don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Domenica, 22 Giugno 2025 04:51

La casa di Gesù è la gente

Sono lieto di accogliervi in questa mia prima Udienza generale. Con grande riconoscenza e venerazione raccolgo il “testimone” dalle mani del mio amato predecessore Benedetto XVI. Dopo la Pasqua riprenderemo le catechesi dell’Anno della fede. Oggi vorrei soffermarmi un po’ sulla Settimana Santa. Con la Domenica delle Palme abbiamo iniziato questa Settimana – centro di tutto l’Anno Liturgico – in cui accompagniamo Gesù nella sua Passione, Morte e Risurrezione.

Ma che cosa può voler dire vivere la Settimana Santa per noi? Che cosa significa seguire Gesù nel suo cammino sul Calvario verso la Croce e la Risurrezione? Nella sua missione terrena, Gesù ha percorso le strade della Terra Santa; ha chiamato dodici persone semplici perché rimanessero con Lui, condividessero il suo cammino e continuassero la sua missione; le ha scelte tra il popolo pieno di fede nelle promesse di Dio. Ha parlato a tutti, senza distinzione, ai grandi e agli umili, al giovane ricco e alla povera vedova, ai potenti e ai deboli; ha portato la misericordia e il perdono di Dio; ha guarito, consolato, compreso; ha dato speranza; ha portato a tutti la presenza di Dio che si interessa di ogni uomo e ogni donna, come fa un buon padre e una buona madre verso ciascuno dei suoi figli. Dio non ha aspettato che andassimo da Lui, ma è Lui che si è mosso verso di noi, senza calcoli, senza misure. Dio è così: Lui fa sempre il primo passo, Lui si muove verso di noi. Gesù ha vissuto le realtà quotidiane della gente più comune: si è commosso davanti alla folla che sembrava un gregge senza pastore; ha pianto davanti alla sofferenza di Marta e Maria per la morte del fratello Lazzaro; ha chiamato un pubblicano come suo discepolo; ha subito anche il tradimento di un amico. In Lui Dio ci ha dato la certezza che è con noi, in mezzo a noi. «Le volpi – ha detto Lui, Gesù – le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Gesù non ha casa perché la sua casa è la gente, siamo noi, la sua missione è aprire a tutti le porte di Dio, essere la presenza di amore di Dio.

Nella Settimana Santa noi viviamo il vertice di questo cammino, di questo disegno di amore che percorre tutta la storia dei rapporti tra Dio e l’umanità. Gesù entra in Gerusalemme per compiere l’ultimo passo, in cui riassume tutta la sua esistenza: si dona totalmente, non tiene nulla per sé, neppure la vita. Nell’Ultima Cena, con i suoi amici, condivide il pane e distribuisce il calice “per noi”. Il Figlio di Dio si offre a noi, consegna nelle nostre mani il suo Corpo e il suo Sangue per essere sempre con noi, per abitare in mezzo a noi. E nell’Orto degli Ulivi, come nel processo davanti a Pilato, non oppone resistenza, si dona; è il Servo sofferente preannunciato da Isaia che spoglia se stesso fino alla morte (cfr Is 53,12).

Gesù non vive questo amore che conduce al sacrificio in modo passivo o come un destino fatale; certo non nasconde il suo profondo turbamento umano di fronte alla morte violenta, ma si affida con piena fiducia al Padre. Gesù si è consegnato volontariamente alla morte per corrispondere all’amore di Dio Padre, in perfetta unione con la sua volontà, per dimostrare il suo amore per noi. Sulla croce Gesù «mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Ciascuno di noi può dire: Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Ciascuno può dire questo “per me”.

Che cosa significa tutto questo per noi? Significa che questa è anche la mia, la tua, la nostra strada. Vivere la Settimana Santa seguendo Gesù non solo con la commozione del cuore; vivere la Settimana Santa seguendo Gesù vuol dire imparare ad uscire da noi stessi - come dicevo domenica scorsa - per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, muoverci noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto. C’è tanto bisogno di portare la presenza viva di Gesù misericordioso e ricco di amore!

Vivere la Settimana Santa è entrare sempre più nella logica di Dio, nella logica della Croce, che non è prima di tutto quella del dolore e della morte, ma quella dell’amore e del dono di sé che porta vita. E’ entrare nella logica del Vangelo. Seguire, accompagnare Cristo, rimanere con Lui esige un “uscire”, uscire. Uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio. Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi, ha posto la sua tenda tra noi per portarci la sua misericordia che salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo “uscire”, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana. Ricordate bene: uscire da noi, come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito da se stesso per tutti noi.

Qualcuno potrebbe dirmi: “Ma, padre, non ho tempo”, “ho tante cose da fare”, “è difficile”, “che cosa posso fare io con le mie poche forze, anche con il mio peccato, con tante cose? Spesso ci accontentiamo di qualche preghiera, di una Messa domenicale distratta e non costante, di qualche gesto di carità, ma non abbiamo questo coraggio di “uscire” per portare Cristo. Siamo un po’ come san Pietro. Non appena Gesù parla di passione, morte e risurrezione, di dono di sé, di amore verso tutti, l’Apostolo lo prende in disparte e lo rimprovera. Quello che dice Gesù sconvolge i suoi piani, appare inaccettabile, mette in difficoltà le sicurezze che si era costruito, la sua idea di Messia. E Gesù guarda i discepoli e rivolge a Pietro forse una delle parole più dure dei Vangeli: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). Dio pensa sempre con misericordia: non dimenticate questo. Dio pensa sempre con misericordia: è il Padre misericordioso! Dio pensa come il padre che attende il ritorno del figlio e gli va incontro, lo vede venire quando è ancora lontano… Questo che significa? Che tutti i giorni andava a vedere se il figlio tornava a casa: questo è il nostro Padre misericordioso. E’ il segno che lo aspettava di cuore nella terrazza della sua casa. Dio pensa come il samaritano che non passa vicino al malcapitato commiserandolo o guardando dall’altra parte, ma soccorrendolo senza chiedere nulla in cambio; senza chiedere se era ebreo, se era pagano, se era samaritano, se era ricco, se era povero: non domanda niente. Non domanda queste cose, non chiede nulla. Va in suo aiuto: così è Dio. Dio pensa come il pastore che dona la sua vita per difendere e salvare le pecore.

La Settimana Santa è un tempo di grazia che il Signore ci dona per aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie - che pena tante parrocchie chiuse! - dei movimenti, delle associazioni, ed “uscire” incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede. Uscire sempre! E questo con amore e con la tenerezza di Dio, nel rispetto e nella pazienza, sapendo che noi mettiamo le nostre mani, i nostri piedi, il nostro cuore, ma poi è Dio che li guida e rende feconda ogni nostra azione.

Auguro a tutti di vivere bene questi giorni seguendo il Signore con coraggio, portando in noi stessi un raggio del suo amore a quanti incontriamo.

[Papa Francesco, Udienza Generale 27 marzo 2013]

(Mt 16,13-19)

 

A oltre metà della sua vita pubblica Gesù non ha ancora dato formule, ma fa una domanda impegnativa - che ha la pretesa di chiederci molto più delle usuali espressioni con struttura di legge.

Globalmente la folla può averlo accostato a personaggi eminenti come il Battista [colui che ha dimostrato di essere estraneo alle cortigianerie] o Elia [per la sua attività di denuncia degli idoli] o Geremia [l’oppositore della compravendita di benedizioni].

Ma Egli non è venuto - come i profeti antichi - a migliorare la situazione o rabberciare devozioni, né a purificare il Tempio, bensì a sostituirlo!

Le immagini della tradizione raffigurano Cristo in molti modi (per gli atei un filantropo), il più diffuso dei quali è ancora quello di un Signore antico, garante di comportamenti convenzionali.

Egli invece - per farci riflettere - porta i discepoli in un ambiente di cantiere [a nord della Palestina, Cesarea di Filippo era in costruzione], lontano dalla nomenclatura interessata della Città “santa”.

 

La mentalità comune valutava la riuscita della vita - e la verità di una religione - sulla base del successo, del dominio, dell’arricchimento, delle sicurezze in genere.

Il quesito che Gesù pone ai suoi fa trapelare una novità che soppianta tutto il sistema: la Chiamata si rivolge a ogni singola persona.

È una proposta di confine, al pari del luogo geografico simbolico della capitale del regno di Filippo, uno dei tre figli eredi di Erode il Grande: in Palestina, il punto più lontano dal centro della religiosità conformista.

Il Volto del «Figlio dell’uomo» è riconoscibile solo ponendo la massima distanza da schemi politici e veterani - altrimenti anche noi non saremmo in grado di percepirne la ‘luce’ personale.

Nella comunità di Mt si stava appunto facendo esperienza di una sempre più larga partecipazione di pagani, che prima si sentivano degli esclusi e man mano si integravano.

 

Per la nostra mentalità, le chiavi di casa servono a chiudere e serrare il portone, per non far entrare i malintenzionati.

In quella semitica, erano piuttosto icona dell’apertura dell’uscio.

 

Nel celebre capolavoro del Perugino sulla parete nord della Cappella Sistina, Gesù consegna al capo della Chiesa due chiavi: quella d’oro del Paradiso e quella d’argento del Purgatorio.

Ma il senso del brano non è l’Aldilà - anzi, non è neppure istituzionale. In ebraico il termine ‘chiave’ è derivante dal verbo ‘aprire’!

Massimo compito missionario dei responsabili di comunità è tenere il Regno dei Cieli spalancato, ossia garantire una Chiesa accogliente!

Pietro non deve ricalcare il tipo del monarca arrogante, immagine dell’autorità; sostitutiva dell’imperatore.

Simone deve farsi primo responsabile dell’accettazione di coloro che sono fuori.

Sembra strano per qualsiasi proposta antica, ove si supponeva che Dio temesse di rendersi impuro nel contatto col mondo.

Il Padre è Colui che osa di più.

Questo il motivo per cui Gesù impone severamente un totale silenzio messianico (v.20) alle labbra e al cervello antico degli Apostoli.

 

Pietro e i discepoli volevano tornare all’idea consueta de «il» Messia [cf. testo greco] atteso da tutti.

Un canovaccio troppo normale, incapace di rigenerarci.

 

 

[Ss. Pietro e Paolo, 29 giugno]

 

Solennità dei Ss. Pietro e Paolo,  29 giugno

 

Dissimili: differenza fra religiosità e Fede (la Chiesa che verrà)

 

In un’identica data la Chiesa celebra Discepoli dissimili.

Entrambi del tutto lontani da modelli di santità conforme e non eccentrica - anzi divagante, non rassicurante né quieta.

Uno cresce accumulando esperienze incerte: un po’ Pietro (testardo e ostile), un po’ Simone (discepolo, ma raramente), un po’ Simon Pietro (pro e contro, coi piedi in due staffe).

L’altro cresce sì, ma per caduta immediata dall’ideologia dello stare e sentirsi più puro e in alto degli altri:

in un attimo, dal “destriero” focoso dei capi e giudicanti, al ceto popolare capace di ascolto e benevolenza.

D’improvviso, da Saulo a Paolo.

Il primo, Apostolo per smania e lunga consuetudine [nell’andirivieni], l’altro per Chiamata diretta. Non per imposizione di mani da parte di superiori dalla vita pia che avrebbero dovuto saperla più lunga di lui.

Vocazione immediata - essa sconvolge, capovolge il modo di vedere.

Nessuno dei due Protagonisti, figlio devoto e obbediente: entrambi piuttosto cocciuti e smaniosi, ma ciascuno a modo suo; in maniera incerta e diplomatica, o tagliente.

A lungo inquieti e persino oppositori del Cristo.

 

Anche nell’Annuncio, nella Catechesi, nell’Animazione, nella Pastorale e nelle opere di carità iniziamo ad accorgerci che il punto di partenza dell’Evangelizzazione non è quello solito, rassicurante, che solo insegna agli altri [e trasmette finte sicurezze].

L’input è suscitare interrogativi, che coinvolgono in prima persona.

E qualsiasi iniziativa è utile in primo luogo a migliorare chi la propone - non le folle che non avrebbero consapevolezze.

Questo il perno dell’atteggiamento verso il bene pieno e la realizzazione di ogni essere umano.

 

Nell’unità della Fede confluiscono diversità di Doni.

Non siamo chiamati a fare i paternalisti, né i pompieri: subito a spegnere fuocherelli che neppure conosciamo ma ardono bene (solo oltre la cappa del camino di casa nostra).

La Chiesa che verrà dipende anche dalla nostra forma mentis.

Cardine della Tradizione viva è credere nel mondo a venire - non malgrado, bensì grazie alle sue difformità.

L’amore divino si manifesta, si fa presente, interviene in molti modi.

Le scintille che alimentano la Fiamma dello Spirito sono variegate: tutte illuminano e riscaldano il mondo... a meno che non le si costruisca attorno un muro di refrattari.

Ciò talora capita sul territorio, ad opera di cordate. Con giovani astuzie già normalizzate, o parrucconi timorosi di perdere privilegi sui quali galleggiano.

Un panorama di astuzie e acque chete, già morta.

 

Ma nel Cristo personale anche la nostra insicurezza apre sentieri inesplorati verso nuovi mondi.

Ogni missionario conosce la sua ‘certezza’ qual frutto d’un punto interrogativo.

Valore aggiunto che non sa; prodotto d’una forza primordiale che sorge dal caos delle sue o altrui prevedibilità.

La formazione variegata e persino lo scompiglio delle sfaccettature diventano luogo della Pace.

Possibilità d’Immenso, invece che appiglio per un arretramento sotto pena di castigo tipico di condanne religiose.

 

Mentre dottrina e disciplina inoculano certezze e aspettative ostinate che ci farebbero viaggiare solo su binari già tracciati, la Fede si lascia guidare dalla Provvidenza manifestata nella vita reale, che sorprende.

Un’adesione, una Relazione creativa - la Fede - dalla misteriosa Energia, sempre pura, nitida, trasparente, intatta, incontaminata.

Appello per Nome che porta a tu per tu con noi stessi e Dio, senza mai spersonalizzare.

Solo così rendendo concordi. È la chiesa che verrà.

Infatti, gli incerti che non sanno tirare subito le somme vanno sino in fondo: non abbandonano, non emarginano, non tradiscono; non usano la posizione religiosa come un’arma di ricatto.

Non fanno il male.

 

«Quando il tessitore alza un piede, l’altro si abbassa. Quando il movimento cessa e uno dei piedi si ferma, il tessuto non si fa più. Le sue mani lanciano la spola che passa dall’una all’altra; ma nessuna mano può sperare di tenerla. Come i gesti del tessitore, è l’unione dei contrari a tessere la nostra vita».

[Tradizione orale africana Peul]

 

Omaggio al Poliedro e non allo Sfero. Diversità e Pluralità significa spazio per ciascuno di noi, così com’è. Dilatato, non “migliore”.

Non omogeneo, non regolare, non omologato. Anche se la catena di comando locale non vuole.

Omaggio alla chiesa? Non quella uniforme e standard. La strana coppia Pietro e Paolo non lo è stata.

 

Omaggio alla Chiesa, Omaggio alla vita.

Sabato, 21 Giugno 2025 03:11

Chi Sono, le Chiavi, la Fede, il Nome

Chi sono per voi, e le Chiavi della comunità aperta

(Mt 16,13-23)

 

A oltre metà della sua vita pubblica Gesù non ha ancora dato formule, ma fa una domanda impegnativa - che ha la pretesa di chiederci molto più delle usuali espressioni con struttura di legge.

Globalmente la folla può averlo accostato a personaggi eminenti come il Battista [colui che ha dimostrato di essere estraneo alle cortigianerie] o Elia [per la sua attività di denuncia degli idoli] o Geremia [l’oppositore della compravendita di benedizioni].

Ma Egli non è venuto - come i profeti antichi - a migliorare la situazione o rabberciare devozioni, né a purificare il Tempio, bensì a sostituirlo!

Le immagini della tradizione raffigurano Cristo in molti modi (per gli atei un filantropo), il più diffuso dei quali è ancora quello di un Signore antico, garante di comportamenti convenzionali.

Egli invece - per farci riflettere - porta i discepoli in un ambiente di cantiere [a nord della Palestina, Cesarea di Filippo era in costruzione], lontano dalla nomenclatura interessata della Città “santa”.

 

La mentalità comune valutava la riuscita della vita - e la verità di una religione - sulla base del successo, del dominio, dell’arricchimento, delle sicurezze in genere.

Il quesito che Gesù pone ai suoi fa trapelare una novità che soppianta tutto il sistema: la Chiamata si rivolge a ogni singola persona.

È una proposta di confine, al pari del luogo geografico simbolico della capitale del regno di Filippo, uno dei tre figli eredi di Erode il Grande: in Palestina, il punto più lontano dal centro della religiosità conformista.

Il Volto del «Figlio dell’uomo» è riconoscibile solo ponendo la massima distanza da schemi politici e veterani - altrimenti anche noi non saremmo in grado di percepirne la ‘luce’ personale.

Nella comunità di Mt si stava appunto facendo esperienza di una sempre più larga partecipazione di pagani, che prima si sentivano degli esclusi e man mano si integravano.

 

Per la nostra mentalità, le chiavi di casa servono a chiudere e serrare il portone, per non far entrare i malintenzionati.

In quella semitica, erano piuttosto icona dell’apertura dell’uscio.

 

Nel celebre capolavoro del Perugino sulla parete nord della Cappella Sistina, Gesù consegna al capo della Chiesa due chiavi: quella d’oro del Paradiso e quella d’argento del Purgatorio.

Ma il senso del brano non è l’Aldilà - anzi, non è neppure istituzionale. In ebraico il termine ‘chiave’ è derivante dal verbo ‘aprire’!

Massimo compito missionario dei responsabili di comunità è tenere il Regno dei Cieli spalancato, ossia garantire una Chiesa accogliente!

Pietro non deve ricalcare il tipo del monarca arrogante, immagine dell’autorità; sostitutiva dell’imperatore.

Simone deve farsi primo responsabile dell’accettazione di coloro che sono fuori.

Sembra strano per qualsiasi proposta antica, ove si supponeva che Dio temesse di rendersi impuro nel contatto col mondo.

Il Padre è Colui che osa di più.

Questo il motivo per cui Gesù impone severamente un totale silenzio messianico (v.20) alle labbra e al cervello antico degli Apostoli.

 

Pietro e i discepoli volevano tornare all’idea consueta de «il» Messia [cf. testo greco] atteso da tutti.

Un canovaccio troppo normale, incapace di rigenerarci.

 

 

Ma voi chi dite che io sia? La Fede di Pietro

 

Prendere distanza da ciò che si spera

 

Gesù guida i suoi lontano dal territorio dell’ideologia di potere e dal centro sacro dell’istituzione religiosa ufficiale - la Giudea.

Il Signore vuole che i suoi intimi prendano distanza da limitazioni e apprezzamenti.

Il relativo successo ottenuto dal Maestro in Galilea aveva infatti ravvivato le speranze di gloria (unilaterale) degli apostoli.

Il territorio di Cesarea di Filippo, all’estremo nord della Palestina, era incantevole; celebre per fertilità e pascoli rigogliosi. Zona famosa per la bellezza del contesto e la fecondità di greggi e armenti.

Anche i discepoli restano affascinati dal paesaggio e dalla vita agiata degli abitanti della regione; per non dire della magnificenza dei palazzi.

Il richiamo del contesto allude alle agiatezze che la religione pagana in genere propone; prosperità eccessiva che incantava i Dodici.

Cristo chiede agli apostoli - in pratica - cosa la gente si aspettasse da Lui. Così vuole si rendano conto degli effetti nefasti della loro stessa predicazione.

“Annuncio” che volentieri confondeva benedizioni materiali e spirituali.

 

Mentre gli Dei mostrano di saper colmare di beni i loro devoti - e una sfarzosa vita di corte che (appunto) ammaliava tutti - Cristo cosa offre?

Il Maestro si accorge che i discepoli erano ancora fortemente condizionati dalla propaganda del governo politico e religioso [vv.6.11] che assicurava benessere [vv.5-12; cf. Mt 15,32-38].

E Gesù li istruisce ancora, affinché almeno i suoi inviati possano superare la cecità e la crisi prodotta dalla sua Croce (v.21), dall’impegno richiesto nell’ottica del dono di sé.

Egli non è solo un continuatore dell’atteggiamento limpido del Battista, mai incline al compromesso nei confronti delle corti e dell’opulenza; né uno dei tanti restauratori della legge di Mosè, con lo zelo di Elia.

Neppure voleva limitarsi a purificare la religione da elementi spuri, ma addirittura sostituirsi al Tempio [Mt 21,12-17.18-19.42; 23,2.37-39; 24,30] - luogo dell’incontro tra il Padre e i suoi figli.

 

Su tale questione, in quel momento erano particolarmente vive le distanze non solo col paganesimo, ma anche le contrapposizioni tra giudei convertiti al Signore e osservanti secondo tradizione.

Infatti, nei libri sacri del giudaismo tardivo si parlava di grandi personaggi che avevano lasciato un’impronta nella storia d’Israele, e avrebbero dovuto riapparire per inaugurare i tempi messianici.

Anche all’interno delle comunità perseguitate di Galilea e Siria, Mt constata una scarsa capacità di comprensione, e tutta la difficoltà di abbracciare la nuova proposta - la quale non garantiva successo e riconoscimenti, né traguardi immediati.

(Sin dalle prime generazioni ci si rendeva conto che la Fede non si accorda facilmente con i primi impulsi umani: è invece sconcertante, per le vedute ovvie e le sue pulsioni).

Così il Maestro contraddice lo stesso Pietro [vv.20.23] la cui opinione restava legata all’idea conformista e popolaresca de «il» [vv.16.20: «quel»] Messia atteso.

 

Insomma, il capo degli apostoli - così debole nella Fede - può smetterla di indicare a Cristo quale strada percorrere «dietro» a lui [v.23] deviandolo!

Simone deve ricominciare a fare l’allievo; piantarla di tracciare a tutti vie riconosciute e opportuniste, sequestrando Dio in nome di Dio.

Il Signore è Colui che osa di più.

 

 

Una speciale nota sul tema del Nome:

 

Mentre per la nostra cultura è spesso un’etichetta, fra i popoli orientali il nome è tutt’uno con la persona, e la designa in modo speciale.

Per quanto si evince ad es. nel “secondo” comandamento, la forza del Nome ha un grande peso: è un conoscere il Soggetto (divino) nell’essenza e nel senso dell’agire; quasi un impossessarsi del suo potere.

Anche nella nostra tradizione orante, spirituale e mistica, il Nome proprio (es. Gesù) è stato spesso considerato quasi un’icona acustica della persona, comprensiva delle sue virtù; evocativa della sua presenza e potenza.

Nelle culture antiche, pronunciare il nome significava riuscire a cogliere il seme, il nucleo pregnante e globale della figura di riferimento.

Non di rado, anche nella nostra mentalità ha voluto esprimere un presagio, un mandato, un augurio, una benedizione, una vocazione, un destino, un compito, una chiamata, una missione [nomen (est) omen].

Ma qui si misura la differenza tra mentalità sacrale e Fede. Nelle religioni il nome proprio che il maestro o fondatore dona al discepolo è una sorta di cartello: colui il quale non avesse acume o fortuna, forza e coraggio di realizzarlo, sminuirebbe in dignità.

Invece Cristo coi suoi appellativi ci chiama a percorrere una strada,  certo - ma profondamente commisurata all’essenza.

Egli stimola all’esodo - non secondo modelli - perché prima fa rientrare la persona in se stessa. Affinché tutti ci mettiamo in gioco nel profondo e sino all’estremo che corrisponde.

Primo passo: incontrarci a tutto tondo; nei diversi versanti, anche sorprendenti, inespressi o sconosciuti - in genere, caratteri inimmaginabili secondo regola e nomenclature.

Persino i nostri modi di essere eccentrici, ambigui, in ombra o addirittura rifiutati in prima persona: si riveleranno lungo la Via i lati migliori di noi stessi.

Solo in questo binario plurale troviamo la strada per un’avventura densa di senso; non meccanica, né ripetitiva - bensì somigliante alla vita: sempre nuova e autentica.

Non a partire dalle esteriorità di facciata o di calcolo: c’è una firma d’Autore che precede, nella edificazione di noi stessi e del mondo.

 

Passando fra i diversi cantieri della città di Filippo, Gesù ha invece voluto paragonare Simone ai materiali inerti e accatastati (in modo anche confusionario) che si trovava di fronte.

Quella condizione coglieva la radice delle aspettative apostoliche!

I discepoli non davano ancora spazio al Mistero in loro stessi, all’idea di una salvezza segreta, che erompe con energia propria, innata; che supera i sogni comuni.

Cefa deriva infatti dall’aramaico Kefas: pietra da costruzione; qualcosa di duro: praticamente, un testardo come tanti; nulla di speciale, anzi. Gesù affibbia a Simone un soprannome negativo!

Infatti il termine greco «petros» [v.18] non è nome proprio: indica un sasso (raccolto da terra) che può essere sì utile a una costruzione - se ovviamente si lascia compaginare. E che non solo sostiene, ma è sostenuto; che non solo aggrega, ma viene aggregato.

Attenzione: il termine greco «petra» [v.18] non è il femminile di «petros»: indica «roccia», e si riferisce alla Persona di Cristo unica sicurezza (assieme alla Fede in Lui).

Appellativo che cambia imprevedibilmente tutta una vita. Solo l’Amico interiore infatti trae dal nostro [anche cattivo] bagaglio l’imprevedibile che sgorga.

 

Ciascuno viene cesellato dal Signore secondo il nome Pietro, nel senso di tassello particolare, elemento individuo e speciale.

Collocato in modo singolare ma in un grande mosaico: quello della storia della salvezza, dove ciascuno è contemporaneamente se stesso e in continua fase di rigenerazione.

Unico sentimento di appartenenza delle molte pietre da costruzione (tutte viventi): la convivialità delle differenze, la comunione delle disparate membra fraterne nella Chiesa ministeriale.

Nessuna per sempre, ma ovunque (incessantemente) nuclei pulsanti di un’istituzione sommaria e tutta raccolta da terra... Liberata gratis.

 

 

Solennità dei Ss. Pietro e Paolo,  29 giugno

 

Dissimili: differenza fra religiosità e Fede (la Chiesa che verrà)

 

In un’identica data la Chiesa celebra Discepoli dissimili.

Entrambi del tutto lontani da modelli di santità conforme e non eccentrica - anzi divagante, non rassicurante né quieta.

Uno cresce accumulando esperienze incerte: un po’ Pietro (testardo e ostile), un po’ Simone (discepolo, ma raramente), un po’ Simon Pietro (pro e contro, coi piedi in due staffe).

L’altro cresce sì, ma per caduta immediata dall’ideologia dello stare e sentirsi più puro e in alto degli altri:

in un attimo, dal “destriero” focoso dei capi e giudicanti, al ceto popolare capace di ascolto e benevolenza.

D’improvviso, da Saulo a Paolo.

Il primo, Apostolo per smania e lunga consuetudine [nell’andirivieni], l’altro per Chiamata diretta. Non per imposizione di mani da parte di superiori dalla vita pia che avrebbero dovuto saperla più lunga di lui.

Vocazione immediata - essa sconvolge, capovolge il modo di vedere.

Nessuno dei due Protagonisti, figlio devoto e obbediente: entrambi piuttosto cocciuti e smaniosi, ma ciascuno a modo suo; in maniera incerta e diplomatica, o tagliente.

A lungo inquieti e persino oppositori del Cristo.

 

Anche nell’Annuncio, nella Catechesi, nell’Animazione, nella Pastorale e nelle opere di carità iniziamo ad accorgerci che il punto di partenza dell’Evangelizzazione non è quello solito, rassicurante, che solo insegna agli altri [e trasmette finte sicurezze].

L’input è suscitare interrogativi, che coinvolgono in prima persona.

E qualsiasi iniziativa è utile in primo luogo a migliorare chi la propone - non le folle che non avrebbero consapevolezze.

Questo il perno dell’atteggiamento verso il bene pieno e la realizzazione di ogni essere umano.

 

Nell’unità della Fede confluiscono diversità di Doni.

Non siamo chiamati a fare i paternalisti, né i pompieri: subito a spegnere fuocherelli che neppure conosciamo ma ardono bene (solo oltre la cappa del camino di casa nostra).

La Chiesa che verrà dipende anche dalla nostra forma mentis.

Cardine della Tradizione viva è credere nel mondo a venire - non malgrado, bensì grazie alle sue difformità.

L’amore divino si manifesta, si fa presente, interviene in molti modi.

Le scintille che alimentano la Fiamma dello Spirito sono variegate: tutte illuminano e riscaldano il mondo... a meno che non le si costruisca attorno un muro di refrattari.

Ciò talora capita sul territorio, ad opera di cordate. Con giovani astuzie già normalizzate, o parrucconi timorosi di perdere privilegi sui quali galleggiano.

Un panorama di astuzie e acque chete, già morta.

 

Ma nel Cristo personale anche la nostra insicurezza apre sentieri inesplorati verso nuovi mondi.

Ogni missionario conosce la sua ‘certezza’ qual frutto d’un punto interrogativo.

Valore aggiunto che non sa; prodotto d’una forza primordiale che sorge dal caos delle sue o altrui prevedibilità.

La formazione variegata e persino lo scompiglio delle sfaccettature diventano luogo della Pace.

Possibilità d’Immenso, invece che appiglio per un arretramento sotto pena di castigo tipico di condanne religiose.

 

Mentre dottrina e disciplina inoculano certezze e aspettative ostinate che ci farebbero viaggiare solo su binari già tracciati, la Fede si lascia guidare dalla Provvidenza manifestata nella vita reale, che sorprende.

Un’adesione, una Relazione creativa - la Fede - dalla misteriosa Energia, sempre pura, nitida, trasparente, intatta, incontaminata.

Appello per Nome che porta a tu per tu con noi stessi e Dio, senza mai spersonalizzare.

Solo così rendendo concordi. È la chiesa che verrà.

Infatti, gli incerti che non sanno tirare subito le somme vanno sino in fondo: non abbandonano, non emarginano, non tradiscono; non usano la posizione religiosa come un’arma di ricatto.

Non fanno il male.

 

«Quando il tessitore alza un piede, l’altro si abbassa. Quando il movimento cessa e uno dei piedi si ferma, il tessuto non si fa più. Le sue mani lanciano la spola che passa dall’una all’altra; ma nessuna mano può sperare di tenerla. Come i gesti del tessitore, è l’unione dei contrari a tessere la nostra vita».

[Tradizione orale africana Peul]

 

Omaggio al Poliedro e non allo Sfero. Diversità e Pluralità significa spazio per ciascuno di noi, così com’è. Dilatato, non “migliore”.

Non omogeneo, non regolare, non omologato. Anche se la catena di comando locale non vuole.

Omaggio alla chiesa? Non quella uniforme e standard. La strana coppia Pietro e Paolo non lo è stata.

 

Omaggio alla Chiesa, Omaggio alla vita.

 

Sabato, 21 Giugno 2025 03:07

Molteplicità che diventa Unità

Cattolicità significa universalità – molteplicità che diventa unità; unità che rimane tuttavia molteplicità. Dalla parola di Paolo sulla universalità della Chiesa abbiamo già visto che fa parte di questa unità la capacità dei popoli di superare se stessi, per guardare verso l’unico Dio. Il vero fondatore della teologia cattolica, sant'Ireneo di Lione, ha espresso questo legame tra cattolicità e unità in modo molto bello: "Questa dottrina e questa fede la Chiesa disseminata in tutto il mondo custodisce diligentemente formando quasi un'unica famiglia: la stessa fede con una sola anima e un solo cuore, la stessa predicazione, insegnamento, tradizione come avesse una sola bocca. Diverse sono le lingue secondo le regioni, ma unica e medesima è la forza della tradizione. Le Chiese di Germania non hanno una fede o tradizione diversa, come neppure quelle di Spagna, di Gallia, di Egitto, di Libia, dell'Oriente, del centro della terra; come il sole creatura di Dio è uno solo e identico in tutto il mondo, così la luce della vera predicazione splende dovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono venire alla cognizione della verità" (Adv. haer. I 10,2). L'unità degli uomini nella loro molteplicità è diventata possibile perché Dio, questo unico Dio del cielo e della terra, si è mostrato a noi; perché la verità essenziale sulla nostra vita, sul nostro "di dove?" e "verso dove?", è diventata visibile quando Egli si è mostrato a noi e in Gesù Cristo ci ha fatto vedere il suo volto, se stesso. Questa verità sull’essenza del nostro essere, sul nostro vivere e sul nostro morire, verità che da Dio si è resa visibile, ci unisce e ci fa diventare fratelli. Cattolicità e unità vanno insieme. E l’unità ha un contenuto: la fede che gli Apostoli ci hanno trasmesso da parte di Cristo.

[Papa Benedetto, 29 giugno 2005]

Sabato, 21 Giugno 2025 03:04

Domanda sull’identità

1. "Voi chi dite che io sia?" (Mt 16,15).

Questa domanda circa la sua identità Gesù la pone ai discepoli, mentre si trova con loro nell'alta Galilea. Era accaduto più volte che fossero loro a porre delle domande a Gesù; ora è Lui che li interpella. La sua è una domanda precisa, che attende una risposta. Per tutti prende la parola Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).

La risposta è straordinariamente lucida. Vi si rispecchia in modo perfetto la fede della Chiesa. In essa ci rispecchiamo anche noi. In modo particolare, si rispecchia nelle parole di Pietro il Vescovo di Roma, per volontà divina suo successore. E intorno a lui e con lui, vi rispecchiate in tali parole voi, cari Arcivescovi Metropoliti, qui convenuti da tante parti del mondo per ricevere il Pallio nella solennità dei santi Pietro e Paolo.

A ciascuno di voi rivolgo il mio più cordiale saluto; saluto che volentieri estendo a quanti vi hanno accompagnato a Roma ed alle vostre Comunità, spiritualmente a noi unite in questa solenne circostanza.

2. "Tu sei il Cristo!". Alla confessione di Pietro Gesù replica: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17).

Beato te, Pietro! Beato, perché questa verità, che è centrale nella fede della Chiesa, non poteva emergere nella tua consapevolezza di uomo, se non per opera di Dio. "Nessuno - ha detto Gesù - conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27).

Noi riflettiamo su questa pagina di Vangelo singolarmente densa: il Verbo incarnato aveva rivelato il Padre ai suoi discepoli; ora è il momento che lo stesso Padre rivela ad essi il Figlio suo unigenito. Pietro accoglie l'illuminazione interiore e proclama con coraggio: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente"!

Queste parole sulle labbra di Pietro provengono dal profondo del mistero di Dio. Rivelano l'intima verità, la vita stessa di Dio. E Pietro, sotto l'azione dello Spirito divino, diventa testimone e confessore di questa sovrumana verità. La sua professione di fede costituisce così la solida base della fede della Chiesa: "Su di te edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,18). Sulla fede e sulla fedeltà di Pietro è edificata la Chiesa di Cristo.

Ne era ben consapevole la prima comunità cristiana che, come narrano gli Atti degli Apostoli, quando Pietro si trovò in prigione, si raccolse per elevare a Dio una preghiera accorata per lui (cfr At 12,5). Fu ascoltata, perché la presenza di Pietro era ancora necessaria alla comunità che muoveva i suoi primi passi: il Signore inviò il suo angelo a liberarlo dalle mani dei persecutori (cfr ibid., 12, 7-11). Era scritto nei disegni di Dio che Pietro, dopo aver confermato a lungo nella fede i suoi fratelli, avrebbe ricevuto il martirio qui a Roma, insieme con Paolo, l'Apostolo delle genti, anch'egli più volte scampato alla morte.

3. "Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili" (2 Tm 4,17). Sono parole di Paolo al fedele discepolo Timoteo: le abbiamo ascoltate nella seconda Lettura. Esse rendono testimonianza dell'opera in lui compiuta dal Signore, che lo aveva scelto come ministro del Vangelo, "afferrandolo" sulla via di Damasco (cfr Fil 3,12).

Avvolto in una luce sfolgorante, il Signore gli si era presentato dicendo: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" (At 9,4), mentre una potenza misteriosa lo gettava a terra (cfr At 9,5). "Chi sei, o Signore?", aveva chiesto Saulo. "Io sono Gesù, che tu perseguiti!" (At 9,5). Fu questa la risposta di Cristo. Saulo perseguitava i seguaci di Gesù e Gesù gli faceva sapere che era Lui stesso ad essere perseguitato in loro. Lui, Gesù di Nazareth, il Crocifisso, che i cristiani affermavano essere risorto. Se, ora, Saulo ne sperimentava la potente presenza, era chiaro che Dio l'aveva realmente risuscitato dai morti. Era proprio Lui il Messia atteso da Israele, era Lui il Cristo vivo e presente nella Chiesa e nel mondo!

Avrebbe potuto Saulo con la sola sua ragione comprendere tutto ciò che un simile evento comportava? Certamente no! Era parte infatti dei disegni misteriosi di Dio. Sarà il Padre a dare a Paolo la grazia di conoscere il mistero della redenzione, operata in Cristo. Sarà Dio a permettergli di capire la stupenda realtà della Chiesa, che vive per Cristo, con Cristo e in Cristo. Ed egli, diventato partecipe di questa verità, non cesserà di proclamarla instancabilmente fino agli estremi confini della terra.

Da Damasco Paolo inizierà il suo itinerario apostolico che lo porterà a diffondere il Vangelo in tante parti del mondo allora conosciuto. Il suo slancio missionario contribuirà così alla realizzazione del mandato di Cristo agli Apostoli: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni..." (Mt 28,19).

4. Carissimi Fratelli nell'Episcopato venuti per ricevere il Pallio, la vostra presenza pone in eloquente risalto la dimensione universale della Chiesa scaturita dal comando del Signore: "Andate ... e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19).

Voi provenite, infatti, da quindici Paesi di quattro continenti, e siete stati chiamati dal Signore ad essere Pastori di Chiese Metropolitane. L'imposizione del Pallio ben sottolinea il particolare vincolo di comunione che vi lega alla Sede di Pietro e manifesta l'indole cattolica della Chiesa.

Ogni volta che indosserete questi Palli, ricordate, Fratelli carissimi, che come Pastori siamo chiamati a salvaguardare la purezza del Vangelo e l'unità della Chiesa di Cristo, fondata sulla "roccia" della fede di Pietro. A questo ci chiama il Signore; questa è la nostra irrinunciabile missione di guide previdenti del gregge che il Signore ci ha affidato.

5. La piena unità della Chiesa! Sento echeggiare in me la consegna di Cristo. E' una consegna quanto mai urgente in quest'inizio di nuovo millennio. Per questo preghiamo ed operiamo senza mai stancarci di sperare.

Con questi sentimenti, abbraccio e saluto con affetto la delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, venuta per celebrare con noi la memoria liturgica di Pietro e di Paolo. Grazie, venerati Fratelli, per la vostra presenza e per la vostra cordiale partecipazione a questa solenne Celebrazione liturgica. Ci conceda Iddio di pervenire quanto prima alla piena unità di tutti i credenti in Cristo.

Ci ottengano questo dono gli Apostoli Pietro e Paolo, che la Chiesa di Roma ricorda in questo giorno, nel quale si fa memoria del loro martirio, e perciò della loro nascita alla vita in Dio. Per il Vangelo essi hanno accettato di soffrire e di morire e sono diventati partecipi della risurrezione del Signore. La loro fede, confermata dal martirio, è la stessa fede di Maria, la Madre dei credenti, degli Apostoli, dei santi e delle sante di tutti i secoli.

Oggi la Chiesa proclama nuovamente la loro fede. E' la nostra fede, l'immutabile fede della Chiesa in Gesù unico Salvatore del mondo; in Cristo, il Figlio del Dio vivente, morto e risorto per noi e per l'intera umanità.

[Papa Giovanni Paolo II, 29 giugno 2000]

Sabato, 21 Giugno 2025 02:56

Sorreggono l’edificio della Chiesa

I Santi Pietro e Paolo, che festeggiamo oggi, nelle icone sono a volte raffigurati mentre sorreggono l’edificio della Chiesa. Questo ci ricorda le parole del Vangelo odierno, in cui Gesù dice a Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). È la prima volta che Gesù pronuncia la parola “Chiesa”, ma più che sul sostantivo vorrei invitarvi a pensare all’aggettivo, che è un possessivo, “mia”: la mia Chiesa. Gesù non parla della Chiesa come di una realtà esterna, ma esprime il grande amore che nutre per lei: la mia Chiesa. È affezionato alla Chiesa, a noi. San Paolo scrive: «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,25), cioè, spiega l’Apostolo, Gesù ama la Chiesa come sua sposa. Per il Signore noi non siamo un gruppo di credenti o un’organizzazione religiosa, siamo la sua sposa. Egli guarda con tenerezza la sua Chiesa, la ama con fedeltà assoluta, nonostante i nostri errori e tradimenti. Come quel giorno a Pietro, oggi dice a tutti noi: “mia Chiesa, voi siete mia Chiesa”.

E possiamo ripeterlo anche noi: mia Chiesa. Non lo diciamo con un senso di appartenenza esclusivo, ma con un amore inclusivo. Non per differenziarci dagli altri, ma per imparare la bellezza di stare con gli altri, perché Gesù ci vuole uniti e aperti. La Chiesa, infatti, non è “mia” perché risponde al mio io, alle mie voglie, ma perché io vi riversi il mio affetto. È mia perché me ne prenda cura, perché, come gli Apostoli nell’icona, anch’io la sorregga. Come? Con l’amore fraterno. Col nostro amore fraterno possiamo dire: la mia Chiesa.

In un’altra icona i Santi Pietro e Paolo sono ritratti mentre si stringono a vicenda in un abbraccio. Fra loro erano molto diversi: un pescatore e un fariseo con esperienze di vita, caratteri, modi di fare e sensibilità alquanto differenti. Non mancarono tra loro opinioni contrastanti e dibattiti franchi (cfr Gal 2,11 ss.). Ma quello che li univa era infinitamente più grande: Gesù era il Signore di entrambi, insieme dicevano “mio Signore” a Colui che dice “mia Chiesa”. Fratelli nella fede, ci invitano a riscoprire la gioia di essere fratelli e sorelle nella Chiesa. In questa festa, che unisce due Apostoli tanto diversi, sarebbe bello che anche ognuno di noi dica: “Grazie, Signore, per quella persona diversa da me: è un dono per la mia Chiesa”. Siamo diversi ma questo ci arricchisce, è la fratellanza. Fa bene apprezzare le qualità altrui, riconoscere i doni degli altri senza malignità e senza invidie. L’invidia! L’invidia provoca amarezza dentro, è aceto sul cuore. Gli invidiosi hanno uno sguardo amaro. Tante volte, quando uno trova un invidioso, viene voglia di domandare: ma con che ha fatto colazione oggi, col caffelatte o con l’aceto? Perché l’invidia è amara. Rende amara la vita. Quant’è bello invece sapere che ci apparteniamo a vicenda, perché condividiamo la stessa fede, lo stesso amore, la stessa speranza, lo stesso Signore. Ci apparteniamo gli uni gli altri e questo è splendido, dire: la nostra Chiesa! Fratellanza.

Alla fine del Vangelo Gesù dice a Pietro: «Pasci le mie pecore» (Gv 21,17). Parla di noi e dice “le mie pecore” con la stessa tenerezza con cui diceva mia Chiesa. Con quanto amore, con quanta tenerezza ci ama Gesù! Ci sente suoi. Ecco l’affetto che edifica la Chiesa. Per intercessione degli Apostoli, chiediamo oggi la grazia di amare la nostra Chiesa. Chiediamo occhi che sappiano vedere in essa fratelli e sorelle, un cuore che sappia accogliere gli altri con l’amore tenero che Gesù ha per noi. E chiediamo la forza di pregare per chi non la pensa come noi – questo la pensa altrimenti, prego per lui – pregare e amare, che è il contrario di sparlare, magari alle spalle. Mai sparlare, pregare e amare. La Madonna, che portava concordia tra gli Apostoli e pregava con loro (cfr At 1,14), ci custodisca come fratelli e sorelle nella Chiesa.

[Papa Francesco, Angelus 29 giugno 2019]

Già ribelle: Vocazione particolare

(Lc 2,41-51)

 

Il passo di Vangelo sconcerta, perché sembra ritrarre una famiglia distratta e un Gesù autentico, sorprendente, già scontroso e ribelle.

Lc scrive a più di mezzo secolo dalla morte e risurrezione del Signore, e vuol far trasparire la caratura di Fede e l’inclinazione delle sue comunità ancora in ricerca.

La storia cruenta del Maestro andava infatti compresa e interiorizzata come non era immediato intuire; neppure per i più intimi del Messia.

 

Sembra che la sacra Famiglia salisse a Gerusalemme ogni anno per la Pasqua (v.41).

Prima che in Israele si diventasse adulti e tenuti all’osservanza della Torah [13 anni] già il nostro Adolescente mostra segni di vocazione particolare.

Dal tono della narrazione si nota un Gesù desideroso di abbeverarsi e immergersi nel Mistero ancora inespresso del Padre.

Sognando di scoprire la sua Volontà, si trattiene nella città santa per comprendere a fondo la Parola di Dio - senz’accontentarsi dei catechismi impersonali, abbreviati.

 

Le prime espressioni di Gesù nel terzo Vangelo segnano il carattere di tutta la sua vicenda.

Egli si distacca con decisione dalla religiosità dei ‘padri’ (v.49).

Inizia a prendere distanza dalle idee comuni anche alla sua famiglia di origine: non appartiene a un clan definito.

La sua sarà una proposta divina in favore di tutte le donne e gli uomini del mondo.

In tal senso, Gesù ha ancor più onorato la fedeltà a Dio dei suoi genitori (vv.51-52) accogliendo l’intero spirito dei loro insegnamenti, e scavando oltre - intuendone il significato ultimo.

Come dire: in Lui le sacre Scritture divengono accessibili, con la chiave di lettura dell’intera sua vicenda e Persona.

Vita per noi - anche prima del Battesimo e della vicenda pubblica.

 

Lc scrive per incoraggiare i credenti che ancora non comprendevano tutto della personalità [e l’esito drammatico] del nuovo Rabbi.

Come Giuseppe e Maria, essi dovevano rendersi conto che non è facile capire il Figlio di Dio e accettarne l’unicità di carattere, sino alla sconfitta terrena.

 

Nella figura della sacra Famiglia, anche noi siamo invitati a «tornare a Gerusalemme» (v.45).

Qui, osservando l’autonomia di Cristo, gradualmente sapremo aprirci alla vocazione inedita che portiamo dentro - perché ‘rinati’ in Lui.

E di fronte agli accadimenti sconcertanti, impareremo a custodire la Chiamata personale - come Maria. 

Perché anche Lei non ha trovato facile introdursi nella sua Pasqua: il ‘passaggio’ dalla religione delle tradizioni e delle attese alla Fede nel Figlio.

Ma «conservava attraverso» Parola ed eventi (v.51b), senza fermarsi a metà.

 

Il movimento della Salvezza familiarizza tutti nelle dinamiche di smarrimento [dalle ristrettezze] e ritrovamento [di una Presenza dentro le difformi presenze] allo scopo di non restringere gli orizzonti.

 

 

[Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria, 28 giugno 2025]

Già ribelle: Vocazione particolare

(Lc 2,41-51)

 

La famiglia è nucleo della società e luogo privilegiato del rischio educativo, non l’unico.

È una tappa preziosa della crescita, ma non deve coartare la fioritura nella dimensione universale.

Il movimento della Salvezza familiarizza tutti nelle dinamiche di smarrimento [dalle ristrettezze] e ritrovamento [di una Presenza dentro le difformi presenze] allo scopo di non restringere gli orizzonti.

Il ripiegamento compiaciuto sul mondo degli affetti e interessi di parentela riduce la dimensione delle frontiere vitali, rendendo angusta la vita personale e di casata; culturale, sociale e spirituale.

Il focolare domestico deve integrare nella comunità, e introdurre i giovani alla conoscenza del carattere innato della propria vocazione, affinché crescendo si rendano disponibili e maturino in una realtà sempre più larga.

La famiglia che si fa trampolino prelude il distacco, che nel suo taglio sarà doloroso per tutti - ma diventerà uno spiccare il volo dal nido protetto che rende schiavi; un balzo verso la libertà della vita piena.

 

Il passo di Vangelo sconcerta, perché sembra ritrarre una famiglia distratta e un Gesù già scontroso e ribelle.

Lc scrive a più di mezzo secolo dalla morte e risurrezione del Signore, e vuol far trasparire la Fede e l’inclinazione delle sue comunità.

La vicenda tragica del Maestro viene compresa e interiorizzata come forse Giuseppe e Maria non avrebbero potuto ancora intuire, nella sua adolescenza.

Riconoscere Gesù Figlio di Dio fin dai dodici anni significava nella letteratura dell’epoca “coprire” tutta la sua vita [cf. Lc 24].

 

Sembra che la sacra Famiglia salisse a Gerusalemme ogni anno per la Pasqua (v.41).

Prima che in Israele si diventasse adulti e tenuti all’osservanza della Torah (13 anni) già il nostro Adolescente mostra segni di vocazione particolare.

Dal tono della narrazione si nota un Gesù desideroso di abbeverarsi e immergersi nel Mistero ancora inespresso del Padre.

Sognando di scoprire la sua Volontà, si trattiene nella città santa per comprendere a fondo la Parola di Dio - senz’accontentarsi dei catechismi impersonali, abbreviati.

Le prime espressioni di Gesù nel terzo Vangelo segnano il carattere di tutta la sua vicenda. Egli si distacca con decisione dalla religiosità dei padri (v.49).

Inizia a prendere distanza dalle idee comuni anche alla sua famiglia di origine: non appartiene a un clan definito.

La sua sarà una proposta divina in favore di tutte le donne e gli uomini del mondo.

In tal senso, Gesù ha ancor più onorato la fedeltà a Dio dei suoi genitori (vv.51-52) accogliendo l’intero spirito dei loro insegnamenti, e scavando oltre - intuendone il significato ultimo.

Come dire: in Lui le sacre Scritture divengono accessibili, con la chiave di lettura dell’intera sua vicenda e Persona.

Vita per noi (anche prima del Battesimo e della vicenda pubblica).

 

Lc scrive per incoraggiare i credenti che ancora non comprendevano tutto della vicenda del nuovo Rabbi.

Come Giuseppe e Maria, essi dovevano rendersi conto che non è facile capire il Figlio di Dio e accettarne l’unicità di carattere, sino alla sconfitta terrena.

 

Nella figura della sacra Famiglia, anche noi siamo invitati a «tornare a Gerusalemme» (v.45).

Qui, osservando l’autonomia di Cristo, gradualmente sapremo aprirci alla vocazione inedita che portiamo dentro - perché “rinati” in Lui.

E di fronte agli accadimenti sconcertanti, impareremo a custodire la Chiamata personale - come Maria. 

Perché anche Lei non ha trovato facile introdursi nella sua Pasqua: il “passaggio” dalla religione delle tradizioni e delle attese alla Fede nel Figlio.

 

Ma «conservava attraverso» Parola ed eventi (v.51b), senza fermarsi a metà.

 

 

L’aspetto riflessivo della Casa di Nazaret

 

La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare.
Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.
Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth.
In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore.

[Papa Paolo VI, Chiesa dell’Annunciazione Nazareth 5 gennaio 1964]

Venerdì, 20 Giugno 2025 03:45

Consacrazione dei sacerdoti

Madre Immacolata,

in questo luogo di grazia,

convocati dall'amore del Figlio tuo Gesù,

Sommo ed Eterno Sacerdote, noi,

figli nel Figlio e suoi sacerdoti,

ci consacriamo al tuo Cuore materno,

per compiere con fedeltà la Volontà del Padre.

Siamo consapevoli che, senza Gesù,

non possiamo fare nulla di buono (cfr Gv 15,5)

e che, solo per Lui, con Lui ed in Lui,

saremo per il mondo

strumenti di salvezza.

Sposa dello Spirito Santo,

ottienici l'inestimabile dono

della trasformazione in Cristo.

Per la stessa potenza dello Spirito che,

estendendo su di Te la sua ombra,

ti rese Madre del Salvatore,

aiutaci affinché Cristo, tuo Figlio,

nasca anche in noi.

Possa così la Chiesa

essere rinnovata da santi sacerdoti,

trasfigurati dalla grazia di Colui

che fa nuove tutte le cose.

Madre di Misericordia,

è stato il tuo Figlio Gesù che ci ha chiamati

a diventare come Lui:

luce del mondo e sale della terra

(cfr Mt 5, 13-14).

Aiutaci,

con la tua potente intercessione,

a non venir mai meno a questa sublime vocazione,

a non cedere ai nostri egoismi,

alle lusinghe del mondo

ed alle suggestioni del Maligno.

Preservaci con la tua purezza,

custodiscici con la tua umiltà

e avvolgici col tuo amore materno,

che si riflette in tante anime

a te consacrate

diventate per noi

autentiche madri spirituali.

Madre della Chiesa,

noi, sacerdoti,

vogliamo essere pastori

che non pascolano se stessi,

ma si donano a Dio per i fratelli,

trovando in questo la loro felicità.

Non solo a parole, ma con la vita,

vogliamo ripetere umilmente,

giorno per giorno,

il nostro "eccomi".

Guidati da te,

vogliamo essere Apostoli

della Divina Misericordia,

lieti di celebrare ogni giorno

il Santo Sacrificio dell'Altare

e di offrire a quanti ce lo chiedono

il sacramento della Riconciliazione.

Avvocata e Mediatrice della grazia,

tu che sei tutta immersa

nell'unica mediazione universale di Cristo,

invoca da Dio, per noi,

un cuore completamente rinnovato,

che ami Dio con tutte le proprie forze

e serva l'umanità come hai fatto tu.

Ripeti al Signore

l'efficace tua parola:

"non hanno più vino" (Gv 2,3),

affinché il Padre e il Figlio riversino su di noi,

come in una nuova effusione,

lo Spirito Santo.

Pieno di stupore e di gratitudine

per la tua continua presenza in mezzo a noi,

a nome di tutti i sacerdoti,

anch'io voglio esclamare:

"a che cosa devo che la Madre del mio Signore

venga a me?" (Lc 1,43)

Madre nostra da sempre,

non ti stancare di "visitarci",

di consolarci, di sostenerci.

Vieni in nostro soccorso

e liberaci da ogni pericolo

che incombe su di noi.

Con questo atto di affidamento e di consacrazione,

vogliamo accoglierti in modo

più profondo e radicale,

per sempre e totalmente,

nella nostra esistenza umana e sacerdotale.

La tua presenza faccia rifiorire il deserto

delle nostre solitudini e brillare il sole

sulle nostre oscurità,

faccia tornare la calma dopo la tempesta,

affinché ogni uomo veda la salvezza

del Signore,

che ha il nome e il volto di Gesù,

riflesso nei nostri cuori,

per sempre uniti al tuo!

Così sia!

[Papa  Benedetto, Fatima 12 maggio 2010]

Venerdì, 20 Giugno 2025 03:37

Affidamento

La famiglia è il cuore della Chiesa. Si innalzi oggi da questo cuore un atto di particolare affidamento al cuore della Genitrice di Dio.

Nell’Anno Giubilare della Redenzione vogliamo confessare che l’amore è più grande del peccato e di ogni male, che minaccia l’uomo e il mondo.

Con umiltà invochiamo questo amore:

1. “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio”!

Pronunciando le parole di questa antifona, con la quale la Chiesa di Cristo prega da secoli, ci troviamo oggi dinanzi a te, Madre, nell’Anno Giubilare della nostra Redenzione.

Ci troviamo uniti con tutti i pastori della Chiesa, in un particolare vincolo, costituendo un corpo e un collegio, così come per volontà di Cristo gli apostoli costituivano un corpo e un collegio con Pietro.

Nel vincolo di tale unità, pronunziamo le parole del presente atto, in cui desideriamo racchiudere, ancora una volta, le speranze e le angosce della Chiesa per il mondo contemporaneo.

Quaranta anni fa, e poi ancora dieci anni dopo, il tuo servo, il papa Pio XII, avendo davanti agli occhi le dolorose esperienze della famiglia umana, ha affidato e consacrato al tuo Cuore Immacolato, tutto il mondo e specialmente i popoli, che per la loro situazione sono particolare oggetto del tuo amore e della tua sollecitudine.

Questo mondo degli uomini e delle nazioni abbiamo davanti agli occhi anche oggi: il mondo del secondo millennio che sta per terminare, il mondo contemporaneo, il nostro mondo!

La Chiesa, memore delle parole del Signore: “Andate . . . e ammaestrate tutte le nazioni . . . Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28, 19-20), ha ravvivato, nel Concilio Vaticano II, la coscienza della sua missione in questo mondo.

E perciò, o Madre degli uomini e dei popoli, tu che conosci tutte le loro sofferenze e le loro speranze, tu che senti maternamente tutte le lotte tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre, che scuotono il mondo contemporaneo, accogli il nostro grido che, mossi dallo Spirito Santo, rivolgiamo direttamente al Tuo Cuore: abbraccia, con amore di madre e di serva del Signore, questo nostro mondo umano, che ti affidiamo e consacriamo, pieni di inquietudine per la sorte terrena ed eterna degli uomini e dei popoli.

In modo speciale ti affidiamo e consacriamo quegli uomini e quelle nazioni, che di questo affidamento e di questa consacrazione hanno particolarmente bisogno.

“Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio”! Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova!

2. Ecco, trovandoci davanti a te, Madre di Cristo, dinanzi al tuo cuore immacolato, desideriamo, insieme con tutta la Chiesa, unirci alla consacrazione che, per amore nostro, il Figlio tuo ha fatto di se stesso al Padre: “Per loro - egli ha detto - io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv 17, 19). Vogliamo unirci al nostro Redentore in questa consacrazione per il mondo e per gli uomini, la quale, nel suo cuore divino, ha la potenza di ottenere il perdono e di procurare la riparazione.

La potenza di questa consacrazione dura per tutti i tempi e abbraccia tutti gli uomini, i popoli e le nazioni, e supera ogni male, che lo spirito delle tenebre è capace di ridestare nel cuore dell’uomo e nella sua storia e che, di fatto, ha ridestato nei nostri tempi.

Oh, quanto profondamente sentiamo il bisogno di consacrazione per l’umanità e per il mondo: per il nostro mondo contemporaneo, in unione con Cristo stesso! L’opera redentrice di Cristo, infatti, deve essere partecipata dal mondo per mezzo della Chiesa.

Lo manifesta il presente Anno della Redenzione: il Giubileo straordinario di tutta la Chiesa.

Sii benedetta, in questo Anno Santo, sopra ogni creatura Tu, serva del Signore, che nel modo più pieno obbedisti alla divina chiamata!

Sii salutata tu, che sei interamente unita alla consacrazione redentrice del tuo Figlio!

Madre della Chiesa! Illumina il popolo di Dio sulle vie della fede, della speranza e della carità! Illumina specialmente i popoli di cui tu aspetti la nostra consacrazione e il nostro affidamento. Aiutaci a vivere nella verità della consacrazione di Cristo per l’intera famiglia umana del mondo contemporaneo.

3. AffidandoTi, o Madre, il mondo, tutti gli uomini e tutti i popoli, ti affidiamo anche la stessa consacrazione del mondo, mettendola nel tuo cuore materno.

Oh, cuore immacolato! Aiutaci a vincere la minaccia del male, che così facilmente si radica nei cuori degli uomini d’oggi e che nei suoi effetti incommensurabili già grava sulla vita presente e sembra chiudere le vie verso il futuro!

Dalla fame e dalla guerra, liberaci!

Dalla guerra nucleare, da un’autodistruzione incalcolabile, da ogni genere di guerra, liberaci!

Dai peccati contro la vita dell’uomo sin dai suoi albori, liberaci!

Dall’odio e dall’avvilimento della dignità dei figli di Dio, liberaci!

Da ogni genere di ingiustizia nella vita sociale, nazionale e internazionale, liberaci!

Dalla facilità di calpestare i comandamenti di Dio, liberaci!

Dal tentativo di offuscare nei cuori umani la verità stessa di Dio, liberaci!

Dallo smarrimento della coscienza del bene e del male, liberaci!

Dai peccati contro lo Spirito Santo, liberaci! liberaci!

Accogli, o Madre di Cristo, questo grido carico della sofferenza di tutti gli uomini! Carico della sofferenza di intere società!

Aiutaci con la potenza dello Spirito Santo a vincere ogni peccato: il peccato dell’uomo e il “peccato del mondo”, il peccato in ogni sua manifestazione.

Si riveli, ancora una volta, nella storia del mondo l’infinita potenza salvifica della Redenzione: potenza dell’Amore misericordioso! Che esso arresti il male! Trasformi le coscienze! Nel Tuo Cuore Immacolato si sveli per tutti la luce della Speranza!

[Papa Giovanni Paolo II, Giubileo delle Famiglie 25 marzo 1984]

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Today’s Gospel passage (cf. Lk 10:1-12, 17-20) presents Jesus who sends 72 disciples on mission, in addition to the 12 Apostles. The number 72 likely refers to all the nations. Indeed, in the Book of Genesis 72 different nations are mentioned (cf. 10:1-32) [Pope Francis]
L’odierna pagina evangelica (cfr Lc 10,1-12.17-20) presenta Gesù che invia in missione settantadue discepoli, in aggiunta ai dodici apostoli. Il numero settantadue indica probabilmente tutte le nazioni. Infatti nel libro della Genesi si menzionano settantadue nazioni diverse (cfr 10,1-32) [Papa Francesco]
Christ reveals his identity of Messiah, Israel's bridegroom, who came for the betrothal with his people. Those who recognize and welcome him are celebrating. However, he will have to be rejected and killed precisely by his own; at that moment, during his Passion and death, the hour of mourning and fasting will come (Pope Benedict)
Cristo rivela la sua identità di Messia, Sposo d'Israele, venuto per le nozze con il suo popolo. Quelli che lo riconoscono e lo accolgono con fede sono in festa. Egli però dovrà essere rifiutato e ucciso proprio dai suoi: in quel momento, durante la sua passione e la sua morte, verrà l'ora del lutto e del digiuno (Papa Benedetto)
Peter, Andrew, James and John are called while they are fishing, while Matthew, while he is collecting tithes. These are unimportant jobs, Chrysostom comments, "because there is nothing more despicable than the tax collector, and nothing more common than fishing" (In Matth. Hom.: PL 57, 363). Jesus' call, therefore, also reaches people of a low social class while they go about their ordinary work [Pope Benedict]
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo -  “poiché non c'è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario [Papa Benedetto]
The invitation given to Thomas is valid for us as well. We, where do we seek the Risen One? In some special event, in some spectacular or amazing religious manifestation, only in our emotions and feelings? [Pope Francis]
L’invito fatto a Tommaso è valido anche per noi. Noi, dove cerchiamo il Risorto? In qualche evento speciale, in qualche manifestazione religiosa spettacolare o eclatante, unicamente nelle nostre emozioni e sensazioni? [Papa Francesco]
A life without love and without truth would not be life. The Kingdom of God is precisely the presence of truth and love and thus is healing in the depths of our being. One therefore understands why his preaching and the cures he works always go together: in fact, they form one message of hope and salvation (Pope Benedict)
Una vita senza amore e senza verità non sarebbe vita. Il Regno di Dio è proprio la presenza della verità e dell’amore e così è guarigione nella profondità del nostro essere. Si comprende, pertanto, perché la sua predicazione e le guarigioni che opera siano sempre unite: formano infatti un unico messaggio di speranza e di salvezza (Papa Benedetto)
His slumber causes us to wake up. Because to be disciples of Jesus, it is not enough to believe God is there, that he exists, but we must put ourselves out there with him; we must also raise our voice with him. Hear this: we must cry out to him. Prayer is often a cry: “Lord, save me!” (Pope Francis)
Il suo sonno provoca noi a svegliarci (Papa Francesco)

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