Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Fede e religione. Turnover nella Chiesa
(Lc 6,20-26)
Gesù giudica la configurazione del mondo in cui la sua Chiesa nello Spirito si trova a vivere: ricchi e indigenti [malfermi in molti sensi], personaggi di spicco e invisibili.
Situazione che non ricalca condizioni di pienezza di vita; piuttosto - anche oggi - rende il sangue amaro a molti.
Una realtà falsata e non definitiva, esasperante, che assolutamente denuncia di non gradire fra i suoi: quella di dominatori lodati (malgrado l’abuso egoistico dei beni e delle posizioni) e insignificanti sottoposti.
Privo di titoli altisonanti, il giovane Rabbi si rivolge dal basso in alto (v.20) a coloro che hanno liberamente scelto la sua proposta di esistenza fraterna e condivisione delle proprietà [in Mt «poveri “per” lo Spirito (d’amore)»].
Egli si compiace [«Beati»] della scelta dei suoi, che fa godere l’esperienza della sintonia col Maestro. Una diversa Visione, e la reciprocità, ossia la medesima qualità di vita intima di Dio.
Già qui sulla terra i profeti critici testimoniano la possibilità di una differente percezione delle cose, nonché il Sogno d’una società fondata sulla convivenza - nello scambio dei benefici.
Un germoglio di mondo ospitale - che Lc vuole incoraggiare - dove non c’è il sopra e il sotto o il davanti e dietro: solo rivolgimenti umanizzanti (come appunto l’inversione dei ruoli) che rinsaldano il tessuto concorde.
Anche nella sua Casa dovrà esserci rotazione e capovolgimento di figure e mansioni di spicco. Il ricambio è cifra del Regno che Viene; in grado di acuire le sensibilità alla Comunione.
Nei documenti dell’antica letteratura si parla poco di miseri, senza voce e affamati. L’attenzione si concentrava sui ricchi, sugli eroi, i sovrani e i generali. Il rovesciamento di sorte era inimmaginabile.
I nuovi potenti del Regno di Dio sono viceversa coloro che sentono il Figlio presente, che pulsa in cuore, Risorto in loro.
Essi non trattengono per sé, ma trasformano beni, traguardi, titoli e ministeri in Vita e Relazione.
Ciò che risulta decisivo e conclusivo è la costruzione di questo tipo di Chiesa [Regno] inusuale.
Germe che si discosta dall’unilateralità dei rapporti. Con arricchimento e avvicendamento dove tutti si sentano adeguati, non più additati.
Nell’avventura di Fede-Amore vige sempre un riconoscimento reciproco.
Si alternano incessantemente gli uffici, gli incarichi.
Infatti, i rapporti di soggezione eccessivamente centrati annientano i Doni viventi di Dio; producono ferite profonde, paralizzanti.
Riducono al silenzio [e all’opacità] Creatore e creatura: una paradossale autocondanna.
Ma Cristo distingue bene ciò che rende Beati - completi, non unilaterali - e quanto non appartiene e non assomiglia all’opera piena del Padre.
Lo fa non semplicemente ammonendo, bensì per riunire, e dilatare il nostro Nucleo; per lubrificare le intime, migliori essenze di tutti.
Proclamando le Beatitudini, Gesù Risorto vuole comunicare [in specie nelle sue Chiese, che gli sembra ne abbiano tanto bisogno] un’energia meno accentrata e parziale, più permeabile e confluente; un ritmo inclusivo.
E a tutti il permesso pieno di vivere.
[Mercoledì 23.a sett. T.O. 10 settembre 2025]
Fede e religione. Turnover nella Chiesa
(Lc 6,20-26)
In Mt le Beatitudini tracciano un programma per le fraternità di origine giudaica.
In Lc il sermone sembra di carattere più radicale ed è indirizzato alle comunità ellenistiche, con forte accento sociale.
Gesù giudica la configurazione del mondo in cui la sua Chiesa nello Spirito si trova a vivere: ricchi e indigenti [malfermi in molti sensi], personaggi di spicco e invisibili.
Situazione che non ricalca condizioni di pienezza di vita; piuttosto - anche oggi - rende il sangue amaro a molti.
Una realtà falsata e non definitiva, esasperante, che assolutamente denuncia di non gradire fra i suoi: quella di dominatori lodati (malgrado l’abuso egoistico dei beni e delle posizioni) e insignificanti sottoposti.
Privo di titoli altisonanti, il giovane Rabbi si rivolge dal basso in alto (v.20) a coloro che hanno liberamente scelto la sua proposta di esistenza fraterna e condivisione delle proprietà [in Mt «poveri “per” lo Spirito (d’amore)»].
Il Maestro si compiace in modo esplicito [«Beati»] della scelta dei suoi, estranea all’egoismo.
Egli loda quell’esperienza di sintonia: nella medesima qualità di vita intima di Dio, uniti e promossi a una diversa Visione e reciprocità.
Già qui sulla terra gl’intimi testimoniano infatti una possibilità di percezione differente delle cose: con lo sguardo dal basso.
In aggiunta, il Sogno d’una società alternativa, fondata sulla convivenza armonica, senza discriminazioni. Una cosa da capogiro - nello scambio dei benefici.
Un germoglio di mondo ospitale - che Lc vuole incoraggiare - dove non c’è il sopra e il sotto o il davanti e dietro: solo rivolgimenti umanizzanti (come appunto l’inversione dei ruoli) che rinsaldano il tessuto concorde.
Anche nella sua Casa dovrà esserci rotazione e capovolgimento di figure e mansioni di spicco - segni del Regno che Viene.
Il ricambio è cifra del Regno che Viene; in grado di acuire le sensibilità alla Comunione.
Non installazione (addirittura, a vita) e fissità.
Nei documenti dell’antica letteratura si parla poco di miseri, senza voce e affamati. L’attenzione si concentrava sui ricchi, sugli eroi, i sovrani e i generali.
Il rovesciamento di sorte era inimmaginabile, sebbene qua e là [in specie nel mondo delle donne, del tutto soffocato] lo si percepisse quale desiderio profondo e ben più autentico.
I potenti del nuovo mondo umanizzante sono appunto il viceversa di quanto previsto: coloro che sentono il Figlio presente, che pulsa in cuore, Risorto in loro.
Essi non trattengono per sé, ma trasformano beni, traguardi, titoli e ministeri in Vita e Relazione.
Dinamismo che a nessuno farà più mancare la terra sotto i piedi.
Né per difendersi ci sarà bisogno di toni alti.
Se ancora non si riesce a distinguersi e riconoscersi, nella reciprocità si potrà diventare meno rumorosi.
Poi, quanto ora si sperimenta - e soffre per amore - è transitorio, non definitivo.
Ciò che viceversa risulta decisivo e conclusivo è la costruzione di questo tipo di Chiesa [Regno] inusuale.
Germe che si discosta dall’unilateralità dei rapporti.
Seme e Nido - con arricchimento e avvicendamento - dove tutti si sentano adeguati, non più additati.
In ogni caso, indipendenti dall’opinione conformista o piramidale, interessate a perpetuarsi.
In tal guisa le persecuzioni che poi recano patimento devono essere messe in conto - non come rantolo di morte, bensì lieta notizia: dolore di parto, emblema e fonte di Speranza larga.
Il mondo competitivo antico tira le cuoia e si difende con ogni mezzo, ma il futuro annunciato sta giungendo.
Le fraternità che operano scelte risolutive vanno per il cammino giusto, sensato, vitale, che non solo attutisce ma insegna a vivere le disavventure come occasione di Novità e diversa Armonia.
Coloro cui tutto fila liscio e sono incensati - e si permettono di ritagliarsi posizioni di rilievo fisse, nelle assemblee di Fede ridotte a regno dell’uomo - non fanno che ribadire le divergenze che già marcavano la struttura dell’Impero.
Nulla hanno in comune col disegno del Padre.
Pertanto Gesù non si compiace della loro presenza, piuttosto se ne lamenta.
Non ritiene che la sperequazione sociale sia frutto di fatalità, bensì d’ingiustizia - insopportabile per coloro che si dicono discepoli e fratelli.
In un clima di reale condivisione di risorse e convivialità delle differenze ci si aiuta anche a comprendere il rapporto di Amicizia in senso forte - fra noi membri di Chiesa, e con Dio.
In clima di vita beata il nucleo interiore viene finalmente ascoltato, e smuove situazioni cristallizzate. Fa vedere la vita da altri punti di vista. Quindi non si esagera nei controlli; non si attuano forzature.
Tra credenti, qualsivoglia esigenza trova spazio - senza più copione - e tutto si discosta dalla parzialità dei rapporti esterni.
In una relazione Padre-figlio religiosa e verticista (già concatenata, volontarista) priva di Fede, è sempre l’Onnipotente che sovrasta, e la creatura obbedisce.
Dio è in primo piano e sentenzia; l’uomo lo segue, vive in funzione del “padrone” e dei suoi “rappresentanti” - addirittura in posizioni vitalizie - come se tutti gli altri avessero un’identità insipida e decentrata.
Invece nella comunità che riflette il divino non c’è mai qualcuno che sta sempre in secondo piano e i soliti che prevalgono e decidono - mentre altri seguono e fanno da spettatori.
Altrimenti qualcuno finirà per covare l’abbandono o rivalse, e reagire [unica strada] per non annientarsi.
Nessuno può vivere senza esprimere la propria personalità e irripetibile Vocazione: nelle micro e macro relazioni comunitarie, nella Chiesa attiva nell’apostolato laicale - se infaticabile.
Ciò vale anche con Dio.
Lo stesso ideale di armonizzazione s’impone con le Tradizioni o i cosiddetti Carismi - i quali non dovrebbero sovraccaricare le anime.
Basta con visioni del mondo cesellate secondo un’altra taglia: altrui, o già datata, che non ci appartiene più. Sebbene possa in vari casi proporre un mondo di saperi in cui ci si può e deve riconoscere…
Se viceversa il rapporto si riempie di strapotere - come nelle devozioni o nelle ideologie, nelle cordate d’affari ovvero nelle sette - l’inclinazione non potrà generare unità [se non di facciata] bensì ogni sorta di tradimento e abbandono.
Ma qui la defezione si rende paradossalmente necessaria, per ritrovarsi.
Resta un momento di tensione e forse su due piedi una fuga, ma da una situazione opprimente - come quella del figlio prodigo (al cap.15) che scappa di casa perché vessato dall’atteggiamento del “figlio maggiore”.
Nell’avventura di Fede-Amore vige sempre un riconoscimento reciproco. Dunque si alternano incessantemente gli uffici.
Si rovesciano incessantemente i ruoli fra soggetto e “oggetto” (reso a sua volta protagonista) dello scambio di risorse e del sovvenire in omaggio.
I rapporti di soggezione eccessivamente centrati annientano i Doni viventi di Dio; producono ferite profonde, paralizzanti.
Riducono al silenzio Creatore e creatura: una paradossale autocondanna.
Nel Regno delle “santità” poliedriche persiste al contrario l’inversione tra colui che propone, chi accoglie e coloro che dilatano.
In ogni situazione valutando se il fratello è nella letizia. [In tal senso si fa davvero opportuno il cammino sinodale].
Poi nel tempo si cresce e si cambia anche parere - ad es. circa persone o vicende che consideravamo lontane, inconcludenti.
E invece ci parlavano di missione, o del nostro ritmo segreto verso un altro traguardo e destino.
Il Cristo presente in ogni fedele e nel suo corpo mistico che vive le Beatitudini, supera ogni opinione normalizzata.
Dio non è monocromatico: sorvola disparità di comportamenti, divisione di ceto, malumori - e questo non è un discorso lontano da noi.
Ad es. sino a poco fa nel Battesimo sbrigavamo una formalità.
Non ci si rendeva conto di quanto accadeva fra Dio e la creatura introdotta nella Chiesa - né della differenza tra pia cerimonia e orientamento della vita.
Ma sostare con noi stessi e il nostro Senso, insieme, avrebbe qualificato il modo di comprenderci; capire gli altri, stare in campo.
Spontaneamente avremmo abbandonato il nostro “personaggio”, ruolo e primato (che accentrano, ma fanno da palla al piede alle migliori energie).
Insomma, con l’aiuto di una Casa comune qualitativamente ricca, viva e impegnata nello spirito di gratuità, saremmo già qui nella condizione divina.
Avremmo riattivato noi stessi e le nostre capacità a tutto tondo - senza prima aggiustare posizioni su modelli omologati e senza vigore, che ci sottomettono a relazioni rancorose, soffocanti, parziali, equivoche.
Nelle contrapposizioni ai vv.24-26 il Signore distingue bene ciò che rende Beati - completi, non unilaterali - e quanto non appartiene né assomiglia all’opera del Padre.
Ma lo fa non semplicemente ammonendo, bensì per riunire, e dilatare il nostro Nucleo; per lubrificare le intime, migliori essenze di tutti.
Proclamando lo spirito di Beatitudini - dentro ciascuno di noi - anche nel tempo della pandemia e della crisi globale non intende farci rodere il fegato e sentire dei traditori, incoerenti e fuori strada.
Tale Parola vuole comunicare [in specie alle stesse assemblee, che al Risorto sembra ne abbiano tanto bisogno] un’energia meno accentrata e parziale, più permeabile e confluente; un ritmo inclusivo.
E a tutti il permesso pieno di vivere.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Qual è il tuo ideale di felicità?
Conosci nella Chiesa uomini Beati, o soprattutto uomini di terra e che accentrano le relazioni, le mansioni, la gestione dei programmi pastorali e altro (...) pur propagandando “unità”?
Qual è il tuo grido di rabbia che non lasci uscire, per paura di essere escluso? Non credi che ti stia parlando profondamente delle scelte umane discriminanti, della Vocazione personale ed ecclesiale?
Credi che le Beatitudini siano un freno alla realizzazione personale e sociale, o viceversa una possibilità di affermarsi, e con determinazione?
Paradossi per una condivisione
Fra’ Egidio, compagno di San Francesco, riassume l’insegnamento del suo Fondatore così:
«Vuoi sentire bene? Diventa sordo. Vuoi parlare bene? Sta’ zitto. Vuoi camminare bene? Tagliati le gambe. Vuoi lavorare bene? Tagliati le mani. Vuoi amare davvero? Odiati. Vuoi vivere bene? Mortificati. Vuoi guadagnare? Impara a perdere. Vuoi arricchirti? Sii povero. Vuoi esser consolato? Piangi. Vuoi vivere nella sicurezza? Abbi sempre timore. Vuoi salire in alto? Umiliati. Vuoi essere stimato? Disprezza te stesso e stima quelli che ti disprezzano. Vuoi avere il bene? Sopporta il male. Vuoi essere in pace? Fatica. Vuoi che ti benedicano? Spera che ti maledicano».
Nella Lettera a Diogneto (metà II sec.) leggiamo:
«I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono a una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati e onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell’odio».
«A dirla in breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo (...). Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare».
Il Cristianesimo non è una religione, bensì una Persona e la sua proposta: un Cammino eccezionale di Amicizia e paradosso.
Citando Emmanuel Carrère: «(Gesù) è sempre quello che i suoi seguaci hanno voluto vedere, sentire, toccare, ma non come si aspettavano di vederlo, sentirlo, toccarlo (...). È il primo che passa, è l’ultimo dei mendicanti».
Le estrose scelte di Dio passano per gli indecisi, gli sconfitti, stupidi deboli ignobili derisi.
Non per un vezzo alternativo, ma perché sono queste le persone che - mentre si adoperano per rallegrare la vita altrui - rischiando in proprio fanno esperienza di un Padre che provvede alla loro, nell’unicità.
Hanno fatto passare la Luce
Tutti i Santi, tra senso religioso e Fede
Incarnando lo spirito delle Beatitudini, ci chiediamo quale sia la differenza tra “sentire religioso” comune, e “vivere di Fede”.
Nelle devozioni antiche il Santo è l’uomo compos sui, perfetto e distaccato [ma prevedibile]; e il contrario di Santo è «peccatore».
Nella proposta di vita piena nel Signore, il «santo» è persona d’intesa comunicativa e che vive per la convivialità, creandola dove non c’è.
Nel cammino dei figli il Santo è sì l’uomo eccellente, ma nel suo senso compiuto - pieno e dinamico, poliedrico; perfino eccentrico. Non in una accezione unilaterale, moralistica o sentimentale.
Nella lingua latina perfìcere significa condurre a termine, andare sino in fondo.
In tale accezione completa e integrale, “perfetto” diventa un valore incarnato autentico: attributo possibile - d’ogni persona consapevole della propria condizione di vulnerabilità, e non la disprezza.
La donna e l’uomo di Fede valorizzano ogni occasione o emozione che mettono a nudo la condizione di nudità [non colpa] per aprire nuove strade e rinnovarsi.
In ottica di vita nello Spirito il santo [in ebraico Qadosh, attributo divino] è sì l’uomo «distacccato», ma non in senso parziale o fisico, bensì ideale.
Non è la persona che a un certo punto della vita prende le distanze dalla famiglia umana per intraprendere un sentiero di purificazione che la innalzerebbe. Illudendosi di migliorare.
Come sottolinea l'enciclica Fratelli Tutti: «Un essere umano [...] non si realizza, non sviluppa, non può trovare la propria pienezza [... e] non giunge a riconoscere a fondo la propria verità se non nell’incontro con gli altri» (n.87).
Il testimone autentico non è animato dal disprezzo del caos esistenziale - né desideroso di appaltare le difficoltà di gestione della propria libertà consegnandola a un’agenzia alienante, dalla mentalità appartata (che risolva il dramma delle scelte personali).
In Cristo l’uomo è un «disgiunto» dalla mentalità comune, in quanto fedele a se stesso, al proprio Fuoco che non si estingue - alle passioni, alla propria irripetibile unicità e Vocazione.
E insieme, «separato» da criteri competitivi esterni: dell’avere, del potere, dell’apparire. Potenze autodistruttive.
A queste ultime, sostituisce concretamente la fraternità del donare, del servire e dello sminuirsi [dal “personaggio”]. Energie feconde.
Tutto per la Comunione globale, e in Verità anche con il proprio intimo seme caratteriale - evitando proselitismi e il farsi notare nelle passerelle.
Il vero credente conosce il suo limite redento, vede le possibilità dell’imperfezione... Così sostituisce i presupposti del trattenere per sé, del salire sugli altri e del dominarli, con un fondamentale trittico umanizzante: elargire, libertà di “scendere”, collaborare.
Questo l’autentico Distacco, che non fugge le proprie e altrui inclinazioni, né disprezza il tratto complesso della condizione umana.
In tal guisa, il «santo» vive la Beatitudine essenziale dei perseguitati (Mt 5,11-12; Lc 6,22-23) perché ha la libertà di “abbassarsi” per essere in sintonia con la propria essenza; coesistendo nella sua originalità.
In termini di Fede, il Santo non è più dunque un fisicamente «separato», bensì «Unito» a Cristo - e messo al bando come Lui, nei fratelli deboli.
Insomma, il Disegno divino è comporre Famiglia di piccoli e malfermi, non ritagliarsi un gruppo di amici “forti”, e “migliori” degli altri.
Solo quest’orizzonte di Focolare ci spinge a partire.
Di conseguenza, contrario di Santo non è «peccatore», bensì irrealizzato o incompiuto.
Vediamone ancora il motivo (vocazionale e per strade personali).
Gesù era amico di pubblicani e pubblici peccatori non perché migliori dei buoni, ma perché in religione i «giusti» risultano non di rado poco spontanei; rendendosi impermeabili, chiusi, refrattari all’azione dello Spirito.
Con sorpresa, il Signore stesso ha fatto ripetuta esperienza che proprio le persone devotamente carenti erano volte a interrogarsi, accorgersi, rielaborare, deviare dall’assuefazione - per l’edificazione di nuovi sentieri, anche procedendo a tastoni.
Non potendo godere del mantello perbenista di paraventi sociali, dopo una presa di coscienza della propria situazione (e nel tempo) - rispetto a coloro che si ritenevano “arrivati” e amici di Dio - da “lontani” diventavano persone più degli “impeccabili” disposte ad amare.
Il mettersi in discussione è fondamentale in ottica biblica.
Ad ogni pie’ sospinto la Scrittura ci propone una spiritualità dell’Esodo, ossia una strada di liberazione da pastoie e percorsa come a piedi, passo dopo passo. Quindi che valorizza sentieri di ricerca, esplorazione, scoperta di sé e della Novità di un Dio che non ripete, ma crea.
L’Appello che la Parola rivolge è a intraprendere un itinerario; questo il punto. E da sempre noi siamo «quelli della Via» e che non passano oltre, non girano lo sguardo dall’altra parte [cf. Lc 10,31-33; FT, 56ss].
Per la mentalità pagana classica, la donna e l’uomo sono essenzialmente “natura”, quindi il loro essere nel mondo è condizionato [ricordo che il mio professore di antropologia teologica Ignazio Sanna diceva addirittura «de-centrato»], persino determinato dalla nascita (fortunata o meno).
Secondo la Bibbia la donna e l’uomo sono creature, splendide e adeguate in sé alla propria missione, ma pellegrine e carenti.
Dio è Colui che li «chiama» a completarsi, recuperando gli aspetti difformi.
Per giungere a essere immagine e somiglianza del Signore, dobbiamo sviluppare capacità di risposta a una Vocazione che ci rende non dei fenomeni, né “perfetti” eccezionali, bensì Testimoni particolari.
Scelti per Nome, così come siamo; che abbracciano il loro essere profondo - anche inespresso - fino a riconoscerlo nel Tu, e dispiegarlo nel Noi.
La santità di una persona si coniuga dunque con moltissimi dei suoi stati d’insoddisfazione, di confine, e persino di fallimento parziale - ma sempre pensando e sentendo la realtà.
Per una Nuova Alleanza.
Nell’Antico Testamento il credente entrava in contatto con la purità divina frequentando luoghi sacri, adempiendo prescrizioni, recitando preghiere, rispettando tempi e spazi, scansando situazioni imbarazzanti; così via.
La nostra esperienza e coscienza attestano infallibilmente che l’osservanza rigorosa è troppo rara, o di maniera: dentro, spesso non ci corrisponde - né umanizza.
Essa diventa presto o tardi un castello di carte, malfermo tanto più punta “in alto”. Basta disporne una sola in modo maldestro, e la costruzione artificiosa crolla.
Ci rendiamo conto della nostra naturale impossibilità a soddisfare sterilizzazioni, mappe (altrui) e standard così elevati.
Con Gesù la Perfezione non riguarda il “pensiero”, né il rispetto di un Codice di osservanze astratto. La Compiutezza è in riferimento a una qualità di Esodo e Relazione.
In antichi contesti il cammino dei figli è stato ammantato d’una proposta misticheggiante o rinunciataria fatta di astinenze, digiuni, ritiri, vita appartata, adempimenti cultuali ossessivi... che in molte situazioni hanno costituito la trama portante della spiritualità pre-Conciliare.
Ma nella Scrittura i Santi non hanno l’aureola e neppure le ali.
Non sono tali per aver compiuto miracoli di guarigione incomparabili e stupefacenti: bensì donne e uomini inseriti nel mondo comune e negli aspetti più ordinari.
Essi conoscono i problemi, le debolezze, le gioie e i dolori della vita quotidiana; la ricerca della propria identità-carattere, o inclinazione profonda.
E l’apostolato; la famiglia, l’educazione dei figli, il lavoro. La forza di seduzione del male, perfino.
Nel Primo Testamento «Qadosh» designava esclusivamente un attributo dell’Eterno [unica Persona non intermittente] - e la sua separatezza dall’intreccio delle spesso confuse ambizioni terrene.
Malgrado i difetti, però, in Cristo diventiamo capaci di ascolto, di percezione; quindi abilitati a cogliere ogni opportunità per rendere testimonianza della Gratuità innata, vitale, dell’iniziativa divina e reale.
Incessantemente la vita provvidente si propone e viene incontro per aprire varchi impensabili, che fanno breccia.
I suoi inediti tragitti di crescita rinnovano l’esistere tutto concatenato e conforme.
Ciò anche facendoci stupire delle risorse intime, prima inconsapevoli o inconfessate e sottaciute, ovvero imprevedibilmente nascoste dietro lati oscuri.
Quel ch’è Insigne non viene più spostato dietro nuvolette e collocato in recinti muniti.
Pertanto, avversario di Dio non sarà la trasgressione: diventa viceversa la mancanza di spirito di Comunione, nelle differenze.
Nemico della storia di Salvezza non è l’incompletezza religiosa, ma il divario dalle Beatitudini - e dallo spirito in fieri del «viandante» per il quale “peregrinare” è sinonimo [non paradossale] anche di “errare”.
Contrapposto di Dio non sono dunque “i peccati”, bensì «il» Peccato [al singolare, termine teologico, non moralistico].
“Peccato” è l’incapacità di corrispondere a una Chiamata indicativa, che fa da molla per completarci, per rigenerarci non parziali. Ciò armonizzando i lati opposti - nell’essere noi stessi ed essere-Con.
Qui è la Fede che «salva», nel punto in cui ci troviamo - perché annienta «il peccato del mondo» (Gv 1,29) ossia la disistima e senso di colpa; l’umiliazione delle distanze incolmabili.
Infatti Gesù non raccomanda dottrine, né di parcellizzare la propria vicenda con etilismi puntuali. Neppure prospetta alcuna religiosa scalata [in termini di progressività] condita di sforzi.
A nessuno nei Vangeli il Cristo dice «fatti santo», bensì con Lui, come Lui e in Lui - Unito, per incontrare incessantemente i propri stati profondi.
Riconoscendoli meglio, anche grazie al Tu e al Noi.
Il Santo è il piccolo, non l’eroe tutto d’un pezzo, uniforme, pronosticabile, scontato.
Santo è colui che percorrendo la propria via nella scia del Risorto, ha imparato a «identificarsi con l'altro, senza badare a dove [né] da dove [...] in definitiva sperimentando che gli altri sono sua stessa carne» (cf. FT 84).
Cari fratelli e sorelle,
l’anno liturgico è un grande cammino di fede, che la Chiesa compie sempre preceduta dalla Vergine Madre Maria. Nelle domeniche del Tempo Ordinario, tale itinerario è scandito quest’anno dalla lettura del Vangelo di Luca, che oggi ci accompagna “in un luogo pianeggiante” (Lc 6,17), dove Gesù sosta con i Dodici e dove si raduna una folla di altri discepoli e di gente venuta da ogni parte per ascoltarLo. In tale cornice si colloca l’annuncio delle “beatitudini” (Lc 6,20-26; cfr Mt 5,1-12). Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, dice: “Beati voi, poveri… beati voi, che ora avete fame… beati voi, che ora piangete… beati voi, quando gli uomini… disprezzeranno il vostro nome” per causa mia. Perché li proclama beati? Perché la giustizia di Dio farà sì che costoro siano saziati, rallegrati, risarciti di ogni falsa accusa, in una parola, perché li accoglie fin d’ora nel suo regno. Le beatitudini si basano sul fatto che esiste una giustizia divina, che rialza chi è stato a torto umiliato e abbassa chi si è esaltato (cfr Lc 14,11). Infatti, l’evangelista Luca, dopo i quattro “beati voi”, aggiunge quattro ammonimenti: “guai a voi, ricchi… guai a voi, che ora siete sazi,… guai a voi, che ora ridete” e “guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi”, perché, come afferma Gesù, le cose si ribalteranno, gli ultimi diventeranno primi, e i primi ultimi (cfr Lc 13,30).
Questa giustizia e questa beatitudine si realizzano nel “Regno dei cieli”, o “Regno di Dio”, che avrà il suo compimento alla fine dei tempi ma che è già presente nella storia. Dove i poveri sono consolati e ammessi al banchetto della vita, lì si manifesta già ora la giustizia di Dio. E’ questo il compito che i discepoli del Signore sono chiamati a svolgere anche nella società attuale. Penso alla realtà dell’Ostello della Caritas Romana alla Stazione Termini, che stamani ho visitato: di cuore incoraggio quanti operano in tale benemerita istituzione e quanti, in ogni parte del mondo, si impegnano gratuitamente in simili opere di giustizia e di amore.
Al tema della giustizia ho dedicato quest’anno il Messaggio per la Quaresima, che inizierà il prossimo mercoledì, detto delle Ceneri. Oggi desidero, pertanto, consegnarlo idealmente a tutti, invitando a leggerlo e a meditarlo. Il Vangelo di Cristo risponde positivamente alla sete di giustizia dell’uomo, ma in modo inatteso e sorprendente. Egli non propone una rivoluzione di tipo sociale e politico, ma quella dell’amore, che ha già realizzato con la sua Croce e la sua Risurrezione. Su di esse si fondano le beatitudini, che propongono il nuovo orizzonte di giustizia, inaugurato dalla Pasqua, grazie al quale possiamo diventare giusti e costruire un mondo migliore.
Cari amici, rivolgiamoci ora alla Vergine Maria. Tutte le generazioni la proclamano “beata”, perché ha creduto nella buona notizia che il Signore le ha annunciato (cfr Lc 1,45.48). Lasciamoci guidare da Lei nel cammino della Quaresima, per essere liberati dall’illusione dell’autosufficienza, riconoscere che abbiamo bisogno di Dio, della sua misericordia, ed entrare così nel suo Regno di giustizia, di amore e di pace.
[Papa Benedetto, Angelus 14 febbraio 2010]
3. “Beati voi”, dice “Beati i poveri in spirito, i miti e i misericordiosi, gli afflitti, coloro che hanno fame e sete della giustizia, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati! Beati voi!”. Le parole di Gesù possono sembrare strane. È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore” (Mt 11, 29), queste parole lanciano una sfida che richiede una metanoia profonda e costante dello spirito, una grande trasformazione del cuore.
Voi giovani comprenderete il motivo per cui è necessario questo cambiamento del cuore! Siete infatti consapevoli di un'altra voce dentro di voi e intorno a voi, una voce contraddittoria. È una voce che dice: “Beati i superbi e i violenti, coloro che prosperano a qualunque costo, che non hanno scrupoli, che sono senza pietà, disonesti, che fanno la guerra invece della pace e perseguitano quanti sono di ostacolo sul loro cammino”. Questa voce sembra avere senso in un mondo in cui i violenti spesso trionfano e pare che i disonesti abbiano successo. “Sì” dice la voce del male “sono questi a vincere. Beati loro!”
4. Gesù offre un messaggio molto diverso. Non lontano da qui egli chiamò i suoi primi discepoli, così come chiama voi ora. La sua chiamata ha sempre imposto una scelta fra le due voci in competizione per conquistare il vostro cuore, anche ora, qui sulla collina, la scelta fra il bene e il male, fra la vita e la morte. Quale voce sceglieranno di seguire i giovani del XXI secolo? Riporre la vostra fiducia in Gesù significa scegliere di credere in ciò che dice, indipendentemente da quanto ciò possa sembrare strano, e scegliere di non cedere alle lusinghe del male, per quanto attraenti possano sembrare.
Dopo tutto, Gesù non solo proclama le Beatitudini. Egli vive le Beatitudini. Egli è le Beatitudini. Guardandolo, vedrete cosa significa essere poveri in spirito, miti e misericordiosi, afflitti, avere fame e sete della giustizia, essere puri di cuore, operatori di pace, perseguitati. Per questo motivo ha il diritto di affermare “Venite, seguitemi!”. Non dice semplicemente, “Fate ciò che dico”. Egli dice “Venite, seguitemi!”.
Voi ascoltate la sua voce su questa collina e credete a ciò che dice. Tuttavia, come i primi discepoli sul mare di Galilea, dovete abbandonare le vostre barche e le vostre reti e questo non è mai facile, in particolare quando dovete affrontare un futuro incerto e siete tentati di perdere la fiducia nella vostra eredità cristiana. Essere buoni Cristiani può sembrare un'impresa superiore alle vostre forze nel mondo di oggi. Tuttavia Gesù non resta a guardare e non vi lascia soli ad affrontare tale sfida. È sempre con voi per trasformare la vostra debolezza in forza. CredeteGli quando vi dice: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12, 9)!
5. I discepoli trascorsero del tempo con il Signore. Giunsero a conoscerlo e ad amarlo profondamente. Scoprirono il significato di quanto l'Apostolo Pietro disse una volta a Gesù: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6, 68). Scoprirono che le parole di vita eterna sono le parole del Sinai e le parole delle Beatitudini. Questo è il messaggio che diffusero ovunque.
Al momento della sua Ascensione, Gesù affidò ai suoi discepoli una missione e questa rassicurazione: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 18-20). Da duemila anni i seguaci di Cristo svolgono questa missione. Ora, all'alba del terzo millennio, tocca a voi. Tocca a voi andare nel mondo e annunciare il messaggio dei Dieci Comandamenti e delle Beatitudini. Quando Dio parla, parla di cose che hanno la più grande importanza per ogni persona, per le persone del XXI secolo non meno che per quelle del primo secolo. I Dieci Comandamenti e le Beatitudini parlano di verità e di bontà, di grazia e di libertà, di quanto è necessario per entrare nel Regno di Cristo. Ora tocca a voi essere coraggiosi apostoli di quel Regno!
Giovani della Terra Santa, giovani del mondo, rispondete al Signore con un cuore aperto e volenteroso! Volenteroso e aperto come il cuore della figlia più grande di Galilea, Maria, la Madre di Gesù. Come rispose? Disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38).
O Signore Gesù Cristo, in questo luogo che hai conosciuto e che hai tanto amato, ascolta questi giovani cuori generosi! Continua a insegnare a questi giovani la verità dei Comandamenti e delle Beatitudini! Rendili gioiosi testimoni della tua verità e apostoli convinti del tuo Regno! Sii con loro sempre, in particolare quando seguire te e il Vangelo diviene difficile e arduo! Sarai tu la loro forza, sarai tu la loro vittoria!
O Signore Gesù, hai fatto di questi giovani degli amici tuoi: tienili per sempre vicino a te!
Amen!
[Papa Giovanni Paolo II, omelia ai giovani, Monte delle Beatitudini 24 marzo 2000]
Il Vangelo di oggi […] ci presenta le Beatitudini nella versione di San Luca. Il testo si articola in quattro beatitudini e quattro ammonimenti formulati con l’espressione “guai a voi”. Con queste parole, forti e incisive, Gesù ci apre gli occhi, ci fa vedere con il suo sguardo, al di là delle apparenze, oltre la superficie, e ci insegna a discernere le situazioni con fede.
Gesù dichiara beati i poveri, gli affamati, gli afflitti, i perseguitati; e ammonisce coloro che sono ricchi, sazi, ridenti e acclamati dalla gente. La ragione di questa paradossale beatitudine sta nel fatto che Dio è vicino a coloro che soffrono e interviene per liberarli dalle loro schiavitù; Gesù vede questo, vede già la beatitudine al di là della realtà negativa. E ugualmente il “guai a voi”, rivolto a quanti oggi se la passano bene, serve a “svegliarli” dal pericoloso inganno dell’egoismo e aprirli alla logica dell’amore, finché sono in tempo per farlo.
La pagina del Vangelo odierno ci invita dunque a riflettere sul senso profondo dell’avere fede, che consiste nel fidarci totalmente del Signore. Si tratta di abbattere gli idoli mondani per aprire il cuore al Dio vivo e vero; Egli solo può dare alla nostra esistenza quella pienezza tanto desiderata eppure difficile da raggiungere. Fratelli e sorelle, sono molti, infatti, anche ai nostri giorni, quelli che si propongono come dispensatori di felicità: vengono e promettono successo in tempi brevi, grandi guadagni a portata di mano, soluzioni magiche ad ogni problema, e così via. E qui è facile scivolare senza accorgersi nel peccato contro il primo comandamento: cioè l’idolatria, sostituire Dio con un idolo. Idolatria e idoli sembrano cose di altri tempi, ma in realtà sono di tutti i tempi! Anche di oggi. Descrivono alcuni atteggiamenti contemporanei meglio di molte analisi sociologiche.
Per questo Gesù ci apre gli occhi sulla realtà. Siamo chiamati alla felicità, ad essere beati, e lo diventiamo fin da ora nella misura in cui ci mettiamo dalla parte di Dio, del suo Regno, dalla parte di ciò che non è effimero ma dura per la vita eterna. Siamo felici se ci riconosciamo bisognosi davanti a Dio - e questo è molto importante: “Signore ho bisogno di te” - e se, come Lui e con Lui, stiamo vicino ai poveri, agli afflitti e agli affamati. Anche noi lo siamo davanti a Dio: siamo poveri, afflitti, siamo affamati davanti a Dio. Diventiamo capaci di gioia ogni volta che, possedendo dei beni di questo mondo, non ne facciamo degli idoli a cui svendere la nostra anima, ma siamo capaci di condividerli con i nostri fratelli. Su questo oggi la liturgia ci invita ancora una volta ad interrogarci e a fare verità nel nostro cuore.
Le Beatitudini di Gesù sono un messaggio decisivo, che ci sprona a non riporre la nostra fiducia nelle cose materiali e passeggere, a non cercare la felicità seguendo i venditori di fumo – che tante volte sono venditori di morte – i professionisti dell’illusione. Non bisogna seguire costoro, perché sono incapaci di darci speranza. Il Signore ci aiuta ad aprire gli occhi, ad acquisire uno sguardo più penetrante sulla realtà, a guarire dalla miopia cronica che lo spirito mondano ci contagia. Con la sua Parola paradossale ci scuote e ci fa riconoscere ciò che davvero ci arricchisce, ci sazia, ci dà gioia e dignità. Insomma, quello che veramente dà senso e pienezza alla nostra vita. La Vergine Maria ci aiuti ad ascoltare questo Vangelo con mente e cuore aperti, perché porti frutto nella nostra vita e diventiamo testimoni della felicità che non delude, quella di Dio che non delude mai.
[Papa Francesco, Angelus 17 febbraio 2019]
Chiamò a Sé: emergenza per Nome, prima che dattorno
(Lc 6,12-19)
Lc riflette il doppio indirizzo del culto nelle comunità primitive: la Preghiera come significativa apertura al Padre e celebrazione interna fra discepoli (vv.13-17) - e il pubblico Annuncio con opere, al popolo.
La comunità è vicina: Dio è nella nostra storia. L’idea di un Regno distante produce separazioni, piramidi pastoralmente inconsistenti, e dispersiva coltivazione d’interessi.
Insomma, è fondamentale prima maturare, ovunque viviamo.
Chi coltiva molte brame, le proietta; procura i suoi stessi influssi torbidi. Per questo è necessaria l’orazione e la riflessone, che - dall’Ascolto - ci trasmettono il senso del nostro stare al mondo e una retta disposizione.
Sembra un paradosso, ma l’interesse verso i bisogni delle moltitudini è un problema squisitamente radicato nell’intimo.
È da se stessi e a partire dalla comunità che si guarda con empatia il mondo stesso, sapendone recuperare i lati opposti.
È la Via dell’Interno che compenetra e attiva la via dell’esterno.
In tal guisa c’immergiamo nella Fonte dell’essere: per spostare lo sguardo precipitoso. Chi non è libero non può liberare.
Unico modo saggio di scrutare lontano è attenersi alla ragione delle cose, principio che si conosce attivamente, se non fuorviati da superficialità e riduzioni.
Intesa la natura delle creature e conformandovisi in modo crescente, tutti vengono ispirati a trasmutare e completarsi, arricchendo anche la sclerosi culturale senza forzature alienanti.
Tutto ciò, esercitando una pratica di bontà anche con se stessi.
Non per distinguere il momento della Vocazione da quello dell’Invio ministeriale: la via del Cielo è intrecciata alla strada della Persona.
È insomma per avvicinarsi al senso dell’unicità missionale di ciascun Apostolo che Gesù trascorre un’intera notte in preghiera (v.12).
Gran parte dei primi seguaci ha nomi tipici del giudaismo, addirittura del tempo dei Patriarchi - il che indica un’estrazione mentale e spirituale radicata più nella religione antica che nella nuova Fede: realtà non facile da gestire.
Ma anche per loro il Signore sprigiona la sua forza di Vita piena, malgrado in sé fossero individui comuni, pieni di limiti.
Tuttavia il Regno è «locale e universale» [Fratelli Tutti, nn.142-153], Vicino e per Nome - come si evince dal passo del Vangelo di Lc.
Questa la forza molteplice, graffiante, impareggiabile, prossima e appunto personale, la quale vince ogni possibilità di sabotaggio ideale [a motivo di circostanze avverse].
Potenza attinta sia dalla preghiera diretta al Padre in Cristo - nel suo Ascolto notturno (v.12) - nonché dalle opere d’amore (vv.17-19).
Potenze in simbiosi personale, sensibile, condivisa.
Missione non per soli eccellenti, né unilaterale, bensì per un contagio inquieto.
Annuncio di nuova Luce accolta in Dono: dove appunto non appare una sola forma o un solo colore.
E l’Asse è stare talora nascosti con Lui.
«È quanto la tradizione ha poi formulato con la nota espressione: “Contemplata aliis tradere” (cfr San Tommaso, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 188, art. 6)» [Papa Benedetto].
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Nella tua esperienza, quale catena ha unito il Cielo e la terra?
[Martedì 23.a sett. T.O. 9 settembre 2025]
Il doppio indirizzo del culto, ma l’Asse è stare con Lui
(Lc 6,12-19)
«Uscì verso il Monte per pregare e passò la notte nella preghiera a Dio» (v.12).
«E tutta la folla cercava di toccarlo poiché una Forza usciva da Lui e guariva tutti» (v.19).
Lc riflette il doppio indirizzo del culto nelle comunità primitive.
Anzitutto, la Preghiera come significativa apertura al Padre e celebrazione interna fra discepoli (vv.13-17). Quindi il pubblico Annuncio (con opere) al popolo.
La comunità è vicina: Dio è nella nostra storia.
L’idea di un Regno distante produce separazioni, gerarchie piramidali (pastoralmente) inconsistenti. Talora, dispersiva coltivazione d’interessi interni spacciati per grande sensibilità e altruismo.
Insomma, per camminare sul serio accanto a se stessi e agli altri è fondamentale prima maturare, ovunque viviamo.
Ciò vale per assumere differenti iniziative; anche eventualmente per ribellarsi al panorama stagnante che ama tornare alle sicurezze antiche.
In tal guisa, ci possono essere motivi poco nobili per voler giungere subito ovunque, correre dappertutto a fare proseliti, e farlo per contrapposizione, senza un «sogno di amicizia» [cf. enciclica Fratelli Tutti, passim].
Infatti chi coltiva molte brame, le proietta; procura i suoi stessi influssi torbidi.
Per questo è necessaria l’orazione, e la riflessone - indispensabili anche a Gesù (v.12) - che ci porgono il senso del nostro stare al mondo, la Visione del Padre, e una retta disposizione.
Meditazioni profonde e preghiere spontanee annientano le infedeltà che non propongono vita genuina, né motivazioni autentiche, o valori dello spirito.
Le orazioni intaccano e demoliscono le disumanizzazioni, le emozioni che ci alienano e allontanano dai fratelli, i tranelli che tendono a edificare altri templi e santuari.
La stessa carica di universalità e il “senso di urgenza” sono contenuti nel radicamento ai valori trasmesso dal dialogo con Dio. E il suo Mistero (per noi), nelle relazioni, nella conoscenza intima di sé.
Infatti... stimoli, princìpi virtuosi, lacune e lati nascosti sono aspetti energetici complementari.
Sembra un paradosso, ma l’interesse verso i bisogni delle moltitudini è un problema squisitamente radicato nell’intimo, per nulla esteriore.
È da se stessi e a partire dalla comunità che si guarda con empatia il mondo, sapendone recuperare gli opposti.
È la Via dell’Interno che compenetra e attiva la via dell’esterno.
Così volentieri preghiamo: per immergerci nella Fonte vibrante dell’essere, e spostare lo sguardo precipitoso.
Per contrasto e impedimento, la parzialità abitudinaria che “si mette in mezzo” non coglie il valore del poliedro sociale e culturale.
D’altro canto, purtroppo, solo amando la forza si preferisce partire dal troppo distante.
Bisogna anzitutto guarire ciò ch’è intimo e prossimo. Chi non è libero non può emancipare nessuno.
Così, unico modo di scrutare lontano è attenersi alla ragione delle cose - principio che si conosce attivamente, se non fuorviati da superficialità e riduzioni [individualiste o monovalenti, unilaterali e di club].
Intesa la natura delle creature e conformandovisi in modo crescente, tutti vengono ispirati a trasmutare e completarsi.
Processo non alienante, che arricchisce anche la possibile sclerosi culturale, senza forzature isteriche o esterne.
Tutto ciò, esercitando una pratica di bontà anche con se stessi.
Dice il Tao (XLVII): «Senza uscir dalla porta, conosci il mondo; senza guardar dalla finestra, scorgi la Via del Cielo. Più lungi te ne vai, meno conosci. Per questo il santo non va dattorno eppur conosce, non vede eppur discerne, non agisce eppur completa».
Solo dalla Fonte dell’essere - casa comune - scaturisce una vita non dissociata, da salvati a tutto tondo, che efficacemente permane e può dilatarsi.
Siamo segno di dedizione e persone protese? Non lo faremo per “merito” o al fine di cattivarsi le simpatie.
Senza fare la setta, dopo una buona formazione - la quale ci trasmette anche una sapiente tolleranza, a partire dal mondo di dentro.
Nessuno scopo estrinseco, che perderebbe l’anima e non recherebbe svolta alcuna.
Non per distinguere il momento della Vocazione da quello dell’Invio ministeriale.
La via del Cielo è intrecciata alla strada della Persona e a quella della Natura [«come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia»: Laudato Si’, n.1] o saremo operatori da strapazzo.
Nessuno degli Apostoli - personaggi ordinari - era degno della Chiamata (vv.13-15).
Per capire questo, e avvicinarsi al senso della loro unicità missionale, Gesù deve trascorrere una intera notte in preghiera (v.12).
Gran parte dei primi seguaci ha nomi tipici del giudaismo, addirittura del tempo dei Patriarchi - il che indica un’estrazione mentale e spirituale radicata più nella religione antica che nella nuova Fede; bagaglio non facile da gestire.
Ma anche per gli indecisi il Signore sprigiona la sua forza di Vita piena, proprio perché in sé persone assolutamente comuni e piene di limiti; non di rado perplessi, perfino aperti oppositori.
Pietro smaniava per farsi avanti, pur retrocedendo spesso - marcia indietro - sino a diventare per Gesù un «satàn» [(Mt 16,23; Mc 8,33): nella cultura dell’oriente antico, un funzionario del gran sovrano, inviato a fare il controllore e delatore - praticamente un accusatore].
Giacomo di Zebedeo e Giovanni erano fratelli, accesi fondamentalisti, e in modo iroso volevano il Maestro solo per loro, nonché i primi posti.
Filippo [condizionato forse da un’estrazione ellenista, come indica il suo nome] a prima vista non sembrava un tipo molto pratico, né svelto a cogliere le cose di Dio.
Andrea pare invece se la cavasse bene: persona inclusiva.
Stando a note identificazioni tradizionali, Bartolomeo era forse aperto ma perplesso, perché il Messia non gli corrispondeva granché.
Tommaso sempre un poco dentro e un po’ fuori.
Matteo… un collaborazionista, avido complice del sistema oppressivo, e che volentieri estorceva denaro alla sua gente [il popolo lo condannava in modo spietato].
Simone - lo zelota, il cananeo - una testa calda.
Giuda Iscariota un tormentato, che si autodistrugge per essersi fidato di vecchie guide spirituali - impregnate d’ideologia nazionalista, interesse privato, opportunismo e potere.
Altri due (Giacomo il minore figlio di Alfeo, e Giuda Taddeo) semplici discepoli forse di non grande rilievo o capacità d’iniziativa.
Ma il Regno è «locale e universale» [Fratelli Tutti, nn.142-153], Vicino e per Nome - come si evince dal passo del Vangelo di Lc.
Questa la forza molteplice, graffiante, impareggiabile, prossima e appunto personale, la quale vince ogni possibilità di sabotaggio ideale (a motivo di circostanze avverse).
Potenza attinta sia dalla preghiera diretta al Padre in Cristo - nel suo Ascolto notturno (v.12) - nonché dalle opere d’amore (vv.17-19).
Potenze in simbiosi personale, sensibile, condivisa.
Non per soli eccellenti… o anche nel tempo dell’emergenza globale non vi sarà opera sanante (v.19) bensì solo esterna, accusatoria e finalizzata alla propaganda, al proselitismo.
Annuncio e Missione di nuova Luce accolta in Dono: dove appunto non appare una sola forma o un solo colore.
E l’Asse è «stare» con Lui.
«È quanto la tradizione ha poi formulato con la nota espressione: “Contemplata aliis tradere” (cfr San Tommaso, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 188, art. 6)» [Papa Benedetto].
Per un contagio non allarmistico né unilaterale, monocromatico, bensì florido, poliedrico, talora “nascosto”, e inquieto.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Nella tua esperienza, quale catena ha unito il Cielo e la terra?
L’elenco (accusatorio) e lo sforzo delle trasgressioni da correggere in modo nevrotico?
O una Chiamata personale, inclusiva dei tuoi molti volti nell’anima - Vocazione sostenuta da una Chiesa fattasi eco e Fonte gratuita di comprensione a tutto tondo?
Il giorno dell’Ordinazione episcopale, prima dell’imposizione delle mani, la Chiesa chiede al candidato di assumere alcuni impegni fra i quali, oltre quello di annunziare con fedeltà il Vangelo e custodire la fede, vi è anche quello di “perseverare nella preghiera a Dio onnipotente per il bene del suo popolo santo”. Vorrei soffermarmi con voi proprio sul carattere apostolico e pastorale della preghiera del Vescovo.
L’evangelista Luca scrive che Gesù Cristo scelse i dodici Apostoli dopo aver passato sul monte tutta la notte a pregare (Lc 6,12); e l’evangelista Marco precisa che i Dodici furono scelti perchè “stessero con lui e per mandarli” (Mc 3,14). Come gli Apostoli anche noi, carissimi Confratelli, in quanto loro successori, siamo stati chiamati innanzitutto per stare con Cristo, per conoscerlo più profondamente ed essere partecipi del suo mistero di amore e della sua relazione piena di confidenza con il Padre. Nella preghiera intima e personale il Vescovo, come e più di tutti i fedeli, è chiamato a crescere nello spirito filiale verso Dio, apprendendo da Gesù stesso la confidenza, la fiducia e la fedeltà, atteggiamenti suoi propri nel rapporto col Padre.
E gli Apostoli avevano compreso bene come l’ascolto nella preghiera e l’annuncio delle cose ascoltate dovevano avere il primato sulle molte cose da fare, perché decisero: “Noi ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola” (At 6,4). Questo programma apostolico è quanto mai attuale. Oggi, nel ministero di un Vescovo, gli aspetti organizzativi sono assorbenti, gli impegni sono molteplici, le necessità sempre tante, ma il primo posto nella vita di un successore degli Apostoli deve essere riservato a Dio. Già San Gregorio Magno nella “Regola pastorale” avvertiva che il pastore “in modo singolare deve essere capace di elevarsi su tutti gli altri per la preghiera e la contemplazione (II, 5). È quanto la tradizione ha poi formulato con la nota espressione: “Contemplata aliis tradere” (cfr San Tommaso, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 188, art. 6).
Nell’Enciclica “Deus caritas est ”, riferendomi alla narrazione dell’episodio biblico della scala di Giacobbe, ho voluto evidenziare come proprio attraverso la preghiera il pastore divenga sensibile e misericordioso verso tutti (cfr n. 7). E ho ricordato il pensiero di San Gregorio Magno, secondo il quale il pastore radicato nella contemplazione sa accogliere le necessità degli altri, che nella preghiera diventano sue: “per pietatis viscera in se infirmitatem caeterorum transferat ” (Regola pastorale, ibid.). La preghiera educa all’amore e apre il cuore alla carità pastorale per accogliere tutti coloro che ricorrono al Vescovo. Egli, plasmato interiormente dallo Spirito Santo, consola con il balsamo della grazia divina, illumina con la luce della Parola, riconcilia ed edifica nella comunione fraterna.
[Papa Benedetto, ai vescovi di recente nomina 22 settembre 2007]
1. Comunità sacerdotale, sacramentale, profetica, la Chiesa è stata istituita da Gesù Cristo come una società strutturata, gerarchica e ministeriale, in funzione del governo pastorale per la formazione e la crescita continua della comunità. I primi soggetti di tale funzione ministeriale e pastorale sono i dodici Apostoli, scelti da Gesù Cristo come fondamenti visibili della sua Chiesa. Come dice il Concilio Vaticano II, “Gesù Cristo, Pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli Apostoli come Egli stesso era mandato dal Padre (cf. Gv 20, 21), e volle che i loro successori, cioè i Vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli” (LG 18). Questo passo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa - Lumen gentium - ci richiama anzitutto alla posizione originale e unica degli Apostoli nel quadro istituzionale della Chiesa. Dalla storia evangelica sappiamo che Gesù ha chiamato dei discepoli a seguirlo e fra loro ne ha scelto dodici (cf. Lc 6, 13).
La narrazione evangelica ci fa conoscere che per Gesù si trattava di una scelta decisiva, fatta dopo una notte di preghiera (cf. Lc 6, 12); di una scelta fatta con una libertà sovrana: ci dice Marco che Gesù, salito sul monte, chiamò a sé “quelli che volle” (Mc 3, 13). I testi evangelici riportano i nomi dei singoli chiamati (cf. Mc 3, 16-19 e par.): segno che la loro importanza era stata percepita e riconosciuta nella Chiesa primitiva.
2. Col creare il gruppo dei Dodici, Gesù creava la Chiesa, come visibile società strutturata al servizio del Vangelo e dell’avvento del Regno di Dio. Il numero dodici aveva riferimento alle dodici tribù d’Israele, e l’uso che ne fece Gesù svela la sua intenzione di creare un nuovo Israele, il nuovo popolo di Dio istituito come Chiesa. L’intenzione creatrice di Gesù traspare dallo stesso verbo usato da Marco per descrivere l’istituzione: “Ne fece dodici . . . Fece i dodici”. “Fare” ricorda il verbo usato nel racconto della Genesi sulla creazione del mondo e nel Deutero-Isaia (Is 43, 1; 44, 2) sulla creazione del popolo di Dio, l’antico Israele. La volontà creatrice si esprime anche nei nuovi nomi dati a Simone (Pietro) e a Giacomo e Giovanni (Figli del tuono), ma anche a tutto il gruppo o collegio nel suo insieme. Scrive, infatti, Luca che Gesù “ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli” (Lc 6, 13). I Dodici Apostoli diventavano così una realtà socio-ecclesiale caratteristica, distinta e, sotto certi aspetti, irripetibile. Nel loro gruppo emergeva l’apostolo Pietro, circa il quale Gesù manifestava in modo più esplicito l’intenzione di fondare un nuovo Israele, con quel nome dato a Simone: “pietra”, su cui Gesù voleva edificare la sua Chiesa (cf. Mt 16, 18).
3. Lo scopo di Gesù, nell’istituire i Dodici, viene definito da Marco: “Ne fece dodici perché stessero con lui, e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3, 14-15). Il primo elemento costitutivo del gruppo dei Dodici è dunque un attaccamento assoluto a Cristo: si tratta di persone chiamate a “essere con lui”, cioè a seguirlo lasciando tutto. Il secondo elemento è quello missionario, espresso sul modello della missione stessa di Gesù, che predicava e scacciava i demoni. La missione dei Dodici è una partecipazione alla missione di Cristo da parte di uomini strettamente legati a lui come discepoli, amici, fiduciari.
4. Nella missione degli Apostoli l’evangelista Marco sottolinea “il potere di scacciare i demoni”. È un potere sulla potenza del male, che in positivo significa il potere di dare agli uomini la salvezza di Cristo, Colui che getta fuori il “principe di questo mondo” (Gv 12, 31). Luca conferma il senso di questo potere e lo scopo della istituzione dei Dodici, riportando la parola di Gesù che conferisce agli Apostoli l’autorità nel Regno: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove. E io dispongo per voi un regno come il Padre ne ha disposto per me” (Lc 22, 28). Anche in questa dichiarazione, sono intimamente legate la perseveranza nell’unione con Cristo e l’autorità concessa nel regno. Si tratta di un’autorità pastorale, come risulta dal testo sulla missione affidata specificamente a Pietro: “Pasci i miei agnelli . . . Pasci le mie pecorelle” (Gv 21, 15-17). Pietro riceve personalmente l’autorità suprema nella missione di pastore. Questa missione è esercitata come partecipazione all’autorità dell’unico Pastore e Maestro, Cristo. L’autorità suprema affidata a Pietro non annulla l’autorità conferita agli altri Apostoli nel regno. La missione pastorale è condivisa dai Dodici sotto l’autorità di un solo Pastore universale, mandatario e rappresentante del Buon Pastore, Cristo.
5. I compiti specifici inerenti alla missione affidata da Gesù Cristo ai Dodici sono i seguenti: a) missione e potere di evangelizzare tutte le nazioni, come attestano chiaramente i tre Sinottici (cf. Mt 28, 18-20; Mc 16, 16-18; Lc 24, 45-48). Tra di essi, Matteo mette in evidenza il rapporto stabilito da Gesù stesso tra la sua potestà messianica e il mandato da lui conferito agli Apostoli: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28, 18). Gli Apostoli potranno e dovranno svolgere la loro missione grazie al potere di Cristo che si manifesterà in loro. b) missione e potere di battezzare (Mt 28, 19), come adempimento del mandato di Cristo, con un battesimo nel nome della SS. Trinità (Ivi), che, essendo legato al mistero pasquale di Cristo, negli Atti degli Apostoli viene anche considerato come battesimo nel nome di Gesù (cf. At 2, 38; 8, 16). c) missione e potere di celebrare l’eucaristia: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19; 1 Cor 11, 24-25). L’incarico di rifare ciò che Gesù ha compiuto nell’ultima Cena, con la consacrazione del pane e del vino, implica un potere di altissimo livello; dire nel nome di Cristo: “Questo è il mio corpo”, “questo è il mio sangue”, è quasi un identificarsi a Cristo nell’atto sacramentale. d) missione e potere di rimettere i peccati (Gv 20, 22-23). È una partecipazione degli Apostoli al potere del Figlio dell’uomo di rimettere i peccati sulla terra (cf. Mc 2, 10): quel potere che nella vita pubblica di Gesù aveva provocato lo stupore della folla, della quale l’evangelista Matteo ci dice che “rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini” (Mt 9, 8).
6. Per compiere questa missione gli Apostoli hanno ricevuto, oltre il potere, il dono speciale dello Spirito Santo (cf. Gv 20, 21-22), che si è manifestato nella Pentecoste, secondo la promessa di Gesù (cf. At 1, 8). In forza di questo dono, dal momento della Pentecoste essi hanno cominciato ad adempiere il mandato della evangelizzazione di tutti i popoli. Ce lo dice il Concilio Vaticano II nella Costituzione Lumen gentium: “Gli Apostoli . . . predicando ovunque il Vangelo, accolto dagli uditori per mozione dello Spirito Santo, radunano la Chiesa universale, che il Signore ha fondato sugli Apostoli e ha edificato sul beato Pietro, loro capo, mentre Gesù Cristo stesso ne è la pietra maestra angolare (cf. Ap 21, 14; Mt 16, 18; Ef 2, 20)” (LG 19).
7. La missione dei Dodici comprendeva un ruolo fondamentale loro riservato, che non sarebbe stato ereditato da altri: essere testimoni oculari della vita, morte e risurrezione di Cristo (cf. Lc 24, 48), trasmettere il suo messaggio alla comunità primitiva, come cerniera tra la rivelazione divina e la Chiesa, e per ciò stesso dare inizio alla Chiesa in nome e per virtù di Cristo, sotto l’azione dello Spirito Santo. Per questa loro funzione i Dodici Apostoli costituiscono un gruppo di importanza unica nella Chiesa, la quale fin dal Simbolo niceno-costantinopolitano è definita apostolica (Credo una sanctam, catholicam et “apostolicam” Ecclesiam) per questo indissolubile legame ai Dodici. Ciò spiega perché anche nella liturgia la Chiesa ha inserito e riservato delle celebrazioni particolari solenni in onore degli Apostoli.
8. Tuttavia Gesù ha conferito agli Apostoli una missione di evangelizzazione di tutte le genti, che richiede un tempo molto lungo, e che anzi dura “sino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Gli Apostoli capirono che era volontà di Cristo che provvedessero ad avere dei successori, che, come loro eredi e legati, portassero avanti la loro missione. Stabilirono quindi “episcopi e diaconi” nelle diverse comunità “e disposero che dopo il loro decesso altri uomini approvati ricevessero la loro successione nel ministero” (Clemente Romano, Ep. Ad Cor., 44, 2; cf. 42, 1. 4). In questo modo Cristo ha istituito una struttura gerarchica e ministeriale della Chiesa, formata dagli Apostoli e dai loro successori; struttura che non è derivata da una precedente comunità già costituita, ma è stata creata direttamente da lui. Gli Apostoli sono stati, a un tempo, i semi del nuovo Israele e l’origine della sacra gerarchia, come si legge nella Costituzione Ad gentes del Concilio (AG 5). Tale struttura appartiene dunque alla natura stessa della Chiesa, secondo il disegno divino realizzato da Gesù. Secondo questo stesso disegno essa ha un ruolo essenziale in tutto lo sviluppo della comunità cristiana, dal giorno della Pentecoste alla fine dei tempi, quando nella Gerusalemme celeste tutti gli eletti saranno pienamente partecipi della “Nuova vita” per l’eternità.
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 1 luglio 1992]
«Preghiera e testimonianza» sono i «due compiti dei vescovi» che sono «colonne della Chiesa». Ma se si indeboliscono a soffrirne è tutto il popolo di Dio. Perciò, ha chiesto Papa Francesco durante la messa celebrata venerdì mattina 22 gennaio nella cappella della Casa Santa Marta, bisogna pregare insistentemente per i successori dei dodici apostoli.
La riflessione del Pontefice sulla figura e la missione del vescovo ha preso le mosse dal passo dell’evangelista Marco (3, 13-19) proclamato durante la liturgia odierna. «C’è una parola, in questo passo del Vangelo, che attira l’attenzione: Gesù “costituì”». E questa parola «appare due volte». Scrive infatti Marco: «“Ne costituì dodici, che chiamò apostoli”. E poi riprende: “Costituì dunque i dodici”, e li nomina, uno dietro l’altro». Dunque, ha spiegato il Pontefice, «Gesù, tra tanta gente che lo seguiva — ci dice il Vangelo — “chiamò a sé quelli che voleva”». Insomma «c’è una scelta: Gesù ha scelto quelli che Lui voleva». E, appunto, «ne costituì dodici. Che chiamò apostoli». Infatti, ha proseguito Francesco, «c’erano altri: c’erano i discepoli» e «il Vangelo parla di settantadue, in una occasione». Ma «questi erano un’altra cosa».
I «dodici sono costituiti perché stiano con Lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni» ha spiegato il Papa. «È il gruppo più importante che Gesù ha scelto, “perché stessero con Lui”, più vicini, “e per mandarli a predicare” il Vangelo». E «con il potere di scacciare i demoni», aggiunge ancora Marco. Proprio quei «dodici sono i primi vescovi, il primo gruppo di vescovi».
Questi dodici «eletti — ha fatto notare Francesco — avevano coscienza dell’importanza di questa elezione, tanto che dopo che Gesù era stato assunto in cielo, Pietro parlò agli altri e spiegò loro che, visto il tradimento di Giuda, era necessario fare qualcosa». E così proprio tra coloro che erano stati con Gesù, dal battesimo di Giovanni fino all’ascensione, scelsero «un testimone “con noi” — dice Pietro — della risurrezione». Ecco, ha proseguito il Papa, che «il posto di Giuda viene occupato, viene preso da Mattia: è stato eletto Mattia».
Poi «la liturgia della Chiesa, riferendosi ad «alcune espressioni di Paolo», chiama i dodici «le colonne della Chiesa». Sì, ha affermato il Pontefice, «gli apostoli sono le colonne della Chiesa. E i vescovi sono colonne della Chiesa. Quella elezione di Mattia è stata la prima ordinazione episcopale della Chiesa».
«Mi piacerebbe oggi dire qualche parola sui vescovi» ha confidato Francesco. «Noi vescovi abbiamo questa responsabilità di essere testimoni: testimoni che il Signore Gesù è vivo, che il Signore Gesù è risorto, che il Signore Gesù cammina con noi, che il Signore Gesù ci salva, che il Signore Gesù ha dato la sua vita per noi, che il Signore Gesù è la nostra speranza, che il Signore Gesù ci accoglie sempre e ci perdona». Ecco «la testimonianza». Di conseguenza, ha proseguito, «la nostra vita dev’essere questo: una testimonianza, una vera testimonianza della risurrezione di Cristo».
E quando Gesù, come racconta Marco, fa «questa scelta» dei dodici, ha due ragioni. Anzitutto «perché stessero con Lui». Perciò «il vescovo ha l’obbligo di stare con Gesù». Sì, «è il primo obbligo del vescovo: stare con Gesù». Ed è vero «a tal punto che quando è sorto, ai primi tempi, il problema che gli orfani e le vedove non erano ben curati, i vescovi — questi dodici — si sono radunati, e hanno pensato a cosa fare». E «hanno introdotto la figura dei diaconi, dicendo: “Che i diaconi si occupino degli orfani, delle vedove”». Mentre ai dodici, «dice Pietro», spettano «due compiti: la preghiera e l’annuncio del Vangelo».
Dunque, ha rilanciato Francesco, «il primo compito del vescovo è stare con Gesù nella preghiera». Infatti «il primo compito del vescovo non è fare piani pastorali... no, no!». È «pregare: questo è il primo compito». Mentre «il secondo compito è essere testimone, cioè predicare: predicare la salvezza che il Signore Gesù ci ha portato».
Sono «due compiti non facili — ha riconosciuto il Pontefice — ma sono propriamente questi due compiti che fanno forte le colonne della Chiesa». Infatti «se queste colonne si indeboliscono, perché il vescovo non prega o prega poco, si dimentica di pregare; o perché il vescovo non annuncia il Vangelo, si occupa di altre cose, la Chiesa anche si indebolisce; soffre. Il popolo di Dio soffre». Proprio «perché le colonne sono deboli».
Per questa ragione, ha affermato Francesco, «io vorrei oggi invitare voi a pregare per noi vescovi: perché anche noi siamo peccatori, anche noi abbiamo debolezze, anche noi abbiamo il pericolo di Giuda: anche lui era stato eletto come colonna». Sì, ha proseguito, «anche noi corriamo il pericolo di non pregare, di fare qualcosa che non sia annunciare il Vangelo e scacciare i demoni». Di qui, ha ribadito il Papa, l’invito a «pregare perché i vescovi siano quello che Gesù voleva e che tutti noi diamo testimonianza della risurrezione di Gesù».
Del resto, ha aggiunto, «il popolo di Dio prega per i vescovi, in ogni messa si prega per i vescovi: si prega per Pietro, il capo del collegio episcopale, e si prega per il vescovo del luogo». Ma «questo può non essere abbastanza: si dice il nome per abitudine e si va avanti». È importante «pregare per il vescovo con il cuore, chiedere al Signore: “Signore, abbi cura del mio vescovo; abbi cura di tutti i vescovi, e mandaci vescovi che siano veri testimoni, vescovi che preghino e vescovi che ci aiutino, con la loro predica, a capire il Vangelo, a essere sicuri che Tu, Signore, sei vivo, sei fra noi”».
Prima di riprendere la celebrazione, il Papa ha suggerito, nuovamente, di pregare «dunque per i nostri vescovi: è un compito dei fedeli». Infatti «la Chiesa senza vescovo non può andare avanti». Ecco, allora, che «la preghiera di tutti noi per i nostri vescovi è un obbligo, ma un obbligo d’amore, un obbligo dei figli nei confronti del Padre, un obbligo di fratelli, perché la famiglia rimanga unita nella confessione di Gesù Cristo, vivo e risorto».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 23/01/2016]
«The Russian mystics of the first centuries of the Church gave advice to their disciples, the young monks: in the moment of spiritual turmoil take refuge under the mantle of the holy Mother of God». Then «the West took this advice and made the first Marian antiphon “Sub tuum Praesidium”: under your cloak, in your custody, O Mother, we are sure there» (Pope Francis)
«I mistici russi dei primi secoli della Chiesa davano un consiglio ai loro discepoli, i giovani monaci: nel momento delle turbolenze spirituali rifugiatevi sotto il manto della santa Madre di Dio». Poi «l’occidente ha preso questo consiglio e ha fatto la prima antifona mariana “Sub tuum praesidium”: sotto il tuo mantello, sotto la tua custodia, o Madre, lì siamo sicuri» (Papa Francesco)
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
The basis of Christian construction is listening to and the fulfilment of the word of Christ (Pope John Paul II)
Alla base della costruzione cristiana c’è l’ascolto e il compimento della parola di Cristo (Papa Giovanni Paolo II)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)
The first constitutive element of the group of Twelve is therefore an absolute attachment to Christ: they are people called to "be with him", that is, to follow him leaving everything. The second element is the missionary one, expressed on the model of the very mission of Jesus (Pope John Paul II)
don Giuseppe Nespeca
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