Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
2. L’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi di Paolo VI ricorda che il primo evangelizzatore è Cristo stesso.
Guardiamo alla luce dell’odierna pericope liturgica come si presenta un giorno (e una notte) dell’attività evangelizzatrice di Cristo.
Ci troviamo a Cafarnao.
Cristo esce dalla Sinagoga e, insieme con Giacomo e Giovanni, si reca alla casa di Simone e Andrea. Lì guarisce la suocera di Simone (Pietro), di modo che quella può subito alzarsi e servirli.
Dopo il tramonto del sole, vengono portati a Cristo “tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta” (Mc 1,32-33). Gesù non parla, ma compie la guarigione: “Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni”. Contemporaneamente, una significativa osservazione: “non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano” (Mc 1,34).
Forse tutto ciò si protrasse fino a tarda sera.
Di buon mattino Gesù è già in preghiera.
Viene Simone con i suoi compagni, per dirgli: “Tutti ti cercano” (Mc 1,37).
Ma Gesù risponde: “Andiamocene altrove per i villaggi vicini perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto” (Mc 1,38).
Leggiamo in seguito: “E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni” (Mc 1,39).
3. In sintesi, in base a quella giornata, trascorsa a Cafarnao, si può affermare che l’evangelizzazione condotta da Cristo stesso consiste nell’insegnamento sul regno di Dio e nel servizio ai sofferenti.
Gesù ha compiuto dei segni, e tutti questi si componevano nell’insieme di un Segno. In questo Segno i figli e le figlie del popolo, che avevano conosciuto l’immagine del Messia, descritto dai profeti e soprattutto da Isaia, possono scoprire senza difficoltà che “il regno di Dio è vicino”: ecco colui che “si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori” (Is 53,4).
Gesù non soltanto predica il Vangelo come hanno fatto tutti dopo di lui, ad esempio il meraviglioso Paolo, le cui parole abbiamo meditato poco fa. Gesù è il Vangelo!
Un grande capitolo nel suo servizio messianico è indirizzato a tutte le categorie della sofferenza umana: spirituali e fisiche.
7. Abbiamo letto nel Vangelo odierno che di buon mattino Gesù perseverava nella preghiera e venne a lui Simon Pietro e gli disse: “Tutti ti cercano”.
Come lontano successore di questo Pietro nella Sede romana, desidero ripetere a Cristo in mezzo alla vostra comunità parrocchiale queste parole: Signore, tutti ti cercano!
In queste parole trovi conferma, cari fratelli e sorelle, che voi fate “tutto per il Vangelo, per diventarne partecipi”.
Così sia!
[Papa Giovanni Paolo II, omelia 7 febbraio 1982]
Il Vangelo di questa domenica prosegue la descrizione di una giornata di Gesù a Cafarnao, un sabato, festa settimanale per gli ebrei (cfr Mc 1,21-39). Questa volta l’evangelista Marco mette in risalto il rapporto tra l’attività taumaturgica di Gesù e il risveglio della fede nelle persone che incontra. Infatti, con i segni di guarigione che compie per i malati di ogni tipo, il Signore vuole suscitare come risposta la fede.
La giornata di Gesù a Cafarnao incomincia con la guarigione della suocera di Pietro e termina con la scena della gente di tutta la cittadina che si accalca davanti alla casa dove Lui alloggiava, per portargli tutti i malati. La folla, segnata da sofferenze fisiche e da miserie spirituali, costituisce, per così dire, “l’ambiente vitale” in cui si attua la missione di Gesù, fatta di parole e di gesti che risanano e consolano. Gesù non è venuto a portare la salvezza in un laboratorio; non fa la predica da laboratorio, staccato dalla gente: è in mezzo alla folla! In mezzo al popolo! Pensate che la maggior parte della vita pubblica di Gesù è passata sulla strada, fra la gente, per predicare il Vangelo, per guarire le ferite fisiche e spirituali. E’ una umanità solcata da sofferenze, questa folla, di cui il Vangelo parla molte volte. È un’umanità solcata da sofferenze, fatiche e problemi: a tale povera umanità è diretta l’azione potente, liberatrice e rinnovatrice di Gesù. Così, in mezzo alla folla fino a tarda sera, si conclude quel sabato. E che cosa fa dopo, Gesù?
Prima dell’alba del giorno seguente, Egli esce non visto dalla porta della città e si ritira in un luogo appartato a pregare. Gesù prega. In questo modo sottrae anche la sua persona e la sua missione ad una visione trionfalistica, che fraintende il senso dei miracoli e del suo potere carismatico. I miracoli infatti sono “segni”, che invitano alla risposta della fede; segni che sempre sono accompagnati dalle parole, che li illuminano; e insieme, segni e parole, provocano la fede e la conversione per la forza divina della grazia di Cristo.
La conclusione del brano odierno (vv. 35-39) indica che l’annuncio del Regno di Dio da parte di Gesù ritrova il suo luogo più proprio nella strada. Ai discepoli che lo cercano per riportarlo in città – i discepoli sono andati a trovarlo dove Lui pregava e volevano riportarlo in città -, che cosa risponde Gesù? «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là» (v. 38). Questo è stato il cammino del Figlio di Dio e questo sarà il cammino dei suoi discepoli. E dovrà essere il cammino di ogni cristiano. La strada, come luogo del lieto annuncio del Vangelo, pone la missione della Chiesa sotto il segno dell’“andare”, del cammino, sotto il segno del “movimento” e mai della staticità.
La Vergine Maria ci aiuti ad essere aperti alla voce dello Spirito Santo, che spinge la Chiesa a porre sempre più la propria tenda in mezzo alla gente per recare a tutti la parola risanatrice di Gesù, medico delle anime e dei corpi.
[Papa Francesco, Angelus 4 febbraio 2018]
Predicare e Guarire
Predicare e guarire: questa è l’attività principale di Gesù nella sua vita pubblica. Con la predicazione Egli annuncia il Regno di Dio e con le guarigioni dimostra che esso è vicino, che il Regno di Dio è in mezzo a noi. Venuto sulla terra per annunciare e realizzare la salvezza di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, Gesù mostra una particolare predilezione per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati, gli emarginati. E’ il vero Salvatore: Gesù salva, Gesù cura, Gesù guarisce. L’opera salvifica di Cristo non si esaurisce con la sua persona e nell’arco della sua vita terrena; essa continua mediante la Chiesa, sacramento dell’amore e della tenerezza di Dio per gli uomini. Curare un ammalato, accoglierlo, servirlo, è servire Cristo: il malato è la carne di Cristo. Pertanto, ciascuno di noi è chiamato a portare la luce della Parola di Dio e la forza della grazia a coloro che soffrono e a quanti li assistono. , familiari, medici, infermieri, perché il servizio al malato sia compiuto sempre più con umanità, con dedizione generosa, con amore evangelico, con tenerezza. (Angelus, 8 febbraio 2015)
[https://www.vaticannews.va/it/vangelo-del-giorno-e-parola-del-giorno/2019/09/04.html]
Gesù in sinagoga: la Liberazione dal quietismo
(Lc 4,31-37)
Nel terzo Vangelo i primi ‘segni’ del Signore sono il tranquillo scampare alle minacce di morte [agitate dalla sua gente!] e la guarigione del posseduto.
In tale modo di narrare la vicenda di Gesù, Lc indica le priorità che le sue comunità vivevano: anzitutto, bisognava sospendere le lotte intime, inculcate dalla tradizione giudaizzante e dal suo “saper stare al mondo”.
Nel paesino cocciuto e conformista di Nazaret il Maestro non riesce a comunicare la sua novità, e si vede costretto a cambiare residenza.
Non si rassegna, anzi: Cafarnao era all’incrocio di strade importanti, il che facilitava contatti e divulgazione.
Fra persone di tutti i ceti, il Figlio di Dio desiderava creare una coscienza fortemente critica verso le dottrine omologate dei capi religiosi.
Egli non citava meccanicamente gl’insegnamenti - modesti - delle autorità, ma partiva dalla sua esperienza di vita e dal rapporto vivo col Padre.
Così creava menti sgombre e un fremito inconsueto, non riduttivo; che mirava a far raggiungere un livello superiore alle anime vessate dalla mentalità automatica del quieto vivere.
Il Maestro ancora oggi fronteggia il potere che riduce le persone in una condizione senza originalità, allergica alle differenze.
Nel Vangelo, la persona che d’improvviso fa scintille era da sempre un tranquillo frequentatore di assemblea, che stancamente trascinava la sua vita spirituale in piccoli ambiti senza colore, privi di largo respiro e ritmo.
Ma la Parola del Signore ha in sé una carica reale: la forza della beatitudine del vivere, del creare, dell’amare in verità - che non odia le caratteristiche eccentriche.
Dove giunge tale Appello vengono smascherati e saltano fuori dalle tane tutti i demoni che non t’aspetti.
Chi incontra Cristo è rovesciato; vede le sue certezze buttate all’aria.
Rivolgimento che consente alle sfaccettature celate o represse di fare la loro parte - anche se non sono “come dovrebbero essere”.
Insomma, il Vangelo invita ad accogliere tutto ciò che c’è in noi, così com’è, non attenuato; moltiplicando le energie - perché dentro si annida il meglio della nostra Chiamata alla personale Missione.
In Cristo, i nostri poliedrici volti [pur contraddittori] possono scendere in campo insieme, senza più reprimere i territori preziosi dell’anima, dell’essenza, del carattere; di un’altra persuasione - anche lontana o irripetibilmente singolare.
L’habitué delle assemblee viene sì scomodato e interpellato, ma non permane abulico; anzi, fa un progresso vistoso dall’esistenza assopita e rituale - piegata, ripetitiva, spenta e finta.
È liberato faccia a faccia da tutti i luoghi comuni che prima lo tenevano buono, soggiogato e a guinzaglio.
Persino attraverso una protesta che rompe l’apatia, il Richiamo divino ci costringe a una vita da salvati, di nuova testimonianza che sembrava impossibile.
Ora non più in disparte, ma in mezzo alla gente (v.35), nello stupore d’una Felicità profonda, personale, inattesa.
Differenza tra religiosità comune e Fede viva.
[Martedì 22.a sett. T.O. 2 settembre 2025]
Sciolti dalla mentalità automatica
(Lc 4,31-37)
Nel terzo Vangelo i primi segni del Signore sono il tranquillo scampare alle minacce di morte [agitate dalla sua gente!] e la guarigione del posseduto.
In tale modo di narrare la vicenda di Gesù, Lc indica le priorità che le sue comunità vivevano: anzitutto, bisognava sospendere le lotte intime, inculcate dalla tradizione giudaizzante e dal suo “saper stare al mondo”.
Nel paesino cocciuto e conformista di Nazaret il Maestro non riesce a comunicare la sua novità, e si vede costretto a cambiare residenza.
Non si rassegna, anzi: Cafarnao era all’incrocio di strade importanti, il che facilitava contatti e divulgazione.
Fra persone di tutti i ceti, il Figlio di Dio desiderava creare una coscienza fortemente critica verso le dottrine omologate dei capi religiosi.
Egli non citava meccanicamente gl’insegnamenti - modesti - delle autorità, ma partiva dalla sua esperienza di vita e dal rapporto vivo col Padre.
Non cercava appoggi, né per vivere sicuro e neppure per l’Annuncio - così creava menti sgombre e un fremito inconsueto.
In tal modo, nelle anime sospendeva i consueti dubbi di coscienza, le solite battaglie inoculate dalla cappa costume-dottrina-morale, e le sue lacerazioni interiori.
In modo trasparente e totalmente non artificioso, ancora oggi Cristo [nei suoi] scampa il male e lotta contro le forze plagianti, riduttive della nostra personalità.
Nella mentalità degli automatismi privi di Fede personale, a quel tempo sembrava che ci si trovasse quasi a dover subire le potenze del convincimento esterno.
Tutto ciò per evitare di esser emarginati dalla ‘nazione’ [e da gruppi regolati sul conformismo].
Vale anche per noi.
Il dovere di partecipare a rituali collettivi - qui il sabato in sinagoga - rischia di attenuare la nostalgia intima del «noi stessi» che fornisce nutrimento all’eccezionalità vocazionale.
Originalità della storia della salvezza che viceversa potremmo diventare, senza la palla al piede di alcune regole del quieto vivere, al minimo - ritmato di momenti sociali consuetudinari e giorni simbolici [talora svuotati di senso].
(Tutto nei modi trasandati e meccanici che sappiamo a memoria, e non vogliamo più, perché sentiamo che non ci fanno raggiungere un livello superiore).
Il Maestro in noi ancora oggi fronteggia il potere che riduce le persone nella condizione di faciloneria senza originalità: un grigio e perpetuo tran-tran allergico alle differenze.
Apatia che produce paludi e camposanti anticipati, dove nessuno protesta ma neppure stupisce.
Nel Vangelo, la persona che d’improvviso fa scintille era da sempre un tranquillo frequentatore di assemblea, che stancamente trascinava la sua vita spirituale in piccoli ambiti senza colore, privi di largo respiro e ritmo.
Ma la Parola del Signore ha in sé una carica reale: la forza della beatitudine del vivere, del creare, dell’amare in verità - che non odia le caratteristiche eccentriche.
Dove giunge tale Appello vengono smascherati e saltano fuori dalle tane [prima simulate, concordiste, assuefatte, artificiosamente omologate] tutti i demoni che non t’aspetti.
Chi incontra Cristo è rovesciato dallo strapuntino abulico, capovolto seduta stante; vede le sue certezze buttate all’aria
Rivolgimento che consente alle sfaccettature celate o represse di fare la loro parte - anche se non sono “come dovrebbero essere”.
Insomma, il Vangelo invita ad accogliere tutto ciò che c’è in noi, così com’è, non attenuato; moltiplicando le energie - perché dentro si annida il meglio della nostra Chiamata alla personale Missione.
In Cristo, i nostri poliedrici volti [pur contraddittori] possono scendere in campo insieme, senza più reprimere i territori preziosi dell’anima, dell’essenza, del carattere, di un’altra persuasione - anche lontana o irripetibilmente singolare.
L’habitué delle assemblee viene sì scomodato e interpellato, ma almeno non rimane imbambolato come prima: fa un progresso vistoso dall’esistenza assopita e rituale - piegata, ripetitiva, spenta e finta.
È liberato faccia a faccia da tutte le propagande e luoghi comuni che prima lo tenevano buono, soggiogato, a guinzaglio delle “autorità” e dell’ambiente conservativo che respingeva ogni entusiasmo.
La nenia del luogo e tempo sacri era una litania che tutto sommato ci poteva stare, ma la proposta critica di Gesù restituisce coscienza e libertà da territori inculcati, infondendo stima, capacità di pensiero e voglia di fare.
Ora non più in disparte, ma in mezzo alla gente (v.35).
Dalla stanchezza dell’assuefazione prettamente cultuale, e persino attraverso una protesta che rompe l’apatia, la Persona divina e il suo Richiamo ci destano.
Costringono a una vita da salvati, di nuova testimonianza che sembrava impossibile.
Senza tanti complimenti e per farci correre privi d’ipocrisie celate dentro, anche a noi il Signore tira fuori tutte le rabbie, i disaccordi, le alienazioni attenuanti l’anima.
Non basta più fare numero [allineati e coperti], ormai bisogna scegliere.
La differenza tra religiosità comune e Fede viva? Lo stupore d’una Felicità profonda, personale, inattesa.
Infatti, via da pesi abitudinari e mentali, spegneremo le guerre con noi stessi e andremo a braccetto perfino coi nostri difetti - scoprendone la nascosta fecondità.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
L’incontro con Gesù vivo nella Chiesa ti ha liberato da forme di alienazione e restituito a te stesso o ti ha fatto tornare a chiedere appoggi, conferme sacrali, e quiete - come frequentassi una zona-relax?
Fiuto senza cittadinanza
100. Neppure sto proponendo un universalismo autoritario e astratto, dettato o pianificato da alcuni e presentato come un presunto ideale allo scopo di omogeneizzare, dominare e depredare. C’è un modello di globalizzazione che «mira consapevolmente a un’uniformità unidimensionale e cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità. [...] Se una globalizzazione pretende di rendere tutti uguali, come se fosse una sfera, questa globalizzazione distrugge la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo». Questo falso sogno universalistico finisce per privare il mondo della varietà dei suoi colori, della sua bellezza e in definitiva della sua umanità. Perché «il futuro non è “monocromatico”, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!»
(Papa Francesco FT n.100).
«Nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei, ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace. Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze. Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre […] Non siate disincantati, preparatevi alle sorprese»
(Papa Francesco, Discorso alla Diocesi di Roma 18/09/ 2021).
Gesù non solo scaccia i demoni dalle persone, liberandole dalla peggiore schiavitù, ma impedisce ai demoni stessi di rivelare la sua identità. Ed insiste su questo "segreto" perché è in gioco la riuscita della sua stessa missione, da cui dipende la nostra salvezza. Sa infatti che per liberare l’umanità dal dominio del peccato, Egli dovrà essere sacrificato sulla croce come vero Agnello pasquale. Il diavolo, da parte sua, cerca di distoglierlo per dirottarlo invece verso la logica umana di un Messia potente e pieno di successo. La croce di Cristo sarà la rovina del demonio, ed è per questo che Gesù non smette di insegnare ai suoi discepoli che per entrare nella sua gloria deve patire molto, essere rifiutato, condannato e crocifisso (cfr Lc 24,26), essendo la sofferenza parte integrante della sua missione.
Gesù soffre e muore in croce per amore. In questo modo, a ben vedere, ha dato senso alla nostra sofferenza, un senso che molti uomini e donne di ogni epoca hanno capito e fatto proprio, sperimentando serenità profonda anche nell’amarezza di dure prove fisiche e morali.
[Papa Benedetto, Angelus 1 febbraio 2009]
1. Come abbiamo considerato nelle precedenti catechesi, il nome “Cristo” significa nel linguaggio dell’Antico Testamento “Messia”. Israele, il popolo di Dio dell’antica alleanza, visse nell’attesa della realizzazione della promessa del Messia, che ebbe compimento in Gesù di Nazaret. Per questo fin dall’inizio Gesù è stato chiamato Cristo, cioè “Messia”, e come tale accettato da tutti coloro che “l’hanno accolto” (Gv 1, 12).
2. Abbiamo visto che, secondo la tradizione dell’antica alleanza, il Messia è re e che questo Re messianico viene anche chiamato Figlio di Dio, nome che nell’ambito del monoteismo jahvistico dell’Antico Testamento ha un significato esclusivamente analogico, o addirittura metaforico. Non si tratta in quei libri del figlio “generato” da Dio, ma di qualcuno che Dio sceglie affidandogli una particolare missione o ministero.
3. In questo senso anche tutto il popolo viene talvolta denominato “figlio” come per esempio nelle parole di Jahvè indirizzate a Mosè: “Tu dirai al faraone: . . . Israele è il mio figlio primogenito . . . lascia partire il mio figlio perché mi serva!” (Es 4, 22-23; cf. anche Os 11, 1; Gen 31, 9). Se dunque il re viene chiamato nell’antica alleanza “figlio di Dio”, è perché, nella teocrazia israeliana, egli è un rappresentante particolare di Dio.
Lo vediamo, ad esempio, nel salmo 2, in relazione all’intronizzazione del re: “Egli mi ha detto: Tu sei il mio figlio, io oggi ti ho generato” (Sal 2, 7). Anche nel salmo 88/89 leggiamo: “Egli (Davide) mi invocherà: Tu sei mio padre . . . Io lo costituirò mio primogenito, il più alto tra i re della terra” (Sal 89, 27-28). In seguito il profeta Natan così dirà a proposito della discendenza di Davide: “Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo castigherò . . .” (2 Sam 7, 14).
Tuttavia, nell’Antico Testamento, attraverso il significato analogico e metaforico dell’espressione “figlio di Dio”, sembra ne penetri un altro, che rimane oscuro. Così nel citato salmo 2, Dio dice al re: “Tu sei mio figlio: oggi ti ho generato” (Sal 2, 7), e nel salmo 109/110: “Dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato” (Sal 110, 3).
4. Bisogna aver presente questo sfondo biblico-messianico per rendersi conto che il modo di agire e di esprimersi di Gesù indica la consapevolezza di una realtà completamente nuova.
Anche se nei vangeli sinottici Gesù non si definisce mai Figlio di Dio (come non si chiama Messia), tuttavia in diversi modi afferma e fa capire di essere il Figlio di Dio, e non in senso analogico o metaforico, ma naturale.
5. Egli anzi sottolinea la esclusività della sua relazione di Figlio di Dio. Mai dice di Dio: “nostro Padre”, ma solo “mio Padre”, oppure distingue: “Padre mio, Padre vostro”. Non esita ad affermare: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio” (Mt 11, 27).
Questa esclusività del rapporto filiale con Dio si manifesta particolarmente nella preghiera, quando Gesù si rivolge a Dio come a Padre, usando la parola aramaica “abbà”, che indica una particolare vicinanza filiale e in bocca di Gesù costituisce un’espressione della sua totale dedizione alla volontà del Padre: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice” (Mc 14, 36).
Altre volte Gesù usa l’espressione “il Padre vostro”; per esempio: “come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6, 36); “il Padre vostro che è nei cieli” (Mc 11, 25). Egli sottolinea in questo modo la specificità della propria relazione al Padre, pur desiderando che questa divina paternità si comunichi ad altri, come attesta la preghiera del “Padre nostro” che Gesù insegnò ai suoi apostoli e seguaci.
6. La verità sul Cristo come figlio di Dio è il punto di convergenza di tutto il Nuovo Testamento. I Vangeli, e specialmente il Vangelo di Giovanni, e gli scritti degli apostoli, in modo particolare le Lettere di san Paolo, ci offrono testimonianze esplicite. Nella presente catechesi ci concentriamo soltanto su alcune affermazioni particolarmente significative, che in certo senso ci “aprono la strada” verso la scoperta della verità su Cristo come Figlio di Dio e ci avvicinano alla retta percezione di questa “figliolanza”.
7. È importante costatare che la convinzione della figliolanza divina di Gesù è stata confermata da una voce dal cielo durante il battesimo nel Giordano (cf. Mc 1, 11) e sul monte della trasfigurazione (cf. Mc 9, 7). In entrambi i casi gli evangelisti ci parlano della proclamazione fatta dal Padre circa Gesù “(suo) Figlio prediletto” (cf. Mt 3, 17; Lc 3, 22).
Un’analoga conferma gli apostoli la ebbero anche dagli spiriti maligni che inveivano contro Gesù: “Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio” (Mc 1, 24). “Che hai tu in comune con me . . . Figlio del Dio altissimo?” (Mc 5, 7).
8. Se poi ascoltiamo la testimonianza degli uomini, merita un’attenzione particolare la professione di Simon Pietro vicino a Cesarea di Filippo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16). Si noti che questa professione è stata confermata in modo insolitamente solenne da Gesù: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16, 17).
Non si tratta di un fatto isolato. Nello stesso Vangelo di Matteo leggiamo che al vedere Gesù camminare sulle acque del lago di Genezaret, calmare il vento e salvare Pietro, gli apostoli si prostrarono davanti al Maestro, dicendo: “Tu sei veramente il Figlio di Dio!” (Mt 14, 33).
9. Così dunque ciò che Gesù faceva e insegnava alimentava negli apostoli la convinzione che egli era non solo il Messia, ma anche il vero “Figlio di Dio”. E Gesù confermò tale convinzione.
Furono proprio alcune delle affermazioni proferite da Gesù a suscitare contro di lui l’accusa di bestemmia. Ne scaturirono momenti particolarmente drammatici, come attesta il Vangelo di Giovanni, dove si legge che i Giudei “cercavano . . . di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio” (Gv 5, 18).
Il medesimo problema venne risollevato nel processo intentato a Gesù davanti al sinedrio: Caifa, sommo sacerdote, lo interpellò: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. A questa domanda Gesù risponde semplicemente: “Tu l’hai detto”, cioè “Sì, io lo sono” (cf. Mt 26, 63-64). E anche nel processo davanti a Pilato, pur essendo un altro il capo d’accusa, quello cioè di essersi proclamato re, tuttavia i Giudei ripeterono l’imputazione fondamentale: “Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio” (Gv 19, 7).
10. Così possiamo dire che in definitiva Gesù morì sulla croce per la verità circa la sua figliolanza divina. Anche se l’iscrizione collocata sulla croce a dichiarazione ufficiale della condanna diceva: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”, tuttavia, fa rilevare san Matteo, “quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: . . . Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce” (Mt 27, 39-40). E ancora: “Ha confidato in Dio: lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!” (Mt 27, 43).
Questa verità si trova al centro dell’avvenimento del Golgota. Nel passato era stata oggetto della convinzione, della proclamazione e della testimonianza resa dagli apostoli, ora è divenuta oggetto di scherno. E tuttavia anche qui, il centurione romano che sorveglia l’agonia di Gesù e sente le parole, con le quali egli si rivolge al Padre, al momento della morte, dà un’ultima sorprendente testimonianza, lui pagano, all’identità divina di Cristo: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15, 39).
11. Le parole del centurione romano sulla verità fondamentale del Vangelo e di tutto il Nuovo Testamento intero, ci richiamano a quelle che l’angelo rivolse a Maria al momento dell’annunciazione: “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo . . .” (Lc 1, 31-32). E quando Maria chiede: “Come è possibile?”, il messaggero le risponde: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1, 34-35).
12. In forza della consapevolezza che Gesù ebbe di essere Figlio di Dio nel senso reale naturale della parola, egli “chiamava Dio suo Padre . . .” (Gv 5, 18). Con la medesima convinzione non esitò a dire ai suoi avversari ed accusatori: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono” (Gv 8, 58).
In questo “Io sono” c’è la verità sulla figliolanza divina che precede non soltanto il tempo di Abramo, ma ogni tempo e ogni esistenza creata.
Dirà san Giovanni a conclusione del suo Vangelo:“Questi (segni compiuti da Gesù) sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20, 31).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 13 maggio 1987]
Il Vangelo […] fa parte della più ampia narrazione indicata come la “giornata di Cafarnao”. Al centro dell’odierno racconto sta l’evento dell’esorcismo, attraverso il quale Gesù è presentato come profeta potente in parole e in opere.
Egli entra nella sinagoga di Cafarnao di sabato e si mette a insegnare; le persone rimangono stupite delle sue parole, perché non sono parole ordinarie, non assomigliano a quanto loro ascoltano di solito. Gli scribi, infatti, insegnano ma senza avere una propria autorevolezza. E Gesù insegna con autorità. Gesù, invece, insegna come uno che ha autorità, rivelandosi così come l’Inviato di Dio, e non come un semplice uomo che deve fondare il proprio insegnamento solo sulle tradizioni precedenti. Gesù ha una piena autorevolezza. La sua dottrina è nuova e il Vangelo dice che la gente commentava: «Un insegnamento nuovo, dato con autorità» (v. 27).
Al tempo stesso, Gesù si rivela potente anche nelle opere. Nella sinagoga di Cafarnao c’è un uomo posseduto da uno spirito immondo, che si manifesta gridando queste parole: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!» (v. 24). Il diavolo dice la verità: Gesù è venuto per rovinare il diavolo, per rovinare il demonio, per vincerlo. Questo spirito immondo conosce la potenza di Gesù e ne proclama anche la santità. Gesù lo sgrida, dicendogli: «Taci! Esci da lui» (v. 25). Queste poche parole di Gesù bastano per ottenere la vittoria su Satana, il quale esce da quell’uomo «straziandolo e gridando forte», dice il Vangelo (v. 26).
Questo fatto impressiona molto i presenti; tutti sono presi da timore e si chiedono: «Ma, chi è mai questo? […] Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!» (v. 27). La potenza di Gesù conferma l’autorevolezza del suo insegnamento. Egli non pronuncia solo parole, ma agisce. Così manifesta il progetto di Dio con le parole e con la potenza delle opere. Nel Vangelo, infatti, vediamo che Gesù, nella sua missione terrena, rivela l’amore di Dio sia con la predicazione sia con innumerevoli gesti di attenzione e soccorso ai malati, ai bisognosi, ai bambini, ai peccatori.
Gesù è il nostro Maestro, potente in parole e opere. Gesù ci comunica tutta la luce che illumina le strade, a volte buie, della nostra esistenza; ci comunica anche la forza necessaria per superare le difficoltà, le prove, le tentazioni. Pensiamo a quale grande grazia è per noi aver conosciuto questo Dio così potente e così buono! Un maestro e un amico, che ci indica la strada e si prende cura di noi, specialmente quando siamo nel bisogno.
La Vergine Maria, donna dell’ascolto, ci aiuti a fare silenzio attorno e dentro di noi, per ascoltare, nel frastuono dei messaggi del mondo, la parola più autorevole che ci sia: quella del suo Figlio Gesù, che annuncia il senso della nostra esistenza e ci libera da ogni schiavitù, anche da quella del Maligno.
[Papa Francesco, Angelus 28 gennaio 2018]
In Sinagoga e dal precipizio
(Lc 4,16-30)
Anticamente in Israele la famiglia patriarcale, il clan e la comunità erano la base della convivenza sociale.
Garantivano la trasmissione dell’identità di popolo e assicuravano protezione agli afflitti.
Ma al tempo di Gesù la Galilea soffriva la segregazione dettata dalla politica di Erode, e pativa l'oppressione della religiosità ufficiale.
La congiuntura politica ed economica obbligava le persone a ripiegarsi su problemi materiali e individuali o di famiglia ristretta.
Situazione che stava portando al collasso le fasce di popolazione meno tutelate.
Gesù vuole invece tornare al Sogno del Padre: quello ineliminabile della Fraternità, unico suggello alla storia della salvezza.
Così, secondo Lc la prima volta che Gesù entra in una Sinagoga combina un bel pasticcio.
Non va a pregare, ma a Insegnare cosa sia la Grazia di Dio [non svigorita da chiose o false istruzioni] nell’esistenza reale delle persone.
Sceglie un passo che riflette la situazione della sua gente, oppressa dal potere dei dominatori, che ai deboli stava facendo patire confusione e povertà.
Ma la sua prima Lettura non tiene conto del calendario liturgico.
Poi osa predicare a modo suo e personalizzando il brano d’Isaia, da cui si permette di censurare il versetto che annuncia la “vendetta” di Dio.
Quindi neanche proclama il passo previsto della Legge.
Inoltre per il Figlio di Dio lo Spirito non si rivela nei fenomeni straordinari del cosmo, ma nell’Anno di Grazia [«un anno accetto al Signore»: v.19].
Possibile che la Somiglianza divina possa manifestarsi in un uomo premuroso verso i meno facoltosi, che disattende le consuetudini ufficiali, non crede alle ritorsioni, e palesa forme di spontaneità incontrollata?
È un richiamo per noi.
Al pari del Maestro, invece di ragionare con pensieri indotti e farci sequestrare dalla pesantezza di rifiuti e timori, in Lui iniziamo a pensare con i codici empatici della nostra Chiamata che irrompe.
La Visione-Relazione (v.18a) irripetibile e a maglie larghe - senza riduzioni - diventa allora strategica, perché possiede in se stessa il ‘richiamo’ dell’essenza radicale, e tutte le risorse per risolvere i veri problemi.
Ascoltare la proclamazione dei Vangeli (v.18b) è ascoltare l’eco di se stessi e del popolo minuto: scelta intima e fraterna.
E starci dentro senza le foglie morte dell’unilateralità - per vagare liberamente in quel medesimo Appello; non trascurando parti preziose di sé, né amputando le eccentricità, o l’intuito proprio dei ceti subalterni.
In tal guisa, permaniamo nell’istinto di essere e fare felici, senza mai lasciarsi imprigionare dalla brama di sicurezze a contorno: ricerca stagnante.
Il Regno nello Spirito (cf. vv.14.18) sa cosa ci serve. Esso ha cessato di essere una mèta di semplice avvenire.
È la sorpresa che Cristo in noi suscita grazie al suo Sogno, intorno alla sua proposta dalla marcia in più.
Il Signore non ci trascura: spegne il rimuginare accusatorio e ridisegna in modo creativo.
Egli fa nascere ancora e motiva, recupera le dispersioni e rinsalda la trama.
È divina perché personale e sociale l’Energia nuova, abilitata a creare l’uomo autentico.
Questa la piattaforma che opera la svolta.
[Lunedì 22.a sett. T.O. 1 settembre 2025]
Lc 4,16-30 (16-37)
Trasgressioni di Gesù e nostre (che rinsaldano la trama)
(Lc 4,14-22)
«Lo Spirito del Signore su di me, perciò mi ha unto per annunciare la Buona Notizia ai poveri» (Lc 4,18).
Anticamente in Israele la famiglia patriarcale, il clan e la comunità erano la base della convivenza sociale.
Garantivano la trasmissione dell’identità di popolo e assicuravano protezione agli afflitti.
Difendere il clan era anche un modo concreto di confermare la Prima Alleanza.
Ma al tempo di Gesù la Galilea soffriva sia la segregazione dettata dalla politica di Erode Antipas che l'oppressione della religiosità ufficiale.
Il collaborazionismo smidollato del sovrano aveva accentuato il numero dei senza tetto e privi d’impiego.
La congiuntura politica ed economica obbligava le persone a ripiegarsi su problemi materiali e individuali o di famiglia ristretta.
Un tempo, il collante identitario del clan e della comunità garantivano un carattere (interno) di nazione solidale, espresso nella difesa e soccorso prestati ai meno abbienti del popolo.
Ora tale legame fraterno risultava indebolito, un po’ ingessato, quasi contraddetto - anche a motivo dell’atteggiamento severo delle autorità religiose, fondamentaliste e amanti d’un purismo saccente, contrario al mischiarsi coi ceti meno agiati.
La Legge [scritta e orale] finiva per essere usata non per favorire l’accoglienza degli emarginati e bisognosi, ma per accentuare i distacchi e la ghettizzazione.
Situazioni che stavano portando al collasso le fasce di popolazione meno tutelate.
Insomma la devozione tradizionale - amante dell’alleanza fra trono e altare - invece di rafforzare il senso comunitario veniva usata per accentuare le gerarchie; come arma che legittimasse tutta una mentalità di esclusioni (e confermasse la logica imperiale del dividi et impera).
Gesù vuole invece tornare al Sogno del Padre: quello ineliminabile della fraternità, unico suggello alla storia della salvezza.
Per questo il suo criterio non fugace era quello di allacciare la Parola di Dio alla vita della gente, e in tal modo superare le divisioni.
Così, secondo Lc la prima volta che Gesù entra in una Sinagoga combina un bel pasticcio.
Non va a pregare, ma a Insegnare cosa sia la Grazia di Dio [non svigorita da chiose e false istruzioni] nell’esistenza reale delle persone.
Sceglie un passo che riflette appunto la situazione della gente di Galilea, oppressa dal potere dei dominatori, che ai deboli stava facendo patire confusione e povertà.
Ma la sua prima Lettura non tiene conto del calendario liturgico.
Poi osa predicare a modo suo e personalizzando il brano d’Isaia, da cui si permette di censurare il versetto che annuncia la Vendetta di Dio.
Quindi neanche proclama il passo previsto della Legge.
E si atteggia come fosse Lui il padrone del luogo di culto - in realtà lo è: il Risorto che «siede» sta dando un insegnamento ai suoi [ancora giudaizzanti].
Inoltre - si comprende dal tono del passo di Vangelo - per il Figlio di Dio lo Spirito non si rivela nei fenomeni straordinari del cosmo, ma nell’Anno di Grazia («un anno accetto al Signore»: v.19).
È divina perché personale e sociale l’energia nuova, che crea l’uomo autentico.
Questa la piattaforma che opera la svolta.
Essa si fa motore, motivo e contesto, per una trasformazione dell’anima e dei rapporti - a quel tempo appesantiti dal servilismo anche teologico [dei meriti].
In un ordito di relazioni vitali, la migliore capacità di comprensione del Dono si fa molla per un futuro armonico, di liberazione e giustizia.
Cristo ritiene che il Regno del Padre sorga facendo crescere dal di dentro il presente, allora impastato di oppressione, angoscia e schiavitù.
Dice il Tao Tê Ching (XLVI): «Quando nel mondo vige la Via, i cavalli veloci sono mandati a concimare i campi».
L’emancipazione offerta dallo Spirito è indirizzata non ai grandi, ma proprio a chi subisce forme di necessità, difetto e penuria: in Gesù... ora tutti aperti alla cifra giubilare della nuova Creazione.
Insomma, sembra ci sia totale antagonismo e inadattabilità fra il Signore e i praticanti della religione tradizionale - pesante, selettiva, votata a legalismi e rappresaglie; piramidale, senza possibilità d’uscita.
Ovvio che sia i capi che gli abitudinari si chiedano - su base rituale e veneranda: possibile che la somiglianza divina possa manifestarsi in un uomo premuroso verso i meno facoltosi, che disattende le consuetudini ufficiali, non crede alle ritorsioni, e palesa forme di spontaneità incontrollata?
È un richiamo per noi. La persona di Fede autentica non si lascia condizionare dalle conformità all’abitudine, inutile e quieta.
Il pensiero comune - assuefatto e concordato ma sottilmente competitivo - diventa un’energia al contrario, troppo normale e paludosa; non propulsiva per l’anima personale e sociale.
Se invece ci lasciamo accompagnare dal Sogno d’una sovreminente gestazione dal Padre, saremo animati attraverso la Presenza regale e Sacra che orienta a sorvolare ripetizioni, o selezioni, emarginazioni e recriminazioni fallaci.
Come se spostassimo il nostro essere in un orizzonte e in un mondo di relazioni amicali che poi fa da calamita alla realtà e anticipa futuro.
Al pari del Maestro e Signore, invece di ragionare con pensieri indotti e farci sequestrare dalla pesantezza di rifiuti e timori, iniziamo a pensare con le immagini della Vocazione personale, con i codici empatici della nostra Chiamata che irrompe.
Le risorse evolutive sconosciute che scattano, immediatamente dipanano una rete di percorsi che ai “locali” forse non piacciono, ma evitano il conflitto perenne con l’identità missionaria e il proprio carattere.
La Visione-Relazione (v.18a) irripetibile e a maglie larghe - senza riduzioni - diventa allora strategica, perché possiede in se stessa il richiamo della Quintessenza, e tutte le risorse per risolvere i veri problemi.
Ascoltare la proclamazione dei Vangeli (v.18b) è ascoltare l’eco di se stessi e del popolo minuto: scelta intima e sociale.
E starci dentro senza le foglie morte dell’unilateralità - per vagare liberamente in quel medesimo Appello; non trascurando parti preziose di sé, né amputando le eccentricità, o l’intuito proprio dei ceti subalterni.
Ciò per poter manifestare la Radice quieta (ma nel suo stato energico), il nostro Personaggio (nell’Amico amabile e non separatista) - per evitare di stordirlo con un’altra schiavitù.
Tutto nell’istinto di essere e fare felici, senza mai lasciarsi imprigionare dalla brama di sicurezze a contorno; ricerca stagnante.
Il Regno nello Spirito (cf. vv.14.18) - che sa cosa ci serve - ha cessato di essere una mèta di semplice avvenire.
È la sorpresa che Cristo in noi suscita intorno alla sua proposta dalla marcia in più.
Egli non ci trascura: spegne il rimuginare accusatorio e ridisegna in modo creativo.
Fa nascere ancora e motiva, recupera le dispersioni, e rinsalda la trama.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come allaccio la Fede con la situazione culturale e sociale?
Qual è l’Oggi di Cristo con il tuo oggi, nello Spirito?
Qual è la tua forma di apostolato che libera i fratelli dall’avvilimento della dignità e li promuove?
Lo Spirito del Signore è sopra di me (et vult Cubam)
3. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare un lieto messaggio» (Lc 4, 18). Ogni ministro di Dio deve far sue nella propria vita queste parole pronunciate da Gesù di Nazareth. Per questo, trovandomi qui tra voi, voglio recarvi la buona notizia della speranza in Dio. Come servitore del Vangelo, vi porto questo messaggio d'amore e di solidarietà che Gesù Cristo, con la sua venuta, offre agli uomini di ogni tempo. Non si tratta né di un'ideologia né di un sistema economico o politico nuovo, bensì di un cammino di pace, giustizia e libertà autentiche.
4. I sistemi ideologici ed economici succedutisi negli ultimi secoli hanno spesso enfatizzato lo scontro come metodo, poiché contenevano nei propri programmi i germi dell'opposizione e della disunione. Questo ha condizionato profondamente la concezione dell'uomo e i rapporti con gli altri. Alcuni di questi sistemi hanno preteso anche di ridurre la religione alla sfera meramente individuale, spogliandola di ogni influsso o rilevanza sociale. In tal senso, è bene ricordare che uno Stato moderno non può fare dell'ateismo o della religione uno dei propri ordinamenti politici. Lo Stato, lontano da ogni fanatismo o secolarismo estremo, deve promuovere un clima sociale sereno e una legislazione adeguata, che permetta ad ogni persona e ad ogni confessione religiosa di vivere liberamente la propria fede, esprimerla negli ambiti della vita pubblica e poter contare su mezzi e spazi sufficienti per offrire alla vita della Nazione le proprie ricchezze spirituali, morali e civiche.
D'altro canto, in vari luoghi si sviluppa una forma di neoliberalismo capitalista che subordina la persona umana e condiziona lo sviluppo dei popoli alle forze cieche del mercato, gravando dai propri centri di potere sui popoli meno favoriti con pesi insopportabili. Avviene così che, spesso, vengono imposti alle Nazioni, come condizione per ricevere nuovi aiuti, programmi economici insostenibili. In tal modo si assiste, nel concerto delle Nazioni, all'arricchimento esagerato di pochi al prezzo dell'impoverimento crescente di molti, cosicché i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
5. Carissimi fratelli: la Chiesa è maestra in umanità. Perciò, di fronte a questi sistemi, essa propone la cultura dell'amore e della vita, restituendo all'umanità la speranza e il potere trasformante dell'amore, vissuto nell'unità voluta da Cristo. Per questo è necessario percorrere un cammino di riconciliazione, di dialogo e di accoglienza fraterna del prossimo, chiunque esso sia. Questo si può dire il Vangelo sociale della Chiesa.
La Chiesa, nel portare a termine la propria missione, propone al mondo una giustizia nuova, la giustizia del Regno di Dio (cfr Mt 6, 33). In diverse occasioni ho fatto riferimento ai temi sociali. È necessario continuarne a parlare fino a quando nel mondo ci sarà un'ingiustizia, per piccola che sia, dato che in caso contrario la Chiesa non si dimostrerebbe fedele alla missione affidatale da Gesù Cristo. La posta in gioco è l'uomo, la persona in carne ed ossa. Anche se i tempi e le circostanze cambiano, ci sono sempre persone che hanno bisogno della voce della Chiesa perché vengano riconosciute le loro angosce, i loro dolori e le loro miserie. Coloro che si trovano in simili situazioni possono essere sicuri che non verranno defraudati, poiché la Chiesa è con loro e il Papa abbraccia, con il cuore e con la sua parola di incoraggiamento, tutti coloro che subiscono l'ingiustizia.
(Giovanni Paolo II, dopo essere stato a lungo applaudito, ha aggiunto)
Io non sono contrario agli applausi, perché quando applaudite il Papa può riposarsi un po'.
Gli insegnamenti di Gesù conservano integro il loro vigore alle soglie dell'anno 2000. Sono validi per tutti voi, miei cari fratelli. Nella ricerca della giustizia del Regno, non possiamo fermarci di fronte a difficoltà e incomprensioni. Se l'invito del Maestro alla giustizia, al servizio e all'amore viene accolto come Buona Novella, allora il cuore si allarga, si trasformano i criteri e nasce la cultura dell'amore e della vita. Questo è il grande cambiamento che la società attende e di cui ha bisogno; lo si potrà raggiungere solo se prima avrà luogo la conversione del cuore di ognuno come condizione per i necessari mutamenti nelle strutture della società.
6. «Lo Spirito del Signore mi ha mandato per proclamare ai prigionieri la liberazione (...) per rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4, 18). La buona novella di Gesù deve essere accompagnata da un annuncio di libertà, basato sul solido fondamento della verità: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31-32). La verità a cui si riferisce Gesù non è solo la comprensione intellettuale della realtà, bensì la verità sull'uomo e la sua condizione trascendente, sui suoi diritti e doveri, sulla sua grandezza e i suoi limiti. È la stessa verità che Gesù proclamò con la sua vita, riaffermò di fronte a Pilato e, con il suo silenzio, di fronte ad Erode; è la stessa che lo portò alla croce salvifica e alla risurrezione gloriosa.
La libertà che non è fondata sulla verità condiziona l'uomo a tal punto che a volte lo rende oggetto anziché soggetto del contesto sociale, culturale, economico e politico, lasciandolo quasi totalmente privo d'iniziativa riguardo allo sviluppo personale. Altre volte, questa libertà è di tipo individualistico e, non tenendo conto della libertà degli altri, chiude l'uomo nel proprio egoismo. La conquista della libertà nella responsabilità rappresenta un compito imprescindibile per ogni persona. Per i cristiani, la libertà dei figli di Dio non è soltanto un dono e un compito; il suo conseguimento implica pure un'inestimabile testimonianza e un genuino contributo nel cammino di liberazione di tutto il genere umano. Questa liberazione non si riduce agli aspetti sociali e politici, ma raggiunge la sua pienezza nell'esercizio della libertà di coscienza, base e fondamento degli altri diritti umani.
(Rispondendo all'invocazione elevata dalla folla: «Il Papa vive e ci vuole tutti liberi!», Giovanni Paolo II ha aggiunto:)
Sì, vive con quella libertà alla quale Cristo vi ha liberato.
Per molti dei sistemi politici ed economici vigenti oggi, la sfida più grande continua ad essere rappresentata dal coniugare libertà e giustizia sociale, libertà e solidarietà, senza che nessuna di esse venga relegata ad un livello inferiore. In tal senso, la Dottrina sociale della Chiesa costituisce uno sforzo di riflessione e una proposta che cerca di illuminare e di conciliare i rapporti tra i diritti inalienabili di ogni uomo e le esigenze sociali, in modo che la persona porti a compimento le sue aspirazioni più profonde e la propria realizzazione integrale secondo la sua condizione di figlio di Dio e di cittadino. Di conseguenza, il laicato cattolico deve contribuire a questa realizzazione mediante l'applicazione degli insegnamenti sociali della Chiesa nei diversi ambienti, aperti a tutti gli uomini di buona volontà.
7. Nel Vangelo proclamato oggi la giustizia appare intimamente legata alla verità. È quello che si osserva anche nel pensiero lucido dei padri della Patria. Il Servo di Dio Padre Félix Varela, animato dalla fede cristiana e dalla fedeltà al ministero sacerdotale, pose nel cuore del popolo cubano i semi della giustizia e della libertà che egli sognava di veder germogliare in una Cuba libera e indipendente.
La dottrina di José Martí sull'amore tra tutti gli uomini ha radici profondamente evangeliche, superando così il falso conflitto tra la fede in Dio e l'amore e il servizio alla Patria. Scrive Martí: «Pura, disinteressata, perseguitata, martirizzata, poetica e semplice, la religione del Nazareno ha sedotto tutti gli uomini onesti... Ogni popolo ha bisogno di essere religioso. Lo deve essere non solo nella sua essenza, ma anche per sua utilità... Un popolo non religioso è destinato a morire, poiché in esso nulla alimenta la virtù. Le ingiustizie umane la disprezzano; è necessario che la giustizia celeste la garantisca».
Come sapete, Cuba possiede un'anima cristiana, e questo l'ha portata ad avere una vocazione universale. Chiamata a vincere l'isolamento, deve aprirsi al mondo e il mondo deve avvicinarsi a Cuba, al suo popolo, ai suoi figli, che ne rappresentano senza dubbio la maggiore ricchezza. È giunta l'ora di intraprendere i nuovi cammini che i tempi di rinnovamento in cui viviamo esigono, all'approssimarsi del Terzo millennio dell'era cristiana!
8. Carissimi fratelli: Dio ha benedetto questo popolo con autentici formatori della coscienza nazionale, chiari e fermi esponenti della fede cristiana, che è il più valido sostegno della virtù e dell'amore. Oggi i Vescovi, insieme ai sacerdoti, ai consacrati, alle consacrate e ai fedeli laici, si sforzano di costruire ponti per avvicinare le menti e i cuori, propiziando e consolidando la pace, preparando la civiltà dell'amore e della giustizia. Sono qui fra voi come messaggero della verità e della speranza. Per questo desidero ripetere il mio appello a lasciarvi illuminare da Gesù Cristo, ad accettare senza riserve lo splendore della sua verità, affinché tutti possano seguire il cammino dell'unità attraverso l'amore e la solidarietà, evitando l'esclusione, l'isolamento e lo scontro, che sono contrari alla volontà del Dio-Amore.
Che lo Spirito Santo illumini con i suoi doni quanti hanno responsabilità diverse nei confronti di questo popolo, che ho nel cuore. Che la «Virgen de la Caridad de El Cobre», Regina di Cuba, ottenga per i suoi figli i doni della pace, del progresso e della felicità.
Questo vento di oggi è molto significativo, perché il vento simboleggia lo Spirito Santo. «Spiritus spirat ubi vult, Spiritus vult spirare in Cuba». Le ultime parole sono in lingua latina perché Cuba appartiene anche alla tradizione latina. America latina, Cuba latina, lingua latina! «Spiritus spirat ubi vult et vult Cubam». Arrivederci.
(Giovanni Paolo II, omelia Piazza «José Martí» L’Avana 25 gennaio 1998)
Persona, estemporaneità, sinagoghe
Due Nomi di Dio
(Lc 4,21-30)
Il Vangelo di oggi – tratto dal capitolo quarto di san Luca – è la prosecuzione di quello di domenica scorsa. Ci troviamo ancora nella sinagoga di Nazaret, il paese dove Gesù è cresciuto e dove tutti conoscono lui e la sua famiglia. Ora, dopo un periodo di assenza, Egli è ritornato in un modo nuovo: durante la liturgia del sabato legge una profezia di Isaia sul Messia e ne annuncia il compimento, lasciando intendere che quella parola si riferisce a Lui, che Isaia ha parlato di Lui. Questo fatto suscita lo sconcerto dei nazaretani: da una parte, «tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca» (Lc 4,22); san Marco riferisce che molti dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data?» (6,2). D’altra parte, però, i suoi compaesani lo conoscono troppo bene: E’ uno come noi – dicono –. La sua pretesa non può essere che una presunzione » (cfr L’infanzia di Gesù, 11). «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22), come dire: un carpentiere di Nazaret, quali aspirazioni può avere?
Proprio conoscendo questa chiusura, che conferma il proverbio «nessun profeta è bene accetto nella sua patria», Gesù rivolge alla gente, nella sinagoga, parole che suonano come una provocazione. Cita due miracoli compiuti dai grandi profeti Elia ed Eliseo in favore di persone non israelite, per dimostrare che a volte c’è più fede al di fuori d’Israele. A quel punto la reazione è unanime: tutti si alzano e lo cacciano fuori, e cercano persino di buttarlo giù da un precipizio, ma Egli, con calma sovrana, passa in mezzo alla gente inferocita e se ne va. A questo punto viene spontaneo chiedersi: come mai Gesù ha voluto provocare questa rottura? All’inizio la gente era ammirata di lui, e forse avrebbe potuto ottenere un certo consenso… Ma proprio questo è il punto: Gesù non è venuto per cercare il consenso degli uomini, ma – come dirà alla fine a Pilato – per «dare testimonianza alla verità» (Gv 18,37). Il vero profeta non obbedisce ad altri che a Dio e si mette al servizio della verità, pronto a pagare di persona. E’ vero che Gesù è il profeta dell’amore, ma l’amore ha la sua verità. Anzi, amore e verità sono due nomi della stessa realtà, due nomi di Dio. Nella liturgia odierna risuonano anche queste parole di san Paolo: «La carità …non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità» (1 Cor 13,4-6). Credere in Dio significa rinunciare ai propri pregiudizi e accogliere il volto concreto in cui Lui si è rivelato: l’uomo Gesù di Nazaret. E questa via conduce anche a riconoscerlo e a servirlo negli altri.
In questo è illuminante l’atteggiamento di Maria. Chi più di lei ebbe familiarità con l’umanità di Gesù? Ma non ne fu mai scandalizzata come i compaesani di Nazaret. Ella custodiva nel suo cuore il mistero e seppe accoglierlo sempre di più e sempre di nuovo, nel cammino della fede, fino alla notte della Croce e alla piena luce della Risurrezione. Maria aiuti anche noi a percorrere con fedeltà e con gioia questo cammino.
[Papa Benedetto, Angelus 3 febbraio 2013]
Gesù è fastidioso e genera sospetto in coloro che amano schemi esteriori, perché proclama solo Giubileo, invece che confronto duro e vendetta.
In sinagoga il suo villaggio resta perplesso su questo amore troppo comprensivo - proprio ciò di cui abbiamo bisogno.
Il luogo di culto è quello in cui i credenti sono stati educati al contrario!
Il loro carattere scontroso è frutto acerbo d’una religiosità martellante, che nega il diritto di esprimere idee e sentimenti.
Il codice “sinagogale” ha prodotto fedeli finti, condizionati da una personalità disarmonica e scissa.
Ancora oggi e sin da piccoli, quest’intima lacerazione si manifesta nell’eccesso di controllo sull’apertura verso gli altri.
Conseguenza: un’accentuazione dell’incertezza giovanile - sotto la quale cova chissà cosa - e un carattere rigido da adulti.
Insomma, il martellamento religioso che non fa il balzo della Fede ci blocca, impedisce di capire, e inquina tutta la vita.
Anche ai tempi di Gesù l’insegnamento arcaico acuiva nazionalismi, la percezione stessa di traumi o violazioni, e paradossalmente proprio le situazioni ingabbiate da cui si voleva uscire.
Spiritualità esclusiva: è vuota - rozza o sofisticata che sia.
Il pensiero selettivo è la peggiore malattia delle visioni del mondo - che poi stanno sempre a dirci come dobbiamo essere.
Così nella vita concreta non pochi fedeli preferiscono avere amici senza cecità conformiste o gli stessi vincoli di appartenenza.
A ben guardare, persino le realtà laicali più devote manifestano un’accentuata e strana dicotomia di relazioni - tribali e altro.
Papa Francesco si è espresso in modo nitido:
«È uno scandalo quello di persone che vanno in chiesa, che stanno lì tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri e parlando male della gente: meglio vivere come ateo anziché dare una contro-testimonianza dell'essere cristiani».
Il mondo reale sveglia e stimola alla flessibilità degli standard, non inculca qualche vetero-esattezza, in clima d’ipnosi.
Oggi la realtà globale aiuta a smussare gli spigoli di conventicola [i quali hanno i loro rigurgiti, in termini di seduzione e risucchio].
Di fronte a tali convinzioni e illusioni il Profeta marca distanza; opera per diffondere consapevolezze, non immagini rassicuranti - né idee disincarnate.
Ma gli araldi critici irritano violentemente la folla degli abituali, i quali d’improvviso passano da una sorta di curiosità allo sdegno vendicativo.
Come nel paesino, così - si legge in filigrana - nella Città Santa [Monte Sion] da cui subito ti vogliono buttare giù (Lc 4,29).
Dovunque si parli di persona reale e sogni eterni: i suoi, non altrui.
Nell’ostilità che li attornia, gl’intimi del Signore sfidano a viso aperto le convinzioni normalizzate, acquisite dall’ambiente e non rielaborate.
Per loro non conta solo l’analogia calcolata a un contorno meschino. Vedono altri obbiettivi e non vogliono solo “arrivare”.
Se vengono sopraffatti, lasciano dietro sé quella scia d’intuizioni che prima o poi farà riflettere sia clan dannosissimi che opportunisti inutili.
In tal guisa, negli Amici e Fratelli è il Risorto stesso che scampa. E riprende il cammino, attraversando chi vuol farlo fuori (v. 30) per motivi d’interesse personale o tornaconto di quartiere.
In ogni tempo, i testimoni fanno pensare: non cercano complimenti e risultati piacevoli, ma recuperano i lati opposti e accettano la felicità altrui.
Sanno che l’Unicità deve fare la sua corsa: sarà ricchezza per tutti, e su questo punto non si lasciano inibire dalla nomenclatura.
Pur circondati dall’odio invidioso e mortale d’idioti astuti e sinagoghe consolidate, annunciano l’Amore in Verità - né bufale burine (approvate quanto vuote) né secondi fini (utilità in solido).
Infatti, senza mungere e tosare gli sprovveduti, tali missionari danno impulso al coraggio e alla crescita altrui, all’autonomia delle scelte.
Tutto ciò, favorendo la coesistenza degli invisibili e disprezzati; in un clima di comprensione e spontaneità.
Essi amano il rigoglio della vita, perciò discriminano tra religione e Fede: non si ergono a ripetitori di dottrine, prescrizioni, consuetudini.
Sulla base della personale esperienza del Padre, i fedeli ispirati valorizzano i diversi approcci, creando una stima sconosciuta.
Affrontano giovani mostri settari [direbbe il Pontefice], vecchi marpioni e i loro steccati, a viso aperto, caldeggiando nuovi atteggiamenti - differenti modi di rapportarsi con Dio.
Non per aggiungere proseliti e considerarsi indispensabili.
Anche se «in patria» (v. 24) sono personaggi scomodi per la mentalità ratificata, i nessuno-Profeti fanno sopravvivere il personalismo di Gesù, strappandolo da chi lo vuole sopito e sequestrato.
Come Lui, a rischio d’impopolarità e senza mendicare approvazioni.
Con le cicatrici di quel che è andato via, per un nuovo Viaggio.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
In “patria” sei considerato un bambinone del luogo, o un profeta? Un personaggio ratificato, o scomodo? A modo, o impopolare?
La tua testimonianza è trasgressiva o conformista? Fa sopravvivere il personalismo di Gesù, strappandolo da chi lo vuole sopito e sequestrato?
Dio vuole la fede, loro i miracoli: Dio a proprio vantaggio
Domenica scorsa la liturgia ci aveva proposto l’episodio della sinagoga di Nazaret, dove Gesù legge un passo del profeta Isaia e alla fine rivela che quelle parole si compiono “oggi”, in Lui. Gesù si presenta come colui sul quale si è posato lo Spirito del Signore, lo Spirito Santo che lo ha consacrato e lo ha mandato a compiere la missione di salvezza in favore dell’umanità. Il Vangelo di oggi (cfr Lc 4,21-30) è la prosecuzione di quel racconto e ci mostra lo stupore dei suoi concittadini nel vedere che uno del loro paese, «il figlio di Giuseppe» (v. 22), pretende di essere il Cristo, l’inviato del Padre.
Gesù, con la sua capacità di penetrare le menti e i cuori, capisce subito che cosa pensano i suoi compaesani. Essi ritengono che, essendo Lui uno di loro, debba dimostrare questa sua strana “pretesa” facendo dei miracoli lì, a Nazaret, come ha fatto nei paesi vicini (cfr v. 23). Ma Gesù non vuole e non può accettare questa logica, perché non corrisponde al piano di Dio: Dio vuole la fede, loro vogliono i miracoli, i segni; Dio vuole salvare tutti, e loro vogliono un Messia a proprio vantaggio. E per spiegare la logica di Dio, Gesù porta l’esempio di due grandi profeti antichi: Elia ed Eliseo, che Dio aveva mandato a guarire e salvare persone non ebree, di altri popoli, ma che si erano fidate della sua parola.
Di fronte a questo invito ad aprire i loro cuori alla gratuità e alla universalità della salvezza, i cittadini di Nazaret si ribellano, e addirittura assumono un atteggiamento aggressivo, che degenera al punto che «si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero sul ciglio del monte […], per gettarlo giù» (v. 29). L’ammirazione del primo istante si è mutata in un’aggressione, una ribellione contro di Lui.
E questo Vangelo ci mostra che il ministero pubblico di Gesù comincia con un rifiuto e con una minaccia di morte, paradossalmente proprio da parte dei suoi concittadini. Gesù, nel vivere la missione affidatagli dal Padre, sa bene che deve affrontare la fatica, il rifiuto, la persecuzione e la sconfitta. Un prezzo che, ieri come oggi, la profezia autentica è chiamata a pagare. Il duro rifiuto, però, non scoraggia Gesù, né arresta il cammino e la fecondità della sua azione profetica. Egli va avanti per la sua strada (cfr v. 30), confidando nell’amore del Padre.
Anche oggi, il mondo ha bisogno di vedere nei discepoli del Signore dei profeti, cioè delle persone coraggiose e perseveranti nel rispondere alla vocazione cristiana. Persone che seguono la “spinta” dello Spirito Santo, che le manda ad annunciare speranza e salvezza ai poveri e agli esclusi; persone che seguono la logica della fede e non del miracolismo; persone dedicate al servizio di tutti, senza privilegi ed esclusioni. In poche parole: persone che si aprono ad accogliere in sé stesse la volontà del Padre e si impegnano a testimoniarla fedelmente agli altri.
Preghiamo Maria Santissima, perché possiamo crescere e camminare nello stesso ardore apostolico per il Regno di Dio che animò la missione di Gesù.
[Papa Francesco, Angelus 3 febbraio 2019]
Ci troviamo ancora nella sinagoga di Nazaret, il paese dove Gesù è cresciuto e dove tutti conoscono lui e la sua famiglia. Ora, dopo un periodo di assenza, Egli è ritornato in un modo nuovo: durante la liturgia del sabato legge una profezia di Isaia sul Messia e ne annuncia il compimento, lasciando intendere che quella parola si riferisce a Lui, che Isaia ha parlato di Lui. Questo fatto suscita lo sconcerto dei nazaretani: da una parte, «tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca» (Lc 4,22); san Marco riferisce che molti dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data?» (6,2). D’altra parte, però, i suoi compaesani lo conoscono troppo bene: E’ uno come noi – dicono –. La sua pretesa non può essere che una presunzione » (cfr L’infanzia di Gesù, 11). «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22), come dire: un carpentiere di Nazaret, quali aspirazioni può avere?
Proprio conoscendo questa chiusura, che conferma il proverbio «nessun profeta è bene accetto nella sua patria», Gesù rivolge alla gente, nella sinagoga, parole che suonano come una provocazione. Cita due miracoli compiuti dai grandi profeti Elia ed Eliseo in favore di persone non israelite, per dimostrare che a volte c’è più fede al di fuori d’Israele. A quel punto la reazione è unanime: tutti si alzano e lo cacciano fuori, e cercano persino di buttarlo giù da un precipizio, ma Egli, con calma sovrana, passa in mezzo alla gente inferocita e se ne va. A questo punto viene spontaneo chiedersi: come mai Gesù ha voluto provocare questa rottura? All’inizio la gente era ammirata di lui, e forse avrebbe potuto ottenere un certo consenso… Ma proprio questo è il punto: Gesù non è venuto per cercare il consenso degli uomini, ma – come dirà alla fine a Pilato – per «dare testimonianza alla verità» (Gv 18,37). Il vero profeta non obbedisce ad altri che a Dio e si mette al servizio della verità, pronto a pagare di persona. E’ vero che Gesù è il profeta dell’amore, ma l’amore ha la sua verità. Anzi, amore e verità sono due nomi della stessa realtà, due nomi di Dio.
[Papa Benedetto, Angelus 3 febbraio 2013]
«The Russian mystics of the first centuries of the Church gave advice to their disciples, the young monks: in the moment of spiritual turmoil take refuge under the mantle of the holy Mother of God». Then «the West took this advice and made the first Marian antiphon “Sub tuum Praesidium”: under your cloak, in your custody, O Mother, we are sure there» (Pope Francis)
«I mistici russi dei primi secoli della Chiesa davano un consiglio ai loro discepoli, i giovani monaci: nel momento delle turbolenze spirituali rifugiatevi sotto il manto della santa Madre di Dio». Poi «l’occidente ha preso questo consiglio e ha fatto la prima antifona mariana “Sub tuum praesidium”: sotto il tuo mantello, sotto la tua custodia, o Madre, lì siamo sicuri» (Papa Francesco)
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
The basis of Christian construction is listening to and the fulfilment of the word of Christ (Pope John Paul II)
Alla base della costruzione cristiana c’è l’ascolto e il compimento della parola di Cristo (Papa Giovanni Paolo II)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)
The first constitutive element of the group of Twelve is therefore an absolute attachment to Christ: they are people called to "be with him", that is, to follow him leaving everything. The second element is the missionary one, expressed on the model of the very mission of Jesus (Pope John Paul II)
don Giuseppe Nespeca
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