Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
XX Domenica Tempo Ordinario (anno C) [17 agosto 2025]
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. Ecco il commento ai testi biblici di domenica prossima.
*Prima Lettura dal Libro del profeta Geremia (38,4-6.8-10)
Il nome di Geremia ha dato origine al termine “geremiade”. Ma sarebbe un errore pensare che questo profeta abbia passato il suo tempo a lamentarsi e a piangersi addosso. È vero, invece, che fu spesso portato a gridare misericordia sotto il peso delle prove. E Dio sa quante ne ha vissute! Al punto che il proverbio “Nessuno è profeta in patria” si applica particolarmente a lui. A volte, dalla sua penna emergono espressioni di scoraggiamento assoluto (cf.Ger 15,10.18; 20,14). Di fronte ai ripetuti fallimenti della sua missione e ai mali di cui è vittima, Geremia si pone domande inquietanti, arrivando persino a chiedere conto a Dio, la cui condotta gli appare sorprendente, se non addirittura ingiusta: “Tu sei giusto, Signore! Ma io voglio discutere con te. Perché riescono i malvagi? Perché sono tranquilli tutti i traditori?” (Ger 12,1-2). Leggendo il libro di Geremia ci si rende conto che aveva buone ragioni per porsi queste domande e lamentarsi:capitolo dopo capitolo, emergono i complotti dei suoi avversari, gli inganni, le minacce poi messe crudelmente in atto (cf. Ger 20,10; 18,18; 11,21;12,6). Nel brano che la liturgia propone questa domenica, ci troviamo davanti a una delle tante sue sventure, un episodio tipico della sua vita in cui compaiono tutti gli argomenti e la cattiveria dei suoi avversari: “Si metta a morte Geremia, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia il popolo dicendo loro simili parole, perché quest’uomo non cerca il benessere del popol, ma il male” (v.4). Lo prendono e lo gettano nella cisterna del principe Melchia, dove non c’era acqua ma fango e affondò nel fango per cui più realistica di così non si potrebbe descrivere la persecuzione che subì. Dio però non abbandona il suo profeta, mantiene la promessa fatta il giorno della sua vocazione, quella di sostenerlo contro ogni avversità e fu davvero un’alleanza tra Dio e lui (Ger 1,4-5.17-19); infatti, in un giorno in cui era particolarmente scoraggiato, Dio gli aveva rinnovato la missione e la promessa (Ger 15,21) e ora lo strumento della liberazione sarà uno straniero, un etiope chiamato Ebed-Melech. Non è la prima volta che la Bibbia ci presenta degli stranieri rispettosi di Dio e dei suoi profeti più del popolo eletto. Quest’etiope ha il coraggio di intervenire presso e il re, che concede il permesso di salvare Geremia. Quando più tardi Gesù racconterà la parabola del Buon Samaritano, forse pensava anche a questo etiope che salvò il profeta perché molti sono i punti in comune tra il buon samaritano e l’etiope. Nel seguito del racconto, versetti non riportati nel testo liturgico, emergono molti dettagli della delicatezza del pagano che salva il profeta, con mille precauzioni per non ferirlo durante la risalita (28, 11-13). Perché nessuno è profeta nella propria patria? Domanda ricorrente: probabilmente ciò avviene perché l’annuncio dell’amore di Dio per gli uomini comporta l’esigenza di amarci, a nostra volta e quando si vive insieme si è più facili a vedere il negativo che il positivo: “Nessuno è grande agli occhi del proprio vicino”. Le lamentele di Giobbe (al capitolo 3) sono simili a quelle di Geremia e si pensa che l’autore del libro di Giobbe si sia ispirato ai lamenti di Geremia, considerato esempio per eccellenza del giusto perseguitato.
Salmo responsoriale (39/40,2,3,4,18)
“Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato”. Il salmo parla in prima persona singolare, ma in realtà è il popolo d’Israele che canta la sua riconoscenza perché ha attraversato terribili prove e Dio lo ha liberato. Questo salmo è dunque un salmo di ringraziamento, composto per essere cantato nel Tempio al momento dell’offerta di un sacrificio di ringraziamento, sacrifici di animali celebrati fino alla distruzione definitiva del Tempio, nel 70 d.C. Il popolo intero esplode di gioia al ritorno dall’esilio babilonese come dopo il passaggio del Mar Rosso. L’esilio è stato come una caduta mortale in un pozzo senza fondo, un abisso da cui sembrava impossibile rialzarsi e il salmo parla del “terrore dell’abisso”. Durante quel lungo periodo di prova, il popolo, sostenuto da sacerdoti e profeti, ha mantenuto la speranza e la forza di invocare aiuto: “Tu sei mio aiuto e mio liberatore: mio Dio, non tardare!” (v. 18) e Dio lo ha salvato: “Il Signore…ha dato ascolto al mio grido”(v.2). Al suo rientro il popolo sembra resuscitato e ringrazia: “Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo…Molti vedranno e avranno timore e confideranno nel Signore…Ma io sono povero e bisognoso: di me ha cura il Signore” (vv4, 18). Prima dell’esilio Israele viveva nella sicurezza ma i profeti non erano riusciti a svegliarlo dalla sua indifferenza. Durante l’esilio ha meditato sulle cause del disastro chiedendosi se la causa non fosse questa sua superficialità. Questo salmo suona come un avvertimento per il futuro, o meglio come una risoluzione perché, per non ricadere nello stesso errore, Israele deve vivere fedelmente l’Alleanza. In questo spirito, il salmo sviluppa una riflessione su ciò che piace veramente a Dio: “sacrifici e offerta non gradisci… non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo”.(vv 7,8,9). Per esprimere l’esperienza del ritorno alla terra promessa, come un ritorno alla vita, il salmista utilizza la parabola di un uomo gettato in un pozzo dai nemici, ispirandosi forse all’esperienza del profeta Geremia, di cui la prima lettura racconta le disavventure: gettato in un pozzo è liberato da Ebed-Melek, uno straniero. Geremia sapeva che, dietro alla generosità sorprendente di quell’uomo, c’era Dio stesso:”Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose, dal fango della palude; ha stabilito i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi.”(v.3). Liberato, esplode di gioia: Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio. Molti vedranno e confideranno nel Signore.”(v.4). Chi è stato salvato canta la lode di Dio ed altri, vedendo che Dio salva, desidereranno rivolgersi a Lui. Il salmo non si ferma qui perché il versetto finale proclama: Tu sei mio aiuto e mio liberatore: mio Dio, non tardare!” (v.18). Poiché l’umanità non ha ancora raggiunto il pieno compimento del disegno di Dio, il salmista suggerisce due atteggiamenti di preghiera: La lode per le salvezze già avvenute, perché altri si aprano al Dio salvatore; la supplica per la salvezza che ancora attendiamo, perché lo Spirito ci ispiri le azioni da compiere. Non siamo noi a salvare il mondo come il salmo dice: ”Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio.Molti vedranno e confideranno nel Signore.”(v.4) Dio troverà sempre un piccolo resto da salvare. Amos dice: ”Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe” (5,15); Anche Isaia ripete cose simili come poi approfondiranno Michea, Sofonia, Zaccaria i quali annunciano che il “Resto” d’Israele non sarà solo salvato, ma diventerà strumento di salvezza per tutti gli altri. Dio si servirà di loro per salvare l’umanità intera come afferma Michea: “Il resto di Giacobbe sarà, in mezzo a molti popoli, come una rugiada venuta dal Signore” (5,6).
Seconda Lettura dalla Lettera agli Ebrei (12,1-4)
Ai cristiani perseguitati, l’autore della Lettera rivolge parole di incoraggiamento. Ha dedicato il capitolo 11 a presentare i grandi modelli di fede dell’Antico Testamento e domenica scorsa si parlava di Abramo e Sara. Qui, all’inizio del capitolo 12, afferma che tutti icredenti dell’Antico Testamento sono come una “nube di testimoni” che ci circonda: una nube di protettori. L’autore non si accontenta di raccomandare ai cristiani di imitare la fiducia e la costanza dei grandi personaggi del passato, ma li invita a «tenere fisso lo sguardo su Gesù», il testimone sempre presente, colui che ha detto: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20), origine alla fede e suo compimento. Una traduzione più letterale sarebbe: Gesù è il “pioniere della fede” e il termine greco utilizzato ἀρχηγός archēgós tradotto con “pioniere” indica capo, condottiero, pioniere, iniziatore, fondatore, colui che apre la via e guida in avanti, una guida perfetta di cui ci si può fidare perché conduce al pieno compimento. Infatti, egli stesso ha attraversato la prova della perseveranza, nella quale anche i cristiani sono ora impegnati. Molto più dura la sua prova: venuto come lo Sposo, per la gioia di una festa di nozze, aveva detto parlando di sé che non si può far digiunare gli invitati finché lo sposo è con loro (cf. Mc 2,19), ma lo Sposo non fu riconosciuto ed anzi, rinunciando alla gioia che gli era posta innanzi, sopportò la croce disprezzando l’infamia di quel supplizio. San Paolo lo dice in altro modo scrivendo ai Filippesi: “Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo… umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e a una morte di croce” (Fil 2,6-8). Un tale contrasto è persino inimmaginabile: venuto a salvare l’umanità dal peccato, il Cristo ha ricevuto un drammatico rifiuto, ucciso a causa del peccato degli uomini: “Pensate attentamente colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori”(v.3) . Sia la Lettera agli Ebrei sia quella ai Filippesi sottolineano che Gesù è nostro modello e sostegno non per la quantità delle sue sofferenze, ma per la sua “obbedienza” fino alla morte, e a una morte di croce, come scrive Paolo mentre nella Lettera agli Ebrei si legge che pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì (cf. 5,8). Obbedire – dal latino ob-audire – significa letteralmente “porre l’orecchio davanti alla Parola” che è l’attitudine della fiducia assoluta. Gesù nella situazione più estrema mantiene totale fiducia nel Padre, che sempre presente e attento al suo Figlio amato, condivide la sua sofferenza e le sue angosce: “rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2 Tm 2,13). Segue il trionfo dell’Amore di Dio e Cristo siede alla destra di Dio, regna con lui. Questo stesso trionfo viene promesso a coloro che sopportano la persecuzione come Cristo. L’autore non esita a usare la parola “lotta” per descrivere questo coraggio: i cristiani a cui scrive rischiano visibilmente la vita per restare fedeli a Gesù che così aveva avvertito: “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi… Ma con la vostra perseveranza salverete la vostra vita” (Lc 21,12 - 19). In tutto il mondo, alcuni cristiani sono direttamente coinvolti da questa sorte perché stanno vivendo persecuzioni aperte o nascoste. A noi, che almeno per il momento non conosciamo la persecuzione diretta, è chiesto di essere testimoni parlando con coraggio di Dio e difendendo la sua verità.
Dal Vangelo secondo Luca (12,49-53)
Gesù paragona la sua missione a un fuoco: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!” Fin dal fuoco della Pentecoste, questo annuncio fu come una fiamma diffusasi rapidamente: nel popolo ebraico appariva come distruttore di tutto l’edificio religioso, nel mondo pagano era considerato come una contagiosa follia. San Paolo scrive ai Corinzi: “Noi predichiamo un Messia crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani.” (1 Cor 1,23). Questo fuoco lascia tracce indelebili: coloro che si lasciano ardere dal Vangelo e coloro che lo rifiutano diventano irrimediabilmente antagonisti, anche se uniti da legami familiari per cui si realizza ciò che descriveva con desolazione il profeta Michea nel suo tempo di angoscia: “Il figlio insulta il padre, la figlia si ribella contro la madre, la nuora contro la suocera; i nemici di ciascuno sono i suoi familiari.” (Mi 7,6). Quando Gesù annuncia queste lacerazioni, non si tratta di un semplice presentimento: parla per esperienza come avvenne a Nazaret dove, dopo un primo entusiasmo, i suoi amici d’infanzia e i suoi familiari si rivoltano contro di lui, perché aveva appena detto che la sua missione superava i confini d’Israele (Lc 4,28-29). E non è l’unica volta in cui Gesù si scontra con l’incomprensione, persino l’opposizione dei suoi: san Giovanni scrive che nemmeno i suoi fratelli credevano in lui (cf. Gv 7,5). Del resto, Gesù non esita a dire ai suoi discepoli che una delle condizioni per annunciare il Regno di Dio è accettare possibili separazioni dolorose. Se infatti lo si vuole seguire, ma non lo si ama più delle persone più care e perfino più della propria vita, mai si diventa suoi discepoli. (cf. Lc 14,26) per cui il fuoco che egli ha acceso conduce a scelte radicali. Israele attendeva un Messia che portasse la pace al mondo, essendo ben note le profezie di Isaia (Is 2;11), Gesù invece annuncia divisioni: “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione.” La pace di Gesù esige la conversione radicale del cuore, ma a questa conversione molti si opporranno con tutte le forze. Il suo annuncio di pace incontrerà il favore di alcuni, ma l’opposizione di molti: venuto tra noi per annunciare l’amore e la salvezza, ha subìto sofferenza e morte, come egli stesso aveva predetto: “È necessario che il Figlio dell’uomo soffra molto, sia rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venga ucciso e il terzo giorno risorga.” (Lc 9,22). E ancora: sarà consegnato ai pagani, deriso, insultato, sputato, flagellato e ucciso, ma risorgerà il terzo giorno (cf Lc 18,32). La sua risurrezione ci infonde coraggio: vivificati dal suo Spirito effuso su di noi, non abbiamo paura di incendiare il mondo con il fuoco della sua carità.
+ Giovanni D’Ercole
Assunzione della Beata Vergine Maria [15 Agosto 2025]
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. Per la Festa dell’Assunzione ho elaborato diversi testi perché sono passaggi biblici che tornano spesso nelle feste mariane e quindi possono spero risultare utili per incontri, catechesi e meditazioni. Auguro di cuore una santa e serena festa dell’Assunzione di Maria a voi tutti.
*Prima Lettura dal Libro dell’Apocalisse (11, 19a; 12, 1-6a. 10ab)
La prima frase che leggiamo è la conclusione del capitolo 11 dell’Apocalisse, che preannuncia la fine dei tempi e la vittoria di Dio su tutte le forze del male, come già detto al v.15: “Nel cielo si alzarono voci potenti che dicevano: Il regno del mondo appartiene ormai al nostro Signore e al suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli”. Per esprimere questo messaggio di vittoria, come sempre nell’Apocalisse, san Giovanni usa numerose immagini: abbiamo visto, in successione, l’Arca dell’Alleanza e tre personaggi: la donna, il drago, poi il neonato..L’Arca dell’Alleanza richiama la famosa arca, lo scrigno di legno dorato che accompagnava il popolo durante l’Esodo sul Sinai e che ricordava costantemente al popolo d’Israele l’Alleanza con Dio. In verità l’arca era scomparsa al tempo dell’esilio a Babilonia; si raccontava che Geremia l’avesse nascosta da qualche parte sul monte Nebo (2 Mac 2,8) e si credeva che sarebbe riapparsa al momento della venuta del Messia. Giovanni la vede riapparire: “Si aprì il tempio di Dio, che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua Alleanza” (11,19). Questo è il segno che la fine dei tempi è giunta: l’alleanza eterna di Dio con l’umanità è finalmente compiuta in modo definitivo. Poi appare “una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta, gridava per le doglie e il travaglio del parto”. Chi rappresenti questa donna? L’Antico Testamento ci dà la chiave, perché spesso il rapporto tra Dio e Israele è descritto in termini nuziali come in Osea (2,21-22), mentre Isaia sviluppa il tema delle nozze fino a presentare la venuta del Messia come un parto, poiché è da Israele che deve nascere il Messia (66,7-8). La donna qui descritta rappresenta il popolo eletto che genera il Messia: un parto doloroso per i discepoli di Cristo perseguitati ai quali Giovanni dice: state partorendo l’umanità nuova. Il secondo personaggio è il drago, posto davanti alla donna per divorare il figlio appena nato, che indica la lotta delle forze del male contro il progetto di Dio. Per i cristiani perseguitati ai quali l’Apocalisse si rivolge, la parola “drago” non è esagerata e la descrizione impressionante rivela la violenza che li colpisce: il drago è enorme, rosso fuoco, con sette teste e dieci corna, e sulle teste sette diademi. Teste e corna rappresentano intelligenza e potenza, i diademi indicano il potere imperiale che mostra una reale capacità di nuocere trascinando un terzo delle stelle del cielo e le scaglia sulla terra. Solo un terzo però per cui non è una vera vittoria, e il resto del testo dirà che il potere del male è solo provvisorio. Ed ecco l’infante: “La donna partorì un figlio, un maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro”: si tratta chiaramente del Messia e allude a una frase del Salmo 2: “Il Signore mi ha detto: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato. Chiedimi e ti darò in eredità le genti, in possesso le estremità della terra. Le spezzerai con scettro di ferro” (Sal 2,7-9). “Il figlio fu rapito verso Dio e verso il trono” simbolo della risurrezione di Cristo, che i cristiani consideravano il Primogenito, ormai seduto alla destra di Dio. I cristiani vivono in un mondo difficile, ma sono certi della protezione di Dio: questo è il significato del deserto, che richiama ancora una volta l’esodo, durante il quale Dio non ha mai cessato di prendersi cura del suo popolo e per questo possono stare tranquilli: se il drago ha fallito nel cielo, non potrà vincere nemmeno sulla terra. Ai primi cristiani duramente perseguitati l’Apocalisse annuncia la vittoria: “Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo” (Ap 12,10).
Complementi 1.La lettura liturgica non propone la fine di Ap 11,19, ma vale la pena leggerla: la scena descritta (lampi, voci, tuoni, terremoto) richiama il momento della conclusione dell’Alleanza sul Sinai. «Allora ci furono lampi, voci, tuoni, un terremoto e una forte grandine» (Ap 11,19), da confrontare con: «Il terzo giorno, al mattino, ci furono tuoni, lampi, una nube densa sulla montagna e un suono fortissimo di tromba» (Es 19,16).
2. l’Apocalisse si rivolge a cristiani perseguitati per sostenerli nella prova: il suo contenuto, dall’inizio alla fine, è messaggio di vittoria; ma tutto è codificato per cui va decifrato e in effetti, fin dalle prime parole, l’autore afferma che il drago non potrà ostacolare la salvezza di Dio. Riguardo allo scettro di ferro del Messia, ci aiuta a capire la profezia di Balaam (Nm 24,17). Una rilettura cristiana successiva ha applicato la visione della donna alla Vergine Maria e per questo la liturgia ci propone questo testo nella festa dell’Assunzione di Maria perché lei è la prima a beneficiare del trionfo di Cristo. Questa lotta del drago contro la donna richiama il racconto della Genesi: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn 3,15). Testo che offre una bellissima definizione della salvezza: la forza e la regalità del nostro Dio (Ap 12,10).
*Salmo responsoriale (44 /45, 11-16)
Oggi leggiamo solo la seconda parte del Salmo 44/45, che si rivolge alla sposa del re di Gerusalemme, nel giorno delle sue nozze. La prima parte del salmo parla del re stesso, coperto di elogi per le sue virtù a cui viene promesso un regno glorioso e che Dio stesso ha scelto. La seconda parte, nella festa dell’Assunzione, si rivolge alla giovane principessa che sta per diventare la sposa del re. A un primo livello, dunque, questo salmo sembra descrivere nozze regali: il re d’Israele si unisce a una principessa straniera per suggellare l’alleanza tra due popoli, caso frequente in Israele come altrove. Nella storia dell’umanità, si sono viste molte alleanze politiche sancite da matrimoni. Ma, poiché la religione di Israele è un’Alleanza esclusiva con l’unico Dio, ogni giovane straniera che diventava regina a Gerusalemme doveva accettare una condizione particolare: sposare anche la religione del re. Concretamente, in questo salmo, la principessa che viene da Tiro — come ci viene detto — e che viene introdotta alla corte del re d’Israele, dovrà rinunciare alle pratiche idolatriche per essere degna del suo nuovo popolo e del suo sposo: “Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio: dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre”. Questo fu un problema cruciale al tempo del re Salomone, che aveva sposato donne straniere, e quindi pagane e più tardi, al tempo del re Acab e della regina Gezabele: ricordiamo il grande scontro del profeta Elia contro i numerosi sacerdoti e profeti di Baal che Gezabele aveva portato con sé alla corte di Samaria. Ma, per chi sa leggere tra le righe, questi consigli dati alla principessa di Tiro in realtà sono rivolti a Israele: lo sposo regale descritto nel salmo non è altri che Dio stesso, e questa “figlia di re, condotta tutta adorna verso il suo sposo” è il popolo d’Israele ammesso all’intimità con il suo Dio. Ancora una volta, colpisce l’audacia degli autori dell’Antico Testamento nel descrivere la relazione tra Dio e il suo popolo, e, attraverso di esso, con tutta l’umanità. Il profeta Osea, per primo, paragonò Israele a una sposa (Os 2,16…18). Dopo di lui, Geremia, Ezechiele, il secondo e il terzo Isaia hanno sviluppato il tema delle nozze tra Dio e il suo popolo;e nei loro testi ritroviamo tutto il vocabolario nuziale: i nomi affettuosi, l’abito da sposa, la corona nuziale, la fedeltà (cf Ger 2,2; Is 62,5). Purtroppo, questa sposa, troppo umana, fu spesso infedele, cioè idolatra e gli stessi profeti definiranno le infedeltà del popolo come adultèri, cioè come ritorni all’idolatria. Il linguaggio allora si precisa: gelosia, adulterio, prostituzione, ma anche riconciliazione e perdono, perché Dio resta sempre fedele. Isaia, per esempio, parla delle deviazioni di Israele come una delusione amorosa nel celebre canto della vigna (Is 5,1-7; 54,4-10). L’idolatria occupa tanto spazio nei discorsi dei profeti perché l’alleanza tra Dio e l’umanità, questo progetto salvifico, passa attraverso la fedeltà d’Israele. Israele lo sa: la sua elezione non è esclusiva, ma solo restando fedele al Dio unico potrà compiere la sua vocazione di testimone presso tutte le nazioni. In Maria la Bibbia osa affermare che Dio ha chiesto in sposa l’umanità intera. Celebrando l’Assunzione di Maria e la sua introduzione nella gloria di Dio, intuiamo in anticipo l’ingresso dell’intera umanità, sulle sue orme, nell’intimità con il suo Dio.
Seconda Lettura dalla prima Lettera di san Paolo ai Corinti (1 Cor 15, 20 - 27a)
La liturgia ci propone oggi una meditazione di Paolo sulla risurrezione di Cristo, in contrasto con la morte di Adamo. Abbiamo dunque una pista di riflessione: che cosa hanno in comune Cristo e Maria? E che cosa invece non ha Adamo? Il vangelo della Visitazione ci fa contemplare in Maria colei che ha creduto e ha accettato di entrare nel progetto di Dio, senza capire tutto. La sua risposta all’Angelo è il modello dei credenti: “Avvenga di me secondo la tua parola (Lc 1,38), sono la serva del Signore pronta a mettere la vita al servizio dell’opera di Dio. Nel Magnificat Maria rivela le sue preoccupazioni più profonde rileggendo la propria vita alla luce del grande progetto di Dio per il suo popolo, a favore di Abramo e della sua discendenza per sempre, come aveva promesso ai padri. Fin dall’inizio, nella Bibbia, si era compreso che questa è l’unica cosa che Dio ci chiede: essere pronti a dire: Eccomi. Abramo, Mosè, Samuele – chiamati da Dio – seppero rispondere così. E grazie a loro, l’opera di Dio ha potuto compiere ogni volta un passo avanti. Il Nuovo Testamento propone come esempio Gesù Cristo che nel racconto delle Tentazioni, risponde alle seduzioni del tentatore con le sole parole della fede. E se ci insegna a dire, nel Padre Nostro, sia fatta la tua volontà, è perché questo è il suo pensiero centrale come dice ai discepoli nell’episodio della Samaritana: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34). Nel Getsemani, non si smentisce: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26,39). E l’autore della Lettera agli Ebrei riassume così tutta la vita di Gesù: «Entrando nel mondo, Cristo dice: Ecco, io vengo per fare la tua volontà» (Eb 10,5…10). Se in ogni tempo e in ogni circostanza Gesù si sottomette alla volontà del Padre, è perché si fida. Anche di lui si potrebbe dire:«Beato colui che ha creduto…».La sua risurrezione dimostra che la via della fede è davvero la via della vita, anche se passa attraverso la morte fisica. Nella Lettera ai Romani e in quella ai Corinzi, Paolo contrappone il comportamento di Cristo a quello di Adamo: Adamo è colui al quale tutto è stato offerto – l’albero della vita, il dominio sul creato – ma non ha creduto alla benevolenza di Dio rifiutando di sottomettersi ai sui comandamenti. L’apostolo non vuole raccontare cosa sarebbe successo se Adamo non avesse peccato, ma intende ricordarci che esiste una sola via che conduce alla vita e c’introduce nella gioia di Dio. Adamo volta le spalle all’albero della vita quando comincia a dubitare di Dio e Paolo lo dice al presente, perché per lui Adamo non è un uomo del passato, ma un un modo di essere uomini. Come osservano i rabbini: Ognuno è Adamo per sé stesso. Si comprende allora meglio l’affermazione di Paolo che in Adamo tutti muoiono cioè, comportandoci come Adamo, ci allontaniamo da Dio e ci separiamo dalla vita vera che Egli vuole donarci in abbondanza. Al contrario, scegliere la via della fiducia, come ha fatto Cristo, a qualsiasi costo, è entrare la vera vita: “La vita eterna è che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). Conoscere, nel linguaggio biblico, significa credere, amare, fidarsi. Paolo asserisce che in Cristo tutti torneranno alla vita innestandosi in lui, adottando cioè il suo stesso modo di vivere. L’odierna festa dell’Assunzione di Maria ci aiuta a contemplare la realizzazione del progetto di Dio sull’uomo, quando non viene ostacolato. Maria pienamente umana non ha agito come Adamo ed esprime il destino che ogni uomo avrebbe avuto se non ci fosse stata la caduta dei progenitori. Come ogni essere umano, ha conosciuto l’invecchiamento e un giorno ha lasciato questa vita addormentandosi nel Signore: è la “Dormizione” della Vergine. Possiamo dunque affermare due semplici verità: Il nostro corpo non è programmato per durare eternamente così com’è sulla terra e Maria, tutta pura e piena di grazia, si è addormentata. Adamo però ha ostacolato il progetto di Dio e la trasformazione del corpo che avremmo potuto conoscere, cioè la dormizione, è diventata morte con il suo seguito di sofferenze e fragilità perché la morte che tanto ci fa soffrire, è entrata nel mondo a causa del peccato. Ma là dove è entrata la forza della morte Dio ridà la vita: Gesù è ucciso dall’odio degli uomini, ma il Padre lo risuscita, il primo dei risorti che ci fa entrare nella vera vita, in cui regna l’amore. Elisabetta dice a Maria: “Beata colei che ha creduto…”;Gesù applica questa beatitudine a tutti coloro che credono: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21).
NOTA Quando il Risorto apparve a Saulo di Tarso sulla via di Damasco, la regalità di Cristo si impose a lui come una evidenza e questa certezza abiterà tutte le sue parole, tutti i suoi pensieri perché per lui Cristo, vincitore della morte, è anche il vincitore di tutte le forze del male, il Messia atteso da secoli. Per questo, in tutte le sue lettere si riconoscono le espressioni dell’attesa messianica del tempo: “Tutto sarà compiuto quando Cristo consegnerà il Regno a Dio Padre, dopo aver distrutto tutte le potenze del male”;oppur “Egli deve regnare finché non avrà posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi”, come leggiamo nel Salmo 110 (109).
Dal vangelo secondo Luca (1, 39 – 56)
Dopo i racconti dell’Annunciazione a Zaccaria per la nascita di Giovanni Battista, a Maria per la nascita di Gesù segue l’episodio della “Visitazione” che ha l’aspetto di un racconto familiare, ma non bisogna lasciarsi ingannare: in realtà, Luca sta scrivendo un’opera profondamente teologica. Bisogna dare tutto il peso alla frase centrale: “Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce”: E’ lo Spirito Santo a parlare per annunciare, fin dall’inizio del vangelo, quella che sarà la grande notizia di tutto il racconto di Luca: colui che è stato appena concepito è il Signore. Elisabetta proclama: “Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo”: Dio agisce in te e per mezzo di te, agisce nel Figlio che porti in grembo e per mezzo di lui. Come sempre, lo Spirito Santo permette di scoprire, nella nostra vita e in quella degli altri — di tutti gli altri — la traccia dell’opera di Dio. Luca certamente non ignora che la frase di Elisabetta, «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo», riprende almeno in parte una frase dell’Antico Testamento che si trova nel libro di Giuditta (Gdt 13,18-19): quando Giuditta torna dall’accampamento nemico, dove ha decapitato il generale Oloferne, viene accolta nel suo campo da Ozia che le dice: «Tu sei benedetta fra tutte le donne e benedetto è il Signore Dio». Maria viene quindi paragonata a Giuditta. E il parallelo tra le due frasi suggerisce due cose: il riprendere l’espressione benedetta fra tutte le donne fa intendere che Maria è la donna vittoriosa che garantisce all’umanità la vittoria definitiva sul male; quanto alla parte finale (per Giuditta: benedetto è il Signore Dio, per Maria: benedetto il frutto del tuo grembo), annuncia che il frutto del grembo di Maria è il Signore stesso. Dunque, questo racconto di Luca non è un semplice aneddoto e si può confrontare la forza delle parole di Elisabetta con il mutismo di Zaccaria. Piena di Spirito Santo, Elisabetta ha la forza di parlare; Zaccaria resta muto perché aveva dubitato delle parole dell’angelo che gli annunciavano la nascita di Giovanni Battista. Anche Giovanni Battista manifesta la sua gioia: Elisabetta dice che egli “ha sussultato di gioia” appena ha udito la voce di Maria e anche lui è pieno di Spirito Santo, come aveva annunciato l’angelo a Zaccaria: “Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita. Tua moglie Elisabetta ti darà un figlio e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno per la sua nascita… egli sarà pieno di Spirito Santo fin dal grembo materno”. Elisabetta si domanda: “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?”. Anche qui c’è un richiamo a un episodio dell’Antico Testamento: l’arrivo dell’Arca dell’Alleanza a Gerusalemme (2 Sam 6, 2-11). Dopo essersi stabilito come re a Gerusalemme e aver costruito un palazzo degno del re d’Israele, Davide decide di far salire l’Arca dell’Alleanza nella nuova capitale. Ma è diviso tra fervore e timore. All’inizio c’è una tappa vissuta con gioia: “Davide radunò tutta l’élite d’Israele, trentamila uomini. Si mise in cammino con tutto il popolo… per far salire l’arca di Dio sul quale è invocato il Nome, il Nome del Signore degli eserciti che siede sui cherubini…”. Ma accade un incidente: un uomo che tocca l’arca senza esserne autorizzato muore all’istante.Allora la paura ha il sopravvento su Davide, che esclama: “Come potrà venire da me l’arca del Signore?”. Il viaggio si interrompe: Davide preferisce lasciare l’arca nella casa di un certo Obed-Edom, dove rimane tre mesi, portando benedizioni su quella casa. Davide si rassicura: “Fu detto al re Davide: il Signore ha benedetto la casa di Obed-Edom e tutto ciò che gli appartiene, a causa dell’arca di Dio” e fa salire l’arca a Gerusalemme con grande gioia, danzando con tutte le sue forze davanti al Signore. È evidente che Luca ha voluto accumulare nel racconto della Visitazione molti dettagli che richiamano questa salita dell’arca: i due viaggi, quello dell’arca e quello di Maria, avvengono nella stessa regione, i monti di Giudea; l’arca entra nella casa di Obed-Edom e porta benedizione (2 Sam 6,12), Maria entra nella casa di Zaccaria ed Elisabetta e porta benedizione; l’arca resta tre mesi da Obed-Edom, Maria rimane tre mesi da Elisabetta; Davide danza davanti all’arca e Giovanni Battista salta di gioia davanti a Maria. Tutto ciò non è casuale. Luca ci invita a contemplare in Maria la nuova Arca dell’Alleanza. E l’arca era il luogo della Presenza di Dio. Maria porta in sé, misteriosamente, questa Presenza di Dio: d’ora in poi Dio abita la nostra umanità. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.” Tutto questo, grazie alla fede di Maria: Alle parole di Elisabetta Maria intona il Magnificat.
NOTA SUL MAGNIFICAT. In questa pagina di Luca, troviamo tantissimi riferimenti ad altri testi biblici e si possono riconoscere frammenti di molti salmi in quasi tutte le frasi. Questo significa che Maria non ha inventato le parole della sua preghiera: per esprimere il suo stupore davanti all’azione di Dio, riprende semplicemente espressioni già pronunciate dai suoi antenati nella fede.C’è già qui una doppia lezione: una lezione di umiltà, innanzitutto. Messa davanti a una situazione eccezionale, Maria utilizza semplicemente le parole della preghiera del suo popolo. C’è poi una lezione di senso comunitario, potremmo dire di senso ecclesiale sinodale. Nessuna delle citazioni bibliche contenute nel Magnificat ha un carattere individualista ma tutte riguardano il popolo intero. Questa è una delle grandi caratteristiche della preghiera biblica, e quindi della preghiera cristiana: il credente non dimentica mai di appartenere a un popolo e che ogni vocazione, lungi dal separarlo, lo mette al servizio di quel popolo. Quanto alle radici bibliche del Magnificat si può dire che è una rilettura dell’intera storia della salvezza: Dio ha compiuto meraviglie nei secoli, e continua ad agire nel presente. A.Nel passato: Ha guardato l’umiltà della sua serva; Ha compiuto grandi cose per Maria; Ha spiegato la potenza del suo braccio; Ha disperso i superbi; Ha rovesciato i potenti dai troni; Ha innalzato gli umili; Ha ricolmato di beni gli affamati; Ha rimandato i ricchi a mani vuote; Ha soccorso Israele, suo servo. B. Nel presente: Maria può proclamare: “Tutte le generazioni mi chiameranno beata” ed è vero ancora oggi. Il Signore fa misericordia di generazione in generazione. La misericordia di Dio è una realtà sempre presente per coloro che lo temono, cioè per coloro che si aprono alla sua grandezza. Il Magnificat ci insegna quindi a contemplare l’opera di Dio in tutta la storia, nella vita del popolo e nella nostra vita.Infine, il Magnificat si inserisce nel cuore della teologia di Luca: Dio capovolge le sorti: i potenti sono abbassati, gli umili innalzati; i ricchi vengono svuotati, i poveri riempiti. Questo “capovolgimento” è già presente nei profeti (soprattutto in Isaia e nel Primo Libro di Samuele), ma Luca lo pone al centro del suo Vangelo, che è pieno di parabole e di racconti in cui Dio dà la preferenza agli ultimi, ai piccoli, ai peccatori, ai poveri. Questa preghiera è dunque profondamente rivoluzionaria: non nel senso di una rivoluzione violenta, ma di una rivoluzione spirituale e sociale che passa per la misericordia, la giustizia, l’umiltà, e la fede.
+ Giovanni D’Ercole
Fiamma e Pace, Immersione e divisione. Non quietismo tattico
(Lc 12,49-53)
La differenza tra religiosità e Fede si rende palese nella comparazione tra la mentalità che identifica il Fuoco biblico con il castigo, e quella d’una sacra Fiamma riversata con passione d’amore (v.49) che evoca il Dono a nostro favore.
Francesco proclamava: «Laudato sie, mi Signore, per frate focu,/ per lo quale ennalumini la notte:/ et ello è bello e iocundo/ et robustoso et forte».
Per il Poverello d’Assisi il fuoco era elemento «nobile e utile fra le creature dell’Altissimo» [Legenda antiqua].
Egli aveva con «frate focu» uno sconcertante rapporto di cortesia. Certo esso non scacciava la notte allo stesso modo del Sole, ma vi portava luce.
Invece la vampa dei discepoli non era granché: Giacomo e Giovanni volevano che incenerisse avversari o malcapitati (Lc 9,54).
Prima di Gesù, Giovanni il battezzatore attendeva ancora un Messia che immergesse tutti in un falò divoratore e giustiziere (Lc 3,17).
L’incendio della Fede annunciata dalla Persona e dall’attività del Figlio non consuma, non corrode.
È viceversa come un ‘Pane’: pienezza di energia per una «vita completa», non elemento distruttivo o separatore.
Tutto ciò fa Rinascere persone, rapporti e realtà circostante. Modifica la nostra Relazione con Dio, con noi stessi e il prossimo.
Tale la ‘divisione’ proclamata (v.51): discrimine della nostra Chiamata.
Nella devozione comune l’errore di valutazione o la condizione di debolezza è considerata un’infermità, da additare, correggere, punire.
Le “impurità” non andrebbero ‘fuse’ nel Fuoco divino e provvidente: solo normalizzate secondo ataviche prescrizioni, o più recenti idee sofisticate [à la page].
Per la vita nello Spirito, viceversa, l’attenzione è altrove: le oscillazioni personali diventano possibilità; gli abbattimenti una nuova Forza.
Senso d’incapacità, insuccesso e impedimenti suscitano intensità, scambio, dialogo, nuove elaborazioni, ricerca di altri processi.
La Fede si accende onda su onda, nell’accogliere e corrispondere Dio che si rivela, chiama e ancora propone - addirittura mescolanze trasversali che impigliano i purismi.
Sono Alimento e Fiamma anche le nostre situazioni insoddisfacenti: i macigni che sembravano schiacciare e ci facevano negativi vengono assunti, diventano benzina che anima e proietta.
«Incarnazione» è il recupero dei lati opposti.
Su tale percorso, l’imperfezione diventa una molla, coi suoi Tesori che non vediamo, nascosti dietro lati oscuri.
Sono quei versanti che poi domineranno il nostro Desiderio.
In tal guisa, il Battesimo non è una rubrica o una mano di grigio e d’opinione comune.
Non è neppure un congegno che marchia, mettendo immediatamente all’angolo personalità e tensioni - bensì una Immersione (v.50 testo greco).
Accudendo le parti trascurate e fondendo i lati estranei o difformi, dall’esteriorità delle cose siamo riportati all’Origine di quanto accade.
[20a Domenica T.O. (anno C), 17 agosto 2025]
(Lc 12,49-59)
Chiesa funzionale? Il discernimento del Fuoco
Fiamma e Pace, Immersione e divisione. Non quietismo tattico
(Lc 12,49-53)
«Sono venuto a gettare un fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già divampato!» (Lc 12,49).
La differenza tra religiosità e Fede si rende palese nella comparazione tra la mentalità che identifica il Fuoco biblico con il castigo, e quella d’una sacra Fiamma riversata con passione d’amore (v.49) che evoca il Dono a nostro favore.
Francesco proclamava: «Laudato sie, mi Signore, per frate focu,/ per lo quale ennalumini la notte:/ et ello è bello e iocundo/ et robustoso et forte».
Per il Poverello d’Assisi il fuoco era elemento «nobile e utile fra le creature dell’Altissimo» [Legenda antiqua].
Egli aveva con «frate focu» uno sconcertante rapporto di cortesia. Certo esso non scacciava la notte allo stesso modo del Sole, ma vi portava luce.
Invece la vampa dei discepoli non era granché: Giacomo e Giovanni volevano che incenerisse avversari o malcapitati (Lc 9,54).
Prima di Gesù, Giovanni il battezzatore attendeva ancora un Messia che immergesse tutti in un falò divoratore e giustiziere (Lc 3,17).
Nel passo ad es. di Mt 19,13-15 la medesima tematica si confonde con l’ardore purista e fondamentalista degli apostoli che a tutti i costi volevano distaccare Gesù dai suoi diletti, i quali non avevano la minima intenzione di stare sottomessi.
L’incendio della Fede annunciata dalla Persona e dall’attività del Figlio non consuma, non corrode; è viceversa come un cibo: pienezza di energia per una vita completa, non elemento distruttivo o separatore.
Tutto ciò fa rinascere persone, rapporti e realtà circostante. Modifica la nostra Relazione con Dio, con noi stessi e il prossimo. Tale la divisione proclamata (v.51): il discrimine della nostra Chiamata.
Nella devozione comune l’errore di valutazione o la condizione di debolezza è considerata un’infermità, da additare, correggere, punire.
Dottrina e disciplina costituiscono l’armatura esteriore delle coscienze, e il culto le celebra e inculca [non di rado, in modo conformista e scadente, sebbene pretenzioso].
Le “impurità” non andrebbero “fuse” nel Fuoco divino e provvidente: solo normalizzate secondo ataviche prescrizioni, o idee sofisticate à la page.
Per la vita nello Spirito, viceversa, l’attenzione è altrove: le oscillazioni personali diventano possibilità; gli abbattimenti una nuova Forza.
Senso d’incapacità, insuccesso e impedimenti suscitano intensità, scambio, dialogo, nuove elaborazioni, ricerca di altri processi; anche rabbie di sdegno che divampano e stimolano al riscatto.
La Fede si accende onda su onda, nell’accogliere e corrispondere Dio che si rivela, chiama e ancora propone - addirittura mescolanze trasversali, che impigliano i purismi astratti.
«Sogniamo come un’unica umanità» - sottolinea l'enciclica Fratelli Tutti (n.8), gioendo «per la diversità» che ci abita (cf. n.10).
Nell’imperfezione di situazioni critiche, il Padre non ci scaglia addosso pietre, ma Pane [non raffermo - come nelle ideologie antiche].
Sono Alimento e Fiamma anche le nostre situazioni insoddisfacenti: i macigni che sembravano schiacciare e ci facevano negativi vengono assunti, diventano benzina che proietta; giubilo, che - invece di “sistemarci” - fa crescere ancora.
Chiamati a collaborare, partecipiamo alla stessa azione creatrice, gratuita e rallegrante del Signore.
Egli orienta alla Pace inedita della completezza in divenire, dell’umanizzazione a tutto tondo ancora da acquisire.
Il Disegno d’Amore evolve e irrobustisce attraverso eventi concreti, non escluse le coinvolgenti dinamiche che scaturiscono dalla consapevolezza del proprio confine - di cui non va fatta piazza pulita.
La Fede non crea idoli disgreganti, che parificano eccentricità e peccato, solo vi posa lo sguardo per capire, lasciando che si sciolgano e sboccino da quel magma energetico plasmabile, trasfigurandoci.
Per le credenze vetuste era inimmaginabile che l’Altissimo non provasse ripugnanza della nostra condizione - e proprio sulle pieghe della precarietà carnale volesse edificare una storia di salvezza.
Invece il Figlio ci è complice. Strizza l’occhiolino persino a quegli aspetti che lo sguardo conformista gabella come squilibri, disturbi, malattie.
Vuol fare di ciascuno di noi non un censore o un buonista, bensì un irripetibile capolavoro - non costruito in provetta, ma che non t’aspetti.
Il Signore non standardizza né sterilizza, pretendendo recite o scalate fuori natura. È Lui che si umanizza - persino nelle nostre stranezze.
Si riconosce in ciò ch’è impastato di attese e sudori, sebbene ritenuto sconveniente per l’uomo [anche devoto, o viceversa, sofisticato] che brama innalzarsi.
Ci sentiamo accasati e “arrivati”? Solo qui non c’è ‘fuoco’, passione, scoperta, genesi, né terapia - e non siamo neanche alle soglie della Fede.
«Incarnazione» è il recupero dei lati opposti: l’imperfezione diventa una molla, coi suoi Tesori che non vediamo, nascosti dietro lati oscuri.
Sono quei versanti che poi domineranno il nostro Desiderio.
Questa è tutta la partita: si parte da dove siamo, e l'attenzione alle occasioni del presente scorretto - che non bisogna precipitarsi a disinfettare - ci farà trasalire per la vita inattesa che lì ri-sorge.
La Fiamma dello Spirito che sta edificando la Novità di Dio si annida nelle braci e nei lati ritenuti inconcludenti o contrapposti - non colloca se stessa in vetrina per soffocare subito l’istinto.
Così la Chiesa: non “funzionale”, bensì capace di dare vita. Regno e territorio non segnati da pacifismo tattico, che anestetizza.
In tal guisa, il Battesimo non è una rubrica o una mano di grigio e d’opinione comune, né un congegno che marchia, mettendo immediatamente all’angolo personalità e tensioni - bensì una Immersione (v.50 testo greco).
«Ora, perché non giudicate anche da voi stessi ciò che è giusto?» (v.57).
In Cristo abbiamo capacità di pensiero e veniamo fatti autonomi, per una fraternità solida con noi stessi, che si è ‘fermata’ - e che si dispiega rivitalizzando l’Unicità.
Accudendo le parti trascurate e fondendo i lati estranei o difformi, dall’esteriorità delle cose siamo riportati all’Origine di quanto accade.
Segni del tempo e motivo (Persona) presente
La stanza della Felicità, nell’orizzonte decisivo
(Lc 12,54-59)
«Ora, perché non giudicate anche da voi stessi ciò che è giusto?» (v.57).
Dalla natura e dagli accadimenti bisogna saper trarre lezione - anche per l’orizzonte del Mistero.
In Cristo abbiamo capacità di pensiero e veniamo fatti autonomi: dall’esteriorità delle cose siamo riportati all’Origine di quanto accade.
L’appello di Gesù sui Segni del Tempo fu il testo ispiratore di Papa Giovanni per la convocazione del Concilio Vaticano II, affinché fosse la Chiesa finalmente a interrogarsi, prestando maggiore attenzione alle Chiamate di Dio nella storia e alle speranze dell’umanità.
La sicurezza autocelebrativa e la pompa delle grandi forme avevano attenuato il sentimento ardente e l’entusiasmo liberatorio del Risorto.
La prevedibilità non faceva cambiare passo spirituale; in ciascuno, il suo pronosticare non concedeva all’anima di vedere lontano.
Le certezze dei codici spegnevano la carica e facevano sì che i fedeli si lasciassero travolgere solo dalla routine e dai problemucci.
Anche oggi, le sicurezze di struttura e di circostanza - tutte stabilite - affievoliscono lo sbocciare nel presente; non consentono di percepire e vivere ciò che si fa Evento.
I luoghi comuni sono capaci di spostare la Vocazione dal magico territorio dove sorge (e bussa dentro), volgendola a una quotidianità sacramentale tutta pronosticabile - approvata dal contorno sociale o ecclesiale consolidati sul territorio.
Invece, il nostro Eros fondante va speso adesso e in uscita, perché vive di passioni, non di stallo; poggia sul desiderio e sulle complicità con lo Spirito, che col suo Fuoco rinnova la faccia della terra.
Ma esso si spegne se ci lasciamo trascinare da valutazioni ponderate circa le forze in campo: calcoli dare-avere, situazionalismi opportunistici... perfino propositi altrui, o puristi, e di circostanza.
Lo slancio convinto e personale impallidisce nelle forzature, nella programmazione, nelle ossessioni di controllo e nelle verifiche, senza svolte decisive - come se fossimo all’asilo.
L’Amore infatti non è mai secondo aspettative o convinzioni concatenate, normali, senza nuove soddisfazioni da sbigottimento - né ricalca idee di massa distratta da soliti pensieri conformisti, che inaridiscono lo sguardo.
Le convinzioni mai vagliate né sottoposte a prova collocano gl’impeti caratteriali su binari morti.
Le certezze inculcate generano vie che girano attorno, sospendono l’accorgersi, affievoliscono ogni capacità di percepire possibilità del mondo interiore; nonché le occasioni di comunione.
È il cuore che vede le minime possibilità. Le coglie su interrogativi perenni in rapporto di reciprocità col senso della vita presente.
E Gesù vuole che la nostra pianta ributti ancora nuove foglie, tutte verdi (non stagionate).
Non muffa: ciò che riteniamo ci appartenga, è già perso.
Allora l’invito alla Conversione - invece di arenare l'anima e il pensiero su modelli antichi o utopie astratte, unilaterali - rende attenti al poliedro dell’Amicizia con se stessi, con i fratelli anche lontani, e tutte le cose, ora.
Mondo di relazione che nulla ritiene irrilevante - e può farci arricchire (sbloccati) con difformità avventurose, fresche, vivaci, le quali si affacciano da libere energie che non vogliono la vita standard, né troppo il legame dei ricordi, bensì il mutamento radicale, insieme.
Come sottolinea l’enciclica Fratelli Tutti: «questo implica la capacità abituale di riconoscere all’altro il diritto di essere se stesso e di essere diverso» (n.218).
Mutamento radicale è… non pensare solo al consenso veloce, al proprio tornaconto prossimo (addirittura banale) che in fondo non desideriamo davvero - e sappiamo non funziona: non modificherebbe nulla.
Tale Appello intimo e sociale dev’essere colto immediatamente, qui e adesso, sino a che dura il tempo umano di grazia - momento di Dio a nostro favore.
L’Attimo per scoprire i contenuti e non lasciarci frastornati, la chance presente, lo spirito del pellegrino, il riconoscimento delle culture... hanno un carattere decisivo per l'evoluzione della vita nello Spirito.
Essa non poggia sul protagonismo codificato, arruolato, che sa già dove arrivare - e così incaglia, adegua, ci perde di vista, rende interdetti; miete vittime d’illusioni, di attriti esterni; intossicando la strada d’approcci muscolari e pensieri.
Cose caduche, come ad es. l’idolo fisso e poco affascinante che spesso pedina le anime: il “ciò che abbiamo ottenuto” - coi suoi traguardi conformisti, le promozioni strappate, gli altri che ci guardano...
I complimenti fuori non riportano l’io e il tu alle Radici, né esplodono per il vero futuro, quello da vivere intensamente, che farà vibrare.
L’«Attimo presente» è semplicemente la porta da aprire per introdursi nella stanza dell’energia felice, che permane magmatica - dono incessante, “unzione” e Visione che non sappiamo.
Stupore che invita e conduce ben oltre l’aspetto omologante, unilaterale, codino - di frastuono, cliché, tatticismo, o età altrui da riprodurre.
«Teatranti! L’aspetto della terra e del cielo sapete discernere, ma questo tempo come non sapete discernere?» (Lc 12,56).
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come vivi la tensione fra visione del genio del tempo e momento presente?
Quale relazione cogli fra Promessa di Dio e nostre speranze?
Fede e segno dei tempi
La Fede non è una sorta di oggetto né una ideologia (che si può avere o meno), bensì una Relazione.
Essa procede da un Dio che si rivela, c’interpella e chiama per nome.
Il suo Volto variegato e ricco non collima col pensiero comune, ma intercetta il nostro desiderio di pienezza di vita, e in tal modo ci corrisponde e conquista.
Non si tratta di una vicenda puntuale, ma che zampilla e procede di onda in onda nel corso dell’esistenza – con tutto il carico delle sue sorprese nel tempo [esse di quando in quando contestano, sabotandoci, o sbalordiscono].
In detto rapporto, la Fede che appunto nasce dall’ascolto si accende quando l’iniziativa del Padre che si manifesta e svela in una proposta che viene a noi, è accolta e non rifiutata.
Nell’evoluzione, tale dinamica stabilisce una Presenza invisibile nel Sé celato, fuoco inestinguibile del nostro Eros fondante; Eco percepibile – anche nel genio del tempo, nei solchi della storia personale, nelle pieghe delle vicende e relazioni, consigli, valutazioni opposte e persino fratture.
La Relazione di Fede ha diversi approcci. Un primo stadio è quello della Fede Assenso: la persona si riconosce in un mondo di saperi che gli corrisponde. È un livello assai dignitoso, ma comune a tutte le religioni e filosofie.
Scrutando la Parola, si comprende che lo specifico della Fede biblica riguarda assai più l’esistere concreto che il pensiero o la disciplina: ha un carattere diverso dai codici, è Sponsale.
La Fede già nel Primo Testamento è tipicamente quell’affidarsi della Sposa [in ebraico Israèl è termine di genere femminile] che ha piena fiducia nello Sposo.
Sa che poggiando sul Dio-Con fiorirà autenticamente e godrà di pienezza di vita, anche passando tra vicende spiacevoli.
La Fede vissuta nello Spirito del Risorto gode di altre sfaccettature, decisive per dare colore al nostro andare nel mondo e alla nostra maturazione piena e gioia di vivere.
[In tutto è fondamentale sia l’ascolto della Sacra Scrittura, che il passare dalla ridda di pensieri che frammentano il nostro occhio interiore alla percezione, ossia a uno sguardo contemplativo, che sappia posarsi su noi stessi e le cose].
Il terzo passo della fede cristologica è appunto una sorta di Appropriazione: il soggetto s’identifica e – sicuro della reciprocità amicale sperimentata nei Doni – s’impossessa del cuore mite e forte del Signore con un colpo di mano e senza alcun merito prescritto.
Citando s. Bernardo, Alfonso Maria de’ Liguori afferma: “Quel merito che manca a me per entrare nel Paradiso, io me l’usurpo da’ meriti di Gesù Cristo”. Nessuna trafila o disciplina dell’arcano.
Attenzione: non si tratta di “prove” di sostituzione vicaria, come se Gesù avesse dovuto colmare un debito di peccati, perché il Padre aveva bisogno di sangue e di almeno uno che la pagasse cara.
La persona si rende intima al Cristo non semplicemente con un credere comune, ma con una azione interiore personale.
Dio ci recupera educandoci.
È vero che inviando un agnello in mezzo ai lupi la sua fine è segnata. Ma è anche l’unico modo per insegnare agli uomini – ancora in condizione preumana – che quella della competizione non è vita da persone, ma di bestie feroci.
L’agnello è l’essere mansueto che fa riflettere persino i lupi: solo appropriandosene completamente, le belve si accorgono di essere tali.
Così possiamo cominciare a dire: “Io” da uomini invece che bestie.
Certo, solo le persone conciliate con la propria vicenda fanno il bene. Ma il meglio autentico e pieno è fuori della nostra portata; non produzione propria. Non siamo onnipotenti.
Una ulteriore tappa del percorso della vita in Cristo e nello Spirito è quella della Fede-Calamita.
Anch’essa si configura come un’Azione, perché l’anima-sposa legge il segno dei tempi, interpreta la realtà circostante e le proprie inclinazioni. E cogliendo la portata del Futuro, lo anticipa e attualizza.
Così evitiamo di sprecare la vita a sostegno di rami secchi.
Ma lo stadio ultimo e forse ancor più perfetto (direi la vetta) di tale Fede-Innesco, è quello della Fede-Meraviglia.
Essa è il credere specifico dell’Incarnazione, perché riconosce proprio i Tesori che si nascondono dietro i nostri lati oscuri.
Tali Perle scenderanno in campo nel corso dell’esistenza [faranno quel che devono quando sarà necessario] e sarà uno stupore scoprirle.
Il bozzolo bucato genererà la nostra Farfalla, che non è costruzione omologata a dei prototipi, ma Sbalordimento.
C’è un’espressione di Gesù, nel Vangelo di questa domenica, che attira ogni volta la nostra attenzione e richiede di essere ben compresa. Mentre è in cammino verso Gerusalemme, dove lo attende la morte di croce, Cristo confida ai suoi discepoli: "Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione". E aggiunge: "D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera" (Lc 12,51-53). Chiunque conosca minimamente il Vangelo di Cristo, sa che è messaggio di pace per eccellenza; Gesù stesso, come scrive san Paolo, "è la nostra pace" (Ef 2,14), morto e risorto per abbattere il muro dell’inimicizia e inaugurare il Regno di Dio che è amore, gioia e pace. Come si spiegano allora queste sue parole? A che cosa si riferisce il Signore quando dice di essere venuto a portare – secondo la redazione di san Luca – la "divisione", o – secondo quella di san Matteo – la "spada" (Mt 10,34)?
Questa espressione di Cristo significa che la pace che Egli è venuto a portare non è sinonimo di semplice assenza di conflitti. Al contrario, la pace di Gesù è frutto di una costante lotta contro il male. Lo scontro che Gesù è deciso a sostenere non è contro uomini o poteri umani, ma contro il nemico di Dio e dell’uomo, Satana. Chi vuole resistere a questo nemico rimanendo fedele a Dio e al bene deve necessariamente affrontare incomprensioni e qualche volta vere e proprie persecuzioni. Perciò, quanti intendono seguire Gesù e impegnarsi senza compromessi per la verità devono sapere che incontreranno opposizioni e diventeranno, loro malgrado, segno di divisione tra le persone, addirittura all’interno delle loro stesse famiglie. L’amore per i genitori infatti è un comandamento sacro, ma per essere vissuto in modo autentico non può mai essere anteposto all’amore di Dio e di Cristo. In tal modo, sulle orme del Signore Gesù, i cristiani diventano "strumenti della sua pace", secondo la celebre espressione di san Francesco d’Assisi. Non di una pace inconsistente e apparente, ma reale, perseguita con coraggio e tenacia nel quotidiano impegno di vincere il male con il bene (cfr Rm 12,21) e pagando di persona il prezzo che questo comporta.
La Vergine Maria, Regina della Pace, ha condiviso fino al martirio dell’anima la lotta del suo Figlio Gesù contro il Maligno, e continua a condividerla sino alla fine dei tempi. Invochiamo la sua materna intercessione, perché ci aiuti ad essere sempre testimoni della pace di Cristo, mai scendendo a compromessi con il male.
[Papa Benedetto, Angelus 19 agosto 2007]
1. Quest'anno la Giornata Mondiale della Pace viene celebrata sullo sfondo dei drammatici eventi dell'11 settembre scorso. In quel giorno, fu perpetrato un crimine di terribile gravità: nel giro di pochi minuti migliaia di persone innocenti, di varie provenienze etniche, furono orrendamente massacrate. Da allora, la gente in tutto il mondo ha sperimentato con intensità nuova la consapevolezza della vulnerabilità personale ed ha cominciato a guardare al futuro con un senso fino ad allora ignoto di intima paura. Di fronte a questi stati d'animo la Chiesa desidera testimoniare la sua speranza, basata sulla convinzione che il male, il mysterium iniquitatis, non ha l'ultima parola nelle vicende umane. La storia della salvezza, delineata nella Sacra Scrittura, proietta grande luce sull'intera storia del mondo, mostrando come questa sia sempre accompagnata dalla sollecitudine misericordiosa e provvida di Dio, che conosce le vie per toccare gli stessi cuori più induriti e trarre frutti buoni anche da un terreno arido e infecondo.
È questa la speranza che sostiene la Chiesa all'inizio del 2002: con la grazia di Dio il mondo, in cui il potere del male sembra ancora una volta avere la meglio, sarà realmente trasformato in un mondo in cui le aspirazioni più nobili del cuore umano potranno essere soddisfatte, un mondo nel quale prevarrà la vera pace.
La pace: opera di giustizia e di amore
2. Quanto è recentemente avvenuto, con i terribili fatti di sangue appena ricordati, mi ha stimolato a riprendere una riflessione che spesso sgorga dal profondo del mio cuore, al ricordo di eventi storici che hanno segnato la mia vita, specialmente negli anni della mia giovinezza.
Le immani sofferenze dei popoli e dei singoli, tra i quali anche non pochi miei amici e conoscenti, causate dai totalitarismi nazista e comunista, hanno sempre interpellato il mio animo e stimolato la mia preghiera. Molte volte mi sono soffermato a riflettere sulla domanda: qual è la via che porta al pieno ristabilimento dell'ordine morale e sociale così barbaramente violato? La convinzione, a cui sono giunto ragionando e confrontandomi con la Rivelazione biblica, è che non si ristabilisce appieno l'ordine infranto, se non coniugando fra loro giustizia e perdono. I pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell'amore che è il perdono.
[Papa Giovanni Paolo II, Messaggio per la xxxv Giornata Mondiale della Pace]
il Vangelo di questa domenica (Lc 12,49-53) fa parte degli insegnamenti di Gesù rivolti ai discepoli lungo la sua salita verso Gerusalemme, dove l’attende la morte in croce. Per indicare lo scopo della sua missione, Egli si serve di tre immagini: il fuoco, il battesimo e la divisione. Oggi desidero parlare della prima immagine: il fuoco.
Gesù la esprime con queste parole: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (v.49). Il fuoco di cui Gesù parla è il fuoco dello Spirito Santo, presenza viva e operante in noi dal giorno del nostro Battesimo. Esso – il fuoco - è una forza creatrice che purifica e rinnova, brucia ogni umana miseria, ogni egoismo, ogni peccato, ci trasforma dal di dentro, ci rigenera e ci rende capaci di amare. Gesù desidera che lo Spirito Santo divampi come fuoco nel nostro cuore, perché è solo partendo dal cuore che l’incendio dell’amore divino potrà svilupparsi e far progredire il Regno di Dio. Non parte dalla testa, parte dal cuore. E per questo Gesù vuole che il fuoco entri nel nostro cuore. Se ci apriamo completamente all’azione di questo fuoco che è lo Spirito Santo, Egli ci donerà l’audacia e il fervore per annunciare a tutti Gesù e il suo consolante messaggio di misericordia e di salvezza, navigando in mare aperto, senza paure.
Nell’adempimento della sua missione nel mondo, la Chiesa - cioè tutti noi che siamo la Chiesa - ha bisogno dell’aiuto dello Spirito Santo per non lasciarsi frenare dalla paura e dal calcolo, per non abituarsi a camminare entro i confini sicuri. Questi due atteggiamenti portano la Chiesa ad essere una Chiesa funzionale, che non rischia mai. Invece, il coraggio apostolico che lo Spirito Santo accende in noi come un fuoco ci aiuta a superare i muri e le barriere, ci rende creativi e ci sprona a metterci in movimento per camminare anche su strade inesplorate o scomode, offrendo speranza a quanti incontriamo. Con questo fuoco dello Spirito Santo siamo chiamati a diventare sempre più comunità di persone guidate e trasformate, piene di comprensione, persone dal cuore dilatato e dal volto gioioso. Più che mai oggi c’è bisogno di sacerdoti, di consacrati e di fedeli laici, con lo sguardo attento dell’apostolo, per commuoversi e sostare dinanzi ai disagi e alle povertà materiali e spirituali, caratterizzando così il cammino dell’evangelizzazione e della missione con il ritmo sanante della prossimità. È proprio il fuoco dello Spirito Santo che ci porta a farci prossimi degli altri, dei bisognosi, di tante miserie umane, di tanti problemi, dei rifugiati, dei profughi, di quelli che soffrono.
In questo momento, penso anche con ammirazione soprattutto ai numerosi sacerdoti, religiosi e fedeli laici che, in tutto il mondo, si dedicano all’annuncio del Vangelo con grande amore e fedeltà, non di rado anche a costo della vita. La loro esemplare testimonianza ci ricorda che la Chiesa non ha bisogno di burocrati e di diligenti funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall’ardore di portare a tutti la consolante parola di Gesù e la sua grazia. Questo è il fuoco dello Spirito Santo. Se la Chiesa non riceve questo fuoco o non lo lascia entrare in sé, diviene una Chiesa fredda o soltanto tiepida, incapace di dare vita, perché è fatta da cristiani freddi e tiepidi. Ci farà bene, oggi, prendere cinque minuti e domandarci: “Ma come va il mio cuore? È freddo? È tiepido? È capace di ricevere questo fuoco?” Prendiamoci cinque minuti per questo. Ci farà bene a tutti.
E chiediamo alla Vergine Maria di pregare con noi e per noi il Padre celeste, affinché effonda su tutti i credenti lo Spirito Santo, fuoco divino che riscalda i cuori e ci aiuta ad essere solidali con le gioie e le sofferenze dei nostri fratelli. Ci sostenga nel nostro cammino l’esempio di San Massimiliano Kolbe, martire della carità, di cui oggi ricorre la festa: egli ci insegni a vivere il fuoco dell’amore per Dio e per il prossimo.
[Papa Francesco, Angelus 14 agosto 2016]
Avvicinarsi senza stare sottomessi
(Mt 19,13-15)
«Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze» [Evangelii Gaudium n.49].
Non bisogna lasciarsi trascinare dalle ovvie sentenze sprezzanti sull’impurità legale. Secondo Gesù, un peso inutile, artificioso; che tarpa le ali e rende infelici.
Al contrario, è sempre opportuno acquisire una differente percezione delle cose di Dio nell’uomo. E non occorre essere ben formati nelle pratiche consuetudinarie: i giovinetti non lo sono.
Cosa succedeva nelle piccole chiese di Galilea e Siria all’inizio degli anni 80? Molti pagani iniziavano a presentarsi alle soglie delle comunità (giudaizzanti) e stavano diventando maggioranza.
I membri della catena di comando valutavano gli incipienti poco qualificati dal punto di vista dell’osservanza delle disposizioni dei ‘padri’.
Alcuni reduci altezzosi consideravano i nuovi che chiedevano di essere accolti, alla stregua di servetti ancora torbidi [«paidìa»: età 9-11 anni], contaminati e frammisti.
A quel tempo, nelle condizioni in cui vivevano, certo i ragazzetti non adempivano le leggi di purità religiosa; però servivano gli altri, sia in casa che al lavoro.
Insomma, Gesù propone agli Apostoli un cambiamento di paradigma.
Fare pace col mondo dei giudizi.
La proposta sembrava un’assurdità per le religioni (tutte piramidali), non per la persona di Fede che procede sulla Via, nello Spirito.
Dio non ritiene affatto che la sua santità sia messa in pericolo dal contatto con le realtà normali di questo mondo.
Anzi, il Signore e Maestro s’identifica proprio con i garzoncini di bottega e di casa, con gli esseri “inquinati”, socialmente nulli e valutati male.
Ciò a dire: il discepolo del Regno non può permettersi di disconoscere le esigenze altrui.
Bando a luoghi comuni, nomenclature, doppiezze e procedure riconosciute.
Ciò che conta è il bene concreto della persona reale, così com’è.
L’accoglimento di fanciulli - ossia di coloro che sono al principio - nella loro condizione d’integrità creativa e affettiva, ancora ritenuta ambigua e trasgressiva, è icona d’una logica sociale, religiosa e di ceto capovolta; radicalmente impari.
Quindi guai a chi impedisce agli insignificanti di andare al Signore!
L’imposizione delle mani su di essi (vv.13.15) è un segno di redenzione, valorizzazione, emancipazione e promozione della condizione di ultimi, esclusi, irrisi, nullatenenti e ‘meticci’ [non di quadretti tutti limpidezza e candore].
Chi accoglie un privilegiato, un legalista, uno che si è fatto strada ma non accetta i cambiamenti, difficilmente accoglie Gesù.
«Nel cammino sinodale, l’ascolto […] non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace».
Solo i misconosciuti e incerti vanno posti al centro della nuova Chiesa che dovremo costruire.
[Sabato 19.a sett. T.O. 16 agosto 2025]
«And they were certainly inspired by God those who, in ancient times, called Porziuncola the place that fell to those who absolutely did not want to own anything on this earth» (FF 604)
«E furono di certo ispirati da Dio quelli che, anticamente, chiamarono Porziuncola il luogo che toccò in sorte a coloro che non volevano assolutamente possedere nulla su questa terra» (FF 604)
It is a huge message of hope for each of us, for you whose days are always the same, tiring and often difficult. Mary reminds you today that God calls you too to this glorious destiny (Pope Francis)
È un grande messaggio di speranza per ognuno noi; per te, che vivi giornate uguali, faticose e spesso difficili. Maria ti ricorda oggi che Dio chiama anche te a questo destino di gloria (Papa Francesco)
In the divine attitude justice is pervaded with mercy, whereas the human attitude is limited to justice. Jesus exhorts us to open ourselves with courage to the strength of forgiveness, because in life not everything can be resolved with justice. We know this (Pope Francis)
Nell’atteggiamento divino la giustizia è pervasa dalla misericordia, mentre l’atteggiamento umano si limita alla giustizia. Gesù ci esorta ad aprirci con coraggio alla forza del perdono, perché nella vita non tutto si risolve con la giustizia; lo sappiamo (Papa Francesco)
The Second Vatican Council's Constitution on the Sacred Liturgy refers precisely to this Gospel passage to indicate one of the ways that Christ is present: "He is present when the Church prays and sings, for he has promised "where two or three are gathered together in my name there am I in the midst of them' (Mt 18: 20)" [Sacrosanctum Concilium, n. 7]
La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II si riferisce proprio a questo passo del Vangelo per indicare uno dei modi della presenza di Cristo: "Quando la Chiesa prega e canta i Salmi, è presente Lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20)" [Sacrosanctum Concilium, 7]
This was well known to the primitive Christian community, which considered itself "alien" here below and called its populated nucleuses in the cities "parishes", which means, precisely, colonies of foreigners [in Greek, pároikoi] (cf. I Pt 2: 11). In this way, the first Christians expressed the most important characteristic of the Church, which is precisely the tension of living in this life in light of Heaven (Pope Benedict)
Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo (Papa Benedetto)
A few days before her deportation, the woman religious had dismissed the question about a possible rescue: “Do not do it! Why should I be spared? Is it not right that I should gain no advantage from my Baptism? If I cannot share the lot of my brothers and sisters, my life, in a certain sense, is destroyed” (Pope John Paul II)
Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: "Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta" (Papa Giovanni Paolo II)
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
Disclaimer
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.