede si approfondisce. La speranza del ritorno è salda perché Dio è fedele e le promesse rimangono valide. Ezechiele immagina il Tempio del futuro e descrive un’acqua abbondante che scorre dal Tempio verso oriente, portando vita ovunque: la Mer Morto non sarà più morta, come il Paradiso della Genesi (Gn 1). Questo messaggio dice ai contemporanei: il paradiso non è dietro, ma davanti; i sogni di abbondanza e armonia saranno realizzati. La ricostruzione del Tempio, alcune decadi dopo, fu forse frutto di questa ostinata speranza di Ezechiele. Forse in ricordo di Ezechiele e della speranza che incarnò, la capitale d’Israele oggi si chiama Tel Aviv, “collina della primavera”.

 

Salmo responsoriale 45/46

La liturgia della festa della Dedicazione propone solo una suddivisione del Salmo 45/46, ma è utile leggerlo interamente. Si presenta come un cantico di tre strofe separate da due ritornelli (vv 8 e 12): “Il Signore degli eserciti è con noi; nostro baluardo è il Dio di Giacobbe”. Dio, re del mondo. Prima strofa: dominio di Dio sugli elementi cosmici (terra, mare, montagne. Seconda strofa: Gerusalemme, “la città di Dio, la più santa dimora dell’Altissimo”(v.5). Terza strofa: dominio di Dio sulle nazioni e su tutta la terra: «Io domino le nazioni, domino la terra». Il ritornello ha un tono di vittoria e guerra: l Signore dell’universo è con noi…. Il nome «Sabaoth» significa «Signore degli eserciti», un titolo guerriero che all’inizio della storia biblica indicava Dio a capo delle armate israelite. Oggi si interpreta come Dio dell’universo, riferendosi agli eserciti celesti. La seconda strofa e il Fiume.  Sorprende l’evocazione di un Fiume a Gerusalemme, che in realtà non esiste. L’approvvigionamento idrico era garantito da sorgenti come il Gihon e Ain Roghel. Il Fiume non è reale, ma simbolico: anticipa la profezia di Ezechiele di un fiume miracoloso che irrigherà tutta la regione fino al Mar Morto. Analogie si trovano in Gioele e Zaccaria, dove acque vive scorrono da Gerusalemme e portano vita ovunque, mostrando Dio come re di tutta la terra.Tutte le iperboli del Salmo anticipano il Giorno di Dio, la vittoria definitiva su tutte le forze del male. La tonalità guerriera nei ritornelli e nell’ultima strofa ( “Eccelso tra le genti, eccelso sulla terra”) significa che Dio combatte contro la guerra stessa. Il Regno di Dio sarà stabilito su tutta la terra, su tutti i popoli, e tutte le guerre finiranno. Gerusalemme, «Città della Pace», simboleggia questo sogno di armonia e prosperità. Per alcuni commentatori, il Fiume rappresenta anche la folla che attraversa Gerusalemme durante le grandi processioni.

 

Seconda Lettura dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (3, 9… 17)

Il desiderio più profondo dell’Antico Testamento era che Dio fosse per sempre presente tra il suo popolo, instaurando un regno di pace e giustizia. Ezechiele lo esprime con il nome profetico di Gerusalemme: “Il Signore è là”. Tuttavia, il compimento di questa promessa supera ogni attesa: Dio stesso si fa uomo in Gesù di Nazaret, “il Verbo che si è fatto carne e ha posto la sua dimora tra noi”. San Paolo, rileggendo l’Antico Testamento, riconosce che tutta la storia della salvezza converge verso Cristo, centro eterno del progetto di Dio. Quando i tempi sono compiuti, Dio manifesta la sua presenza non più in un luogo (il Tempio di Gerusalemme), ma in una persona: Gesù Cristo, e in coloro che, mediante il Battesimo, sono uniti a lui. I Vangeli mostrano in vari modi questo mistero della nuova presenza di Dio: la Presentazione al Tempio, lo squarcio del velo al momento della morte di Gesù, l’acqua che sgorga dal suo costato (nuovo Tempio da cui fluisce la vita), e la purificazione del Tempio. Tutti questi segni indicano che in Cristo Dio abita definitivamente in mezzo agli uomini. Dopo la risurrezione, la presenza di Dio continua nel suo popolo: lo Spirito Santo abita nei credenti. Paolo lo afferma con forza: «Siete il tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in voi». Questa realtà ha una doppia dimensione: Ecclesiale: la comunità dei credenti è il nuovo tempio di Dio, edificato su Cristo, pietra angolare. Tutto deve essere fatto per l’edificazione comune e per essere segno vivo della presenza di Dio nel mondo. Personale: ogni battezzato è “tempio dello Spirito Santo”. Il corpo umano è luogo santo in cui Dio abita, e per questo va rispettato e custodito. Il nuovo Tempio non è un edificio materiale, ma una realtà viva, in continua crescita, “un tempio che si dilata senza fine”, come diceva il cardinale Daniélou: l’umanità trasformata dallo Spirito. Infine, Paolo ammonisce: “Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui”. La dignità del credente come dimora di Dio è sacra e inviolabile. La promessa di Cristo a Pietro ne è la garanzia: «Le potenze del male non prevarranno contro la mia Chiesa». In sintesi: Dio, che nell’Antico Testamento abitava in un tempio di pietra, nel Nuovo abita in Cristo e, attraverso lo Spirito, nel cuore e nella comunità dei credenti. La Chiesa e ogni cristiano sono oggi il segno vivente della presenza di Dio in mezzo al mondo.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (2, 13-22)

Il commercio sulla spianata del Tempio.  Nel Vangelo di Giovanni (cap. 2), Gesù compie uno dei suoi gesti più forti e simbolici: scaccia i mercanti dal Tempio di Gerusalemme. L’episodio avviene all’inizio della sua missione pubblica e rivela il senso profondo della sua presenza nel mondo: Gesù è il nuovo Tempio di Dio. Ai tempi di Gesù, la presenza di venditori di animali e di cambiavalute attorno al Tempio era una pratica normale e necessaria: i pellegrini dovevano acquistare animali per i sacrifici e cambiare il denaro romano, che portava l’effigie dell’imperatore, con monete giudaiche. Il problema non era quindi l’attività in sé, ma il fatto che i mercanti avevano invaso la spianata del Tempio, trasformando la prima corte – destinata alla preghiera e alla lettura della Parola – in un luogo di commercio. Gesù reagisce con forza profetica: “Non fate della casa del Padre un mercato” Denuncia così la trasformazione del culto in interesse economico e riafferma che non si possono servire due padroni, Dio e il denaro. Le sue parole richiamano quelle dei profeti: Geremia aveva denunciato il Tempio come “spelonca di ladri” (Ger 7,11), e Zaccaria aveva annunciato che, nel giorno del Signore, “non vi sarà più mercante nella casa del Signore” (Zc 14,21). Gesù si inserisce in questa linea profetica e porta a compimento le loro parole. Di fronte al gesto di Gesù, si manifestano due atteggiamenti: I discepoli, che lo conoscono e hanno già visto i suoi segni (come a Cana), comprendono il senso profetico del gesto e ricordano il Salmo 68(69): “Lo zelo per la tua casa mi divora”. Giovanni modifica il tempo del verbo (“mi divorerà”) per annunciare la futura passione di Gesù, segno del suo amore totale per Dio e per l’uomo. Gli oppositori (“i Giudei” in Giovanni) reagiscono con diffidenza e ironia: chiedono a Gesù di giustificare la sua autorità e non accettano di essere ammoniti da lui. Alla loro richiesta di un segno, Gesù risponde con parole misteriose: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Essi pensano al Tempio di pietra, restaurato da Erode in quarantasei anni, simbolo della presenza di Dio tra il popolo. Ma Gesù parla di un altro tempio: il suo corpo. Solo dopo la risurrezione i discepoli comprendono il senso delle sue parole: il vero Tempio, segno della presenza di Dio, non è più un edificio, ma la persona stessa di Gesù risorto, “la pietra scartata dai costruttori, divenuta pietra angolare”. Questo episodio, posto da Giovanni all’inizio del suo Vangelo, annuncia già tutto il mistero cristiano: Gesù è il nuovo luogo dell’incontro con Dio, il Tempio vivente dove l’uomo trova la salvezza. Il culto antico è superato: non si tratta più di offrire sacrifici materiali, ma di accogliere e seguire Cristo, che offre se stesso per l’umanità. La fede divide: alcuni (i discepoli) accolgono questa novità e diventano figli di Dio; altri (gli oppositori) la rifiutano e si chiudono alla rivelazione. Gesù, cacciando i mercanti dal Tempio, rivela che la vera casa di Dio non è fatta di pietre ma di persone unite a Lui. Il suo corpo risorto è il nuovo Tempio, segno definitivo della presenza di Dio tra gli uomini. L’episodio diventa così una profezia della Pasqua e un invito alla purificazione del cuore, perché la dimora di Dio non si trasformi mai in un luogo di interesse, ma resti spazio di fede, comunione e amore.

+ Giovanni D’Ercole

Sabato, 01 Novembre 2025 23:14

Perdono e Fede: Incontro vivo

Gratis eccentrico, in avanti: Sacramento dell’umanità come tale

(Lc 17,1-6)

 

La conoscenza di Dio non è una scienza acquisita: muove da un’azione e un’altra, incessantemente; si realizza in un Incontro sempre vivo, che non ci blocca né dissolve.

Tipica, l’esperienza dei «piccoli» [mikròi v.2]. Sin dalle prime comunità di fede, essi sono stati coloro cui mancavano sicurezze ed energie; instabili e senz’appoggio.

Da sempre, «Piccoli» sono gli incipienti; i nuovi, che hanno sentito parlare di fraternità cristiana, ma che talora sono costretti a mettersi in fila, da parte, o rinunciare al cammino.

Eppure, il criterio di accoglienza, tolleranza, comunione anche di beni materiali, è stato il primo e principale catalizzatore della crescita delle assemblee.

Addirittura la scaturigine e il senso di tutte le formule e segni della liturgia.

Il centro esistenziale e ideale cui convergere. Per una Fede proattiva e in se stessa trasformativa.

 

Nello Spirito del Maestro, anche per noi la conciliazione degli attriti non si configura come semplice opera di magnanimità.

È inizio del mondo futuro. Principio di un’avventura imprevedibile e indicibile; di rinascita.

Novità di Dio che crea un ambiente di Grazia, propulsivo, con possibilità enormi.

Forza che irrompe e lascia incontrare paradossalmente i poli oscuri, invece di scuoterli di dosso. Eliminando in modo genuino paragoni, parole e zavorre inutili, che bloccano l’Esodo trasparente.

Così senza troppa lotta ci rinnova, e argina la perdita di veracità. Accentua capacità e gli orizzonti della Pace - sgretolando primati, equilibri paludosi.

La scoperta di nuovi versanti dell’essere che siamo, trasmette un senso di migliore completezza. Quindi spontaneamente argina influssi esterni, scioglie pregiudizi, non fa agire su base emotiva, impulsiva.

Colloca piuttosto nella posizione che mette in grado di rivelare il senso nascosto e sbalorditivo dell’essere. Dispiegando l’orizzonte cruciale.

 

Deponendo le sentenze, l’arte della tolleranza dilata lo sguardo [anche intimo]. Migliora e potenzia i lati spenti; quelli che noi stessi avevamo detestato.

In tal guisa eccentrica, essa trasforma i considerati lontani o mediocri [mikroi] in battistrada, e geniali inventori. Perché ciò che ieri era impensato, domani sarà di chiarificazione e traino.

Le confusioni acquisteranno un senso - proprio grazie al pensiero dei disprezzati, intrusi, fuori d’ogni giro e prevedibilità.

Vita di pura Fede nello Spirito: ossia, la fantasia dei “fiacchi”… al potere.

Perché è il meccanismo paradossale che fa valutare i crocevia della storia, attiva le passioni, crea condivisione, risolve i veri problemi.

Fa volare la realtà verso se stessa.

 

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne. È in tale ‘vuoto’ e Silenzio che Dio si fa strada.

Mistero della Presenza, che trabocca. Nuova Alleanza.

 

 

[Lunedì 32.a sett. T.O.  10 novembre 2025]

Sabato, 01 Novembre 2025 23:04

Perdono e Fede: Incontro vivo

Gratis eccentrico, in avanti: Sacramento dell’umanità come tale

(Lc 17,1-6)

 

La conoscenza di Dio non è un bene di confisca o una scienza acquisita e già pignorata: muove da un’azione e un’altra, incessantemente; si realizza in un Incontro sempre vivo, che non ci blocca né dissolve.

Tipica, l’esperienza dei «piccoli» [mikròi v.2]. Sin dalle prime comunità di fede, essi sono stati coloro cui mancavano sicurezze ed energie; instabili e senz’appoggio.

Da sempre, «Piccoli» sono gli incipienti; i nuovi, che hanno sentito parlare di fraternità cristiana, ma che talora sono costretti a mettersi in fila, da parte, o rinunciare al cammino.

Ma il criterio di accoglienza, tolleranza, comunione anche di beni materiali, è stato il primo e principale catalizzatore della crescita delle assemblee.

Addirittura la scaturigine e il senso di tutte le formule e segni della liturgia.

Il centro esistenziale e ideale cui convergere. Per una Fede proattiva e in se stessa trasformativa.

 

Nello Spirito del Maestro, anche per noi la conciliazione degli attriti non si configura come semplice opera di magnanimità.

È inizio del mondo futuro. Principio di un’avventura imprevedibile e indicibile. E noi con esso d’improvviso rinati: venuti a un franco contatto nel Cristo. Colui che non ci spegne affatto.

Di qui il Perdono cristiano dei figli, che non è… “guardare positivo”, e “chiudere un occhio”: piuttosto, Novità di Dio che crea un ambiente di Grazia, propulsivo, con possibilità enormi.

Forza che irrompe e lascia incontrare paradossalmente i poli oscuri, invece di scuoterli di dosso. Eliminando in modo genuino paragoni, parole e zavorre inutili, che bloccano l’Esodo trasparente.

Dinamica che guida all’indispensabile e imprescindibile: onde spostare lo sguardo. Insegnando ad accorgersi dei propri isterismi, conoscersi, affrontare l’ansia, il suo motivo; a gestire situazioni e momenti di crisi.

Virtù plasmabile che pone in ascolto intimo dell’essenza personale.

Quindi Empatia solida, larga, che introduce nuove energie; fa incontrare i propri stati profondi, perfino la vita standard… suscitando altri saperi, diverse prospettive, relazioni inattese.

Così senza troppa lotta ci rinnova, e argina la perdita di veracità [tipica, quella in favore delle maniere di circostanza]. Accentua capacità e gli orizzonti della Pace - sgretolando primati, equilibri paludosi.

La scoperta di nuovi versanti dell’essere che siamo, trasmette un senso di migliore completezza, quindi spontaneamente argina influssi esterni, scioglie pregiudizi, non fa agire su base emotiva, impulsiva.

Colloca piuttosto nella posizione che mette in grado di rivelare il senso nascosto e sbalorditivo dell’essere. Dispiegando l’orizzonte cruciale.

 

Attivare «Perdono» è gratuitamente una restituzione in sovraggiunta del proprio ventaglio caratteriale, di tutta la dignità perduta, e ben oltre.

Deponendo le sentenze, l’arte della tolleranza dilata lo sguardo [anche intimo]. Migliora e potenzia i lati spenti; quelli che noi stessi avevamo detestato.

In tal guisa eccentrica trasforma i considerati lontani o mediocri [mikroi] in battistrada, e geniali inventori. Perché ciò che ieri era impensato, domani sarà di chiarificazione e traino.

Le confusioni acquisteranno un senso - proprio grazie al pensiero delle menti in crisi, e per l’azione dei disprezzati, intrusi, fuori d’ogni giro e prevedibilità.

Vita di pura Fede nello Spirito: ossia, la fantasia dei “fiacchi”… al potere.

Perché è il meccanismo paradossale che fa valutare i crocevia della storia, attiva le passioni, crea condivisione, risolve i veri problemi.

E dunque soppianta in avanti i momenti difficili (riportandoci al vero percorso) orientando la realtà al bene concreto.

Facendola volare verso se stessa.

 

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne. È in tale ‘vuoto’ e Silenzio che Dio si fa strada.

Mistero della Presenza, che trabocca. Nuova Alleanza.

 

 

Accrescere la fede: vita noiosa, intimidita, o la porta della speranza

 

Forse anche a noi è stato inculcato che la fede bisogna chiederla, così Dio ce l’aumenta. Invece abbiamo voce in capitolo, ma non nel senso d’una avance da rivolgere al Cielo.

La Fede è dono, però nel senso di proposta e iniziativa relazionale, faccia a faccia; che chiede percezione accogliente. Quindi non cresce per caduta d’un pacchetto - come a precipizio, o per infusione dall’alto. Addirittura forzandola, e convincendo il Padre.

Non è neppure un semplice assenso legato al carattere bonario. Non è un bagaglio di nozioni che qualcuno ha e dimostra in modo giusto; altri meno, o affatto.

Nell’innamoramento si può essere più o meno coinvolti!

Fede non è credere che Dio esista, ma l’aderire a un suggerimento sorgivo che (senza imposizioni) ci guida a trascurare la reputazione.

La persona di Fede non bada a spese o rischi, anche per la vita altrui. Tiene in sospeso le costumanze particolari; non anteporre gli affetti di cerchia. Perdona senza limiti.

Spesso siamo d’accordo solo in parte e accettiamo qualcosina - magari fino a che l’amore non vada sino in fondo, o ci rimetta in discussione.

Così la testa, i vezzi, la concatenazione dei valori, e il piccolo mondo cui siamo legati.

 

Accrescere la Fede? Il Dono non è un regalo, ma un Appello.

Perciò Gesù neppure risponde a una richiesta tanto ridicola - ciononostante fa riflettere sui risultati dell’eventuale adesione.

Basterebbe un minimo coinvolgimento e nel mondo si produrrebbero risultati straordinari (v.6); in comunità, nelle famiglie e nella vita personale.

Realizzeremmo l’impossibile e importante. Si risolverebbero i veri problemi. Si trasformerebbero anche le azioni più semplici.

Ci sono poi grandi eventi piantati nel cuore di ogni uomo, che forse consideriamo irrealizzabili: ad es. la fratellanza universale, la vittoria sulla fame, una vita dignitosa e bella per tutti, un mondo e una Chiesa senza personaggi volatili, corrotti e vanitosi.

Siccome le consideriamo situazioni impossibili, neppure iniziamo a edificarle - subito ci lasciamo cadere le braccia.

Ma la maturazione è frutto contromano di lati segreti, non di armature mentali impermeabili.

Come diceva un premio Nobel: «Gli innocenti non sapevano che il loro progetto era impossibile, per questo lo realizzarono».

E non è che dopo una vita impiegata nel servizio - agli ordini del Principale - nell’aldilà finalmente comanderemo, sulla base del rango conquistato [sebbene anche questo forse ci sia stato trasmesso].

Uno dei prodigi che compie in noi la Fede in Cristo - qui e ora - è farci prendere coscienza della bellezza e della gioia di avere libertà di scendere dai piedistalli già identificati, per favorire la vita piena (di tutti).

E a “fine mese” - alla “resa dei conti” o alla “paga” - non diventeremo finalmente dei boss - almeno in cielo!

Perché Dio è Comunione, convivialità delle differenze; e non accetta lo schema servo-padrone, addirittura come premio.

Sabato, 01 Novembre 2025 22:58

Processo della riconciliazione

Se l’uomo non è riconciliato con Dio, è in discordia anche con la creazione. Non è riconciliato con se stesso, vorrebbe essere un altro da quel che è ed è pertanto non riconciliato neppure con il prossimo. Fa inoltre parte della riconciliazione la capacità di riconoscere la colpa e di chiedere perdono – a Dio e all’altro. E infine appartiene al processo della riconciliazione la disponibilità alla penitenza, la disponibilità a soffrire fino in fondo per una colpa e a lasciarsi trasformare. E ne fa parte la gratuità, di cui l’Enciclica “Caritas in veritate” parla ripetutamente: la disponibilità ad andare oltre il necessario, a non fare conti, ma ad andare al di là di ciò che richiedono le semplici condizioni giuridiche. Ne fa parte quella generosità di cui Dio stesso ci ha dato l’esempio. Pensiamo alla parola di Gesù: “Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5, 23s.). Dio che sapeva che non siamo riconciliati, che vedeva che abbiamo qualcosa contro di Lui, si è alzato e ci è venuto incontro, benché Egli solo fosse dalla parte della ragione. Ci è venuto incontro fino alla Croce, per riconciliarci. Questa è gratuità: la disponibilità a fare il primo passo. Per primi andare incontro all’altro, offrirgli la riconciliazione, assumersi la sofferenza che comporta la rinuncia al proprio aver ragione. Non cedere nella volontà di riconciliazione: di questo Dio ci ha dato l’esempio, ed è questo il modo per diventare simili a Lui, un atteggiamento di cui sempre di nuovo abbiamo bisogno nel mondo. Dobbiamo oggi apprendere nuovamente la capacità di riconoscere la colpa, dobbiamo scuoterci di dosso l’illusione di essere innocenti. Dobbiamo apprendere la capacità di far penitenza, di lasciarci trasformare; di andare incontro all’altro e di farci donare da Dio il coraggio e la forza per un tale rinnovamento. In questo nostro mondo di oggi dobbiamo riscoprire il Sacramento della penitenza e della riconciliazione. Il fatto che esso in gran parte sia scomparso dalle abitudini esistenziali dei cristiani è un sintomo di una perdita di veracità nei confronti di noi stessi e di Dio; una perdita, che mette in pericolo la nostra umanità e diminuisce la nostra capacità di pace. San Bonaventura era dell’opinione che il Sacramento della penitenza fosse un Sacramento dell’umanità in quanto tale, un Sacramento che Dio aveva istituito nella sua essenza già immediatamente dopo il peccato originale con la penitenza imposta ad Adamo, anche se ha potuto ottenere la sua forma completa solo in Cristo, che è personalmente la forza riconciliatrice di Dio e ha preso su di sé la nostra penitenza. In effetti, l’unità di colpa, penitenza e perdono è una delle condizioni fondamentali della vera umanità, condizioni che nel Sacramento ottengono la loro forma completa, ma che, a partire dalle loro radici, fanno parte dell’essere persone umane come tale.

[Papa Benedetto, alla Curia romana 21 dicembre 2009]

Sabato, 01 Novembre 2025 22:54

Non mi ricorderò più del loro peccato

Cari fratelli e sorelle.

1. Questa domenica sera a Edmonton, la sera del primo giorno della settimana, giorno in cui i cristiani celebrano la risurrezione del Signore, veniamo insieme in preghiera in questa bella cattedrale di Saint Joseph. Siamo riuniti nella gioia del nostro comune Battesimo, nella forza della parola di Dio, e nella pace e nell’amore di Cristo, che proclamiamo luce del mondo e suprema manifestazione di Dio. Vi invito tutti a riflettere con me questa sera sul mistero della presenza di Dio.

Come uomini e donne di fede, noi crediamo che Dio è presente nella sua creazione, che egli è il Signore della storia il quale dirige i tempi e le stagioni, che egli è vicino a tutti coloro che lo invocano: il povero e l’affranto, l’afflitto e il solitario, il debole e l’oppresso. Noi crediamo che Dio si fa strada nel silenzio, e anche nel rumore della nostra vita quotidiana, rivelandoci la sua verità e il suo amore. Egli vuole dissipare la nostra paura e rafforzare la nostra speranza nella sua misericordia salvatrice.

Dio parla personalmente al cuore di ognuno, ma egli agisce anche attraverso la comunità di coloro che egli ha predestinato ad essere suoi. Vediamo questo innanzitutto nella storia del popolo ebreo. Attraverso Abramo, nostro padre nella fede, attraverso Isacco e Giacobbe, e in particolare attraverso Mosè, Dio chiamò un popolo ad appartenergli in un modo speciale. Egli ha stretto un’alleanza con loro, dicendo: “Io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo” (Ger 31, 33). Quando i suoi eletti peccarono e se ne andarono per la loro via, dimenticando Dio che li aveva salvati, Dio nel suo amore senza fine intervenne nella loro vita per mezzo dei profeti. Egli chiamò il popolo al pentimento e promise di stabilire con essi una nuova e migliore alleanza. Questa nuova alleanza egli la descrisse con queste parole: “Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore... Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato” (Ger 31, 33-34).

E come stabili Dio questa nuova alleanza? Come scrisse la sua legge nel cuore dei suoi eletti? Con il sangue di Gesù, il sangue dell’Agnello di Dio, il sangue della nuova ed eterna alleanza, il sangue del nostro Salvatore, che è il prezzo della nostra redenzione e la più eloquente espressione possibile dell’amore di Dio per il mondo.

2. La presenza di Dio è incarnata nella sua pienezza in Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio che è diventato il Figlio di Maria e che ha versato il suo sangue per noi sulla croce. Gesù è l’Emanuele, Dio con noi, la parola fatta carne, la rivelazione dell’eterno Padre. Davanti a questo grande mistero della presenza di Dio, noi stiamo in timore e reverenza, e i nostri cuori e le nostre voci ardono dal desiderio di irrompere in canti e inni di lode. E davvero questo è quello che più si addice, perché il primo dovere di una creatura è di glorificare il Creatore, il primo dovere di un popolo redento è di lodare il suo Signore e Salvatore. Per questo sono così lieto di unirmi a voi questa sera in questo servizio serale di lode. Quanto è bello, come fratelli e sorelle in Cristo, unire le nostre voci in “salmi, inni e cantici spirituali” (Col 3, 16).

Il salmo 103 (Sal 103, 1-2), che recitiamo insieme questa sera, ci mostra una persona il cui essere è interamente ricolmo della lode di Dio:

“Benedici il Signore, anima mia, / quanto è in me benedica il suo santo nome. / Benedici il Signore, anima mia, / non dimenticare tanti suoi benefici”.

“Non dimenticare tanti suoi benefici”: un cuore ricolmo di lode mai dimentica i molti benefici di Dio. Infatti, la preghiera di lode implica un atto di memoria riconoscente, nel ricordo di come in tanti modi Dio ha mostrato il suo amore salvifico. E così il salmista dichiara:

“Egli perdona tutte le tue colpe, / guarisce tutte le tue malattie; / salva dalla fossa la tua vita, / ti corona di grazia e di misericordia; / egli sazia di beni i tuoi giorni / e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza” (Sal 103, 3-5).

La preghiera di lode procede da un’umile consapevolezza della nostra indegnità e della nostra totale dipendenza da Dio, congiunta con infantile confidenza nella ricca misericordia di Dio. Così il salmista continua:

“Come un padre ha pietà dei suoi figli, / così il Signore ha pietà di quanti lo temono. / Perché egli sa di che siamo plasmati, / ricorda che noi siamo polvere” (Sal 103, 13-14).

Lodare il Signore è anche acclamare i molti attributi di Dio, magnificare le qualità di questo grande e santo Dio che ha stabilito un’alleanza con il suo popolo. Allora il salmista dice:

“Buono e pietoso è il Signore, / lento all’ira e grande nell’amore... / La sua giustizia è per i figli dei figli, / per quanti custodiscono la sua alleanza” (Sal 103, 8.17-18).

3. Vivendo alla presenza di Dio, i cristiani prorompono nell’acclamazione e nella lode, esprimendo gratitudine per il dono della fede e per tutti gli atti salvifici del Signore. Ma dobbiamo anche rivolgerci al Signore con preghiere di petizione, invocando dal Signore protezione e salvezza dalle forze del male, perdono per i nostri peccati e guarigione per le nostre anime ferite, forza per portare i pesi della vita e grazia per compiere la volontà di Dio. Spesso la preghiera di petizione dev’essere fatta con un senso di urgenza e di supplica. Per questo l’uomo del salmo 141 (Sal 141, 1.8) esclama:

“Signore, a te grido, accorri in mio aiuto; / ascolta la mia voce quando t’invoco. / A te, Signore mio Dio, sono rivolti i miei occhi: / in te mi rifugio, proteggi la mia vita”.

La preghiera di petizione scaturisce da un’umile consapevolezza del grande bisogno che abbiamo della grazia di Dio, e da una profonda fiducia nella potente misericordia di Dio. Essa è accompagnata così da un atteggiamento di adorazione. Ci inginocchiamo, almeno in spirito, all’adorabile presenza della maestà di Dio, e le parole che pronunciamo sono come quelle del salmista che supplica:

“Come incenso salga a te la mia preghiera, / le mie mani alzate come sacrificio della sera” (Sal 141, 2).

4. Il nostro Salvatore ci ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Noi sappiamo che questo è vero questa sera mentre come cristiani ci uniamo insieme in comune preghiera. La presenza di Cristo riempie questa cattedrale nel momento in cui lodiamo il suo nome, e nel momento in cui preghiamo per quella perfetta unità tra i cristiani che egli vuole per i suoi seguaci. 

Poiché la vera preghiera trabocca in generoso servizio, noi non siamo questa sera dimentichi dei grandi bisogni dei nostri fratelli e sorelle che soffrono nel mondo intero. Come fedele risposta al Signore, il cui Santo Spirito ha suscitato il movimento ecumenico, non solo vogliamo pregare insieme ed entrare in dialogo ecumenico, ma ci impegniamo anche in sforzi di congiunta collaborazione per promuovere un mondo più giusto e più pacifico. Noi cerchiamo di diventare, e ci aiutiamo gli uni gli altri ad esserlo, “il sale della terra” e “la luce del mondo” (cf. Mt 5, 11-16). In questo modo, proclamiamo insieme la buona novella della presenza di Dio nel mondo nella persona di Gesù Cristo, che è uno con la sua Chiesa.

5. La bella preghiera conosciuta come il Magnificat, che recitiamo insieme questa sera, indirizza le nostre menti a Dio e alla sua presenza salvifica nella storia umana. Essa fa rivolgere anche la nostra attenzione a Maria, la Madre del nostro Salvatore. Questa donna di fede rimane per noi oggi un modello di santità di vita. In un modo speciale, ella sperimentò la presenza di Dio nella sua vita quando divenne la Madre del nostro Redentore. Come una donna il cui cuore era pieno di lode, ella magnificò la grandezza di Dio, proclamando la sua bontà verso i poveri e gli umili e parlando della sua misericordia verso tutte le generazioni. Insieme con Maria, noi uniamo le nostre voci per lodare “la magnificenza del Signore” (cf. Lc 1, 46).

Noi facciamo questo soprattutto in unione con Gesù Cristo, che rimane per sempre la luce del mondo, e che ci offre la luce della vita (cf. Gv 8, 12). Miei cari amici: accogliamo da lui questa luce e camminiamo in questa luce, per la gloria di suo Padre, che vive e regna con il Santo Spirito nei secoli dei secoli. Amen.

[Papa Giovanni Paolo II, Edmonton 16 settembre 1984]

Sabato, 01 Novembre 2025 22:42

Il Perdono spalanca orizzonti

Stefano non maledice i suoi persecutori, ma prega per loro: «Piegò le ginocchia e gridò a gran voce: “Signore, non imputare loro questo peccato”» (At 7,60).

Siamo chiamati ad imparare da lui a perdonare, sempre: il perdono allarga il cuore, genera condivisione, dona serenità e pace.

Il proto-martire Stefano ci indica la strada da percorrere nelle relazioni interpersonali in famiglia, nei luoghi di scuola e di lavoro, in parrocchia e nelle diverse comunità. La logica del perdono e della misericordia è sempre vincente e apre orizzonti di speranza. Ma il perdono si coltiva con la preghiera, che ci permette di tenere fisso lo sguardo su Gesù. Stefano è stato capace di perdonare i suoi uccisori perché, pieno di Spirito Santo, fissava il cielo e aveva gli occhi aperti su Dio (cfr At 7,55). Dalla preghiera gli venne la forza di subire il martirio. Dobbiamo pregare con insistenza lo Spirito Santo perché effonda su di noi il dono della fortezza che guarisce le nostre paure, le nostre debolezze, le nostre piccolezze.

Invochiamo l’intercessione della Madonna e di Santo Stefano: la loro preghiera ci aiuti ad affidarci sempre a Dio, specialmente nei momenti difficili, e ci sostenga nel proposito di essere uomini e donne capaci di perdono.

[Papa Francesco, Angelus 26 dicembre 2018]

Pietre vive e Liberazione dai mercanti: Segno e Anticipazione

(Gv 2,13-22)

 

Dove adorare l’Altissimo?

Già il cosmo è come una grande cattedrale, che tesse lodi divine; poi certamente hanno avuto un senso storico sia le alture che i templi.

Ma ora è Cristo il luogo in cui la donna e l’uomo incontrano Dio, il centro d’irruzione e dispiegamento dell’Amore del Padre, nel cosmo.

Il Signore viene volentieri, per fondersi con la vita del credente e dilatare le sue capacità, risorse qualitative, mondo di relazioni.

L’Eterno vive e agisce nell'Amico che - pur inconsapevolmente - ne accoglie le proposte.

Così, anche se i cieli non lo contengono, Egli si degna e diletta di stare tra noi e in noi.

Il grande Sovrano antico era relegato nel Tempio, e nelle vicende del quotidiano ci si dimenticava di Lui. Ora siamo noi i Santuari, veri e vivi.

Quindi, anche se la folla dei turisti si aggira per ammirarne l’arte, le Basiliche sono segno, non realtà.

Siamo noi le ‘chiese’ fuori delle chiese, ove abita la Fonte dell’essere che ‘si rivela’ e dobbiamo far incontrare agli altri.

Segno efficace e anticipazione di un cosmo più umano. In ognuno il Volto di Cristo.

Solo in tal senso «Laterano/ a le cose mortali andò di sopra» [Dante, Paradiso 31, 30-35].

 

«Era vicina la Pasqua»: tempo della liberazione dalla schiavitù - dai mercanti che avevano sequestrato il Dio dell’Esodo.

Il popolo riteneva di essere emancipato grazie all’acquisizione della ‘terra promessa’, e di praticare un culto gradito.

In realtà era ancora schiavo di una immagine pagana dell’Onnipotente.

Infatti, il complesso del Tempio era costituito da una serie di circuiti che via via scremavano i visitatori.

Gesù vuole smantellare le barriere che impediscono di accostarsi a Dio; tutti i pregiudizi e muri divisori.

La grande Novità è che in Lui ciascuno ha accesso al Padre.

Egli propone la comunione come convivialità delle differenze, non sinergia con scopi qualsiasi.

Poi, il timore inculcato dalla vecchia religiosità aveva trasformato i grandi luoghi di culto dell’oriente antico in banche.

La commistione di preghiera e denaro è davvero insopportabile.

Quando subentrano interessi economici, le conseguenze sulle persone senza peso [e sulla civiltà stessa] sono devastanti.

Così, il Maestro ci sbatte fuori dalla falsa immagine di Dio, per recuperarlo dentro ciascuno di noi.

Insomma, bisogna farla finita con le palizzate - pur “ideali” - in cui la gratuità e la preghiera hanno ben poco di somigliante al rapporto del Figlio col Padre.

Tutto ciò anche spingendoci a capire altrove, navigando verso impossibili territori.

Infine approdando sempre più alla densità del Mistero che vuole viaggiare con noi.

Faremo tutt’altro genere di acquisizioni.

 

Ormai il mercanteggiare è incompatibile con la nostra azione di ‘pietre vive’.

 

 

[Dedicazione della Basilica Lateranense, 9 novembre]

Pietre vive e Liberazione dai mercanti:

Segno e Anticipazione di un nuovo cosmo, d’una nuova umanità

(Gv 2,13-22)

 

Dove adorare l’Altissimo? Già il cosmo è come una grande cattedrale, che tesse le lodi divine; poi certamente hanno avuto un senso storico sia le alture che i templi.

Ma ora è Cristo il luogo in cui la donna e l’uomo incontrano Dio, il centro d’irruzione e dispiegamento dell’Amore del Padre, nel cosmo.

Il Signore viene volentieri, per fondersi con la vita del credente e dilatare le sue capacità, risorse qualitative, mondo di relazioni.

L’Eterno vive e agisce nell'amico che - pur inconsapevolmente - ne accoglie le proposte. Così, anche se i cieli non lo contengono, Egli si degna e diletta di stare tra noi e in noi.

Il grande Sovrano antico era relegato nel Tempio, e nelle vicende del quotidiano ci si dimenticava di Lui. Ora siamo noi i santuari, veri e vivi.

Quindi, anche se la folla dei turisti si aggira per ammirarne l’arte, le Basiliche sono segno, non realtà.

Siamo noi le chiese fuori delle chiese, ove abita la Fonte dell’essere che si rivela e dobbiamo far incontrare agli altri.

Segno efficace e anticipazione di un cosmo più umano. In ognuno il Volto di Cristo.

Solo in tal senso «Laterano/ a le cose mortali andò di sopra» [Dante, Paradiso 31, 30-35].

 

 

«Era vicina la Pasqua»: tempo della liberazione dalla schiavitù - dai mercanti che avevano sequestrato il Dio dell’Esodo.

Il popolo riteneva di essere emancipato grazie all’acquisizione della “terra promessa”, e di praticare un culto gradito.

In realtà era ancora schiavo d’una immagine pagana dell’Onnipotente, e di una religiosità più volte rabberciata a uso e consumo dei professionisti del sacro.

Il Tempio di Gerusalemme era l’orgoglio dell’élite spiritualeggiante, eppure Gesù si comporta in modo da sconcertare il sistema culturale consolidato.

Non media, non cerca appoggi, non intende far carriera, non si fa problema a buttare all’aria il mercato tanto caro alla classe sacerdotale.

Ogni risvolto era fondato sopra un falso insegnamento, che faceva leva sul senso d’indegnità inculcato alla gente semplice. Quindi sul timore delle maledizioni celesti - sotto condizione, favorevoli solo ai protagonisti del commercio religioso.

 

Il complesso del Tempio era costituito da una serie di circuiti che via via scremavano i visitatori.

Nella spianata potevano entrare tutte le persone sane, anche pagani; poi iniziavano i muri di separazione.

Il primo, sotto minaccia di morte, bloccava i non israeliti. Il secondo le donne, il terzo anche i circoncisi.

Al santuario interno avevano accesso i soli addetti al rito: nessun profano poteva calcare le sacre pietre.

Nel Santo dei santi entrava unicamente il sommo sacerdote, una volta l’anno (giorno del kippur).

La caratteristica più evidente del complesso [logica dei suoi recinti chiusi] era la Separazione: l’esclusione delle persone.

Proprio i più bisognosi non erano ammessi: malati, paralitici, peccatori, pubblicani, pastori - neppure israeliti.

Gesù vuole smantellare le barriere che impediscono di accostarsi a Dio; tutti i pregiudizi e muri divisori.

La grande Novità è che in Lui ciascuno ha accesso al Padre, senza impedimento né imprimatur da implorare.

Egli propone la comunione come convivialità delle differenze, non sinergia con scopi qualsiasi.

Valorizza l’unicum delle risorse personali, non propone il solito totem - martellante qualsiasi nostra facoltà.

Chiunque lo desideri può entrare nel Santuario del nuovo Tempio-Persona, senza ostacolo [né dover prima ottenere autorizzazioni (come talora avviene) da gente pericolosa, poco trasparente, e insulsa].

 

Poi, il timore inculcato dalla vecchia religiosità aveva trasformato le grandi sedi di culto dell’oriente antico in banche - oltre che luoghi di ossessione.

La commistione di preghiera e denaro è davvero insopportabile. Quando subentrano interessi economici, le conseguenze sulla civiltà e sulle persone senza peso sono devastanti.

Ma il teatro del potere “santificante” e perbenista è tornato (a volte, quasi imperturbabile) anche sotto l’egida del povero Crocifisso.

Così Gesù nei suoi profeti, Viene - pure - a sottolineare l’incompatibilità fra commercio e vita di comunione col Padre.

Il che connota l’enorme differenza tra edificio materiale e luogo sacro personale.

Cristo in noi non si protende a rabberciare l’antica pratica pia, né a purificare il Tempio, bensì a sostituirlo, soppiantarlo. E persino eliminarlo - perché esso tende a legittimare illusioni di perfezione, che disumanizzano cuori e assemblee.

Il Maestro ci sbatte fuori dalla falsa immagine di Dio presentata negli spazi di quanto appare inviolabile e celeste… per recuperarlo dentro ciascuno di noi e nella comunità che s’incontra davvero.

Insomma, bisogna farla finita con le palizzate - anche “ideali” - in cui la gratuità e la preghiera hanno ben poco di somigliante al rapporto del Figlio col Padre.

 

Informali e squilibrati d’amore come l’Eterno stesso, anche noi non sappiamo “stare al mondo” in modo fisso, tranquillo, rassicurante.

Per Fede non siamo più il prodotto di santuari di fredde e dure pietre.

Non di rado i templi sono immagini d’un sapere religioso astratto, e d’uno stile di vita standard che incaponisce, che non sa dare risposte a domande nuove, che non risolve i veri problemi.

Vorremmo sì imparare a tradurre i nostri balzi in avanti con la “nostalgia dell’infinito”, con il desiderio di tornare alla Sorgente, alla Bellezza, alle origini - ma che accompagnano il “pellegrino”.

Esse in Cristo non creano nessun «legame costante e ossessivo» [cf. Fratelli Tutti, n.44].

Certo non attendiamo neppure di finire nell’ideologia arrendevole e disincarnata delle élites: un pensiero talmente sofisticato da bloccare totalmente ogni scommessa impegnativa, per un rischio educativo e l’azione pastorale.

Non siamo qualunquisti.

Viceversa aneliamo andare sino in fondo, scoprire le Radici, e sbalordire dei caratteri inespressi; nella vita d’amore che approda ai lati in ombra, sottaciuti, profondi. Quei versanti cui ancora non abbiamo concesso spazio.

Senza appunto tacitare inquietudini, né rinnegare versanti oscuri, o le contraddizioni, i momenti sgradevoli, le fratture, i disagi che convivono nell’essenza. E ci completano.

 

Apprenderemo come tornare alla Casa che appartiene all’Eros fondante, senza sopire le sporgenze intime - appelli dell’anima, spesso costretta.

Allora conosceremo e insegneremo a recuperare le dimensioni amare, spiacevoli o “impure”, che il tempio di muro immagina di poter trascurare, allontanare, sterilizzare.

Esse configurano invece il terreno più fecondo della nostra evoluzione.

Tutto ciò forse non rassicura, ma attiva l’Esodo - spingendoci a capire altrove, navigando verso impossibili territori.

Infine approdando sempre più alla densità del Mistero che vuole viaggiare con noi.

E devozioni o meno, faremo tutt’altro genere di acquisizioni - non quella dei soci in affari con Dio - o di “separati”.

 

«Oggi la liturgia ricorda la Dedicazione della Basilica Lateranense, che è la cattedrale di Roma e che la tradizione definisce "madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe". Con il termine "madre" ci si riferisce non tanto all’edificio sacro della Basilica, quanto all’opera dello Spirito Santo che in questo edificio si manifesta» [Papa Francesco, Angelus 9 novembre 2014].

Ribadiamo: solo in tal senso «Laterano/ a le cose mortali andò di sopra».

Spiacente per i dirigenti delle “news” che vogliono strapparci dai codici infiniti che ci abitano.

Il Sé Amico, eminente, prende il nostro passo - non intende relegarci a portaborse del mondo arruolato.

Ormai il mercanteggiare di contrabbando è incompatibile con la nostra azione di pietre vive.

Lo stesso vale nella relazione di Fede-Identità immediata: nessun commercio (cf. vv.23-25).

Con chi si accosta a Lui come facitore di miracoli, protettore materiale, o stendardo per sacralizzare visioni del mondo tutte piantate nella palude della cronaca, Gesù ha un atteggiamento distaccato.

La creduloneria nello straordinario dei prodigi o dei pensieri è fragile, passeggera - sottomessa al perdurare degli spettacoli esteriori, delle maniere e mode appariscenti, o dell’utile.

Non è qui che si accetta di diventare - come Lui - testimoni critici del mondo nuovo. Padri e madri d’una nuova umanità.

 

«Se l’uomo presta attenzione agli oggetti dei sensi, finisce per nascere in lui attaccamento per quelli; dall’attaccamento nasce il desiderio, dal desiderio scaturisce la collera; dalla collera si origina lo smarrimento, dallo smarrimento confusione nella memoria, dalla perdita della memoria la rovina dell’intelletto: con la rovina dell’intelletto l’uomo è perduto» (Bhagavad Gita, II, 62-63).

 

 

Liberazione e Personalizzazione: differenza tra religiosità e Fede

 

Piccola Casa di Dio o luogo di affari? Non si mercanteggia più

(Lc 19,45-48)

 

Gesù nota che attorno all’attività che si svolgeva nei perimetri del Tempio si era articolata tutta un’ambigua struttura di peccato.

La smania affaristica del Santuario non era neppure nascosta - anzi, addirittura lo fronteggiava.

Ma le prospettive sacerdotali del santo tributo e gli orizzonti di vita piena del popolo confliggevano.

Idem per gli scopi di giuristi e dottori, che volentieri si affollavano in specie sotto il portico di Salomone [dall’altra parte, verso est] a “concedere” consulenze.

L’esclusiva funzione di favorire l’incontro con la presenza di Dio veniva totalmente mortificata.

L’area sacra era divenuta covo di astuti mercanti, affaristi perennemente a caccia, sempre intenti a cambiar valuta.

Ciò col beneplacito della setta dei dominanti sadducei, che non sapevano resistere alla tentazione di tirare le fila dei lauti commerci.

 

Cacciando i falsi amici del Padre soccorrevole, parassiti della religiosità, il Signore non si orienta tanto a risarcire la purezza del Luogo, né a rabberciare e riproporre lo smalto del sobrio culto originario - come pur volevano i Profeti.

Rende un servizio santo non al Dio antico (come nelle religioni) bensì alla gente - da quel sistema [o groviglio] resa totalmente inconsapevole della propria dignità vocazionale: solo incatenata, munta, e tosata.

 

Infatti gli Zeloti puntavano a restaurare la purezza dei riti. Immaginavano in qualche modo di poterne recuperare la coerenza.

Gli Esseni avevano invece del tutto abbandonato il Tempio. Essi consideravano la vergognosa situazione ormai compromessa.

Giovanni il Battezzatore aveva operato il medesimo distacco.

Sebbene di stirpe sacerdotale, predicava al popolo il perdono dei peccati attraverso una conversione di vita, non mediante i sacrifici della liturgia [solo in Gerusalemme].

L’autentico Angelo dell’Alleanza era invece definitivamente intransigente, assai più radicale di tutti loro!

Infatti secondo i primissimi cristiani, che pur rifrequentavano il Tempio, il luogo dell’incontro con Dio, la terra dalla quale irradiava il suo Amore, non era più legata ad aspetti materiali.

Neppure in sé religiosi; tantomeno impregnata di osservanze dottrinali, codici moralisti, o visioni del mondo unilaterali.

 

In tal guisa, anche per noi la Presenza divina e la sua Comunione non si colgono nella mitica purità, nell’antica magnificenza, negli sforzi perfezionisti - o nell’adesione à la page.

Il servizio a Dio è onore della donna e dell’uomo così come e dove sono: il sacro rispetto parte da un Dono che già attraversa la nostra vita. Le opinioni non servono.

L’Amico sconosciuto vuole dimorare in noi non per appropriarsi, ma per fondersi e dilatare le capacità relazionali e qualitative. Quelle nostre, non altrui o a contorno.

In Cristo, dall’obbedienza a norme più o meno datate [fossero anche futuribili] passiamo allo stile di Somiglianza personale. Ciò che edifica Santuari viventi.

L’onore al Padre si realizza non nei dettagli o nello spirito di corpo già dettato, bensì nei figli e figlie, comunque - se vivono in fraternità.

Questo avviene in specie quando essi assimilano l’Insegnamento di Gesù [sulla Grazia] (v.47).

Così nel tempo, da Lui stesso imparano la convivialità, e insieme sono incoraggiati a dialogare con la loro eccezionale e irripetibile Vocazione, la quale avvince perché corrisponde davvero.

E l’intima convinzione è sola, incomparabile e preziosa energia di valenza trasformatrice - che porta a non recedere da se stessi, dalla propria eccezionalità, né soprassedere la realtà dei fratelli.

Piuttosto induce a fare Esodo, esplorare nuove condizioni dell’essere, trasfigurare la percezione in azione beata.

Solo da qui, deriva la coesistenza.

 

E Peccato resta sì deviazione, ma non più trasgressione alla legge - bensì incapacità a corrispondere alla Chiamata che caratterizza, che sprigiona e potenzia una sorprendente unicità di Relazione.

La prima Tenda di Dio è dunque l’umanità stessa, il suo cuore pulsante - non uno spazio di pietre e mattoni, fisso, delimitato, o fantasioso… da ornare con sovraggiunte.

 

Entrato in Gerusalemme, il Maestro prende possesso della Casa celeste - che non è il Tempio, bensì il Popolo.

Per questo Egli caccia fuori dall’immaginifico sacrale inculcato agli ingenui, proprio i tratti più diseducativi del festival - e specialmente insegna ai malfermi, a sentirsi già adeguati!

Incredibile: a ciascuno Cristo cambia l’atmosfera mentale.

Il Signore vero non insegna a entrare in armature abitudinarie o astratte e formali, accette al contorno ma distanti da noi stessi, dalle creature.

Piuttosto, stimola a non frenare la nostra vera natura con delle cappe di costume [datate o meno] secondo le quali “non è mai abbastanza”.

 

Dietro la nostra essenza caratteriale si cela una Chiamata feconda, irripetibile, singolare; dai risvolti visuali e sociali che non sappiamo.

Come siamo - proprio così - andiamo bene.

Non c’è bisogno di esorcizzare nulla del nostro essere profondo, che spontaneamente manifesta i suoi disagi compressi e le corrispondenze gioiose, anche nelle eccentricità esteriori.

Piuttosto, ogni domesticazione convenzionale epidermica, di adattamento, o astuta, soffoca il nucleo della Chiamata per Nome - autentica Guida, impulso dello Spirito.

Il nostro mondo interno non va istericamente considerato alla stregua di un pericoloso estraneo da riconfigurare.

Le radici innate e la nostra energia naturale hanno il diritto di fiorire e prevalere sulle maniere o idee comuni: sono traccia sperimentale del Divino.

In esse sussiste un legame Personale.

 

La rivendicazione del Signore è immediatamente contrastata dall’ostilità dei paludati, interessati al dare-avere di quel teatrino manierista.

Lo fanno passare per squilibrato, da eliminare subito: sognatore pericolosissimo, perché attiva e valorizza le anime, invece della struttura di mediazione.

Ecco la condanna impartita dai “grandi” in società: esito d’ogni operazione di verità.

Così si cerca di appannare qualsiasi tentativo d’emancipazione dei vessati nello spirito, nel nucleo di sé - sia per paura di Dio che per ossessione d’indegnità.

Ma nella realtà attuale, che ci tallona, il Risorto continua a demitizzare l’eccessiva preoccupazione per i luoghi identificati, le “alture” di carattere stanziale e materiale.

Coi loro risvolti che non nutrono in modo pieno e stabile - viceversa diventano un tarlo.

Insomma, bisogna cambiare approccio.

È Lui stesso il punto essenziale del culto all’Eterno.

In tale luce di Persona nella sua Persona, ciascuno può abbracciare proposte che non sono altrui e intruse; che non risulteranno zavorra.

E prestigio autentico della Chiesa sarà far echeggiare l’Annuncio che libera e piace davvero.

Provocando ovviamente le medesime tensioni mercantili; cartina al tornasole della nostra azione divina.

 

Per opera di apostoli impauriti dalle maniere spicce delle autorità, e forse essi stessi proni al compromesso - il magnifico santuario che Gesù aveva esplicitamente definito come una tana di marpioni ridiventerà il centro dell’assemblea ecclesiale [Lc 24,53; At 5,12].

Provvederà in modo più efficace… non la coscienza che brucia, bensì la tragica storia della città santa, a farne tramontare l’eccesso d’importanza.

 

Anche oggi: il fantasmagorico culmine antico sta diventando periferia, decade. E a ritrovarsi, facciamo difficoltà.

Occasione da non perdere per procedere in modo vivo e singolare, in sintonia con un sempre nuovo insegnamento sull’Amore inedito, che prende il nostro passo.

È l’Appello bruciante de «il Monte», che centra sulla passione: proprio sul Desiderio.

Non più un severo richiamo ai “no” delle grandi apparenze - ma finalmente Ascolto della Voce nell’anima, che stupisce (v.48).

Autentico sacro del tempio.

 

L’insegnamento di Gesù nel luogo venerando viene presentato da Lc 19,47 come duraturo: «stava insegnando ogni giorno» [testo greco].

Attraverso la Parola che non resta in alto ma partecipa della nostra umanità (finalmente spalancata) Egli ritrova anche oggi il suo Tempio. 

Dimora sgombrata da vetusti e nuovi cacciatori.

Egli brama solo il suo Popolo - donne e uomini liberati dalla spelonca di briganti [Ger 7,11; Lc 19,46] che ancora tenta di penetrare la nostra qualità di relazione.

Parafrasando l’enciclica Fratelli Tutti (n.226) volentieri ribadiamo con Papa Francesco: «non c’è più spazio per diplomazie vuote, per dissimulazioni, discorsi doppi, occultamenti, buone maniere che nascondono la realtà» (irritante) dei soci in affari con Dio.

La spazzatura va eliminata. La posta in palio è troppo alta e personale.

Con ciò che non corrisponde, anche dal punto di vista culturale, sociale e spirituale, non si mercanteggia più.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Hai ancora bisogno di tempi stabiliti, luoghi ritagliati, gesti di espiazione e propiziazione, o con Dio senti una relazione vivente?

Qual è la tua Casa di Preghiera?

 

 

Chiese di servizio, non supermercato.

Il più importante tempio di Dio è il nostro cuore

 

«Chiese di servizio, chiese gratuite, come è stata gratuita la salvezza, e non “chiese supermercato”»: non ha usato giri di parole Papa Francesco nel riproporre l’attualità del gesto di Gesù di scacciare i mercanti dal tempio. E «vigilanza, servizio e gratuità» sono le tre parole chiave che ha rilanciato nella messa celebrata venerdì 24 novembre a Santa Marta.

«Ambedue le letture della liturgia di oggi — ha spiegato il Pontefice — ci parlano del tempio, anzi della purificazione del tempio». Prendendo spunto dal passo del primo libro dei Maccabei (4, 36-37.52-59), il Papa ha fatto notare come «dopo la sconfitta della gente che Antioco Epìfane aveva inviato per paganizzare il popolo, Giuda Maccabeo e i suoi fratelli vogliono purificare il tempio, quel tempio dove ci sono stati sacrifici pagani e ripristinare la bellezza spirituale del tempio, il sacro del tempio». Per questo «il popolo era gioioso». Si legge infatti nel testo biblico che «grandissima fu la gioia del popolo, perché era stata cancellata l’onta dei pagani». Dunque, ha aggiunto il Papa, «il popolo ritrova la propria legge, si ritrova con il proprio essere; il tempio diventa, un’altra volta, il posto dell’incontro con Dio».

«Lo stesso fa Gesù quando scaccia quelli che vendevano nel tempio: purifica il tempio» ha affermato Francesco, richiamandosi al passo evangelico di Luca (19, 45-48). Così facendo il Signore rende il tempio «come deve essere: puro, solo per Dio e per il popolo che va a pregare». Ma, da parte nostra, «come purificare il tempio di Dio?». La risposta, ha detto il Papa, sta in «tre parole che possono aiutarci a capire. Prima: vigilanza; seconda: servizio; terza: gratuità».

«Vigilanza», dunque, è la prima parola suggerita dal Pontefice: «Non solo il tempio fisico, i palazzi, i templi sono i templi di Dio: il più importante tempio di Dio è il nostro cuore, la nostra anima». Tanto che, ha fatto presente il Papa, san Paolo ci dice: «Voi siete tempio dello Spirito Santo». Dunque, ha rilanciato Francesco, «dentro di noi abita lo Spirito Santo».

E proprio «per questo la prima parola» proposta da Francesco è, appunto, «vigilanza». Da qui alcune domande per un esame di coscienza: «Cosa succede nel mio cuore? Cosa succede dentro di me? Come mi comporto con lo Spirito Santo? Lo Spirito Santo è uno in più dei tanti idoli che io ho dentro di me o ho cura dello Spirito Santo? Ho imparato a vigilare dentro di me, perché il tempio nel mio cuore sia solo per lo Spirito Santo?».

Ecco, allora, l'importanza di «purificare il tempio, il tempio interiore, e vigilare» ha affermato il Papa. Con un invito esplicito: «Stai attento, stai attenta: cosa succede nel tuo cuore? Chi viene, chi va... Quali sono i tuoi sentimenti, le tue idee? Tu parli con lo Spirito Santo? Ascolti lo Spirito Santo?». Si tratta, perciò, di «vigilare: stare attenti a cosa succede nel tempio nostro, dentro di noi».

La «seconda parola è servizio» ha proseguito il Pontefice. «Gesù — ha ricordato — ci fa capire che lui è presente in un modo speciale nel tempio di quelli che hanno bisogno». E «lo dice chiaramente: è presente negli ammalati, quelli che soffrono, negli affamati, nei carcerati, è presente lì». Anche per la parola «servizio» Francesco ha suggerito alcune domande da porre a se stessi: «So custodire quel tempio? Mi prendo cura del tempio con il mio servizio? Mi avvicino per aiutare, per vestire, per consolare quelli che hanno bisogno?».

«San Giovanni Crisostomo — ha fatto notare Francesco — rimproverava quelli che facevano tante offerte per ornare, per abbellire il tempio fisico e non prendevano cura dei bisognosi: rimproverava e diceva: “No, questo non va bene, prima il servizio poi le ornamentazioni”». Insomma, siamo chiamati a «purificare il tempio che sono gli altri». E per farlo bene, occorre domandarci: «Come io aiuto a purificare quel tempio?». La risposta è semplice: «Con il servizio, con il servizio ai bisognosi. Gesù stesso dice che lui è presente lì». E «lui è presente lì — ha spiegato il Papa — e quando noi ci avviciniamo a prestare un servizio, ad aiutare, assomigliamo a Gesù che è lì dentro».

Francesco, a questo proposito, ha confidato di aver «visto un’icona tanto bella del Cireneo che aiutava Gesù a portare la croce: guardando bene quell’icona, il Cireneo aveva la stessa faccia di Gesù». Dunque, «se tu custodisci quel tempio che è l’ammalato, il carcerato, il bisognoso e l’affamato, anche il tuo cuore sarà più simile a quello di Gesù». Proprio «per questo custodire il tempio significa servizio».

«La prima parola, vigilanza» ha riepilogato il Pontefice, esprime qualcosa che «succede dentro di noi». Mentre «la seconda parola» ci porta verso il «servizio ai bisognosi: quello è purificare il tempio». E «la terza parola che mi viene in mente — ha proseguito — leggendo il Vangelo è gratuità». Nel brano del Vangelo, Gesù dice: «La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Proprio tenendo in mente queste parole del Signore, ha affermato il Papa, «quante volte con tristezza entriamo in un tempio — pensiamo a una parrocchia, un vescovado — e non sappiamo se siamo nella casa di Dio o in un supermercato: ci sono lì i commerci, anche c’è la lista dei prezzi per i sacramenti» e «manca la gratuità».

Ma «Dio ci ha salvato gratuitamente, non ci ha fatto pagare nulla» ha insistito il Pontefice, invitando a essere di aiuto «affinché le nostre chiese, le nostre parrocchie non siano un supermercato: che siano casa di preghiera, che non siano un covo di ladri, ma che siano servizio gratuito». Certo, ha aggiunto il Papa, qualcuno potrebbe obiettare che «dobbiamo avere dei soldi per mantenere la struttura e anche dobbiamo avere dei soldi per dare da mangiare ai preti, ai catechisti». La risposta del Pontefice è chiara: «Tu da’ con gratuità e Dio farà il resto, Dio farà quello che manca».

«Custodire il tempio — ha affermato, dunque, Francesco — significa questo: vigilanza, servizio e gratuità». Anzitutto «vigilanza nel tempio del nostro cuore: cosa succede lì, stare attenti perché è il tempio dello Spirito Santo». Poi «servizio ai bisognosi» ha ripetuto, suggerendo anche di leggere il capitolo 25 del vangelo di Matteo. Servizio anche «agli affamati, agli ammalati, ai carcerati, a quelli che hanno bisogno perché lì è Cristo», sempre con la certezza che «il bisognoso è il tempio di Cristo».

Infine, ha concluso il Papa, il «terzo» punto è la «gratuità nel servizio che si dà nelle nostre chiese: chiese di servizio, chiese gratuite, come è stata gratuita la salvezza, e non “chiese supermercato”».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 25/11/2017]

Sabato, 01 Novembre 2025 03:20

Tempio: il suo Corpo

La liturgia ci fa celebrare oggi la Dedicazione della Basilica Lateranense, chiamata "madre e capo di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe". In effetti, questa Basilica fu la prima ad essere costruita dopo l’editto dell’imperatore Costantino che, nel 313, concesse ai cristiani la libertà di praticare la loro religione. Lo stesso imperatore donò al Papa Melchiade l’antico possedimento della famiglia dei Laterani e vi fece edificare la Basilica, il Battistero e il Patriarchio, cioè la residenza del Vescovo di Roma, dove i Papi abitarono fino al periodo avignonese. La dedicazione della Basilica fu celebrata dal Papa Silvestro verso il 324 e il tempio fu intitolato al Santissimo Salvatore; solo dopo il VI secolo vennero aggiunti i titoli dei Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, da cui la comune denominazione. Questa ricorrenza interessò dapprima la sola città di Roma; poi, a partire dal 1565, si estese a tutte le Chiese di rito romano. In tal modo, onorando l’edificio sacro, si intende esprimere amore e venerazione per la Chiesa romana che, come afferma sant’Ignazio di Antiochia, "presiede alla carità" dell’intera comunione cattolica (Ai Romani, 1, 1).

La Parola di Dio in questa solennità richiama una verità essenziale: il tempio di mattoni è simbolo della Chiesa viva, la comunità cristiana, che già gli Apostoli Pietro e Paolo, nelle loro lettere, intendevano come "edificio spirituale", costruito da Dio con le "pietre vive" che sono i cristiani, sopra l’unico fondamento che è Gesù Cristo, paragonato a sua volta alla "pietra angolare" (cfr 1 Cor 3,9-11.16-17; 1 Pt 2,4-8; Ef 2,20-22). "Fratelli, voi siete edificio di Dio", scrive san Paolo e aggiunge: "santo è il tempio di Dio, che siete voi" (1 Cor 3,9c.17). La bellezza e l’armonia delle chiese, destinate a rendere lode a Dio, invita anche noi esseri umani, limitati e peccatori, a convertirci per formare un "cosmo", una costruzione bene ordinata, in stretta comunione con Gesù, che è il vero Santo dei Santi. Ciò avviene in modo culminante nella liturgia eucaristica, in cui l’"ecclesìa", cioè la comunità dei battezzati, si ritrova unita per ascoltare la Parola di Dio e per nutrirsi del Corpo e Sangue di Cristo. Intorno a questa duplice mensa la Chiesa di pietre vive si edifica nella verità e nella carità e viene interiormente plasmata dallo Spirito Santo trasformandosi in ciò che riceve, conformandosi sempre più al suo Signore Gesù Cristo. Essa stessa, se vive nell’unità sincera e fraterna, diventa così sacrificio spirituale gradito a Dio.

Cari amici, la festa odierna celebra un mistero sempre attuale: che cioè Dio vuole edificarsi nel mondo un tempio spirituale, una comunità che lo adori in spirito e verità (cfr Gv 4,23-24). Ma questa ricorrenza ci ricorda anche l’importanza degli edifici materiali, in cui le comunità si raccolgono per celebrare le lodi di Dio. Ogni comunità ha pertanto il dovere di custodire con cura i propri edifici sacri, che costituiscono un prezioso patrimonio religioso e storico. Invochiamo perciò l’intercessione di Maria Santissima, affinché ci aiuti a diventare, come Lei, "casa di Dio", tempio vivo del suo amore.

[Papa Benedetto, Angelus 9 novembre 2008]

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Each time we celebrate the dedication of a church, an essential truth is recalled: the physical temple made of brick and mortar is a sign of the living Church serving in history (Pope Francis)
Ogni volta che celebriamo la dedicazione di una chiesa, ci viene richiamata una verità essenziale: il tempio materiale fatto di mattoni è segno della Chiesa viva e operante nella storia (Papa Francesco)
As St. Ambrose put it: You are not making a gift of what is yours to the poor man, but you are giving him back what is his (Pope Paul VI, Populorum Progressio n.23)
Non è del tuo avere, afferma sant’Ambrogio, che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene (Papa Paolo VI, Populorum Progressio n.23)
Here is the entire Gospel! Here! The whole Gospel, all of Christianity, is here! But make sure that it is not sentiment, it is not being a “do-gooder”! (Pope Francis)
Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è “buonismo”! (Papa Francesco)
Christianity cannot be, cannot be exempt from the cross; the Christian life cannot even suppose itself without the strong and great weight of duty [Pope Paul VI]
Il Cristianesimo non può essere, non può essere esonerato dalla croce; la vita cristiana non può nemmeno supporsi senza il peso forte e grande del dovere [Papa Paolo VI]
The horizon of friendship to which Jesus introduces us is the whole of humanity [Pope Benedict]
L’orizzonte dell’amicizia in cui Gesù ci introduce è l’umanità intera [Papa Benedetto]
However, the equality brought by justice is limited to the realm of objective and extrinsic goods, while love and mercy bring it about that people meet one another in that value which is man himself, with the dignity that is proper to him (Dives in Misericordia n.14)
L'eguaglianza introdotta mediante la giustizia si limita però all’ambito dei beni oggettivi ed estrinseci, mentre l'amore e la misericordia fanno si che gli uomini s'incontrino tra loro in quel valore che è l'uomo stesso, con la dignità che gli è propria (Dives in Misericordia n.14)
The Church invites believers to regard the mystery of death not as the "last word" of human destiny but rather as a passage to eternal life (Pope John Paul II)
La Chiesa invita i credenti a guardare al mistero della morte non come all'ultima parola sulla sorte umana, ma come al passaggio verso la vita eterna (Papa Giovanni Paolo II)
The saints: they are our precursors, they are our brothers, they are our friends, they are our examples, they are our lawyers. Let us honour them, let us invoke them and try to imitate them a little (Pope Paul VI)
I santi: sono i precursori nostri, sono i fratelli, sono gli amici, sono gli esempi, sono gli avvocati nostri. Onoriamoli, invochiamoli e cerchiamo di imitarli un po’ (Papa Paolo VI)
Man rightly fears falling victim to an oppression that will deprive him of his interior freedom, of the possibility of expressing the truth of which he is convinced, of the faith that he professes, of the ability to obey the voice of conscience that tells him the right path to follow [Dives in Misericordia, n.11]
A mustard seed is tiny, yet Jesus says that faith this size, small but true and sincere, suffices to achieve what is humanly impossible, unthinkable (Pope Francis)
Il seme della senape è piccolissimo, però Gesù dice che basta avere una fede così, piccola, ma vera, sincera, per fare cose umanamente impossibili, impensabili (Papa Francesco)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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