Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Cari fratelli e sorelle!
Siamo ormai nel cuore dell’estate, almeno nell’emisfero boreale. E’ questo il tempo in cui sono chiuse le scuole e si concentra la maggior parte delle ferie. Anche le attività pastorali delle parrocchie sono ridotte, e io stesso ho sospeso per un periodo le udienze. E’ dunque un momento favorevole per dare il primo posto a ciò che effettivamente è più importante nella vita, vale a dire l’ascolto della Parola del Signore. Ce lo ricorda anche il Vangelo di questa domenica, con il celebre episodio della visita di Gesù a casa di Marta e Maria, narrato da san Luca (10,38-42).
Marta e Maria sono due sorelle; hanno anche un fratello, Lazzaro, che però in questo caso non compare. Gesù passa per il loro villaggio e – dice il testo – Marta lo ospitò (cfr 10,38). Questo particolare lascia intendere che, delle due, Marta è la più anziana, quella che governa la casa. Infatti, dopo che Gesù si è accomodato, Maria si mette a sedere ai suoi piedi e lo ascolta, mentre Marta è tutta presa dai molti servizi, dovuti certamente all’Ospite eccezionale. Ci sembra di vedere la scena: una sorella che si muove indaffarata, e l’altra come rapita dalla presenza del Maestro e dalle sue parole. Dopo un po’ Marta, evidentemente risentita, non resiste più e protesta, sentendosi anche in diritto di criticare Gesù: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Marta vorrebbe addirittura insegnare al Maestro! Invece Gesù, con grande calma, risponde: “Marta, Marta – e questo nome ripetuto esprime l’affetto –, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (10,41-42). La parola di Cristo è chiarissima: nessun disprezzo per la vita attiva, né tanto meno per la generosa ospitalità; ma un richiamo netto al fatto che l’unica cosa veramente necessaria è un’altra: ascoltare la Parola del Signore; e il Signore in quel momento è lì, presente nella Persona di Gesù! Tutto il resto passerà e ci sarà tolto, ma la Parola di Dio è eterna e dà senso al nostro agire quotidiano.
Cari amici, come dicevo, questa pagina di Vangelo è quanto mai intonata al tempo delle ferie, perché richiama il fatto che la persona umana deve sì lavorare, impegnarsi nelle occupazioni domestiche e professionali, ma ha bisogno prima di tutto di Dio, che è luce interiore di Amore e di Verità. Senza amore, anche le attività più importanti perdono di valore, e non danno gioia. Senza un significato profondo, tutto il nostro fare si riduce ad attivismo sterile e disordinato. E chi ci dà l’Amore e la Verità, se non Gesù Cristo? Impariamo dunque, fratelli, ad aiutarci gli uni gli altri, a collaborare, ma prima ancora a scegliere insieme la parte migliore, che è e sarà sempre il nostro bene più grande.
[Papa Benedetto, Angelus 18 luglio 2010]
Abbiamo appena letto nel Vangelo secondo Luca l’episodio dell’ospitalità concessa a Gesù da Marta e Maria. Queste due sorelle, nella storia della spiritualità cristiana, sono state intese come figure emblematiche riferite, rispettivamente, all’azione e alla contemplazione: Marta è occupatissima nei lavori di casa, mentre Maria è seduta ai piedi di Gesù per ascoltare la sua parola. Possiamo cogliere, da questo testo evangelico, due lezioni.
Innanzitutto, va notata la frase finale di Gesù: “Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”. Egli sottolinea così, con forza, il valore fondamentale ed insostituibile che, per la nostra esistenza, ha l’ascolto della Parola di Dio: essa dev’essere il nostro costante punto di riferimento, la nostra luce e la nostra forza. Ma occorre ascoltarla.
Occorre saper fare silenzio, creare spazi di solitudine o, meglio, di incontro riservato ad un’intimità col Signore. Occorre saper contemplare. L’uomo d’oggi sente molto il bisogno di non limitarsi alle pure preoccupazioni materiali, e di integrare invece la propria cultura tecnica con superiori e disintossicanti apporti provenienti dal mondo dello spirito. Purtroppo la nostra vita quotidiana rischia o addirittura esperimenta casi, più o meno diffusi, di inquinamento interiore. Ma il contatto di fede con la parola del Signore ci purifica, ci eleva e ci ridona energia.
Perciò, bisogna che conserviamo sempre davanti agli occhi del cuore il mistero dell’amore, con cui Dio ci è venuto incontro nel Figlio suo, Gesù Cristo: l’oggetto della nostra contemplazione è tutto qui, e di qui proviene la nostra salvezza, il riscatto da ogni forma di alienazione e soprattutto da quella del peccato. In sostanza, siamo invitati a fare come l’altra Maria, la Madre di Gesù, la quale “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). È a questa condizione che non saremo uomini a una sola dimensione, ma ricchi della stessa grandezza di Dio.
Ma c’è una seconda lezione da imparare; ed è che non dobbiamo mai vedere un contrasto tra l’azione e la contemplazione. Infatti, leggiamo nel Vangelo che fu “Marta” (e non Maria) ad accogliere Gesù “nella sua casa”. Del resto, la Prima Lettura di oggi ci suggerisce l’armonia fra le due cose: l’episodio dell’ospitalità concessa da Abramo ai tre misteriosi personaggi inviati dal Signore, i quali, secondo una antica interpretazione, sono addirittura immagine della Santa Trinità, ci insegna che anche con i nostri più minuti lavori quotidiani possiamo servire il Signore e stare a contatto con lui. E, poiché ricorre quest’anno il XV centenario della nascita di San Benedetto, ricordiamo il suo celebre motto: “Prega e lavora”, Ora et labora! Queste parole contengono un intero programma: non di opposizione ma di sintesi, non di contrasto ma di fusione tra due elementi ugualmente importanti.
Ne consegue per noi un ammaestramento molto concreto, che si può esprimere in forma interrogativa: fino a che punto siamo capaci di vedere nella contemplazione e nella preghiera un momento di autentica carica per i nostri quotidiani impegni? e, d’altra parte, fino a che punto siamo capaci di innervare fin nell’intimo il nostro lavoro con una lievitante comunione col Signore? Queste domande possono servire per un esame di coscienza e diventare stimolo per una ripresa della nostra vita di ogni giorno, che sia insieme più contemplativa e più attiva.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia 20 luglio 1980]
Nel Vangelo odierno l’evangelista Luca racconta di Gesù che, mentre è in cammino verso Gerusalemme, entra in un villaggio ed è accolto a casa di due sorelle: Marta e Maria (cfr Lc 10,38-42). Entrambe offrono accoglienza al Signore, ma lo fanno in modi diversi. Maria si mette seduta ai piedi di Gesù e ascolta la sua parola (cfr v. 39), invece Marta è tutta presa dalle cose da preparare; e a un certo punto dice a Gesù: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (v. 40). E Gesù le risponde: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (vv. 41-42).
Nel suo affaccendarsi e darsi da fare, Marta rischia di dimenticare - e questo è il problema - la cosa più importante, cioè la presenza dell’ospite, che era Gesù in questo caso. Si dimentica della presenza dell’ospite. E l’ospite non va semplicemente servito, nutrito, accudito in ogni maniera. Occorre soprattutto che sia ascoltato. Ricordate bene questa parola: ascoltare! Perché l’ospite va accolto come persona, con la sua storia, il suo cuore ricco di sentimenti e di pensieri, così che possa sentirsi veramente in famiglia. Ma se tu accogli un ospite a casa tua e continui a fare le cose, lo fai sedere lì, muto lui e muto tu, è come se fosse di pietra: l’ospite di pietra. No. L’ospite va ascoltato. Certo, la risposta che Gesù dà a Marta – quando le dice che una sola è la cosa di cui c’è bisogno – trova il suo pieno significato in riferimento all’ascolto della parola di Gesù stesso, quella parola che illumina e sostiene tutto ciò siamo e che facciamo. Se noi andiamo a pregare - per esempio - davanti al Crocifisso, e parliamo, parliamo, parliamo e poi ce ne andiamo, non ascoltiamo Gesù! Non lasciamo parlare Lui al nostro cuore. Ascoltare: questa è la parola-chiave. Non dimenticatevi! E non dobbiamo dimenticare che nella casa di Marta e Maria, Gesù, prima di essere Signore e Maestro, è pellegrino e ospite. Dunque, la sua risposta ha questo primo e più immediato significato: “Marta, Marta, perché ti dai tanto da fare per l’ospite fino a dimenticare la sua presenza? - L’ospite di pietra! - Per accoglierlo non sono necessarie molte cose; anzi, necessaria è una cosa sola: ascoltarlo - ecco la parola: ascoltarlo -, dimostrargli un atteggiamento fraterno, in modo che si accorga di essere in famiglia, e non in un ricovero provvisorio”.
Così intesa, l’ospitalità, che è una delle opere di misericordia, appare veramente come una virtù umana e cristiana, una virtù che nel mondo di oggi rischia di essere trascurata. Infatti, si moltiplicano le case di ricovero e gli ospizi, ma non sempre in questi ambienti si pratica una reale ospitalità. Si dà vita a varie istituzioni che provvedono a molte forme di malattia, di solitudine, di emarginazione, ma diminuisce la probabilità per chi è straniero, emarginato, escluso di trovare qualcuno disposto ad ascoltarlo: perché è straniero, profugo, migrante, ascoltare quella dolorosa storia. Persino nella propria casa, tra i propri familiari, può capitare di trovare più facilmente servizi e cure di vario genere che ascolto e accoglienza. Oggi siamo talmente presi, con frenesia, da tanti problemi - alcuni dei quali non importanti - che manchiamo della capacità di ascolto. Siamo indaffarati continuamente e così non abbiamo tempo per ascoltare. E io vorrei domandare a voi, farvi una domanda, ognuno risponda nel proprio cuore: tu, marito, hai tempo per ascoltare tua moglie? E tu, donna, hai tempo per ascoltare tuo marito? Voi genitori, avete tempo, tempo da “perdere”, per ascoltare i vostri figli? o i vostri nonni, gli anziani? – “Ma i nonni dicono sempre le stesse cose, sono noiosi…” – Ma hanno bisogno di essere ascoltati! Ascoltare. Vi chiedo di imparare ad ascoltare e di dedicarvi più tempo. Nella capacità di ascolto c’è la radice della pace.
La Vergine Maria, Madre dell’ascolto e del servizio premuroso, ci insegni ad essere accoglienti e ospitali verso i nostri fratelli e le nostre sorelle.
[Papa Francesco, Angelus 17 luglio 2016]
Per una leggerezza senza maschere
(Mt 12,14-21)
Le autorità condannano Gesù a morte. Le persone minute lo aspettano, lo attendono come unica speranza.
Sentono che c’è ancora molto da trovare, e che solo Lui può ispirare il loro agire, così aprirli alla Rinascita.
Intuiscono sintonia col giovane Maestro che ha scelto il loro ceto sociale, quello dei malfermi, ritenuto sbagliato e sconcertante.
La vita dura e soffocata dei Piccoli ha insegnato loro ad essere sempre pronti alle sorprese, ad azioni nuove; perfino a crisi destabilizzanti.
Modo migliore per rimanere agganciati alla vita e alla possibilità stessa di realizzarla, attivandola dal Nascondimento.
Nel clamore e nell’approvazione sociale, che nega i problemi, la loro Missione resterebbe falsata.
Mentre l’esteriorità dei leaders non cede alla dedizione, allo spezzarsi - anche dal proprio intimo. Così non diventa coscienza nuova.
Malati di grandezza e bramosi di tranquillità, i capi politici e religiosi antichi proiettano nell’idea del Messia il loro essere doppio, corrotto e artificioso, solo appariscente.
Incapace di misurarsi con il sommario - e mettersi a disposizione.
Non capiscono la Forza discreta del Signore, la sua energia sapiente [e stile dimesso] dai vantaggi duraturi.
Essi sono disposti a stordire la gente avvilita, e lo fanno volentieri con modelli, paragoni, bilanci, formule vuote, e incitamenti stracolmi di riserve.
Ma restano a distanza di sicurezza per quanto concerne il convivere, condividere, e rallegrarne la vita.
Continuano a sentenziare ma senza dare nulla, tantomeno porgendo se stessi - e convertirsi ai poveri, se non per manipolarli.
La loro avversione a Cristo - venuto per il riscatto delle «moltitudini» (vv.15.18.21) - va appunto a cozzare con l’incessante bisogno della gente.
Le persone conoscono il proprio tessuto di fango tutto reale, e desiderano un’emancipazione.
Senza sotterfugi, si presentano privi di maschere.
Oggi come allora il Silenzio dell’Unto del Signore [non manipolato] si ripropone nei suoi testimoni autentici - vincendo la tentazione dello spettacolare.
Superando la mania dello straordinario; di ciò che è propaganda e pubblicità a fini di proselitismo e tornaconto.
Dio sa che il lato Ombra è profezia e germe di futuro: la parte migliore del suo popolo, e di noi stessi.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Ci sono persone ambigue inclini a valorizzare interventi normalizzati, che ritengono la tua Missione falsata dal Silenzio?
Ritieni tu stesso che la tua realizzazione sia soffocata dal Nascondimento? O viceversa attivata?
[Sabato 15.a sett. T.O. 19 Luglio 2025]
Per una leggerezza senza maschere
(Mt 12,14-21)
«Non litigherà né sgriderà, né alcuno udrà nelle piazze la sua voce. Una canna incrinata non spezzerà e un lucignolo fumigante non spegnerà, finché non abbia condotto a vittoria il giudizio. E nel suo nome spereranno le nazioni» (Mt 12,19-20).
Le autorità condannano Gesù a morte, perché Egli ha osato smascherare la malignità dei loro espedienti mercenari (arte in cui sono maestri).
Invece di farsi educatrici, le guide della religiosità ufficiale restano protagoniste d’una struttura piramidale, opprimente.
Gli estromessi e respinti - invece - alienati e reietti dalla società e dal giro dei “grandi”, si presentano al Signore senza maschere, con tante insicurezze e malanni.
Colgono che l’essere umanizzante e divino permane esattamente contrario a quello di chi li rappresenta. Secondo quel che il popolo sperava in cuore, senza sotterfugi; a disposizione.
Non un padrone onnipotente, che rendesse più comodo e prestigioso il cammino degli eletti.
Viceversa, perché molti sono i problemi quotidiani e interiori che meritano maggiore Presenza.
I “migliori” del mondo (anche pio) beffeggiano il Volto del Padre. Le persone minute lo aspettano, lo attendono come unica speranza.
Sentono che c’è ancora molto da trovare, e che solo Lui può ispirare il loro agire, così aprirli alla Rinascita.
Intuiscono sintonia col giovane Maestro che ha scelto il loro ceto sociale, quello dei malfermi, ritenuto sbagliato e sconcertante, ma che ogni giorno si ripropone lo stesso problema di Dio in modo schietto.
Sentirsi persona e lasciarsi liberare è motivo di tutta la storia sacra: frutto di Esodo che spezza legami delimitati.
Li sfalda, perché addirittura predilige l’andirivieni itinerante dell’inesperto che cerca e si lascia mettere in discussione - contrario del falsato “permanere insediati”.
Ciò che non si fa di tonalità affettiva e peso emotivo profondo, eppure chiede in continuazione di essere preso in carico e in coscienza.
La vita dura e soffocata dei Piccoli ha insegnato loro ad essere sempre pronti alle sorprese, ad azioni nuove; perfino a crisi destabilizzanti.
Modo migliore per rimanere agganciati alla vita e alla possibilità stessa di realizzarla, attivandola dal Nascondimento.
Nel clamore e nell’approvazione sociale, che nega i problemi, la loro Missione resterebbe falsata.
Mentre l’esteriorità dei leaders non cede alla dedizione, allo spezzarsi - anche dal proprio intimo.
Così non diventa coscienza nuova.
Malati di grandezza e bramosi di tranquillità, i capi politici e religiosi antichi proiettano nell’idea del Messia il loro essere doppio, corrotto e artificioso, solo appariscente.
Incapace di misurarsi con il sommario.
Non capiscono la Forza discreta del Signore, la sua energia sapiente (e stile dimesso), dai vantaggi duraturi.
Essi sono disposti a stordire la gente avvilita, e lo fanno volentieri con modelli, paragoni, bilanci, formule vuote, e incitamenti stracolmi di riserve.
Ma restano a distanza di sicurezza per quanto concerne il convivere, condividere, e rallegrarne la vita.
Continuano a sentenziare ma senza dare nulla, tantomeno porgendo se stessi - e convertirsi ai poveri, senza manipolarli.
La loro avversione a Cristo - venuto per il riscatto delle «moltitudini» (vv.15.18.21) - va appunto a cozzare con l’incessante bisogno della gente.
Le persone conoscono il proprio tessuto di fango tutto reale, e desiderano un’emancipazione.
Oggi come allora il Silenzio del vero Unto del Signore [che si ripropone nei suoi testimoni autentici] vince la tentazione dello spettacolare.
Supera la mania dello straordinario; di ciò che è propaganda e pubblicità a fini di proselitismo e moneta.
Anche noi conserviamo le caratteristiche dell’Opera del Maestro, di cui proseguiamo l’Azione universalmente benefica.
Desideriamo corrispondere, nella discrezione e piccola semplicità di una vita ignota, ma di prospettiche vedute.
Dio sa che il lato Ombra è talora la parte migliore del suo popolo, e di noi.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Ci sono persone ambigue inclini a valorizzare interventi normalizzati - ovvero prodigiosi - che ritengono la tua Missione falsata dal Silenzio?
Ritieni tu stesso che la tua realizzazione sia soffocata dal Nascondimento? O viceversa attivata?
A questo punto vorrei ringraziare di vero cuore anche tutte le numerose persone in tutto il mondo, che nelle ultime settimane mi hanno inviato segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera. Sì, il Papa non è mai solo, ora lo sperimento ancora una volta in un modo così grande che tocca il cuore. Il Papa appartiene a tutti e tantissime persone si sentono molto vicine a lui. E’ vero che ricevo lettere dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino. Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi! […]
Ringrazio tutti e ciascuno anche per il rispetto e la comprensione con cui avete accolto questa decisione così importante. Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che vorrei vivere sempre.
[Papa Benedetto, Udienza Generale 27 febbraio 2013]
Egli è Figlio, e si è fatto “servo”!
Ne parla esplicitamente l’odierna liturgia con le parole del libro di Isaia: “Ecco il mio servo che io sostengo, / il mio eletto in cui mi compiaccio. / Ho posto il mio spirito su di lui; / egli porterà il diritto alle nazioni” (Is 42, 1).
Gesù Cristo: Figlio che si è fatto servo. Il Battesimo nel Giordano lo riconferma pienamente: Gesù si presenta a Giovanni per farsi battezzare; ma questi cerca di impedirglielo dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?” (Mt 3, 14).
Come se volesse dire: “Proprio tu che sei il fautore della Grazia salvifica e signore della nostra salvezza”. Gesù tuttavia risponde: “Lascia fare per ora poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia” (Mt 3, 15).
Gesù riceve il Battesimo da Giovanni: il Battesimo di penitenza. In questo modo manifesta se stesso come servo della nostra redenzione. Viene come Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo (cf. Gv 1, 29.36). Porta in sé la volontà dell’obbedienza al Padre fino alla morte.
Viene come colui che “non spezzerà una canna incrinata, / non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42, 3).
[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 13 gennaio 1985]
Quando facciamo prevalere la comodità dell’abitudine e la dittatura dei pregiudizi, è difficile aprirsi alla novità e lasciarsi stupire. Noi controlliamo, con l’abitudine, con i pregiudizi. Finisce che spesso dalla vita, dalle esperienze e perfino dalle persone cerchiamo solo conferme alle nostre idee e ai nostri schemi, per non dover mai fare la fatica di cambiare. E questo può succedere anche con Dio, proprio a noi credenti, a noi che pensiamo di conoscere Gesù, di sapere già tanto di Lui e che ci basti ripetere le cose di sempre. E questo non basta, con Dio. Ma senza apertura alla novità e soprattutto – ascoltate bene – apertura alle sorprese di Dio, senza stupore, la fede diventa una litania stanca che lentamente si spegne e diventa un’abitudine, un’abitudine sociale. Ho detto una parola: lo stupore. Cos’è, lo stupore? Lo stupore è proprio quando succede l’incontro con Dio: “Ho incontrato il Signore”. Leggiamo il Vangelo: tante volte, la gente che incontra Gesù e lo riconosce, sente lo stupore. E noi, con l’incontro con Dio, dobbiamo andare su questa via: sentire lo stupore. È come il certificato di garanzia che quell’incontro è vero, non è abitudinario.
Alla fine, perché i compaesani di Gesù non lo riconoscono e non credono in Lui? Perché? Qual è il motivo? Possiamo dire, in poche parole, che non accettano lo scandalo dell’Incarnazione. Non lo conoscono, questo mistero dell’Incarnazione, ma non accettano il mistero. Non lo sanno, ma il motivo è inconsapevole e sentono che è scandaloso che l’immensità di Dio si riveli nella piccolezza della nostra carne, che il Figlio di Dio sia il figlio del falegname, che la divinità si nasconda nell’umanità, che Dio abiti nel volto, nelle parole, nei gesti di un semplice uomo. Ecco lo scandalo: l’incarnazione di Dio, la sua concretezza, la sua “quotidianità”. E Dio si è fatto concreto in un uomo, Gesù di Nazaret, si è fatto compagno di strada, si è fatto uno di noi. “Tu sei uno di noi”: dirlo a Gesù, è una bella preghiera! E perché è uno di noi ci capisce, ci accompagna, ci perdona, ci ama tanto. In realtà, è più comodo un dio astratto, distante, che non si immischia nelle situazioni e che accetta una fede lontana dalla vita, dai problemi, dalla società. Oppure ci piace credere a un dio “dagli effetti speciali”.
[Papa Francesco, Angelus 4 luglio 2021]
Incarnazione, o vuoto d’umanità
(Mt 12,1-8)
Nel cammino di conversione i conflitti di coscienza non sono parentesi o incidenti di percorso, ma nodi cruciali.
La genuinità del credere genera poi forza implicativa e nuove capacità espressive.
L’alternativa è fra Intimità e pratica di Fede, o la religione che condanna persone senza colpe (v.7):
Secondo valutazioni religiose ordinarie, la normativa valeva più della fame... ma l’esperienza di Dio nella vita capovolge le idee elaborate dagli esperti.
A dirla tutta, l’osservanza del sabato era divenuta una legge centrale non per delle sottigliezze teologiche, ma perché nel periodo dell’Esilio il riposo settimanale aveva consentito di riunirsi, condividere speranze, incoraggiarsi, mantenere l'identità di popolo.
Ma il legalismo finì per soffocare lo spirito del giorno di culto, un tempo segno di una libertà a servizio della fede e dell’uomo, entrambi non asservibili.
Così dove giunge Gesù si sgretola ogni modulo spirituale vuoto di umanità, e prende piede l’Incarnazione: il luogo in cui Dio e l’uomo ‘riposano’ sul serio [altro che sabato!].
Quindi il Signore cita il profeta Osea, uomo dall’esperienza cruda, ma che ben definisce la vetta dell’intimità con Dio: Rito autentico è accorgersi dei bisogni del prossimo e avere il cuore nell’altrui necessità.
Il «sacrificio» [‘sacrum facere’, rendere sacro] arcaico rifletteva un’idea di taglio, separazione e distanza fra mondo perfetto del “cielo” e vita profana delle persone.
Ma dopo la venuta del «Figlio dell’uomo» (v.8) i nuovi consacrati non vivranno lontani dall’esistere sommario.
Saranno piuttosto i primi ad accogliere e sollevare coloro che soffrono necessità.
Segno dell’Alleanza con Dio, e Incontro [santificazione autentica] è l’aderire che continua nella trama dei giorni.
Dopo l’Inno di Giubilo Messianico e la «Letizia dei semplici» che soppianta il «giogo» della religione antica (Mt 11,25-30) il Maestro si presenta ai farisei nella controfigura regale di Davide, che s’accinge alla conquista del Regno alternativo, anche con un piccolo manipolo di seguaci.
Alla schiavitù delle costumanze, Cristo oppone una scioltezza che rende più agile, più spontaneo, più ricco e personale l’incontro fra Dio e il suo popolo.
Una scia di luce - anche per noi - di fronte all’attuale tracollo pastorale (malgrado la pletora di strutture sul territorio!).
Nel tempo della crisi globale che sembra ipotecare il futuro [e ancora si tenta di calcolarlo dirigendolo a priori, secondo interessi selettivi] la sfida è più che mai aperta.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come hai percepito di rivivere Cristo nella scioltezza delle norme?
[Venerdì 15.a sett. T.O. 18 Luglio 2025]
Incarnazione a pro di sé e del mondo, o il modulo spirituale vuoto d’umanità
(Mt 12,1-8)
Nel cammino di conversione i conflitti di coscienza non sono parentesi o incidenti di percorso, ma nodi cruciali.
La genuinità del credere genera poi forza implicativa e nuove capacità espressive.
L’alternativa è fra Intimità e pratica di Fede, o la religione che condanna persone senza colpe (v.7):
Secondo valutazioni religiose ordinarie, la normativa valeva più della fame...
Sì, c’è molto da dialogare, semplicemente, ma poco da discutere: l’esperienza di Dio nella vita capovolge le idee elaborate dagli esperti.
A dirla tutta, l’osservanza del sabato era divenuta una legge centrale non per delle sottigliezze teologiche, ma perché nel periodo dell’Esilio il riposo settimanale aveva consentito di riunirsi, condividere speranze, incoraggiarsi, mantenere l'identità di popolo.
Ma il legalismo finì per soffocare lo spirito del giorno di culto, un tempo segno di una libertà a servizio della fede e dell’uomo, entrambi non asservibili.
Così dove giunge Gesù si sgretola ogni modulo spirituale vuoto di umanità, e prende piede l’Incarnazione: il luogo in cui Dio e l’uomo riposano sul serio [altro che sabato!].
Cartina al tornasole dell’irrompere del Regno novello è l’accendersi dei contrasti coi capi, responsabili, intellettuali di corte e dirigenti!
Essi costruivano il proprio prestigio su un coacervo di falsi insegnamenti, i quali nulla avevano a che vedere con l’obiettivo della Legge divina.
Cane non mangia cane, quindi gli attaccabrighe della tradizione e delle disposizioni non si erano mai espressi sul comportamento trasgressivo di Davide.
Capita che i padroni del vapore ed i poco raccomandabili fondamentalisti non vadano l’uno contro l'altro...
Nel giorno di sabato i sacerdoti avevano molti più impegni sacrali e di preparazione, macellazione e riordino del Santuario, rispetto agli altri giorni della settimana, e la Torah li obbligava... succede anche a noi.
Quindi il Signore cita il profeta Osea, uomo dall’esperienza cruda, ma che ben definisce la vetta dell’intimità con Dio: Rito autentico è accorgersi dei bisogni del prossimo e avere il cuore nell’altrui necessità.
Il “sacrificio” [sacrum facere, rendere sacro] arcaico rifletteva un’idea di taglio, separazione e distanza fra mondo perfetto del “cielo” e vita profana delle persone.
Ma dopo la venuta del «Figlio dell’uomo» (v.8) i nuovi consacrati non vivranno appartati, sopra le righe, lontani dall’esistere sommario.
Saranno piuttosto i primi ad accogliere e sollevare coloro che soffrono necessità.
Cristo mette in rilievo la povertà d’ogni attaccamento legalista e ipocrita nel modo di concepire i rapporti col Padre.
Segno dell’Alleanza con Dio, e Incontro (santificazione autentica) è l’aderire che continua nella trama dei giorni e nella sua Persona attiva - non una ridicola idolatria delle osservanze o di parentesi cultuali.
Fatti e riti celebrano l’amore; e l’adempimento schietto non ricalca il pedante “come dovremmo essere”, bensì esprime una Liberazione della persona.
L’episodio biblico che Gesù cita poteva forse apparire non del tutto pertinente alla questione teorica: i suoi discepoli non sembravano re e neppure sacerdoti.
Invece nel tempo nuovo che urge, sì: “sovrani” della propria vita per Dono e Chiamata, nonché “mediatori” [delle benedizioni divine sull’umanità] - e anche Profeti.
Quelli autentici non faranno più il doppio gioco dei vecchi teatranti, suscettibili professionisti del sacro - né condanneranno innocenti e bisognosi (v.7).
In Mc 2,27 Gesù relativizza il comandamento: «Il sabato avvenne [è stato istituito, ha il suo senso] per l’uomo, e non l’uomo per il sabato».
Il Dio amabile allaccia con noi un dialogo e un’amicizia che invita, dà slancio, dona gusto di fare.
Scrive il Tao Tê Ching (xiii):
«A chi di sé fa pregio a pro del mondo, si può affidare il mondo. A chi di sé ha cura a pro del mondo, si può confidare il mondo».
Alla schiavitù delle costumanze, Cristo oppone una scioltezza che rende più agile, più spontaneo, più ricco e personale l’incontro fra Dio e il suo popolo.
È l’esito d’una coscienza messianica appunto da «Figlio dell’uomo» (v.8): maggiore del Tempio (v.6) perché incarnata.
In tal guisa, trasmissibile a noi, suoi fratelli e amici - a Lui unitissimi e intimi per Fede.
Dopo l’Inno di Giubilo Messianico e la “Letizia dei semplici” che soppianta il «giogo» della religione antica (Mt 11,25-30) il Maestro si presenta ai farisei nella controfigura regale di Davide, che s’accinge alla conquista del “Regno” alternativo, anche con un piccolo manipolo di seguaci.
Una scia di luce - anche per noi - di fronte all’attuale tracollo pastorale (malgrado la pletora di strutture sul territorio!).
Nel tempo della crisi globale che sembra ipotecare il futuro (ancora si tenta di calcolarlo dirigendolo a priori, secondo interessi selettivi) la sfida è più che mai aperta.
La contrapposizione sulla Giustizia
«È proprio per questa personale esperienza del rapporto con Gesù Cristo che Paolo colloca ormai al centro del suo Vangelo un’irriducibile opposizione tra due percorsi alternativi verso la giustizia: uno costruito sulle opere della Legge, l’altro fondato sulla grazia della fede in Cristo. L’alternativa fra la giustizia per le opere della Legge e quella per la fede in Cristo diventa così uno dei motivi dominanti che attraversano le sue Lettere: “Noi, che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori, sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato per le opere della Legge, ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù, per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno” (Gal 2,15-16). E ai cristiani di Roma ribadisce che “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù (Rm 3,23-24). E aggiunge “Noi riteniamo, infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge” (Ibid 28). Lutero a questo punto tradusse: “giustificato per la sola fede”. Ritornerò su questo punto alla fine della catechesi. Prima dobbiamo chiarire che cosa è questa “Legge” dalla quale siamo liberati e che cosa sono quelle “opere della Legge” che non giustificano. Già nella comunità di Corinto esisteva l’opinione che sarebbe poi ritornata sistematicamente nella storia; l’opinione consisteva nel ritenere che si trattasse della legge morale e che la libertà cristiana consistesse quindi nella liberazione dall’etica. Così a Corinto circolava la parola “πάντα μοι έξεστιν” (tutto mi è lecito). E’ ovvio che questa interpretazione è sbagliata: la libertà cristiana non è libertinismo, la liberazione della quale parla san Paolo non è liberazione dal fare il bene.
Ma che cosa significa dunque la Legge dalla quale siamo liberati e che non salva? Per san Paolo, come per tutti i suoi contemporanei, la parola Legge significava la Torah nella sua totalità, cioè i cinque libri di Mosè. La Torah implicava, nell’interpretazione farisaica, quella studiata e fatta propria da Paolo, un complesso di comportamenti che andava dal nucleo etico fino alle osservanze rituali e cultuali che determinavano sostanzialmente l’identità dell’uomo giusto. Particolarmente la circoncisione, le osservanze circa il cibo puro e generalmente la purezza rituale, le regole circa l’osservanza del sabato, ecc. Comportamenti che appaiono spesso anche nei dibattiti tra Gesù e i suoi contemporanei. Tutte queste osservanze che esprimono una identità sociale, culturale e religiosa erano divenute singolarmente importanti al tempo della cultura ellenistica, cominciando dal III secolo a.C. Questa cultura, che era diventata la cultura universale di allora, ed era una cultura apparentemente razionale, una cultura politeista, apparentemente tollerante, costituiva una pressione forte verso l’uniformità culturale e minacciava così l’identità di Israele, che era politicamente costretto ad entrare in questa identità comune della cultura ellenistica con conseguente perdita della propria identità, perdita quindi anche della preziosa eredità della fede dei Padri, della fede nell’unico Dio e nelle promesse di Dio.
Contro questa pressione culturale, che minacciava non solo l’identità israelitica, ma anche la fede nell’unico Dio e nelle sue promesse, era necessario creare un muro di distinzione, uno scudo di difesa a protezione della preziosa eredità della fede; tale muro consisteva proprio nelle osservanze e prescrizioni giudaiche. Paolo, che aveva appreso tali osservanze proprio nella loro funzione difensiva del dono di Dio, dell’eredità della fede in un unico Dio, ha visto minacciata questa identità dalla libertà dei cristiani: per questo li perseguitava. Al momento del suo incontro con il Risorto capì che con la risurrezione di Cristo la situazione era cambiata radicalmente. Con Cristo, il Dio di Israele, l’unico vero Dio, diventava il Dio di tutti i popoli. Il muro – così dice nella Lettera agli Efesini – tra Israele e i pagani non era più necessario: è Cristo che ci protegge contro il politesimo e tutte le sue deviazioni; è Cristo che ci unisce con e nell’unico Dio; è Cristo che garantisce la nostra vera identità nella diversità delle culture. Il muro non è più necessario, la nostra identità comune nella diversità delle culture è Cristo, ed è lui che ci fa giusti. Essere giusto vuol semplicemente dire essere con Cristo e in Cristo. E questo basta. Non sono più necessarie altre osservanze. Perciò l’espressione “sola fide” di Lutero è vera, se non si oppone la fede alla carità, all’amore. La fede è guardare Cristo, affidarsi a Cristo, attaccarsi a Cristo, conformarsi a Cristo, alla sua vita. E la forma, la vita di Cristo è l’amore; quindi credere è conformarsi a Cristo ed entrare nel suo amore. Perciò san Paolo nella Lettera ai Galati, nella quale soprattutto ha sviluppato la sua dottrina sulla giustificazione, parla della fede che opera per mezzo della carità (cfr Gal 5,14).
Paolo sa che nel duplice amore di Dio e del prossimo è presente e adempiuta tutta la Legge. Così nella comunione con Cristo, nella fede che crea la carità, tutta la Legge è realizzata. Diventiamo giusti entrando in comunione con Cristo che è l'amore».
[Papa Benedetto, Udienza Generale 19 novembre 2008]
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Hai sentito oppressioni o esclusioni in nome della Legge? Ritieni sia stato per aver offeso Dio oppure per aver osato scomodare qualcosa o messo in discussione qualcuno e il suo paradigma culturale?
Come hai percepito di rivivere Cristo nella scioltezza delle norme? Quali conflitti sono motivo di discussione e polemica ecclesiale che ritieni creino distacco e sofferenza intorno a te?
The disciples, already know how to pray by reciting the formulas of the Jewish tradition, but they too wish to experience the same “quality” of Jesus’ prayer (Pope Francis)
I discepoli, sanno già pregare, recitando le formule della tradizione ebraica, ma desiderano poter vivere anche loro la stessa “qualità” della preghiera di Gesù (Papa Francesco)
Saint John Chrysostom affirms that all of the apostles were imperfect, whether it was the two who wished to lift themselves above the other ten, or whether it was the ten who were jealous of them (“Commentary on Matthew”, 65, 4: PG 58, 619-622) [Pope Benedict]
San Giovanni Crisostomo afferma che tutti gli apostoli erano ancora imperfetti, sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro (cfr Commento a Matteo, 65, 4: PG 58, 622) [Papa Benedetto]
St John Chrysostom explained: “And this he [Jesus] says to draw them unto him, and to provoke them and to signify that if they would covert he would heal them” (cf. Homily on the Gospel of Matthew, 45, 1-2). Basically, God's true “Parable” is Jesus himself, his Person who, in the sign of humanity, hides and at the same time reveals his divinity. In this manner God does not force us to believe in him but attracts us to him with the truth and goodness of his incarnate Son [Pope Benedict]
Spiega San Giovanni Crisostomo: “Gesù ha pronunciato queste parole con l’intento di attirare a sé i suoi ascoltatori e di sollecitarli assicurando che, se si rivolgeranno a Lui, Egli li guarirà” (Comm. al Vang. di Matt., 45,1-2). In fondo, la vera “Parabola” di Dio è Gesù stesso, la sua Persona che, nel segno dell’umanità, nasconde e al tempo stesso rivela la divinità. In questo modo Dio non ci costringe a credere in Lui, ma ci attira a Sé con la verità e la bontà del suo Figlio incarnato [Papa Benedetto]
This belonging to each other and to him is not some ideal, imaginary, symbolic relationship, but – I would almost want to say – a biological, life-transmitting state of belonging to Jesus Christ (Pope Benedict)
Questo appartenere l’uno all’altro e a Lui non è una qualsiasi relazione ideale, immaginaria, simbolica, ma – vorrei quasi dire – un appartenere a Gesù Cristo in senso biologico, pienamente vitale (Papa Benedetto)
She is finally called by her name: “Mary!” (v. 16). How nice it is to think that the first apparition of the Risen One — according to the Gospels — took place in such a personal way! [Pope Francis]
Viene chiamata per nome: «Maria!» (v. 16). Com’è bello pensare che la prima apparizione del Risorto – secondo i Vangeli – sia avvenuta in un modo così personale! [Papa Francesco]
Jesus invites us to discern the words and deeds which bear witness to the imminent coming of the Father’s kingdom. Indeed, he indicates and concentrates all the signs in the enigmatic “sign of Jonah”. By doing so, he overturns the worldly logic aimed at seeking signs that would confirm the human desire for self-affirmation and power (Pope John Paul II)
Gesù invita al discernimento in rapporto alle parole ed opere, che testimoniano l'imminente avvento del Regno del Padre. Anzi, Egli indirizza e concentra tutti i segni nell'enigmatico "segno di Giona". E con ciò rovescia la logica mondana tesa a cercare segni che confermino il desiderio di autoaffermazione e di potenza dell'uomo (Papa Giovanni Paolo II)
Without love, even the most important activities lose their value and give no joy. Without a profound meaning, all our activities are reduced to sterile and unorganised activism (Pope Benedict)
don Giuseppe Nespeca
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